Functie en/of naam van de afdeling

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Functie en/of naam van de afdeling
Laudatio per il professor Claudio Magris
Pronunciata il 2 febbraio 2011 a Lovanio dal professor Bart Van den Bossche, relatore
KATHOLIEKE
UNIVERSITEIT
LEUVEN
Sua Grazia,
Signor Gran Cancelliere,
Magnifico Rettore,
Eccellenze,
Colleghi,
Signore e signori,
Siamo a Trieste, nel nord-est d’Italia. Nello storico Caffè San Marco, quasi a metà strada tra Venezia e
Vienna, si incontrano l’Europa centrale e il mondo mediterraneo. A uno dei tavoli del caffè è seduto uno
scrittore. Trieste è il suo microcosmo, l’ancoraggio della sua vita professionale e personale; luogo in cui
è nato e dove, dal 1978, ha insegnato letteratura tedesca.
Trieste è una città di frontiera, una città di frontiere. Situata sull’estrema sponda nord dell’Adriatico, la
città portuale è stata per secoli un luogo di transito, nodo e crocevia di influssi culturali romanzi,
germanici, slavi ed ebraici. La storia di Trieste è inestricabilmente legata a quella dell’Impero asburgico,
di cui fece parte fino al 1919.
Al mito dell’Impero austro-ungarico Claudio Magris ha dedicato, nel 1963, il suo primo importante studio
Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna. L’interesse di Magris per la mitizzazione
dell’Austria Felix lo ha indotto a maturare un fascino per gli scrittori moderni e i filosofi della
Mitteleuropa. Nelle opere di autori come Robert Musil o Italo Svevo, la modernità è una bufera che
cancella ogni forma di coesione totale e di verità univoca. Mitteleuropa è la patria ideale dell’“uomo
senza qualità” di Robert Musil, prototipo dell’uomo europeo moderno in bilico fra disgregazione e
nostalgia di una totalità coesa, fra trasformazione e tradizione, fra identità e alterità.
Riflessi di tale esperienza di modernità sono tangibilmente presenti nell’opera letteraria di Claudio
Magris, un’opera che sfiora e supera infatti, deliberatamente quanto vistosamente, i limiti fra i vari
generi letterari e discorsivi. I libri di Magris, difficilmente ascrivibili a un preciso genere letterario, si
muovono fra riflessione accademica e saggistica filosofico-letteraria, fra racconto di viaggio e romanzo,
finzione e storia, documento e immaginario. Danubio (1986), ad esempio, il libro che gli ha dato fama
internazionale, non è soltanto il resoconto dettagliato di un viaggio concreto lungo le rive del Danubio,
ma si presenta anche come una storia in cui il narratore cerca di venire alle prese con la propria
attitudine verso i paesi e i luoghi che visita, la loro letteratura e cultura, il loro presente e il loro passato.
Il viaggiatore è indotto a chiedersi se e in quale misura egli imponga le proprie categorie e definizioni
alla realtà, se e in quale modo riesca ad affrontare la difficoltà (o l’impossibilità) dell’incontro con l’altro.
L’opera di Claudio Magris è “letteratura” nel senso più sfaccettato e prezioso del termine: scrivere
significa assumere un atteggiamento di cauta ed attenta interrogazione, scrutare ed esporre la
pluriformità e l’indeterminatezza della realtà.
Claudio Magris è un osservatore particolarmente acuto di frontiere e diversità culturali e delle loro
multiforme implicazioni cognitive, ideologiche ed etiche. È lecito parlare a proposito dell’opera di
Claudio Magris di un ethos umanistico, ma si tratta di un umanesimo ricalibrato, alterato e quasi
purificato dall’esperienza della modernità come perdita e crisi, e in particolare dalle amare delusioni
della storia dell’Europa moderna. Fulcro di questa reinterpretazione dell’ethos umanistico è la dialettica
tra utopia e disincanto (Utopia e disincanto è il titolo di un volume di saggi uscito nel 1999): si può
assumere la coscienza del disincanto senza cadere nel cinismo? Si può salvare qualcosa
dell’ispirazione etica da cui scaturisce ogni progettazione utopica senza che l’utopia si trasformi in un
desiderio ciecamente nostalgico (e potenzialmente pericoloso) di coesione totale? A qualsiasi forma di
possibile nostalgia della coesione del mito, Claudio Magris contrappone un atteggiamento lucido,
ironico e malinconico nei confronti della frammentazione della condizione moderna.
Claudio Magris considera la letteratura come il luogo per eccellenza in cui l’Europa moderna può, e
deve, accettare il confronto con i propri sogni e con i propri demoni, e ciò vale anche per l’Europa del
2011, così a disagio con la diversità di cui pure ha fatto la propria bandiera. La letteratura ha la capacità
di dar voce a dissonanze e contraddizioni che sfuggono alle verità istituzionalizzate delle società
democratiche. Che in siffatta ottica la letteratura diventi una pratica di riflessione, critica e dialogo, è
comprovato anche dalla stessa partecipazione di Magris al dibattito pubblico, in particolare su temi che
riguardano la solidarietà, la diversità e la laicità.
La sua concezione della letteratura viene egregiamente illustrata dal romanzo Alla cieca (2005). Nel
lungo monologo del protagonista Salvatore Cippico si intrecciano i tragici ricordi della sua parabola
esistenziale (che lo ha portato sia a Dachau che a Goli Otok) e quelli di vari altri personaggi con i quali
Cippico si identifica. Attraverso questo coro di voci dimenticate, soffocate e represse, la storia moderna
somiglia alquanto ad un viaggio per un oscuro e minaccioso oceano – un viaggio altrettanto capriccioso
e crudele, altrettanto incantevole e traditore della spedizione degli Argonauti alla quale il romanzo fa
costantemente riferimento.
Claudio Magris si è dedicato spesso, e con grande passione, al viaggio. Come sottolinea l’autore
nell’introduzione alla raccolta di saggi L’infinito viaggiare (2005), questo è la metafora con cui meglio
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esprimere la sua concezione del mondo e della letteratura. Viaggiare significa accettare almeno per
poco il ruolo di Nessuno, significa prendere la misura di quello che Robert Musil ha chiamato “il senso
delle possibilità”. Come Magris aveva già scritto in Itaca e oltre (1982), l’uomo di oggi veste i panni di un
moderno, ma la sua odissea, senza inizio né fine, prosegue oltre Itaca e non si conclude più con il
ritorno a casa. Viaggiare significa cercare la propria strada in un mosaico intricato di microcosmi;
l’esperienza del viaggio è un costante oscillare tra lontananza e prossimità, tra l’infinito dell’antico mare
azzurro di Umberto Saba e il legno dai toni caldi del Caffè San Marco.
Per tutte queste ragioni, Magnifico Rettore, La prego, a nome del Consiglio Accademico, di
conferire la Laurea honoris causa dell’Università Cattolica di Lovanio al Professor Claudio
Magris.
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