- Mevaobep

Transcript

- Mevaobep
M. Laura Gemelli Marciano
Democrito e l’Accademia
Studia Praesocratica
Herausgegeben von / Edited by
M. Laura Gemelli Marciano · Richard McKirahan
Oliver Primavesi · Christoph Riedweg
Gotthard Strohmaier · Georg Wöhrle
Band 1
≥
Walter de Gruyter · Berlin · New York
Democrito e l’Accademia
Studi sulla trasmissione dell’atomismo antico
da Aristotele a Simplicio
di
M. Laura Gemelli Marciano
≥
Walter de Gruyter · Berlin · New York
앝 Gedruckt auf säurefreiem Papier,
앪
das die US-ANSI-Norm über Haltbarkeit erfüllt.
ISBN 978-3-11-018542-3
Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek
Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen
Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet
über http://dnb.d-nb.de abrufbar.
쑔 Copyright 2007 by Walter de Gruyter GmbH & Co. KG, 10785 Berlin.
Dieses Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung
außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages
unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen.
Printed in Germany
Einbandgestaltung: Christopher Schneider, Berlin
Druck und buchbinderische Verarbeitung: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen
A Clarisse
Premessa
Questo lavoro è la rielaborazione della mia Habilitationsschrift approvata
dalla Philosophische Fakultät I di Zurigo nel semestre estivo 1995. E' passato
da allora molto tempo. La ragione di questa lunga gestazione sta principalmente nel fatto che, immediatamente dopo la libera docenza, mi sono
dedicata ad una edizione commentata di una larga scelta di frammenti dei
cosiddetti presocratici anch'essa in fase di pubblicazione. In ogni caso il
lavoro sulle fonti e i problemi che avevo allora impostato sono, a mio
avviso, a tutt'oggi estremamente attuali. Negli anni trascorsi dalla prima
stesura di questo testo la ricerca sull'atomismo antico, se si esclude lo studio di P.-M. Morel, Démocrite et la recherche des causes, Paris 1996, che però
coinvolge una tematica più ampia ed è condotto con metodi e scopi diversi rispetto a questo lavoro, non ha registrato grandi progressi per
quanto riguarda l'analisi delle fonti. La Quellenforschung sembra essere passata di moda soprattutto fra gli storici della filosofia. Eppure, proprio lo
studio dell'atomismo antico, che conosciamo in grandissima parte solo
attraverso la trasmissione indiretta, non può prescindere da una analisi
precisa e dettagliata dei contesti e delle tradizioni attraverso cui le testimonianze sono state tramandate. Dato che spesso le dottrine di Democrito e
Leucippo vengono viste attraverso "gli occhiali aristotelici", ho cercato qui
innanzitutto di esaminare la fattura di questi "occhiali" e mi è sembrato di
poterne ricondurre in parte la fabbricazione anche più indietro, alla discussione delle aporie eleatiche e alla formulazione delle tesi basilari dell'atomismo nell'Accademia platonica. Da Aristotele ho preso poi le mosse per
individuare anche nella tradizione successiva diverse linee di trasmissione
che hanno generato una certa oscillazione nella definizione dell'indivisibilità dell'atomo leucippeo e democriteo nelle fonti tarde. Lascio al lettore
più o meno benevolo il compito, certamente non facile, di seguire questi
percorsi e di trovarne eventualmente dei nuovi. Questa via comporta anche la formulazione di ipotesi, ma la ricerca sugli atomisti e sui presocratici
in genere è costellata di ipotesi e le varie teorie sull'indivisibilità dell'atomo
sviluppate da una certa tradizione esegetica moderna lo dimostrano ampiamente. Se il lavoro di "scavo" da me fatto nella direzione della Quellenforschung e nel tentativo di ancorare l'atomismo antico al contesto culturale
del V sec. a.C. contribuirà a scardinare alcuni luoghi comuni, a far vacillare
VIII
Premessa
delle sicurezze e a rimettere in moto una discussione costruttiva, lo scopo
sarà raggiunto al di là delle inevitabili critiche che ne seguiranno.
Desidero qui dunque ringraziare J. Barnes che, come relatore esterno
di questa tesi, è stato il primo a sollevare obiezioni costruttive, di cui
alcune mi hanno indotto a correzioni, altre mi hanno stimolato ad approfondire ulteriormente la ricerca nella direzione da me imboccata. Nonostante il nostro metodo esegetico e la nostra interpretazione non solo
dell'atomismo, ma dei presocratici in genere divergano sostanzialmente nei
metodi e nei risultati, ho trovato in lui un interlocutore intelligente e disponibile e uno stimolante dialettico.
La mia più grande riconoscenza va al mio maestro, Walter Burkert,
che ha ispirato, seguito e incoraggiato questo lavoro anche in momenti
estremamente difficili per la mia storia personale. Le conversazioni con lui
su questo e su altri temi della cultura antica sono per me, a tutt'oggi, una
sorgente inesauribile di arricchimento scientifico e personale.
Un ringraziamento infine a mio marito Dino, senza il cui costante
supporto questo libro non avrebbe potuto essere portato a termine, e
soprattutto a Clarisse che, irrompendo gioiosamente e talvolta con un
pizzico di impertinenza nel mio "spazio di ricerca", mi ha costantemente
ricordato che l'impegno scientifico non è produttivo e creativo se non è
ancorato ad una realtà viva e globale. A lei è dedicato questo libro.
Giubiasco, 20 Aprile 2007
M. Laura Gemelli Marciano
Indice
Premessa ............................................................................................................. VII
Introduzione
1. Considerazioni generali................................................................................... 1
2. Trasmissione e ricezione dell'atomismo antico
da Aristotele a Simplicio ..................................................................................... 4
2. 1. Democrito nella tradizione medica ............................................ 6
2. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale ........ 10
2. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnici
e di storia naturale ............................................................................... 12
2. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche ...................... 13
3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico .......................................... 23
4. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo........................... 29
5. Osservazioni metodologiche......................................................................... 34
Capitolo primo. Platone e Democrito
1. Considerazioni generali.................................................................................. 42
2. Democrito e Platone nella tradizione biografica ....................................... 47
3. Sintesi................................................................................................................ 58
Capitolo secondo. Principi corporei/ incorporei. Atomisti antichi,
Platone, Accademici, da Aristotele a Simplicio
1. Il compito del vero fisico............................................................................... 59
2. La gigantomachia del Sofista e lo schema principi corporei/ incorporei
in Aristotele.......................................................................................................... 61
3. Platone e Democrito in Teofrasto ............................................................... 65
4. La tradizione "diafonica": Accademici contro atomisti in
Sesto Empirico Adv. Math. 10,248-262 (121 L.)............................................. 68
4. 1. Autenticità della polemica antiatomista nell'excursus
di Sesto.................................................................................................... 74
4. 2. Senocrate "figlio dei Pitagorici" e la polemica antiatomista .. 79
4. 3. Una fonte scettica per Sesto ....................................................... 84
5. La tradizione "sinfonica" sui principi di Platone e Democrito................ 90
5. 1. Plutarco De prim. frig. 948 A-C (506 L.)..................................... 91
5. 2. Galeno e i principi di Platone:
PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) ...................................... 92
X
Indice
6. Simplicio sui principi di Democrito e Platone ........................................... 95
6. 1. Simpl. In Phys. 188a 17, 179,12 ................................................... 97
6. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss.
(67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.) ......................................................... 99
6. 3. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10-566,16
(68 A 120 DK; 171 L) ....................................................................... 102
7. Sintesi.............................................................................................................. 107
Capitolo terzo. Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
1. Considerazioni generali................................................................................ 109
2. Leucippo e gli "Eleati" ................................................................................. 110
2. 1. Il logos eleatico in Aristotele (De gen. et corr. A 8, 325a 2-23):
considerazioni generali ....................................................................... 111
2. 2. Gli strati del logos eleatico .......................................................... 118
2. 2. 1. Lo schema sofistico ........................................................118
2. 2. 2. Le problematiche accademiche del logos:
vuoto, contatto e divisione ......................................................... 122
3. Logoi eleatici nell'Accademia? ......................................................................127
3. 1. Il logos eleatico di Porfirio 135 F Smith
(Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24)........................................................ 127
3. 2. "Concedere ai logoi". Aporie eleatiche e loro soluzione
(Arist. Phys. A 3, 187a 1) ................................................................... 133
4. I logoi di Leucippo: De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11
(67 A 7 DK; 146 L.)......................................................................................... 137
4. 1. La prima parte del logos di Leucippo
(De gen. et corr. A 8, 325a 23-30)........................................................ 140
4. 1. 1. Vuoto e movimento ....................................................... 141
4. 1. 2. Vuoto e non essere ......................................................... 143
4. 1. 3. Atomi e uno .....................................................................144
4. 2. Altre prospettive sul vuoto atomistico ...................................... 145
4. 2. 1. Vuoto e non essere: mh; ma'llon to; de;n h] to; mhdevn
(68 B 156 DK; 7, 78 L.)............................................................. 146
4. 2 .2. Vuoto e vuoti. Modalità e funzioni ............................. 152
4. 3. La seconda parte del resoconto aristotelico
(De gen. et corr. A 8, 325a 30-b 11) ............................................ 155
5. Atomisti ed Eleati in Teofrasto e nelle testimonianze tarde .................. 158
5. 1. Theophr. Fr. 229 FHS&G
(Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.)............... 158
5. 2. Le testimonianze tarde sui rapporti degli atomisti con gli
Eleati ..................................................................................................... 161
6. Sintesi.............................................................................................................. 163
Indice
XI
Capitolo quarto. La dimostrazione della necessità degli indivisibili
(De gen. et corr. A 2)
1. Considerazioni generali................................................................................ 165
2. Democrito e gli Accademici sugli indivisibili: il preambolo
aristotelico (De gen. et corr. A 2, 315b 28-316a 14) ........................................ 169
3. Le due parti del logos sugli indivisibili......................................................... 172
4. Il logos sugli indivisibili. Prima parte. Motivi accademici e
rielaborazioni aristoteliche ............................................................................... 173
4. 1. Divisione mentale e divisione reale
(De gen. et corr. A 2, 316a 15-29) ....................................................... 173
4. 2. Corpi e grandezze indivisibili ................................................... 176
4. 3. Punti, segatura e affezioni
(De gen. et corr. A 2, 316a 30-b 16) .................................................... 177
5. La seconda parte del logos. La dimostrazione "fisica" della
necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2, 316b 18-35) ........................ 183
6. Sintesi.............................................................................................................. 186
Capitolo quinto. Atomi e minimi. Concetti accademici e
terminologia democritea in Aristotele
1. Minimo privo di parti come misura nell'Accademia ............................... 188
2. Atomi e minimi. L'interpretazione matematizzante
dell'atomo in Aristotele .................................................................................... 194
3. Terminologia accademica nelle denominazioni degli atomi in
Aristotele ............................................................................................................ 205
4. Terminologia atomista in Aristotele .......................................................... 211
5. Sintesi.............................................................................................................. 218
Capitolo sesto. L'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito
nella dossografia tarda
1. Tradizione epicurea e peripatetica:
atomo indivisibile per la solidità ..................................................................... 220
2. Atomi privi di qualità e indivisibili per la solidità.
La tradizione stoicizzante: Accademia scettica e classificazioni
posidoniane ........................................................................................................ 224
2. 1. La critica all'atomo indivisibile e privo di qualità
nell'Accademia scettica....................................................................... 227
2. 1. 1. Cicerone. De natura deorum, Academica............................. 227
2. 1. 2. Plutarco. Contro Colote........................................................ 228
2. 2. La vulgata di matrice posidoniana ........................................ 231
3. Atomo indivisibile per la piccolezza e minimo fisico
negli autori tardi................................................................................................. 234
XII
Indice
3. 1. Le premesse. Epicuro fra l'Accademia e Aristotele:
atomi solidi e minimi dell'atomo ...................................................... 235
3. 2. Epicuro contro atomisti antichi sull'indivisibilità dell'atomo
nella tradizione dossografica e negli autori di età imperiale ......... 243
3. 2. 1. Lattanzio........................................................................... 245
3. 2. 2. Pseudo-Plutarco .............................................................. 252
3. 2. 3. Galeno .............................................................................. 257
3. 2. 4. Teodoreto......................................................................... 261
3. 3. Minimo privo di parti ed epitomi dossografiche................... 264
3. 4. Atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti:
atomisti antichi, Aristotele, Epicuro
nei commentatori neoplatonici ......................................................... 266
4. Sintesi.............................................................................................................. 275
Capitolo settimo. L'atomismo antico e il suo contesto culturale
1. Costrizioni cosmiche e vulnerabilità dei corpi. Per una definizione
dei fondamenti eterni ...................................................................................... 278
2. Il grande vuoto: cosmologie orfiche ed embriologia nella cosmogonia
di Leucippo. Per una ridefinizione del vuoto atomistico............................ 284
3. Stavsi" e aggregazione: immagini socio-politiche nella cosmogonia
di Democrito...................................................................................................... 288
4. Effluvi, eidola e inalterabilità dell'atomo..................................................... 290
5. Atomi e pulviscolo: per una ridefinizione dell'atomo ............................. 292
6. Il metodo........................................................................................................ 296
6. 1. Il sostrato "tecnico" del "metodo" democriteo:
caso e causalità..................................................................................... 296
6. 2. La visione dell'invisibile............................................................. 298
6. 2. 1. Visualizzare l'invisibile: l'immagine analogica ............... 299
6. 2. 2. Riconoscere i segni:
i mediatori dell'invisibile e l'esercizio della gnwvmh..................... 305
6. 2. 3. La difficoltà dell'impresa: dichiarazioni "scettiche" e
ottimismo corporativo. Per una revisione dello "scetticismo"
democriteo ..................................................................................... 311
7. Democrito e il Corpus Hippocraticum............................................................ 313
8. Sintesi.............................................................................................................. 320
Sintesi generale .................................................................................................. 323
Bibliografia ......................................................................................................... 330
Indice dei passi .................................................................................................. 352
Introduzione
1. Considerazioni generali
Il complesso di osservazioni e dottrine attribuite a Leucippo e Democrito
ha sofferto, forse più di altri, delle rielaborazioni e dei travisamenti della
trasmissione indiretta. La riemergenza in età ellenistica dell'atomismo nella
forma codificata da Epicuro ha contribuito in larga parte alla scomparsa
delle opere di questi autori dall'orizzonte dei dotti antichi. Il fatto poi che
nella biblioteca di Simplicio, la fonte più copiosa di citazioni letterali dei
presocratici, non si trovassero testi originali degli atomisti ha definitivamente cancellato la possibilità di recuperarli. Di Leucippo non è rimasto
neppure un brandello1. Di Democrito, a fronte delle numerose gnomai
etiche, è sopravvissuta solo una manciata di frammenti fisici di cui è assai
difficile ricostruire il contesto. Tutto il resto sono resoconti mediati dalla
tradizione indiretta. Come è stato più volte sottolineato in questi ultimi
decenni negli studi sulla storiografia filosofica antica, gli interpreti antichi
non erano interessati ad una resa "alla lettera" degli autori di cui trattavano
le opinioni, ma ad un loro inserimento nella problematica di volta in volta
trattata secondo una certa ottica. E' sintomatico il fatto che Aristotele e
Teofrasto, coloro che hanno costituito il modello per questa storiografia
filosofica, raramente riportino citazioni letterali. I loro resoconti mirano
soprattutto a cogliere la diavnoia di quanto i loro predecessori hanno
detto, vale a dire ad estrapolare da testi talvolta oscuri e soprattutto nati in
un clima culturale diverso da quello dell'Atene del IV sec. a.C., quello che
essi hanno potuto comprendere nell'ottica del problema che stanno discutendo. Questo è naturalmente gravido di conseguenze per la forma e
per il contenuto del resoconto stesso. L'immagine dell'atomismo antico
che ci rimandano Aristotele, Teofrasto e in generale le fonti antiche costituisce dunque una visione filtrata da quelli che O'Brien ha indicato con
1
Quella che viene riportata da Stobeo 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) al Peri; nou' di Leucippo
(un'opera indicata invece come democritea nel catalogo di Trasillo) è sicuramente dovuta
ad una confusione di lemmi (la doxa precedente, quasi simile a questa, viene attribuita a
Parmenide e Democrito), cf. Diels 1879, 321 app. ad loc., Rohde 1881 [I, 1901, 249 n. 2].
2
Introduzione
una espressione felice come pré-jugé (nel senso etimologico di "opinione
anteriore ad un giudizio", accettata senza essere sottoposta ad esame) e
pré-supposé ("trama concettuale implicita preesistente" che costituisce il
sistema di riferimento dell'esegeta e attraverso la quale viene filtrata ogni
notizia). Soprattutto quest'ultimo, agendo a livello subliminale, preclude
all'interprete la reale comprensione di ciò che non è conforme alla sua
cultura e alle sue forme di pensiero2.
Queste due categorie condizionano tuttavia non solo la trasmissione
antica, ma anche l'interpretazione moderna. Si tratta di un problema riproposto sempre più frequentemente nella storia della filosofia degli ultimi
decenni, ma risolto a volte troppo sbrigativamente con l'affermazione che
ogni tentativo di interpretare la cultura del passato è comunque una costruzione basata su pre-giudizi e pre-supposti e che una interpretazione
"filosofica" deve estrarre quei "nuclei" di pensiero, quelle idee che, pur
non espresse nella forma che hanno assunto in epoche posteriori, hanno
avuto uno sviluppo produttivo per la storia della filosofia fino ai nostri
giorni3. E' opportuno fare qualche precisazione su questo punto perché
l'interpretazione dell'atomismo antico, da Aristotele in poi, ha sofferto più
di ogni altra delle conseguenze di questa prospettiva.
Il problema della "traduzione" da un sistema culturale all'altro e della
commensurabilità delle culture è un tema su cui gli antropologi discutono
da più di mezzo secolo passando attraverso posizioni perfettamente parallele a quelle sopra citate e riconoscendone i limiti e i pregi. Da queste
discussioni, però, essi hanno imparato a riflettere sui propri metodi e sui
propri presupposti traendone stimoli per allargare il loro orizzonte metodologico. Così Tambiah (1993, 157) sintetizza il compito dell'antropologo
rispetto al problema della traduzione delle culture
La «traduzione delle culture» implica la cosiddetta «doppia soggettività», caratteristica del modo in cui oggigiorno si praticano le scienze sociali, ma estranea alle
scienze fisiche. La doppia soggettività implica simpatia ed empatia oltre che distanza e neutralità da parte di colui che osserva, analizza e interpreta i fenomeni
sociali: l'osservatore deve prima addentrarsi quanto più possibile «soggettivamente» nella mente degli attori e comprenderne le intenzioni e le reazioni alla
luce delle loro categorie di significato, e dopo, o contemporaneamente, deve distanziarsi da quei fenomeni e tradurli o disegnarli secondo il linguaggio comune e
le categorie occidentali, cosa che a sua volta favorisce un processo di autoanalisi,
attraverso cui approfondiamo la comprensione di noi stessi, delle nostre valutazioni e dei nostri presupposti culturali.
Questa prospettiva mi sembra estremamente utile per definire anche un
metodo di approccio agli atomisti e ai cosiddetti presocratici in generale.
2
3
O'Brien 1982, 189s.
Cf. e.g. Makin 1993.
Introduzione
3
Gli storici della filosofia tendono infatti a saltare il primo gradino dell'analisi, quello dell'empatia, del tentativo (per quanto difficile e limitato da
impedimenti oggettivi) di sintonizzarsi attivamente col contesto culturale
dell'autore esaminato, di capire quale mondo si nasconda al di là della
diavnoia che i vari interpreti antichi hanno attribuito alle sue affermazioni.
Come causa del rifiuto di penetrare in questa atmosfera viene generalmente addotto il fatto che il materiale a disposizione per ricostruire il
contesto culturale dell'autore è scarso e parziale. Questo è vero solo in
parte. Spesso, anche quando c'è, si rifiuta insistentemente di prenderne
atto perché lo si giudica di scarso interesse filosofico4. In generale si ignora
la possibilità di aprire la prospettiva a testi di altro tipo, anche contemporanei all'autore studiato, ad eventuali testimonianze storiche e archeologiche e si fa come se intorno a lui non ci fosse stata una vita sociale, politica
e un clima culturale specifico. Emarginare questo genere di ricerca dalla
storia della filosofia non è dunque una opzione giustificata dal taglio "filosofico", ma una omissione che, oltre a perpetuare in modo irriflesso i
presupposti teorici su cui sono basati i giudizi e le analisi moderne, fa
perdere di vista le reali dimensioni della dottrina stessa.
La storia delle interpretazioni dell'atomismo antico da Aristotele fino
alla tarda antichità, per la natura stessa dei presupposti più o meno esplicitati dagli autori, è dunque marcata dalla "traduzione anempatica" in categorie culturali eterogenee. Non si tratta qui di dare un giudizio di valore,
ma di riconoscere un dato di fatto che deve essere tenuto ben presente
all'atto della valutazione delle fonti. Anch'esse hanno bisogno di una contestualizzazione. Questo discorso vale non solo per i resoconti indiretti,
ma anche per le citazioni letterali. Anche queste si inseriscono in un contesto pre-supposto e vengono finalizzate alla dimostrazione di tesi diverse
da quella originaria. Dunque, laddove ci sono delle citazioni letterali o
presunte tali, in particolare negli autori tardi, non c'è necessariamente an4
Paradigmatica a questo proposito è la posizione di Barnes 1982, XVI: "In speaking slightingly of history I had two specific things in mind—studies of the 'background' (economic, social, political) against which the Presocratics wrote, and studies of the network of
'influences' within which they carried on their researches. For I doubt the pertinence of
such background to our understanding of early Greek thought[…]. I am sceptical, too, of
claims to detect intellectual influences among the Presocratics. The little tufts of evidence
which bear upon the chronology of those early publications are, as I observed in more than
one connection, too few and too scanty to be woven into the sort of elegant tapestry which
we customarily embroider in writing the histories of modern philosophy. Much of the historical detail with which scolarship likes to deck out its studies is either merely impertinent
or grossly speculative". E' curioso osservare come proprio l'autore di una ricostruzione su
base analitica altamente speculativa del "pensiero" dei cosiddetti presocratici proietti questa
caratteristica sulle ricostruzioni del contesto storico-culturale di questi personaggi. Sull'interpretazione decontestualizzata in particolare di Parmenide ed Empedocle, cf. Kingsley
1995a, 2002, 2003.
4
Introduzione
che una conoscenza diretta del testo integrale e, soprattutto, non c'è una
interpretazione neutrale. La citazione letterale, estrapolata già in origine
dal proprio contesto, si è spesso tramandata anche quando l'opera intera
non era più letta o era andata perduta5. La trasmissione all'interno di una
tradizione specifica ha giocato in alcuni casi un ruolo di primo piano e
talvolta si è imposta anche quando il citatore conosceva di prima mano i
testi: il famoso verso di Parmenide: ouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh;
ejovnta (28 B 7,1 DK) citato in questa forma metricamente zoppicante da
Platone6, viene riprodotto tale e quale da Aristotele7 e da Simplicio che
pure riporta una porzione più ampia del testo parmenideo8. La presenza di
citazioni letterali non è dunque una prova inconfutabile della conoscenza
o dell'utilizzazione diretta da parte del citatore del testo integrale di un'opera e tantomeno dell'intera produzione dell'autore citato e, soprattutto,
nasconde le stesse insidie del pre-giudizio e del pre-supposto della trasmissione indiretta.
Queste premesse sono indispensabili in quanto l'argomento discusso
nel presente lavoro è caratterizzato dal problema della trasmissione nella
sua più acuta ed estrema manifestazione, dunque può essere affrontato e
trattato solo attraverso una dettagliata analisi delle fonti, ma anche con lo
sguardo rivolto al contesto culturale del V sec. a.C. in cui Leucippo e Democrito hanno vissuto e agito.
2. Trasmissione e ricezione dell'atomismo antico
da Aristotele a Simplicio
Dal momento che la fisica leucippea e democritea si è trasmessa quasi
esclusivamente per via indiretta, si rende innanzitutto indispensabile una
breve panoramica sulla ricezione di Democrito e di Leucippo nell'antichità
per definire preliminarmente e brevemente i percorsi di questa trasmissione. E' opportuno, però, premettere che Leucippo viene citato da solo
unicamente in alcuni passi di Aristotele e nei resoconti risalenti a Teofrasto. Quest'ultimo gli attribuiva il Mevga" diavkosmo"9 ritenendolo più antico
dei libri di Democrito e di Diogene di Apollonia; affermava infatti che
5
6
7
8
9
Cf. su questo Gemelli Marciano 1998.
Soph. 237a. La lezione tou'to damh'i che si legge nelle edizioni del Sofista è dovuta ad una
correzione operata dagli editori in base al testo del frammento in due codici di Simplicio, v.
infra, III 3. 2 n. 84.
Metaph. N 2, 1089a 3.
In Phys. 187a 1, 143,31. Per la discussione del passo, v. infra, III 3. 2 n. 84.
Diog. Laert. 9,46 (68 A 33 (III) DK; CXV (III) L.).
Introduzione
5
Leucippo era stato maestro dell'uno e modello per l'altro che lo aveva in
parte imitato10. Se Democrito nasce intorno al 460 a.C., la presunta data di
nascita di Leucippo dovrebbe cadere intorno al 500 a.C. e la sua attività
intorno agli anni '60 del V sec. a.C. Egli era dunque probabilmente un
contemporaneo di Anassagora e di Zenone e un poco più vecchio di Empedocle e di Melisso. Epicuro e il suo discepolo Ermarco11 ne mettevano
tuttavia in dubbio l'esistenza e Trasillo inseriva nel catalogo delle opere di
Democrito anche il Mevga" diavkosmo". La questione della storicità di Leucippo e della differenza fra le sue tesi e quelle democritee è stata molto
dibattuta alla fine del secolo scorso12. Oggi non è una priorità in quanto
non sembra possibile isolare l'uno dall'altro per lo meno per quanto riguarda la concezione dell'atomo. Democrito si distingue piuttosto per una
vasta produzione libraria che abbraccia tutti i campi della polymathia del
suo tempo compresa la letteratura tecnica. Al di là delle possibilità di distinzione delle dottrine vale però la pena tener conto di un fatto: se è Leucippo il primo ad aver formulato l'ipotesi di un mondo fatto di "atomi",
l'atmosfera in cui egli l'ha sviluppata è quella degli anni '60 non degli anni
'20 del V sec. a.C. Difficilmente egli può aver tenuto conto degli scritti di
Zenone o di Melisso o di Anassagora. Si pone dunque il problema della
filiazione eleatica nella forma espressa da Aristotele e ripresa da Teofrasto.
Il fatto che di Leucippo sia rimasta una labile traccia anche nelle testimonianze indirette è da imputare ad una specie di destino connaturato alla
storia stessa dell'atomismo: le versioni più recenti hanno infatti cancellato
quelle più antiche e l'avversione della grande maggioranza degli autori
antichi contro gli Epicurei ha fatto il resto. Democrito ha "riassorbito"
Leucippo, Epicuro ha praticamente eclissato ambedue e, a causa dell'ostilità verso le tesi atomistiche diffusa nelle scuole filosofiche e mediche di
età imperiale, sono spariti dall'orizzonte non solo i testi degli Epicurei e, in
parte, anche quelli del loro fondatore, ma anche quelli di medici che sostenevano tesi corpuscolariste come Erasistrato e Asclepiade. L'atomismo
accademico è, dal canto suo, naufragato molto presto sotto il peso del
giudizio aristotelico. Qui di seguito fornirò dunque una panoramica principalmente della ricezione di Democrito in quanto Leucippo compare
solamente nella tradizione risalente a Teofrasto. Per il resto il suo nome è
veicolato da quello del suo più famoso successore.
Partendo da Aristotele, il primo che abbia trattato diffusamente degli
atomisti antichi, si possono distinguere grosso modo quattro filoni,
10
11
12
Theophr. 226 A FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 25,1).
Apollod. ap. Diog. Laert. 10,13 (67 A 2 DK; LXXV L.).
Ricordo qui solo come esempio la polemica fra Rohde 1881 [1901] e Diels 1881 [1969],
1887. Per una bibliografia e una discussione sulla questione, rimando ad Alfieri 1936, 8 n.
27; Guthrie, II, 1965, 382 n. 1.
6
Introduzione
ognuno dei quali mostra proprie peculiarità nella scelta, nell'interpretazione e nella trasmissione dei testi:
1. La tradizione medica.
2. L'ambito bibliotecario-grammaticale.
3. L'ambito degli scrittori di storia naturale e di trattati tecnici.
4. Le scuole filosofiche.
Il nome di Leucippo compare unicamente nella tradizione filosofica,
mentre il protagonista nella altre tradizioni è Democrito autore anche di
un gran numero di scritti tecnici.
2. 1. Democrito nella tradizione medica
Democrito ha goduto, non solo come filosofo, ma soprattutto come autore di scritti medici, di grande autorità nella tradizione medica fino all'età
imperiale e oltre, testimoniata anche dal fiorire di opere spurie e dalla leggenda del suo incontro con Ippocrate. L'interesse dei medici si appunta,
per ovvi motivi, principalmente sulle affermazioni democritee riguardanti
la biologia umana, le malattie e il loro trattamento13, ma talvolta, soprattutto presso i medici di età ellenistica e imperiale, anche su più generali
affermazioni di carattere epistemologico e metodologico.
Citazioni e testimonianze indirette sulla biologia umana si sono
tramandate attraverso la tradizione medica come il detto, parzialmente
riportato da diversi autori di età imperiale a cominciare da Plinio, che
definisce l'atto sessuale una "piccola epilessia"14 e una doxa sulla nutrizione
13
14
Non tutte quante le testimonianze su questo tema classificate da Diels e da altri come
spurie devono essere per forza tali. Se Democrito ha scritto opere di carattere medico specialistico come la Ihtrikh; gnwvmh non stupisce che egli abbia parlato delle malattie e di un
loro eventuale trattamento. Cf. su questo Gemelli Marciano 2007, 220-224.
Questo (e non ajpoplhxivh) è il termine riportato in tutte le fonti riconducibili ad una tradizione medica. Il detto compare per lo più in contesti che sottolineano gli effetti negativi
dell'atto sessuale. Galeno, nei commenti al terzo e sesto libro delle Epidemie ne attribuisce la
citazione a Sabino, un medico vissuto nella prima metà del II sec. d.C. il quale utilizza
spesso un altro commentatore ippocratico, Rufo Efesio, a sua volta citatore di testimonianze più antiche (cf. Deichgräber 1965, 29 n. 1.). Gal. In Hipp. Epid. III 1,4 (25,3 Wenkebach = XVII A,521 K.) (68 B 32 DK; 527 L.) sumbaivnei toi'" ojyimaqevsin ejnantiwvmata
levgein ajkaivrw" fluarou' sin. tiv" ga;r h\ n aj navgkh gravf ein Dhmovkriton me;n eijrhkev nai mikra;n ejpilhyivan ei\ nai th; n sunousivan, Epivkouron de; mhdevpote me; n wjf elei'n ajfrodisivwn
crh'sin, ajgaphto; n dæ, eij mh; blavyeien… ejpi; ga;r tw'n ejx ajfrodisivwn ajmevtrwn noshsav ntwn
ejcrh'n eijrh'sqai tou;" lovgou", ouj k ejpi; tw'n ej nantivw" aujtoi'" diaithqevntwn. ajllæ o{mw" kai;
tau'tæ e[grayan oiJ peri; to;n Sabi'non, ouj k aijsqanovmenoi th'" ej nantiologiva" ª...º kai; tau'ta
gravfousin aujtoi; mnhmoneuvs ante" ej n th'i tw'n prokeimevnwn ej xhghvs ei Dhmokrivtou te kai;
Epikouvrou, mhdevpw mhde; n aj gaqo; n ejx ajfrodisivwn genevsqai faskov ntwn. Cf. Gal. In Hipp.
Epid. VI 3,12 (138,3 Wenkebach-Pfaff = XVII B,28 K.) A questa tradizione medica si riallacciano anche gli autori latini che riportano il frammento. Così Plin. Nat. hist. 28,58; Gell.
Introduzione
7
dell'embrione nell'utero15. Alcune affermazioni sulle cause delle malattie
sono state mediate da Sorano16.
Fra il I sec. a.C. e i primi anni del I sec. d.C., in un clima di recupero
degli antichi, Democrito ha avuto una reviviscenza in ambito medico fra
personaggi che in qualche modo a lui si richiamavano17. Cicerone nomina
dei non ben identificati Democritii in due passi. Dal primo si deduce solo
che si tratta di un gruppo ristretto18, nel secondo si accenna alla divergenza
fra costoro e gli Epicurei nell'interpretazione della dottrina di Democrito
su un tema tipicamente medico quale quello della persistenza della sensazione e del dolore nei corpi morti19. "Democritei" compaiono anche in
una Quaestio convivalis di Plutarco ancora in relazione ad un argomento
medico come l'irrompere nel mondo di malattie prima sconosciute quali
l'idrofobia e l'elefantiasi. Dato che queste erano state trattate in particolare
da Temisone, allievo ribelle di Asclepiade e precursore della scuola meto-
15
16
17
18
19
19,2,8 che attribuisce la prima parte del detto a Ippocrate stesso. Cf. inoltre Stob. 3,6,28
che la riporta ad Erissimaco, il medico del Simposio platonico; Clem. Paed. 1,94; [Gal.] An
animal sit 5 (XIX,176 K). A questa citazione allude probabilmente anche il medico Zopiro
nelle Quaestiones convivales (653 Bss.) di Plutarco. La versione più precisa e più ampia veniva
invece riportata negli gnomologi. La lezione ajpoplhxivh si incontra infatti solo in Stob.
3,6,28 (xunousivh ajpoplhxivh smikrhv: ejxevssutai ga;r a[nqrwpo" ejx ajnqrwvp ou), in un contesto etico, ed è sottesa alla citazione in Hippol. Ref. 8,14 che la attribuisce però all'eresiarca
Monoimo l'Arabo e la colloca sullo sfondo dell'interpretazione allegorica delle piaghe d'Egitto: Æa[nqrwpo" ãga;rà ejx ajnqrwvpou ejxevsãsÃutaiÆ, fhsivn, Ækai; ajpospa'tai, plhgh'i tini
merizovmeno"Æ. Anche costui potrebbe aver tratto la citazione da gnomologi. Sulla trasmissione di questo frammento, cf. Gemelli Marciano 2007, 215-217.
La doxa sulla nutrizione dell'embrione attraverso piccole mammelle poste nell'utero viene
citata anonima in Arist. De gen. anim. B 4, 746a 19 (68 A 144 DK; 535 L.), ma attribuita a
Democrito da Ps.-Plut. 5,16, 907 D (68 A 144 DK; 536 L.), cf. [Gal.] Hist. Phil. 120. In P.
Flor. 115 B (Manetti 1985, 177) la stessa doxa è attribuita anche ad Alcmeone.
Cf. Soran. 3,4 (17,25 Bourguière-Gourevich = 105,1 Ilberg) (68 A 159 DK; 567a L.) che
critica l'eziologia democritea dell'infiammazione (flegmonhv) dal flegma (inteso evidentemente come elemento caldo, cf. anche Philol. 44 A 27 DK). A Sorano attinge Celio Aureliano quando attribuisce a Democrito la spiegazione dell'idrofobia come un'infiammazione
dei tendini e la rispettiva cura con decotto di origano (Acut. 3,14,112ss.). Questa testimonianza è stata considerata spuria dal Diels e dagli altri editori senza una ragione precisa. Se
l'idrofobia come tale sembra essere stata riconosciuta solo alla fine dell'età repubblicana,
dal testo di Celio risulta chiaro che Democrito non si riferiva a questa malattia e alla sua terapia, ma a due forme di spasmo come l'opistotono (Acut. 3,15,120) e l'emprostotono
(Acut. 3,14,112). Su questo, cf. Gemelli Marciano 2007, 221s.
Si trattava evidentemente di tendenze arcaizzanti che riprendevano in una certa ottica le
tematiche e gli autori presocratici. Anche Enesidemo, il fondatore del neopirronismo, si richiamava in molti punti ad Eraclito (cf. l'espressione di Sesto Aijnesivdhmo" kata; ÔHravkleiton, infra, n. 21).
Cic. Hort. Fr. 53 Straube-Zimmermann (Non. De comp. doctr. 418,13 Lindsay) Itaque tunc
Democriti manus urguebatur; est enim non magna.
Cic. Tusc. 1,34,82 (68 A 160 DK; 586 L.) Num igitur aliquis dolor aut omnino post mortem sensus
in corpore est? nemo id quidem dicit, etsi Democritum insimulat Epicurus, Democritii negant.
8
Introduzione
dica20 e dai suoi discepoli, siamo ricondotti ad un gruppo di medici vissuti
in età tardo-repubblicana e sotto il primo impero, collegato sì ad Asclepiade, ma anche critico nei suoi confronti, che si richiamava a Democrito.
Nella dossografia sull'egemonico riemergono ancora indizi che rimandano
allo stesso ambito. Sesto riferisce che "alcuni, secondo Democrito", sostenevano che la sede del pensiero era in tutto il corpo21. Questo contrasta
con la dossografia di matrice aeziana secondo cui Democrito situava l'egemonico nel cervello22. Quella che Sesto riporta è in realtà una tradizione
interpretativa diversa, di ambito medico, che si ritrova anche in un passo
parallelo del De anima di Tertulliano. Quest'ultimo, che ha come fonte
Sorano, cita tuttavia al posto dei tine;" kata; Dhmovkriton di Sesto un nome
ben preciso, quello del medico Moschione datato fra il I sec. a.C. e il I sec.
d.C.23. Questo personaggio viene nominato da Galeno come il correttore
della definizione di sfugmov" di Asclepiade24 e altrove come autore di ricette farmacologiche25. La denominazione "Democritei", sembra dunque
essere stata applicata a medici che, pur prendendone le distanze, si situavano nell'orbita di Asclepiade 26, sostenitore di dottrine corpuscolari e sicuramente simpatizzante dell'atomismo27.
20
21
22
23
24
25
26
27
Sulle relazioni fra Temisone e Asclepiade, cf. Moog 1994, 102ss.
Sext. Emp. Adv. Math. 7,349 (68 A 197 DK; 456 L.) ajllæ oiJ me;n ejkto;" tou' swvmato" (scil.
th;n diavnoian ei\nai), wJ" Aijnhsivdhmo" kata; ÔHravkleiton, oiJ de; ejn o{lwi tw'i swvmati,
kaqavper tine;" kata; Dhmovkriton.
Theodoret. 5,22 (68 A 105 DK; 455 L.) ÔIppokravth" me;n ga;r kai; Dhmovkrito" kai; Plavtwn
ejn ejgkefavlwi tou'to iJdru'sqai. Cf. Ps.-Plut. 4,5, 899 A.
Tert. De an. 15,5 Ut neque extrinsecus agitari putes principale istud secundum Heraclitum, neque per
totum corpus ventilari secundum Moschionem. Cf. Waszink 1947, 227 ad loc.; Polito 1994, 454, in
base alla citazione di questo e di altri nomi di medici in Tertulliano-Sorano, ipotizza a
monte di Sorano e di Sesto dei Placita medici. Il tinev" di Sesto si spiegherebbe col fatto che
i nomi menzionati in quella sede erano conosciuti nell'ambito strettamente medico, ma non
dicevano nulla ai profani. Per una diversa interpretazione del passo di Tertulliano, Mansfeld 1990, 3165.
Gal. De diff. puls. 4,15 (VIII,758 K.).
Gal. De comp. med. sec. loc. 1,2 (XII,416 K.); 4,8 (XII,745 K.); 7,2 (XIII,30 K.); De comp. med.
per gen. 2,17 (XIII,537 K.) et al. Cf. anche Soran. 2,29 (II,41,37 Burguière-Gourevitch =
75,13 Ilberg); Plin. Nat. hist. 19,87. Su Moschione, cf. Deichgräber 1935, 349.
La cui morte si situa con una certa sicurezza nel 91 a.C., cf. Rawson 1982.
