Sulle rotte del Merluzzo Nordico

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Sulle rotte del Merluzzo Nordico
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Veterinari nel mondo
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Sulle rotte del
erluzzo Nordico
M
...the number of the
cod seems to equal
that of the grains
of sand...
These are true mines,
which are more
valuable, and require
much less expense
than those
of Peru and Mexico.
Gianluca Bertoja
Ivan Tatone
Charlevoix, 1720s.
Dopo la mia prima visita a novembre 2005,
sono tornato in Norvegia, a marzo di questo
anno al fine di continuare ed approfondire
prove tecniche di tracciabilità e rintracciabilità sui prodotti della pesca, prendendo
come esempio il merluzzo nordico (Gadus
morhua). La mia seconda visita in questo periodo dell’anno è significativa ed importante al fine di conoscere meglio ed approfondire lo studio dell’intero ciclo biologico riproduttivo di tale specie; infatti tale specie,
avente riproduzione a fecondazione esterna con dimensione delle uova piccole e
molto numerose, riconosce il suo ciclo biologico riproduttivo nel periodo primaverile:
è gregaria e si muove in banchi molto numerosi proprio cercando durante tale periodo
acque con temperature variabili generalmente dai 3 ai 6 °C.
I soggetti femmine depongono un numero
elevato di uova variabile dalle 60.000 alla
300.000 alla volta, non giornalmente ma ad
intervallo di 2-3 giorni per circa 60 giorni:
queste vengono fecondate e si sviluppano
nelle condizioni ambientali migliori del luogo in cui sono state deposte.
Storicamente la Norvegia si riconosce anche
per la tipicità di tale pesce e delle tipologia
di pesca a cui è soggetta lo stesso, sia a livello sportivo che commerciale: sono andato personalmente a pescare di fronte al porto di Tromsø com Kim, un esperto pescatore della zona, il quale è riuscito anche a catturare questo splendido esemplare di circa
10 kg. Facendo un passo indietro nella storia Charlevoix nel 1720 citava in un suo scritto la frase in titolo; la Norvegia ha scoperto
il merluzzo nordico (Gadus morhua) anche
se allo stato attuale sta dimostrando di non
essere più una risorsa inesauribile: ciò nonostante, immutata rimane l’importanza che
questa specie ittica riveste in questa parte
di Norvegia, le isole Lofoten.
Attualmente esistono numerosi progetti di
ricerca riguardanti la gestione dello stock del
merluzzo nordico (Gadus morhua), spesso
affiancati da altrettante innovazioni nel campo delle tecnologie di pesca e nella processazione del pescato.
Mi sono fatto aiutare nel mio lavoro scientifico di ricerca dal Dr. Ivan Tatone, il quale attualmente segue, presso l’università di Tromsø
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al Norwegian College of Fishery Science, un
master sulle tecnologie applicate alla pesca ed inoltre collabora con l’equipe del
prof. R.B. Larsen nello studio di metodi innovativi di pesca con particolare attenzione
alle problematiche inerenti l’applicazione
delle griglie di selettività (sorting grid) nella
pesca con lo strascico e le possibili automazioni applicabili alla pesca con il palangaro. Le sperimentazioni sull’automazione
della pesca con il palangaro vengono inoltre condotte dal Dr. Ivan Tatone parallelamente nel Mar Adriatico in quanto sistema
di pesca alternativo allo strascico, suscettibile di un rilancio su scala Mediterranea.
Le origini, le peculiarità ed il confronto di
questo sistema di pesca con altri largamente usati nelle marinerie del nostro Paese saranno affrontati in dettaglio in un prossimo
articolo. Il Dr. Ivan Tatone ha inoltre lavorato
personalmente nella filiera produttiva dello
stoccafisso (prodotto essiccato) e del baccalà (prodotto salato) norvegese (vedasi foto), consentendomi in tal modo una discussione ed un approfondimento scientifico a tutto campo sulle tematiche e le problematiche ad esso inerenti.
la diversificazione progressiva dello stoccafisso sino al 17ettesimo secolo, in cui allo
stoccafisso si affiancano il “klippfisk” e il
“saltfisk” - categorie spesso confuse nel nostro Paese sotto la medesima designazione
di baccalà - grazie all’accessibilità economica del sale proveniente dall’Europa meridionale.
