Conversione documento - Scuola Superiore Magistratura

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Conversione documento - Scuola Superiore Magistratura
DELIBAZIONE (GIUDIZIO DI)
FILIAZIONE
Corriere Giur., 2015, 4, 471 (nota a sentenza)
LA SURROGAZIONE DI MATERNITÀ TRA PRINCIPI COSTITUZIONALI ED INTERESSE DEL
MINORE
di Andrea Renda
Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001
L. 19-02-2004, n. 40, art. 12
L. 31-05-1995, n. 218, art. 65
La pronuncia della Cassazione costituisce l'occasione per riaprire il dibattito sulla surrogazione di maternità,
che converge intorno ai due profili del fondamento di un divieto largamente maggioritario in Europa e dello
status da attribuirsi al nato a seguito del ricorso a questa tecnica. Riguardo al primo aspetto l'autore, pur
condividendo la conclusione della contrarietà della pratica all'ordine pubblico internazionale, raggiunta dalla
Suprema Corte, ritiene che ad essa si debba giungere attraverso un percorso argomentativo più complesso,
che porti a chiedersi se il divieto della tecnica si giustifichi realmente in ragione del dogma per cui madre è
colei che partorisce o se non concorrano a fondarlo altri e preminenti principi. Rispetto al secondo profilo,
la risposta al quesito circa lo status del nato va trovata proprio nella regola per cui madre è colei che ha
partorito il nato, come la più adatta a sanzionare il divieto, senza che ciò escluda che l'ordinamento - innanzi
a situazioni in cui il legame affettivo del minore con i "committenti" si sia consolidato nel tempo - possa
aprirsi de iure condendo a soluzioni diverse, alla luce di una nozione di interesse del minore da sottoporsi
però ad un rigoroso controllo di coerenza con gli altri principi dell'ordinamento.
Sommario: Il caso - Titolo dello stato di figlio e dichiarazione dello stato di adottabilità - Surrogazione
della maternità ed ordine pubblico - Surrogazione di maternità ed alterazione di stato
Il caso
La sentenza in commento (1) interviene a concludere una controversia relativa allo stato di adottabilità di
un minore nato in Ucraina a seguito di una surrogazione di maternità alla quale ha fatto ricorso una coppia
di coniugi italiani, impossibilitati ad avere figli e che già tre volte avevano vanamente proposto domanda di
adozione nazionale. Al di là del dramma umano che sprigiona dalla vicenda e che ha largamente attratto
l'attenzione dei media (2) , sul fatto che ha destato la controversia aleggiano alcuni punti oscuri, che la lettura
congiunta della sentenza della Cassazione, di quella della Corte d'appello di Brescia oggetto di ricorso nonché
di quella del Tribunale per i minorenni di Brescia emessa in primo grado - queste ultime invero inedite (3) non contribuisce a diradare appieno. Quanto segue sembra peraltro sufficientemente sicuro.
L'embrione si era sviluppato dalla fecondazione di ovociti provenienti da una donna diversa dalla donna
italiana "committente" (4) , ed era stato impiantato nell'utero di una terza donna, impegnatasi a portare
a termine la gravidanza ed a "consegnare" alla nascita il neonato alla coppia italiana. Avvenuta la
nascita, si era formato in Ucraina un atto di nascita indicante come genitori i coniugi italiani, in modo
soltanto apparentemente conforme alla legislazione ucraina, che consente la surrogazione di maternità con
attribuzione dello status di genitori ai coniugi committenti a condizione che la gestatrice sia consenziente ed
il patrimonio genetico del nato sia riferibile ai coniugi (5) . Dopodiché, la coppia, rientrata in Italia, ha fatto
richiesta di trascrivere nei registri dello stato civile italiano l'estratto dell'atto di nascita ucraino. Ciò, da una
parte, ha comportato l'avvio del procedimento penale per alterazione di stato, essendo affiorato il sospetto
che la nascita fosse avvenuta per surrogazione di maternità, confermato dall'accertamento che la donna
avesse in passato subito un intervento di isterectomia e non potesse pertanto né aver partorito il bambino, né
aver fornito gli ovociti. D'altra parte, contemporaneamente si è avviato, su domanda del Pubblico ministero,
il procedimento volto alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, alimentato dall'emersione
del difetto delle condizioni naturalistiche affinché coloro che avevano domandato la trascrizione dell'atto
di nascita fossero i genitori del minore, constando che anche il marito della donna soffrisse di problemi
riproduttivi. onde alla stregua dello stesso diritto ucraino non sarebbero sussistiti i presupposti perché la
coppia assumesse la genitorialità del nato.
Mentre il procedimento penale per alterazione di stato è giunto ad una sentenza di condanna in primo grado
(6) , quello civile pendente innanzi al Tribunale per i minorenni - nel corso del quale, espletata CTU genetica
sul minore ed i genitori, è emersa l'estraneità genetica del primo sia alla donna indicata nell'atto di nascita
come madre (circostanza peraltro ammessa dalla donna in corso di giudizio), che all'uomo indicato nello
stesso come padre - ha condotto alla dichiarazione dello stato di adottabilità ex art. 15 legge adozione, con
conseguente sospensione di ogni rapporto con i coniugi. Oggetto di opposizione ex art. 17 legge adozione,
tale provvedimento è stato confermato in appello, la cui pronuncia ha respinto - tra l'altro - il motivo di ricorso
incentrato sulla validità del «certificato di nascita ucraino, munito di un'apostille, vale a dire certificazione
di copia conforme all'originale» dal quale a detta dei ricorrenti sarebbe risultata la loro genitorialità, con
l'argomentazione per la quale «il riconoscimento e l'efficacia dei provvedimenti stranieri [ ex art. 65 l.
31 maggio 1995, n. 218], che deve essere interpretato come comprensivo oltre che delle sentenze, degli
atti della Pubblica Autorità in grado di incidere sulle situazioni giuridiche, relativi all'esistenza di rapporti
di famiglia, e cioè quelli dichiarativi o costitutivi di stati familiari, sono subordinati al requisito della non
contrarietà all'ordine pubblico italiano, contrarietà che nel caso concreto indubbiamente sussiste, atteso che
la legge italiana (n. 40/2004) non consente alcuna forma di surrogazione di maternità».
Approdato in Cassazione, il caso è stato deciso nel senso della conferma dello stato di adottabilità del minore.
A ben vedere, la ratio decidendi della pronuncia della Suprema Corte è quella secondo la quale il minore
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è in stato di abbandono e pertanto adottabile in quanto mancano genitori che si prendano cura di lui, tali
non essendo i ricorrenti, che non vantano nei confronti del bambino alcun titolo dello stato, non potendo
soccorrere allo scopo il "certificato" di nascita ucraino, che non può considerarsi efficace in Italia perché al
riconoscimento dei suoi effetti ex art. 65 l. 31 maggio 1995, n. 218 osta la contrarietà del medesimo all'ordine
pubblico, essendo la surrogazione di maternità a seguito della quale lo stesso è stato formato contraria
all'ordine pubblico, per varie ragioni. In altri termini: la surrogazione di maternità è contraria all'ordine
pubblico; quindi il "certificato" di nascita che accerta una genitorialità dei committenti all'esito di tale pratica
è privo di effetti; pertanto i sedicenti genitori tali non sono per l'ordinamento italiano; conseguentemente il
minore è in stato di abbandono e deve essere dichiarato adottabile.
Ora, è comprensibile che l'attenzione dei media e finanche degli studiosi si sia concentrata sulla parte
della motivazione della pronuncia di legittimità nella quale si argomenta la contrarietà della surrogazione di
maternità all'ordine pubblico, perché in essa si racchiude effettivamente il nucleo di valore del ragionamento
della Suprema Corte; ed invero lo è anche perché essa costituisce la base argomentativa dalla quale deriva
la conseguenza divisata, secondo la concatenazione logica assunta dalla Cassazione. Nondimeno, appare
necessario anzitutto interrogarsi se proprio questa sia l'esatta concatenazione logica da seguire nel dare
qualificazione giuridica al fatto, e solo dopo confrontarsi con la più ampia questione della surrogazione di
maternità, non senza accennare infine al tema dell'alterazione di stato mediante falsità nell'atto di nascita.
Per un corretto inquadramento del caso, la questione che va affrontata in via pregiudiziale è quindi quella
dell'esistenza o meno, in capo al bambino, di un titolo dello stato di figlio rispetto ai coniugi che hanno fatto
ricorso alla pratica, dalla quale discende come conseguenza l'adottabilità o meno dello stesso.
In mancanza di assoluta certezza intorno ad un dato determinante, qual è l'avvenuta trascrizione dell'atto
di nascita ucraino nei registri dello stato civile italiano, è opportuno procedere in via di ipotesi alternative,
supponendo cioè dapprima - in conformità a quanto, dalla narrativa del fatto ricavabile dalla pronunce dei
tre gradi di giudizio, acquista maggiore probabilità (7) - che la detta trascrizione, pur richiesta dai coniugi,
non sia avvenuta, per rifiuto dell'ufficiale di stato civile; e congetturando, poi, che essa sia invece avvenuta.
Titolo dello stato di figlio e dichiarazione dello stato di adottabilità
È ragionevole supporre che, innanzi alla richiesta di trascrizione ex art. 28, comma 2, lett. b) dell'ordinamento
di stato civile ( d.P.R. n. 396/2000) dell'atto di nascita ucraino avanzata dai coniugi (8) , l'ufficiale di stato
civile, a fronte dei sospetti emersi circa la mancata gravidanza della donna che si dichiarava madre ed il
ricorso da parte della coppia ad una surrogazione di maternità all'estero, abbia motivatamente rifiutato la
trascrizione del medesimo, adducendo la contrarietà della surrogazione di maternità all'ordine pubblico e
quindi la sua valenza ostativa alla trascrizione in virtù dell'art. 18 ord. st. civ. In tale ipotesi, mentre ha
ragione di porsi la questione di merito circa l'effettiva contrarietà di questa pratica all'ordine pubblico, della
quale si dirà in appresso, emerge chiaramente - tanto chiaramente, che non può che sorprendere che la
circostanza non sia stata espressamente rilevata nelle pronunce giudiziali - come i coniugi non potessero
vantare un titolo dello stato nei confronti del minore, che li investisse nella qualità di genitori dello stesso.
La trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero è infatti necessaria ad incorporare tale atto nei registri
dello stato civile italiano ed a farlo valere come atto di nascita per il diritto italiano, che all'atto di nascita
attribuisce valore solo in quanto iscritto (se formato in Italia) o trascritto (se formato all'estero) nei registri di
stato civile (arg. ex art. 236, comma 1, c.c.). La trascrizione non è costitutiva dello stato di figlio, come non
è costitutivo di esso l'atto di nascita in quanto tale, posto che lo stato preesiste alla formazione del titolo e da
questo viene soltanto accertato; essa è però costitutiva dell'atto di nascita, che sia stato formato all'estero,
valevole agli effetti legali, cioè è costitutiva del titolo dello stato di figlio nato in matrimonio (analogamente
a come è costitutiva l'iscrizione del medesimo atto formato in Italia, nel senso che un atto formato su foglio
volante non è un atto di stato civile e quindi non vale come titolo dello stato) (9) .