Sulla dottrina di Asclepiade e i suoi rapporti con l'atomismo, cf. Stückelberger 1984, 10113; per una interpretazione più strettamente medica di Asclepiade, Vallance 1990. Vallance
tende a separarlo nettamente dalla tradizione "filosofica" atomista e a porlo invece sulla
scia di Erasistrato. Sebbene questa visione sia in parte giustificata, egli tralascia il fatto che
in un passo fondamentale, citato da Celio Aureliano, Asclepiade difende espressamente
coloro che ponevano corpuscoli primi privi di qualità i quali non possono essere altro che
gli atomisti (Acut. 1,14,106 Nec, inquit, ratione carere videatur quod nullius faciant qualitatis corpora). Faciant, che presuppone un soggetto plurale e traduce il verbo greco poiei'n, "assumere", indica chiaramente che Asclepiade si riferisce a teorie di altri ("e non sembra essere
privo di logica, dice, che assumano corpi privi di qualità"). Vallance, seguendo Gottschalk
Introduzione
9
Una posizione particolare nella ricezione di Democrito, soprattutto per
quanto riguarda questioni di metodo, occupano i medici empirici che lo
citano come un'autorità contro gli avversari dogmatici. Galeno, nell'opera
Sulla medicina empirica, in gran parte perduta nell'originale greco, ma sopravvissuta in una traduzione araba28, riporta per lo meno due citazioni
letterali da Democrito: il famoso frammento sul giudizio dei sensi contro
la frhvn29 e un altro sul ruolo dell'esperienza nello sviluppo delle technai
conservato solo nella traduzione araba30. Il fatto che questi frammenti non
vengano citati da nessun'altra fonte costituisce un indizio forte per la consultazione diretta da parte dei medici empirici di opere democritee. Dalla
cerchia empirica proviene forse anche una notizia riportata da Celso secondo cui, per Democrito, non sarebbe possibile stabilire con esattezza
quando veramente un corpo è morto. Il contesto, infatti rimanda ad una
impossibilità di prevedere in base a segni sicuri una morte imminente31.
È invece improbabile che Galeno, nonostante la sua erudizione,
avesse letto delle opere democritee innanzitutto perché le due citazioni
suddette, le uniche letterali da lui riportate, provengono dalla tradizione
empirica (è infatti un medico empirico che parla nel dialogo). Per il resto, i
vari riferimenti agli atomisti antichi disseminati nella sua opera, compreso
il lungo excursus del De elementis secundum Hippocratem32, sono basati sulla
rielaborazione di resoconti di varia provenienza. Galeno, inoltre, sembra
non conoscere un attributo originale dell'atomo come nastovn33, attestato
28
29
30
31
32
33
1980, 46, pone corpora come soggetto di faciant aggiungendo un complemento oggetto inesistente nel testo latino (It is not illogical, says Asclepiades, that bodies with no quality should make up
the sensible world). Cf. su questo punto la critica a Gottschalk e la traduzione esatta del passo
di Stückelberger 1984, 109. Contro la svalutazione dei rapporti di Asclepiade con l'atomismo anche Casadei 1997.
Walzer 1944; sulla presenza di Democrito nella medicina empirica, cf. anche Walzer 1932,
466ss.; Löbl 1976, 26ss.; 1987, 8ss.
Gal. De exper. med. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.). Cf. su questo passo, Gemelli
Marciano 1998.
Gal. De exper. med. 9,5, 99 Walzer (68 A 171 DK Nachtr.; 558 L.) And in short, we find that
of the bulk of mankind each individual by making use of his frequent observations gains
knowledge not attained by another; for as Demokritos says, experience and vicissitudes
have taught men this, and it is from their wealth of experience that men have learned to
perform the things they do.
Cels. 2,6,13s. (68 A 160 DK; 586 L.) Illud interrogari me posse ab aliquo scio: si certa futurae mortis
indicia sunt, quomodo interdum deserti a medici convalescant? quosdamque fama prodiderit in ipsis funeribus revixisse. Quin etiam uir iure magni nominis Democritus ne finitae quidem uitae satis certas notas esse
proposuit, quibus medici credidissent: adeo illud non reliquit, ut certa aliqua signa futurae mortis essent.
Su questo brano, v. infra, VI 3. 2. 3. Sul debito di Galeno nei confronti della tradizione
scettica, cf. Morel 1996, 375-91 e Gemelli Marciano 1998.
Cf. la critica al medico di età traianea Archigene per aver usato il termine in relazione alle
arterie piene di sangue in De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK) ejn touvtwi de; tw'i
lovgwi prw'ton tiv dhloi' to; nastotevr an ouj pavnu safw'" oi\da, dia; to; mhde; suv nhqe" ei\ nai
10
Introduzione
in Aristotele e ben documentato in tutta la dossografia di ascendenza
teofrastea.
2. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale
L'ambito bibliotecario-grammaticale ha tramandato per lo più glosse in sé
scarsamente informative da un punto di vista "dottrinale", ma interessanti
perché, nella loro specificità, aprono uno spiraglio sullo stile di Democrito, uno stile particolare, ricercato, talvolta criptico e vicino a quello di
sofisti come Antifonte, uno stile che, fuori dall'ambito in cui e per cui gli
scritti sono stati redatti, doveva risultare estremamente inusuale e ostico.
In effetti, già nel III sec. a.C. Callimaco aveva composto un Pivnax tw'n
Dhmokrivtou glwssw'n kai; suntagmavtwn34, un segno che i testi democritei
erano ai suoi tempi di difficile lettura anche per i dotti. A quest'opera risalgono probabilmente in ultima analisi le glosse sparse riportate da Esichio e dai grammatici35.
Sempre da notizie riguardanti la sfera bibliotecario-grammaticale in
senso lato si apprende che l'opera di Democrito era presente ancora alla
fine del II sec. a.C. in Asia Minore. Egesianatte, un grammatico
proveniente dalla Troade, che aveva esercitato funzioni di consigliere e
ambasciatore di Antioco III di Siria36, aveva redatto un'opera Sullo stile di
34
35
36
toi'" ”Ellhsin o[noma kata; tou' toiouvtou prav gmato" levgesqai. a[rton me; n gavr tina nasto; n
ejkavloun, ouj mh;n a[llo gev ti sw'ma pro;" auj tw'n ou{ tw" wjnomasmev non ejpivstamai. auj to;" de; oJ
Arcigevnh", dikaiovtaton ga;r th;n ej n toi'" oj novmasin aujtou' sunhvqeian par aujtou'
manqavnein, dokei' moi to; nasto; n ajnti; tou' plhvrou" oj nomav zein.
Callim. Fr. 456 Pfeiffer (Suda s.v. Kallivmaco") (68 A 31 DK; CXXIV L.). Questa formula-
zione ha creato difficoltà ad alcuni interpreti moderni e portato talvolta a tentativi di correzione del testo. Oder 1890, 74 proponeva Pivnax tw'n Dhmokrivtou kai; glwssw'n suvntagma.
West 1969, 142 corregge glwssw'n in gnwmw'n con la motivazione che Democrito non era
famoso per le glosse, ma per le massime. Dato che dal IV sec. a.C. in poi si sarebbe diffuso
un gran numero di sentenze falsamente attribuite a Democrito, Callimaco avrebbe redatto
un inventario di quelle autentiche per mettere ordine in questa congerie. Il titolo dell'opera
viene tradotto generalmente Indice delle glosse e delle opere di Democrito (Diels-Kranz app. ad
loc.). Secondo questa traduzione, dunque, Callimaco avrebbe stilato, con l'elenco delle
glosse, anche quello di tutte le opere democritee. Cassio 1991, 11s., ha formulato invece l'ipotesi che si trattasse di un elenco di glosse con il titolo delle rispettive opere da cui esse
erano tratte. Egli cita il parallelo di un glossario ippocratico di Glaucia, cui fa cenno Erotiano (7,23 Nachmanson) compilato secondo questo criterio. Cf. anche O'Brien 1994,
699ss. L'ipotesi mi sembra verosimile in quanto anche le glosse di Antifonte Sofista riportate dai lessici sottendono un procedimento del genere (cf. 87 B 3-5, 11, 14-15, 17-19 al.
DK).
Cf. Schmid 1948, 245 n. 3.
Cf. Jacoby 1912.
Introduzione
11
Democrito37. A quest'opera, attraverso i manuali di retorica, fanno capo
probabilmente i giudizi sullo stile di Democrito che troviamo negli autori
posteriori quali Cicerone e Dionisio di Alicarnasso38.
All'età di Tiberio risale poi il grande catalogo delle opere democritee,
corredato di una introduzione e redatto da Trasillo per tetralogie sul modello di quello che egli aveva composto per Platone39. Il fatto che Trasillo
scrivesse un'introduzione alla lettura degli scritti di Democrito, testimonia
che tali opere nella sua cerchia e nel luogo in cui egli si trovava al momento della redazione del catalogo erano ancora lette. La difficoltà sta,
però, proprio nell'identificare questo luogo. Il Löbl40 dà per sicuro che
Trasillo abbia redatto il suo catalogo a Roma alla corte di Tiberio, ma non
c'è nessun indizio a supporto di questa ipotesi. Più interessante è invece
osservare da quale territorio l'astrologo-filosofo proviene e a quale tradizione si riallaccia. Egli è infatti un egiziano di Alessandria41 che si riconosce nella tradizione pitagorica con cui a più riprese collega anche Democrito. Se si pensa inoltre che Trasillo è indovino e astrologo (caratteri tipici
della rinascita del pitagorismo in età repubblicana e imperiale), si può capire perché Democrito fosse così importante per lui e per quelli come lui.
Proprio in Egitto, qualche secolo prima, egli era stato l'autore di riferimento per Bolo di Mende, autore di un'opera di carattere magico Sulle
simpatie e sulle antipatie42 e dei Cheirokmeta (Manufatti). Bolo viene definito
dalle fonti tarde, oltre che espressamente come "Democrito", anche come
un pitagorico43. Le due cose non si escludono44 visto che Democrito viene
più volte, dal V sec. a.C. in poi, messo in relazione col pitagorismo. È
possibile dunque che in Egitto, fra i neopitagorici platonizzanti per i quali
la magia era un elemento essenziale, il nome e le opere stesse di Democrito assumessero una particolare rilevanza. Nella grande biblioteca di
37
Herodian. Peri; parwnuvmwn, 895,40 Lentz (68 A 32 DK; CXXV L.) ÔHghsiavnax grammatiko;" gravya" Peri; th'" Dhmokrivtou levxew" biblivon e} n kai; Peri; poihtikw'n levxewn. h\ n de;
Trwiadeuv".
38
V. infra, 2. 4 n. 90.
Diog. Laert. 9,41 (68 A 1 DK; I, CXXVII L.) wJ" de; Qrasuvlo" ejn tw'i ejpigrafomevnwi Ta;
pro; th'" ajnagnwvsew" tw'n Dhmokrivtou biblivwn. Non ci sono testimonianze che possano far
risalire l'ordinamento tetralogico delle opere di Democrito ad un periodo anteriore, cf.
Mansfeld 1994, 101.
1987, 128.
Cf. Vetter 1936, 581.
L'attenzione di Bolo per Democrito in questo contesto non è così strana come si potrebbe
pensare se si tiene conto del fatto che la dottrina dei pori e degli effluvi, che caratterizza
gran parte delle eziologie democritee e in particolare la spiegazione dei sogni, delle apparizioni di fantasmi, del malocchio, sta alla base della magia, v. infra, VII 4.
Pitagorico: Suda s.v. Bw'lo" Mendhvsio". Democriteo: Schol. Nic. Ther. 764; Suda s.v. Bw'lo"
39
40
41
42
43
Dhmovkrito".
44
Cf. Kingsley 1995a, 326ss.
12
Introduzione
Alessandria queste ultime erano ancora presenti. In questo campo si possono naturalmente fare solo ipotesi, ma è probabile che Trasillo abbia
redatto il suo catalogo ad Alessandria in particolare per una cerchia di
filosofi pitagorizzanti che si interessavano a Democrito come autore-modello. Trasillo è comunque l'ultimo erudito del quale sia testimoniato un
interesse per l'intera opera democritea.
2. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnici e di storia naturale
Dal catalogo di Trasillo si può dedurre che Democrito fa parte di quel
gruppo di sophistai che nell'ultimo quarto del V sec. a.C. invadono il campo
delle technai scrivendo trattati teorici sui più svariati argomenti45. Delle sue
opere tecniche si è tuttavia conservato ben poco anche per una caratteristica propria alla letteratura tecnica per cui generalmente i manuali più
recenti soppiantano quelli più antichi. A questo si aggiunge il problema
costituito dalla letteratura pseudo-democritea legata al nome di Bolo che
rende ardua la valutazione delle citazioni riportate da autori tardi. Così è
spesso difficile stabilire se e in che misura Columella, Plinio e i Geoponica
riportino materiale democriteo originale, anche se lo scetticismo della
filologia tedesca di fine '800-inizio '900 è sicuramente esagerato e determinato in parte anche dal pregiudizio secondo cui un filosofo che si rispetti
non può scrivere di agricoltura46.
Per quanto riguarda gli autori latini di scritti tecnici si può osservare
che Vitruvio riporta alcune notizie su Democrito non presenti in altre
fonti. Tuttavia i suoi brevi accenni in cataloghi di autori che hanno trattato
un determinato tema, rivelano la loro provenienza da manuali tecnici e
non da letture dirette47.
45
46
47
Una polemica contro questi autori in ambito medico, è evidente già nei trattati ippocratici
come ad esempio VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré) e Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238
Littré). Per quanto riguarda l'agricoltura se ne avvertono gli echi in Xen. Oec. 16 dove viene
loro rimproverato di trattare il tema da un punto di vista teorico, senza avere alcuna esperienza pratica. Questa stessa obiezione sta alla base dell'ironica tirata socratica nel Lachete
platonico (183c-184a) contro il sofista Stesileo, che tiene conferenze dotte sull'oplomachia
e subisce una clamorosa smentita all'atto pratico quando tenta di usare (a sproposito) in
una battaglia navale una nuova arma. Nei Memorabili di Senofonte (3,1,1) Socrate ironizza
sul sofista Dionisodoro che insegna la tattica militare.
Cf. Oder 1890; Wellmann 1921. Cf. anche Hammer-Jensen 1924. Per una visione più
articolata del problema, cf. Sider 2002; Gemelli Marciano 2007, 224-228.
Cf. Vitruv. 7,pr. 11 (68 B 15b DK; 139, 160 L.); 9,5,4; 9,6,3 (68 B 14,1 DK; 424,1 L.). Alla
dossografia manualistica risale anche l'excursus sui principi di Vitruv. 2,2,1 Democritus quique
est eum secutus Epicurus atomos, quas nostri insecabilia corpora, nonnulli individua vocitaverunt; Pythagoreorum vero disciplina adiecit ad aquam et ignem aera et terrenum. Ergo Democritus, etsi non proprie res
nominavit sed tantum individua corpora proposuit, ideo ea ipsa dixisse videtur, quod ea, cum sint disiun-
Introduzione
13
Anche Eliano (II sec. d.C.), che nelle Storie naturali riporta notizie piuttosto
dettagliate sulle cause di alcune caratteristiche di animali in diverse zone
climatiche48, difficilmente ha avuto accesso ai libri delle Aijtivai peri; zwviwn
(68 A 33 (VI) DK; CXV (VI) L = Diog. Laert. 9,47). e ha molto più
verosimilmente utilizzato materiale indiretto49.
2. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche
Per il tema trattato in questo lavoro, in particolare la tradizione sull'atomo,
ci si può avvalere solo in maniera indiretta ed episodica delle fonti cui ho
finora accennato. Le peculiarità dell'atomo sono descritte infatti principalmente nelle testimonianze che fanno capo alle diverse scuole filosofiche, un fatto che pone serie ipoteche sulla possibilità di avere un quadro
chiaro e incontrovertibile dei fondamenti stessi della dottrina. Infatti le
teorie degli atomisti hanno subito i più profondi rimaneggiamenti proprio
nell'ambito della tradizione filosofica. Se si escludono gli scarsi frammenti
riguardanti la gnoseologia, ci si trova infatti di fronte ad una trasmissione
indiretta che si estende da Aristotele e Teofrasto fino ai commentatori
neoplatonici di Aristotele.
Lasciando per ora da parte le interpretazioni di Democrito nell'Accademia e nel primo Peripato, tema che costituisce l'oggetto principale di
questo studio, cercherò qui di seguito di tracciare un breve schizzo della
ricezione degli atomisti nell'ambito delle scuole filosofiche dall'età ellenistica in poi. Si tratta ovviamente non di un esame esaustivo, ma di una
panoramica globale offerta a titolo di orientamento.
48
cta, nec laeduntur nec interitionem recipiunt nec sectionibus dividuntur, sed sempiterno aevo perpetuo infinitam retinent in se soliditatem. Il testo corrisponde grosso modo alla prima parte di Ps.-Plut.
1,3, 877 D, infra, VI 3. 2. 2. Alla letteratura pseudo-democritea è da riportarsi invece Vitruv.
9,14 (68 B 300,2 DK).
Aelian. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.): perché ci sono più aborti nelle zone
meridionali che in quelle settentrionali del mondo. 12,16 (68 A 151 DK; 519, 545, 561 L.):
perché il cane e il maiale sono multipari. 12,18 (68 A 153 DK; 541 L.): perché ai cervi crescono le corna. 12,19 (68 A 154 DK; 543 L.): perché i buoi arabi femmina hanno corna
sottili lunghe e storte. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.): spiegazione del fatto che ci sono tori
senza corna. Cf. inoltre 9,64 (68 A 155a DK; 554 L.): i pesci si nutrono dell'acqua dolce
che si trova nel mare. 5,39 (68 A 156 DK; 549 L.): il leone nasce con gli occhi aperti. In
quello che il Diels designa come Fr. 150a, Eliano cita in realtà Democrito solo come esempio retorico di ricerca di cause e non come autore della doxa contenuta nel brano, Hist. nat.
6,60 (68 A 150a DK; 560 L.) ajlla; ei[te aijdw' famen ei[te fuvs ew" dw'ron ajpovrrhton, tau'ta
Dhmokrivtwi te kai; toi'" a[lloi" kataleivpwmen ejlev gcein te kai; ta;" aijtiva" levgein oi[esqai
iJkanoi'" uJp e;r tw'n aj tekmavrtwn te kai; ouj sumblhtw' n. Allo stesso modo procede Cicerone
49
in De orat. 2,58,235 (68 A 21 DK; LXI, 513 L.) Atque illud primum, quid sit ipse risus, quo pacto
concitetur, ubi sit, quo modo exsistat [...] viderit Democritus.
Cf. su questo Perilli 2007, 158s.
14
Introduzione
Nel Peripato Democrito ha suscitato un particolare interesse soprattutto
nelle prime due generazioni di aristotelici. Oltre a Teofrasto, anche l'altro
allievo di Aristotele, Eudemo di Rodi, aveva sicuramente letto Democrito
seguendo le linee interpretative del maestro. Simplicio cita direttamente le
sue parole per lo meno su due questioni: la critica al vuoto democriteo, da
lui interpretato come causa del movimento50, e la discussione sul ruolo
della tuvch. Soprattutto riguardo a questo secondo punto, Eudemo sembra
aver avuto davanti un testo specifico democriteo. Riferisce infatti un logos,
non altrimenti attestato, che eliminerebbe la funzione della tuvch51. Come
già Aristotele e Teofrasto, anche Eudemo preferisce la parafrasi alle citazioni letterali. Democrito è sicuramente conosciuto anche da Stratone
(attraverso di lui i suoi scritti potrebbero essere arrivati alla biblioteca di
Alessandria) il quale aveva ammesso, come gli atomisti e contrariamente
all'aristotelismo ortodosso, un vuoto interno ai corpi. Stratone aveva comunque aspramente criticato la dottrina delle forme atomiche quali quelle
ad amo e ad uncino definendola come "sogni di un Democrito non maestro, ma visionario"52. Dopo di lui non si hanno più tracce di una discussione o di una acquisizione di dottrine democritee nel Peripato. E' piuttosto verosimile che, in generale, da questo momento in poi, l'interesse per
Democrito cadesse progressivamente, soppiantato dalle discussioni sull'atomismo epicureo. La difficoltà di lettura dei testi, di cui proprio nel III
sec. a.C. si cominciavano a redigere le glosse, e le opere di Aristotele e di
Teofrasto su Democrito, più semplici e di più agevole consultazione,
contribuivano ovviamente all'oblio53. Per trovare menzioni di Democrito
fra i Peripatetici bisogna scendere fino ad Alessandro di Afrodisia il quale,
però, non ha letto nulla degli atomisti antichi. Non solo egli non riporta
alcuna citazione diretta, ma, o si serve unicamente di materiale di scuola
(dal quale non sono assenti talvolta sovrapposizioni fra atomismo democriteo ed epicureo54), o si limita a parafrasi dei testi aristotelici nei quali
viene nominato Democrito. Dunque, nel Peripato, dal III sec. a.C. in poi
non è più documentabile una lettura diretta delle opere democritee.
L'Epicureismo è stato determinante non tanto per la trasmissione di
testi, quanto soprattutto per l'interpretazione delle dottrine di Democrito.
50
51
52
53
54
Eud. Fr. 75 Wehrli (Simpl. In Phys. 209a 18, 533,14) (251 L.).
Eud. Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK; 24, 99 L.), infra, VII 6.
1 n. 64. Cf. anche Fr. 54b Wehrli (Simpl. In Phys. 196b 10, 338,4).
Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.). Per il testo e un esame più approfondito del passo,
v. infra, VI 3. 2. 1 n. 111.
Per le opere di Aristotele su Democrito, cf. Diog. Laert. 5,26s. (68 A 34 DK; CXVII L.).
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 294,33) (68 A 37 DK; 172, 197 L.). Per
quelle di Teofrasto, cf. Diog. Laert. 5,43; 49 (68 A 34 DK; CXVIII L.). Ovviamente Teofrasto faceva testo anche col De sensu e con la sua raccolta di Physikai (o Physikon) Doxai.
V. infra, VI 1.
Introduzione
15
Dall'epoca di Epicuro infatti, inevitabilmente, l'atomismo antico si è trovato ad essere veicolato, in positivo e in negativo, dalla forma moderna e
dominante dell'atomismo epicureo. Contrapposto o assimilato a quest'ultimo, non ha più avuto una vita autonoma né rappresentato un oggetto di
interesse primario. Ma qual è il ruolo giocato da Epicuro stesso e dalla sua
scuola nella lettura e nella trasmissione dei testi e delle dottrine degli atomisti antichi? Da quanto è rimasto, non sembra che gli Epicurei abbiano
contribuito molto alla diffusione delle teorie dei loro antenati dottrinali,
anzi, semmai si sono distinti per un atteggiamento critico nei loro confronti55. Epicuro, come si è visto, aveva, con il suo discepolo Ermarco,
negato l'esistenza di Leucippo56. Con questa presa di posizione, una fra le
tante destinate a suscitare scandalo, Epicuro rispondeva probabilmente a
Teofrasto che aveva attribuito a Leucippo il Mevga" diavkosmo". Nell'Epistola a Pitocle ci sono comunque chiare allusioni anonime alla cosmogonia
di Leucippo, in particolare al "grande vuoto", al vortice cosmico,
all'ajnavgkh, alla fine dei mondi. Dato che le espressioni caratteristiche della
cosmogonia di Leucippo di ascendenza teofrastea sono tutte presenti nel
passo epicureo57, non si può stabilire con sicurezza se Epicuro si riferisse
al testo originale o al resoconto che ne aveva dato Teofrasto. Allo stesso
modo la critica all'infinità delle forme atomiche58 lascia aperta sia la
possibilità di una conoscenza diretta, sia quella della consultazione delle
opere di Aristotele e Teofrasto, sia ambedue. Alcune testimonianze dei
papiri ercolanesi sembrerebbero indicare che Democrito era presente nella
biblioteca di Epicuro. In un'opera di Filodemo infatti si menziona la ri55
56
57
Per una esaustiva trattazione della posizione degli Epicurei nei confronti degli atomisti
antichi rimando a Morel 1996, 249-355.
V. supra, n. 11.
Ep. Ep. 2,88 (67 A 24 DK; 383 L. comm.) kovs mo" ejs ti; periochv ti" oujranou' a[stra te kai;
gh'n kai; pav nta ta; fainovmena perievcousa, ajpotomh; n e[cousa ajpo; tou' ajp eivrou ª...º o{ti de;
kai; toiou'toi kovsmoi eijsi;n a[peiroi to; plh'qo", e[s ti katalabei' n, kai; o{ti kai; oJ toiou'to"
duvnatai kovsmo" giv nesqai kai; ej n kovsmwi kai; metakosmivwi o} levgomen metaxu; kovs mwn
diavsthma ej n polukev nwi tovpwi kai; oujk ejn megavlwi kai; eijlikrinei' kenw' i, kaqavper tinev"
fasin, ejpithdeivwn tinw' n spermavtwn rJ uev ntwn ajfæ eJ no;" kovsmou h] metakosmivou h] kai; ajpo;
pleiovnwn ª...º ouj ga;r ajqroismo;n dei' mov non genevsqai oujde; di'non ejn w|i ej ndevcetai kovs mon
givnesqai kenw'i kata; to; doxazovmenon ejx aj nav gkh", au[xesqaiv te, e{w" a]n eJtevrwi
proskrouvshi, kaqavper tw'n fusikw' n kaloumev nwn fhsiv ti". tou' to ga;r macovmenovn ejsti
toi'" fainomevnoi". Cf. su questo passo, Silvestre 1985, 125-29. Per Leucippo, cf. Diog.
Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) kovsmou" te ejk touvtou ajpeivrou" ei\nai kai; dialuvesqai eij"
tau'ta. giv nesqai de; tou; " kovs mou" ou{tw: fevresqai kata; ajpotomh; n ejk th' " ajp eivrou polla;
swvmata pantoi'a toi'" schv masin eij" mev ga kenov n, a{per ajqroisqevnta divnhn ajp ergavzesqai
mivan kaqæ h}n proskrouvonta kai; pantodapw' " kuklouvmena diakriv nesqai cwri;" ta; o{moia
pro;" ta; o{moia. ei\naiv te w{sper genevsei" kovsmou, ou{tw kai; aujxhvs ei" kai; fqivsei" kai;
fqora;" katav tina ajnavgkhn. Cf. anche Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 23, 291 L.). Una pa-
58
noramica dei passi di Epicuro riferentisi a Democrito in Gigante 1981, 50-62.
Ep. Ep. 2,42s.
16
Introduzione
chiesta di Epicuro ad un discepolo di testi di Democrito59. Lo stato estremamente lacunoso del papiro impedisce però di sapere di quali libri si
trattasse. In un'altra opera, Filodemo accenna ad uno scritto di Epicuro
contro Democrito, ma anche qui il testo non fornisce ulteriori chiarimenti60. Nei frammenti dal Peri; fuvsew" di Epicuro non ci sono menzioni
dirette degli atomisti antichi, ma piuttosto una critica al presunto determinismo democriteo61. Anche queste allusioni, tuttavia, non dicono nulla di
certo sulla consultazione delle opere originali in quanto si tratta di punti
trattati diffusamente nei testi aristotelici62 che Epicuro sicuramente aveva
presenti. Insomma, se Epicuro aveva letto le opere degli atomisti antichi e
anzi, come gli aneddoti biografici vogliono far credere, era stato spinto alla
filosofia dai libri di Democrito63, la sua critica segue le linee delle esposizioni aristoteliche e teofrastee e non aggiunge nessuna informazione supplementare a quanto già detto dai due Peripatetici.
Per quanto riguarda gli allievi di Epicuro, a Metrodoro di Lampsaco
viene attribuita un'opera contro Democrito64. Essendo un trattato ad
hominem, è probabile che egli conoscesse gli scritti di prima mano, ma anche qui non c'è nulla che lo testifichi. Diverso è il discorso per Colote,
l'altro allievo di Epicuro che aveva attaccato Democrito. Le sue citazioni
democritee hanno infatti tutta l'aria di essere di seconda mano e la sua
interpretazione ha buone probabilità di essere basata sull'immagine del
Democrito scettico che circolava anche nell'Accademia di Arcesilao65.
Plutarco, nell'opera Contro Colote, forse con una esagerazione retorica, ma
da tenere pur sempre in considerazione, gli rimprovera proprio di non
aver mai letto i libri di Democrito.
Dall'epicureismo tardo, dal I sec. a.C. in poi, non vengono testimonianze tali da far propendere per una consultazione diretta dei testi piuttosto che per una conoscenza di tipo manualistico. Tracce di questa manua59
60
61
62
63
64
65
Philod. Ad contubernales Fr. 111,166s. Angeli æprºosevªtºaxa ª---ºON uJmi'n ª---º.. KTAª..---º
perievstaªi---º. A. ª...... to; perºi; ªSwºkravtªou" tou' Arºistivppou ªkºai; Speuªsivppou toºu'
Plavtwno" ªejgkwvmionº kai; Aristotevªlou" ta;º Analutika; kai; ªta; Peri;º fuvsew", o{saper
ejªnekrivnºomenæ: ejpi; d Eujbouvlªou: æth;º n ejpistolh; n PROSDª....ºGOIS kai; tw'n Dhªmokrivºtou
tinav, oujc oi|on...
Philod. De libert. dicendi Fr. 20 Olivieri (68 A 34 DK; 36a L.) e[ti de; th;ªnº merizomevnhn
sungªnºwvªmºhn ejn oi|" dievp eson, wJ " e[ n te toi'" pro;" Dhmovkriton i{stat ai dia; tevlou" oJ
Epivkouro" kªai; pro; "º ÔHr akleivdhn ej n…
Per la critica al determinismo contenuto nel concetto di ajnavgkh contro coloro "che hanno
ricercato le cause" (oiJ d aijtiologhvsante"), cf. Long-Sedley 1987, II,20C, 107 (Ep. Peri;
fuvsew" [34. 30] Arr.) (68 A 69 DK; 36a L.).
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.); Arist.
Phys. B 4, 196a 24ss. (68 A 69 DK; 18, 288 L.).
Diog. Laert. 10,2 (68 A 52 DK; XCV L.).
Diog. Laert. 10,24 (68 A 34 DK; CXXIII L.)
V. infra, VI 2. 1. 2.
Introduzione
17
listica scolastica di ambito epicureo o di altra provenienza si ritrovano in
Lucrezio. Egli cita Democrito espressamente solo due volte: sul corso e la
posizione delle stelle, e sulla posizione dei corpuscoli dell'anima alternati a
quelli del corpo. Le notizie sull'astronomia corrispondono a quelle del
resoconto di Diogene Laerzio su Leucippo e di Pseudo-Plutarco66. La doxa
sull'anima non è pervenuta attraverso altre fonti, ma potrebbe derivare
anche da materiale dossografico di ambito medico data la brevità e lo stile
dell'accenno67. Filodemo è l'unico epicureo attraverso cui conosciamo
citazioni dirette da Democrito. La doxa sull'origine della credenza negli dèi
contenuta nel De pietate è tuttavia chiaramente di matrice dossografica in
quanto corrisponde a Sext. Emp. Adv. Math. 9,24 (68 A 75 DK; 581 L.)68,
negli altri casi si tratta di excerpta che non riguardano la dottrina fisica,
bensì la sfera etica e l'origine della musica69. D'altra parte nei titoli della
biblioteca ercolanese non compaiono opere dell'Abderita. Evidentemente
la scuola epicurea era concentrata soprattutto sul proprio atomismo e
riteneva ormai superato quello antico, atteggiamento, del resto, condiviso
anche dalle altre scuole filosofiche. Diogene di Enoanda riporta anch'egli
delle doxai di Democrito derivate comunque da una trasmissione indiretta
interna alla tradizione epicurea, ma nulla più70.
Nel complesso si può quindi concludere che la lettura diretta delle
opere fisiche democritee e leucippee da parte di Epicuro è probabile, ma
66
67
Lucr. 5,621-37 (68 A 88 DK; 380 L.); cf. Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382, 389 L.); Ps.Plut. 2,15, 889 B (68 A 86 DK; 390 L.).
Lucr. 3,370 (68 A 108 DK; 454 L.). Sulle concezioni dei medici che, secondo Sesto, Adv.
Math. 7,349, seguivano Democrito nell'affermare che l'egemonico è sparso in tutto il corpo,
v. supra, n. 21 e 23. Lucrezio allude, fra l'altro, nei versi precedenti (350-69), alle teorie di
Stratone che in Sesto sono attribuite anche ad Enesidemo "secondo Eraclito". Lucrezio segue nell'esposizione anche lo stesso ordine: teoria di Stratone (in Sesto di Enesidemo)-teoria di Democrito (in Sesto "alcuni secondo Democrito"). Una sequenza simile si trova anche nel passo parallelo di Tertulliano (De an. 15,5), supra, n. 23. La doxa potrebbe risultare
dallo sviluppo di una osservazione aristotelica in De an. A 5, 409b 2-4 (ei[per gavr ejstin hJ
yuch; ej n panti; tw'/ aijsqanomevnwi swvmati, aj nagkai'on ej n tw'i aujtw'i duvo ei\nai swvmata, eij
sw'mav ti hJ yuchv).
68
69
70
P. Herc. 1428 fr. 16, cf. Henrichs 1975, 96-106.
Sull'etica, cf. Philod. De ira P. Herc. 182, col. XXIX,20 Indelli (68 B 143 DK; 64 L.); De
adulat. P. Herc. 1457, col. X (Crönert 1906, 130) (68 B 153 DK; 611 L.). La stessa citazione
compare anche in Plut. Reip. ger. praec. 821 A. Considerazioni sulla morte, in Philod. De
morte, P. Herc. 1050, col. XXIX,27-32 e col. XXXIX,9-15 Mekler (68 B 1a DK; 587 L.).
Sull'origine della musica, Philod. De mus. IV, P. Herc. 1497, col. XXXVI,87 Neubecker (68
B 144 DK; 568 L.). Cf. l'ultima lettura del papiro in Gigante-Indelli 1980, 451-66.
Così l'accusa di sovvertire la vita (Diog. Oenoand. Fr. 7 II Smith = 61 L.), corrisponde
quasi perfettamente a quella di Colote (Plut. Adv. Colot. 1109 A-1110 F); quella al moto
"costretto" degli atomi (Diog. Oenoand. Fr 54 II-III Smith = 68 A 50 DK; 39 L.), riecheggia un frammento del Peri; fuvs ew" di Epicuro ([34.30] Arr.). L'accenno agli idoli che compaiono nei sogni (Diog. Oenoand. Fr. 10 I,4ss.; IV,10ss. Smith) corrisponde alla descrizione data da Plut. Quaest. conv. 734 F (68 A 77 DK; 476 L.).
18
Introduzione
non produce in ogni caso informazioni di particolare rilievo. La sua
scuola, invece, sembra aver vissuto piuttosto, a parte qualche rara eccezione, di una trasmissione interna indiretta o mediata da altre scuole.
Per quanto riguarda lo stoicismo antico è pervenuto solo un titolo di
un'opera di Cleante Contro Democrito71. Un allievo suo e di Zenone, Sfero,
aveva scritto contro gli atomi e gli ei[dwla72, ma il titolo non lascia capire
se si dirigesse contro Epicuro o contro Democrito. Nella lunga lista delle
opere di Crisippo, non compare invece nulla che abbia a che fare con
l'atomismo antico, ma sappiamo, attraverso Plutarco, che Crisippo aveva
per lo meno discusso un paradosso democriteo, il cosiddetto dilemma del
cono73. E' evidente che comunque l'interesse degli Stoici doveva essersi
concentrato soprattutto sull'atomismo epicureo a loro contemporaneo
dalla cui ottica probabilmente veniva giudicato anche quello antico: le
critiche fondamentali agli atomi di Epicuro (mancanza di un principio
attivo e ordinatore e discontinuità di una materia "passiva"74) erano valide
anche per quelli di Democrito. Questa tendenza assimilatrice delle due
dottrine è poi quella dominante nella dossografia tarda.
Fondamentali per la trasmissione di notizie dirette e indirette su Democrito è stato sicuramente Posidonio. Attraverso di lui si sono tramandati tre tipi di informazioni:
1. citazioni più o meno rimaneggiate75,
2. doxai su argomenti specifici, in particolare sull'astronomia e le questioni naturali76,
3. schemi dossografici nei quali le concezioni atomiste rientrano in un
quadro più generale e classificatorio dei vari tipi di corpuscolarismo77.
71
72
73
74
75
76
77
SVF I 481, 107,1.
SVF I 620, 139,25.
Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 287a L.).
Su questo punto, v. infra, VI 2.
Tali sono quella sull'attrazione dei simili conservata da Sext. Emp. Adv. Math. 7,116-118
(68 B 164 DK; 11, 316 L.), cf. anche Ps.-Plut. 4,19, 902 C-D (68 A 128 DK; 11, 316, 491
L.), l'esempio dei vasi di vetro e di bronzo in Sen. Nat. quaest. 4,9,1, una testimonianza non
riportata né da Diels-Kranz né da Lur'e, ma segnalata da Stückelberger (1990, 2576), v. anche infra, VII 6. 2. 1 n. 88. Per le affermazioni sugli ei[dwla che si ritrovano in diversi autori
di età imperiale, infra, VII 4.
In quest'ultimo ambito rientrano gli excursus piuttosto ampi che si incontrano nelle Naturales quaestiones di Seneca come la descrizione dei venti e dei terremoti in Nat. quaest. 5,2 (68 A
93a DK; 12, 371 L.) e, rispettivamente, 6,20 (68 A 98 DK; 414 L.), una doxa democritea
sulla via lattea (F 130 E.-K. = Macr. Somn. 1,15,6, infra, VII 6. 2. 1 n. 87) non presente nelle
raccolte di frammenti del Diels e del Lur'e, e probabilmente anche una doxa sulla spiegazione dei terremoti riportata in un commento di Olimpiodoro ai Meteorologica aristotelici,
diverso da quello greco e tramandato solo in arabo (Badawi 1971, 133s.; traduzione in
Strohmaier 1998, 363, v. infra, VII 6. 2. 1 n. 84).
V. infra, VI 2. 2.
Introduzione
19
Un particolare interesse nell'ambito del tema dell'atomo riveste la tradizione scettica nei suoi due filoni ben distinti, ma spesso confluenti e
intersecantisi nelle testimonianze antiche: scetticismo pirroniano e neopirroniano (da Timone ad Enesidemo fino a Sesto Empirico) e scetticismo
dell'Accademia di mezzo nelle sue varie gradazioni fino ad Antioco. Nelle
successioni dei filosofi Pirrone è posto spesso in stretta relazione con
Democrito attraverso la linea Anassarco-Metrodoro di Chio78. Pirrone non
ha però scritto nulla e sembra fosse interessato soprattutto all'etica79. Dunque la notizia di un allievo, secondo cui egli apprezzava molto Democrito80, potrebbe riferirsi ad opere etiche di quest'ultimo. Il detto "nulla è
in verità, ma gli uomini agiscono per consuetudine e secondo un costume
stabilito"81 sembra comunque riecheggiare la famosa massima democritea
"novmwi glukuv..."82. Il suo allievo Timone dedica a Democrito alcuni versi
dei Silloi chiamandolo, oltre che "sapientissimo" (perivfrona), anche "pastore di discorsi" (poimevna muvq wn) e "ciarlone dal pensiero ambiguo"
(ajmfivnoon lesch'na)83. Timone potrebbe alludere con queste definizioni
alla polymathia, al carattere narrativo ed evocativo del linguaggio84, alla
enorme produzione libraria di Democrito e a quella sua presunta ambiguità rispetto al problema della conoscenza delineata nelle opere aristoteliche e in Teofrasto85. Nell'ambito del neopirronismo abbiamo infine la
testimonianza di Sesto Empirico la cui posizione esemplifica tra l'altro
quanto si diceva sul valore delle citazioni letterali per determinare la conoscenza di prima mano di un autore. Per quanto infatti egli riporti un discreto numero di citazioni altrimenti sconosciute, col titolo delle opere da
cui sono tratte, Sesto non ha letto nulla di Democrito. Nel caso ad esempio dell'ampio frammento riportato in Adv. Math. 7,135 si rifà ad una
fonte intermedia86. Per altre citazioni, che si incontrano anche in autori
78
79
80
81
Cf. Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.); [Gal.] Hist. phil. 3 (67 A 5 DK; 152
L.); Eus. Praep. Ev. 14,17,10 (VIII L.); cf. anche 14,18,27 (LXXXIII, XCIV L.); Epiph. De
fide 15, 505,30 Holl (VIII L.).
Il carattere principalmente etico della filosofia di Pirrone viene ribadito con energia da
Görler 1994, 735ss.
