L`Eco di Bergamo 13 Maggio 2016 - Nove lune

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L`Eco di Bergamo 13 Maggio 2016 - Nove lune
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L’ECO DI BERGAMO
VENERDÌ 13 MAGGIO 2016
EcoWeekend Sapori & piaceri
NUOVO CONSIGLIO DIRETTIVO
Angela Maculan
al «Veronelli»
trent’anni esatti dalla fondazione, avvenuta il 5 maggio del
1986, il Seminario
Permanente Luigi
Veronelli – che ha sede a Bergamo in viale delle Mura 1 – rinnova il consiglio direttivo. In particolare, il compito di guidare il
nuovo consiglio direttivo spetterà ora ad Angela Maculan, figlia
di Fausto – promotore attivo del
rinascimento del vino italiano –
A
e rappresentante di un’azienda
che ha saputo imporsi, scrivendo
un nuovo capitolo della secolare
storia dei vini di Breganze (Vicenza). I nuovi consiglieri sono:
Paolo Pizziol, direttore dell’azienda Villa (Monticelli Brusati, Brescia); Alessio Fornasetti,
titolare di Torre San Quirico (Azzate, Varese); Fabio Contini, al
secondo mandato da consigliere
e patron, con la moglie Annalysa,
dell’azienda Rossi Contini (Ova-
da, Alessandria); Giuseppe Piazza, co-fondatore di Nordest Innovazione (Vicenza), società di
consulenza aziendale per l’organizzazione e la gestione delle imprese con competenze specifiche nel mondo vitivinicolo. Alle
esperienze e alle competenze del
Consiglio Direttivo si aggiungono quelle di una squadra affiatata, coordinata dal confermato
direttore Andrea Bonini. Più info
su www.seminarioveronelli.com
La sfida. Cenate Sopra: Alessandro Sala, commercialista, primo in Lombardia
a produrre varietà ottenute incrociando la «vitis vinifera» europea,
ovvero le uve da vino, con la vite di origine americana, resistente ai malanni
IN VALPREDINA
VINO SUPERBIO
L’etichetta Nove Lune
Alessandro Sala nel suo vigneto «superbio» in Valpredina
ELIO GHISALBERTI
lessandro Sala non è
giovanissimo ma ha
l’entusiasmo di chi,
neolaureato, ha una
voglia irrefrenabile
di cimentarsi con la
pratica. Non per nulla l’appuntamento per intervistarlo è nel vigneto che ha realizzato in Valpredina, l’oasi Wwf in territorio di
Cenate Sopra.
Tra le giovani viti impiantate
negli ultimi tre anni trascorre,
infatti, gran parte del suo tempo.
In totale si tratta di un solo ettaro.
La lavorazione, però, per scelta
totalmente manuale, richiede la
presenza giornaliera, nonostante
i vitigni appartengano tutti alla
speciale categoria dei «Piwi»,
acronimo di un impronunciabile
termine tedesco che significa
«naturalmente resistenti alle
malattie fungine» e che, per sem-
A
A4IZsmBIg9+MI5TEb59+0xWjV2Jo6p8xw3k/JpvTd5A=
plicità, in italiano è stato tradotto
con «superbio». In pratica si tratta di nuove varietà ottenute incrociando la «vitis vinifera» europea (le nostre uve da vino) con la
vite di origine americana. Quest’ultima, trasmettendo il suo dna
resistente agli attacchi delle più
diffuse e dannose malattie della
vite, rende inattaccabile anche la
nuova varietà, che attraverso accurati sistemi di riproduzione
mantiene gran parte del patrimonio genetico della «vitis vinifera»
europea da cui deriva. I primi a
dedicare studi e ricerca in materia sono stati i tedeschi (da cui il
nome originale), seguiti dai francesi e, infine, da noi italiani, che
ora vantiamo una scuola ben avviata, soprattutto a Rauscedo, in
Friuli. Per quanto riguarda, invece, la pratica di campo, con la
produzione continuativa in cantine attrezzate, si segnalano al-
l’avanguardia i vignaioli dell’Alto
Adige, vuoi per la parentela linguistica con i luoghi dove lo studio è iniziato, vuoi per una più
marcata sensibilità al tema della
sostenibilità ambientale. È quest’ultimo infatti il fattore determinante che ha spinto i ricercatori a mettere a punto i «superbio»,
vitigni naturalmente resistenti e
quindi bisognosi di minuti tutele
sanitarie, alias trattamenti. «Ne
sono bastati un paio anche nella
disgraziatissima annata 2014,
quando i vigneti di varietà convenzionali sono stati trattati decine di volte. Idem l’anno scorso,
seppure per motivi diametralmente opposti. Ma in un’annata
con andamento climatico regolare – garantisce Sala – è possibile