Il titolo dello stato, dal canto suo, è necessario ma sufficiente per far valere lo stato stesso e gli effetti
dipendenti da questo. È sufficiente, nel senso che esso accerta con efficacia preclusiva l'esistenza dello stato,
impendendo a chiunque di disattenderne le risultanze se non, e nella misura in cui la legge lo consenta,
azionando l'apposito processo preordinato all'accertamento dell'effettiva esistenza dello stato, che se la
contestazione risulta fondata dà luogo all'eliminazione del titolo (10) . È necessario, nel senso che la prima
volta che in un processo civile, amministrativo, tributario o arbitrale sorge la questione dell'esistenza di uno
stato familiare non ancora documentato in un titolo, si rende necessario che il giudice civile la decida con
efficacia di giudicato (11) . Ne consegue che nessun fondamento potrebbe avere l'opinione che, pretendendo
in ipotesi di trasporre nei confronti dello stato di figlio quanto certa giurisprudenza criticabilmente opina
con riguardo allo stato coniugale derivante da un matrimonio celebrato all'estero ed il cui atto non sia stato
trascritto, ritenesse che tale stato possa essere fatto valere in virtù del semplice atto di nascita formato
all'estero e non trascritto (12) .
Ora, se l'atto non è stato trascritto perché ne è stata rifiutata la trascrizione, i coniugi avrebbero anzitutto
potuto fare valere il diritto alla costituzione del titolo attraverso la domanda giudiziale di opposizione al
rifiuto della trascrizione, proponibile ex art. 95 ord. st. civ. innanzi al giudice ordinario con rito camerale
e senza limiti di tempo, al cui ipotetico accoglimento conseguirebbe l'obbligo dell'ufficiale di stato civile di
trascrivere per ordine del giudice l'atto originariamente rifiutato ( ex art. 28, comma 3, ord. st. civ.). In
altri termini, se lo stato può essere fatto valere soltanto attraverso il titolo, se d'altra parte il titolo nel
caso di atto di nascita formato all'estero consiste nell'atto in quanto trascritto e se infine la trascrizione è
stata rifiutata in via amministrativa, allora l'estratto dell'atto di nascita straniero non può essere addotto
a fondamento dell'esistenza dello status né di alcuna pretesa dipendente dallo status senza che se ne
promuova il riconoscimento come titolo, ossia senza che se ne reiteri la domanda di trascrizione sotto forma di
opposizione al rifiuto amministrativo di questa. Va da sé che in quella sede si sarebbe riproposta la questione
della contrarietà all'ordine pubblico dell'atto ucraino formatosi a seguito di surrogazione di maternità; ma
quel che preme rilevare è che l'estratto in quanto tale non ha alcun effetto, perché non vale come titolo
secondo il diritto interno.
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Pertanto, nemmeno ha ragione di porsi, entro il giudizio di adottabilità pendente innanzi al Tribunale per i
minorenni, la questione della contrarietà di tale estratto all'ordine pubblico, che sia la sentenza di secondo
grado che la pronuncia in commento hanno addotto alla stregua dell'art. 65 l. n. 218/1995, secondo il quale
i provvedimenti stranieri relativi ai rapporti di famiglia hanno efficacia in Italia se non contrari all'ordine
pubblico (13) . Al di là della dubbia riferibilità della norma, dettata con riguardo a provvedimenti giurisdizionali,
ad atti amministrativi, che resta indimostrata (14) , è la radicale inefficacia come titolo dello stato di un
estratto di atto di nascita straniero non trascritto a costituire ragione assorbente del mancato raggiungimento
della prova dello stato di genitori in capo ai coniugi e quindi della doverosa pronuncia dell'adottabilità del
minore, in quanto privo di assistenza. Sia pur in virtù di una motivazione diversa da quella sviluppata dal
giudicante, si condivide pertanto la conclusione raggiunta dalla Cassazione per cui i ricorrenti non "hanno
mai assunto la qualità di genitori" del minore (15) .
Alternativamente, i coniugi avrebbero potuto percorrere la più impegnativa strada dell'azione di reclamo
dello stato di figlio ex 239 c.c., nella quale non si tratta di conferire valenza di titolo all'atto straniero, ma
di far accertare in radice la sussistenza della fattispecie costitutiva dello stato di figlio nato in matrimonio in
capo al minore. Entro questa azione, non pare che l'elemento di estraneità costituito dalla nascita in Ucraina
possa condurre all'applicazione della legge ucraina, i cui effetti, peraltro, sarebbero nuovamente oggetto di
sindacato giudiziale di contrasto con l'ordine pubblico, questa volta ex art. 16 l. n. 218/1995 (16) . Invero,
se in virtù dell'art. 32 l. n. 218/1995, che richiama come legge applicabile ai presupposti ed agli effetti
dell'accertamento e della contestazione dello stato di figlio la legge nazionale del figlio (la quale, peraltro,
entro ordinamenti che seguono il principio dello ius sanguinis dipende a propria volta dalla filiazione del
cui accertamento si tratta), si applicasse la legge italiana (17) , sarebbe direttamente alla stregua di questa
che fallirebbe l'accertamento della genitorialità della coppia di committenti, privi di ogni legame biologico e
genetico con il nato, e quindi difettando ancora una volta il titolo dello stato si imporrebbe la conseguenza
dell'adottabilità del minore (18) .
Ipotizzando invece che l'atto di nascita sia stato trascritto, la soluzione della questione relativa all'adottabilità
muterebbe, almeno sotto il profilo del quomodo. Difatti, l'esistenza di un titolo dello stato di figlio impedisce
di dichiarare l'adottabilità del minore in ragione del presupposto dell'inesistenza dei genitori ( ex art. 11 l.
adoz.), fintantoché il titolo di stato non venga vittoriosamente contestato e quindi rimosso. L'affiorare del
sospetto circa la nascita da surrogazione di maternità e la stessa emersione della certezza dell'incompatibilità
genetica tra il minore ed i coniugi non possono infatti scalfire l'accertamento della genitorialità operato dal
titolo con efficacia preclusiva, se non all'interno dell'apposita azione di contestazione. Pertanto, nel caso
ipotizzato il Pubblico ministero, anziché proporre ricorso per la dichiarazione dello stato di adottabilità,
avrebbe dovuto - nelle forme dell'azione di rettificazione degli atti di stato civile - domandare l'annullamento
della trascrizione dell'atto di nascita ucraino, in quanto atto "indebitamente registrato" perché contrario
all'ordine pubblico (art. 95 ord. st. civ.) (19) :solo all'esito dell'accoglimento dell'azione e dell'esecuzione
dell'ordine di cancellazione dell'atto sarebbe stato quindi possibile far accertare lo stato di adottabilità.
Per contro, più incerta sarebbe stata la strada consistente nel proporre l'azione di contestazione dello stato
di figlio. Ciò non perché la prova del mancato parto della donna indicata come madre nell'atto di nascita e del
difetto di legame genetico tra la stessa ed il minore - sempre in applicazione della legge italiana, come legge
nazionale del figlio - non conduca agevolmente all'eliminazione del titolo, ma perché tale azione, per quanto
esperibile da chiunque vi abbia interesse (art. 248, comma 1), risulta - almeno stando ad un'interpretazione
giurisprudenziale - non promuovibile dal Pubblico ministero, in virtù del principio di tassatività delle ipotesi
nelle quali lo stesso può esercitare l'azione nel processo civile: onde, per il combinato disposto degli artt.
69 e 70, comma 1, c.p.c., salvo espressa disposizione di legge il P.M. deve soltanto intervenire nelle cause
di stato (20) . È appena il caso di rilevare, peraltro, che qualora il procedimento penale per alterazione di
stato mediante falsità in atto di nascita ex art. 567, comma 2, c.p. si concludesse con una sentenza di
condanna - evidentemente, se trascrizione dell'atto vi sia stata, per la consumazione del delitto - il giudice
penale dovrebbe ordinare la cancellazione parziale dell'atto di nascita (arg. ex art. 537, comma 2, c.p.p.),
con eliminazione dallo stesso delle generalità dei coniugi come genitori: sicché anche per questa via il titolo
dello stato verrebbe eliminato ed all'esito (ma solo all'esito) di ciò dovrebbe seguire la dichiarazione dello
stato di adottabilità.
Surrogazione della maternità ed ordine pubblico
La pronuncia in commento, dopo aver individuato l'ordine pubblico internazionale, inteso come «limite
che l'ordinamento nazionale pone all'ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua
coerenza interna", non solo nei "valori condivisi dalla comunità internazionale» ma anche nei «principi
e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili», afferma a chiare lettere
che «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico», ravvisandone il
fondamento nella sanzione penale che l'assiste («di regola posta a presidio di beni giuridici fondamentali»),
nella «dignità umana - costituzionalmente tutelata - della gestante» e nell'«istituto dell'adozione, con il quale
la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato
da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo
delle parti, l'ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il
nato» (21) . Questo passaggio della motivazione, che ne costituisce il cuore, merita di essere sostanzialmente
condiviso, sia pur attraverso un processo argomentativo che si sforzi di essere più elaborato (22) . Proprio
questo tentativo consentirà di confutare - in modo solo apparentemente contraddittorio - l'altra affermazione
della Cassazione, questa sì non condivisibile nella sua perentorietà, secondo cui per l'ordinamento italiano
«madre è colei che partorisce ( art. 269, comma 3, c.c.) » (23) . Insomma: è esatto che il divieto di maternità
surrogata sia di ordine pubblico internazionale; non è esatto, invece, che lo sia perché madre è colei che
partorisce, perché non è detto che madre sia sempre e soltanto colei che partorisce.
Per quanto l'odierna ammissione della donazione di ovociti - quale risulta dalla pronuncia della Corte
costituzionale che ha legittimato la procreazione assistita eterologa (24) - in combinazione con il persistente
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divieto, penalmente sanzionato (art. 12, comma 6, l. 19 febbraio 2004, n. 40) (25) , della maternità surrogata
in ogni sua forma (26) si presti ad essere letta nel senso che l'ordinamento ha superato il presupposto della
necessità dell'apporto genetico al fine dell'attribuzione legale della maternità, mentre tiene fermo quello
della gravidanza e del parto, la persistenza del disfavore verso la surrogazione si spiega in virtù di ragioni
più profonde dell'apparente indispensabilità della gestazione nell'identificazione della nozione di maternità,
alla quale l'argomento per cui la gravidanza crea un legame simbiotico tra feto e madre non fa che dare
un'apparenza tanto corposa - perché corrispondente all'immaginario collettivo di maternità - quanto retorica
ed assiomatica. A ben vedere, se il divieto di maternità surrogata è maggioritario nel mondo (27) e ben più
diffuso di quello, oggi recessivo, della donazione di ovociti (28) , è perché la prima viola principi con i quali
la donazione di ovociti, invece, non contrasta.
Anzitutto, essa implica la disposizione del corpo della donna, che ripugna assai più della disposizione di
parti staccabili del corpo, quali sono considerabili i gameti, oggetto di "dono" o "donazione" nell'ambito della
fecondazione eterologa. Associandosi ad un accordo che precede la gravidanza, la surrogazione implica non
un mero atto di disposizione del proprio corpo, bensì l'obbligazione di disporre del proprio corpo e cioè di
restare incinta e cedere il neonato a terzi (29) . Una tale obbligazione strumentalizza il corpo femminile,
perché degrada la donna ad esclusivo mezzo di soddisfacimento dei fini altrui (30) . Il problema non è quindi
quello dell'onerosità della pratica. Quand'anche sia gratuita, la surrogazione fa della donna un mezzo per
realizzare il progetto di genitorialità di altri (31) . Se poi è onerosa, a ciò si unisce la commercializzazione
del corpo umano, che è vietata all'art. 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina
ed all'art. 3, comma 2, lett. c) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. D'altra parte, se la
surrogazione venisse ammessa, bisognerebbe coerentemente garantire per legge la coercibilità dell'obbligo
di "consegnare" il neonato dopo il parto alla donna committente, strappandolo così a colei che l'ha partorito
e che frattanto potrebbe aver cambiato idea e desiderare di tenerlo come proprio figlio (32) : ma questa
coercibilità appare talmente ripugnante, da suggerire a ritroso di non ammettere la surrogazione stessa (33) .