Diog. Laert. 9,67 (XCII L.).
Pyrrh. T 1 Decleva Caizzi (Diog. Laert. 9,61) oujde;n ga;r e[fasken ou[te kalo;n ou[t aijscro;n
ou[te divkaion ou[ t a[dikon: kai; oJmoivw" ejpi; pav ntwn mhde;n ei\nai th'i ajlhqeivai, nov mwi de; kai;
e[qei pav nta tou; " ajnqrwvpou" pravttein: ouj ga;r ma'llon tovde h] tovde ei\nai e{ kaston.
82
83
84
85
86
Cf. Hirzel III, 1883, 14 n. 2; Decleva Caizzi 1981, 144; 1984, 16-19; Di Marco 1989, 218s.
Tim. Fr. 46 Di Marco (68 A 1 DK; LXXX L.).
Sulle immagini di Democrito, v. infra, cap. VII.
Decleva Caizzi 1984, 18; Di Marco 1989, 218.
Cf. Sedley 1992, 27-44; Gemelli Marciano 1998.
20
Introduzione
come Cicerone, si serve di materiale proveniente dall'Accademia scettica87,
per le interpretazioni e le doxai democritee fa capo, oltre che a quest'ultima, a Posidonio, alla tradizione epicurea e ai medici empirici.
L'immagine completamente scettica di Democrito, tuttavia, più che
dal pirronismo, viene mediata dall'Accademia scettica di Arcesilao. Come
di tutti i predecessori, anche di Democrito, Arcesilao forniva questa
visione estrapolando verosimilmente dal contesto alcune massime
interpretabili secondo i suoi scopi. A lui risale sicuramente una sequenza
di due citazioni, la famosa massima "novmwi glukuv..." e quella altrettanto
famosa "ejn buqw'i...", riportate da Diogene Laerzio come esempi di
interpretazioni scettiche di Democrito. Le stesse due frasi, infatti,
compaiono rispettivamente in parafrasi e in traduzione letterale negli
Academica di Cicerone: Arcesilao avrebbe dichiarato di seguire, nella sua
professione di scetticismo, non solo Socrate, ma anche presocratici come
Empedocle, Anassagora, Democrito88. Ad Arcesilao non si può attribuire
una trattazione globale dell'atomismo in quanto, al di fuori di questi
frammenti gnoseologici, non ci è rimasta nessun'altra testimonianza, ma è
verosimile che egli avesse conoscenza diretta delle opere di Democrito per
poterne fare degli excerpta. Al contesto della sentenza "ejn buqw'i…" allude
infatti anche Aristotele nel libro G della Metafisica89. La presenza di
Democrito nell'Accademia di mezzo da Carneade fino ad Antioco è
deducibile con sicurezza soprattutto dalle opere ciceroniane. Cicerone,
nelle vesti di Accademico, o per bocca di un Accademico, cita più volte
Democrito, spesso esprimendo un giudizio positivo e contrapponendolo
ad Epicuro, ma talvolta anche pronunciandosi criticamente sulle sue teorie
proprio per la loro affinità con quelle epicuree. Importante è anche il fatto
che Cicerone nomina più di una volta insieme a Democrito anche
Leucippo, cosa non frequente nelle testimonianze postteofrastee.
Cicerone, tuttavia, non ha sicuramente letto i libri di Democrito. Le sue
osservazioni sullo stile, che a prima vista potrebbero fa pensare ad una
conoscenza diretta, erano luoghi comuni nella retorica90 e risalivano
probabilmente all'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. La sua
conoscenza degli atomisti antichi si basa per lo più su materiale
87
88
89
90
E' questo ad esempio il caso dell'incipit dell'opera democritea che compare solo in Sext.
Emp. Adv. Math. 7,264 e in Cic. Ac. 2,23,73 (68 B 165 DK; 63, 65 L.). Per altre citazioni
comuni, cf. Decleva Caizzi 1980; Gemelli Marciano 1998.
Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.); Cic. Ac. 1,12,44 (59 A 95 DK; II, 58 L.). Su questo,
cf. Gemelli Marciano 1998.
Arist. Metaph. G 5, 1009b 11 h[toi oujqe;n ei\nai ajlhqe;" h] hJmi'n gæ a[dhlon.
Cf. soprattutto l'affinità della sequenza Democrito-Platone-Aristotele in Cic. De orat.
1,11,49 e Dionys. De comp. verb. 24 (68 A 34 DK; 827 L.); la coppia Democrito-Platone ritorna ancora in Cic. Orat. 20,67 (68 A 34 DK; 826 L.).
Introduzione
21
dossografico scolastico interno all'Accademia91. Dai testi ciceroniani
emerge soprattutto un interesse strumentale alle dottrine fisiche
democritee in contesti critici dell'epicureismo e in excursus dossografici più
generali atti a giustificare una attitudine scettica nei confronti delle varie
scuole filosofiche. Per quanto riguarda il primo tipo di contesto gli accenni
ciceroniani si possono sostanzialmente ordinare in due gruppi principali:
1. critica globale ai principi atomistici e relativa assimilazione di Democrito ad Epicuro,
2. critica specifica all'atomismo epicureo in cui, per contrasto, viene
valutata positivamente la dottrina democritea.
Nel primo gruppo rientrano le critiche agli atomi impassibili e privi di
qualità, alla possibilità di un arresto della divisione in un corpo per sua
stessa natura divisibile all'infinito, alle forme atomiche e ad un cosmo
governato dal caso. La confutazione attinge ad argomentazioni di diversa
provenienza sia stoica che peripatetica. Nei testi del secondo gruppo viene
sottolineata invece la superiorità delle tesi democritee e vengono confutate
le eventuali obiezioni di parte epicurea a queste ultime. Un esempio è la
trattazione della teoria epicurea del clinamen, presentata nel De fato (10,22)
non come un miglioramento, ma come un peggioramento della dottrina
democritea. Ambedue i tipi di testo rientrano comunque in sequenze dialettiche di ampio respiro che si servono di tesi e controtesi tipiche del
modo di argomentare accademico. Un secondo tipo di contesto è costituito dall'excursus dossografico di Ac. 2,37,118 risalente in ultima analisi
all'opera teofrastea92 e rimaneggiato in versione accademica (per sottolineare il disaccordo fra i filosofi e quindi l'impossibilità di aderire ad una o ad
un'altra tesi dogmatica). Gli Accademici scettici hanno comunque usato
una pluralità di schemi interpretativi e confutativi a seconda della necessità
del contesto. All'occasione si sono serviti anche, cambiando loro di segno,
delle polemiche epicuree contro l'atomismo antico e di quelle di matrice
stoica contro la dottrina atomistica in generale.
Se Cicerone riflette per lo più una rappresentazione manualistica e
scolastica dell'atomismo antico, la conoscenza diretta delle opere fisiche di
Democrito nei filosofi vissuti dopo il I sec. a.C., è piuttosto desolante.
L'immagine che ci restituiscono le fonti antiche è quella di un'assoluta
preponderanza della tradizione indiretta anche laddove ci sono citazioni
letterali. Forse un'unica eccezione è costituita da Plutarco. La sua conoscenza diretta di Democrito è una vexata quaestio mai risolta definitiva91
92
Anche a tanta distanza di tempo, sulle fonti di Cicerone rimane fondamentale e insuperata
nella sua globalità Hirzel I, 1877, 32-45 per le fonti accademiche del primo libro del De natura Deorum e III, 1883, 251-341 per le fonti degli Academica.
La menzione di Leucippo è un'ulteriore indicazione in questo senso. Sulla provenienza
teofrastea delle doxai di Ac. 2,37,118, cf. Mansfeld 1989 [1990b, 238-63].
22
Introduzione
mente. Un fatto tuttavia è certo: egli riporta una gran quantità di citazioni
letterali non reperibili in altre fonti. Questo non basta comunque per affermare che egli abbia sempre attinto agli originali democritei. Infatti i
relativi contesti permettono di ipotizzare non una, ma due modalità di
acquisizione dei testi:
1. Una consultazione diretta di opere democritee. Il fatto che non citi
mai titoli particolari non è in sé rilevante in quanto, anche per altri autori
presocratici egli riporta raramente l'indicazione dell'opera.
2. Una consultazione di fonti molto dettagliate che riportavano anche
citazioni letterali democritee soprattutto nel caso di oggetti specifici quali
ad esempio la demonologia93.
Plutarco riutilizza comunque più volte nelle sue opere, secondo la sua
normale prassi, le citazioni democritee creando dei "doppioni" diversamente ricontestualizzati94 e rendendo difficile l'eventuale ricostruzione del
contesto originale. Egli si serve però anche di resoconti di matrice dossografica laddove espone sinteticamente i fondamenti della dottrina democritea con relativa critica come nella Contro Colote95. In questo caso riproduce un modello di esposizione e critica dell'atomismo corrente
nell'Accademia di mezzo. Le argomentazioni fornite da Plutarco compaiono infatti anche in Cicerone e, per accenni, in Sesto Empirico.
Dopo Plutarco e, in generale, dopo il I sec. d.C., nei primi decenni del
quale Trasillo redige il suo catalogo, difficilmente si possono trovare indizi
di una conoscenza diretta delle opere fisiche democritee. Gli autori dal I
sec. d.C. in poi fanno ricorso, per lo meno per illustrare la dottrina fisica, a
fonti indirette siano esse pure di pregevole fattura come quella di ascendenza teofrastea utilizzata da Diogene Laerzio per la sua esposizione della
cosmogonia leucippea. Quest'ultimo usa solo fonti di seconda e di terza
mano96 e così fanno anche gli autori cristiani Ippolito e Clemente97, per
93
94
95
96
97
Secondo Hershbell 1982, 94 apparterebbero a questo gruppo anche le citazioni delle
Quaestiones convivales. Per il problema della presenza di Democrito nel De tranquillitate animi e
in altre opere etiche, cf. Id., 84-89 con bibliografia in n. 3.
Cf. ad es. la citazione sul cordone ombelicale in due contesti diversi: embriologico, vicino
probabilmente all'originale, De amore prol. 495 E (68 B 148 DK; 537 L.) e cosmogonico, ma
riportato come citazione dotta e senza nominare Democrito, De fort. Rom. 317 A (68 B 148
DK; 537 L.). Sulle modalità di citazione di Plutarco, cf. Kidd 1998.
Lo stile dossografico di Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) è indubitabile per le
numerose concordanze con altri resoconti che si incontrano negli autori tardi quali ad
esempio Pseudo-Plutarco e Galeno. Su questo brano, v. infra, VI 2. 1. 2.
Le scarse e incomplete citazioni letterali sono di provenienza scettica, cf. Gemelli Marciano
1998.
Le due uniche citazioni letterali riguardanti, una la fisiologia umana, l'altra la concezione
degli dèi che troviamo in Clemente provengono, una da una tradizione di tipo medico presente anche in altri autori (v. supra, n. 14), l'altra, pur essendo attribuita in questi termini a
Democrito solo da Clemente Protr. 6,68,5; Strom. 5,14,101,4 (68 B 30 DK; 580 L.), si ritrova
Introduzione
23
non parlare poi dei commentatori tardi di Aristotele cui si accennerà in
seguito. In pratica, dopo Plutarco, le opere fisiche originali di Democrito
sembrano essere sparite dall'orizzonte dei dotti.
3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico
Dalla mappa fin qui tracciata risulta anche troppo evidente come la trasmissione delle dottrine democritee abbia sofferto dei pre-giudizi e dei
pre-supposti delle fonti antiche tanto da rendere estremamente arduo
qualsiasi tentativo di interpretazione. Chi cerca di comprendere i fondamenti dell'atomismo antico deve dunque non solo destreggiarsi fra le varie
tendenze della trasmissione indiretta, ma anche spingersi al di là dell'ambito ristretto delle scuole filosofiche dal IV sec. a.C. in poi per ricostruire,
nei limiti del possibile, l'atmosfera e il contesto in cui Leucippo e Democrito hanno vissuto.
Le ipotesi sulla natura del cosiddetto atomo e, più in generale, sul carattere delle dottrine di Leucippo e Democrito dall'ottocento ad oggi sono
caratterizzate da un approccio teorico-ideologico oscillante continuamente
fra due poli opposti: fisica o ontologia in qualche modo già condizionata
dalla matematica, empiria o deduttivismo, dottrina di matrice eleatica o
radicata nella filosofia della natura della Ionia? Ciò che colpisce è proprio
la scarsa attenzione ai due punti succitati: all'analisi delle fonti che veicolano la visione dell'atomismo98 e alla realtà storico-culturale in cui gli
atomisti antichi hanno vissuto e operato. La preoccupazione principale
degli interpreti, a parte rare eccezioni99, sembra quella di "salvarli" da accuse di materialismo e di superficialità etica e filosofica (come la maggior
parte degli storici della filosofia di fine-ottocento) o di scarsa coerenza
98
99
in una serie di esemplificazioni del comune concetto dell'esistenza degli dèi. Il corrispettivo
esempio latino (versi di Ennio) di ciò che nel modello greco andava sotto il nome di Democrito compare in Cic. De nat. deor. 2,2,4. Allo stesso modo la citazione riguardante l'ispirazione del poeta in Clem. Strom. 6,18,168 (68 B 18 DK; 574 L.) proviene molto probabilmente in ultima istanza dall'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. Una simile
rappresentazione si ritrova infatti anche in Cic. De orat. 2,46,194; De div. 1,37,80; Hor. Ep.
2,3,295-97 (68 B 17 DK; 574 L.). Clemente conosceva le massime etiche democritee attraverso gnomologi del tipo di quelli che si trovano in Stobeo con il quale talvolta concorda,
cf. e.g. Strom. 4,23,149,3; Stob. 2,31,65 (68 B 33 DK; 682 L.).
Una eccezione è Morel 1996 il quale, però, è interessato soprattutto al contesto più strettamente filosofico delle fonti.
Cf. Salem 1996, che cerca per lo meno di storicizzare le testimonianze e di precisare le
relazioni delle opere democritee nella loro globalità con altri testi a loro contemporanei.
24
Introduzione
logica (prevalente invece negli interpreti del novecento in particolare di
area anglosassone100 ).
La critica del primo ottocento, i cui rappresentanti di spicco sono l'allievo di Schleiermacher, Ritter, e Brandis, interpretava l'atomismo soprattutto come una teoria materialista e meccanicista legata alla rappresentazione del mondo dei cosiddetti ionici e in stretta correlazione/
opposizione con le dottrine anassagoree101 . Ritter, sulla scia del suo maestro102 , ne dava un giudizio estremamente negativo considerandolo una
forma di sofistica che non andava a fondo di nessun problema, che aveva
rifiutato di porsi domande sull'origine del movimento103 , ridotto i fenomeni spirituali a fatti corporei104 e negato la possibilità di conoscenza e
quindi di scienza105 . Insomma l'atomismo era una teoria antifilosofica che
negava l'unità e dissolveva tutto nell'infinita molteplicità degli atomi e
nell'infinità del vuoto106 . Questa visione prevalente ai tempi dell'edizione
preliminare dell'opera zelleriana107 scaricava sull'atomismo un pre-giudizio
etico e di merito derivato da considerazioni completamente anacronistiche. Sul versante opposto stava l'autorevole interpretazione di Hegel che
nelle sue Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, pubblicate postume,
aveva visto nell'atomo non un'entità fisica, ma piuttosto l'unità astratta, il
tentativo di determinazione dell'assoluto108 . Proprio a questa visione hegeliana dell'atomo come uno si riallacciava Zeller nella sua rivalutazione
dell'atomismo soprattutto contro Ritter109 . Egli insisteva in particolare su
due punti strettamente connessi e non scevri anch'essi da pre-supposti:
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
Cf. ad es. Makin 1993, 12 "What recommends the account that will be given of Democritean atomism is charity. The indifference arguments which generate, and practically constitute, the basic atomic theory are cogent and stimulating arguments, and one should so
interpret a philosopher as to attribute the more cogent and plausible positions to him". E'
ovvio che qui la "cogenza" e la "plausibilità" pre-supposte sono quelle codificate dalle categorie del pensiero filosofico moderno. Sui problemi sollevati da questa "concezione criteriologica della razionalità", cf. Putnam 1985, 120-123; Tambiah 1993, 166s.
Cf. Brandis I, 1862, 303ss.
Schleiermacher 1839, 19; 72; 74ss. L'opera fu pubblicata postuma da Ritter stesso.
Ritter, 1829, 567; cf. anche Brandis I, 1862, 319s.
Ritter 1829, 574.
Ritter 1829, 576ss.
Ritter 1829, 581 "Überblickt man diese ganze Lehre des Demokrit, so läßt sich das
Antiphilosophische seiner Bestrebung nicht leicht verkennen. Denn nicht nur hebt er die
Einheit der Welt, sondern auch die Einheit der Seele und des Bewußtseins auf. An die
Einheit der Wissenschaft ist dabei nicht zu denken; Alles löst sich ihm in die unbestimmte
Vielheit der Atome und in das Unermeßliche des Leeren auf".
Zeller 1844, 195-200.
Hegel 1996, 355ss.
Zeller si rivolgeva contro queste tesi già nel 1843 in un excursus sulle "storie della filosofia"
pubblicate negli ultimi 50 anni (Zeller 1910, 46s.) e riprendeva con maggior dovizia di ar-
Introduzione
25
1. Da una parte sul fatto che l'atomismo come dottrina materialistica,
per una specie di necessità storica dello sviluppo dello spirito, non poteva
derivare dalla dottrina anassagorea che poneva invece un principio spirituale (il Nous) al di fuori della materia sviluppando un primo nucleo di
concezione teleologica del mondo. Anassagora "doveva", secondo lo
schema evoluzionistico hegeliano, essere anche cronologicamente posteriore agli atomisti. Per questo Zeller si schierava a favore della cronologia
bassa di Leucippo: non era Anassagora ad aver influenzato gli atomisti,
bensì il contrario. Conseguentemente, nella Philosophie der Griechen, quest'ultimo veniva trattato dopo Leucippo e Democrito.
2. Dall'altra sul fatto che l'atomismo, pur essendo una dottrina materialista, era radicato nella dottrina eleatica sulla cui scia aveva posto il problema dell'uno110 . A questo proposito Zeller portava in primo piano la
testimonianza aristotelica di De generatione et corruptione A 8 secondo cui
l'atomismo deriverebbe dalla accettazione/ correzione di tesi eleatiche 111
ed enfatizzava poi sempre più nelle successive edizioni della Philosophie der
Griechen questa dipendenza a scapito della presunta ascendenza eraclitea112 .
In questo modo cercava di liberare l'atomismo dal pregiudizio etico contro materialismo e sofistica diffuso ai suoi tempi, senza tuttavia staccarsi
egli stesso da una visione che valutava positivamente soprattutto le dottrine nelle quali si potesse intravvedere in qualche modo una teorizzazione
dell'unità e una preminenza dello spirito sulla materia.
110
111
112
gomentazioni la critica a Ritter nell'edizione preliminare della Philosophie der Griechen I, 1844,
198ss.; cf. anche Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1166ss.
Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1171 "Ebenso ist es schief, wenn man wegen der Vielheit der
Atome behauptet, es fehle diesem System gänzlich an Einheit. Fehlt seinem Prinzip auch
die Einheit der Zahl, so fehlt doch nicht die Einheit des Begriffs; indem es vielmehr der
Versuch macht, alles ohne Einmischung weiterer Voraussetzungen aus dem Grundgegensatz des Vollen und des Leeren zu erklären, so erweist es sich eben damit als das Erzeugnis
eines konsequenten, nach Einheit strebenden Denkens und Aristoteles ist in seinem rechte,
wenn er gerade seine Folgerichtigkeit und die Einheit seiner Prinzipien rühmt und ihm in
dieser Beziehung vor der weniger strengen empedokleischen Lehre den Vorzug gibt".
Zeller 1844, 213s. Sul passo, infra, cap. III.
Questa evoluzione si riscontra confrontando l'edizione preliminare del 1844 con le successive. Così se in Zeller 1844 l'influsso eracliteo è dato per sicuro (216 "Eben dieser Satz
(Das Ichts sei nicht mehr als das Nichts) ist es aber nun auch, durch den die Atomistik
auf's Bestimmteste auf Heraklit zurückweist [...] Wenn daher die Atomisten dem eleatischen Sein das Nichtsein eben in der Absicht zur Seite setzen, um dadurch das Werden
und die Bewegung möglich zu machen, so sind wir durch den innern Zusammenhang dieser Idee mit der Heraklitischen Philosophie genöthigt, auch einen geschichtlichen Einfluß
des letzteren auf die Entstehung des atomistischen Systems zu vermuthen"), molto più
cauta è la formulazione nella sesta edizione (1920, 1177 ob bei dem Widerspruch der Atomiker gegen die Eleaten der Einfluß des heraklitischen Systems mitwirkte, läßt sich nicht
sicher bestimmen") dove anche un influsso degli ionici viene messo in discussione (1181,
"von einem Einfluß der älteren ionischen Schule zeigen sich in der atomistischen Physik
vereinzelte Spuren").
26
Introduzione
Mentre Zeller rielaborava le diverse edizioni della sua monumentale opera,
le tesi di un atomismo radicato nella filosofia anassagorea venivano riprese
dalla critica positivista, da Gomperz nei suoi Griechische Denker, la cui
prima edizione era comparsa nel 1896, e da Brieger113 . Gomperz attribuiva
congiuntamente a Parmenide e a Leucippo il riconoscimento della
"costanza qualitativa" della materia, ma metteva in guardia dal sopravvalutare i punti di contatto fra gli atomisti e gli Eleati114 in quanto questi
ultimi avevano risolutamente negato quello che per gli altri era un postulato fondamentale e cioè il movimento. Gomperz vedeva piuttosto le
radici dell'atomismo nelle dottrine ioniche e in Anassagora. Allo stesso
modo Brieger sottolineava in particolare come i presupposti dell'atomismo
fossero contenuti nelle tesi anassagoree dell'eternità e dell'infinità dei semi
(che egli interpretava tuttavia come corpuscoli), della generazione e della
dissoluzione per composizione e scomposizione, dell'affermazione implicita che nulla nasce dal nulla115 .
Il problema delle origini dell'atomismo ha cessato di essere tale nel
momento in cui sono venute meno le ragioni storiche per cui era stato
posto e la visione zelleriana è stata accolta quasi come un dogma. Se si
eccettua uno studio di Sinnige che ha discusso le testimonianze aristoteliche alla maniera chernissiana riportando alla Ionia e ad Anassagora le
radici dell'atomismo e riferendo eventuali echi eleatici alla mediazione di
quest'ultimo116 , la rappresentazione eleatizzante trasmessa soprattutto da
Aristotele o da quello che di Aristotele si è voluto interpretare come tale,
si è imposta in maniera indiscussa a cominciare dal Bailey che nel suo
Greek Atomists and Epicurus, faceva di Leucippo un allievo degli Eleati.
Sempre sulla scia di questa tendenza, ma con una ulteriore spinta verso
una ontologizzazione e una rappresentazione matematizzante della dottrina atomista, si è posto l'Alfieri il quale, fortemente influenzato dal giudizio hegeliano, ha sovrapposto un assunto metodologico, di tipo hegeliano appunto, alle testimonianze reali sull'atomismo. Egli dichiarava
apertamente che si devono ricercare, al di là delle testimonianze dossografiche, i presupposti logici della dottrina atomista per non sminuirne il
valore speculativo117 . La preoccupazione, già zelleriana, per eventuali critiche ad un atomismo empirico determina tutta l'interpretazione alfieriana la
quale fa di Leucippo e Democrito dei platonici ante litteram, sostenitori di
113
114
115
116
117
Brieger 1901, 161-186.
Gomperz 1922, 288: "Verkehrt aber ist es, aus den sonstigen Berührungen der beiden
Lehren (scil. des Leukipp und des Parmenides) auf die Abhängigkeit der einen von der anderen zu schliessen".
Brieger 1901, 179.
Sinnige 1968, 138-71.
Alfieri 1979, 15.
Introduzione
27
una dottrina di matrice eleatica matematizzante, radicata negli assunti del
pitagorismo (o piuttosto in quelli che Alfieri riteneva tali). A queste radici
matematiche risalirebbero la valutazione positiva del non essere come
spazio e della molteplicità. Ancora al pitagorismo sarebbe da ricondurre il
carattere dell'atomo concepito come unità aritmetica e forma geometrica
astratta. In pratica Alfieri trasponeva esplicitamente118 agli atomisti le origini della filosofia platonica: Platone avrebbe solamente sviluppato un
maggior interesse per l'intellegibile, gli atomisti per il sensibile, l'uno e gli
altri, però, avrebbero individuato nelle forme matematiche degli enti intermedi. A prescindere dal carattere teorico astratto della matematica democritea, tutto da dimostrare, l'interpretazione dell'Alfieri è il risultato più
evidente della persistenza nei secoli dei pre-supposti che avevano originato anche una certa rappresentazione aristotelica dell'atomismo, e cioè la
problematica dell'infinita divisibilità e degli indivisibili e i relativi concetti
elaborati in questo ambito da Platone e dall'Accademia. Rispetto comunque ad Aristotele, che forniva anche una immagine alternativa e una rappresentazione fisica dell'atomismo, Alfieri prescindeva metodologicamente proprio da quelle testimonianze che presentano una dottrina fisica
e non matematica come egli la intendeva.
Dipendenza dagli Eleati e anticipazione di dottrine accademiche119 ed
Epicuree costituiscono in sintesi l'interpretazione dell'atomismo fornita da
Lur'e le cui tesi sono state comunque ampiamente confutate già da Mau e
Furley. Lur'e ha il merito di aver raccolto finora la più grande congerie di
testimonianze sull'atomismo, ma il suo principale difetto metodologico
consiste nell'utilizzazione acritica delle fonti120 .
Se Alfieri e Lur'e costituiscono portano all'estremo la platonizzazione
dell'atomismo, altri interpreti come Furley (1967; 1987), pur accettando le
tesi della derivazione dall'eleatismo, individuano anche i problemi che ne
scaturiscono, in particolare la difficoltà di definire il tipo di indivisibilità
dell'atomo e la sua specifica relazione con i paradossi zenoniani.
Una linea interpretativa di area anglosassone si è, in questo ultimo decennio, affannata a "salvare" la reputazione di Democrito come filosofo 121
proprio basandosi sulle presunte risposte ai paradossi zenoniani e sviluppando brillanti ipotesi che tuttavia fanno sparire completamente dall'oriz118
119
120
121
Alfieri 1979, 50.
Fino all'assurdità di anticipare a Democrito la successione punto-linea-superficie-solido,
testimoniata solo per la scuola platonica e di vedere anche una critica all'atomismo antico
nel trattato De lineis. Cf. Lur'e 1932, 148ss.; 1970, 333.
Lur'e attribuisce ad esempio lo stesso valore ad Aristotele e ai suoi commentatori neoplatonici. Il suo esempio è stato seguito anche in alcune dissertazioni più recenti sull'atomismo,
in particolare Löbl 1976 (cf. anche 1987) e Nikolau 1998.
Cf. Makin 1993, supra, n. 100.
28
Introduzione
zonte il contesto in cui Democrito ha vissuto e il sostrato della trasmissione delle sue dottrine. A monte del rapporto Democrito-Zenone c'è
naturalmente l'ulteriore problema della definizione dei paradossi, della
loro funzione e della posizione stessa di Zenone nel suo contesto storicoculturale. Negli studi moderni egli viene infatti interpretato secondo l'immagine canonica tramandata da Platone nel Parmenide, quella di un allievo
che ha cercato di dimostrare per altra via l'assunto del suo maestro secondo cui l'essere è uno. In realtà questa rappresentazione, predominante
nella storiografia filosofica antica, ha completamente isolato questa figura
dal suo contesto storico-culturale. Sebbene non sia questo il luogo di rivedere la tradizione su Zenone, è opportuno sottolineare che, quando si
parla di una "reazione" democritea ai paradossi, si deve tener presente che
Democrito, se mai li ha presi in considerazione, potrebbe averne avuto
anche una percezione diversa da quella platonica122 . I paradossi zenoniani
risultano in effetti molto meno matematizzanti e astratti se liberati dal
carico concettuale delle interpretazioni seriori e visti come una strategia
pratica tesa a distruggere gli automatismi mentali. In ogni caso sia il vero
Zenone che il vero Democrito potevano essere anche diversi dalla rappresentazione che ne dà la tradizione platonica e rispettivamente aristotelicoteofrastea.
L'inserimento dell'atomismo nell'ambito della problematica degli indivisibili conduce comunque ad un ulteriore dilemma, sempre dibattuto, ma
mai risolto completamente e cioè quello della natura dell'atomo. Si tratta,
anche in questo caso, di una vecchia questione presente nella tradizione
antica in descrizioni del tutto contrastanti che hanno generato, a seconda
del peso maggiore assegnato all'uno o all'altro testo, interpretazioni del
tutto divergenti. Una soluzione palesemente anacronistica è quella di Lur'e
che ha interpretato l'atomo democriteo come un indivisibile fisico delimitato a sua volta da minimi privi di parti come quello epicureo. Lur'e si
appoggia in particolare su un passo di Alessandro di Afrodisia123 adattando
altre testimonianze a questo schema e attribuendo errori di interpretazione
ai numerosi testi che contraddicono questa visione.
Per il resto, l'interpretazione dell'atomo degli atomisti antichi è oscillante a seconda della valutazione delle fonti. Alcuni interpreti vedono
l'atomo come un indivisibile assoluto in quanto solo così potrebbe costituire una soluzione del paradosso zenoniano. A conferma di questa tesi
citano il rimprovero di Aristotele agli atomisti di essere andati contro i
principi della matematica e altri testi tardi che attribuiscono loro specifi122
123
Su una rappresentazione alternativa a quella del Parmenide platonico, attestata già dal IV
sec. a.C. e in Platone stesso, che vede Zenone disputare in utramque partem, v. infra, III 2. 1.
n. 24.
Alex. Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.). Per la discussione del passo, v. infra, VI 3. 1 n. 77.
Introduzione
29
camente dei minimi privi di parti124 . Indivisibilità fisica, ma non teoretica
gli viene attribuita da coloro che ritengono invece il problema dell'indivisibilità matematica estraneo alla prospettiva fisica democritea che separa
nettamente la fisica dalla geometria125 . Mau faceva dell'atomo democriteo
un minimo-misura variabile a seconda dell'ordine delle grandezze126 . Una
tendenza impostasi in area anglosassone negli anni novanta punta invece il
dito sull'inadeguatezza di queste interpretazioni giudicando il dibattito
sull'indivisibilità fisica e teoretica un falso problema. L'indivisibilità sarebbe giustificata non in base ad un argomento fisico, ma in base ad un
argomento "filosofico" di matrice eleatica quale quello dell'omogeneità
dell'atomo che risponderebbe ai requisiti posti dall'argomento dell'indifferenza: non c'è ragione che un atomo sia divisibile più in un punto che in
un altro127 .
4. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo
Come si vede le ipotesi sui fondamenti dell'atomismo antico e sulla natura
dell'atomo sono numerose e partono comunque tutte dal pre-supposto
che specifici testi aristotelici o di autori tardi offrano una visione reale e
obiettiva dell'atomismo e delle sue radici. In tutti questi studi manca tuttavia una decisa e radicale analisi delle fonti a cominciare dai vari passi aristotelici per finire con gli autori neoplatonici. Tali testi vengono usati di
volta in volta per dimostrare l'una o l'altra tesi, ma mai sottoposte ad un'analisi critica globale.
Lo scopo primario di questo lavoro consiste invece principalmente
nell'esame e nella valutazione contestuale e sistematica delle fonti antiche
che permetta di individuare i pre-supposti di una certa interpretazione
unidirezionale delle dottrine di Leucippo e Democrito, limitata esclusivamente alla considerazione dei rapporti con altre "filosofie" e all'inserimento nella problematica degli indivisibili. Si tratta di un passaggio necessario per ampliare la prospettiva sul contesto e la natura dell'atomismo ad
altri ambiti fuori di quello specificamente filosofico.
Uno dei lavori più importanti per un nuovo inquadramento della problematica dell'atomismo, non tanto perché tratti il tema specifico, quanto
per le indicazioni e gli spunti che offre, e che è incomprensibilmente pas124
125
126
127
Furley 1967, cap. VI; 1987, 124-127. Per la discussione dei passi di Arist. De cael. G 4 e
Simpl. In Phys. 231a 21, 925,10 (67 A 13 DK; 113 L.) in particolare, v. infra, VI 3. 4.
Calogero I, 1967, 432; Baldes 1972, 16, 38, 43ss.; lo stesso Furley 1987, 130 sembra ventilare un'ipotesi di questo tipo per risolvere i problemi del rapporto con la matematica.
Mau 1954, 22ss.
Cf. Makin 1989; 1993, 54-62; Lewis 1998.
30
Introduzione
sato quasi inosservato anche nelle interpretazioni più recenti, è il capitolo
su Democrito di Platonismus und hellenistische Philosophie di Hans Joachim
Krämer. Krämer individua molto chiaramente nelle polemiche di Aristotele contro gli indivisibili accademici uno dei maggiori pre-supposti dell'inquadramento aristotelico dell'atomismo antico. L'atomismo accademico, il cui rappresentante principale per la tradizione antica è Senocrate,
è stato in realtà sempre completamente trascurato negli studi sull'atomismo antico (se si esclude un breve capitolo eminentemente descrittivo, ma
isolato, dedicatogli da Furley128 ). Eppure la tematica della divisibilità
all'infinito delle grandezze e degli indivisibili discussa nell'Accademia
fornisce ad Aristotele l'apparato concettuale per interpretare l'atomismo e
rappresenta il filtro culturale attraverso cui passano le sue letture non solo
degli atomisti, ma anche delle presunte teorie corpuscolariste dei presocratici. E' infatti principalmente il confronto critico implicito o esplicito
con le dottrine accademiche a costituire il sottofondo di molti passi nei
quali Aristotele discute questi temi129 , confronto di cui egli spesso si serve
come di un'arma contro quelli che erano nel frattempo divenuti i suoi più
diretti avversari. Indizi presenti in allusioni aristoteliche e in testi più tardi,
combinati con aneddoti riguardanti la conoscenza di Democrito da parte
di Platone, portano a pensare che le teorie democritee fossero state interpretate e discusse non tanto dal maestro quanto soprattutto dai suoi allievi
pitagorizzanti130 . Gli autori antichi riportano inoltre con sicurezza a Senocrate la discussione e la soluzione dei paradossi zenoniani con la dottrina
delle linee indivisibili. Si tratta proprio dello stesso punto da cui, secondo
l'interpretazione moderna di un passo di Aristotele (De gen. et corr. A 2),
avrebbe preso le mosse anche Democrito. Questa coincidenza e il fatto
che il passo aristotelico non attribuisce la dimostrazione della necessità
degli indivisibili specificamente a Democrito, ma si mantiene su formulazioni piuttosto vaghe, giustifica il sospetto che il pre-supposto della problematica trattata qui da Aristotele stia proprio nella discussione accademica del paradosso cosiddetto "della dicotomia" di Zenone. In questo
sostrato interpretativo, nel quale anche Aristotele spesso si inserisce e del
quale utilizza i concetti, si devono dunque ricercare le radici di quella rappresentazione delle dottrine fisiche leucippee e democritee in una certa
prospettiva teorica (il vuoto come un altro dall'essere, l'atomo come un
minimo fisico assolutamente indivisibile) legata alla problematica dell'eleatismo. In questa ottica va rivista anche la trattazione aristotelica della nascita dell'atomismo di Leucippo come correzione di teorie eleatiche, ma su
128
129
130
Furley 1967, cap. VII.
Per il presunto corpuscolarismo di Empedocle, cf. Gemelli Marciano 1991a.
V. infra, I 2. Eraclide Pontico aveva scritto ben due opere su Democrito. Heraclid. Fr. 22
Wehrli (Diog. Laert. 5,86) Pro;" Dhmovkriton. Pro;" to;n Dhmovkriton ejxhghvsei" a .v
Introduzione
31
presupposti eleatici e la presentazione della dottrina dell'atomo come risposta alle aporie zenoniane. D'altra parte Aristotele e Teofrasto forniscono parallelamente anche un quadro dell'atomismo diverso dal precedente, legato soprattutto a considerazioni eminentemente fisiche che sembra talvolta entrare in collisione con l'altra rappresentazione. Si tratta in
realtà di contesti diversi in cui prevalgono interessi storico-descrittivi su
quelli argomentativi maggiormente sottoposti al condizionamento dell'apparato concettuale corrente e dei fini stessi della dimostrazione.
L'immagine bifronte dell'atomismo antico si estende comunque attraverso la mediazione della dossografia e della tradizione di scuola per tutta
l'antichità rendendo difficile qualsiasi tentativo di interpretazione. Accanto
ad un atomo di Leucippo e Democrito solido e compatto come quello
epicureo (la rappresentazione nettamente prevalente), emerge qua e là un
minimo fisico indivisibile per la piccolezza e privo di parti contrapposto a
quello solido di Epicuro. Come sia stata mediata questa immagine, che nei
testi aristotelici si intravvede solo raramente in un sottofondo di allusioni,
rimane un problema. Si può stabilire invece, attraverso l'esame delle caratteristiche strutturali dei testi che presentano questa interpretazione dell'atomo, l'identità dei mediatori di questa visione "diafonica" dell'atomismo. Jaap Mansfeld ha mostrato, per quanto riguarda la dossografia
sull'anima, che il tratto specifico della diaphonia, presente in alcuni testi
rimanda all'Accademia scettica131 . Lo stesso si può dire per i passi in cui
l'atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti di Leucippo (più raramente di Democrito), viene opposto a quello solido epicureo: è l'Accademia scettica ad aver discusso e formulato in maniera dialettica la problematica dell'atomismo e ad aver propagato anche l'immagine bifronte
del rapporto fra le dottrine di Epicuro e quelle degli atomisti antichi sottolineandone, a seconda del contesto, la sostanziale uguaglianza o l'aperto
dissenso. Questo procedimento, che ha disorientato gli esegeti moderni,
era tuttavia funzionale al metodo dialettico confutativo con cui l'Accademia scettica affrontava le dottrine dei cosiddetti dogmatici. Nel momento
in cui si voleva mettere in rilievo la scarsa originalità di Epicuro, se ne
sottolineava la servile dipendenza da Democrito, quando invece si voleva
dimostrare che Epicuro aveva fatto peggio dei predecessori o che gli atomisti si contraddicevano l'un l'altro, si applicava lo schema della diaphonia.
Alcuni degli excursus delle fonti antiche impostati soprattutto su una critica
all'atomismo in genere hanno come modelli queste confutazioni. Ciò non
impedisce ovviamente che, per altri aspetti della dottrina atomista, autori
come Cicerone e Plutarco abbiano potuto servirsi anche di altre fonti. Gli
autori cristiani, spesso tralasciati e considerati di scarso rilievo negli studi
131
Mansfeld 1989a, 338-342; cf. anche 1990a, 3056-3229.
32
Introduzione
sull'atomismo, si sono abbondantemente serviti, ovviamente attraverso
mediazioni, della rappresentazione critica elaborata nell'Accademia scettica. Per quanto arbitrarie e personali possano sembrare certe loro argomentazioni, non si tratta affatto di critiche sviluppate individualmente, ma
di motivi dialettici risalenti all'uso dell'Accademia scettica di confutare le
dottrine dogmatiche mettendone in luce non solo la discordanza con altre,
ma anche le contraddizioni interne. Quest'uso si integrava perfettamente
con il fine degli scrittori ecclesiastici: l'annientamento della tradizione culturale pagana. Dimostrando come quelli che i "gentili" stimavano filosofi
fossero una accolita sempre in disaccordo fra di loro e sostenessero delle
tesi apertamente contradditorie, essi minavano alle basi la credibilità della
cultura e dei valori pagani132 . Gli autori cristiani si dimostrano dunque
estremamente utili per chiarire certe oscurità di resoconti dossografici
facenti capo in definitiva alla stessa tradizione.
Una attenzione particolare è stata dedicata nel presente lavoro anche
ai commentatori aristotelici la cui utilizzazione ha portato ad interpretazioni assolutamente discordanti. Essi sono stati spesso assunti come testimonianze valide a tutti gli effetti per ricostruire una dottrina atomista
originaria, nonostante sia comunemente ammesso che nessuno di loro
aveva accesso diretto alle opere degli atomisti133 . Se è vero che Simplicio
conosceva di prima mano l'opera di Aristotele su Democrito, di cui riporta
l'unico frammento esistente, e le doxai di Teofrasto dalle quali verosimilmente attinge per il resoconto su Leucippo e Democrito, non è comunque
assolutamente scontato che se ne serva ogniqualvolta tratta dell'atomismo.