che in un vigneto così ben areato
e protetto, come questo in Valpredina, non si debba intervenire per
nulla». Impatto zero o quasi, dun-
que. Ma come è venuto in mente
a un dottore commercialista
– Sala dopo avere conseguito la
prima laurea in Economia e Commercio ha svolto la professione
per una ventina d’anni – di cambiare radicalmente vita? «Ho
sempre sentito dentro il desiderio di fare qualcosa nel mondo
agricolo e, specialmente, in quello vitivinicolo. Complice la crisi
dell’economia e una serie di situazioni contingenti, compresa l’avvenuta possibilità di rilevare questo terreno e l’annessa cascina
dove a breve inizieremo i lavori
per trasformarla in cantina, ho
deciso di dedicarmi a ciò che più
mi appassiona. Mi sono iscritto
al corso di laurea breve in Enologia, ma avevo già ben chiaro che
avrei voluto intraprendere la
strada del “superbio”. Perciò,
contemporaneamente, ho dato il
via alla sperimentazione dei vitigni, dedicando all’esperienza diretta anche la tesi di laurea da
presentare al professor Valenti
(si veda l’articolo qui a fianco,
ndr)».
Il vigneto attuale è dunque figlio della sperimentazione. «Abbiamo scelto i vitigni che ci hanno
più convinto. Quattro bianchi,
solaris, bronner, helios e joanhitter, e un rosso, il prior. Recentemente la Regione li ha inseriti
nell’elenco degli autorizzati. Io
ho iniziato, primo in Lombardia,
a coltivarli, con l’intento di strutturare un’azienda vitivinicola,
seppur piccola. La filosofia, che
sta alla base della produzione dei
“superbio” è, infatti, contraria
alla vitivinicoltura che si pone
come obiettivo la quantità e la
concorrenza sui prezzi. Fare vini
qualitativamente validi, dotati di
una forte identità, nel rispetto
assoluto dell’ambiente: questo è
lo spirito che mi anima». La produzione vera e propria, con l’etichetta Nove Lune (nome che richiama romanticamente l’aspirazione a una vitivinicoltura no-veleni), inizierà, dunque, con la
prossima vendemmia. I primi vini saranno disponibili nella primavera del 2018. Solo allora si
potrà esprimere un giudizio non
solo “spirituale”».
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Una produzione
dal basso impatto
ambientale
Leonardo Valenti, docente e ricercatore del corso di
Viticoltura ed Enologia all’Università di Milano, ha seguito
passo passo il progetto di Alessandro Sala. Ha avuto modo di
partecipare anche alle sedute di
assaggio dei vini ottenuti dalle
microvinificazioni che sono state propedeutiche all’impianto
del vigneto.
Lo conosciamo da molti anni:
di lui ci si può fidare perché,
oltre a essere un profondo conoscitore della materia, dice quel
che pensa. Gli domandiamo come sono i vini dell’ex allievo
Sala? «Interessanti, soprattutto
il Solaris, bianco con buona
struttura, acidità sostenuta,
spiccata aromaticità. Ma anche
gli altri sono promettenti: non
lo fossero stati non avremmo
appoggiato il progetto». Che è
il primo in Lombardia realizzato con lo scopo preciso di realizzare una cantina dedicata esclusivamente alla produzione di
vino «superbio», non è vero?
«Credo proprio di sì. Altri stan-
no sperimentando vitigni resistenti, ma all’interno di aziende
che coltivano anche vitigni, diciamo così, convenzionali». Voi
ricercatori che ne pensate: saranno resistenti i vitigni del futuro? «Io credo che non andranno mai a sostituire i vitigni tradizionali nei territori particolarmente vocati e già riconosciuti Docg o Doc. Credo, tuttavia, che troveranno spazio nelle
zone meno fortunate dal punto
di vista pedoclimatico e in quelle dove la vitivinicoltura convenzionale non ha saputo ancora esprimere vini di grande personalità. C’è, poi, da tenere conto del basso impatto ambientale: è un valore molto importante, destinato a diventare fondamentale in futuro». Nella Bergamasca potranno giocare un
ruolo importante? «È probabile, anche perché, tolto il Moscato di Scanzo Docg che deriva
dall’omonimo vitigno autoctono, non ci sono vini particolarmente e fortemente caratterizzati».
Il professor Leonardo Valenti al banco d’assaggio
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