Non è a dire, quindi, che nell'identificazione della maternità la gestazione sia più importante dei geni: è
che la surrogazione di maternità destabilizza il sistema, violandone principi fondamentali, assai più della
donazione di ovociti e deve pertanto, in quanto socialmente più allarmante, essere rigorosamente vietata. È
logico, allora, che il relativo divieto sia di ordine pubblico, perché enunciato da una norma imperativa posta a
presidio di quei stessi principi irrinunciabili che altrimenti la pratica offenderebbe (34) . È pure esatto che - ove
ad essa si ricorra contro al divieto comminato dall'art. art. 12, comma 6, l. n. 40/2004 - l'attribuzione della
qualità di madre spetti alla donna che ha partorito; ma non è esatto che ciò dipenda dall'art. 269, comma
3, c.c., interpretato come norma che identifica la maternità come qualità propria di colei che ha partorito,
perché in realtà tale attribuzione si impone in virtù di un diverso fondamento, e cioè come sanzione civile
che, ex sistema, è la più efficace, perché più idonea ad assicurare la funzione deterrente del divieto.
L'art. 269, comma 3, c.c. - chiaramente dettato sul presupposto, in origine ovvio, della corrispondenza tra
l'apporto genetico e quello biologico-gestazionale entro la maternità come fenomeno "naturalmente" unitario
- è in realtà norma sull'oggetto della prova della filiazione fuori del matrimonio nei confronti della madre
e non norma sullo status, cioè è soltanto norma che impone al figlio l'onere di provare di essere la stessa
persona che fu partorita dalla donna che egli assume essere la propria madre (35) : onde, poiché la maternità
può essere provata con ogni mezzo ( art. 269, comma 2, c.c.), l'attore è ammesso a provare il parto in via
indiretta, cioè proprio attraverso la prova della generazione da parte della donna assunta come madre, data
per il tramite del DNA. Analogamente, la norma sulla contestazione dello stato di figlio ( art. 240 c.c. in
relazione all'art. 239, comma 1, c.c.), nello stabilire che tale azione sia proponibile solo in caso di sostituzione
di neonato o di supposizione di parto, recepisce la stessa identificazione della madre in colei che ha generato
ed ha partorito, fatta propria dall'art. 269, comma 3, ed assume la prova del mancato parto della donna
indicata come madre nell'atto di nascita come la prova più idonea a dimostrare il difetto di maternità perché
dotata, all'epoca in cui la norma fu pensata, in pari tempo della maggiore oggettività (rispetto a quella
soltanto indiziaria che in origine poteva darsi con riguardo al concepimento) e della maggiore vicinanza
possibile all'attore in contestazione. Insomma, nel sistema parto e procreazione, cioè gravidanza e geni sono
assunti come due componenti indissociabili entro un unitario concetto di maternità come qualità di colei che
genera concependo e partorendo (36) , non come entità potenzialmente dissociabili delle quali, se dissociate,
debba prevalere la prima (37) . Nella Costituzione stessa, poi, là dove all'art. 31 si dedica alla maternità
una norma ad hoc, volta a proteggerla, è ragionevole pensare che essa rilevi nella sua unità naturalistica,
cioè come «vincolo naturale che lega la madre ed il figlio fondato sul legame biologico connesso al fatto
del concepimento e della gestazione» (38) , che trova nel parto la sua «evidenza corposa» (39) perché la
maternità sfocia nel parto che dà vita autonoma alla persona, e non perché il parto di per sé prevalga sul
concepimento.
Se ciò è esatto, non è dall'art. 269, comma 3, c.c., né dagli artt. 239-240 c.c. che discende l'attribuzione della
maternità alla donna che ha partorito, in caso di ricorso alla surrogazione della maternità. Se di maternità
surrogata in senso stretto si tratta, tale attribuzione discende pianamente dalla corrispondenza tra colei alla
quale lo status è attribuito e colei che è madre secondo la fattispecie costitutiva dello status fissata dalla
legge, cioè la donna che ha sia concepito (non importa se in modo medicalmente assistito), sia partorito. Se
invece di maternità portante in senso stretto o gestazione per altri si tratta, tale attribuzione - che non può
realizzarsi in virtù della fattispecie costitutiva legale della maternità poiché questa postula la coincidenza
dell'apporto genetico e di quello gestazionale ed è quindi inapplicabile al caso, nel quale i due apporti sono
soggettivamente dissociati - discende dall'esigenza logico-sistematica di non dotare di effetti un contratto
nullo perché illegale. Negare la maternità alla donna committente che ha fornito i gameti inibisce cioè l'effetto
acquisitivo dello status di madre in capo alla committente, che il contratto di maternità portante mira a
perseguire (40) .
Si tratta della soluzione più coerente con il divieto che possa raggiungersi entro il sistema, perché nel fondare
la maternità su uno dei due criteri legalmente cumulativi dà preferenza a quello tra essi che realizza l'effetto
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di status più adeguato a reprimere e quindi a disincentivare l'intesa illegale, perché privativo della maternità
della committente, divisata dalle parti. È, inoltre, la soluzione più conforme a quella che si raggiunge in quegli
ordinamenti che, non limitandosi a vietare la gestazione per conto d'altri, disciplinano le conseguenze della
violazione del relativo divieto stabilendo proprio che lo status di madre spetti alla donna che ha partorito (41)
. Naturalmente, nel caso in cui la surrogazione di maternità sia stata compiuta all'estero e lì si sia formato
- eventualmente nel rispetto della lex loci - l'atto di nascita con indicazione della donna committente come
madre, l'effetto di status consistente nella privazione della maternità della committente potrà realizzarsi
al momento della richiesta di trascrizione dell'atto nei registri dello stato civile italiano, attraverso il rifiuto
della stessa per contrasto con l'ordine pubblico dell'atto così formatosi (42) . Quanto alla diversa ipotesi
di dissociazione tra il contributo genetico e quello biologico-gestazionale non dipendente da surrogazione
della maternità, nella quale non ricorre la medesima ratio di stroncare un accordo illecito, essa non potrà
che essere decisa a partire dalla rilevazione di una lacuna normativa, prodotta dal disallineamento tra la
fattispecie legale di status ed il caso concreto, che esige di essere colmata attraverso l' analogia legis o l'
analogia iuris (43) .
Il problema che a questo punto si pone è se la stessa soluzione valga anche quando la surrogazione di
maternità emerga a distanza di tempo dalla nascita, allorché non solo il relativo atto sia stato formato ma
pure si sia allacciato un rapporto significativo tra il bambino e la coppia di committenti, oppure essa meriti
di cedere il passo ad un diverso trattamento del caso, più rispettoso degli equilibri affettivi eventualmente
consolidatisi (44) . L'enfasi sull'interesse in concreto del minore potrebbe condurre a dire che la soluzione
preferibile sia quella di far dipendere il trattamento del caso da una valutazione delle sue peculiarità, con
potere del giudice di lasciare immutata la situazione pur non conforme alla realtà della procreazione ed ai
valori dell'ordinamento. Si tratta probabilmente di una dimensione alla quale il diritto dovrà aprirsi, trovando
il giusto punto di equilibrio tra l'esigenza di essere coerente con i valori che esprime ex ante (e dei quali certi
divieti costituiscono il presidio, a maggior ragione se penalmente sanzionati) e quella di farsi carico della
difficoltà di affrontare i fatti, che non sempre nascono conformi al diritto e che se si radicano nell'esperienza
delle persone (soprattutto, nella quotidianità di vita del minore, che non può rispondere delle scelte di chi
l'ha fatto nascere) generano aspettative che sarebbe disumano deludere del tutto (45) . Ma è una dimensione
alla quale il diritto dovrà aprirsi con cautela, e che non può ritenersi ad oggi operante de iure condito. Da
una parte, infatti, occorre guardarsi dal rischio di attribuire al giudice, sotto le mentite spoglie dell'interesse
del minore, un passepartout attraverso il quale accreditare il prodotto della propria personale ideologia di
famiglia, con esiti eversivi del sistema qual è (46) . D'altra parte, ad oggi il sistema intende l'interesse del
minore in sede di accertamento di stato come un correttivo del principio di verità, non già quale un principio
antinomico con questo (47) : un correttivo che consente di ridurre o se del caso azzerare le prerogative della
genitorialità genetica, alla volta di una genitorialità sociale, allorché la prima si riveli inadeguata agli standard
di cura del minore (così da giustificare quella cesura tra biologia e biografia che, altrimenti, l'esperienza
umana dimostra non avere ragione d'essere), non già - all'opposto - di giustificare il permanere di una
genitorialità sociale la cui apparenza si sia affermata in spregio di quella genetica (48) .
Proprio questo duplice rischio - di accreditare, sotto la pressione di un interesse del minore inteso secundum
quid, opzioni di politica del diritto proprie dell'interprete, e di capovolgere il rapporto che il sistema ha
impostato tra verità ed altri valori - trova purtroppo concretizzazione nel recente pronunciamento della Corte
Edu che - in relazione ad un caso, analogo a quello in discorso, di surrogazione di maternità effettuata
in Russia da una coppia italiana geneticamente estranea al nato, che si è vista negare la trascrizione in
Italia dell'atto di nascita formato all'estero per contrarietà all'ordine pubblico e conseguentemente togliere il
bambino, dichiarato adottabile perché figlio di ignoti - ha statuito che vi sia stata violazione del diritto della
coppia ricorrente al rispetto della vita familiare ex art. 8 CEDU (49) : ciò perché l'autorità giudiziaria italiana,
nel decidere l'allontanamento del minore dalla coppia, avrebbe adottato una misura che, per quanto prevista
dalla legge e volta alla difesa dell'ordine ed alla protezione dei diritti e delle libertà del minore, non era
strettamente necessaria ed ha perciò ecceduto il margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri.
La Corte EDU ha giudicato irricevibile la doglianza relativa al rifiuto della trascrizione, perché i ricorrenti non
avrebbero esaurito le vie interne di ricorso, con la conseguenza che è stato precluso l'esame della questione
del diritto invocato dai committenti ad essere riconosciuti dal diritto italiano come genitori e la Corte non
si è pronunciata sullo status che spetta al nato da maternità surrogata; nondimeno, la Corte ha reputato
che, pur in difetto sia di un titolo legale di genitorialità in capo ai committenti che di un legame biologico
tra di essi ed il nato, tra questi si fosse allacciata una relazione familiare di fatto, che malgrado la brevità sei mesi, a partire dal terzo mese di vita del bambino - l'allontanamento deciso a seguito della pronuncia di
adottabilità ha spezzato senza necessità, in contrasto con l'interesse del minore, salvo poi precisare che la
condanna non comporta l'obbligo dello Stato italiano di "restituire" ai committenti il bambino, perché questo
avrà frattanto ragionevolmente instaurato una relazione affettiva con la famiglia affidataria (50) .