I commentatori, quando devono commentare uno specifico passo aristotelico, seguono spesso esegeti a loro vicini o si rifanno alla dossografia o a
tradizioni più antiche, ma non ai testi originali. Lo stesso Simplicio, l'unico
che conosce gran parte degli originali di prima mano, li cita solo in casi
particolari, quando cioè è in disaccordo con qualcuno dei suoi predecessori sull'interpretazione di un determinato passo. Per quel che riguarda le
testimonianze di questi esegeti sull'atomismo antico, il panorama è complesso e sconsolante: a fronte dell'ortodossia peripatetica e aristotelica
talvolta integrata con la tradizione epicurea di Alessandro, sta la volubilità
132
133
Questo assunto, fondamentale delle opere di Eusebio e Teodoreto, giustifica la dovizia di
informazioni sulle opinioni dei filosofi greci da loro offerta. Cf. Diels 1879, 47. Sull'uso
della diaphonia presso gli autori cristiani finalizzato alla confutazione delle dottrine pagane,
cf. Riedweg 1994, VI 3 con abbondante esemplificazione.
Ancora negli studi più recenti (cf. e.g. Löbl 1976, 1987, Nicolau 1994, Makin 1993, 49-53)
si continua sorprendentemente ad utilizzare ad esempio il Filopono nel quale non c'è la
minima traccia di contatto diretto coi testi non solo degli atomisti, ma neppure degli altri
presocratici più citati come Empedocle. Sullo scarso valore delle testimonianze del Filopono in relazione all'indivisibilità dell'atomo, cf. anche Bodnár 1998. Simplicio poi continua a fare testo, cf. Makin 1993, Lewis 1998, Hasper 2002.
Introduzione
33
dei commentatori neoplatonici che, senza alcun problema, offrono esegesi
opposte in contesti diversi. Questo è tuttavia perfettamente comprensibile
alla luce della tradizione dei commenti neoplatonici ad Aristotele: talvolta
infatti i commentatori si rifanno ad Alessandro o a qualche altro peripatetico, talaltra utilizzano i testi dei loro predecessori neoplatonici quali Porfirio e Giamblico creando nei moderni quell'impressione di "schizofrenia
esegetica" da cui scaturiscono rappresentazioni totalmente discordanti
dell'atomismo antico.
Qualcuno potrebbe obiettare che queste considerazioni rischiano di
offuscare l'immagine di Simplicio togliendogli ogni "originalità" e facendone un semplice compilatore, ma anche la difesa dell'"originalità" degli
autori antichi è in gran parte un bisogno derivato dai nostri pre-supposti
culturali. Oggi, essere "originali" significa distanziarsi dalla tradizione, dire
qualcosa che nessuno ha mai detto. Per i commentatori neoplatonici di
Aristotele, e non solo per loro, invece, la continuità con la tradizione, che
significa anche ripresa più o meno letterale di brani dei predecessori, è
fondamentale. Essi possono "aggiungere" qualcosa a quanto già detto o
anche talvolta esprimere posizioni differenti, ma il grosso del loro commento è basato sugli insegnamenti dei "maestri"134 e sull'interpretazione
che costoro hanno dato dei singoli passi. Su questo punto è illuminante un
articolo di John Dillon che illustra in modo esemplare il tema dei "debiti"
dei commentatori neoplatonici soprattutto nei confronti di Giamblico.
Cercando di raccogliere i frammenti del perduto commento alle Categorie
aristoteliche di quest'ultimo, Dillon afferma di essere arrivato a questa
conclusione
that there is really no pressing need to collect the fragments of Iamblichus' lost
commentary on the Categories because after all it is not really lost; it is virtually all
still there, embedded in the amber of Simplicius135 .
Prescindendo dunque da giudizi di valore e tenendo conto di questa peculiarità metodologica dei commentatori neoplatonici di Aristotele, si può
affermare che le loro testimonianze sugli atomisti antichi vanno esaminate
alla luce dei singoli contesti. Il risultato, come si vedrà, non è entusiasmante: i testi dei commentatori, fuori dalle citazioni dirette da Aristotele
o Teofrasto, sono inutilizzabili per la ricostruzione delle dottrine atomisti134
135
Cf. e.g. le dichiarazioni Simplicio nel suo commento alle Categorie (Prooem. 3,4 ejgw; ga;r
ejnevtucon me; n kaiv tisi tw'n eijrhmev nwn suggrav mmasin, ejpimelevsteron de; wJ" oi|ov" te h\ n toi'"
Iamblivcou parakolouqw'n ajpegrayavmhn, kai; aujth'i pollacou' th'i levxei tou' filosovfou
crhsavmeno"), su cui ha attirato l'attenzione Dillon 1998, 175. Simplicio continua affermando che il suo scopo è quello di riassumere le opere dei suoi predecessori per comunicarne il contenuto anche a coloro che non sono in grado di leggerle per esteso. Sul metodo
di Simplicio, cf. anche Hadot 1987 e 2002.
Dillon 1998, 176.
34
Introduzione
che originali. La delusione per l'esito è comunque compensata dalla constatazione che uno dei principali motivi di confusione e di infiniti dibattiti
è completamente privo di consistenza.
5. Osservazioni metodologiche
Dato che alcuni problemi e concetti più generali concernenti la trasmissione e l'interpretazione delle dottrine degli antichi e altri riguardanti più
specificamente l'atomismo sono stati e sono tuttora oggetto di discussione
e ridefinizione, ritengo opportuno fare alcune precisazioni sull'approccio e
la terminologia adottata nel presente studio.
Un punto fondamentale da chiarire poiché spesso, soprattutto in questi ultimi anni, ha costituito un nodo cruciale e dibattuto nell'ambito dell'interpretazione dei presocratici e sul quale a mio parere vige attualmente
una certa confusione è la legittimità di un certo approccio "filosofico", in
particolare analitico, a questi autori. E' un problema antico che risale soprattutto ad Aristotele al quale più o meno consciamente si richiamano
tutti i difensori della tesi secondo cui i presocratici sono "filosofi" e come
tali vanno interpretati. Rimane tuttavia da definire se essi debbano considerarsi "filosofi" nel senso moderno, cioè personaggi dediti alla discussione speculativa e lontani dalle "cure" pratiche e se debbano quindi rientrare a questo punto in una storia della filosofia che si ostina a considerare
tale solo la discussione di questioni teoriche, o se invece si tratti di sapienti
radicati nel loro contesto culturale che li influenza e che essi stessi influenzano attivamente e dunque siano "filosofi" nel senso etimologico di
"amanti della sofiva" con tutte le connotazioni pratiche che questo termine comporta. E' questo infatti il nodo cruciale passato sotto silenzio
nell'approccio esclusivamente filosofico. Si deve dunque essere ben consci
del fatto che i loro testi sono stati, da Aristotele in poi, estrapolati a piacere dal loro contesto culturale e continuamente riusati e manipolati ai fini
della discussione dialettica o della dimostrazione di determinate teorie o
della ricostruzione di un albero genealogico delle scuole filosofiche senza
alcuna considerazione per la loro diversità intrinseca e per il loro contesto
specifico. Essi sono stati per così dire "travolti dalla filosofia" e da testi
estremamente diversi fra loro per origine, scopi e destinazione pratica,
sono diventati appunto esercizi speculativi di personaggi che, come moderni accademici, discutono fra loro più o meno a distanza di questioni
teoriche. Se questa immagine può attagliarsi alle scuole filosofiche ellenistiche (ma anche qui ci sarebbero da fare dei distinguo), è assolutamente
priva di fondamento per i presocratici, ma viene continuamente riproposta
nell'approccio filosofico analitico che può così prescindere dall'analisi
Introduzione
35
globale delle fonti e della tradizione indiretta, dall'esame di una più vasta
gamma di testimonianze di diverso genere fuori dell'ambito strettamente
filosofico, dal tentativo di ancorare i frammenti e le testimonianze ad un
contesto storico. La giustificazione generalmente fornita per questo tipo di
interpretazione è che in ogni caso non si può arrivare ad una ricostruzione
esatta del pensiero di questi autori e che dunque è legittimo spiegarli con
concetti a noi familiari per poterli comprendere (la cosiddetta "rational
reconstruction"136 ), ma su questo punto valgono le osservazioni fatte
all'inizio di questo capitolo. Questo tipo di approccio alla cultura antica, se
nell'immediato sembra produttivo e gratificante, a lungo termine non può
che portare alla cancellazione di ogni traccia delle dottrine originali. L'interpretazione moderna di Democrito, condotta su questa linea, ha condotto non solo a durissimi giudizi etici e filosofici e a successivi tentativi
altrettanto anacronistici di "salvataggio"137 , ma anche al rigetto e all'emarginazione sistematica di aspetti importanti della sua opera quali quello "tecnico", un fatto che si è ripercosso anche sull'interpretazione della dottrina
dell'atomo. In questo lavoro ho quindi cercato, con tutti i limiti e le possibilità di errore connaturati ad una ricerca a vasto raggio su un campo disseminato di rovine, di affrontare l'analisi delle fonti antiche sull'indivisibilità dell'atomo e di contestualizzarle ogni volta nell'ambito da cui esse
provengono.
Per tutto quanto ho ora esposto e nonostante ormai sia divenuto un
topos nella Sekundärliteratur sugli atomisti precisare tutte le possibili sfumature del termine indivisibilità, ho deciso deliberatamente di tralasciare
questo tema non solo perché altri lo hanno già fatto138 , ma soprattutto
perché, in relazione all'atomismo antico, si tratta, a mio avviso, di distinzioni prive di qualsiasi fondamento storico139 . Rimando per questo alla
lettura del capitolo conclusivo in cui ho cercato brevemente di contestualizzare le dottrine degli atomisti nell'atmosfera culturale del V sec. a.C.
sottolineandone in particolare il rapporto con la medicina e rivalutando
anche aspetti stilistici e testimonianze generalmente trascurate. In questo
contesto le speculazioni moderne sull'indivisibilità dell'atomo risultano
136
137
138
139
Cf. Makin 1998 e Rorty 1984.
Makin 1993, 15 giustifica il suo uso di "analytic techniques" lontane dalla realtà storica dei
presocratici con il già citato principio della "charity", ma aggiunge che tuttavia i risultati di
questo procedimento non devono essere necessariamente "ahistorical". Egli però intende
per "storico" una "Entwicklungsgeschichte des Geistes" alla maniera zelleriana e si limita a
considerare come "evidenza storica" la testimonianza o il frammento in sé e per sé senza
alcuna correlazione con un contesto storico-culturale.
Cf. la discussione del termine in Barnes 1982, 50ss.; Lewis 1998, 6ss.; Makin 1979, 1993,
cap. III; Taylor 1999, 164-171.
Cf. anche Sorabji 1983, 354-357; Held 1998, 27.
36
Introduzione
estremamente lontane da una visione del mondo sostanzialmente ancorata
alla realtà socio-politica, ai fenomeni, ai corpi.
Un'altra precisazione va fatta riguardo all'impiego dei termini "dossografia" e "dossografico". Diels, che li ha coniati, si riferiva esclusivamente
alle raccolte di doxai facenti capo al cosiddetto Aezio e risalenti nel loro
nucleo originario alle Fusikai; dovxai di Teofrasto. Col tempo questi termini hanno assunto una connotazione più ampia con evidenti degenerazioni140 . Mansfeld 141 e Runia mettono in guardia dall'uso improprio di questo termine estendendo la restrizione anche a quei testi contenenti sì passi
"dossografici", ma tali solo nella forma, non negli scopi. In un discorso
sulla trasmissione di dottrine specifiche rimane comunque, al di là delle
distinzioni concettuali, il problema di rendere questi passi immediatamente riconoscibili. Ed è per questo che, in maniera pur imprecisa, ma per
una questione di comodità, ho usato talvolta il termine "dossografico"
anche quei resoconti caratterizzati da uno stile dossografico come certi
brani di Cicerone, Plutarco e Sesto Empirico142 . Un ulteriore problema di
denominazione si presenta in relazione ad un altro tipo di testimonianze.
Ci sono infatti buone ragioni per credere che, accanto ad una trasmissione
compendiaria (la dossografia cioè in senso stretto), ci fosse, per lo meno
in alcune scuole filosofiche, la consuetudine di utilizzare repertori di citazioni letterali su temi particolari. Questa tendenza è particolarmente evidente nella trasmissione di citazioni sul tema della gnoseologia nella tradizione scettica. Le stesse citazioni o gli stessi gruppi di citazioni letterali
dagli stessi autori si ripetono regolarmente nelle fonti riconducibili a questo filone e riportabili in alcuni casi sicuramente al capostipite dell'Accademia scettica, Arcesilao143 . Tali "repertori" non appartengono al genere
"dossografico" in senso stretto, ma presentano similitudini nella forma (in
quanto riportano, sebbene in forma letterale, dovxai su argomenti specifici)
e negli obiettivi (in quanto forniscono una panoramica generale delle opinioni su determinati problemi). Gli studi moderni hanno inoltre evidenziato l'importanza di rudimentali raccolte di opinioni, organizzate intorno
a temi-chiave quali il numero dei principi, circolanti in ambito sofistico già
prima di Platone144 e di cui quest'ultimo e Aristotele, si sono serviti
ampliandoli e adattandoli ai loro scopi145 . Mi sembra dunque che l'uso
ristretto della denominazione "dossografia" e "dossografico", invece di
140
141
142
143
144
145
Cf. un excursus sugli usi moderni impropri del termine in Runia 1999, 33s.
Mansfeld 1999, 19.
Cui, secondo Mansfeld 1999, 19 e Runia 1999, 52 non si dovrebbe applicare questa "etichetta".
Nel caso specifico di Democrito, cf. Gemelli Marciano 1998.
V. infra, III 2. 2. 1.
Cf. von Kienle 1961, Cambiano 1986, Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].
Introduzione
37
semplificare, complichi inutilmente il problema terminologico. Se ci può
essere accordo sul fatto che la dossografia come genere specifico è quella
teofrasteo-aeziana, è tuttavia anche innegabile che certi brani di stile dossografico, con relative interpretazioni, nella letteratura filosofica o scientifica fanno parte a pieno titolo di una trasmissione di doxai all'interno di
una tradizione e non sono semplici rimaneggiamenti dell'autore stesso di
materiale direttamente tratto da manuali come quello di Aezio146 . Per questi motivi ho usato la denominazione resoconto dossografico in maniera
talvolta informale e in una accezione più vasta rispetto all'uso originale
dielsiano e a quello raccomandato da Mansfeld e Runia. Ho considerato
resoconti dossografici in senso lato anche dei brani di Aristotele, sia isolati
sia inseriti in contesti argomentativi, caratterizzati da uno stile "dossografico" vale a dire da una esposizione schematica, basata su concetti-chiave
(ad es. numero dei principi, carattere dei principi) nella quale prevalgono
interessi descrittivi. In pratica quegli appunti che Aristotele stendeva per
avere davanti a sé un panorama riassuntivo globale delle opinioni dei predecessori su un determinato problema e dai quali attingeva di volta in
volta a seconda delle proprie esigenze147 . Che Aristotele disponesse, anche
nel caso di Democrito, di appunti di questo genere, lo si può dedurre dal
parallelismo di diversi passi descrittivi riguardanti le dottrine atomiste148 .
Nella tradizione tarda si fa poi strada anche una maniera diversa di
utilizzare i dati dossografici. Spesso infatti le informazioni sono organizzate secondo schemi antilogici, vale a dire come doxai contrapposte tese a
dimostrare l'inconsistenza di tutte le opinioni dogmatiche. Si tratta del
metodo utilizzato nell'Accademia scettica e nel neopirronismo di cui si
trovano esempi numerosi in Cicerone e Sesto Empirico, ma anche negli
autori cristiani. In questo caso le doxai vengono usate in un contesto particolare, talvolta organizzato in forma di dialogo, che implica, spesso in
maniera non facilmente distinguibile, interventi critici. In questi casi, le
singole opinioni degli antichi trascinano con sé anche il bagaglio critico e il
tutto diventa "repertorio" manualistico.
Ho impiegato con parsimonia anche il termine "fonte" nella sua accezione tradizionale di testo identificabile con una certa sicurezza e ricopiato
in maniera più o meno fedele da un determinato autore. Ho fatto invece
146
147
148
Sulla necessità pratica dell'uso più ampio della denominazione di "dossografia", cf. Van der
Eijk 1999, 21s.
Sulla necessità di redigere tali appunti subordinatamente alla trattazione dei singoli problemi, cf. Top. 105b 12 e Mansfeld 1992b, 332.
Cf. in particolare le concordanze fra Arist. Fr. 208 Rose e De gen. et corr. A 8, infra, III 4. 3.
38
Introduzione
più spesso riferimento ad una "tradizione"149 . Questo perché, nella
maggioranza dei casi, i resoconti postteofrastei, generali o particolari, sulla
dottrina dell'atomo risalgono a schemi correnti nelle diverse scuole filosofiche ellenistiche e tardo-ellenistiche, talché è impresa disperata stabilire
con precisione la "fonte". Si può invece, con un margine inferiore di arbitrarietà, parlare di "tradizione" intendendo con questo termine le tendenze
interpretative delle teorie democritee tipiche di singole scuole filosofiche o
di una specifica letteratura tecnica. In questo tipo di trasmissione rimane
aperto e fluttuante, spesso entro limiti non ben definibili, il gioco di interscambio fra trasmissione orale e fissazione scritta di una determinata interpretazione. Questo vale ad esempio per l'immagine di un Democrito
scettico cui è collegato un gruppo specifico di sentenze irradiate dalle
lezioni di Arcesilao150 , ma confluite poi nelle trattazioni di scuola da cui
attinge ad esempio Cicerone. Soprattutto risulta difficile stabilire delle
precise distinzioni fra trasmissione orale e scritta nell'ambito, peraltro
importante e indicativo, della critica sviluppata contro una determinata
doxa. Qui repertori argomentativi tramandatisi oralmente nell'esercizio
scolastico hanno avuto probabilmente la stessa efficacia e la stessa persistenza di critiche fissate per iscritto. In questo caso, più importante della
determinazione della precisa provenienza della critica e della doxa che l'ha
generata, è l'individuazione della tendenza interpretativa da questa veicolata e, in termini più generali, la possibilità di risalire per lo meno ad una
scuola filosofica o ad una tradizione di altra provenienza. E' soprattutto
l'elemento di continuità nell'esegesi dei testi e degli autori antichi all'interno delle scuole filosofiche e delle altre tradizioni a costituire il filo conduttore dell'interpretazione dei dati. Nel caso particolare delle testimonianze sui fondamenti dell'atomismo antico, anche le rigide differenziazioni fra citazione letterale, parafrasi, reminiscenza perdono facilmente il
loro valore funzionale. Si può comunque osservare che testi fondamentali
rimangono delle parafrasi quali quelle di Aristotele e di Teofrasto che,
nonostante i rimaneggiamenti, attingono direttamente agli originali.
Paradossalmente spesso le scarse citazioni letterali, quali quelle di Sesto
Empirico, Diogene Laerzio, Galeno ed altri, provengono da excerpta
conservatisi in una determinata tradizione di scuola o tramandatisi attraverso raccolte e, più che chiarificare, creano ulteriori complicazioni e possibilità di fraintendimento. La maggior parte del materiale è però costituito
da resoconti di seconda o di terza mano importanti per determinare il
149
150
Cf. Mansfeld 1999, 29 il quale utilizza, per l'interpretazione data dai singoli autori all'interno di una tradizione, il termine "ricezione". Per la discussione sui termini "fonte" e "tradizione" in relazione a Plotino, cf. Harder 1957.
Se Arcesilao abbia posto per iscritto delle opere filosofiche, risulta ancora poco chiaro dalle
testimonianze, cf. Görler 1994, 786s.
Introduzione
39
filone che li ha trasmessi, ma non fondamentali per risalire ad un nucleo
dottrinario originale.
Il presente lavoro è dedicato, per ragioni di economia e di unitarietà,
unicamente all'esame dei fondamenti e dell'origine della dottrina atomista
e tralascia volutamente un altro aspetto importante quale il tema della
conoscenza. Questo non solo investe una problematica che si allarga a
tutta la cultura del V sec. a.C., ma assume un suo carattere specifico anche
per ciò che concerne l'esame delle fonti e necessiterebbe di una trattazione
particolare. A questo aspetto ho dedicato comunque un piccolo spazio nel
capitolo conclusivo esaminando il cosiddetto "scetticismo" democriteo da
un'altra ottica, quella cioè delle strategie comunicative comuni anche ai
medici ippocratici.
Ho tralasciato altresì il problema specifico della matematica democritea la cui discussione si basa soprattutto su testi generici o di difficile interpretazione151 , dai quali poco di sicuro si può ricavare, o sui titoli delle
opere che presentano tutti i problemi dovuti alla catalogazione e alla titolazione tarda e la cui lezione è talvolta controversa. Il problema rientra, a
mio avviso, nella questione generale della definizione della matematica del
V sec. a.C. il cui carattere di astrattezza e di sistematicità "scientifica" in
senso moderno non è assolutamente dimostrato. Del resto, se anche Democrito fosse stato un buon matematico, ciò non deve necessariamente
aver influito sulla dottrina fisica; Senocrate, sostenitore delle linee indivisibili, pur conoscendo gli assunti della matematica, ha ugualmente formulato un'ipotesi considerata contraria a queste leggi. In secondo luogo il
problema del carattere matematico della dottrina democritea si pone solo
per chi parta dal presupposto che egli abbia veramente impostato la sua
teoria riflettendo sul problema astratto della divisibilità, presupposto ben
lungi dall'essere sicuro in quanto dipende in gran parte dall'interpretazione
del passo aristotelico di De gen. et corr. A 2 già citato precedentemente.
Questo lavoro affronta anche problematiche relative all'atomismo accademico, ma non può costituire uno studio specifico su di esso. Per questa ragione, pur tenendo conto delle diverse tendenze interpretative, le ho
discusse dettagliatamente solo riguardo ai punti più direttamente significativi per le relazioni con l'atomismo antico, per il resto ho rimandato agli
studi specialistici. Per lo stesso motivo, ho lasciato ai margini la vexata
quaestio dell'attribuzione della dottrina delle linee indivisibili anche a Platone e in generale il problema della ungeschriebene Lehre e ho preferito seguire la tendenza esplicita delle fonti antiche che attribuisce sicuramente a
Senocrate la discussione delle aporie di Zenone e le linee indivisibili. In
151
Cf. Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 126 L.); Archim. Mech. II,428,26 Heiberg (68
B 155 DK app.; 125 L.).
40
Introduzione
effetti, l'unico brano in cui sia menzionata esplicitamente una posizione
critica dell'Accademia nei confronti degli atomisti152 , sembra piuttosto da
ricondursi a Senocrate che a Platone.
Un particolare ruolo di chiarificazione dei presupposti e delle metodologie dell'atomismo acquistano nell'ambito del presente studio i confronti con i testi ippocratici. Nonostante la datazione controversa, secondo le edizioni recenti di alcuni trattati, sembra ormai assodato che i più
antichi si situino fra la seconda metà del V e la prima metà del IV sec. a.C.
e sono quindi grosso modo contemporanei a Democrito. Il principio secondo cui ho utilizzato questi testi è tuttavia in certo modo indipendente
dal problema cronologico in senso stretto. Non mi sono infatti, se non in
un caso specifico, soffermata su presunti echi più o meno diretti di dottrine democritee nel corpus secondo una metodologia invalsa fra gli storici
della filosofia, quanto piuttosto sul confronto neutro di tematiche e metodi, non necessariamente correlati, ma scaturenti da un fondo di cultura e
di esperienza comuni.
A differenza di quanto è stato fatto in molti studi sull'atomismo antico, ho utilizzato solo marginalmente, e in casi specifici, finalizzati ad una
interpretazione delle fonti antiche, i testi epicurei e lucreziani nei quali è
sempre difficile stabilire i confini fra il riproduttivo e l'esegetico. Per
quanto riguarda in particolare l'interpretazione di Epicuro dell'atomismo
antico, ho cercato soprattutto di individuare una via alternativa: ho infatti
collegato la rivalutazione da parte di Epicuro delle dottrine democritee
all'interazione fra le critiche accademiche a quelle teorie da una parte, e la
sistematica utilizzazione in funzione antiaccademica da parte di Aristotele
dall'altra, e non alle critiche aristoteliche all'atomismo antico come vuole la
tradizione dall'antichità ad oggi. La trattazione di Epicuro sotto questo
aspetto non vuole essere un'analisi esauriente né una presa di posizione
definitiva, ma uno spunto funzionale alla ricostruzione della trasmissione
dell'atomismo antico, e come tale va valutata.
Per quanto riguarda l'ambito della dossografia in senso stretto, ho tenuto conto dell'interrogativo che oggi, sempre più frequentemente si pone
sulla validità oggettiva delle classificazioni dielsiane153 . Se nessuno
misconosce il grande valore dei Doxographi graeci del Diels, molti sono
dell'avviso che comunque vadano rivisti i presupposti che hanno guidato
le sue ricostruzioni in particolare quella del cosiddetto Aezio attraverso il
confronto fra i testi dello Pseudo-Plutarco e di Stobeo. Tali testi spesso
coincidono perfettamente, ma talvolta sono anche piuttosto diversi so-
152
153
Sext. Emp. Adv. Math. 10,248ss., v. infra, II 4.
Cf. Kingsley 1994, 235 n. 3; Mansfeld-Runia 1997.
Introduzione
41
prattutto nell'ordinamento delle voci154 e nell'espressione stessa di determinate doxai. Diels ha spesso uniformato intervenendo sull'uno o sull'altro
testo ed eliminando così delle differenze che hanno ragione di esistere non
solo per la distanza cronologica fra un testo e l'altro, ma anche per la loro
diversità strutturale. Nel presente lavoro ho fatto riferimento separatamente ai due testi rilevandone l'identità, ma indicandone anche all'occasione, le differenze funzionali. Allo stesso modo ho citato separatamente il
testo di Teodoreto che nei Doxographi graeci compare sempre in nota e in
subordine ai due autori precedenti. Per lo Pseudo-Plutarco ho riportato le
varianti della versione eusebiana solo nel caso in cui questo era necessario
al chiarimento testuale, per il resto ho seguito la lettura fornita da Diels
indicando le eventuali deviazioni. Ho fatto talvolta ricorso, ma solo limitatamente, anche alla versione araba dello Pseudo-Plutarco nella traduzione tedesca di Daiber 1980. I frammenti e le testimonianze sono stati
citati secondo le edizioni di Diels-Kranz 1952 (DK) e Lur'e 1970 (L.).
Laddove compaia solo l'indicazione di quest'ultima edizione, significa che
la testimonianza manca nell'altra.
154
Nello Stobeo, come lo stesso Diels 1879, 56 osservava, il carattere antologico richiede una
strutturazione completamente diversa. Cf. Mansfeld-Runia 1997, cap. IV.
Capitolo primo
Platone e Democrito
1. Considerazioni generali
L'interrogativo sulla presenza di Democrito nell'Accademia si pone presso
le fonti più antiche nella forma del rapporto Platone/ Democrito. Conosceva Platone Democrito e, se sì, perché non lo ha mai nominato? Platone
è, in generale, piuttosto parco di riferimenti diretti ad autori specifici e in
questo segue una prassi già consolidata negli autori del V sec. a.C.1 Inoltre,
frequentemente, critica un'idea diffusa sotto la quale raggruppa più autori
perché, in un contesto dialettico, sono più importanti le idee che le persone2.
Quello di Democrito (o Leucippo), tuttavia, sarebbe per Platone
stesso un caso estremo. Egli infatti nomina Eraclito, Empedocle, Anassagora, Parmenide, Zenone, Melisso, i Sofisti, ma non Democrito. Platone,
comunque, non menziona mai neppure Diogene di Apollonia che, secondo gli interpreti moderni, avrebbe goduto di una grande fama ad
Atene tanto da essere addirittura il bersaglio delle allusioni di Aristofane
nelle Nuvole3. Ora, nessuno degli antichi, si è mai chiesto perché Platone
non nomini mai Diogene4. Il fatto quindi che il quesito nelle fonti antiche
sia stato posto solo in relazione a Democrito, che Aristotele contrappone
spesso a Platone e agli Accademici, è un indizio per scoprire l'ambiente in
1
2
3
4
Erodoto, ad esempio, fa riferimento esplicito all'opera di Ecateo solo due volte (2,143;
6,137), pur alludendo spesso polemicamente a lui. Diogene di Apollonia menzionava genericamente dei Sophistai. Gli autori ippocratici sono anch'essi estremamente vaghi sull'identità dei loro avversari e solo raramente fanno dei nomi.
Cf. Cambiano1986, 69ss. Su questo procedimento dialettico, v. infra, III 2. 2. 1.
Questa opinione corrente va comunque ridimensionata in quanto le allusioni di Aristofane
potrebbero riguardare un'ampia gamma di personaggi che sostenevano teorie simili a quelle
di Diogene, cf. Orelli 1996, 94-109.
Fra i moderni solo Steckel 1970, 194s. rileva questo fatto.
Capitolo primo
43
cui esso si è originato. Un interrogativo che suona come una chiara polemica nei confronti di Platone si adatta perfettamente all'atmosfera del
primo Peripato e in particolare alla vena antiplatonica che ne attraversa la
storiografia. In questa prospettiva si inquadra il resoconto di Diogene
Laerzio (9,40) risalente nel suo complesso ad Aristosseno: Platone non
nomina l'Abderita, in quanto era cosciente di non poter competere col
migliore dei filosofi5. Sul resoconto di Aristosseno tornerò comunque
diffusamente in seguito. Per ora mi limito a segnalare che il problema del
silenzio di Platone era già stato sollevato nell'antichità e che si è di volta in
volta riproposto fino ai giorni nostri.
Fra i moderni, Gigon (1972) ha avanzato l'ipotesi che Platone non
parli di Democrito in quanto Socrate, il protagonista dei suoi dialoghi, non
lo conosceva. Tuttavia le opere nelle quali si sono ravvisate allusioni alla
fisica democritea, sono, oltre al Cratilo e al Teeteto, anche il Sofista e il Timeo
dove il protagonista non è più Socrate. Secondo un articolo della Hammer-Jensen divenuto famoso, il Timeo rivelerebbe una recente acquisizione
da parte di Platone di teorie che Aristotele attribuisce anche agli atomisti,
ma si distinguerebbe soprattutto per una valutazione diversa delle concause rispetto al Fedone. Nel Timeo Platone avrebbe accettato anche una
spiegazione meccanicistica della formazione del mondo legata all'ananke,
pur subordinandola alla causa finale; il mondo si svilupperebbe infatti
inizialmente in modo del tutto meccanico senza l'intervento del dio6. A
parte le difficoltà di interpretazione della cosmogonia del Timeo (che dagli
allievi di Platone in poi è sempre risultata enigmatica), c'è tuttavia da osservare che la cosiddetta concausa non è rigettata neppure nel Fedone dove
(99a), come nel Timeo (46d), si afferma che essa può essere considerata
solo "ciò senza il quale", cioè una condizione necessaria, ma non una vera
causa. Sulla scia della Hammer-Jensen molti hanno ipotizzato che nel
Timeo Platone non solo abbia preso le mosse dall'atomismo di Democrito,
ma vi alluda criticamente7. Secondo Eva Sachs8 la critica alla dottrina dei
quattro elementi in Ti. 48b-c sarebbe rivolta espressamente contro Democrito. Siccome in realtà la dottrina atomista diverge notevolmente da
quella criticata da Platone, la Sachs era necessariamente costretta, per salvare l'ipotesi, ad attribuire forzatamente agli atomisti una dottrina dei
quattro elementi mutuata da Empedocle e inserita come un corpo estraneo
in quella atomista. Tutto questo sarebbe deducibile:
5
6
7
8
Su questo punto, v. infra, § 2.
Hammer-Jensen 1910, 96-105.
Cf. e.g. Guthrie II, 1965, 462, 502; Stückelberger 1990, 2562.
Sachs 1917, 193-221.
44
Platone e Democrito
1. Dalla cosmogonia di Pseudo-Plutarco9 riportata dal Diels come leucippea, ma in realtà anonima, dove, secondo la Sachs, gli atomi giocherebbero un ruolo limitato rispetto agli elementi veri e propri.
2. Dalla cosmogonia-zoogonia riportata da Diodoro10 nella quale gli
atomi non compaiono affatto.
Al tempo in cui scriveva la Sachs si era imposta la visione
reinhardtiana11, ormai ampiamente ridimensionata12, secondo cui la cosmogonia e la zoogonia diodorea risalirebbero, attraverso Ecateo di Abdera, a
Democrito. Ora, la sicura provenienza democritea del resoconto di Diodoro non è più accettata da nessuno e il passo di Pseudo-Plutarco è di
dubbia attribuzione13. In ogni caso, gli atomi, in questa cosmogonia compaiono e, semmai, è la dossografia tarda che ha mediato il resoconto ad
esprimere i concetti nella propria terminologia. Un altro punto nella quale
la Sachs individuava il riferimento agli atomisti, era l'ironica allusione
all'ajpeiriva di chi aveva ipotizzato l'esistenza di a[peiroi kovsmoi (Ti. 55c),
ma la dottrina degli infiniti mondi è attribuita dalla dossografia anche ad
altri presocratici14. Dunque nessuno degli ipotetici riferimenti a Democrito
nel Timeo è sicuro15 perché Platone si mantiene comunque sul generico.
9
10
11
12
13
14
15
1,4, 878 C (67 A 24 DK; 297, 372, 383 L.).
1,7,1 (68 B 5,1 DK; 515, 572a L.).
Reinhardt 1912, 492-513.
Cf. in particolare Spoerri 1959. Uno status quaestionis aggiornato in Utzinger 2003, 155-167.
Il discorso su questo brano è complesso e comunque esula da questo contesto. Accenno
qui solo ad alcuni problemi fondamentali per l'attribuzione di questa cosmogonia: 1. La discrepanza con quella di Leucippo in Diog. Laert. 9,30 (67 A 1 DK; 382, 389 L.) secondo
cui gli astri si formano per afflusso nell'aggregato sferico di atomi provenienti dall'esterno e
non per espulsione dei corpuscoli più leggeri dalla massa più pesante all'interno dell'agglomerato stesso. 2. La preponderanza di elementi epicurei che aveva portato l'Usener ad inserire il brano fra le testimonianze su Epicuro (Ep. Fr. 308 Us.). Michele Psello (Theol. 23,
87,9 Gautier), in un testo che riassume lo Pseudo-Plutarco, afferma che si tratta di una cosmogonia epicurea, ma aggiunge, in una nota erronea dovuta ad un fraintendimento, che
Democrito ha seguito in questo Epicuro (Epikouvreio" au{th dovxav ejstin, h|" ta;" ajrca;"
diadexavmeno" oJ Dhmovkrito" to; kivbdhlon tw' n spermavtwn ej n toi'" fuomev noi" aj nevd eixen).
Forse Psello ha inventato, come fa spesso, forse aveva davanti una versione dello PseudoPlutarco che esordiva con una frase del tipo: Epivkouro" kata;; Dhmovkriton filosofhvsa"
(cf. Ps.-Plut. 1,3, 877 D) e ha dunque riferito ad ambedue la cosmogonia, ma ordinando
Democrito dopo Epicuro. Per una attribuzione ad Epicuro anche Epiph. Adv. haer. 1,8,1,
186,12 Holl. Solo Herm. Irris. 12 (67 A 17 DK; 306, 373 L.) riporta questa cosmogonia a
Leucippo.
Cf. la sezione Peri; kovsmou presso Stob. 1,22,3 (Dox. 327; 12 A 17 DK; 352 L.) che enumera insieme a Leucippo e Democrito anche Anassimandro, Anassimene, Senofane, Diogene di Apollonia e Archelao. Per Diogene di Apollonia, cf. anche [Plut.] Strom. 12 (64 A 6
DK); Diog. Laert. 9,54 (64 A 1 DK). Sulla confutazione della Sachs riguardo a questo
punto e ad altri menzionati sopra, cf. Sinnige 1968, 184-187.
Per altre possibili allusioni, cf. Morel 2003, 138ss. il quale si mostra tuttavia molto cauto
sulla loro reale portata.
Capitolo primo
45
Per quanto riguarda altri dialoghi, Haag16 ha, ad esempio, voluto vedere in
certe etimologie del Cratilo e in una certa metodologia di scomposizione e
di analisi delle parole, l'influsso di una concezione atomista. Platone
l'avrebbe solo riecheggiata, ma non affrontata direttamente in quanto egli
si rivolgeva a dei lettori che non conoscevano i testi democritei, ma solo
quelli di Anassagora e di quegli "Eraclitei" che ad Atene andavano per la
maggiore. Singoli accenni come l'accusa contro Anassagora di aver
utilizzato delle teorie astronomiche antiche, la stessa che Apollodoro attribuiva a Democrito17, o l'etimologia di gunhv come gonhv (Crat. 414a), che è
anche democritea18, sono sì interessanti, ma rimandano probabilmente a
opinioni diffuse e non attribuibili specificamente ad un solo autore. Haag,
seguito poi da altri19, vedeva un'allusione a Democrito anche nella teoria
dei komyovteroi del Teeteto (156a), secondo cui le sensazioni non hanno
una loro essenza specifica, ma sono il prodotto temporaneo dell'incontro
di due dunavmei" provenienti rispettivamente dall'oggetto sensibile e dal
soggetto senziente. Haag vedeva una conferma nel fatto che ai sostenitori
di queste tesi viene attribuita una concezione corpuscolarista. Tutto:
l'uomo, la pietra e ogni essere vivente, sarebbe costituito da aggregati. A
prescindere dal fatto che le teorie esposte nel passo sembrano avvicinarsi
maggiormente a quelle dei cirenaici20, si potrebbe obiettare che, se c'è una
allusione a Democrito nel Teeteto, non è da individuarsi nelle tesi dei komyovteroi, bensì in quelle di coloro che considerano sostanze solo i corpi e
ciò che si può afferrare con le mani21. Tali individui vengono infatti designati con termini che sembrano ricordare le proprietà degli atomi democritei: sklhroi; kai; ajntivtupoi. Richiama ancora le cosmogonie atomiste
che fanno nascere il mondo ajpo; taujtomavtou l'affermazione ironica di
Teodoro secondo cui i cosiddetti Eraclitei non sono allievi di nessuno,
"ma spuntano spontaneamente da dove capita" (180c ajll aujtovmatoi
ajnafuvontai oJpovq en a]n tuvchi). Tuttavia la caratterizzazione di costoro
come "ispirati" e critici gli uni nei confronti degli altri fa pensare piuttosto
ai dibattiti sofistici e all'immagine degli agoni retorici descritti nell'Encomio
di Elena di Gorgia22 che agli atomisti. L'allusione sembra coinvolgere più
16
17
18
19
20
21
22
Haag 1933.
Apollod. ap. Diog. Laert. 9,34s. (68 B 5 DK; 159 L.).
68 B 122a DK; 567 L.
Haag 1933, 60ss. Su questa linea anche Guthrie V, 1978, 78.
Cf. Natorp 1884, 24s. n. 1. Zeller, scettico su questo punto dalla prima alla quarta edizione
della sua Philosophie der Griechen, nella quinta edizione del 1892 (I. 2, 1098) accetta anch'egli
questa tesi. Per una storia di questa interpretazione e di quella contraria che invece nega il
riferimento ad Aristippo e ai Cirenaici, cf. Giannantoni 1968, 129-45. Cf. anche Friedländer, III, 1975, 144.
Theaet. 155e. Si tratta di una tesi sostenuta a suo tempo da Duemmler 1882, 58.
82 B 11 (13) DK.
46
Platone e Democrito
personaggi catalogabili tutti sotto la denominazione generale di Eraclitei.