L’adozione di specifici standard per le diverse qualità di stoccafisso testimonia l’ambizione di introdurre questi prodotti nella
vasta famiglia dei prodotti di origine controllata, tra cui figurano il nostro prosciutto
di Parma o il cognac francese, oramai ben
conosciuti nel mercato gastronomico mondiale.
La maggioranza dello stoccafisso prodotto
in Norvegia proviene dalle isole Lofoten,
mentre i grandi centri per la produzione
del baccalà sono localizzati nei pressi di
Ålesund, città a sud della Norvegia.
Lo stoccafisso (“stockfisk” in norvegese) di
elevata qualità e di maggior pregio è il norwegian spawning artic cod (meglio conosciuto in quest’area come“skrey”);viene prodotto nel periodo da marzo a giugno, periodo appunto nel quale si realizzano le migliori condizioni climatiche - una temperatura ideale che oscilla tra 0/5 °C - per l’essiccamento. Dopo essere stato pescato, il
pesce viene decapitato, sviscerato ed
appeso sulle tipiche rastrelliere di legno
(chiamate “hjell”) situate in riva al mare e lì
lasciato sino al periodo di raccolta.
Il Dr. Ivan Tatone impegnato durante le fasi di preparazione del baccalà. Dopo la fase del pickling
i merluzzi vengono liberati dall’essudato ed impilati, alternando i vari strati con sale marino (fase del dry salting).
I rapporti che il nostro Paese intrattiene con
le isole Lofoten riguardano principalmente
l’esportazione di tale prodotto: sembra che
il primo italiano a scoprire lo stoccafisso sia
stato Piero Querini nel 1432 che naufragando sull’isola di Røst (ultima isola a sud delle
Lofoten) rimase colpito da questo strano
pesce che si conservava a lungo senza l’allora costosissimo sale.
Nei secoli successivi abbiamo conosciuto
Merluzzi nordici (Gadus morhua) durante la fase
dell’essiccamento sulle tipiche rastrelliere in legno “hjell”, isole Lofoten.
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Il pesce può essere appeso intero o “rotskjær” ovvero al pesce vengono rimossi circa due terzi della colonna vertebrale e viene separato a metà in senso longitudinale,
lasciando le due parti unite nella regione
caudale. Il prodotto finito viene classificato in due qualità (prima e seconda), in entrambe delle quali il contenuto di acqua a
fine lavorazione non deve essere superiore
al 14-16%. La prima categoria viene a sua
volta suddivisa in 14 sub categorie secondo una scala utilizzata principalmente per
il mercato italiano, che assorbe la maggior
parte della produzione dello stoccafisso
dell’area: infatti le varie regioni italiane sono
alquanto esigenti, come evidenzia appunto la nostra richiesta di numerosi e differenti standard.
Il merluzzo utilizzato nella produzione dello stoccafisso proviene da pesce rigorosamente fresco proveniente dalla pesca costiera, mentre generalmente il merluzzo utilizzato per la produzione del baccalà proviene dalla pesca off-shore.
Nel “saltfisk” il merluzzo viene esclusivamente salato attraverso differenti tecniche:
il processo di salagione attualmente più diffuso prevede l’utilizzo della tecnica del
“pikling” nella prima fase per la durata di
5/10 giorni, seguita poi dal “dry salting” per
altre due settimane fino all’ottenimento di
un prodotto con una percentuale di acqua
pari al 55%.
Il “dry salting” consiste nel disporre il pesce
diviso in strati, intervallati da un’abbondante quantità di sale marino in un contenitore
forato nella parte inferiore, dalla quale defluisce l’essudato formatosi.
Un processo simile riguarda il “pikling” nel
quale tuttavia l’essudato non abbandona il
contenitore e rimane in contatto con il pesce: il prodotto finito, ovvero il baccalà,
viene così classificato sotto tre categorie
commerciali: imperial, universal and mix.
Con il termine “klippfisk” (dal norvegese
“klippe”) che significa roccia, per indicare
che originariamente dopo la salagione il
pesce veniva disposto sulle rocce in riva al
mare per l’essiccamento, eccezion fatta per
i periodi di cattivo tempo durante i quali
veniva rientrato, si identifica il merluzzo salato e successivamente essiccato.
Oggigiorno tutta la produzione avviene in
filiera, dove si utilizzano appositi forni per
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l’essiccamento, solitamente per 24-48 ore
a 20-25 °C fino ad ottenere un contenuto
di acqua attorno al 48 %.