Ora, se ci si volesse limitare a discutere della congruenza della pronuncia rispetto ai criteri emergenti dalla
stessa giurisprudenza di Strasburgo, in relazione alle circostanze di fatto del caso, sarebbe difficile negare che
è francamente arbitrario ritenere che una relazione instauratasi per sei mesi con un bambino che ancora non
può avere elaborato un'identità relazionale fondata su di una chiara cognizione di sé e degli altri costituisca un
legame familiare meritevole di essere conservato nell'interesse del minore stesso (51) . In questa prospettiva,
la critica alla decisione si rivolge al palese fraintendimento "quantitativo" del presupposto di fatto idoneo a
giustificare la condanna, al cospetto di elementi di contrario segno - la mancanza di una genitorialità legale
ed il difetto di una genitorialità anche solo biologica - che avrebbero dovuto rendere proporzionalmente ben
più stringente lo scrutinio della "significatività" della relazione di fatto (52) . Insomma, se non c'è un'identità
giuridica di figlio, manca pure quella biologica e quella sociale è - a tutto concedere - agli albori, è lecito
parlare di rapporto familiare che meriti di essere conservato proprio nell'interesse del minore? (53) Da questo
punto di vista, ciò che occorre chiarire per dare risposta a questo interrogativo è se l'interesse del minore
consista nel salvare l'esistente in quanto tale, oppure nel salvarlo solo quando si sia consolidato in una
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relazione profondamente significativa, che renda recessiva l'esigenza di "restituirlo" ai genitori biologici o, più
probabilmente, di consentirgli di inserirsi in una famiglia adottiva nella quale crescere più armoniosamente.
Sennonché, limitarsi a questo profilo equivarrebbe a trascurare l'aspetto più rilevante che l'insistito approccio
al diritto di famiglia ad opera di una case-law sempre più autoreferenziale comporta, ossia lo sconvolgimento
neanche troppo surrettizio di principi di diritto interno che, lungi dall'essere soltanto di rilevanza legislativa e
quindi di rango primario nella gerarchia delle fonti del diritto, assurgono invece a diretto rilievo costituzionale
e si impongono pertanto innanzi agli stessi principi della CEDU (54) . La nostra Costituzione imposta il rapporto
tra genitorialità biologica e genitorialità sociale alla stregua dell'eccezionalità della seconda rispetto alla
prima (55) , con la conseguenza che l'attribuzione all'interesse del minore della funzione di fondamento
giustificativo della permanenza di una genitorialità sociale non corrispondente a quella biologica deve pur
sempre essere coerente con il primato di quest'ultima, venendo così a giustificarsi in quanto vi sia una
relazione di fatto talmente consolidata che rimuoverla comporti per il minore un sacrificio palesemente
sproporzionato rispetto al beneficio che nel caso concreto gli deriverebbe dall'acquisizione della genitorialità
biologica o di un'altra genitorialità sociale qual è quella adottiva. Alla stessa conclusione conduce il rilievo
per cui, se bastasse lo stabilimento di una relazione di fatto qual che sia tra i committenti ed il nato da
surrogazione di maternità perché questo debba, in nome della prevalenza del fatto sul diritto, rimanere a
vivere con i primi, ciò equivarrebbe ad ammettere che sussiste il diritto dei committenti ad essere riconosciuti
per ciò stesso genitori e che quindi la surrogazione di maternità deve, senza ipocrisia, essere ammessa (56)
: con buona pace, in tal caso, di quel valore della dignità che, come concorre ad ispirarne il divieto, così
deve ritenersi debba essere bilanciato con l'interesse del minore, se non si vuole fare di quest'ultimo un
valore-tiranno (57) .
Resta da dire che qualora il nato da surrogazione di maternità, compiuta all'estero o in Italia, sia legato da
un vincolo genetico con l'uomo committente, l'accertamento della paternità di questi non è affatto distonico
rispetto ai principi del sistema, ma anzi si impone proprio in applicazione del principio di verità espresso
all'art. 30 Cost. (58) . Peraltro, ciò è esattamente quanto discende da quella pronuncia della Corte Edu relativa al caso di due gemelli nati in California a seguito di maternità surrogata commissionata da cittadini
francesi, la trascrizione nei registri dello stato civile francese del cui atto di nascita, formato con l'indicazione
dei committenti come genitori, era stata annullata su istanza del Pubblico ministero - che ha affermato che
nel negato riconoscimento da parte del diritto francese della qualità di figli dell'uomo committente, loro padre
biologico, vi sia stata violazione del diritto dei minori alla vita privata, protetto dall'art. 8 CEDU (59) .
Surrogazione di maternità ed alterazione di stato
Non più di un cenno si dedicherà alla questione se, nella condotta di coloro i quali chiedono all'ufficiale di stato
civile la trascrizione di un atto di nascita formato all'estero a seguito di maternità surrogata, dichiarandosi in
tale circostanza genitori del nato, si integrino gli estremi dell'alterazione di stato mediante falsità in atto di
nascita ex art. 567, comma 2, c.p., in forma consumata o tentata a seconda che la trascrizione sia compiuta
o meno e, quindi, l'atto di nascita come titolo dello stato di diritto italiano si formi oppure no.
È infondato l'orientamento che da ultimo emerge da talune pronunce di merito, secondo il quale - poiché
l'evento alterativo dello stato deve prodursi al momento della formazione dell'atto, da ritenersi perfetto sin
da quando esso è formato all'estero e non solo dacché è trascritto in Italia - il reato non sussiste perché
l'atto di nascita si è formato all'estero secondo la lex loci, pertanto validamente (60) . Invero, la norma penale
richiamata punisce il fatto di «chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un
neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità». Ora, poiché l'alterazione dello stato
sussiste in quanto al nato sia attribuito un titolo dello stato che accerti uno stato diverso da quello che gli
spetta secondo la realtà della procreazione (61) , poiché d'altronde l'atto di nascita che accerta lo stato della
persona è il titolo dello stato di figlio e quindi o l'atto di nascita formato in Italia e iscritto nei registri dello
stato civile, o l'atto di nascita formato all'estero e trascritto nei registri dello stato civile, altera lo stato civile
di un neonato la condotta dichiarativa che innesca la formazione di un titolo dello stato che falsifichi la sua
ascendenza, cioè gli attribuisca una genitorialità difforme da quella che gli spetta secondo la procreazione
(62) . Di conseguenza, poiché fino a quando l'atto di nascita formato all'estero non è stato trascritto esso non
è un atto di nascita valevole per il diritto italiano (come quel titolo dello stato che, accertando lo stato, solo
può alterarlo, cioè accertarlo falsamente), la condotta dichiarativa volta alla trascrizione dell'atto di nascita
è, se falsa (perché dichiara la genitorialità di chi non ha legame procreativo con il nato), alterativa dello
stato del neonato, qualora si faccia luogo alla trascrizione e quindi alla formazione dell'atto di nascita come
atto rilevante per il diritto italiano (63) . Ciò vale non solo allorché i committenti si presentino all'ufficiale
di stato civile chiedendo la trascrizione (nel qual caso, il reato è evidentemente commesso in Italia), ma
anche quando gli stessi sollecitino all'ambasciata italiana del paese straniero in cui l'atto di nascita è stato
formato la trasmissione in via consolare dell'atto medesimo all'ufficiale di stato civile italiano ( ex art. 17,
comma 1, ord. st. civ.) e, per l'effetto, rendano all'estero una dichiarazione corrispondente a quella che
viene resa direttamente all'ufficiale di stato civile nella prima ipotesi, ossia la dichiarazione che essi sono i
genitori (dichiarazione normalmente documentata per iscritto, mediante la compilazione di apposito modulo
predisposto dall'ambasciata stessa) (64) . In tale ultimo caso, anche a ritenere che il reato sia commesso
all'estero - sottovalutando che, se la dichiarazione è resa all'estero, la formazione dell'atto di stato civile
avviene in Italia, dove si produce l'evento alterativo - non perciò sorge un limite alla punibilità, purché i
committenti, cittadini italiani, si trovino in Italia ( art. 9, comma 1, c.p.) (65) .
Resta da osservare che l'alterazione di stato, che sussiste nell'ipotesi di maternità surrogata in senso stretto,
nonché di gestazione per altri con ovociti di una terza donna, non sussiste nell'ipotesi di gestazione per altri
(o maternità portante) con ovociti della donna dichiarante. Per quanto, infatti, anche in tale ipotesi l'atto
di nascita debba indicare come madre la donna che ha partorito, ciò si deve non alla radicale estraneità
della donna che ha fornito il proprio materiale genetico al novero dei criteri attributivi della maternità, la
cui fattispecie costitutiva legale unisce in sintesi geni e gravidanza, ma - come si è argomentato sopra a complessive ragioni sistematiche, cui non è estranea l'esigenza di reprimere l'accordo di surrogazione
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di maternità, civilmente nullo, e di prevenirne la stipula. Pertanto, in tale ipotesi la responsabilità penale
della dichiarante non troverebbe giustificazione né sotto il profilo obiettivo, per la mancanza di una piena
alterazione dello status che spetta al nato secondo natura, né sotto il profilo della deterrenza del divieto,
già assicurata dall'incriminazione per il reato che la stipula e la realizzazione dell'accordo implicano, ex art.
12, comma 6, l. n. 40/2004 (salvi i limiti alla punibilità se il reato è commesso all'estero, ex art. 9, comma
2, c.p.) (66) .
(1) Pubblicata anche in Foro it., 2014, I, c. 3414, con nota di G. Casaburi, Sangue e suolo: la Cassazione e
il divieto di maternità surrogata.
(2) Peraltro, nel segno della consueta ambiguità per la quale l'accanimento giornalistico, come lacera
l'intimità dei protagonisti della vicenda, così sortisce presso il pubblico una sorta di perverso effetto
normalizzatore di essa, finendo quasi per tacitare sotto l'insistenza per il "dramma umano" il punto di vista
normativo. Ma questo punto di vista, lungi dall'essere appannaggio degli addetti ai lavori, dovrebbe in
verità - specie nella misura in cui si fondi su di un valore cogente ed irrinunciabile dell'ordinamento, qual
è in ipotesi il divieto di surrogazione di maternità - costituire in pari tempo una solida base per avanzare,
sia pur sommessamente, una valutazione morale della vicenda, che ambisca ad essere ampiamente
condivisa.
(3) Si tratta di App. Brescia, sez. min., 17 gennaio 2013 e di Trib. min. Brescia, 14 agosto 2012.
(4) Il lessico reificante - v. poco oltre il "consegnare", con riguardo al neonato - è usuale nella descrizione
di questa pratica, la quale - per le ragioni che si diranno - è del resto in se stessa reificante: scegliamo
quindi di conservarlo, per non far finta che usando un linguaggio diverso cambi la sostanze delle cose.
(5) Nelle pronunce di primo e di secondo grado si legge che secondo il diritto ucraino la genitorialità dei
coniugi committenti sussisterebbe a condizioni meno rigorose di quelle indicate nel testo, ossia che almeno
la metà del patrimonio genetico del nato sia riferibile alla coppia, con la conseguenza che potrebbe darsi
che gli ovociti provengano da una terza donna (diversa dalla committente e dalla gestatrice), purché
gli spermatozoi provengano dal marito della committente. Per la verità, l'art. 123, comma 2 del Codice
ucraino della famiglia stabilisce - nella traduzione inglese non ufficiale - che " If an ovum conceived by the
spouses is implanted to another woman, the spouses shall be the parents of the child", mentre il comma 3
prevede che " Whenever an ovum conceived by the husband with another woman is implanted to his wife,
the child is considered to be affiliated to the spouses": poiché tertium non datur, è necessario che in caso
di surrogazione di maternità la totalità del patrimonio genetico sia riferibile ala coppia.
(6) Se ne ha notizia dalle cronache giornalistiche: cfr. www.ilgiorno.it/cremona/madre-surrogatacrema-1.477027.