Come nella famosa gigantomachia del Sofista (245e) che sarà esaminata più
dettagliatamente in seguito, anche qui Platone non vuole probabilmente
alludere a nessuno in particolare, ma piuttosto a tendenze generali23. I
passi platonici suggeriscono in ogni caso che, nella cerchia dei cosiddetti
Eraclitei, e in generale nella fisica di fine V sec. a.C., tesi corpuscolariste
erano molto più diffuse di quanto si pensi. Non è da escludere che anche
coloro che si richiamavano a Cratilo sostenessero dottrine di questo genere: nel Fedro, l'etimologia di i{mero", che riecheggia quelle del Cratilo, è
basata proprio sullo scorrere di particelle dall'oggetto all'occhio e sulla loro
azione materiale sull'anima24. Un testo molto indicativo in questo senso è
anche il gorgiano Encomio di Elena. Gorgia presenta il logos non come qualcosa di incorporeo e immateriale, ma come un corpuscolo piccolissimo e
invisibile che produce azioni divine25 e provoca una alterazione dell'anima,
sia nel bene che nel male, agendo su di essa come una medicina agisce sul
corpo. Anche se la data di composizione dell'Encomio è incerta26 e non si
può escludere a priori che Gorgia sia stato influenzato dall'opera di Leucippo27, è più probabile che abbia egli stesso elaborato indipendentemente
dottrine corpuscolariste come potrebbero aver fatto anche i seguaci di
Cratilo. Sulle allusioni del Sofista ai materialisti, mi soffermerò in seguito.
Per quanto riguarda poi il passo del decimo libro delle Leggi (889a-890a)
che, per alcuni28, costituirebbe una sicura allusione a Democrito, valgono
le controosservazioni già elaborate dal Sinnige e da altri29: se è vero che la
terminologia della prima parte, la menzione di teorie che fanno nascere il
23
24
25
26
27
28
29
Friedländer III, 1975, 144 sostiene una posizione estrema, secondo cui Platone non solo
non vorrebbe alludere a nessuna dottrina specifica, ma si costruirebbe un avversario non
filosofo con cui è impossibile ogni forma di discussione. Se tuttavia le posizioni descritte
da Platone si avvicinano in qualche modo alla tendenza eracliteggiante, è piuttosto improbabile che egli voglia dirigersi semplicemente contro un "non filosofo". Inoltre risulta
chiaro da Theaet. 152d che Platone cerca di inglobare sotto la denominazione di Eraclitei il
maggior numero possibile di predecessori: tutti i sapienti, tranne Parmenide, sarebbero infatti d'accordo sul fatto che tutto diviene e nulla è mai. In questa schiera vengono annoverati non solo Protagora ed Eraclito, ma anche Omero ed Epicarmo.
Phaedr. 251c ejkei'qen mevrh ejpiovnta kai; rJevo nt—a} dia; dh; tau'ta i{mero" kalei'tai.
82 B 11 (8) DK lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o}" smikrotavtwi swvmati kai; ajf anestavtwi
qeiovtata e[rga ajpotelei'.
In ogni caso difficilmente cade dopo il 415 a.C. in quanto le Troiane di Euripide, rappresentate in quell'anno, ne presuppongono la conoscenza.
Cf. Mazzara 1984, 133.
Per la bibliografia su questo punto, cf. Ferwerda 1972, 359 n. 1 che accetta l'ipotesi di
un'influenza indiretta delle tesi atomiste su Platone.
Cf. Sinnige 1968, 199, il commento ad loc. di England 1921 e Tate 1936, 48-54. Anche
Furley 1987, 173 sottolinea la difficoltà di individuare gli atomisti come obiettivo dell'attacco platonico. Una pluralità di personaggi fra cui, ma con molte riserve, potrebbe essere
compreso anche Democrito, indica Zeppi, 1989, 209-214.
Capitolo primo
47
mondo fuvsei kai; tuvchi ricorda le definizioni della cosmogonia democritea presso Aristotele, la seconda parte (in particolare 889e-890a) allude
chiaramente a tesi sofistiche. Inoltre, la dottrina dei quattro elementi, attribuita a questi nuovi sapienti, porta ad escludere che Platone pensi agli
atomisti. Partendo dunque dai dialoghi platonici non si può evincere alcuna notizia certa di un suo riferimento diretto a questi ultimi30.
2. Democrito e Platone nella tradizione biografica
Forse più indicative, nonostante la loro marcata partigianeria, sono le
notizie biografiche frequentemente liquidate come inattendibili31. Tali
indicazioni, per lo più di carattere aneddotico, sono spesso, dal punto di
vista della verità storica, contraffazioni, ma, nei particolari, riportano all'ambiente in cui sono sorte e al fine per cui sono state concepite, due
elementi fondamentali per inquadrare la ricezione di un autore.
Nel caso del rapporto Platone/ Democrito è importante un aneddoto
che fa entrare in scena anche Socrate. Diogene Laerzio riporta di seguito
tre notizie di diversa provenienza, ma strettamente collegate una all'altra
sui rapporti (o non-rapporti) fra Socrate e Democrito:
1. Secondo Demetrio di Magnesia (I sec. a.C.), Democrito sarebbe
stato ad Atene, ma non si sarebbe preoccupato di farsi conoscere, poiché
disprezzava la fama. Egli avrebbe conosciuto Socrate, ma questi lo
avrebbe ignorato. Demetrio riporta a questo proposito la famosa frase
"sono venuto ad Atene e nessuno mi ha riconosciuto"32.
2. Trasillo sostiene invece che sarebbe proprio Democrito il personaggio anonimo al quale Socrate, nel dialogo I rivali in amore sulla cui autenticità, però, Trasillo stesso nutre dubbi, dice che il filosofo è un pentatleta33 in quanto veramente Democrito avrebbe sperimentato tutti i
campi della filosofia, della matematica, della ejgkuvklio" paideiva e delle
technai34.
30
31
32
33
34
Questa è anche la conclusione di Sinnige 1968, 187. Ferwerda 1972, 359 giudica molto
probabile la conoscenza degli atomisti da parte di Platone nonostante riconosca che nei
dialoghi platonici non si incontrano sicure allusioni. Cf. ora per una posizione critica e bilanciata nei confronti delle presunte allusioni platoniche a dottrine democritee Morel 2003.
Un esempio tipico di questo scetticismo che riduce tutta la tradizione aneddotica sui rapporti Socrate/ Democrito e Platone/ Democrito ad un gioco di deduzioni di Diogene
Laerzio o a semplici topoi biografici è Chitwood 2004, 100-102.
Dem. Magn. ap. Diog. Laert. 9,36 (68 B 116 DK; XXIV L.).
[Pl.] Amat. 136a.
Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,37 (68 A 1 DK; 493a L.). In realtà Socrate nel dialogo si rivolge
ad un giovane ateniese che si atteggia a filosofo polymathes e mette in discussione proprio
attraverso la similitudine col pentatleta la concezione della filosofia come polymathia.
48
Platone e Democrito
3. Demetrio Falereo, a sua volta, nell'Apologia di Socrate, affermava che
Democrito non era mai stato ad Atene35.
Queste tre notizie, riportate da Diogene senza alcun legame apparente,
sono tuttavia implicitamente collegate in quanto la seconda e la terza costituiscono due risposte alternative alla prima.
La notizia di Demetrio di Magnesia, al di là dell'autenticità letterale
della frase democritea, mette in risalto soprattutto la modestia di Democrito, ma getta nel contempo un'ombra sulla figura di Socrate il quale risulta per lo meno sprezzante per non aver neppure preso in considerazione un così grande personaggio. Il sospetto che questo aneddoto sia
piuttosto antico e possa derivare da una fonte peripatetica, quale ad esempio Aristosseno, interessata ad una svalutazione di Platone e del suo maestro, è per lo meno legittimo: la frase di Democrito sarebbe in perfetta
sintonia con una dimostrazione dell'arroganza socratica36. Le altre fonti,
contemporanee o posteriori a Demetrio, riportano in effetti la stessa notizia senza alcun accenno a Socrate37.
La terza informazione confuta l'ipotesi che Democrito sia mai stato ad
Atene. Il fatto che risalga a Demetrio Falereo (il quale tende sistematicamente a sminuire l'importanza di Atene a causa delle sue vicende personali) e che comparisse nell'Apologia di Socrate suggerisce che l'autore la riportava per rimuovere ogni ombra dalla figura di Socrate: questi non
conosceva Democrito non perché, per arroganza, non lo avesse neppure
preso in considerazione, ma perché quest'ultimo non era mai stato ad
Atene38.
Trasillo doveva conoscere l'aneddoto riportato da Demetrio di
Magnesia e potrebbe averlo addirittura citato nella sua introduzione alla
lettura di Democrito perché la sua suona come una risposta implicita a
quelle affermazioni: Socrate e Platone conoscono Democrito e lo stimano.
Tuttavia il fatto che Trasillo, il quale aveva redatto il catalogo delle opere
35
36
37
38
Dem. Phaler. Fr. 93 Wehrli (Diog. Laert. 9,37) (68 A 1 DK; XXV, 493a L.).
Aristosseno aveva fornito di Socrate un quadro non propriamente edificante descrivendolo
come incontinente, collerico e ignorante, cf. Fr. 52b; 54a-b; 56 Wehrli.
Cic. Tusc. 5,36,104 (68 B 116 DK; XXIV L.); Val. Max. 7,7 ext. 4 (68 A 11 DK; XXIV L.);
cf. anche l'allusione anonima in Antonin. 7,67 livan ejndevcetai qei'on a[ndra genevsqai kai;
uJpo; mhdeno;" gnwrisqh'nai.
Gigon 1972, 155 sostiene che Demetrio Falereo o non conosceva la presunta frase di
Democrito, o la emarginava come invenzione. Il fatto che Demetrio negasse la presenza di
Democrito ad Atene proprio nell'Apologia di Socrate rende tuttavia più probabile la seconda
soluzione. Non solo egli conosceva la frase, ma sapeva che era finalizzata ad una svalutazione della figura di Socrate.
Capitolo primo
49
platoniche, abbia fatto ricorso ad un dialogo della cui autenticità dubitava 39
significa che non aveva trovato in nessun altro possibili riferimenti a Democrito.
E veniamo ora all'aneddoto principale sui rapporti fra Platone e Democrito riportato da Diogene Laerzio
Aristosseno nei Commentari storici, dice che Platone voleva bruciare tutti gli scritti
di Democrito che si potessero raccogliere, ma i Pitagorici Amicla e Clinia glielo
impedirono dicendo che non serviva a nulla: infatti i libri erano già nelle mani di
molti. Ed è chiaro: infatti Platone, che fa menzione di quasi tutti gli antichi, non
nomina da nessuna parte Democrito, ma neppure laddove dovrebbe confutarlo,
chiaramente sapendo che dovrebbe misurarsi col migliore dei filosofi40.
Tre sono i problemi principali posti dal testo di Diogene:
1. La diversità di stile, indiretto fino a bibliva e poi diretto da kai;
dh'lon de; ha fatto pensare che solo la prima parte del resoconto provenga
da Aristosseno. Gigon sostiene che sarebbe costruita sul modello del rogo
dei libri di Protagora da parte degli Ateniesi. Platone, che nel decimo libro
delle Leggi si era scagliato contro i filosofi empi, avrebbe voluto punire con
l'annientamento dei libri l'empietà di non ben precisate affermazioni democritee. La seconda parte, invece, riguarderebbe il giudizio sul valore
filosofico di Democrito, l'unico a potersi contrapporre a Platone41.
2. Se si ammette, con Wehrli e Bollack42 che si tratti invece di un
blocco compatto proveniente da Aristosseno e che faccia parte di un
gruppo di storielle sui plagi di Platone, la seconda parte non sarebbe armonizzata con la prima. Infatti l'accusa di plagio contrasterebbe con l'assenza di Democrito nell'opera platonica.
3. Enigmatico è poi il richiamo ai Pitagorici. Wehrli e Bollack hanno
cercato di integrarlo nel motivo del plagio: i Pitagorici avrebbero impedito
la distruzione dei libri, testimonianza del plagio di Platone, memori di
39
40
Il valore ipotetico di ei[per è stato messo ultimamente in dubbio da Mansfeld 1994, 100 il
quale traduce con "because". Cf. tuttavia le convincenti controargomentazioni di Tarrant
1995, 150s.
Aristox. Fr. 131 Wehrli (Diog. Laert. 9,40) (68 A 1 DK; LXXX L.) Aristovxeno" dæ ejn toi'"
ÔIstorikoi'" uJpomnhvmasiv fhsi Plav twna qelh's ai sumflevxai ta; Dhmokrivtou suggravmmata,
oJpovsa ejdunhvqh sunagagei' n, Amuvklan de; kai; Kleinivan tou; " Puqagorikou;" kwlu's ai
aujtov n, wJ" oujde; n o[felo": para; polloi'" ga;r ei\nai h[dh ta; bibliva. kai; dh'lon dev: pav ntwn ga;r
scedo;n tw'n ajrcaivwn memnhmev no" oJ Plav twn oujd amou' Dhmokrivtou diamnhmoneuvei, ajllæ
oujdæ e[ nqæ aj nteipei' n ti aujtw'i devoi, dh'lonãovtià eijdw;" wJ" pro; " to;n a[riston auj tw'i tw'n filosovfwn ãoJ ajgw; nà e[soito. Accetto il testo canonico, mantenuto anche nell'ultima edizione di
41
42
Diogene Laerzio del Marcovich, che presenta alcune correzioni, ma necessarie, contro l'inverosimile mantenimento del testo dei Mss. proposto da Bollack 1967, 243s. (dh'lon eijdw;"
wJ" pro;" to; n a[riston ou{tw tw'n filosovfwn e[soito. Sachant de toute évidence que quand il répondait au meilleur, il serait de cette manière parmi les philosophes).
1972, 153s.
Wehrli 1967, II, ad loc., 87; Bollack 1967, 243s.
50
Platone e Democrito
quello subito dalla loro setta43. Gigon lascia in sospeso la questione dichiarando enigmatica la loro presenza.
Il problema sintattico e quello della coerenza contenutistica dell'aneddoto possono essere chiariti attraverso il confronto con altri passi di Diogene Laerzio. In un passo della vita di Platone ricompare infatti il quesito
del perché il filosofo non abbia menzionato Democrito. Il brano offre una
lista di "invenzioni" platoniche: Platone è stato il primo ad aver introdotto
nella filosofia il metodo dialettico, il primo ad aver usato termini specifici
come "elemento", "qualità", "dialettica", il primo ad aver studiato le potenzialità della grammatica e, avendo egli per primo parlato contro quasi
tutti i suoi predecessori, ci si chiede perché non abbia ricordato Democrito44. Questa lista risale a Favorino (II sec. d.C.), ma non è certamente
inventata da lui perché una variante della stessa viene riportata anche dall'autore dei Prolegomena alla filosofia platonica45 e singole "invenzioni"
platoniche sono nominate anche da altri46. Favorino si è rifatto verosimilmente ai Peripatetici di cui, a detta di Plutarco47, era un fervido
ammiratore. L'immagine di Platone come prw'to" euJrethv" e "rinnovatore"
della filosofia circolava infatti sicuramente in ambito peripatetico, ma era
seguita talvolta da un giudizio negativo. Mentre infatti Eudemo aveva
attribuito a Platone l'introduzione di stoicei'on come termine tecnico per
"elemento", la fondazione di una nuova astronomia e, probabilmente,
anche di una nuova matematica48, Dicearco lo aveva definito nel contempo rinnovatore e distruttore della filosofia in quanto, con il suo stile
raffinato, avrebbe creato una "moda" (la forma del dialogo) che allontanava dalla vera filosofia (le ricerche specialistiche del Peripato)49. I
Peripatetici accettavano evidentemente alcuni assunti sviluppati dagli allievi di Platone sulle innovazioni del maestro, ma ne mettevano in luce
43
44
45
46
47
48
49
Wehrli 1967, II, ad loc. 87; Bollack 1967, 242s. Wehrli si limita a formulare l'ipotesi, Bollack interpreta invece sunagagei'n come "comprare" forzando il testo. La storia sarebbe
collegata con quella del famoso plagio del libro di Filolao, cf. Burkert 1972, 223ss.
Diog. Laert. 3,24 (LXXX L.) prw'tov" te ajnteirhkw;" scedo;n a{pasi toi'" pro; aujtou',
zhtei'tai dia; tiv mh; ejmnhmov neuse Dhmokrivtou.
Anon. Proleg. 5,1-46.
Cf. Barigazzi 1966, 219-20; Riginos 1976, 188.
Quaest. conv. 734 F.
Per il primo punto, cf. Eudem. Fr. 31 Wehrli, Burkert 1958, 174. Per l'astronomia, Eudem.
Fr. 148 Wehrli. Per la matematica, Eudem. Fr. 133 Wehrli. In Index Acad. P. Herc. 1021,
col. Y, nel quale Platone viene presentato come l'ispiratore di tutti i progressi compiuti
dalla matematica nell'Accademia, sono state fatte ipotesi diverse sulle fonti, ma il parallelismo con la funzione attribuita a Platone da Eudemo nello sviluppo dell'astronomia ha fatto
propendere Gaiser 1988, 347 per Eudemo mediato da Dicearco. Cf. anche Dorandi 1991,
207s.
Ap. Philod., Index Acad. P. Herc. 1021, col. I. Che il testo riporti le parole di Dicearco ha
sostenuto Gaiser 1988, 314; cf. anche le considerazioni di Burkert 1993, 25s.
Capitolo primo
51
polemicamente anche i lati negativi. Nella vita di Platone di Diogene Laerzio si avverte un'eco di quella tradizione, epurata dalle polemiche perché
mediata da Favorino, un Accademico. Il quesito della non menzione di
Democrito da parte di Platone viene posto in modo neutrale come tema
di ricerca (zhtei'tai dia; tiv). Nel brano della vita di Democrito, invece,
l'aggressività antiplatonica è ancora tutta presente e ben evidenziata e non
può risalire né a Diogene stesso, che non mostra mai particolare avversione nei confronti di Platone, né tantomeno al pitagorico platonizzante
Trasillo. Neppure l'aristotelismo tardo raggiunge punte polemiche così
aspre nei confronti di Platone. Dunque anche la seconda parte del brano,
che spiega il perché Platone non abbia mai menzionato Democrito, deve
risalire ad Aristosseno.
L'improvvisa variazione di stile da diretto a indiretto senza soluzione
di continuità non è d'altra parte un problema in Diogene: la si ritrova infatti anche nell'aneddoto immediatamente precedente, derivato da Antistene di Rodi50. E' probabile che anche il brano di Aristosseno sia stato
mediato da Trasillo. La sua identificazione del personaggio anonimo dei
Rivali in amore con Democrito è infatti anche una risposta indiretta a chi
attaccava Platone e Socrate facendo perno sulla mancanza di accenni a
Democrito nelle opere platoniche.
Per quanto riguarda invece l'argomento di Gigon, che ipotizza una
provenienza diversa delle due parti del brano di Diogene Laerzio vedendo
nella prima una condanna morale di Democrito da parte di Platone, nella
seconda un giudizio filosofico, si può osservare quanto segue: l'aneddoto
sul rogo dei libri democritei difficilmente è stato costruito sulla tipologia
del rogo di quelli di Protagora per due motivi. Quest'ultimo risulta infatti
una misura pubblica con valenza politica (sarebbe stato infatti decretato
dagli Ateniesi) ed è difficilmente trasferibile ad una vicenda privata (non
esistono nell'aneddotica antica altri esempi di simili proiezioni). Inoltre
sarebbe stato anacronistico rappresentare un Platone che vuole distruggere per la sua empietà unicamente i libri di Democrito, quando avrebbe
avuto davanti altri esempi di presunti atei quali Protagora, Crizia o Prodico citati spesso come tali nella tradizione successiva51. Dunque non ci
sono motivi per separare il brano di Diogene Laerzio in due parti e ci
50
Diog. Laert. 9,39 (FGrHist 508 F 14) ejlqovnta dhv fhsin (scil. oJ Antisqevnh") aujto;n ejk th'"
ajpodhmiva" tapeinovtata diav gein, a{te pa'san th; n ouj sivan katanalwkovta: trevfesqaiv te dia;
th;n ajporivan ajpo; tajdelfou' Damavsou. wJ" de; proeipwvn tina tw'n mellovntwn eujdokivmhse,
loipo;n ejnqevo u dovxh" para; toi'" pleivstoi" hjxiwvqh.
51
Per Protagora, cf. Sext. Emp. Adv. Math. 9,56 (80 A 12 DK). Per Crizia, cf. Sext. Emp.
Adv. Math. 9,54 con la citazione dei versi del Sisifo (88 B 25 DK). Per Prodico Sext. Emp.
Adv. Math. 9,51; cf. anche 9,18 (84 B 5 DK). Queste accuse di empietà sono comunque
nella maggioranza dei casi un topos letterario.
52
Platone e Democrito
sono invece buone ragioni per riportarlo nella sua globalità ad Aristosseno.
Se tutto il resoconto risale a lui, il fatto che Democrito sia assente dall'opera platonica, porta ad escludere il motivo del plagio52 come movente
del desiderio di Platone di bruciarne i libri. Il tono antiplatonico del brano
e la ricezione aristotelica di Democrito in funzione antiplatonica e antiaccademica suggeriscono invece un'altro motivo: Platone vuole toglierli dalla
circolazione perché li avverte come un pericolo per il suo prestigio anche
e soprattutto all'interno della sua scuola.
Un punto fondamentale per la comprensione e la contestualizzazione
del racconto è costituito dall'enigmatica figura dei due "Pitagorici" i cui
nomi non sono fatti a caso. Clinia è un personaggio citato anche altrove
da Aristosseno come modello di vita pitagorica53 e Amicla, soprattutto,
non è un pitagorico qualsiasi, ma uno dei fedelissimi discepoli di Platone.
Amicla di Eraclea nel Ponto era annoverato da Eudemo54, fra quei platonici che avevano portato la geometria ad una maggiore perfezione. Una
variante del nome, “Amuklo", dovuta probabilmente ad una corruttela del
testo, ma con la stessa indicazione toponomastica, ÔHraklewvth", si trova
nel catalogo dei discepoli di Platone in Diogene Laerzio (3,46). Amicla
compare inoltre come fedele discepolo del vecchio Platone, accanto a
Speusippo e Senocrate, in un aneddoto di parte accademica nel quale
viene sottolineata l'arroganza di Aristotele e i suoi tentativi di mettere in
difficoltà il vecchio maestro, rintuzzati poi da Senocrate. Aristotele non
era amato da Platone per il suo comportamento e la sua eleganza troppo
raffinata e disdicevole per un filosofo. Il maestro quindi gli preferiva
Speusippo, Senocrate e Amicla. Durante un'assenza di Senocrate ed essendo Speusippo malato e impossibilitato ad accompagnarlo, Platone uscì
nel peripato esterno della scuola senza i discepoli più fedeli. Aveva già
ottant'anni e una memoria ormai piuttosto labile. Aristotele gli si fece
incontro e, postoglisi dinanzi, cominciò a tendergli dei trabocchetti e a
porgli delle domande con un ben determinato intento confutatorio. Platone, comprendendone lo scopo, si ritirò all'interno. Quando Senocrate
ritornò, non lo trovò più ad insegnare nel peripato dove l'aveva lasciato; al
suo posto c'erano Aristotele e i suoi seguaci. Senocrate notò che quest'ul52
53
54
Accuse così velate non sono, del resto, nello stile di Aristosseno, il quale rinfacciava apertamente a Platone di aver copiato di sana pianta la Repubblica dagli Antilogici di Protagora (Fr.
67 Wehrli).
Aristox. Fr. 30 Wehrli, da Spintaro che aveva conosciuto direttamente anche Socrate (Fr.
54a Wehrli). Clinia è menzionato anche da un altro peripatetico, Chamaileon (Fr. 4 Wehrli).
Eudem. Fr. 133 Wehrli che lo designa specificamente come ei|" tw'n Plavtwno" eJtaivrwn
distinguendolo ad esempio da Menecmo, allievo di Eudosso, che aveva solo "frequentato"
Platone (Plavtwni suggegonwv").
Capitolo primo
53
timo, terminato il suo insegnamento, non rientrava presso il maestro, ma
se ne andava a casa propria, in città. Chiese dunque notizie di Platone e
apprese che questi, costretto da Aristotele a ritirarsi, teneva ora scuola nel
suo giardino. Senocrate andò a salutarlo e lo trovò che dialogava con i
suoi numerosi discepoli. Quando il raduno si sciolse, rimproverò Speusippo per aver lasciato cacciare il maestro e poi affrontò Aristotele in
modo così deciso che riuscì ad estrometterlo e a restituire a Platone la sua
sede usuale55. Questo aneddoto presenta due gruppi contrapposti: da una
parte Platone e i suoi fedeli discepoli che, in assenza di Senocrate, non
riescono ad opporsi con sufficiente energia all'arroganza di Aristotele;
dall'altra lo Stagirita con una buona schiera di seguaci che assume un atteggiamento di sfida nei confronti del vecchio maestro. Se si inserisce
l'aneddoto di Aristosseno su Platone e Democrito nell'atmosfera dell'Accademia negli ultimi anni di Platone, come indica la presenza di Amicla,
correlato con questo periodo della sua vita, e lo si inquadra nel clima di
crescente rivalità fra Platone e i suoi fedelissimi e Aristotele e il suo
gruppo56, i particolari del racconto acquistano un loro valore funzionale. I
libri di Democrito, da un punto di vista peripatetico, costituiscono un
oggetto destabilizzante per il prestigio platonico: Aristotele li usa ripetutamente nella sua opera in funzione antiplatonica. Aristosseno attribuisce
dunque a Platone il desiderio di bruciarli come un ultimo tentativo di salvare il suo prestigio compromesso insinuando nel contempo malignamente che Platone non ha mai fatto cenno a Democrito, anche quando
avrebbe dovuto contrapporglisi, per mancanza di validi argomenti. L'aneddoto riportato da Eliano presenta lo stesso atteggiamento rinunciatario
di Platone di fronte alla pressione della dialettica aristotelica. Davanti ad
Aristotele e, metaforicamente, davanti a Democrito, il vecchio Platone si
ritira.
La presenza di Amicla e Clinia, soprattutto in un autore come Aristosseno che ha dedicato a Pitagora e ai Pitagorici diverse opere, e ne ha conosciuti alcuni di persona, non deve stupire. Il loro atteggiamento è quello
di chi conosce i libri di Democrito e il loro impatto, ma anche di chi cerca
di preservare un autore a loro vicino. La tradizione che collega Democrito
ai Pitagorici è infatti molto antica e contemporanea al filosofo stesso: secondo Glauco di Reggio era infatti discepolo di un non ben precisato
55
56
Ael. Var. hist. 3,19 (Xenocr. Fr. 11 IP; Arist. T 36 Düring). Sulla correlazione di questo
passo con quella serie di rappresentazioni dell'Accademia negli ultimi anni della vita di
Platone che compaiono nell'Index Academicorum e che risalgono alla generazione degli immediati allievi di Platone o di Aristotele, cf. Burkert 1993, 18ss.
Per ulteriori aneddoti biografici sui rapporti fra Platone e Aristotele, cf. Düring 1957;
Swift-Riginos 1976.
54
Platone e Democrito
pitagorico57. Ecfanto, un Pitagorico contemporaneo di Platone, aveva
sostenuto tesi chiaramente atomiste58. E' probabile che anche alcune interpretazioni pitagorizzanti di Democrito che emergono di tanto in tanto in
Aristotele siano influenzate da questa ricezione "pitagorica".
Dal resoconto di Aristosseno si possono trarre dunque alcune indicazioni:
1. egli non intravvedeva evidentemente nei dialoghi platonici alcuna
esplicita presenza di Democrito né attribuiva a Platone una diretta utilizzazione delle dottrine atomiste ai fini dell'elaborazione del Timeo. Se infatti
avesse individuato nel dialogo delle affinità con l'atomismo, non avrebbe
certamente risparmiato a Platone delle accuse esplicite di plagio.
2. L'atmosfera e i personaggi dell'aneddoto rimandano agli ultimi anni
della vita di Platone. La ricezione di Democrito coinvolge soprattutto i
suoi allievi. Sono infatti principalmente loro, sia quelli favorevoli, come
Clinia e Amicla, che quelli ostili al maestro, come Aristotele, a prendere
posizione sull'opera democritea.
Queste considerazioni trovano conferma anche nell'opera aristotelica
dove Platone e Democrito vengono spesso confrontati, ma mai posti in
un rapporto di dipendenza diretta. Mentre Aristotele dice chiaramente che
Platone ha ripreso la dottrina pitagorica sostituendo unicamente il termine
mimesi con metessi59, pone la relazione fra Platone e Democrito (o Leucippo) sempre e solo a livello tipologico, mai genetico.
Particolarmente significativo a questo proposito risulta il confronto di
due brani della Metafisica: A 6, 987a 29ss. e M 4, 1078b 12ss. Se è vero che
i problemi posti dalla cronologia delle opere aristoteliche sono insolubili e
che è difficile datare i libri dei vari trattati, nessuno mette tuttavia in dubbio che il secondo passo sia una rielaborazione del primo60. In Metaph. A 6,
987a 29ss. Aristotele traccia le linee della nascita della dottrina platonica
dell'uno e della diade: essa risulterebbe dalla confluenza di tre tradizioni,
quella eraclitea, quella socratica e quella pitagorica. Dagli Eraclitei Platone
avrebbe mutuato la concezione del continuo scorrere del sensibile e della
conseguente impossibilità di conoscere qualcosa su di essi, da Socrate,
interessato unicamente all'etica, la ricerca dell'universale e della definizione, vale a dire la dottrina delle idee, dai Pitagorici, invece, il concetto di
57
58
59
60
Diog. Laert. 9,38 (68 A 1 DK; XVII, 154 L.). La notizia di Duride di Samo (FGrHist 76 F
23; 154 L.), secondo cui Democrito era allievo di Arimnesto figlio di Pitagora è da spiegarsi
probabilmente come un tentativo di individuazione di questo generico pitagorico cui allude
Glauco.
51 1 DK (Hippol. Ref. 1,15); 51 2 DK (Aet. 1,3,19 [Stob. 1,10,16a]); 51 4 DK (Aet. 2,3,3 [Stob.
1,21, 6a]).
Metaph. A 6, 987b 10ss.
Cf. Annas 1976, 154 con riferimenti bibliografici.
Capitolo primo
55
partecipazione dei sensibili alle idee e l'idea del numero come principio. In
questo contesto non compare nessuna menzione di Democrito o di Leucippo, anzi, poco prima, Aristotele sottolinea come solo i Pitagorici, fra i
presocratici, abbiano "cominciato a parlare di essenza e a definirla" anche
se lo hanno fatto in maniera troppo semplicistica61. Egli utilizza qui,
soprattutto per sottolineare la dipendenza di Platone dai Pitagorici, uno
schema canonico, probabilmente già accademico, concepito per presentare la dottrina platonica come compendio e culmine di tutte le ricerche
precedenti62. Il fatto che Democrito non compaia affatto, significa che
Aristotele non vedeva fra la dottrina democritea e quella platonica alcun
rapporto genetico né tantomeno un influsso diretto dell'una sull'altra,
influsso che invece egli espressamente ribadiva nel caso dei Pitagorici.
In Metaph. M 4, 1078b 12ss. Aristotele ripropone lo stesso schema per
giustificare la nascita della dottrina delle idee. Questa ha le sue radici nella
fusione della dottrina eraclitea del continuo scorrere del sensibile e dell'impossibilità di averne conoscenza con quella socratica della definizione
dell'universale ricercata attraverso la dialettica. Fra i fisici Democrito (con
il tentativo di definizione del caldo e del freddo) e, prima di lui, i Pitagorici
(definendo alcuni concetti per mezzo di numeri) avrebbero solo sfiorato
in qualche modo il problema della definizione dell'essenza63. Si tratta di
una seconda fase di sviluppo dello schema, come si può dedurre dal richiamo alla precedenza dei Pitagorici su Democrito nella definizione dell'essenza. Quest'ultimo viene dunque inserito in uno schema già preesistente, ma in una prospettiva ben lontana da una parentela genetica.
La stessa tipologia del confronto a posteriori, con gradazioni che
vanno dal parallelismo neutrale all'utilizzazione polemica della dottrina
atomista contro quella platonica, si incontra costantemente nell'opera
aristotelica. Mi limiterò a far riferimento ai brani senza affrontare la spinosa questione della differenza fra Leucippo e Democrito che porterebbe
troppo lontano dal tema centrale. Si può qui solamente osservare che, in
effetti, il nome di Leucippo compare senza quello di Democrito per lo
meno in un testo considerato molto antico come il libro L della Metafisica.
Il confronto è neutrale, Leucippo e Platone si trovano appaiati e posti
61
Metaph. A 5, 987a 20-21 peri; tou' tiv ejstin h[rxanto me;n levgein kai; oJrivzesqai, livan d
aJplw'" ejpragmateuvqhsan.
62
Lo schema presenta infatti la dialettica platonica come sintesi e superamento delle ricerche
precedenti distinte in fisica ed etica, uno schema che persiste nella tradizione platonica e
che ritroviamo nella vita di Platone di Diogene Laerzio (3,56) ou{tw" kai; th'" filosofiva" oJ
63
lovgo" provteron me;n h\n monoeidh;" wJ " oJ fusikov", deuvteron de; Swkravth" prosevqhke to; n
hjqikovn, trivton de; Plav twn to;n dialektiko; n kai; ejtelesiouvr ghse th;n filosofivan.
Metaph. M 4, 1078b 19 tw'n mevn ga;r fusikw'n ejpi; mikro;n Dhmovkrito" h{yato movnon kai;
wJrivsatov pw" to; qermo;n kai; to; yucrovn: oiJ de; Puqagovr eioi provteron periv tinwn ojlivgwn,
w|n tou;" lovgou" eij" tou; " ajriqmou;" aj nh'pton, oi|on tiv ejsti kairo;" h] to; divkaion h] gav mo".
56
Platone e Democrito
sullo stesso piano per aver assunto l'eternità del movimento64 (Aristotele si
riferisce qui al movimento disordinato della Chora nel Timeo65). Il solo Leucippo come rappresentante dell'atomismo compare un'altra volta nell'opera aristotelica e precisamente in De generatione et corruptione A 866, che
verrà esaminato dettagliatamente nel terzo capitolo. In questo testo, che si
inserisce nella trattazione dell'agire e del patire, Aristotele sottolinea, senza
commenti particolarmente polemici, le similarità e le differenze fra la dottrina dei triangoli e quella dei corpi indivisibili. Platone si differenzia da
Leucippo per il fatto che pone come indivisibili delle superfici invece che
dei solidi, e perché assume forme prime limitate invece che infinite e ammette inoltre che la generazione e la separazione avvengano solo attraverso il contatto mentre Leucippo le fa avvenire attraverso il contatto e il
vuoto (325b 25-33)67. Per il resto ambedue pongono dei principi indivisibili e definiti dalla forma.
Più apertamente polemici sono invece altri confronti riguardanti i
principi del mondo sensibile come in De gen. et corr. A 2. Qui infatti Aristotele prende posizione, pur rilevandone l'incongruenza, a favore delle
tesi degli atomisti contro Platone. La divisione fino alle superfici è assurda,
quella fino ai corpi, pur essendo anch'essa poco conforme a ragione, ha
comunque il merito di giustificare la genesi e il cambiamento ipotizzando
delle differenze di figura di posizione e di ordine dei corpuscoli. Invece
quelli che mettono insieme dei triangoli possono ottenere solo dei solidi,
ma non dei corpi in quanto questi enti matematici non possono generare
alcuna affezione tipica del corpo. Rispetto all'altro passo, compare qui
anche Democrito che viene nominato addirittura prima di Leucippo. Al di
là delle differenze di tono, è comunque comune ad ambedue i brani il
confronto tipologico e non genetico delle tesi atomiste con quelle del
Timeo. Il tono di crescente polemica in questi brani del De generatione et
corruptione denota un dibattito sempre più acceso e ruotante intorno alle
dottrine del Timeo, o meglio, intorno all'interpretazione che di questo dialogo davano gli allievi di Platone. Quest'ultimo, infatti, non ha mai parlato
di triangoli indivisibili come invece costantemente si afferma nel De generatione et corruptione e come interpretavano anche gli altri allievi di Platone. Se
inoltre Aristotele sottolinea con insistenza la superiorità delle dottrine
64
65
66
67
Metaph. L 6, 1071b 31-37 (67 A 18 DK; 17 L.).
Cf. anche De cael. G 2, 300b 9-19.
L'ipotesi di De Ley 1968, 629ss. secondo cui tali brani sarebbero residui di appunti redatti
nel periodo di permanenza nell'Accademia non è da sottovalutare.
Contrariamente a quanto sostiene Silvestre 1985, 38 n. 17, non c'è in questo brano alcuna
conferma del fatto che Platone abbia utilizzato le dottrine atomistiche per la stesura del
Timeo. Aristotele instaura infatti unicamente un confronto tipologico, non genetico, fra le
due dottrine.
Capitolo primo
57
degli atomisti su quelle platoniche, è altrettanto verosimile che dall'altra
parte, nell'Accademia, queste stesse dottrine fossero invece considerate
inferiori a quelle del maestro. Dunque l'opera aristotelica, in particolare il
De generatione et corruptione, riflette in certo modo l'atmosfera che troviamo
nell'aneddoto di Aristosseno e cioè una polemica sempre più aspra nei
confronti di Platone per condurre la quale viene utilizzato Democrito: le
sue teorie, secondo la rappresentazione aristotelica, sono in ogni caso
superiori a quelle platoniche. Questo confronto, dal quale Democrito esce
vincitore, sta probabilmente alla radice del maligno quesito, perché Platone non abbia mai fatto menzione di Democrito anche laddove (nel Timeo?) avrebbe dovuto criticarlo.
Nell'opera aristotelica tuttavia, se pure in rari accenni, si può cogliere
anche una rappresentazione pitagorizzante di Democrito che giustifica la
presenza nell'aneddoto di Aristosseno del pitagorico e dell'allievo pitagorizzante come consiglieri di Platone e, nel contempo, come tutori dei libri
di Democrito.
In particolare sono significativi due brani in cui a Democrito e ai Pitagorici vengono attribuite dottrine simili. In De cael. G 4, 303a 9-11 gli atomi
vengono esplicitamente equiparati ai numeri dei Pitagorici
in un certo modo anche costoro fanno di tutte le cose esistenti dei numeri e le
compongono da numeri; e se anche non lo manifestano chiaramente, tuttavia vogliono dire proprio questo68.
Si tratta di una strana assimilazione che non compare altrove in Aristotele.
La ragione va forse cercata nella stretta relazione che quest'ultimo instaura
fra la concezione dell'anima degli atomisti e dei Pitagorici in De an. A 2,
404a 1-21: ambedue la porrebbero nel pulviscolo atmosferico69. Nello
stesso capitolo Aristotele allude alla eguaglianza fra le sferette democritee
e la monade, l'anima numero che muove se stesso, di Senocrate, a sua
volta "pitagorizzante". Se si pensa che la prima menzione di Democrito in
autori a lui posteriori compare nei due titoli di Eraclide Pontico70, notoriamente pitagorizzante, su di lui, risulta chiaro che le opere democritee non
erano conosciute solo da Aristotele, ma anche dagli allievi pitagorizzanti di
Platone.
68
Arist. De cael. G 4, 303a 9-11 (67 A 15 DK; 109, 174 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavnta
ta; o[ nta poiou'sin ajriqmou; " kai; ejx ajriqmw' n: kai; ga;r eij mh; safw' " dhlou'sin, o{mw" tou'to
bouvlontai lev gein.
69
Su questo brano, v. infra, VII 5.
68 A 34 DK; CXIX L.
70
58
Platone e Democrito
3. Sintesi
L'aneddoto di Aristosseno e i brani aristotelici ora esaminati forniscono in
qualche modo degli indizi per porre l'entrata dell'atomismo nell'Accademia
durante gli ultimi anni della vita di Platone. Leucippo e Democrito sono
stati recepiti e discussi dai suoi allievi "pitagorizzanti" e da Aristotele.