Il prodotto finito viene classificato in quattro categorie: imperial, universal, popular
and mix (in Italia il prodotto viene spesso
chiamato baccalà secco o semplicemente
baccalà).
L’idea diffusa che un merluzzo di modeste
qualità potesse migliorare con la salagione o
con l’essiccamento è stata del tutto smentita
da recenti esperimenti condotti dal centro
di ricerca Fiskeriforskning di Tromsø: tali studi dimostrano che, sebbene durante il processo di salagione i difetti nella qualità del
pescato sembrano scomparire, essi tornano evidenti durante la reidratazione del
pesce, con conseguenti reclami da parte
delle nazioni importatrici.
Quali sono quindi i parametri che determinano una buona qualità del prodotto
finale?
Negli ultimi decenni particolare attenzione
nella ricerca scientifica è stata finalizzata alla qualità del pescato in relazione all’attrezzo da pesca utilizzato ed alle modalità
di processamento del pesce a bordo.
Per la prima volta, studi condotti dal Fiskeriforskning (centro norvegese di ricerca sulla
pesca e sull’aquacoltura il quale vanta numerose collaborazioni con l’università di
Tromsø) hanno analizzato il merluzzo in tutte le fasi della filiera produttiva, dalla cattura fino al prodotto finito, mediante marcatura dei singoli esemplari. Tali studi includono l’analisi dettagliata di una estesa serie
di danneggiamenti a cui il pesce può essere sottoposto in relazione ai principali attrezzi da pesca utilizzati: reti, Danish sein,
palangari e lenze a mano.
Alla destra: esemplare di merluzzo nordico (Gadus morhua) senza nessun tipo di danno. Al centro con le classiche strisce provocate dalle reti da
posta. Alla sinistra con tagli causati dall’utilizzo
della “gaff” nella pesca con il palangaro.
(Foto di Sjurdur Joensen, Fiskeriforskning).
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Tutti questi parametri sono stati integrati in
una scala di valutazione che racchiude cinque principali categorie di difetti e per ogni
voce una scala a tre criteri di valutazione
(vedasi tabella): in futuro l’applicazione di
questi parametri nell’industria della pesca
potrebbe portare ad una diversa remunerazione del pescato basata sulla qualità,
opzione ancora raramente usata.
Lavorazione del merluzzo a bordo
La migliore qualità del merluzzo si ottiene
quando il pesce viene issato ancora vivo a
bordo, lasciato dissanguare per circa mezz’ora in acqua fredda corrente (vedasi foto).
Segue poi la decapitazione (operazione
che se non effettuata correttamente conduce ad una perdita di carne) e l’eviscerazione, durante la quale viene conservato il fegato, successivamente processato per ottenere il famoso olio di fegato di merluzzo
(“tram”), utilizzato a queste latitudini come
fonte importante di “omega 3 (acidi grassi
polinsaturi)”.
Dalle teste dei merluzzi più grandi viene
poi prelevato il mammellone linguale che
diventerà una delicatezza norvegese conosciuto sotto il nome di “Torsketunge”.
Le teste, quando non rigettate in mare, vengono sbarcate per essere essiccate e vendute come farina animale o esportate in Nigeria, dove vengono usate come tradizio-
Operazioni di pesca a bordo dell’imbarcazione
“Eva Marie” operante con gillnets. Il merluzzo nordico (Gadus morhua) dopo la cattura viene lasciato dissanguare nel “bleeding tank” ben visibile sulla destra della foto. Lofoten, Aprile 2005.
nale fonte di alimentazione umana.
L’ultima frontiera per il baccalà consiste in
un innovativo metodo per la sua dissalazione brevettato da Fiskeriforskning: al posto del normale processo, che consiste semplicemente nel lasciare il baccalà in acqua
corrente per 24-48 ore, l’acqua viene invece messa sotto pressione, tramite aghi, direttamente nel muscolo e di seguito il filetto è sottoposto ad una centrifugazione a
bassa velocità sotto vuoto. Con questa tecnologia si riesce ad ottenere un prodotto
dissalato in 4/5 ore e quindi effettuare una
possibile commercializzazione del prodotto già pronto per il consumo...
ai posteri l’ardua sentenza!
Indice di qualità per il merluzzo nordico (Gadus morhua), pescato mediante l’utilizzo di reti, palangari, lenze a mano o Danish seine (Sjurdur Joensen, Fiskeriforskning).
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