(7) In particolare, leggendo la pronuncia di primo grado emerge come i coniugi si sarebbero limitati a
dichiarare la nascita del bambino come proprio (evidentemente domandando la trascrizione dell'atto
ucraino), senza ottenerla. Per es., è detto che «Nel caso di specie non si tratta di verificare se il minore
si trovi in stato di abbandono morale e materiale per cause ascrivibili ai genitori, in assenza di parenti
entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con il minore e che siano disponibili ed idonei
all'affidamenti, bensì di accertare che coloro che appaiono genitori in forza di dichiarazione di nascita fatta
in paese straniero dove il minore è nato non sono affatto i genitori biologici». E ancora, si parla di «coppia
che non risulta avere alcun legame biologico con lui e che lo ha denunciato all'anagrafe [ rectius: allo stato
civile] come proprio figlio legittimo in frode alla normativa in materia di adozione». Anche la circostanza
che la coppia sia stata condannata, secondo quanto riferiscono i media, alla pena della reclusione di tre
anni e quattro mesi accredita l'ipotesi che la trascrizione dell'atto non sia avvenuta e che quindi il reato
del quale siano stati chiamati a rispondere sia consistito nell'alterazione di stato in forma tentata e non
consumata.
(8) Non pare inutile chiarire che può essere oggetto di trascrizione non già - come pur insistentemente
affermato nelle sentenze - il "certificato di nascita" ucraino, che attesta soltanto le risultanze dei registri
di stato civile ucraini, ossia che in essi è conservato l'atto di nascita di una determinata persona, bensì
l'atto di nascita ucraino rilasciato ai coniugi in estratto per copia integrale (per la differenza nel diritto
italiano cfr. gli artt. 106-108 ord. st. civ.). Al secondo deve quindi essere ricondotto il certificato ucraino
"apostillato".
(9) La pubblicità, quindi, costituisce il titolo, come atto dello stato civile, e rende opponibile a chiunque gli
effetti di accertamento da esso prodotti. Per la sottolineatura dell'effetto di opponibilità ai terzi di iscrizione
e trascrizione, v. anche L. Balestra, E. Bolondi, Sub artt. 449-455, in Commentario del Codice civile diretto
da E. Gabrielli, La famiglia, a cura di L. Balestra, III, Torino, 2010, 589.
(10) Ripetendo parole usate in altra sede (A. Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale,
Milano, 2013, 449), la funzione del titolo dello stato consiste «nell'onerare coloro che dall'atto risultano
titolari dello status a far valere tale stato esibendo il titolo e nel vincolare la collettività - comprensiva
di questi stessi soggetti e di ogni terzo, pubblico o privato che sia - a ritenere esistente tale stato,
fintantoché le risultanze dell'atto siano superate attraverso la proposizione di un'apposita azione di
contestazione dello stato: azione che, a seguito dell'accertamento con efficacia di giudicato dell'inesistenza
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dello stato documentato nell'atto, dà luogo ad una sentenza la quale, trascritta nei registri dello
stato civile ed annotata nell'atto di nascita dei soggetti interessati (e, se del caso, nello stesso atto
di matrimonio), fa cessare l'efficacia dell'originario titolo dello stato». Da qui la nozione di titolo di
stato come atto dotato di «efficacia preclusiva di contestazioni dello stato, sia extraprocessuale che
processuale. Efficacia extraprocessuale, perché esso preclude di fondare il rifiuto dell'adesione alla pretesa
incentrata sullo status documentato dall'atto su contestazioni di mero fatto e vincola a veicolare la
contestazione con la relativa azione di stato. Efficacia processuale, perché preclude a qualunque parte
del processo ed al giudice di disattendere le risultanze del titolo e quindi, rispettivamente, di fornire
prova e di avere cognizione dell'inesistenza dello stato o dell'esistenza di uno stato incompatibile, senza
che sia esperita, nuovamente, la relativa azione di contestazione dello stato da parte dell'interessato
e sia conseguentemente operato un accertamento con efficacia di giudicato dell'inesistenza dello stato
documentato dall'atto, con caducazione dell'efficacia del titolo».
(11) Cfr. C. Delitala, Le questioni e i giudicati di stato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1413 s e amplius
il nostro Il matrimonio civile, cit., 475 ss., dove anche l'illustrazione della diversa disciplina delle questioni
pregiudiziali di stato che sorgano nel processo penale, ex art. 3 c.p.p. In giurisprudenza, v. almeno Cass.,
4 marzo 2005, n. 4795, in Giur. it., 2005, 2051.
(12) Cfr. Cass., 17 settembre 1993, n. 9578, in Giust. civ., 1994, I, 79.
(13) Cfr. in particolare il § 4.1 della motivazione.
(14) Semmai, il riferimento dovrebbe andare all'art. 68 l. n. 218/1995, relativo all'attuazione degli atti
pubblici (il cui richiamo, però, la Cassazione reputa "errato": cfr. § 1.1). Rispetto ad esso, tuttavia, l'art.
18 ord. st. civ. è norma speciale nel riferirsi a quella species di atti pubblici che sono gli atti di stato civile.
(15) V. il § 4.1, in fine. Peraltro, è noto che il sistema della legge sull'adozione si articola - rispetto
all'accertamento dello stato di adottabilità - intorno alla distinzione tra l'ipotesi in cui il minore sia privo di
genitori, perché è orfano o perché è mancato l'accertamento di stato alla nascita (art. 11, che dispone un
accertamento più rapido dell'adottabilità), e l'ipotesi in cui il minore abbia genitori che lo lascino in stato
di abbandono (art. 12, che evidentemente richiede un supplemento di istruttoria). Nel caso di specie le
pronunce non hanno chiarito in forza di quale dei due titoli l'adottabilità sia stata pronunciata, limitandosi
ad affermare che sussiste lo stato di abbandono ex art. 8 L. adoz., che consegue de plano all'accertamento
che il minore "non è assistito dai genitori o da altri parenti". Ora, tale affermazione, da intendersi nel
senso che per il diritto il minore è figlio di ignoti e non nel senso che i genitori lo abbiano lasciato privo
di assistenza, rende evidente che il caso ricada nella prima ipotesi, salvo dire che allora - a differenza di
quanto statuito dal giudice del primo grado e come, invece, opportunamente precisato dalla Cassazione
(§ 4.1) - non si tratta di far luogo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, posto che questa non
poteva essere assunta da chi genitore non è.
(16) Di contrarietà della legge ucraina, come diritto applicabile, all'ordine pubblico ex art. 16 l. n.
218/1995 parla la Cassazione (§ 4.1), giustapponendola alla contrarietà del "certificato" di nascita ucraino
all'ordine pubblico ex art. 65 L. n. 218/1995.
(17) Del resto, come osserva B. Barel, La filiazione nel diritto internazione privato dopo la riforma del
2012-2013, in Aa.Vv., La nuova disciplina della filiazione, Santarcangelo di Romagna, 2014, 284 «In base
alla lex loci, il bambino non acquista la cittadinanza ucraina».
(18) D'altronde, una volta che - respinta l'azione di reclamo dello stato di figlio - fosse accertato che
il minore non è figlio dei coniugi e quindi è figlio di ignoti, la riapplicazione a ritroso del criterio di
collegamento della legge nazionale ad un minore apolide condurrebbe, ex art. 19, comma 1, L. n.
218/1995, nuovamente all'applicazione della legge italiana come legge dello Stato di domicilio o di
residenza, con indifferenza di risultato in punto di status. A questo punto, a norma dell'art. 37 bis l.
adoz. al minore straniero si applicherebbe "la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di
provvedimenti necessari in caso di urgenza".
(19) Sull'azione di rettificazione degli atti di stato civile, nel suo rapporto con l'azione di stato, rinviamo a
Il matrimonio civile, cit., 560 ss.
(20) Cfr., con riguardo all'azione di contestazione di legittimità, alla quale la riforma della filiazione del
2012/2013 ha sostituito quella di contestazione dello stato di figlio, Cass., 23 ottobre 1971, n. 2983, in
Giust. civ., 1973, I, 1240, con nota di G. Ghirardi, Se l'estinzione del reato di alterazione di stato per
prescrizione lasci un residuo potere del p.m. per l'azione in sede civile; in Mon. Trib., 1973, 8, con nota
di M.T. Sturla, Appunti sulla legittimazione del p.m. nelle cause di stato. In passato, la giurisprudenza
era di contrario segno: v. Cass., 17 marzo 1970, n. 690, in Giust. civ., 1970, I, 662 e Cass., 29 ottobre
1963, n. 2888, in Foro it., 1964, I, c. 260. Nel senso della legittimazione era poi l'opinione di A. Cicu, La
filiazione, in Trattato di diritto civile diretto da F. Vassalli, III, 2, Torino, 1969, 102 s., che argomentava
«dall'interesse pubblico della persecuzione di eventuale reato, dall'interesse pubblico connesso con lo stato
delle persone, che lo autorizza ad agire in rettificazione».
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(21) Tutte le espressioni virgolettate riportate nel capoverso sono tratte dal § 3.1. Nel senso, invece,
della non contrarietà della surrogazione all'ordine pubblico, v. App. Bari, 13 febbraio 2009 (in Giur.
merito, 2010, 349, con nota di M. Dell'utri, Maternità surrogata, dignità della persona e filiazione),
relativa al riconoscimento ex art. 65 l. n. 218/1995 di un parental order britannico. Sul piano della prassi
amministrativa, la contrarietà all'ordine pubblico è però ribadita dalla Circolare del Ministero degli affari
esteri dell'11 agosto 2011, che conferma il divieto per l'ufficiale di stato civile di operare la trascrizione
dell'atto di nascita formato all'estero. Informazioni sul trattamento della surrogazione e sul riconoscimento
internazionalprivatistico della stessa nei principali ordinamenti europei si trovano in La maternité de
substitution et l'état civil de l'enfant, studio redatto nell'ambito della CIEC (Commissione internazione
dello stato civile) dalla Prof.ssa Frédérique Granet nel febbraio 2014 e disponibile sul sito www.ciec1.org.
(22) Per un più compiuto approfondimento della questione, rinviamo sin d'ora al nostro Lo scambio
di embrioni ed il dilemma della maternità divisa (nota a Trib. Roma, ord. 8 agosto 2014), in corso di
pubblicazione in Diritto delle successioni e della famiglia.
(23) V. sempre il § 3.1.
(24) Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Europa dir. priv., 2014, 1105, con nota di C. Castronovo,
Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale; in questa Rivista, 2014, 8-9, 1068,
con nota di G. Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale:
l'illegittimità del divieto di fecondazione "eterologa"; in Fam. dir., 2014, 753, con nota di V. Carbone,
Sterilità della coppia. Fecondazione eterologa anche in Italia; in Diritto persone famiglia, 2014, 1005,
con nota di L. D'Avack, Cade il divieto all'eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da
regolamentare; in Foro it., 2014, I, c. 2324 (s.m.), con nota di G. Casaburi, "Requiem" (gioiosa) per il
divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l'agonia della l. 40/04.
(25) Da quando il divieto della pratica è comminato dalla legge, la qualificazione della nullità del
relativo contratto per illiceità dell'oggetto viene ad essere assorbita in quella per contrasto con norme
imperative, ex art. 1418, comma 1, c.c., posto che oggetto del divieto è lo stesso accordo, che è elemento
indefettibile della nozione di "surrogazione di maternità". Si tratta peraltro di una nullità che - come
dimostrato da A. Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, 95 ss. non v'è ragione di denominare "virtuale", poiché essa discende sì dalla "contravvenzione di disposizioni
prive di una specifica comminatoria in tal senso", ma dipende non da una valutazione di congruità
dell'interprete, bensì direttamente "dal contrasto con una norma scritta, che sulla base di un'indagine di
stretto diritto positivo debba ritenersi imperativa" (98 s.).