Quest'ultimo in particolare se ne è servito per polemizzare contro il maestro. Da questa atmosfera scaturisce l'aneddoto di Aristosseno sul desiderio di Platone di bruciare quei libri la cui diffusione avrebbe potuto inferire un duro colpo al suo prestigio. Posto che comunque per lo meno gli
allievi pitagorizzanti di Platone devono aver conosciuto le dottrine atomiste, come i criptici accenni aristotelici e l'aneddoto del salvataggio dei libri
di Democrito da parte dei "Pitagorici" sembra indicare, il problema è
quello di stabilire se, nell'ambito della ricezione dell'atomismo antico, da
Aristotele in poi, si possa ritrovare qualche traccia di una "lettura" accademica degli atomisti. Questo è possibile per lo meno riguardo alla querelle
sui principi corporei o incorporei, impostata nel Sofista platonico, e presentata da Aristotele come dibattito fra Accademici e materialisti fra i quali
sono talvolta compresi anche gli atomisti. Lo stesso confronto riemerge in
Sesto Empirico, in un passo che riporta sicuramente anche dottrine accademiche71, nella forma di una diaphonia fra gli "eredi dei Pitagorici", vale a
dire gli Accademici, e i sostenitori di dottrine corpuscolari, in particolare,
gli atomisti. Dalla critica alle dottrine che pongono come principi dei
corpi, ancorché invisibili, gli Accademici partono per ribadire la superiorità dei principi incorporei. Questo aspetto della ricezione di Democrito
verrà trattato nel capitolo successivo.
71
Adv. Math. 10,248ss., v. infra, II 4.
Capitolo secondo
Principi corporei/ incorporei.
Atomisti antichi, Platone, Accademici da Aristotele a Simplicio
1. Il compito del vero fisico
La contrapposizione che Aristotele instaura fra atomismo antico e principi
accademici si inquadra nel più ampio dibattito che egli conduce con la
scuola platonica sulla concezione della scienza. Per Aristotele esistono più
scienze ognuna delle quali abbraccia un ambito limitato ed ha principi
propri1. Quelli del mondo fisico devono avere tutte le caratteristiche dei
corpi per poter generare i fenomeni. La ricerca fisica deve dunque tener
conto di questo limite. I principi dell'essere costituiscono invece il campo
di indagine di un'altra scienza, la scienza prima2, che studia l'essere in
quanto tale. Per Platone e per i suoi allievi, invece, la scienza è sostanzialmente una, quella dell'essere, e ha una struttura piramidale al cui apice
stanno i principi ultimi; la matematica, l'astronomia, la fisica, sono solo
gradi nell'ascesa verso questi principi.
Aristotele imposta spesso sullo sfondo del problema generale dei
principi propri alla fisica il confronto fra atomisti e Platone/ Accademici,
confronto dal quale i primi risultano sempre vincitori proprio perché
hanno posto a fondamento della realtà naturale dei corpi. Il motivo conduttore della critica agli Accademici è invece quello di aver assunto come
principi del mondo fisico degli enti matematici che si situano ad un livello
completamente differente e non possono generare alcun fenomeno fisico.
Nel primo libro della Metafisica, pur considerandosi ancora, all'atto della
stesura di queste considerazioni, un membro dell'Accademia (come indica
1
2
Sulla stretta correlazione fra l'ambito di ricerca e i suoi principi e sulla conseguente differenziazione negli obiettivi e nei metodi, cf. Wieland 1970, 52-58.
Cf. e.g. Phys. A 2, 184b 25s.
60
Principi corporei/ incorporei
l'uso della prima persona plurale), Aristotele critica dall'interno questo
modo di affrontare la ricerca sulla natura
E, in generale, mentre la "sapienza" ricerca la causa dei fenomeni evidenti, noi
abbiamo tralasciato di indagare proprio questo (infatti non diciamo nulla sulla
causa da cui trae origine il mutamento) e, credendo di enunciarne la sostanza, affermiamo che vi sono altre sostanze, ma, per dimostrare che queste ultime sono
sostanze di quelle, parliamo a vuoto; infatti la partecipazione, come abbiamo detto
anche prima, non è nulla. [...] ma la filosofia, per quelli dei nostri giorni, è divenuta matematica anche se loro affermano che si deve studiare la matematica in
vista di altri fini3.
Poco più oltre, Aristotele critica la concezione di un'unica scienza i cui
principi sarebbero il fondamento anche del mondo sensibile sottolineando
che una scienza operante fuori dalle sensazioni non potrà mai averne conoscenza4. Quelli che sostengono la dottrina delle idee, come egli afferma
nel secondo libro della Fisica5, fanno come il matematico che studia sì gli
stessi oggetti del fisico, ma astrae col pensiero dalla loro fisicità e li considera come se fossero privi di movimento. Una costante della critica aristotelica a Platone e agli Accademici è proprio la debolezza dei loro fondamenti epistemologici e del loro metodo: essi riducono tutto a un
numero limitato di ipotesi teoriche che ritengono assolutamente vere
senza occuparsi di ciò che ne consegue per la realtà fenomenica. Il fine
della fisica è però proprio quello di trovare una spiegazione in consonanza
coi fenomeni6.
Per gli Accademici, invece, il fenomeno non è qualcosa di evidente da
accettare come tale, ma un punto di partenza per un cammino a ritroso
verso i veri fondamenti dell'essere, i primi principi, che si situano fuori del
mondo fisico e che sono individuabili solo attraverso la dialettica. I fondamenti di questa concezione, come è risaputo, sono già enunciati da
Platone soprattutto nel Timeo, nella Repubblica e nel Filebo. La realtà fisica,
in quanto in continuo fluire, non offre alcuna possibilità di una scienza
sicura; la scienza vera è solo quella dell'invisibile e dell'intellegibile sempre
uguale a se stesso ed eterno7. E' necessario dunque superare il comune
3
4
5
6
7
Metaph. A 9, 992a 24-29 o{lw" de; zhtouvsh" th'" sofiva" peri; tw'n fanerw'n to; ai[tion, tou'to
me;n eijavkamen (oujqe; n ga;r levgomen peri; th'" aijtiva" o{qen hJ ajrch; th'" metabolh'"), th; n d
oujsivan oijovmenoi levgein aujtw' n eJ tevr a" me;n oujsiva" ei\naiv famen, o{pw" d ejkei'nai touvtwn
oujsivai, dia; kenh'" lev gomen: to; ga;r metevc ein, w{sper kai; provteron ei[pomen, oujqev n ejstin.
ª...º ajlla; gevgone ta; maqhvmata toi'" nu' n hJ filosofiva, faskov ntwn a[llwn cavrin aujta; dei'n
pragmateuvesqai.
Metaph. A 9, 992b 18-993a 10.
Phys. B 2, 193b 22-37.
De cael. G 7, 306a 5-26.
Ti. 51e-52a touvtwn de; ou{tw" ejcovntwn oJmologhtevo n e}n me;n ei\nai to; kata; taujta; ei\do"
e[con, ajgevnnhton kai; ajnwvl eqron, ou[te eij" eJ auto; eijsdecov menon a[llo a[l loqen ou[te aujto;
Capitolo secondo
61
metodo di ricerca dei fisici che si arresta ai principi corporei per rivolgersi
invece a quelle che sono le vere cause prime del reale, incorporee e intellegibili8. I fisici si arrestano al mondo del divenire, ma non raggiungono la
conoscenza vera che si può acquisire solo studiando le cose eterne e
prime in se stesse9. Questo ha come conseguenza anche la totale svalutazione dell'aspetto empirico delle scienze in quanto l'empiria opera su singoli oggetti corporei, in sé non conoscibili con sicurezza, senza astrarne le
forme eterne. Il vero geometra non studierebbe mai seriamente per scoprirvi i concetti geometrici disegni anche bellissimi fatti da un pittore
espertissimo così come il vero astronomo non studia i movimenti degli
astri reali nella loro corporeità, ma coglie teoricamente i rapporti numerici
fra questi astri e i fra i loro movimenti. Per Platone, dunque, bisogna procedere non con l'osservazione, ma formulando dei problemi e lasciar perdere sia le figure geometriche reali, che i corpi celesti reali se vogliamo far
funzionare davvero l'elemento intelligente dell'anima10.
In questa tensione fra il superamento della fisica da parte di Platone e
degli Accademici e il ritorno alla fisica su altre basi rispetto a quelle dei
filosofi della natura da parte di Aristotele si colloca il dibattito sugli atomisti antichi.
2. La gigantomachia del Sofista e lo schema
principi corporei/ incorporei in Aristotele
Come già osservato nel primo capitolo, difficilmente Platone faceva precisi riferimenti agli atomisti. Tuttavia spesso ci si appoggia su un passo
specifico per dimostrare il contrario: la "gigantomachia" del Sofista. Qui lo
straniero di Elea accenna a due schiere contrapposte: coloro che considerano come oujsiva solo quello che si può toccare, cioè il corpo, e i sostenitori delle forme intellegibili e incorporee
Str. E dunque sembra che fra di loro si combatta come una gigantomachia a
causa del dibattito sull'essenza. […] Gli uni trascinano tutto dal cielo e dall'invisibile sulla terra, afferrando semplicemente con le mani rocce e querce. Infatti toccando tutte queste cose assicurano che esiste solo quanto offre qualche possibilità di essere toccato e palpato, definendo l'essenza e il corpo la stessa cosa e
eij" a[llo poi ijovn, ajovraton de; kai; a[llw" aj naivsqhton, tou' to o} dh; novhsi" ei[lhcen ejpiskopei'n: to; de; oJmwvnumon o{moiovn te ejkeivnwi deuvteron, aijsqhtovn, gennhtov n, peforhmev non aj ei;,
gignovmenovn te e[ n tini tovpwi kai; pavlin ejkei'qen ajpolluvmenon, dovxhi met ai[sqhvsew" perilhptovn. Cf. anche Resp. 524c-d.
8
9
10
Ti. 46d; 48a-b; 68e.
Phil. 58c-59b.
Resp. 529d-530c.
62
Principi corporei/ incorporei
guardando dall'alto in basso chi affermasse che qualcos'altro che non ha corpo è,
senza voler ascoltare null'altro — Teet. Parli sicuramente di uomini tremendi; infatti anch'io ho già avuto occasione di incontrarne numerosi— Str. Per questo i
loro oppositori nel dibattito si difendono assai prudentemente dall'alto, da una
certa zona dell'invisibile, incalzandoli col dire che la vera essenza sono certe
forme intellegibili e incorporee e, facendo a pezzettini nelle loro argomentazioni i
corpi di quegli altri e quella che loro chiamano verità, li definiscono un divenire
incessante invece che un'essenza. Riguardo a queste cose c'è sempre stata fra gli
uni e gli altri, o Teeteto, un'accanita battaglia11.
Chi si debba identificare nei due gruppi è stato oggetto di infinite congetture12. In ogni caso l'opposizione fra coloro che ammettono solo essenze
corporee e coloro che, al contrario, assumono come essenze forme incorporee è una novità introdotta da Platone accanto a schemi oppositivi
preesistenti e da lui stesso utilizzati13 e si inserisce nel quadro più generale
della ricerca dei principi ultimi del reale. In questo contesto tutti i fisici
sono coinvolti nella denominazione di materialisti in quanto il campo
comune della loro scienza è quello della natura e del sensibile e quindi dei
corpi, un modello superato solo da Platone e dai suoi allievi. Che la tipologia dei materialisti fosse una struttura generica e aperta, passibile di ricevere qualsiasi contenuto a seconda della discussione e del contesto è dimostrato dal fatto che in Aristotele l'identità dei sostenitori di principi
corporei varia da testo a testo proprio perché tutti i cosiddetti "filosofi
della natura" vengono considerati "materialisti"14. La tipologia dei sosteni11
12
13
14
Soph. 246a XE. kai; mh;n e[oikev ge ejn aujtoi'" gigantomaciva ti" ei\nai dia; th;n ajmfisbhvthsin
peri; th'" oujsiva" pro;" ajllhvlou". ª...º oiJ me; n eij" gh' n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pav nta
e{lkousi, tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambav nonte". tw' n ga;r toiouvtwn
ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevc ei prosbolh;n kai; ejpafhv n
tina, tauj to;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw' n de; a[llwn ei[ tiv" ãtià fhvsei mh; sw'ma e[con
ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde; n ejqevlonte" a[llo ajkouv ein. QEAI. h\ deinou;"
ei[rhka" a[ ndra": h[dh ga;r kai; ej gw; touvtwn sucnoi'" prosevtucon. XE. toigarou' n oiJ pro;"
aujtou;" ajmfisbhtou' nte" mavla eujl abw' " a[ nwqen ej x ajoravtou poqe; n ajmuvnontai, nohta; a{tta
kai; ajswv mata ei[dh biazovmenoi th; n ajlhqinh; n oujsivan ei\nai: ta; de; ejkeiv nwn swvmata kai; th;n
legomev nhn uJp auj tw'n ajlhvqeian kata; smikra; diaqrauvo nte" ej n toi'" lovgoi" gevnesin aj nt
oujsiva" feromev nhn tina; prosagoreuvousin. ej n mevswi de; peri; tau'ta a[pleto" aj mfotevrwn
mavch ti", w\ Qeaivthte, aj ei; sunevs thken. Per la definizione dei materialisti come "non iniziati, uomini rozzi, duri e resistenti" i quali danno il nome di ousia solo a ciò che è corpo,
cf. anche Theaet. 155e.
Cf. in particolare la lista fornita da Diès 1925, 291-293; Friedländer III, 1975, 476 n. 44.
Ambedue sono però convinti dell'impossibilità di individuare l'identità di questo gruppo e
sottolineano il carattere generalizzante della descrizione platonica. Questa ipotesi è confermata a mio parere dall'affermazione di Teeteto di avere incontrato spesso individui
come i materialisti descritti dallo straniero.
Sui modelli "dossografici" preplatonici utilizzati poi anche da Aristotele, cf. von Kienle
1961, 38-57; Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].
In Metaph. A 5, 987a 3-5 i sostenitori di principi corporei sono in generale "i primi filosofi",
in G 5, 1010a 1-3 tutti i presocratici fino ad Omero. In De cael. G 1, 298b 15-26 rientrano in
Capitolo secondo
63
tori delle forme incorporee del Sofista rimanda invece inequivocabilmente
a Platone e ai suoi allievi15.
In alcuni passi Aristotele riprende per intero lo schema del Sofista riproducendo le argomentazioni degli Accademici contro la concezione del
corpo come sostanza. Sebbene egli non offra chiare indicazioni sull'identità delle dottrine materialiste prese di mira dai sostenitori dei principi
incorporei, ci sono tuttavia indizi che rimandano alle tesi atomiste. In
Metaph. B 5, sottoponendo a verifica l'affermazione che le sostanze vere
sono gli enti matematici, Aristotele riproduce le argomentazioni con le
quali gli Accademici hanno superato la concezione del corpo come sostanza.
In quanto a ciò che sembrerebbe indicare in maggior grado la sostanza, cioè l'acqua, la terra, il fuoco e l'aria, di cui sono costituiti i corpi composti, le loro affezioni, il caldo, il freddo e le altre di tal genere non sono sostanze; come ente e sostanza permane invece solo il corpo che subisce queste affezioni. Ma il corpo è
meno sostanza della superficie, questa della linea e questa della monade e del
punto; il corpo è infatti delimitato da queste e sembra che queste possano sussistere senza il corpo, il corpo invece non possa senza quelle. Perciò i molti e gli
antichi erano del parere che il corpo fosse l'ente e la sostanza, le altre cose sue affezioni, talché anche i principi dei corpi sarebbero i principi delle cose esistenti; i
moderni, invece, che sembrano più sapienti di quelli, hanno posto come principi
delle cose esistenti i numeri16.
Le dottrine degli "antichi", che ipotizzano come ousia solo il corpo in
quanto tale e che i sostenitori degli enti matematici e dei numeri ritengono
di superare, hanno le caratteristiche tipiche dell'atomismo. E' infatti solo
Democrito fra i predecessori di Platone a porre alla base del mondo sensibile semplici corpi privi di affezioni17. Aristotele, con un'ironia di stampo
15
16
17
questa categoria anche Parmenide e Melisso pur avendo essi attribuito ai sensibili caratteristiche tipiche degli enti eterni. In Phys. D 6, 213a 19ss. sono gli "uomini comuni" a sostenere che gli enti veri sono solo corpi.
Sulle varie identificazioni degli amici delle forme, cf. Diès 1925, 292 n. 1 e Friedländer III,
1975, 476 n. 44.
Metaph. B 5, 1001b 32-1002a 12 a} de; mavlist a]n dovxeie shmaivnein oujsivan, u{dwr kai; gh'
kai; pu'r kai; ajhvr, ej x w|n ta; suv nqeta swvmata sunevs thke, touvtwn qermovthte" me;n kai; yucrovthte" kai; ta; toiau'ta pavqh, oujk oujsiv ai, to; de; sw'ma to; tau' ta peponqo;" movnon uJpomevnei wJ" o[ n ti kai; oujsiv a ti" ou\sa. ajlla; mh; n tov ge sw'ma h|tton oujsiva th' " ejpifaneiva", kai;
au{th th' " grammh' ", kai; au{th th'" monavdo" kai; th' " stigmh' ": touvtoi" ga;r w{ ristai to; sw'ma,
kai; ta; me; n a[neu swvmato" ejndev cesqai dokei' ei\nai to; de; sw' ma a[ neu touvtwn ajduv naton.
diovper oiJ me;n polloi; kai; oiJ provteron th; n oujsivan kai; to; o]n w[ionto to; sw'ma ei\nai ta; de;
a[lla touvtou pavqh, w{ ste kai; ta; " ajrca; " ta;" tw'n swmavtwn tw' n o[ntwn ei\ nai ajrcav ": oiJ d
u{steroi kai; sofwvteroi touvtwn ei\ nai dovxante" ajriqmouv".
Sulla definizione democritea della "sostanza", cf. Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36
DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; Theophr. ap. Simpl. In de cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120
DK; 171 L.), infra, 6. 3 n. 137.
64
Principi corporei/ incorporei
platonico18, liquida la presunta superiorità degli Accademici ristabilendo le
proporzioni. In un diverso contesto, nel quarto libro del De caelo, il confronto fra gli antichi e i moderni, che si conclude con una notazione simile, ha come protagonisti atomisti e Accademici: Platone e i suoi allievi
hanno spiegato la leggerezza e la pesantezza dei corpi composti col fatto
che essi sono formati da una quantità più piccola o più grande di triangoli:
Gli uni [Platone e i suoi allievi] hanno dunque definito in questo modo il leggero
e il pesante; ad altri [gli atomisti] 19, invece, una definizione di questo genere non
sembrò sufficiente, ma, pur appartenendo ad un'epoca più antica, elaborarono
concezioni più nuove su quanto ora esposto20.
Anche qui Aristotele sottolinea, sebbene in maniera meno ironica e pungente, che le teorie degli atomisti, pur essendo più antiche, sono superiori
a quelle più recenti degli Accademici. In ambedue i brani, della Metafisica e
del De caelo, si ritrova comunque lo spirito dell'aneddoto di Aristosseno:
come là il prestigio di Platone, così qui quello dell'Accademia in generale
subisce un duro colpo nel confronto con le dottrine atomiste.
Uno schema ancora più vicino nell'espressione linguistica a quello del
Sofista si ritrova in Metaph. Z 2. Qui Aristotele nomina espressamente coloro che ritengono i corpi meno sostanze degli incorporei, e i limiti dei
corpi e i numeri come le vere ousiai
Sembra ad alcuni che i limiti del corpo, cioè la superficie, la linea, il punto e la
monade, siano sostanze e ancor più del corpo e del solido. Inoltre gli uni pensano che oltre ai sensibili non ci sia nulla di tal genere, gli altri invece ritengono
che ce ne siano di più e che siano più eterni, come Platone, il quale considera che
le idee e gli enti matematici siano due sostanze e che la terza sia quella dei corpi
sensibili. Speusippo, invece, pone un numero ancora maggiore di sostanze, cominciando dall'uno, e principi per ciascuna sostanza: uno per i numeri, uno per le
grandezze e poi per l'anima e, in questo modo, allarga il numero delle sostanze.
Alcuni, invece, affermano che le idee e i numeri hanno la stessa natura e che le
altre cose, le linee e le superfici fino alla sostanza dell'universo e agli oggetti sensibili, dipendono da queste21.
18
19
20
21
Cf. Pl. Theaet. 180d.
Che siano gli atomisti risulta chiaro dal seguito, 309a 2ss.
De cael. D 2, 308b 29 oiJ me;n ou\n tou'ton to;n trovpon peri; kouvfou kai; barevo " diwvrisan: toi'"
d oujc iJkano;n e[doxen ou{tw dielei' n, ajlla; kaivper o[ nte" ajrcaiovteroi tai'" hJlikivai" kainotevrw" ejnovhsan peri; tw' n nu'n lecqev ntwn.
Metaph. Z 2, 1028b 16 dokei' dev tisi ta; tou' swvmato" pevrata, oi|on ejpifavneia kai; grammh;
kai; stigmh; kai; monav ", ei\nai oujsiv ai, kai; ma'llon h] to; sw'ma kai; to; stereovn. e[ti para; ta;
aijsqhta; oiJ me; n oujk oi[ontai ei\ nai oujd e;n toiou' ton, oiJ de; pleivw kai; ma' llon o[nta ajivdia,
w{sper Plavtwn tav te ei[dh kai; ta; maqhmatika; duvo oujsiva", trivthn de; th;n tw'n aijsqhtw'n
swmavtwn ouj sivan, Speuv sippo" de; kai; pleivou" oujsiv a" ajpo; tou' eJ no;" ajrxav meno", kai; ajrca; "
eJkavs th" oujsiva", a[llhn me; n ajriqmw'n a[llhn de; megeqw' n, e[peita yuch'": kai; tou'ton dh; to; n
trovpon ejpekteiv nei ta;" oujsiva". e[nioi de; ta; me;n ei[dh kai; tou; " ajriqmou; " th;n aujth; n e[cein
Capitolo secondo
65
Anche qui Platone, Speusippo e Senocrate (il sostenitore delle idee-numero) partono dal confronto con coloro che pongono le sostanze nei
sensibili per sviluppare poi una gerarchia degli incorporei fino ai principi.
Rispetto al brano precedente della Metafisica qui i Platonici sottolineano
che le loro sostanze sono "più eterne" dei corpi. Questo stesso dibattito
sulle sostanze eterne si avverte in sottofondo nel resoconto aristotelico su
Democrito riportato da Simplicio. Aristotele esordisce infatti spiegando
che Democrito avrebbe individuato "la natura delle cose eterne" in "piccole sostanze"22. I principi atomistici vengono qui inquadrati in un dibattito più ampio sulla natura delle sostanze eterne (corpi privi di affezioni o
incorporei?) già inscenato nella gigantomachia del Sofista e rappresentato
con attori più definiti nei passi della Metafisica analizzati sopra. Se Aristotele, riprende la diaphonia del Sofista, facendo intravvedere una contrapposizione degli Accademici agli atomisti, è possibile che la critica degli "amici
delle forme incorporee" cui Platone allude, si sia concentrata ad un certo
punto, negli ultimi anni di vita del maestro, specificamente contro questi
ultimi. Nel clima di rivalità fra l'Accademia e il Peripato non stupisce che
proprio quelle tesi che gli allievi di Platone ritenevano superate dalla dottrina dei principi incorporei, fossero invece da Aristotele considerate nettamente superiori e utilizzate per minare il prestigio dei Platonici. Nei
brani della Metafisica aristotelica si lasciano comunque intravvedere gli
indizi di una critica agli atomisti che Sesto Empirico, nel decimo libro
Contro i Matematici, attribuisce ai "figli dei Pitagorici" (gli Accademici appunto) e che verrà esaminata più oltre.
3. Platone e Democrito in Teofrasto
Teofrasto nel De sensibus riprende dei concetti aristotelici, ma mantiene il
parallelo Platone/ Democrito su un piano di neutralità. Essi sarebbero gli
unici ad aver affrontato il problema della definizione della natura dei sensibili nel modo più ampio e ad averli trattati individualmente. Platone però
non avrebbe negato loro una physis, mentre Democrito ne avrebbe fatto
delle semplici affezioni della sensazione23. Ambedue avrebbero comunque
disatteso le loro premesse elaborando in pratica delle tesi opposte ai loro
22
23
fasi; fuvsin, ta; de; a[lla ejcovmena, gramma;" kai; ejpivpeda, mevcri pro;" th;n tou' oujranou'
oujsivan kai; ta; aijsqhtav.
Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,1-2) (68 A 37 DK; 172 L.) Dhmovkrito"
hJgei'tai th;n tw'n ajidivwn fuvsin ei\ nai mikra;" oujsiva" plhvqo" ajpeivrou".
De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.) Dhmovkrito" kai; Plavtwn ejpi; plei'stovn eijsin hJmmevnoi,
kaq e{kaston ga;r ajforivzousi: plh;n oJ me;n oujk ajposterw'n tw'n aijsqhtw'n th; n fuvsin,
Dhmovkrito" de; pav nta pavqh th' " aijsqhvsew" poiw'n.
66
Principi corporei/ incorporei
scopi. In questa maniera Teofrasto pone sullo stesso piano le loro dottrine
e le accomuna nella critica. Altrove egli accennava, sulla scia di Aristotele,
a coloro che, considerando semplici affezioni le quattro qualità fondamentali, proseguivano la ricerca al di là di queste fino alle cause prime24.
Platone è il primo referente, ma Democrito, che aveva cercato di definire
"la sostanza del caldo e del freddo"25, veniva in una certa misura inglobato
nello schema. Teofrasto riteneva tuttavia superfluo ricercare la causa di
questi fenomeni fisici e, altrove, criticava proprio per questo Platone sostenendo che è ridicolo domandarsi perché il fuoco brucia e la neve raffredda26. Lo schema teofrasteo nel quale Platone e Democrito vengono
posti in maniera neutrale sullo stesso piano e criticati conseguentemente
per aver ricercato ulteriori cause delle qualità fondamentali determina poi
gran parte della tradizione posteriore.
Il quadro finora delineato, soprattutto attraverso Aristotele, con riscontri nei testi platonici e con uno sguardo alla posizione di Teofrasto ci
offre dunque sostanzialmente tre modelli di confronto fra Platone/ Accademici e gli atomisti.
1. Lo schema apertamente polemico di Aristotele che vede in Platone
e negli Accademici coloro che trattano la fisica coi logoi e assumono quindi
principi inadeguati per quest'ambito. Egli utilizza all'occasione le dottrine
atomiste in funzione antiplatonica e antiaccademica sottolineandone la
superiorità nel campo della ricerca fisica. Il confronto verte comunque
principalmente sulle dottrine del Timeo reinterpretate dagli allievi e, in
misura minore, su quella delle idee-numero. L'utilizzazione polemica delle
teorie atomiste contro Platone e gli Accademici da parte di Aristotele va
inquadrata nel contesto più vasto della concorrenza fra le due scuole:
dall'altra parte probabilmente, come si può dedurre dagli accenni aristotelici stessi, gli Accademici cercavano di dimostrare la superiorità delle loro
tesi su tutte quelle che ponevano principi corporei, in particolare l'atomismo.
2. Il secondo modello di confronto consiste nell'opposizione critica
degli Accademici a tutte le dottrine materialiste, già adombrata nella gigantomachia del Sofista. L'atomismo, in particolare, che poneva il corpo in
24
25
26
Theophr. De igne 7-8 ajlla; ga;r tau'ta e[oiken eij" meivzw tina; skevyin ejkfevrein hJma'" tw'n
uJpokeimev nwn, h} zhtei' ta; " prwvta" aijtiva". faiv netai ga;r ou{ tw lambavnousi to; qermo;n kai;
to; yucro;n w{sper pavqh tinw'n ei\nai kai; oujk ajrcai; kai; dunav mei".
Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36 DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; per l'opinione di
Teofrasto, cf. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24, infra, n. 137.
Theophr. Fr. 159 FHS&G (Procl. In Tim. II,120,18-22) toiau'ta me;n oJ Qeovfrasto" ejpitima'i tw'i Plav twni peri; th'sde th' " yucogoniva", oujde; ejpi; tw'n fusikw' n pav ntwn levgwn dei'n
hJma'" ejpizhtei'n to; dia; tiv: geloi'on gavr fhsin ajporei' n, dia; tiv kaivei to; pu'r kai; dia; tiv yuvc ei
hJ ciwvn.
Capitolo secondo
67
sé privo di qualità a fondamento del mondo fisico, doveva essere ad un
certo punto diventato l'obiettivo principale per chi, invece, non si fermava, ma procedeva nella ricerca fino alle sostanze incorporee, ai numeri
e ai principi ultimi, uno e diade indefinita. In questo contesto, il termine di
confronto non era solo il Timeo, ovviamente reinterpretato, ma anche e
soprattutto la dottrina dei primi principi. Questo schema oppositivo, che
riproduce quello del Sofista platonico, è presupposto in alcuni passi della
Metafisica aristotelica.
3. Un paragone sostanzialmente neutro, quello di Teofrasto, che si richiama in parte ad Aristotele, ma senza le sue punte polemiche, e cerca di
confrontare a livello tipologico gli atomisti e Platone in particolare sul
problema dei fondamenti delle qualità elementari prendendo in considerazione soprattutto la dottrina del Timeo.
Il modello di confronto polemico aristotelico, fuori dall'ambito delle
discussioni a lui contemporanee e soprattutto a causa dell'enorme influsso
del platonismo non poteva ovviamente essere assunto nella tradizione
posteriore. Esso poteva semmai valere limitatamente a singole osservazioni critiche e sembra essere stato utilizzato in questo modo da Epicuro e
dalla sua scuola27. Nella tradizione tarda che riporta notizie sui principi di
Democrito e di Platone ha prevalso, per ovvi motivi, il modello neutro
teofrasteo anche perché Teofrasto costituiva il principale punto di riferimento per la dossografia antica.
La polemica di segno opposto a quella aristotelica, quella cioè degli
Accademici contro gli atomisti, emerge invece in un brano del decimo
libro Contro i Matematici di Sesto Empirico. Esso si discosta, non solo per il
suo carattere dialettico, ma anche per il contenuto (confronto fra atomismo e dottrina dei principi), dagli altri resoconti tardi facenti capo alla
tipologia teofrastea di parallelismo neutro fra l'atomismo e la geometria
del Timeo e restituisce probabilmente quel nucleo di discussione sull'atomismo antico nell'Accademia di cui sono rimaste solo labili tracce nell'opera aristotelica.
Qui di seguito il brano di Sesto verrà trattato dettagliatamente e confrontato con il resto della tradizione tarda facente capo al modello teofrasteo e ai suoi intermediari. Si potrà quindi cominciare a precisare entro
quali binari si muove la tradizione sull'atomismo antico fuori dai testi
fondamentali di Aristotele e Teofrasto, un lavoro necessario anche per
operare un distinguo fra notizie di autori tardi di varia provenienza e valore
che non hanno certamente attinto agli originali.
27
Cf. su questo punto, infra, VI 3. 1.
68
Principi corporei/ incorporei
4. La tradizione "diafonica". Accademici contro atomisti in
Sesto Empirico Adv. Math. 10,248-262 (121 L.)
Adv. Math. 10,248-262 costituisce un testo fondamentale per ricostruire
un'eventuale discussione dell'atomismo nell'Accademia. Si tratta di un
passo molto discusso, non solo per il suo valore di testimonianza sulla
dottrina accademica, ma anche per i vari problemi che esso pone. Il primo
è un problema di attribuzione: il brano si riferisce alle lezioni platoniche
Sul bene o piuttosto alle interpretazioni che ne davano gli allievi? Il secondo, quello che in questo contesto interessa più da vicino, riguarda
l'autenticità della polemica dei cosiddetti Pitagorici contro gli atomisti: si
tratta solo di una ricostruzione a posteriori o ha un valore anche storico?
Il terzo punto, il più controverso, riguarda la fonte del brano di Sesto.
Prima di affrontare l'analisi del brano è opportuno premettere un
dettaglio importante spesso trascurato e cioè che Sesto ne fornisce una
redazione parallela e riassuntiva negli Schizzi Pirroniani (3,151ss.). In questa
versione, di stile tipicamente dossografico, mancano sia l'esposizione dettagliata delle varie teorie che i riferimenti a polemiche dirette. Attraverso il
confronto dei due passi è possibile perciò stabilire quali sono i punti della
redazione originale della fonte che Sesto ha mantenuto nel resoconto
principale, ma che ha giudicato poi non essenziali nella redazione riassuntiva.
Il resoconto di Sesto si presenta piuttosto articolato. Molto probabilmente la sua fonte aveva attinto a sua volta a più fonti, come indica lo
stacco fra i paragrafi 262 e 26328. Nei paragrafi che seguono, vengono
infatti esposte altre versioni di dottrine accademiche: quella delle categorie, quale si ritrova anche in Ermodoro, diretto allievo di Platone29, e la
versione manualistica, canonica negli autori tardi e di probabile provenienza posidoniana30, della derivazione del tutto dai numeri. Per il tema
qui trattato sono però rilevanti i paragrafi 248-262 in quanto sono gli unici
a riportare una diaphonia dei Pitagorici (Accademici) con gli atomisti nella
ricerca dei principi. L'excursus sui numeri in cui questa compare viene in-
28
29
30
Sext. Emp. Adv. Math. 10,262s. kai; o{ti tai'" ajlhqeivai" au|taiv eijsin tw'n o{lwn ajrcaiv,
poikivlw" oiJ Puqagorikoi; didavskousin.
Cf. Hermod. Fr. 7 IP. Per i rapporti fra i due testi, cf. Heinze 1892, 38ss.; Wilpert 1941,
230; De Vogel 1949, 205ss.; Theiler 1964, 92; Krämer 1959, 284; Isnardi Parente 1979,
108s.; 1982 440s.
Cf. Burkert 1972, 54ss. La teoria della rJuvsi" del punto riportata nei § 281-283 era stata
comunque per lo meno sicuramente trattata e difesa anche da Eratostene (Sext. Emp. Adv.
Math. 3,28). Cf. Isnardi Parente 1992, 159-163.
Capitolo secondo
69
trodotto nella discussione sul tema del tempo trattato poco prima perché,
come osserva Sesto, è con i numeri che si misura il tempo31.
Egli passa poi ad una considerazione generale sull'importanza dei numeri nella fisica dei "Pitagorici"
Dopo aver portato a termine l'esame di quel tema [il tempo], riteniamo opportuno fare un resoconto anche su questo [il numero], soprattutto perché i più sapienti fra i fisici hanno attribuito ai numeri una tale importanza da farne i principi
e gli elementi di tutte le cose. Costoro sono i seguaci di Pitagora di Samo. Quelli
che filosofano veramente —essi dicono— sono simili a quelli che studiano il discorso. Come infatti questi ultimi esaminano prima le parole (infatti il discorso è
composto da parole) e, poiché le parole sono composte da sillabe, esaminano
prima ancora le sillabe, siccome però le sillabe si risolvono nelle lettere della lingua scritta, studiano ancor prima queste ultime, così —dicono i Pitagorici— i
veri fisici, quando ricercano i principi del tutto, devono in primo luogo esaminare
in quali elementi il tutto si scompone32.
Carattere distintivo di questa introduzione è la definizione dei Pitagorici
come "i più sapienti fra i fisici" che non si ritrova in nessun altro dei passi
paralleli di Sesto, né in Pyrrh. hyp. 3,151, né in Adv. Math. 7,93ss., né in
Adv. Math. 4,2ss. né è corrente nella tradizione tarda anche di ascendenza
neopitagorica. Questo giudizio, che riecheggia in certo modo quello del
Filebo (16c-e) sui saggi antichi che hanno elaborato la dottrina dei numeri
come intermedi fra l'uno e l'infinito, risale dunque ad un ambito platonico
che si poneva come alternativo alla concezione aristotelica del fisico: i
migliori fisici non sono quelli che si occupano dei fenomeni, ma quelli che
hanno scomposto il tutto fino ai suoi principi ultimi, i numeri. Di ascendenza platonica, sebbene mediata, è anche l'analisi grammaticale come
modello della scomposizione del mondo fino agli elementi primi33.
Di ben altro tenore è l'introduzione parallela di Pyrrh. hyp. 3,151. Qui
si passa ex abrupto dalla dichiarazione che l'estremismo dei dogmatici sui
numeri ha sollevato le critiche degli scettici, al semplice accenno al fatto
31
32
Adv. Math. 10,248.
Adv. Math. 10,248 kalw'" e[cein hJgouvmeqa meta; th;n proanusqei'san hJmi'n peri; ejkeivnou
zhvthsin kai; to;n peri; touvtou diaqevsqai lovgon, kai; mavlisq o{ti oiJ ejpisthmonevstatoi tw'n
fusikw'n ou{tw megavlhn duv namin toi'" ajriqmoi'" ajpev neiman, w{ste ajrca;" kai; stoicei'a tw' n
o{lwn touvtou" nomivzein. ou|toi dev eijsin oiJ peri; to;n Sav mion Puqagovran. ejoikevnai ga;r
levgousi tou; " filosofou'nta" gnhsivw" toi'" peri; lovgon ponoumev noi". wJ" ga;r ou|toi prw'ton
ta;" lev xei" ejxetavzousin (ejk levxewn ga;r oJ lovgo"), kai; ejp ei; ejk sullabw' n aiJ levxei",
prw'ton skevptontai ta;" sullabav", kai; ejpei; ejk sullabw' n ta; stoicei' a th'" ejggrammavtou
fwnh'" ajnaluomevnwn, peri; ejkeiv nwn prw'ton ejreunw'sin, ou{tw dei'n fasin oiJ peri; Puqagovran tou;" o[ntw" fusikouv", ta; peri; tou' panto;" ejr eunw' nta", ej n prwvtoi" ejxetavzein eij"
tivna to; pa' n lambav nei th; n ajnavlusin. Cf. anche Moderat. ap. Porph. V. P. 48s.
33
Cf. e.g. Pl. Pol. 278d; Theaet. 201ess.; Ti. 48b e Wilpert 1949, 129ss.
70
Principi corporei/ incorporei
che i Pitagorici hanno considerato elementi i numeri34. Manca sia l'encomio di questi ultimi, sia la parte giustificativa del loro metodo, e cioè il
parallelismo con l'analisi del discorso.
In Adv. Math. 10,250 Sesto espone poi l'argomentazione dei Pitagorici
a favore della loro tesi
E' dunque in certo modo contrario alla fisica sostenere che il principio di tutte le
cose è visibile: infatti ogni cosa visibile deve essere composta da invisibili, ma ciò
che è composto da qualcosa non è principio, lo è invece ciò da cui quello è composto. Per questo non bisogna affermare che ciò che appare è principio di tutte le
cose, ma che lo sono le componenti di ciò che appare, le quali, però, non sono
più visibili. Perciò [i Pitagorici] hanno posto come principi delle cose esistenti dei
principi non evidenti e invisibili e in maniera differenziata35.
Qui si intravvede l'intervento dello scettico (Sesto o la sua fonte) in
quanto manca sostanzialmente una dimostrazione del fatto che i fenomeni
sono composti. Il tutto viene presentato tendenziosamente come una
ipotesi. Nei tropi scettici la considerazione delle dottrine dogmatiche
come semplici ipotesi riveste una funzione fondamentale36. Proprio questa
argomentazione è l'unica dell'introduzione ad essere riportata nella versione parallela di Pyrrh. hyp. 3,152 dove invece è caduto tutto il resto37.
Nel brano di Adversus Mathematicos segue poi il passo che interessa più
da vicino e cioè la diffusa critica alle dottrine atomiste e corpuscolariste le
quali hanno posto come principi sì degli invisibili, ma pur sempre dei
corpi
Infatti quelli che hanno affermato che gli atomi o le omeomerie o le "masse" o,
in generale, i corpi intellegibili sono i principi di tutte le cose esistenti, per un
verso hanno visto giusto, per l'altro invece hanno sbagliato. Infatti, in quanto ritengono che i principi siano invisibili, procedono come si conviene, in quanto
però li pongono come corporei, sbagliano. Come infatti i corpi intellegibili e invisibili precedono i corpi sensibili, così anche gli incorporei devono essere principi
dei corpi intellegibili. E questo è logico: come infatti gli elementi della parola non
34
35
36
37
Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,151 ejp ei; oJ crovno" dokei' mh; a[neu ajriqmou' qewrei'sqai, oujk a]n ei[h
a[topon kai; peri; ajriqmou' bracev a diexelqei'n. o{son me; n ga;r ejpi; th'i sunhqeivai kai; ajdoxavstw" ajriqmei'n tiv famen kai; ajriqmo;n ei\ naiv ti aj kouvomen: hJ de; tw'n dogmatikw' n periergiva kai; to;n kata; touv tou kekiv nhke lovgon. aujtivka gou'n oiJ ajpo; tou' Puqagovrou kai; stoicei'a tou' kovs mou tou;" ajriqmou; " ei\ nai levgousin.