(26) Ossia tanto della "maternità surrogata" in senso stretto (in cui nella stessa donna si assommano la
qualità di c.d. madre genetica, dalla quale provengono gli ovociti, e quella di c.d. madre biologica, che
porta a termine la gravidanza, a fronte del fatto che altra donna aspira a divenire madre), quanto della
"maternità portante" o gestazione per altri, in cui la madre biologica riceve in grembo gli ovuli provenienti
dalla madre genetica, la quale aspira a diventare madre ma non può condurre a termine una gravidanza.
(27) In Europa, la surrogazione di maternità è vietata dappertutto, ad eccezione di Albania, Georgia,
Grecia, Paesi Bassi, Regno Unito, Russia ed Ucraina. Ciò, peraltro, non può non rifluire sulla stessa
valutazione di contrarietà all'ordine pubblico internazionale. È noto che di quest'ultimo siano teorizzate
due nozioni (cfr. B. Barel, S. Armellini, Manuale breve di diritto internazionale privato, Milano, 2014, 82
ss.). La prima lo concepisce come sottoinsieme dell'ordine pubblico interno (inteso come complesso di
principi inderogabili che costituiscono un limite all'autonomia privata), nel quale si collocano i soli principi
talmente essenziali da essere fondamentali per l'armonia dell'ordinamento allorché questo, nell'aprirsi ai
valori giuridici degli altri ordinamenti attraverso l'applicazione del diritto straniero, non ne consente un
ingresso indiscriminato. La seconda lo differenzia dall'ordine pubblico interno perché mentre quest'ultimo
riguarderebbe i principi che esprimono i valori fondamentali della comunità nazionale e si applicherebbe
solo a fattispecie relative a cittadini italiani, il primo consisterebbe nei principi condivisi dalla comunità
internazionale e si applicherebbe a controversie relative a stranieri o che comunque presentino una blanda
connessione con il nostro ordinamento. Ebbene, posto che la prima teoria appare più fondata, è evidente
che anche stando alla seconda (la quale, peraltro, non potrebbe trovare applicazione al caso in commento,
perché relativo a cittadini italiani) proprio l'estrema diffusione del divieto della surrogazione di maternità,
mostrando un idem sentire europeo avverso a questa pratica, non può che elevarlo a principio di ordine
pubblico internazionale.
(28) In Europa, il divieto della donazione di ovociti è comminato in Austria, Croazia, Germania, Lituania,
Norvegia, Svizzera e Turchia.
(29) Lo notava già il Trib. Monza, 27 ottobre 1989 (in Foro it., 1990, I, c. 298, con nota senza titolo di
G. Ponzanelli; in Giur. merito, 1990, I, 240, con nota di M. G. Maglio, Spunti in tema di procreazione
artificiale; in Nuova giur. civ. comm., 1990, 355, con nota di A. Liaci; in Giur. it., 1990, I, 2, 296, con
nota di G. Palmeri, Maternità "surrogata": la prima pronuncia italiana; in Giust. civ., 1990, I, 478; in Dir.
fam. pers., 1990, 173, con nota di M. Ventura, Sulla procreazione artificiale: una sentenza innovativa?),
rilevando che «l'atto dispositivo del proprio corpo, implicato dal contratto di maternità surrogata […]
non può mai rilevare come oggetto di una preventiva obbligazione dell'avente diritto a compierlo o a
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permettere che altri lo compia su di lei ed è comunque contrario alla legge, all'ordine pubblico e, almeno
in caso di onerosità, anche al buon costume».
(30) Difficile, quindi, non ravvisare un contrasto frontale con l'imperativo categorico kantiano, che nella
sua seconda formulazione stabilisce: "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona che in
quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo" (I. Kant, Fondazione della
metafisica dei costumi, trad. it., in Scritti morali a cura di P. Chiodi, Torino, 1970, 88). Proprio dall'essere
l'uomo sempre anche fine deriva l'ancoraggio della dignità umana: «L'umanità stessa è una dignità:
infatti l'uomo non può essere trattato da nessuno (cioè né da un altro e neppure da lui) meramente come
mezzo, ma deve sempre essere trattato nello stesso tempo come un fine, e proprio in ciò consiste la sua
dignità» (Id., Metafisica dei costumi, a cura di N. Merker, Roma-Bari, 1973, 333 s.).
(31) Anche M. Fabre-Magnan, La gestation pour autrui. Fictions et réalité, Paris, 2013, 22 parla di
«instrumentalisation des femmes sans précédent». Analogamente A. Nicolussi, La filiazione e le sue
forme: la prospettiva giuridica, in Allargare lo spazio familiare: adozione e affido, a cura di E. Scabini e
G. Rossi, Milano, 2014, 15 ss. Peraltro, è ben difficile che una surrogazione asseritamente gratuita lo sia
realmente: quasi sempre un "rimborso spese" alla gestante di varie decine di migliaia di euro dissimula
malamente un compenso vero e proprio.
Apertura verso una gestazione gratuita per altri è invece mostrata da P. Zatti, Tradizione e innovazione
nel diritto di famiglia, in Tratt. dir. fam. diretto da P. Zatti, I, 1, Milano, 2011, 69 s. e da S. Rodotà,
Solidarietà. Un'utopia necessaria, Roma-Bari, 2014, 52; in giurisprudenza, da Trib. Roma, ord. 17 febbraio
2000, in questa Rivista, 2000, 4, 483, con nota di M. Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole
etiche e diritto giurisprudenziale.
(32) Nello stesso senso U.Salanitro, Il divieto di fecondazione eterologa alla luce della Convenzione
Europea dei Diritti dell'Uomo: l'intervento della Corte di Strasburgo, in Fam. e dir., 2010, 988 s.
(33) Quel carattere reificante della pratica - cui si accennava in apertura - che la "consegna" mette in
evidenza ben traspare d'altra parte nella tendenza a concepire il nato come un prodotto, che i committenti
accettano in quando non sia "difettoso": di qui il caso, reso noto dai media nell'agosto 2014, in cui i
committenti, australiani, hanno rifiutato di «ricevere in consegna» uno dei due gemelli partoriti dalla
donna thailandese alla quale si erano rivolti (a titolo oneroso, e con ovociti proveniente da una terza
donna), perché affetto dalla sindrome di Down: v. l'articolo Utero in affitto. Nascono due gemelli, uno è
down e la coppia lo lascia alla madre surrogata, in http://www.huffingtonpost.it/2014/08/02/utero-affittocoppia-australiana-bambino-down_n_5643899.html.
(34) Ad essi va aggiunta - come fa la pronuncia in commento (§ 3.1) - la tutela dell'istituto dell'adozione,
che sarebbe frustrata qualora se ne potesse eludere la disciplina attraverso una negoziazione tra privati
volta a procurare un figlio a chi aspiri a diventare genitore su base non biologica. Lo sottolinea, con
riguardo alla surrogazione all'estero, anche B. Barel, La filiazione nel diritto internazionale privato dopo la
riforma del 2012-2013, cit., 285, che parla di «committenza di filiazione a terzi senza materiale genetico
della coppia, con elusione della disciplina dell'adozione internazionale».
Sennonché, coerenza vuole che questo rilievo - al quale la Cassazione mostra di dare un certo peso, se
è vero che afferma una seconda volta che il legislatore italiano ha affidato all'adozione "con le garanzie
proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione
di una genitorialità disgiunta dal legame biologico" - debba essere posto anche nei confronti della
fecondazione eterologa, la quale realizza un analogo progetto di genitorialità sociale al di là di quell'
extrema ratio (l'incapacità dei genitori di origine) che la Costituzione individua come giustificazione di
una genitorialità non biologica. Invero, non può che stupire che la Corte costituzionale (n. 162/2014)
abbia ritenuto di poter introdurre nell'ordinamento tale forma di genitorialità, senza neanche confrontarsi
con l'art. 30 Cost., unica norma costituzionale sulla filiazione. Se lo avesse fatto, non avrebbe tardato ad
accorgersi che tra l'art. 30 Cost. ed il diritto all'autodeterminazione genitoriale o riproduttiva, in nome del
quale la Corte ha introdotto l'eterologa, sussiste un largo divario, per non dire una vera contraddizione.
L'art. 30 Cost., infatti, sta a significare che la filiazione è una relazione che nasce dal fatto procreativo,
per cui se si è dato alla luce un figlio si è responsabili verso di lui (se c'è un fatto, allora non può mancare
l'effetto): onde il fuoco dell'art. 30 è la tutela di chi è nato; per contro, l'autodeterminazione genitoriale
sta a significare che se si vuole essere genitori, anche se non lo si può essere, allora la legge deve
attribuire questa qualità (ci deve essere l'effetto, anche senza fatto): il fuoco è evidentemente la tutela di
chi vuole diventare genitore. Per più ampie considerazioni, sia consentito rinviare a A. Nicolussi, A. Renda,
Ragioni e implicazioni della riforma, in Aa.Vv., La nuova disciplina della filiazione, cit., 31 ss.
(35) Cfr. G. Cattaneo, Lo stato di figlio legittimo e le prove della filiazione, in Tratt. dir. priv. Rescigno, 4,
III, II ed., Torino, 1997, 21 e, almeno apparentemente, A. Gorassini, Procreazione (dir. civ.), in Enc. dir.,
XXXVI, Milano, 1987, 963.
(36) Del resto, nella lingua italiana madre è la "donna che ha concepito e partorito": v. il Dizionario
Treccani on-line.
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(37) Ove se ne cercasse ulteriore conferma, basterebbe richiamare norme come l'art. 244, comma
1, che assegna alla madre un termine decadenziale più breve (sei mesi in luogo di un anno) per il
disconoscimento della paternità, nonché gli artt. 30, comma 1, d.P.R. n. 396/2000 ed art. 250, comma 1,
c.c., che attribuiscono alla donna coniugata la facoltà - rispettivamente - di non essere nominata nell'atto
di nascita e di operare il diretto riconoscimento come nato fuori del matrimonio del figlio concepito con
un uomo diverso dal marito. Tali norme, nel conferire alla donna una posizione rispetto al nato coerente
con la signoria informativa della quale la natura l'ha investita (v. amplius il nostro L'accertamento della
maternità, Torino, 2008, spec. 121 ss.), si giustificano esclusivamente perché la donna che dà alla luce è
la stessa che ha concepito e quindi è colei che più di ogni altro conosce le circostanze del concepimento ed
in ragione di tale conoscenza può determinarsi a compiere scelte attinenti all'accertamento dello stato che
spetta al figlio che ha generato.
(38) Così N. Lipari, La maternità e sua tutela nell'ordinamento giuridico italiano: bilancio e prospettive, in
Rass. dir. civ., 1986, 572.
(39) N. Lipari, o.l.c.
(40) In questa ipotesi, si sostiene la medesima soluzione avanzata dalla dottrina maggioritaria, ma
con una motivazione diversa da quella da essa addotta, cioè l'ossequio alle citate norme codicistiche,
interpretate come tali da identificare nel parto il criterio unico o comunque prevalente di attribuzione della
maternità (v. almeno C.M. Bianca, Diritto civile, II, Milano, 2014, 408, secondo cui «è la gestazione che
crea l'essenziale e concreto rapporto materno in cui si realizza l'accoglimento dell'essere umano»). Contra,
nel senso della necessità di affermare la maternità della donna che ha fornito il contributo genetico, cfr.
almeno F. Prosperi, La gestazione nell'interesse altrui tra diritto di procreare e indisponibilità dello status
filiationis, in Verso nuove forme di maternità?, a cura di C.A. Graziani e I. Corti, Milano, 2002, 123 ss. È
evidente, però, come questa soluzione sia esattamente la stessa propria degli ordinamenti che permettono
la gestazione per altri. Sennonché, non pare che possa ammettersi identità di criterio attributivo della
maternità, a partire da modi deontici (il divieto ed il permesso) dello stesso fenomeno umano tra loro in
opposizione contraddittoria (per la quale v. N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, 1993, 209 ss.) e
quindi innanzi a scelte di politica del diritto inconciliabili.
La sentenza in commento non si pronuncia al riguardo, limitandosi ad affermare che la surrogazione "non
eterologa", rispetto alla quale si registrano "aperture" in dottrina, non rientra nel thema decidendum (§
3.1).
(41) È il caso della Spagna, nella quale l'art. 10 della Ley de 26 de Mayo de 2006, n. 14, dopo aver
stabilito che «Será nulo de pleno derecho el contrato por el que se convenga la gestación, con o sin precio,
a cargo de una mujer que renuncia a la filiación materna a favor del contratante o de un tersero», prevede
- con riferimento alle ipotesi di violazione del divieto - che «La filiación de los hijos nacidos por gestación
de sustitución será determinada por el parto».
(42) In tale ipotesi, all'effetto privativo della maternità della committente non può unirsi quello attributivo
della maternità alla gestatrice, se non nei limiti in cui il sistema del diritto internazionale privato lo
consenta, conducendo alla designazione di una legge applicabile alla filiazione, come legge nazionale
del bambino, che permetta l'affermazione di tale maternità. In mancanza - come nel caso deciso dalla
sentenza in commento - l'essere il bambino figlio di ignoti comporta la dichiarazione dello stato di
adottabilità.
(43) Il riferimento va, in particolare, al caso occorso nel 2014 per un errore umano nella gestione di
una procedura di PMA omologa presso l'ospedale Pertini di Roma, in cui gli embrioni fecondati da due
coppie che si sono sottoposte allo stesso trattamento sono stati scambiati, con la conseguenza che
nell'utero della donna di ciascuna coppia sono stati impianti gli embrioni fecondati con il contributo
genetico dell'altra e che, a seguito della nascita di due gemelli da una di esse, l'altra ha domandato la
"restituzione" degli stessi, facendo valere il legame genetico con i nati come titolo potiore rispetto a quello
gestazionale. Mentre il Trib. Roma, con ordinanza cautelare 8 agosto 2014 (in Fam. e dir., 2014, 929,
con nota di M.N. Bugetti, Scambio di embrioni e attribuzione di genitorialità), ha respinto la domanda in
ragione dell'asserita attribuzione da parte dell'ordinamento giuridico italiano della maternità a colei che ha
partorito pur nell'ipotesi nella quale vi sia dissociazione tra componente genetica e componente biologica
e questa non sia dovuta ad una pratica illecita di surrogazione di maternità, chi scrive ha sostenuto che
la lacuna vada colmata in via di analogia iuris attraverso l'affermazione del principio per cui entrambi
gli apporti debbano trasporsi a criterio dell'attribuzione dello status di madre, con la conseguenza che
la donna alla quale è riferibile il contributo genetico nella nascita dei gemelli abbia diritto di ottenere
l'accertamento della propria maternità, senza che ne consegua l'esclusione di quella della donna che li ha
partoriti. Al riguardo, si rinvia al nostro Lo scambio di embrioni ed il dilemma della maternità divisa, cit.
(44) Una cauta apertura ad una soluzione diversa - che tuttavia non è indicata - viene da B. Barel, La
filiazione nel diritto internazione privato dopo la riforma del 2012-2013, cit., 287: «Se questo è vero nella
immediatezza della nascita, diversa potrebbe essere tuttavia la situazione nel caso di una relazione di
fatto ormai consolidata per il trascorrere del tempo: in quel caso potrebbe profilarsi un delicato contrasto
tra l'interesse del minore e la finalità della legge di non incentivare il consolidamento di situazioni illegali».
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(45) Anche A. Nicolussi, La filiazione e le sue forme: la prospettiva giuridica, cit., 18 rileva che «questa
dimensione è spesso ignorata nella sua consistenza reale sia da chi si attacca ai divieti non volendo
guardare alla realtà sia da chi pretende di confondere i fatti con le norme, ciò che è con ciò che dovrebbe
essere. Un atteggiamento più prudente e attento dovrebbe invece suggerire delle soluzioni, che senza fare
confusione, offrano dei rimedi per le situazioni ormai in atto».
(46) Esemplificazione lampante di questo rischio è la pronuncia emessa da App. Torino, 29 ottobre 2014,
la quale ha dichiarato trascrivibile nei registri dello stato civile l'atto di nascita formato in Spagna a seguito
di una procreazione assistita eterologa, dal quale il nato risulta figlio di una coppia di lesbiche (delle quali
una italiana e l'altra spagnola, entrambe residenti in Spagna), in ragione del preminente interesse del
minore ad ottenere riconoscimento in Italia di un legame già esistente in Spagna. Correttamente, invece,
la pronuncia in commento ha rilevato, con riguardo alla surrogazione di maternità, che il legislatore ha già
operato la valutazione dell'interesse del minore attraverso il divieto della pratica, che "non attribuisce al
giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare nel caso concreto".
(47) Costante è infatti l'insegnamento della Corte costituzionale, secondo il quale «la crescente
considerazione del favor veritatis […] non si pone in conflitto con il favor minoris, poiché anzi la verità
biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell'interesse del medesimo minore,
che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla
affermazione di un rapporto di filiazione veridico» (da ultimo, con affermazione tralatizia, Corte cost., ord.
12 gennaio 2012, n. 7, in Giur. cost., 2012, 45).
(48) Una chiara riprova si trae dall'imprescrittibilità dell'azione di contestazione dello stato ( art. 248,
comma 2, c.c.), che reagisce proprio al difetto di parto ad opera della donna indicata come madre nell'atto
di nascita. Ancor più probante è che tale azione sia proponibile senza limiti di tempo anche quando all'atto
di nascita corrisponda il possesso di stato (arg. ex art. 238 c.c.): il che sta a significare che il sistema
considera prevalente la verità dell'accertamento sulla stabilità del rapporto affettivo consolidatosi nel
tempo ma biologicamente fittizio.
(49) Corte EDU, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia (domanda n. 25358/12), in corso di
pubblicazione in Europa e dir. priv., con nostra nota La surrogazione di maternità ed il diritto della famiglia
al bivio.
(50) La sentenza non sembra peraltro andare esente da una contraddizione di fondo. Da una parte, si
è negata la legittimazione dei ricorrenti a far valere la violazione del diritto del minore al rispetto della
vita familiare, in ragione del fatto che essi difettavano della qualità di genitori necessaria a rappresentare
l'interesse del minore (§ 50); dall'altra, si è ritenuto violato il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita
familiare, in ragione della contrarietà della decisione dell'autorità giudiziaria italiana all'interesse del
minore. Pertanto, la doglianza fatta valere dai committenti in nome proprio, cioè per la violazione del
diritto proprio al rispetto della vita familiare, è stata accolta sulla base di una ragione di diritto che non
è relativa al diritto al rispetto della vita familiare degli adulti ricorrenti, ma è relativa al diritto al rispetto
della vita familiare del minore: la Corte, quindi, non ha esitato a contraddirsi (arrivando alla stessa
conclusione alla quale sarebbe arrivata se la domanda proposta in nome del minore fosse stata ricevibile)
pur di corrispondere alle aspettative dei ricorrenti.
(51) Se si legge con attenzione la pronuncia Pontes c. Portogallo, 10 aprile 2012, n. 19554/09, citata
con amplissimi stralci proprio nella motivazione della sentenza Paradiso e Campanelli, ci si accorge che
essa specifica i presupposti in relazione ai quali debba accordarsi la protezione della vita familiare dalle
ingerenze del potere pubblico chiarendo che " là où l'existence d'un lien familial se trouve établie, l'État
doit en principe agir de manière à permettre à ce lien de se développer et prendre les mesures propres
à réunir le parent et l'enfant concernés" (§ 75) e che " briser ce lien revient à couper l'enfant de ses
racines" (79): ma è evidente, allora, che nel caso italiano né vi fosse un vincolo legalmente stabilito, né vi
fossero "radici" biologiche, che giustificassero l'applicazione della stessa ratio decidendi.
(52) Come segnalato nella comune opinione parzialmente dissenziente dei giudici Raimondi e Spano, l'art.
8 CEDU non può essere interpretato nel senso di proteggere come vita familiare la relazione di fatto, priva
di legame biologico, instauratasi a seguito di un "atto illegale, contrario all'ordine pubblico"; ma anche a
non voler escludere a priori una simile opzione interpretativa, certo è che tale circostanza non può non
influire sull'esame della proporzionalità tra la misura presa dallo Stato e la necessità di perseguire gli scopi
che la norma annovera come tali da legittimare l'ingerenza in tale diritto (§ 3).
(53) Peraltro, non può non rilevare la valutazione di un ulteriore elemento di fatto qual è l'eventuale
pregressa inidoneità all'adozione della coppia di committenti, pronunciata dal giudice interno: circostanza,
questa, verificatasi nel caso deciso dalla sentenza della Cassazione qui commentata. Altra circostanza da
tenere in considerazione sarà se vi sia stata condanna per alterazione di stato a carico dei committenti
(v. infra, § successivo). È ben vero che a seguito di Corte cost., 15 febbraio 2012, n. 31 (in Riv. it. dir.
proc. pen., 2012, s.m., 1574, con nota di L. Ferla, Status filiationis ed interesse del minore: tra antichi
automatismi sanzionatori e nuove prospettive di tutela) la condanna per alterazione di stato non comporta
più automatica decadenza dalla responsabilità genitoriale, ma ciò vale evidentemente per chi è genitore, e
quindi può in astratto perdere tale responsabilità: ove si discuta se sia opportuno consolidare un legame di
fatto con chi genitore legalmente non è, la condotta seguita da questo per "procurarsi" il figlio può giocare
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qualche ruolo, per quanto la logica del primato dell'interesse del minore suggerisca di non attribuirgliene
uno determinante.
(54) Il rapporto tra norme costituzionali e norme CEDU è stato chiarito da Corte cost. 24 ottobre 2007,
n. 348 e n. 349 (in Giur. cost., 2007, c. 3535, s.m., con nota di M. Cartabia, Le sentenze «gemelle»:
diritti fondamentali, fonti, giudici ), secondo la quale «proprio perché si tratta di norme che integrano il
parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, è necessario che
esse [norme CEDU] siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse norme, diverse
sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa
limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali […] o dei principi supremi […], ma
debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le «norme interposte» e quelle costituzionali» (§ 4.7 della
motivazione della n. 348/2007). Nello stesso senso, tra le altre, Corte cost., 12 marzo 2010, n. 93, in Riv.
dir. internaz., 2010, 583; Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113, ivi, 2011, 960; Corte cost., 28 novembre
2012, n. 264, in www.cortecostituzionale.it, la quale peraltro rileva che «a differenza della Corte EDU,
questa Corte […] opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta
in volta scrutinata» (§ 5.4 della motivazione). Le sentenze sono pubblicate anche in questa Rivista, 2008,
2,185 ss. con note di M. Luciani e R. Conti.
(55) Per quanto questo principio possa risultare attenuato dal pronunciamento della Corte cost., 10 giugno
2014, n. 162, cit. sulla fecondazione eterologa (ma si tratta di un'attenuazione - per così dire - di fatto e
non di diritto, visto che la Corte non si è neanche confrontata con l'art. 30 Cost. e quindi non si è onerata
di confutarne l'interpretazione consolidata, reindirizzandola), questa stessa sentenza afferma chiaramente
che il divieto di surrogazione di maternità permane immutato (§ 11.1 della motivazione). Rispetto a
questa tecnica, allora, il primato di cui si discorre trova persistente pienezza di fondamento.