Adv. Math. 10,250s. to; me;n ou\n fainomevnhn ei\nai levgein th;n tw'n o{lwn ajrch;n ajfusikovn
pw" ejstivn: pa' n ga;r to; fainovmenon ejx ajf anw'n ojfeivlei sunivstasqai, to; d e[k tinwn sunestw; " oujk e[stin ajrchv, ajlla; to; ej keivnou aujtou' sustatikov n. o{qen kai; ta; fainovmena ouj
rJhtevon ajrca;" ei\ nai tw'n o{lwn, ajlla; ta; sustatika; tw'n fainomevnwn, a{p er oujkevti h\n fainovmena. toivnun ajdhvlou" kai; ajfanei' " uJpevqento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw' ".
L'assegnazione ai dogmatici di un passaggio non motivato dai fenomeni alle loro cause
nascoste è un procedimento tipico anche dei medici empirici, cf. Gal. De exper. med. 24,3,
133s.; 25,2, 136 Walzer.
Pyrrh. hyp. 3,152 fasi; gou'n, o{ti ta; fainovmena e[k tino" sunevsthken, aJpla' de; ei\nai dei' ta;
stoicei'a: a[dhla a[ra ejsti; ta; stoicei'a.
Capitolo secondo
71
sono parole, così anche gli elementi del corpo non sono corpi; ma devono essere
o corpi o incorporei, perciò certamente sono incorporei. E non è ammissibile
dire che gli atomi si trovano ad essere eterni e che, per questo, essi possono essere principi di tutto pur essendo corporei. In primo luogo, infatti, anche coloro
che assumono come elementi le omeomerie e le "masse" e i minimi privi di parti
assegnano loro una esistenza eterna, talché gli atomi non sono più elementi di
questi. Secondariamente, si ammetta pure che gli atomi siano veramente eterni;
tuttavia, come coloro che ammettono che il cosmo sia ingenerato ed eterno, non
di meno ricercano con la mente i primi principi che lo compongono, così anche
noi, dicono i fisici Pitagorici, cerchiamo con la mente da quali principi sono
composti questi corpi eterni e visibili con la ragione. Dunque le loro componenti
saranno o corpi o incorporei. Ma non potremmo dire che sono corpi, poiché bisognerebbe porre come componenti di quelli dei corpi e così, procedendo la
mente all'infinito, il tutto sarebbe privo di principio 38.
Questo brano, al di là dei rimaneggiamenti, contiene le linee generali di
quella che doveva essere una argomentazione originaria dei "Pitagorici".
Essi partivano dalla critica a coloro che ponevano principi corporei (esattamente come gli Accademici di Aristotele), fossero essi pure invisibili,
sottolineando come l'eternità da loro attribuita a tali corpi fosse solo apparente (in Aristotele Platone e i suoi allievi sottolineano che i loro principi
sono "più eterni" dei corpi39). La vera eternità e i veri principi si trovano
infatti negli incorporei cui si arriva attraverso un procedimento mentale
(kat ejpivnoian). Se inizialmente l'argomentazione sembra rivolta contro
tutte le dottrine atomiste e corpuscolariste, nella seconda parte è però
inequivocabilmente diretta contro gli atomisti che hanno posto gli atomi
corporei come sostanze eterne. I Pitagorici-Accademici prendono le distanze da questi ultimi utilizzando un tipico argomento dialettico basato
38
39
Adv. Math. 10,252-256 oiJ ga;r ajtovmou" eijpovnte" h] oJmoiomereiva" h] o[gkou" h] koinw'" nohta;
swvmata pavntwn tw'n o[ ntwn a[rcein ph'i me; n katwvrqwsan, ph'i de; dievp eson. h|i me; n ga;r
ajdhvlou" ei\ nai nomivzousin ta;" ajrcav ", deov ntw" ajnastrevfontai, h|i de; swmatika;" uJpotivqentai tauvta", diapivptousin. wJ " ga;r tw'n aijsqhtw'n swmavtwn prohgei'tai ta; nohta; kai;
a[dhla swvmata, ou{tw kai; tw' n nohtw' n swmavtwn a[rcein dei' ta; ajswvmata. kai; kata; lovgon:
wJ" ga;r ta; th' " levxew" stoicei'a oujk eijsi; levxei", ou{tw kai; ta; tw' n swmavtwn stoicei'a ouj k
e[sti swvmata: h[toi de; swvmata ojf eivlei tugcav nein h] ajswvmata: dio; pav ntw" ejsti;n ajswvmata.
kai; mh; n oujde; e[ nesti fav nai, o{ti aijwnivou" sumbev bhken ei\nai ta;" ajtov mou", kai; dia; tou' to
duvnasqai swmatika;" ou[sa" tw'n o{lwn a[rcein. prw'ton me;n ga;r kai; oiJ ta;" oJmoiomereiv a"
kai; oiJ tou;" o[gkou" kai; oiJ ta; ejl avcista kai; aj merh' lev gonte" ei\nai stoicei'a aijwvnion ajpoleivpousi touvtwn th; n uJpovstasin, w{ste mh; ma'llon ta; " ajtov mou" h] tau't ei\nai stoicei' a.
ei\ta kai; dedovsqw tai'" ajlhqeivai" aijw nivou" ei\ nai ta; " ajtovmou": ajl l o}n trovpon oiJ
ajgevnhton kai; aijwvnion ajpoleivponte" to;n kovsmon oujde; n h|tton pro;" ejpivnoian zhtou' si ta;"
prw'ton susthsamev na" aujto; n ajrcav ", ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'n
filosovfwn, kat ejpivnoian skeptovmeqa to; ejk tivnwn ta; aijwv nia tau'ta kai; lovgwi qewrhta;
sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw' n h] ajswvmata. kai; swvmata
me;n oujk a]n ei[paimen, ejp ei; dehvsei kajkeivnwn swvmata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{ tw"
eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiv a" a[ narcon givnesqai to; pa'n.
Metaph. Z 2, 1028b 16ss., v. supra, n. 21.
72
Principi corporei/ incorporei
sulla scomposizione mentale dei composti nelle loro costituenti più semplici. Come i sostenitori delle idee nel Sofista, essi "fanno in briciole nei
logoi" i corpi dei loro avversari e dimostrano che questi non sono vere
sostanze eterne, in quanto mentalmente possono sempre essere scomposti
in altri corpi in una infinita progressione che priva il tutto di un principio
e di un ordine (a[narcon givnesqai to; pa'n). E' un'immagine parallela a quella
della molteplicità senza l'uno fatta balenare da Platone nel Parmenide e
riemergente anche nelle presunte critiche degli Eleati ai pluralisti in De
generatione et corruptione A 8 di cui si parlerà nel terzo capitolo40.
Nel resoconto parallelo di Sesto in Pyrrh. hyp. 3,152 manca sia la critica
agli atomisti sia la conseguente spiegazione della sottrazione kat ejpivnoian
fino ai principi e rimane solo l'opposizione rigidamente binaria fra corporeo e incorporeo nella forma tipica anche di altri passi dossografici di
Sesto e in generale di una certa tradizione sui principi: degli invisibili alcuni sono corporei (atomi, o[gkoi), altri incorporei (figure, idee, numeri).
Il brano di Sesto non riproduce comunque alla lettera il discorso dei
Pitagorici-Accademici come è evidente sia dallo stile che dagli incisi sparsi
qua e là. Uno di questi è il richiamo ad Epicuro al paragrafo 257. I "Pitagorici" concludono infatti la loro argomentazione contro i principi corporei ribadendo che l'unica possibile soluzione rimane quella di cercare dei
principi incorporei. A questo punto viene introdotta la seguente osservazione completamente anacronistica in un discorso fatto da Pitagorici-Accademici:
Cosa che anche Epicuro ha ammesso, dicendo che il corpo è concepito per aggregazione di figura, grandezza, solidità e peso41.
La proposizione relativa e per di più espressa all'aoristo segnala comunque
che si tratta di un inciso42. Il discorso dei Pitagorici-Accademici è infatti
condotto tutto al presente.
Che dunque i principi dei corpi visibili solo col pensiero debbano
essere degli incorporei è evidente, continua il testo, ma il solo fatto di
essere incorporei non li qualifica automaticamente come principi. Infatti
anche Platone ha riconosciuto che le idee, pur essendo incorporee e
preesistenti ai corpi, che si generano secondo il loro modello, non sono
principi in quanto ciascuna idea presa in sé è uno, ma in combinazione
40
41
42
V. infra, III 2. 2. 2 e n. 56 per il testo di Parm. 165a-b.
Adv. Math. 10,257 o{per kai; Epivkouro" wJmolovghse, fhvsa" kata; ajqroismo;n schvmatov" te
kai; megevqou" kai; ajntitupiva" kai; bavrou" to; sw'ma nenoh'sqai.
Si tratta di una definizione di corpo variamente utilizzata da Sesto: in Adv. Math. 10,240
viene riportata ancora come epicurea e confutata, in Pyrrh. hyp. 3,152 viene invece introdotta come definizione generale di corpo come ajqroismov" di accidenti incorporei, in Adv.
Math. 9,367 ricompare come tesi dei "Matematici".
Capitolo secondo
73
con altre è due, tre o quattro; dunque esse sono governate dal numero43.
Nel resoconto parallelo degli Schizzi pirroniani mancano completamente le
osservazioni su Platone, le quali quindi risalgono con molta probabilità al
testo originario dei cosiddetti Pitagorici. Se Alessandro sosteneva che
Aristotele, nel Peri; tajgaqou', attribuiva a Platone il superamento della
dottrina delle idee verso i principi, uno e diade, Simplicio faceva risalire
questa notizia non solo al libello aristotelico, ma anche alle altre redazioni
della lezione platonica sia di Speusippo che di Senocrate e di altri allievi44.
Dunque questo passaggio dalle idee al numero si integra perfettamente
con l'ipotesi dell'utilizzazione di uno scritto degli allievi di Platone da parte
della tradizione cui la fonte di Sesto si richiama45.
Dopo l'accenno alla teoria platonica delle idee, i Pitagorici-Accademici
procedono ad esporre il passaggio dai corpi agli elementi incorporei fino
ai principi primi, l'uno e la diade indefinita:
e le figure solide, che hanno una natura incorporea, vengono pensate prima dei
corpi, ma ancora non sono i principi di tutte le cose; infatti nella rappresentazione mentale vengono prima le superfici poiché i solidi sono formati da queste.
Ma neppure le superfici possono essere poste come principi di tutte le cose; infatti ciascuna di esse a sua volta è composta da elementi che la precedono, le linee, e le linee hanno come presupposti i numeri in quanto la figura composta di
tre linee si chiama triangolo e quella composta di quattro quadrangolo. E poiché
la semplice linea non viene pensata senza il numero, ma, condotta da un punto
all'altro, segue il due e tutti i numeri cadono anch'essi sotto l'uno (infatti la diade
è una diade e anche la triade è un uno e la decade è una somma di numeri). Prendendo le mosse da queste considerazioni, Pitagora ha posto come principio delle
cose esistenti la monade per partecipazione alla quale ciascuna delle cose esistenti
si dice uno. E questa, pensata secondo l'identità con se stessa, viene pensata
come monade, aggiunta a se stessa secondo la diversità, costituisce la cosiddetta
diade indefinita in quanto non è nessuna delle diadi numerabili e definite, ma
tutte vengono pensate come tali per partecipazione a questa. Dunque due sono i
principi degli esseri: la prima monade, per partecipazione alla quale tutte le mo-
43
Adv. Math. 10,258 h[dh de; oujk ei[ tina proufevsthke tw'n swmavtwn ajs wvmata, tau't ejx
ajnavgkh" stoicei'av ej sti tw'n o[ntwn kai; prw'taiv tine" ajrcaiv. ijdou; ga;r kai; aiJ ijdevai ajswvmatoi ou\sai kata; to; n Plav twna proufesta'si tw' n swmavtwn, kai; e{kaston tw'n ginomev nwn
pro;" auj ta; " giv netai: ajll ou[k eijsi tw'n o[ ntwn ajrcaiv, ejpeivper eJkavsth ijdev a kat ijdivan me; n
lambanomev nh e} n ei\nai levgetai, kata; suvllhyin de; eJ tevra" h] a[llwn duv o kai; trei'" kai;
tevssare", w{ste ei\naiv ti ejpanabebhko; " aujtw' n th'" uJpostavs ew", to; n ajriqmovn, ou| kata; metoch;n to; e} n h] ta; duvo h] ta; triv a h] ta; touvtwn e[ti pleivona ejpikathgorei'tai aujtw' n.
44
Xenocr. Fr. 98 IP (Simpl. In Phys. 187a 12, 151,6-11).
Gaiser 1968b, 66 emargina la notizia su Platone come aggiunta ellenistica. Se fosse tale,
non si capisce perché non dovrebbe comparire, per lo meno in accenno, anche nella versione degli Schizzi pirroniani.
45
74
Principi corporei/ incorporei
nadi numerabili sono pensate come monadi, e la diade indefinita, per partecipazione alla quale le diadi definite sono diadi46.
Il resoconto è qui in alcuni punti sicuramente distorto in quanto la tetrade
nella dottrina delle idee-numero non ha come corrispettivo geometrico il
quadrangolo, ma la piramide e c'è una confusione fra la diade come primo
dei numeri e la diade-principio (v. infra), ma il procedimento di sottrazione
dal corpo alla linea riproduce quello che si trova anche in altre testimonianze sulla dottrina delle idee-numero. Nel resoconto degli Schizzi vengono assunti come principi incorporei, in sequenza, le figure, le idee e i
numeri47 senza alcun accenno al metodo di sottrazione, come se si trattasse di entità a sé stanti.
4. 1. Autenticità della polemica antiatomista nell'excursus di Sesto
Tra gli anni quaranta e cinquanta Paul Wilpert, nella sua opera di raccolta
di testimonianze sulla dottrina non scritta di Platone, aveva creduto di
individuare in questo brano di Sesto Empirico un frammento delle lezioni
Sul bene di Platone e ipotizzato conseguentemente una opposizione di
quest'ultimo a Democrito48. In seguito, tuttavia, anche chi ha riconosciuto
46
47
48
Adv. Math. 10,259-262 kai; ta; sterea; schvmata proepinoei'tai tw'n swmavtwn, ajswvmaton
e[conta th;n fuv sin: ajll ajnavpalin ouj k a[rcei tw'n pavntwn: proavgei ga;r kai; touvtwn kata;
th;n ejpivnoian ta; ejpivpeda schvmata dia; to; ejx ejkeiv nwn ta; sterea; sunivstasqai. ajlla; me;n
oujde; ta; ejpivpeda schvmata qeivh ti" a] n tw' n o[ ntwn stoicei'a: e{kaston ga;r aujtw'n pavlin ejk
proagovntwn suntivqetai tw'n grammw' n, kai; aiJ grammai; proepinooumevnou" e[cousi tou;"
ajriqmouv", parovson to; me; n ejk tw' n triw'n grammw'n trivgwnon kalei'tai kai; to; ej k tessavrwn
tetrav gwnon. kai; ejp ei; hJ aJplh' grammh; ouj cwri;" ajriqmou' nenovhtai, ajll ajpo; shmeivou ejpi;
shmei'on aj gomev nh e[cetai tw' n duei' n, oi{ te ajriqmoi; pav nte" kai; aujtoi; uJpo; to; e}n peptwv kasin
(kai; ga;r hJ dua;" miva ti" ejsti; duav ", kai; hJ tria; " e{ n ti ejstiv, triav ", kai; hJ deka; " e} n ajriqmou'
kefavl aion), e[nqen kinhqei;" oJ Puqagovra" ajrch; n e[fhsen ei\ nai tw' n o[ ntwn th; n monavd a, h|"
kata; metoch;n e{kaston tw' n o[ ntwn e}n levgetai: kai; tauvthn kat aujtovthta me; n eJauth'" nooumev nhn monavd a noei'sqai, ejpisunteqei's an d eJauth'i kaq eJterovthta ajp otelei'n th;n kaloumev nhn ajovriston duavda dia; to; mhdemiv an tw' n ajriqmhtw'n kai; wJrismevnwn duavdwn ei\ nai
ªth;n secl. Heintzº aujthv n, pavs a" de; kata; metoch;n aujth'" duavd a" nenoh'sqai, kaqw;" kai; ejpi;
th'" monavdo" ejlev gcousin: duvo ou\ n tw' n o[ ntwn ajrcaiv, h{ te prwvth monav ", h|" kata; metoch;n
pa'sai aiJ ajriqmhtai; monavde" noou'ntai monavde", kai; hJ ajovristo" duav", h|" kata; metoch;n aiJ
wJrismevnai duavde" eijsi; duavde".
Pyrrh. hyp. 3,152 tw'n de; ajdhvlwn ta; mevn ejsti swvmata, wJ" aiJ a[tomoi kai; oiJ o[gkoi, ta; de;
ajswvmata, wJ " schvmata kai; ijdev ai kai; ajriqmoiv. w| n ta; me;n swvmatav ej sti suv nqeta, sunestw'ta
e[k te mhv kou" kai; plavtou" kai; bavqou" kai; aj ntitupiva" h] kai; bavrou". ouj movnon a[ra a[dhla
ajlla; kai; ajswvvmatav ejsti ta; stoicei' a. ajlla; kai; tw'n ajswmavtwn e{kaston ejpiqewrouvmenon
e[cei to;n ajriqmovn: h] ga;r e{ n ejstin h] duvo h] pleivw. di w|n sunav getai o{ti ta; stoicei'a tw'n
o[ntwn eijsi;n oiJ a[dhloi kai; ajswv matoi kai; pa' sin ejpiqewrouvmenoi ajriqmoiv. kai; oujc aJplw'",
ajll h{ te mona;" kai; hJ kata; ejpisuv nqesin th'" monavdo" ginomev nh ajovristo" duav ", h| " kata;
metousiv an aiJ kata; mevro" givgnontai duavde" duavde".
Wilpert 1941, 229-248; 1949, 128ss.; 1950, 49-66.
Capitolo secondo
75
nel brano la presenza di un nucleo di dottrina platonica, ha avanzato
dubbi sulla sua originalità globale. Già Jaeger, recensendo il lavoro di Wilpert, aveva richiamato l'attenzione sulla terminologia ellenistica di vari
punti del brano e sugli evidenti interventi della fonte o delle fonti intermedie. Tra questi Jaeger annoverava anche la diaphonia fra "Pitagorici" e
atomisti considerandola una ricostruzione a posteriori49. Gaiser, che nel
volume Platons ungeschriebene Lehre la accettava come parte del resoconto
originale concordando con Wilpert sull'ipotesi di una diretta critica platonica all'atomismo50, diviene poi più cauto nello studio particolare dedicato
a questo brano. Come altri dopo Jäger, anch'egli inclina a considerare il
nucleo che illustra la diaphonia un inserimento in quanto presenta il repertorio dossografico ellenistico sui principi presente anche altrove in Sesto e
in altri autori51. A favore di questa tesi sembrerebbe giocare anche un
passo di Sesto in cui viene esposto il decimo tropo scettico della sospensione del giudizio, quello della relatività delle concezioni dogmatiche, nel
quale compare anche la lista tipica della vulgata dossografica sui principi e
la dichiarazione che le varie ipotesi dogmatiche vengono dagli scettici
contrapposte, ora a loro stesse (l'accento è sulle loro contraddizione interne), ora a ciascuna delle altre52. La diaphonia fra i Pitagorici e gli atomisti
potrebbe dunque essere una costruzione seriore.
Per stabilire se e in che misura il brano presenti una contrapposizione
originale degli Accademici agli atomisti bisogna tuttavia osservare il resoconto di Sesto da un'ottica diversa rispetto a quella di chi ne rifiuta in
blocco l'originalità. In questo brano, come è stato più volte rilevato, ci
sono sì dei rimaneggiamenti (evidenti ad esempio nella terminologia di
matrice stoica, corrente negli autori di età imperiale) e degli inserimenti
che risalgono ad una tradizione posteriore, ma questi in generale risaltano
49
50
51
52
Jaeger 1951, 250s. [1960, 424s.].
Gaiser 1968a, 28s.; 82-85; 354 n. 60; cf. anche 229, 298, 465. Della stessa opinione anche
Krämer 1971, 294 n. 227.
Cf. in Gaiser 1968b, 64; 74 n. 103 con l'elenco degli autori in cui compare la sequenza
atomisti, corpuscolaristi, sostenitori di principi incorporei. Un elenco più esauriente in
Theiler 1964, 90 dove però non viene fatta alcuna differenziazione fra i vari tipi di resoconto dossografico. Manca in ambedue le liste un passo di Alessandro di Afrodisia, De
mixt. 213,18-214,6 dove i limiti dei corpi sono identificati con i triangoli platonici, v. infra,
n. 77. In ogni caso questi resoconti trattano i limiti dei corpi come dottrina a sé stante così
come Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,152ss. La problematizzazione di questo passo manca sorprendentemente in Thiel 2006, 343s. e 349s. che dà per scontata l'autenticità della polemica
antiatomista.
Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,145ss. devkatov" ejsti trovpo" ª...º oJ para; ta;" dogmatika;" uJpolhvyei"
ª...º dogmatikh; dev ejstin uJpovlhyi" paradoch; prav gmato" di ajnalogismou' h[ tino" ajpodeivxew" kratuv nesqai dokou'sa, oi|on o{ti a[toma e[sti tw' n o[ntwn stoicei'a h] oJmoiomerh' ãh]Ã
ejlavcista h[ tina a[lla. aj ntitivqemen de; touvtwn e{kaston oJte; me; n eJ autw'i oJte; de; tw'n a[llwn
eJkavs twi.
76
Principi corporei/ incorporei
proprio per il loro anacronismo come l'accenno ad Epicuro menzionato
precedentemente. Il fatto che Sesto riporti lo schema dossografico ampliato sui principi corporei di età ellenistica (atomi, omeomeri, "masse",
minimi privi di parti) non è in sé probante in quanto non esclude a priori
che il nucleo originale (Accademici contro atomisti) sia stato "aggiornato"
con tutta la lista tipica della dossografia tarda53. In generale, comunque,
Sesto presenta come storicamente vere, riproducendone abbastanza fedelmente la sostanza, solo le polemiche effettivamente condotte da autori
specifici contro altri54. Non presenta invece come un dato storico, ma
come una semplice divergenza di opinioni fra i dogmatici deducibile dalle
loro rispettive dottrine una diaphonia ricostruita a posteriori.
Nel brano di Sesto si avverte comunque quell'atmosfera di contrapposizione dialettica degli Accademici ai sostenitori dei principi corporei delineata nel Sofista ed evocata più volte nell'opera aristotelica che ho cercato
di delineare nella prima parte di questo capitolo. Qui si possono aggiungere ulteriori considerazioni a conferma di questo fatto:
1. L'affermazione di principio secondo cui i fenomeni devono necessariamente essere composti di elementi invisibili sembra proprio riprodurre nella terminologia stessa quella tendenza degli Accademici contro
cui Aristotele si scaglia nel primo libro della Metafisica e nel secondo libro
della Fisica accusandoli di far derivare le cose evidenti da ciò che non si
vede55.
2. I Pitagorici di Sesto mettono sullo stesso piano teorie corpuscolari
e atomiste: ambedue presupporrebbero corpuscoli eterni, ma non tali in
realtà in quanto sia gli uni che gli altri sono ulteriormente divisibili con la
mente. Questa assimilazione fra dottrine atomiste e corpuscolariste ritorna
sia nei resoconti aristotelici che trattano gli indivisibili sia, in particolare, in
un brano del terzo libro del De caelo, il cui tema è proprio l'alternativa fra
eternità o corruttibilità dei corpi elementari: i corpi elementari eterni ai
quali si arresterebbe la divisione sono o atomi, o ancora divisibili, ma mai
divisi. Questa seconda teoria corpuscolare viene attribuita molto stranamente ad Empedocle: egli avrebbe ammesso un corpuscolo "divisibile,
53
54
55
Su questa linea si pone la risposta data da Krämer 1964, 156ss. alle critiche rivoltegli da
Vlastos 1963, 644-648 il quale, adducendo l'argomento della rielaborazione tarda, negava la
possibilità di una eventuale presenza di materiale originale accademico nel brano. Ciò che
invece risulta più problematico della tesi di Krämer, come vedremo, è che il brano di Sesto
riporti effettiva dottrina platonica non filtrata dall'interpretazione degli allievi. Sull'amplificazione da parte della dossografia di problematiche e discussioni originarie, cf. Mansfeld
1992b e 2002 che tratta in particolare il materiale peripatetico.
Cf. e.g. quella fra Alessino il megarico e il suo contemporaneo Zenone stoico e degli stoici
successivi contro Alessino (Adv. Math. 9,108-110); fra Diogene di Babilonia e gli oppositori
di Zenone (9,133s.).
Metaph. A 9, 992a 24-29, v. supra, n. 3; cf. anche Phys. B 1, 193a 5ss.
Capitolo secondo
77
senza che possa mai venire dissolto"56. Tale esegesi dei principi empedoclei è tuttavia, molto probabilmente, già accademica e deriva da una reinterpretazione della dottrina empedoclea alla luce della teoria corpuscolare
di Eraclide Pontico. Egli aveva infatti assunto come componenti ultime
dei corpi piccole masse prive di connessioni al loro interno (a[narmoi
o[gkoi), e quindi ulteriormente scomponibili, separate da pori57. In Sesto i
"Pitagorici" fanno presente che l'assumere come principi dei corpi intellegibili, siano essi atomi o corpuscoli ulteriormente divisibili come gli o[gkoi,
equivale ad una progressione all'infinito: in quanto corpi essi si possono
sempre immaginare composti di altri corpi senza poter arrivare ad un
principio ordinatore del tutto.
3. Il brano di Sesto si stacca da tutto il resto della tradizione dossografica tarda di marca teofrastea in quanto è l'unico non solo a presentare
una contrapposizione fra atomismo e dottrine "pitagoriche" dei principi,
superando lo schema della concordanza di fondo58, ma anche a confrontare gli atomi non con i triangoli del Timeo, bensì con la dottrina dell'uno e
della diade.
4. Sesto menziona fra coloro che hanno assunto come principi dei
corpi solo intellegibili gli atomisti, coloro che hanno posto le omeomerie,
o gli onkoi, o i minimi privi di parti secondo il normale schema presente
anche in altri autori tardi (v. infra). L'allusione ai sostenitori degli ejlavcista
kai; ajmerh' è, nel migliore dei casi, un anacronismo, in quanto questi principi sono attribuiti nella lista dossografica corrente a Diodoro Crono posteriore a Senocrate59. Tuttavia, nel seguito del passo, la critica dei cosiddetti Pitagorici è rivolta espressamente contro gli atomisti e non contro
tutte le tesi menzionate. Anzi, come risposta all'eternità dei loro atomi, si
obietta che, in fondo, anche i corpuscolaristi hanno considerato i loro
corpuscoli eterni; dunque gli atomi non sono "più elementi" dei corpu56
57
58
59
De cael. G 6, 305a 1-6 eij de; sthvsetaiv pou hJ diavlusi", h[toi a[tomon e[stai to; sw'ma ejn w|i
i{statai, h] diaireto;n me;n ouj mevntoi diaireqhsovmenon oujdevpote, kaqavper e[oiken
Empedoklh'" bouvlesqai levgein. a[tomon me;n ouj k e[stai dia; tou;" provteron eijrhmevnou"
lovgou": ajlla; mh; n oujde; diaireto;n me; n oujdevpote de; dialuqhsovmenon.
Heraclid. Fr. 118-123 Werhli. Sull'interpretazione degli a[narmoi o[gkoi di Eraclide, cf.
Stückelberger 1984, 17-19 con bibliografia. Sull'interpretazione corpuscolare di Empedocle
e sulle sue ascendenze accademiche, cf. Gemelli Marciano 1991a.
Anche Aristotele applica del resto lo schema "sinfonico" Pitagorici-atomisti nel breve
accenno congiunto a Democrito e ai Pitagorici di Metafisica M 4. Le differenze di questo
accostamento con lo schema diafonico del brano di Sesto sono evidenti. Innanzitutto i Pitagorici di Aristotele vengono prima di Democrito e non possono essersi posti in posizione critica nei suoi confronti. Inoltre sostengono anch'essi dei principi corporei in
quanto i loro numeri non sono separati dai sensibili. Aristotele li situa poi sullo stesso
piano di Democrito in quanto anch'essi hanno cercato in qualche modo di definire l'essenza.
V. infra, V 1 n. 12.
78
Principi corporei/ incorporei
scoli. Atomisti e corpuscolaristi vengono posti sullo stesso piano. La negazione di una eternità vera e propria all'ambito del corporeo è in perfetta
consonanza con la tradizione platonica che, da Platone in poi, esclude dal
mondo sensibile tutti i concetti assoluti60. L'intervento di cosmesi della
fonte di Sesto non è dunque da individuarsi nell'argomentazione principale, bensì unicamente nell'ampliamento della lista dei sostenitori dei
principi corporei.
5. Nel suo nucleo, inoltre, questa parte introduttiva del brano in cui si
parte dalla critica agli atomisti per il successivo superamento del corporeo
attraverso le figure fino al numero, presenta delle strette analogie coi brani
aristotelici nei quali, nella prima parte di questo capitolo, si sono ravvisate
tracce di una possibile critica degli Accademici agli atomisti.
Wilpert faceva inoltre rilevare in particolare due punti che riguardano
sia l'aspetto più generale dell'excursus dossografico, sia l'opposizione specifica Pitagorici/ atomisti61:
1. La necessità di porre elementi non ulteriormente scomponibili,
neppure con la mente, scaturisce dalla problematica della divisibilità all'infinito così come era stata impostata nell'Accademia62.
2. Alla base dell'opposizione dei "Pitagorici" alle dottrine atomiste e
alla loro ricerca dei principi sta una marcata equivalenza fra ciò che può
venir pensato e ciò che è nella realtà63 quale si ritrova anche nella descrizione dei molti senza l'uno del Parmenide platonico (165b) e quale viene
continuamente rimproverata da Aristotele agli Accademici in generale64.
Per loro ciò che si può scomporre con la mente è in realtà scomponibile e
dunque non può essere principio. Le critiche rivolte alle dottrine atomiste
e corpuscolariste dai "Pitagorici" di Sesto sono perfettamente coerenti con
le concezioni e il metodo degli Accademici e richiamano l'immagine degli
amici delle idee del Sofista platonico che fanno a pezzi nei logoi i corpi dei
loro avversari.
Nel brano di Sesto è dunque possibile individuare, al di là delle rielaborazioni tarde, una terminologia e una impostazione della discussione
che rimanda ad una opposizione degli Accademici agli atomisti su punti
fondamentali quali l'essenza e l'eternità dei principi.
60
61
62
63
64
Una conferma indiretta dell'autenticità della polemica antiatomista degli Accademici viene
poi dalla formulazione della dottrina dei minimi dell'atomo da parte di Epicuro che tiene
conto sia delle critiche accademiche che delle risposte aristoteliche agli Accademici stessi,
v. infra, VI 3. 1.
Wilpert 1949, 128ss.; 1950, 55.
Wilpert 1950, 56ss.
Wilpert 1949, 242-244; 1950, 62-65.
Il termine "tecnico" usato da Aristotele per questo modo di procedere è logikw'" skopei'n,
cf. De gen. et corr. A 2, 316a 5; Phys. G 8, 208a 14, v. infra, IV 2.
Capitolo secondo
79
Verificata l'autenticità della polemica antiatomista del brano di Sesto
rimangono da definire ancora due punti qualificanti per la ricezione dell'atomismo nell'Accademia e per la trasmissione di questa visione dell'atomo alla tradizione tarda:
1. In primo luogo l'identità dei Pitagorici in questione. Wilpert e Gaiser attribuivano la dottrina direttamente a Platone, la Isnardi Parente è
incline a considerarla più propriamente senocratea. Nel primo caso sarebbe l'unico indizio reale di una trattazione da parte di Platone dell'atomismo antico, nel secondo verrebbe invece rafforzata l'ipotesi secondo
cui erano piuttosto gli allievi ad aver preso posizione nei confronti degli
atomisti.
2. In secondo luogo chi sia la fonte di Sesto e da dove essa stessa presumibilmente attinga.
4. 2. Senocrate "figlio dei Pitagorici" e la polemica antiatomista
Se Wilpert, Gaiser e Krämer vedevano nel resoconto di Sesto la dottrina
non scritta di Platone, c'è invece una corrente che riporta il passo all'Accademia, ma non a Platone stesso65. Alcuni elementi nella prima parte del
resoconto, già accennati dalla Isnardi Parente, fanno propendere per una
derivazione da Senocrate. In particolare la concezione dell'idea come una
realtà composita, molteplice al suo interno (kata; suvllhyin). Si tratterebbe
di un ulteriore sviluppo della dottrina del Sofista dove Platone parla di
sumplokh; tw'n eijdw'n, ma non di suvllhyi", un concetto a lui estraneo, mentre
Senocrate viene indicato da Temistio come il sostenitore di una concezione dell'idea-numero come molteplicità (sugkeivmeno" ejx eijdw'n)66. Ai fini
dell'attribuzione a Senocrate sono però ancora più rilevanti altri due fatti e
cioè:
1. La considerazione del solido come un incorporeo con una conseguente nettissima separazione, senza possibilità di mediazione se non
attraverso il concetto di partecipazione, fra sensibile e intellegibile.
65
66
Merlan 1960, 203s. accettava la tesi che il contenuto del brano di Sesto fosse basato su un
nucleo derivato dall'Accademia, ma non da Platone facendo notare, fra l'altro, che nel resoconto viene citato il nome di Platone stesso. Krämer 1964, 158 n. 56 e Gaiser 1968b,
passim, interpretano il riferimento come una aggiunta della fonte di Sesto, ma in realtà esso
rientra in un discorso originario e coerente che accoglie la dottrina delle idee, indicando nel
contempo anche le linee del suo superamento. Isnardi Parente 1982a lo ha riportato
espressamente a Senocrate inserendolo nella sua edizione. Cf. ultimamente anche Thiel
2006, III 6.
Isnardi Parente 1981, 41s.; 1982, 348-50.
80
Principi corporei/ incorporei
2. L'allusione alla generazione del cosmo kat ejpivnoian che, al di là della
terminologia di matrice stoica67, richiama l'interpretazione didaskaliva"
cavrin data dagli allievi di Platone della generazione del cosmo nel Timeo68.
Il chorismos dei corporei dagli incorporei e la complessità delle idee,
sono i temi dominanti di un resoconto sulla dottrina di Senocrate nella
parafrasi al De anima di Temistio che si richiama, anche se forse attraverso
mediazioni69, al Peri physeos di Senocrate stesso. In questo brano, come nel
resoconto di Sesto, il solido è appunto considerato un incorporeo mentre
in Platone è il corpo stesso e nelle testimonianze sul Peri; tajgaqou' e nella
tradizione platonica tarda il primo incorporeo è la superficie 70.
La natura incorporea, spiega Temistio esponendo l'opinione di Senocrate, essendo priva della massa corporea, non appartiene alla sfera del
continuo, ma deve possedere i caratteri del discontinuo. La molteplicità
presente in questo ambito è fatta di monadi vere e non di unità apparenti
quali quelle del mondo fisico. L'incorporeo è dunque costituito di numeri
ideali che, in quanto numeri, esprimono una molteplicità, in quanto unità
ideali, sono realmente delle unità. Elementi del numero ideale sono l'idea
dell'uno e quella della prima diade, della prima triade e della prima tetrade.
Siccome, però, nel mondo intellegibile devono comparire anche i fondamenti matematici del sensibile e questo è composto da lunghezza, larghezza e profondità, la lunghezza prima (la linea), la superficie prima (il
triangolo), il solido primo (la piramide) costituiscono i corrispettivi geometrici della diade, della triade e della tetrade71. Al di là della terminologia
67
68
69
70
L'espressione non è attestata né in Platone né in Aristotele, ma risale all'opposizione stoica
kat ejpiv noian (o ejpinoiv ai)/ kaq uJpovstasin (Posidon. F 16; 92 E.-K.) e diventa un termine corrente negli autori di età imperiale, cf. e.g. Gal. De diff. puls. 2,7 (VIII,609 K.); PHP
8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.), infra, 5. 2 n. 108.
Cf. Arist. De cael. A 10, 279b 32.
Isnardi Parente 1982a, 429-431; 1992, 147 n. 38.
Cf. Pl. Ti. 53c; Leg. 894a; Arist. Fr. 28 Rose (Alex. In Metaph. 987b 33, 55,20) ajrca;" me;n
tw'n o[ntwn tou;" ajriqmou;" Plavtwn te kai; oiJ Puqagovreioi uJpetivqento, o{ ti ejdovkei aujtoi'"
to; prw'ton ajrch; ei\nai kai; to; ajs uvnqeton, tw'n de; swmavtwn prw'ta ta; ejp ivpeda ei\nai—ta;
ga;r aJplouvsterav te kai; mh; sunanairouvmena prw'ta th'i fuvsei. Philo Op. 50; Macr. Somn.
71
Scip. 1,5,13 Ipsam vero superficiem cum lineis suis primam post corpora diximus incorpoream esse naturam nec tamen sequestrandam propter perpetuam cum corporibus societatem; cf. anche Chalc. In Tim.
101,19ss. Theiler 1964, 101 riteneva questi ultimi brani paralleli a quello di Sesto, ma essi
differiscono proprio in questo punto fondamentale.
Xenocr. Fr. 260 IP (Themist. In De an. 404b 20, 11,20) th;n ga;r ajswvmaton fuvsin tou' me;n
sunecou' " posou' povrrwqen ei\nai pantavp asin uJpelavmbanon oiJ a[ ndre" ejkei'noi, a{ te ej n
o[gkwi mh; uJf estw's an, tou' diwrismevnou de; oijkeivan ei\nai: plh'qo" ga;r kai; ejkeivnh" ei\nai
th'" fuvsew" ej x eJ navdwn ajlhqinw' n sunteqeimev non uJp enovo un, oujc oi{ai" hJmei'" crwvmeqa ejpi;
tw'n swmavtwn monavsin, w|n oujdev n ejsti e}n ajkribw' ", ajlla; pleivw, ma'llon de; a[peira: dio; kai;
eijjdhtiko;n ejkavloun tou'ton to; n ajriqmo;n a{te sugkeivmenon ejx eijdw' n, kai; tou;" ajriqmou;"
ejkeivnou" ei[dh tw'n o[ntwn ejtivqento: 'ajriqmw'i dev te pant ejpevoike'. tou' me; n ou\n aujtozwviou,
toutevsti tou' kovsmou tou' nohtou', stoicei'a ta; prw'ta ejpoivoun tw' n eijdhtikw'n ajriqmw'n th;n
Capitolo secondo
81
tarda nella quale Temistio espone72, le concezioni di fondo del brano combaciano comunque con la dottrina dei Pitagorici di Sesto se si esclude il
fatto che quest'ultimo o la sua fonte distorcono il concetto di triade e
tetrade applicandolo erroneamente a triangolo e quadrangolo e non a
triangolo e piramide. Ambedue i brani sottolineano comunque il chorismos
del mondo sensibile dalle entità geometriche che ne costituiscono il fondamento, un tratto tipico della dottrina di Senocrate73. La concezione del
solido come incorporeo non è dunque platonica né deriva da una eventuale contaminazione della fonte tarda in quanto, più oltre, nello stesso
resoconto il solido viene chiaramente definito come to; stereo;n sch'ma kai;
to; sw'ma 74, ma risale a Senocrate.