(56) Lo si rileva nitidamente nella già citata opinione dissenziente, là dove si osserva che l'automatismo
tra relazione di fatto e diritto (per di più, dei committenti) a tener con sé il bambino significa " nier
la légitimité du choix de l'État de ne pas reconnaitre d'effet à la gestation pour autrui. S'il suffit de
créer illégalement un lien avec l'enfant à l'étranger pour que les autorités nationales soient obligées de
reconnaître l'existence d'une « vie familiale », il est évident que la liberté des États de ne pas reconnaître
d'effets juridique à la gestation pour autrui, liberté pourtant reconnue par la jurisprudence de la Cour (
Mennesson c. France, no 65192/11), 26 juin 2014, § 79, et Labassee c. France, (no 65941/11), 2 juin
2014, § 58), est réduite à néant" (§ 15).
(57) Per il bilanciamento come tecnica che impedisce la tirannia di un valore a discapito di un altro, salva
la necessità di distinguere le collisioni reali di valori da quelle apparenti, v. L. Mengoni, Per una dogmatica
dei diritti fondamentali, in Giornate in onore di Angelo Falzea, Milano, 1993, 47 ss., ora in Id., Scritti I.
Metodo e teoria giuridica, a cura di C. Castronovo, A. Albanese e A. Nicolussi, Milano, 2011, 255 ss.
(58) Per converso, non perché il committente è biologicamente padre e tale deve essere accertato, allora
la surrogazione di maternità in quanto tale cessa di essere contraria all'ordine pubblico e la committente
deve essere riconosciuta come madre. Questa, invece, è l'opinione di G. Casaburi, Sangue e suolo: la
Cassazione e il divieto di maternità surrogata, cit., il quale, anche a concedere che contrasti con l'ordine
pubblico quella che definisce maternità surrogata eterologa, «che si riscontra allorché la madre sostituta
(o gestante) accoglie un embrione formato con gameti estranei alla coppia committente», afferma che
«non contrastano con l'ordine pubblico internazionale le fattispecie (molto diffuse) di maternità surrogata
omologa, in cui (in genere) il padre committente è anche genitore biologico (in quanto l'embrione è stato
formato con i suoi gameti), sicché quegli atti di nascita possono essere senz'altro trascritti». Invero, la
contrarietà della surrogazione all'ordine pubblico non riposa nella doppia estraneità genetica del nato alla
coppia committente, ma si fonda - come si è dimostrato sopra - sulla contrarietà a vari principi sistematici
della dissociazione tra concepimento e gravidanza e quindi della scissione della maternità (non tout
court, poiché altrimenti la stessa donazione di gameti vi ricadrebbe, bensì) quando la gravidanza sia
strumentalizzata al fine della maternità di una donna diversa da quella che la vive. Se così è, il contrasto
sussiste evidentemente anche nell'ipotesi in cui dal lato maschile il contribuito genetico sia riferibile
al committente, nella quale il disvalore della scissione della maternità si presenta immutato. Ma allora
ciò comporterà sì il diritto del figlio (e, correlativamente, del padre) all'accertamento della paternità
dell'uomo, ma non potrà comportare il corrispondente diritto all'accertamento della maternità della
committente, perché la nascita resta da surrogazione di maternità.
(59) Corte EDU, 26 giugno 2014, Mennesson c. Francia (domanda n. 65192/11). Gemella di questa
sentenza è quella Labassee c. Francia (domanda n. 65941/11). In entrambi i casi si trattava di gestazione
per altri con ovocita proveniente da una terza donna. La Corte ha stabilito in pari tempo che non vi sia
stata violazione del diritto degli aspiranti genitori alla vita familiare, protetto dall'art. 8 CEDU, poiché
l'ordinamento francese, nel vietare la surrogazione di maternità e nel prevedere che ogni contratto ad
esso relativo sia affetto da una nullità assoluta ed insanabile (art. 16-7 Code civil), costituisce un limite
legittimo a tale diritto, motivato da un fondamento etico che rende ampio il margine di apprezzamento
riconosciuto dalla Convenzione agli Stati membri. Per contro, secondo G. Casaburi, Sangue e suolo:
la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, cit., e Id., La Corte europea apre (con riserve) alla
maternità surrogata, in Foro it., 2014, IV, c. 561, le sentenze della Corte EDU affermerebbero che la
violazione del diritto alla vita privata dei minori sia stata determinata dal mancato riconoscimento dello
status nei confronti di entrambi i committenti (di qui, sostanzialmente, l'onere per gli Stati che non
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intendano violare la Convenzione di dare riconoscimento a tale status, legittimando così la maternità
della committente). Per la verità, e come rileva la stessa sentenza in commento (cfr. § 3.1), la Corte Edu
non ha affermato questo principio, né avrebbe potuto senza contraddirsi. Difatti, poiché il diritto alla vita
privata dei minori presuppone che si definisca qual è il loro diritto alla vita familiare, cioè di chi sono figli,
e poiché d'altronde la Corte ha ritenuto che la Francia può negare effetti alla surrogazione di maternità
compiuta all'estero e quindi può non riconoscere ai nati lo stato di figli della donna committente, allora
non può in pari tempo affermarsi che vi sia una violazione dell'identità dei minori rispetto alla donna
committente e che quindi i primi debbano acquisire lo status di figli della seconda.
(60) Trib. Milano, 15 gennaio 2014, in Foro it., 2014, II, c. 371 (s.m.), con nota di G. Casaburi.
(61) L'alterazione consiste quindi nello spostamento del rapporto di filiazione, da quello che spetta
secondo natura (o secondo un'eventuale fattispecie costitutiva speciale legalmente prevista) ad un
altro, non veridico secondo natura. Si tratta di un principio consolidato nella giurisprudenza penale (cfr.
da ultimo Cass. pen., 17 settembre 2014, n. 47137, in Banca dati DeJure), per il cui approfondimento
rinviamo al nostro L'accertamento della maternità, Torino, 2008, 72 ss.
(62) L'atto formato all'estero secondo la lex loci è quindi atto valido alla stregua di quel diritto, ma falso
per il diritto italiano, perché non corrisponde alla realtà della procreazione né a fattispecie costitutiva
speciale dello stato di figlio che ne ammetta la costituzione sulla base della surrogazione della maternità.
L'attività dichiarativa dei committenti, volta a trasfondere l'accertamento contenuto nell'atto straniero in
accertamento di diritto italiano tramite il relativo titolo, è pertanto ideologicamente falsa.
(63) Proprio perché l'atto di stato civile non è ancora formato, nel momento in cui i committenti rendono
le false dichiarazioni, ad essere integrato non è il diverso e più blando reato di false dichiarazioni a
pubblico ufficiale su proprie qualità personali in atto dello stato civile ( art. 495, comma 2, n. 1 c.p.), il
quale peraltro - se le dichiarazioni sono rese all'autorità consolare e quindi se il reato è considerato come
commesso all'estero - esige quale condizione di punibilità la richiesta del Ministro della giustizia ( art. 9,
comma 2, c.p.), ma proprio il reato di alterazione di stato. Nel senso criticato, v. Trib. Milano, Ufficio Gip, 8
aprile 2014, in Fam. e dir., 2014, 835. Variante fantasiosa di questo indirizzo è quella per la quale, poiché
a seguito delle sentenze della Corte Edu del 26 giugno 2014 (v. supra) sarebbe divenuto ininfluente ai
fini del riconoscimento della maternità e della paternità il metodo di concepimento della prole, la falsità
ex art. 495 c.p. è inoffensiva: v. Trib. Varese, GUP, 8 ottobre 2014, secondo cui «l'attestazione della
qualità di genitore innanzi al pubblico ufficiale rilasciata dagli agenti non comporta alcun nocumento
per il bene giuridico tutelato dalla norma penale (veridicità della dichiarazione) in un sistema giuridico
come quello attuale in cui è divenuto sostanzialmente ininfluente -secondo la giurisprudenza della Corte
europea dei diritti umani- il metodo di concepimento della prole quale presupposto per il riconoscimento
della maternità e paternità, attesa al contempo l'inerzia del legislatore nazionale che non ha previsto,
né imposto che le parti interessate si esprimano in merito alle tecniche cui hanno fatto ricorso per la
fecondazione al fine di ponderare almeno la posizione del genitore naturale. Ne consegue, inevitabilmente,
che è intervenuta una sostanziale elisione dell'antigiuridicità del fatto, che trasmuta da falso punibile
a falso innocuo, con tutte le conseguenze che si traggono in dispositivo in punto di assoluzione degli
imputati. Per tali motivi, i genitori vanno assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato
a seguito delle sentenze pronunciate dalla Corte Europea dei diritti umani nei casi Mennesson c. Francia e
Labassee c. Francia».
(64) Rispetto al dolo dei dichiaranti, questo sussiste sol che vi sia consapevolezza da parte loro che
la committente non è madre del nato. Se la dichiarazione avviene all'estero, i funzionari consolari
incaricati di raccoglierla e di trasmetterla unitamente all'atto di nascita straniero all'ufficiale di stato civile
italiano hanno l'obbligo di ammonire i dichiaranti delle conseguenze civili e penali di una dichiarazione
alterativa dello stato (cfr. la citata Circolare del Ministero degli affari esteri dell'11 agosto 2011), sicché la
consapevolezza dei dichiaranti non può che sussistere a maggior ragione.
(65) Il reato non è integrato nell'ipotesi in cui i committenti dichiarino che la nascita deriva da
surrogazione di maternità, per quanto essi tendano alla formazione di un titolo dello stato di figlio nei loro
confronti. A parte il rilievo per cui tale dichiarazione, facendo palese il presupposto di fatto della nascita,
rende possibile all'ufficiale di stato civile operare quel controllo di non contrarietà con l'ordine pubblico (e
quindi, all'esito negativo di esso, rifiutare la trascrizione) che altrimenti - ove i dichiaranti tacciano sulla
surrogazione, com'è frequente che accada - potrebbe essere eluso, la dichiarazione resa in tali termini è
ideologicamente vera, per quanto diretta ad un fine alterativo dello stato. Questa ipotesi non differisce
da quella, nella quale l'alterazione di stato è palesemente da escludersi, in cui Tizia e Caio, coniugati,
dichiarino all'ufficiale di stato civile di non essere - rispettivamente - la madre ed il padre del neonato,
ma di volere comunque risultare tali dall'atto di nascita alla cui formazione la dichiarazione di nascita è
preordinata. In entrambe le ipotesi, se realmente venisse formato un atto di nascita in cui i dichiaranti
sono indicati come genitori, dell'alterazione di stato risponderebbe l'ufficiale di stato civile, posto che nelle
"altre falsità" di cui all'art. 567 cpv. c.p. rientra anche il "il falso per formazione commesso dallo stesso
ufficiale dello stato civile" (G. Spagnolo, Stato di famiglia (delitti contro lo), in Enc. giur. Treccani, XXX,
Roma, 1993, 7).
(66) Per converso, nell'ipotesi di surrogazione in senso stretto l'alterazione di stato è commessa anche
dall'uomo pur quando egli sia biologicamente il padre, perché la sua dichiarazione concorre a far sì che
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sia accertata una maternità diversa da quella che spetta secondo la procreazione (cfr. del resto Cass.
pen., 30 giugno 2009, n. 32854, in CED Cass. pen. 2009, secondo cui "Concorre nel reato di alterazione
di stato mediante falso di cui all'art. 567, comma secondo, c.p., chiunque, pur senza rendere alcuna falsa
dichiarazione di nascita, contribuisca, materialmente o moralmente, con adeguata efficienza causale,
all'evento tipico realizzato dall'autore della dichiarazione che altera lo stato di nascita").
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