Un altro punto che porta ad escludere la provenienza del brano di Sesto dalle dottrine non scritte di Platone e a riportarlo invece a Senocrate è
l'allusione ad una interpretazione non letterale, ma kat ejpivnoian della nascita del cosmo e degli enti di per sé eterni. Essa infatti non può essere di
Platone per ovvie ragioni e difficilmente è inserzione della fonte intermedia. Se infatti l'interpretazione allegorica della nascita del cosmo è comune
nel medio- e neoplatonismo75, non è invece documentata in relazione alla
genesi dei solidi e dei numeri. Ambedue le interpretazioni, compresa la
generazione dei numeri qewrh'sai e{neka, sono invece attribuite nei testi
aristotelici espressamente ai sostenitori delle idee-numero, cioè a Senocrate76. Dunque l'accenno alla genesi del cosmo, ma anche al carattere
tou' eJ no;" ijdev an kai; th; n th'" prwvth" duavdo" kai; th;n th'" prwvth" triavdo" kai; th;n th'" prwvth"
tetravdo": ejp eidh; ga;r ej n tw'i nohtw'i kovsmwi dei' pavntw" ta; " ajrca; " paremfaiv nesqai tou'
aijsqhtou', oJ de; aijsqhto;" ej k mhvkou" h[dh kai; plavtou" kai; bavqou", tou' me;n mhv kou" ijdevan
ei\nai th; n prwvthn ajpefhv nanto duavda: ajpo; ga;r eJno; " ejf e} n to; mh'ko", toutev stin ajpo;
shmeivou ejpi; shmei'on: tou' de; mhvkou" a{ma kai; plavtou" th;n prwvthn triavda: prw'ton ga;r
tw'n ejpipevdwn schmav twn ej sti; to; trivgwnon: tou' de; mhvkou" kai; plavtou" kai; bavqou" th;n
prwvthn tetravda: prw'ton ga;r tw' n sterew' n ejsti; n hJ puramiv". tau'ta de; a{panta labei'n
e[stin ejk tw'n Peri; fuvsew" Xenokravtou".
72
73
74
75
76
Il brano di Temistio, che Saffrey 1955, 37-43 aveva considerato di scarsa affidabilità, è
stato riabilitato da Cherniss 1977, 427-429 nella recensione a Saffrey e accettato a pieno
titolo come testimonianza su Senocrate da Pines 1961, 15ss. e da Isnardi Parente 1982a,
429-431; 1992, 145 n. 36.
Cf. anche la netta separazione fra sostanza sensibile e intellegibile in Xenocr. Fr. 83 IP
(Sext. Emp. Adv. Math. 7,147-149). Cf. su questo punto anche la critica aristotelica alle
dottrine senocratee Metaph. N 3, 1090b 21-29.
Adv. Math. 10,280; cf. anche i passi paralleli Adv. Math. 7,100 e 4,5. Per altre testimonianze
che utilizzano la vulgata tarda e identificano il solido col corpo, cf. Philo Op. 49-51; Plut. De
E 390 D; Hippol. Ref. 6,23,3; Anatol. ap. Iambl. Theolog. arithm. 23, 29,10-12 De Falco.
Per un elenco esauriente degli autori che hanno affrontato questa problematica, cf. Cherniss 1976, 170 n. a.
Per la genesi del cosmo Arist. De cael. A 10, 279b 32 e il commento corrispondente in
Simpl. In De cael. 279b 32, 303,33 (Xenocr. Fr. 154 IP). Per la genesi dei numeri qewrh'sai
e{neka Metaph. N 4, 1091a 23-29 e il commento di Burkert 1972, 79s.
82
Principi corporei/ incorporei
composto degli enti ideali kat ejpivnoian, porta ad identificare i cosiddetti
Pitagorici con quest'ultimo. E' perciò assai probabile che Senocrate, il
quale è l'unico nell'Accademia ad aver elaborato una dottrina degli indivisibili, abbia preso posizione nei confronti dell'atomismo (che Aristotele
invece esaltava) contrapponendogli non semplicemente le tesi del Timeo,
ma la dottrina dei principi incorporei. L'interpretazione di coloro che
vedono nella prima parte del resoconto di Sesto una ricostruzione a posteriori di una polemica non è dunque corretta. La sua fonte ha solo ampliato, secondo uno schema corrente, la lista delle teorie corpuscolariste,
ma ha ripreso sicuramente un confronto dialettico originale come fa in
molti punti del suo resoconto sui numeri. Questo risulta anche dall'esame
degli altri brani dossografici sui principi (che definirò "la vulgata"), alcuni
dei quali di Sesto stesso, portati generalmente come prova della derivazione tarda della polemica77. Nonostante siano sempre stati considerati
perfettamente paralleli a questo, essi presentano in realtà differenze di
77
Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro" ajtovmou", eij mhv ti
ajrcaiotevr an tauvthn qetevon th; n dovxan, kai; wJ" e[legen oJ Stwiko;" Poseidwvnio", ajpo;
Movcou tino;" aj ndro;" Foivniko" katagomevnhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomevnio" oJ moiomereiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejl avcista kai; ajmerh' swvmata, Asklhpiavdh" de;
oJ Biquno;" ajnavrmou" o[gkou", oiJ me; n peri; Puqagovr an tou;" ajriqmouv" e[lexan pav ntwn
a[rcein, oiJ de; maqhmatikoi; ta; pevrata tw'n swmavtwn, oiJ de; peri; to;n Plavtwna ta; " ijdeva".
Cf. Pyrrh. hyp. 3,32; Adv. Math. 10,318. [Gal.] Hist. phil. 18 (124 L.) Dhmovkrito" de; kai;
Epivkouro" ta;" ajtovmou" ajrca; " pav ntwn nomivzousin, ÔHrakleivdh" de; oJ Pontiko;" kai;
Asklhpiavdh" oJ Biquno;" aj navrmou" o[gkou" ta; " ajrca; " uJpotivqentai tw'n o{l wn, Anaxagovra"
de; oJ Klazomevnio" ta;" oJmoiomereiv a" Diovdwro" de; oJ Krov no" ejpikeklhmevno" aj merh' kai;
ejlavcista swvmata, Puqagovra" de; tou;" ajriqmouv ", oiJ maqhmatikoi; ta; pevr ata tw' n
swmavtwn, Strav twn de; oJ fusiko;" proswnomasmev no" ta;" poiovthta". Alex. De mixt. 213,18
(124 L.) w|n oiJ me;n a[toma swvmata a[p eira tw'i plhvqei, kata; sch'ma kai; mevgeqo" movnon th;n
pro;" a[llhla diafora; n e[ conta, ta;" ajrca;" kai; ta; stoicei' av fasin ei\ nai, kai; th'i touvtwn
sunqev sei te kai; poia'i periplokh'i e[ti te tavxei kai; qevsei ta\lla givnesqai: ejf h|" dovxh"
prw'toi me;n Leuv kippov" te kai; Dhmov krito" genevsqai dokou'sin, u{steroi de; Epivkourov" te
kai; oiJ th;n aujth; n touvtwi trapevnte": oiJ de; aujtw' n, ouj k ajtovmou", oJmoiomerh' dev tinav fasin
a[peira ei\nai swvmata, ejx w| n hJ tw' n aijsqhtw'n gev nesi" swmav twn ginomevnh kata; suv gkrisin
kai; suvnqesin, ãejfà h|" dovxh" Anaxagovra" te kai; Arcevlao" dokou'si gegonev nai: h[dh dev
tine" kai; ajmerh' tina swv mata ta; " ajrca;" kai; stoicei'a tw' n pav ntwn prohvcqhsan eijpei' n:
e[sti dev ti" dovxa kai; ej x ejpipevdwn th;n gevnesin poiou'sa tw'n swmavtwn kai; ejx ajriqmw'n ti"
a[llh. Cf. la versione riguardante i principi corporei di Calc. In Tim. 283,17-284,8 Waszink
Restat nunc, ut eorum quoque qui generatam esse corpoream silvam negant sententias exequamur; quorum
aeque diversae opiniones omnino sunt. Sunt enim qui textum eius et quasi continuationem quandam corpusculis, quae intellegantur potius quam sentiantur, conexis sibi invicem assignent in aliquo modo positis et
aliquatenus figuratis, ut Democrito et Epicuro placet. Addunt alii qualitatem, ut Anaxagoras, sed hic
omnium materiarum naturam proprietatemque in singulis materiis congestam esse censet; alii propter exiguitatem individuorum corporum, quorum numerus in nullo fine sit, subtilitatem silvae contexi putant, ut
Diodorus et non nulli Stoicorum, quorum sit fortuitus tam coetus quam segregatio. Il resoconto di Calcidio presenta le tipiche assimilazioni della trasmissione dossografica (ad alcuni stoici viene
addirittura attribuita una forma di atomismo e una formazione casuale dei corpi, ciò che
essi sempre criticano). Su questi schemi Mansfeld 1990a, 3070 n. 38 e 3158s.
Capitolo secondo
83
rilievo. In questi brani, infatti, le dottrine che pongono come principi le
idee, le superfici (o i limiti dei corpi) e i numeri vengono considerate come
tesi separate, senza alcun collegamento fra loro e attribuite a personaggi
diversi: i sostenitori dei "limiti dei corpi" (le superfici) come principi sono
ad esempio i "Matematici", identificati con sicurezza come matematici e
astronomi di età ellenistica78, quello dei numeri è Pitagora, delle idee, Platone. Una breve notazione del Filopono, unica nel panorama dossografico
antico, solo apparentemente simile alla vulgata, riporta invece una lista con
varianti significative che richiamno il resoconto di Sesto. Se infatti fra i
"materialisti" vengono annoverati Talete, Democrito, Anassimene Anassimandro ed Eraclito, che compaiono anche nella vulgata79, i sostenitori dei
principi incorporei sono unicamente i Pitagorici e Senocrate che hanno
posto come come principi i numeri. L'aggiunta a quest'ultimo gruppo di
Platone con formula dubitativa rimanda evidentemente all'interpretazione
della sua dottrina da parte della fonte del Filopono80. Nella vulgata Senocrate non compare mai come sostenitore del numero (che è invece Pitagora) e Platone è sempre decisamente il rappresentante della dottrina delle
idee. Inoltre il Filopono fa seguire anche un elenco di coloro che avrebbero sostenuto una posizione intermedia ammettendo sia principi corporei che incorporei, come Anassagora (omeomerie e Nous), Empedocle
(quattro elementi e Neikos e Philia) e lo stesso Democrito (atomi e vuoto).
Il Filopono attinge dunque ad un'altra versione dell'opposizione corporei/
incorporei che ha ben presenti le tesi di Senocrate e che mostra delle
analogie con l'excursus di Sesto sulla diaphonia fra "Pitagorici" e atomisti.
Ambedue si distanziano dalla vulgata sui principi corporei e incorporei e
attribuiscono gli incorporei unicamente ai Pitagorici e, il Filopono, anche
a Senocrate, la fonte ultima del brano di Sesto. La prima parte di questo
passo, dunque, lungi dal riprodurre semplicemente la vulgata di età ellenistica, riporta, pur con qualche integrazione, una originale critica di Senocrate agli atomisti. La parte critica si incentrava sull'assimilazione delle
loro dottrine alle presunte tesi corpuscolariste e sul concetto di eternità
dei principi. La considerazione che i principi corporei, per definizione,
non possono essere eterni in quanto mentalmente sempre scomponibili,
serviva poi come punto di partenza per l'ajnavl usi" eij" ta; prw'ta, l'uno e la
diade secondo quel procedimento rispecchiato nei testi aristotelici esaminati nella prima parte di questo capitolo. Il carattere teoretico dell'opera78
79
80
Burkert 1972, 42s., n. 76; Isnardi Parente 1992, 159ss.
Sext. Emp. Adv. Math. 9,360-364 e 10,310-318.
Philop. In De an. 404b 30, 82,17 (Xenocr. Fr. 119 IP) swmatika;" me;n ou\n ta;" ajrca;"
ejtivqento oiJ fusikoiv, Qalh'", Dhmovkrito", Anaximev nh" Anaxivmandro", ÔHravkleito",
ajswmavtou" de; oiJ ajriqmou;" levgonte" wJ" oiJ Puqagovreioi kai; Xenokravth", dokei' de; kai; oJ
Plavtwn.
84
Principi corporei/ incorporei
zione di sottrazione dal corporeo alle figure geometriche, ai numeri e ai
principi stessi veniva espressamente sottolineato col risultato di separare
nettamente l'ambito degli incorporei da quello del corpo: quest'ultimo
infatti anche se, di fatto, fosse eterno, non potrebbe comunque esserlo in
realtà, poiché i veri enti eterni sono solo gli intellegibili. Gli oggetti matematici perdevano così quel carattere di mediazione che avevano rivestito
per Platone per rientrare nel dominio degli intellegibili puri.
4. 3. Una fonte scettica per Sesto
La fonte del brano di Sesto è difficile da determinare e la discussione è
tuttora aperta, ma, anche solo dall'analisi della prima parte del brano, che
termina con 10,263, si possono ricavare elementi utili per individuarla.
Universalmente riconosciuto è il fatto che si tratta di una fonte tardo-ellenistica in quanto presenta in alcuni punti quella volgarizzazione delle teorie del numero che si ritrova in autori tardi81. Il problema si pone quando
si tratta di stabilire con precisione a quale ambito appartenga. Come si è
già osservato, la questione è complicata dal fatto che la fonte di Sesto ha a
sua volta utilizzato più fonti per questo excursus sui numeri. Sono state
avanzate varie ipotesi di cui vale la pena fornire un breve sunto valido
anche come punto di partenza per ulteriori riflessioni.
1. Posidonio. La tesi di Posidonio ha avuto un grande seguito soprattutto per le analogie di Adv. Math. 10,277-284 con 7,92-100 dove il filosofo viene espressamente nominato. Ed effettivamente questi paragrafi
mostrano una utilizzazione di Posidonio o, per lo meno, di una versione
tarda, da lui derivata, sui numeri pitagorici, versione che, del resto, ricompare tale e quale anche in Adv. math. 4,2-982. Essa è basata sostanzialmente
su una interpretazione del Timeo alla luce delle dottrine dell'uno e della
diade e della massima pitagorica della tetraktys, fonte della natura eterna.
La tetrade costituisce il fondamento sia della struttura corporea che dell'anima del mondo. Genera il corpo attraverso la progressione, o lo scivolamento del punto alla linea, di questa alla superficie, e di questa al solido
corporeo, e l'armonia del cosmo sulla base degli accordi contenuti nei
numeri dall'uno al quattro: l'accordo di quarta (4:3) di quinta (3: 2) e l'ottava (2:1)83. Né in questi resoconti, né nella vulgata tarda che ritorna in altri
81
82
83
Cf. Burkert 1972, 54s.
Cf. Burkert 1972, 53ss.
Adv. Math. 10,282s. La derivazione posidoniana della teoria dell'anima del mondo è confermata dal passo corrispondente in Adv. Math. 4,8 (kata; th;n ajrchvqen uJpovqesin tessavrwn
o[ntwn ajriqmw'n, tou' te eJno; " kai; duvo kai; triva kai; tev ssara, ej n oi|" ejlevgomen kai; th;n th'"
yuch'" ijdev an perievcesqai kata; to; n ej narmov nion lovgon...) nel quale viene riecheggiata la
Capitolo secondo
85
autori compaiono, però, il motivo della diaphonia dei Pitagorici con gli
atomisti e la caratterizzazione del solido come incorporeo.
2. Eudoro o un neopitagorico. E' la tesi più affermata da quando il Theiler
l'ha proposta leggendo in 10,260s. una reinterpretazione monistica della
dottrina dei principi tipica di Eudoro84. In realtà, nel brano di Sesto, come
è stato osservato, non c'è un monismo del tipo eudoreo che pone l'uno
come principio supremo, identificabile con il dio, al di là della dualità dei
principi uno e diade85, ma una predominanza dell'uno rispetto al secondo
principio che Aristotele stesso nella Metafisica attribuisce ad alcuni Pitagorici e agli Accademici86. Venuta meno dunque la motivazione principale
per far risalire ad Eudoro il resoconto di Sesto, non ci sono altri particolari possano confermare questa tesi. La coloritura stoica del linguaggio è
infatti una caratteristica comune degli autori tardo-ellenistici87. Non c'è,
d'altra parte, neppure nessuna ragione per attribuire ad un non ben identificato neopitagorico un resoconto sui numeri solo perché vi si parla di
Pitagorici e viene riferita anche la vulgata pitagorizzante relativa alla tetrade. Sesto, infatti, non si limita ad attingere alla sua fonte per il semplice
resoconto, ma, come vedremo in seguito, assume in blocco anche la parte
critica della dottrina dei cosiddetti Pitagorici. Soprattutto la prima parte
del brano, quella già commentata (248-262) e questa parte critica sono
importanti per individuare questa fonte che ha composto un resoconto
sui numeri pitagorici servendosi di materiali disparati: della vulgata tardoellenistica, ma anche di altre fonti più antiche.
Alcuni indizi rimandano ad una fonte scettica, nella fattispecie Enesidemo88:
1. Enesidemo aveva preso in considerazione i numeri probabilmente
trattando il tema del tempo in quanto li annoverava nelle stesse categorie:
per lui sia la monade sia l'istante erano sostanze, gli altri numeri e il giorno
definizione di Posidonio (F 141a; T 45 E.-K.) (Plut. De an. procr. 1023 B ijdevan ei\nai tou'
pavnthi diastatou' kat ajriqmo;n sunestw' san aJrmonivan perievconta). Sulla provenienza po84
85
86
sidoniana della vulgata relativa alla tetrade pitagorica come espressione della formula del
corpo e dell'anima, cf. Merlan 1960, 51-53.
Theiler 1965, 208.
Cf. Burkert 1972, 54 n. 7; Isnardi Parente 1992, 150 n. 41.
Metaph. M 6, 1080b 6 scedo;n de; kai; oiJ levgonte" to; e}n ajrch;n ei\nai kai; oujsivan kai; stoicei'on pavntwn, kai; ej k touvtou kai; a[llou tino; " ei\nai to;n ajriqmovn, e{kasto" touvtwn tina;
tw'n trovpwn ei[rhke. Ibid. 30-32 monadikou;" de; tou; " ajriqmou;" ei\nai pav nte" tiqev asi, plh;n
tw'n Puqagoreivwn, o{soi to; e} n stoicei'on kai; ajrchvn fasin ei\nai tw'n o[ntwn.
87
88
In particolare Theiler 1964, 90 si riferisce alla terminologia stoica della seconda parte del
brano di Sesto, quella riguardante la sistemazione categoriale. Egli stesso, però (p. 89), cita
un passo (Adv. Math. 8,161) che indica chiaramente come la terminologia stoica fosse impiegata anche dagli scettici.
A quanto mi risulta, finora solo il Krämer 1967, 29 n. 30; 1964, 157 n. 55 ha ventilato
questa ipotesi senza tuttavia soffermarvisi.
86
Principi corporei/ incorporei
il mese e l'anno solo dei multipli, cioè una quantità. L'introduzione del
brano sui numeri come attinenti alla definizione di tempo, ricorda inoltre
quella data da Enesidemo89.
2. In Adv. Math. 10,251-52, in un inciso non ben integrato con il discorso dei Pitagorici, si sottolinea come coloro che hanno assunto elementi invisibili lo abbiano fatto ouj koinw'"90. Questa espressione riecheggia
la formula del quinto tropo di Enesidemo contro le opinioni dogmatiche
secondo cui tutti coloro che assumono delle cause lo fanno ciascuno secondo proprie ipotesi sugli elementi, ma non secondo un metodo comune
e concordato91.
3. Ad Enesidemo rimanda anche la confutazione che Sesto fa seguire
all'excursus sui Pitagorici dove vengono utilizzati argomenti dei dialoghi
platonici in particolare del Fedone e del Parmenide92. Sesto confuta, utilizzando un Platone "scettico"93, il dogmatismo dei Pitagorici. Particolarmente indicativo è l'uso dell'aporia del Fedone (96e-97b) per la critica al
concetto di diade. Nel dialogo platonico era impiegata per mostrare l'impossibilità della generazione meccanica da composizione o divisione di
entità preesistenti: come è possibile infatti che il due possa derivare da due
89
90
91
Sext. Emp. Adv. Math. 10,248 ejpei; e[ti tw'n suzugouvntwn tw'i crovnwi pragmavtwn ejsti; kai;
oJ ajriqmo;" dia; to; mh; cwri;" ejxariqmhvsew" th;n tou' crovnou givnesqai katamev trhsin, kaqavper wJrw'n kai; hJmerw' n kai; mhnw'n, e[ti de; ejniautw'n. Cf. Enesidemo in Adv. Math.
10,216s. th;n me;n crovno" proshgorivan kai; th;n mona;" ejpi; th'" oujsiva" tetavcqai fhsivn, h{ti"
ejsti; swmatikhv, ta; de; megevqh tw' n crov nwn kai; ta; kefavlaia tw'n ajriqmw'n ejpi; poluplasiasmou' mavlista ej kfevresqai. to; me; n ga;r nu' n, o} dh; crovnou mhvnumav ejstin, e[ ti de; th; n monavda
oujk a[llo ti ei\ nai h] th;n oujsivan, th; n de; hJmevr an kai; to; n mh' na kai; to;n ejniauto; n poluplasiasmo;n uJpavrcein tou' nu' n, fhmi; de; tou' crovnou, ta; de; duvo kai; triva kai; devka kai; eJkato; n
poluplasiasmo; n ei\ nai th'" monavdo".
La frase toivnun ajdhvlou" kai; ajf anei'" uJpevq ento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw'" è una
riflessione della fonte sulla diaphonia fra dogmatici che sta per esporre. Segue infatti la critica dei Pitagorici alle tesi che sostengono principi invisibili corporei in generale e agli atomisti in particolare.
Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,183 pevmpton kaq o}n pavnte" wJ" e[po" eijp ei'n kata; ta;" ijdiva" tw'n
stoiceivwn uJpoqevs ei" ajll ouj katav tina" koina; " kai; oJmologoumev na" ej fovdou" aijtiologou'sin. Sulla eventuale trattazione diafonica dei "fisici" da parte di Enesidemo e sulle sue
92
ascendenze nell'Accademia scettica, cf. Mansfeld 1988, 250 [1990b, 211] e n. 47; 251
[1990b, 212] e n. 48-50.
In particolare l'aporia del Parmenide (131a-c) secondo cui i molti non possono partecipare
dell'idea né come tutto né come parte. Cf. Adv. Math. 10,293-298. Nel passo corrispondente degli Schizzi pirroniani (3,159), per dimostrare che il concetto di partecipazione distrugge l'unità dell'idea, viene riportata una variante dell'esempio del velo del Parmenide
(uJpoteqevntwn gumnw'n ajnqrwvpwn, eJno;" de; o[nto" iJmativou kai; tou'to eJno;" ajmfiasamevnou,
gumnoi; menou'sin oiJ loipoi; kai; cwri;" iJmativou. eij de; mevrou" aujth'" metevc ei e{kaston,
prw'ton me;n e{xei ti mevro" hJ monav", kai; a[p eirav ge e{xei mevrh, eij " a} diairei' tai).
93
Sull'immagine e l'evoluzione dell'interpretazione scettica di Platone, cf. l'esauriente resoconto in Tarrant 1985, 71-88. Cf. anche Bonazzi 2003. Il Fedone e il Parmenide sembrano essere stati utilizzati per tale rappresentazione.
Capitolo secondo
87
unità distinte, di cui ciascuna era uno prima di aggiungersi all'altra, se esse
rimangono tali e quali erano precedentemente, o che lo stesso due si generi semplicemente se una unità viene tagliata a metà? Si tratta di un
preambolo introduttivo alla critica alla spiegazione meccanicistica dei
fenomeni da parte di Anassagora e dei fisici come lui. Nel brano di Sesto
gli argomenti vengono ripresi, anche con una lunga citazione letterale
(Phaed. 97a), e ampliati94. Il Platone scettico che emerge da questo brano
non è quello di Sesto stesso, che lo considerava un dogmatico come gli
altri e lo criticava come tale95, ma risale a quell'esegesi scettica cui egli
allude nel primo libro degli Schizzi pirroniani e che è sempre stata oggetto
di controversa attribuzione. Secondo Sesto, alcuni interpretavano non
solo il Platone dei dialoghi aporetici, ma anche quello dei dialoghi dogmatici, come un puro scettico. Dato che i manoscritti esibiscono in questo
punto una irreparabile crux, si è posto il quesito se questa visione fosse
quella di Enesidemo o se costui, come Sesto, vi si opponesse96. L'espres94
Adv. Math. 10,302-307 eij de; mnhvmhi kat ejpisuvnqesivn tinwn e[gnwstai (scil. oJ ajriqmov"),
ajporhvsei ti" tw'n aijsqhtw'n ajpostav ", kaqw;" kai; oJ Plavtwn hjpovrei ejn tw'i Peri; yuch'" pw' "
ta; duvo kat ijdivan me; n o[ nta ouj noei'tai duvo, sunelqovnta de; eij" taujto; givnetai duvo ktl.).
Isnardi Parente 1992, 163ss. ipotizza per questo passo una polemica diretta di Sesto contro
Platone. Che questo sia impossibile risulta in primo luogo dal fatto che il passo viene riportato come un sostegno alla confutazione dei Pitagorici come indicano le espressioni introduttive dei singoli punti dell'aporia (cf. 10,302 e 305 oJ de; Plavtwn kai; a[llw" ejpiceirei'n
bouvletai... 308 toiou'to" me; n kai; oJ Plavtwn: e[ nesti kai; w|d e sunerwta'n), in secondo
luogo dal confronto con un passo parallelo (Adv. Math. 4,11ss.) dove effettivamente Sesto
polemizza contro Platone attribuendo a lui la dottrina dei numeri e sostenendo che pitagorizza (puqagorikwvteron oJ Plavtwn fhsivn...). Cf. in particolare Adv. Math. 4,21 (contro la
diade assunta da Platone come principio) a[poro" gavr pw" kai; au{th (scil. hJ duav") sunivstatai kata; th;n tw' n monavdwn suvnodon, w{sper kai; Plavtwn dia; tou' Peri; yuch'" provteron
hjpovrhken). Il Fedone viene in questo secondo caso utilizzato espressamente per dimostrare
95
96
come Platone sia in contraddizione con se stesso.
Cf. la feroce critica contro la composizione e il carattere matematico dell'anima nel Timeo
in Pyrrh. hyp. 3,189. Una stessa differenza di giudizio su Platone in passi paralleli, da cui risulta chiaro che Sesto offre un'immagine scettica di Platone solo quando segue letteralmente la sua fonte, in Pyrrh. hyp. 1,28 e Adv. Math. 7,281. La stessa definizione di uomo
tratta dalle definizioni pseudo-platoniche viene interpretata nel primo passo alla luce dell'affermazione che nessuno dei sensibili esiste veramente: Platone fornisce la definizione di
uomo, non come un dato sicuro, ma solo, come è solito fare, secondo la verosimiglianza
(kata; to; piqanovn). Nel secondo caso (Adv. Math. 7,281), invece, Sesto critica la definizione
platonica come la peggiore di tutte in quanto non definisce affatto l'uomo, ma elenca solo
una serie di attributi positivi e negativi. Nel brano degli Schizzi pirroniani abbiamo proprio
un saggio interpretativo di quella corrente da cui Sesto prende le distanze, ma di cui nel
contempo si serve come fonte. Cf. su questo punto Tarrant 1985, 75-77; Decleva Caizzi
1980, 408s.; 1986, 175.
Pyrrh. hyp. 1,221s. to;n Plavtwna ou\n oiJ me;n dogmatiko;n e[f asan ei\nai oiJ de; ajporhtikovn, oiJ
de; kata; mevn ti ajporhtiko;n kata; dev ti dogmatikovn ª...º. peri; me; n ou\ n tw'n dogmatiko; n
aujto; n ei\nai legov ntwn, h] kata; mevn ti dogmatiko;n, kata; dev ti ajporhtikovn, perisso;n a]n ei[h
levgein nu' n: aujtoi; ga;r oJmologou'si th; n pro; " hJma'" diaforav n: peri; de; tou' eij e[stin eijli-
88
Principi corporei/ incorporei
sione che segue direttamente la menzione di Enesidemo nel tormentato
passo: ou|toi ga;r mavlista tauvth" proevsthsan th'" stavsew", denota tuttavia una
presa di distanza da quella tendenza, della quale evidentemente Enesidemo era uno dei rappresentanti principali97. Proprio il fatto che Sesto usi
lo stesso passo platonico del Fedone in Adv. Math. 10,302ss. nell'argomentazione contro i "Pitagorici", seguendo l'interpretazione scettica di Platone, e in Adv. Math. 4,21, invece, per confutare un Platone pitagorico e
dogmatico, fa pensare che l'interpretazione data da Enesidemo fosse
quella di un Platone scettico sul modello del Platone aporetico dell'Accademia di mezzo98. Enesidemo aveva, del resto, tradotto in termini scettici
l'aporia del Fedone argomentando contro il concetto di generazione 99.
krinw'" skeptiko;" platuvteron me; n ej n toi'" uJpomnhv masi dialambavnomen, nu'n de; wJ " ej n uJpotupwvsei lev gomen † katapermhdoton† kai; Aijnhsivdhmon (ou|toi ga;r mavlista tauv th" proevsthsan th'" stavsew") o{ti o{tan oJ Plavtwn ajpofaiv nhtai peri; ijdew'n h] peri; tou' provnoian
ei\nai h] peri; tou' to;n ejnavreton bivon aiJretwvteron ei\nai tou' meta; kakiw'n, ei[te wJ"
uJpavrcousi touvtoi" sugkatativqetai, dogmativzei, ei[te wJ" piqanwtevroi" prostivqetai, ejp ei;
prokrivnei ti kata; pivstin h] ajpistivan, ejkpevfeuge to;n skeptiko; n carakth' ra. Se il nome di
97
98
99
Enesidemo è chiaro, così non è né per il contesto, né per il nome di Menodoto, che si
sono voluti ricostruire dall'incomprensibile katapermhdoton dal Fabricius in poi. Nonostante tutti i tentativi di ripristinare il testo (kata; ãtw'nà peri; Mhnovdoton Heintz, Mau: kata;
ãtou;"Ã peri; Mhnovdoton Natorp, Mutschmann: kaqavper oiJ peri; Mhnovdoton Spinelli 2000),
la crux rimane, cf. Perilli 2004, 105-109; 2005.
Sesto usa anche altrove una espressione simile per definire una tendenza rappresentata da
Enesidemo e da altri da cui egli si dissocia. Cf. Adv. Math. 7,350 (identità fra anima e sensazioni) h|" stavsew" h\rxe Stravtwn oJ fusiko;" kai; Aijnhsivdhmo". Inoltre con il termine
stavsi" Sesto indica sempre una posizione filosofica diversa dalla sua (cf. TLG da cui
traggo solo alcuni esempi Pyrrh. hyp. 3,131 Stoici; Adv. Math. 7,190; 202; 300 Cirenaici;
7,399 Seniade; 8,62 Democrito e Platone), cf. anche Heintz 1922, 30ss. Görler 1994, 840
osserva che un attacco ad Enesidemo da parte di Sesto non è fuori luogo in quanto poco
prima (Pyrrh. hyp. 1,210-212) egli polemizza contro Enesidemo e contro la sua interpretazione di Eraclito in chiave scettica. C'è dunque una tendenza del fondatore del neopirronismo ad attribuire posizioni scettiche ai predecessori. L'eventuale opposizione di Sesto ad
Enesidemo è stata rigettata sostanzialmente con l'argomentazione che quest'ultimo, richiamandosi a Pirrone e a Timone, difficilmente avrebbe potuto considerare Platone un
puro scettico (Decleva Caizzi 1992, 186s.; Isnardi Parente 1992, 122s. n. 3; Bonazzi 2003,
150ss.). Tuttavia coloro che sostengono questa tesi omettono, nella discussione del passo,
proprio l'analisi della frase che segue la menzione di Enesidemo tauvth" proevsthsan th'"
stavsew". Per quanto riguarda l'attribuzione ad Enesidemo dell'interpretazione di Platone
scettico, cf. Ioppolo 1992, 186ss. e Tarrant 1985, 74-77.
Cf. Cic. De or. 3,18,67 Arcesilas primum, qui Polemonem a udierat, ex variis Platonis libris
sermonibusque socraticis hoc maxime arripuit, nihil esse certi quod aut sensibus aut animo percipi possit.
Cf. Glucker 1978, 36ss.; Ioppolo 1984, 342. Sulla interpretazione aporetica di Platone nell'Accademia di mezzo, cf. inoltre Annas 1992, 43ss.
Un corpo non può generarne un altro rimanendo in sé (dalla divisione di una unità non
possono risultarne due), né, congiungendosi con un altro, generarne un terzo diverso da
ambedue (da due unità non può generarsene un'altra diversa da ambedue). Infatti l'uno
non può generare il due se già prima non lo conteneva nella sua natura, né il due il tre. Ma
se così fosse ogni unità conterrebbe in sé numeri infiniti, cf. Sext. Emp. Adv. math. 9,220s.
Capitolo secondo
89
Enesidemo probabilmente raccoglieva, da fonti disparate, una serie di
testimonianze sulle dottrine di quelli che al suo tempo erano designati
come "Pitagorici". L'utilizzazione di una pluralità di fonti su una stessa
dottrina "dogmatica" è del resto tipica delle tradizioni scettiche, sia accademica che neopirroniana, ed è funzionale alla confutazione: la credibilità
dei dogmatici è seriamente messa in discussione se essi sono colti in contraddizione con se stessi o con quelli che sostengono le loro stesse dottrine. Fonti diverse forniscono informazioni e prospettive diverse e sono
estremamente utili a questo scopo. Per quanto riguarda la parte che qui
interessa, cioè i paragrafi 248-261, se non si può escludere a priori, sembra
tuttavia improbabile che Enesidemo attingesse direttamente a Senocrate.
Per gli altri due resoconti sui "Pitagorici" successivi a questo, quello sulla
dottrina delle categorie e la vulgata sulla derivazione dai numeri, egli ha
infatti certamente utilizzato fonti intermedie100. E' dunque assai verosimile
che anche i paragrafi 248-261 siano stati mediati da una fonte la cui identità rimane, però, campo di congettura101 . Si può solo osservare che non
riproduce la tradizione interpretativa teofrastea della somiglianza fra i
fondamenti della dottrina platonica e atomista comune nei testi tardi e di
matrice posidoniana (v. infra, § 5-6), bensì il modello polemico sostenitori
degli incorporei contro materialisti sviluppato nell'Accademia antica.
Rispetto ai resoconti tardi sui principi in cui compare Democrito il
brano di Sesto si caratterizza comunque per un elemento fondamentale. Il
confronto, infatti, non riguarda Platone e Democrito, ma gli atomisti e i
cosiddetti Pitagorici, cioè gli Accademici. Nei resoconti successivi, che
fanno capo alla tradizione teofrastea, gli attori del rapporto rimangono in
primo luogo Platone e Democrito e, solo in seguito, per influsso del neopitagorismo, vengono aggiunti anche i Pitagorici. Questo termine fa però
100
101
Il Fedone costituiva un testo fondamentale per l'interpretazione scettica di Platone, cf. Anon.
Proleg. 10,1ss. in cui vengono citati a questo proposito Phaed. 65b, 66b, 79c.
La terminologia dell'esposizione sulle categorie (263-276) rispecchia sicuramente una
rilettura posteriore pur basandosi sostanzialmente sulle teorie dell'allievo di Platone, Ermodoro (Gaiser 1968b, 63ss., Isnardi Parente 1982a, 443; 1992, 152-157). Nel resoconto
sulla genesi delle figure dal punto (277-282) sono descritte due teorie distinte, una statica e
una dinamica, che compaiono anche in altri passi di Sesto e in autori tardi (Adv. Math.
7,99-100; 3,20-21; Philo, Op. 49; Theo Smyrn. Exp. rer. math. 93,21 Hiller): 1. quella di derivazione speusippea, che si basa sulle analogie punto-monade, linea-diade, superficie-triade,
solido-corpo-tetrade (Speus. Fr. 84-85 IP), 2. quella della rJuvsi" del punto che origina dinamicamente le varie dimensioni, risalente probabilmente al pitagorismo antico, ma ripresa
anche da Eratostene come si può ricavare da Sesto stesso (Adv. Math. 3,28).
Burkert 1972, 94 ipotizza che l'attribuzione della dottrina dell'uno e della diade a Pitagora e
la denominazione degli allievi di Platone come "pitagorici" risalga all'Accademica scettica
che voleva tenerli distinti da un Platone genuinamente "scettico" e rileva come questa tradizione potrebbe aver influenzato anche il resoconto di Sesto Empirico.
90
Principi corporei/ incorporei
riferimento non agli Accademici, ma agli scritti pseudo-pitagorici quali
quello di Timeo di Locri o comunque a teorie neopitagoriche.
5. La tradizione "sinfonica" sui principi di Platone e
Democrito
I testi tardi che nominano congiuntamente Platone e Democrito presentano dei caratteri piuttosto diversi da quelli del brano di Sesto. Le teorie
platoniche e atomiste sui principi vengono infatti poste sullo stesso piano
in quanto ambedue avrebbero superato l'ambito del sensibile per ricercare
principi che diano una ragione delle qualità come il caldo e il freddo. In
questi contesti i corpuscoli di Democrito vengono avvicinati sempre più
agli intellegibili platonici e vengono definiti nohta; swvmata . Si tratta di una
terminologia distinta da quella della dossografia aeziana dove gli atomi
democritei vengono per lo più designati come lovgwi qewrhta; swvmata 102 .
Questo confronto, basato sostanzialmente su una rielaborazione del modello teofrasteo, domina tutta la tradizione tarda sui principi di Democrito
e Platone. Di quest'ultimo vengono prese in considerazione unicamente le
dottrine del Timeo, che si spingono fino ai limiti dei corpi (cioè alle superfici), non la cosiddetta dottrina non scritta. I triangoli platonici vengono
invece subordinati ai principi ultimi, forma e materia, secondo i canoni del
platonismo aristotelizzante di matrice tardo ellenistica. Il parallelismo
Platone-Democrito è stato dunque ripreso in margine all'interpretazione
del Timeo secondo il modello aristotelico-teofrasteo. Sia Aristotele che
Teofrasto, infatti, l'uno a fini polemici e affermandone la superiorità, l'altro in maniera neutrale, confrontavano l'atomismo con le teorie del Timeo.
La tradizione tarda subordina Democrito a Platone valutandolo positivamente solo in quanto avrebbe, come quest'ultimo, superato il sensibile
nella ricerca dei principi e inserendolo comunque sempre in uno schema
fisso privo di qualsiasi ulteriore valore informativo. L'evoluzione del modello di un Democrito superiore ad un Democrito subordinato e funzionale a Platone, che passa attraverso il confronto neutro di Teofrasto,
porta il marchio dei tempi. Se al tempo di Aristotele e di Teofrasto la
discussione sulle teorie democritee e platoniche era un elemento vitale
non solo a livello di teorie filosofiche, ma anche di prestigio di scuola, con
l'affermazione indiscussa del platonismo e la sovrapposizione a quello
antico del più recente atomismo epicureo, l'interesse filosofico in positivo
o in negativo per Democrito sfuma a poco a poco. Per la maggioranza dei
102
Nel brano di Sesto (Adv. Math. 10,253-257) compaiono ambedue le denominazioni.
Capitolo secondo
91
filosofi di età imperiale egli è poco più che un nome. Se mai viene letto,
l'ottica interpretativa è comunque quella della filosofia dominante legata al
fantasma di Platone. In questo clima si afferma un cliché che si riprodurrà
invariato per secoli, pur in contesti esegetici diversi, fino ai commentatori
di Aristotele.
5. 1. Plutarco De prim. frig. 948 A-C (506 L.)
In un brano singolare dal De primo frigido, Plutarco devia brevemente dal
discorso esclusivamente fisico sul caldo e sul freddo correlati agli elementi
per porre la questione sul piano dei principi "veri" di queste qualità. Egli
osserva che, coloro che hanno posto la causa del freddo nella ruvidezza di
certe forme triangolari (l'allusione ai triangoli del Timeo è chiara), se anche
sbagliano in qualcosa, per lo meno, partono da una metodologia corretta.
Infatti chi si limita alle cause più prossime al fenomeno, si comporta come
un medico o un contadino o un costruttore di flauti i quali, ovviamente, si
accontentano di risalire a quelle cause che sono immediatamente utili per
la loro arte, ma non vanno oltre.
Per il fisico, invece, che cerca la verità in vista della conoscenza teorica, la conoscenza delle cause più prossime [al fenomeno] non è il fine, ma il principio dell'ascesa verso le cause prime e più alte. Per questo giustamente Platone e Democrito, cercando la causa del caldo e del peso, non hanno arrestato il loro
ragionamento alla terra e al fuoco, ma, riportando i fenomeni sensibili alle cause
intellegibili, sono arrivati come a dei semi minimi103 .
Il brano rimane un fatto episodico nel De primo frigido perché subito dopo
Plutarco ritorna ai principi sensibili dei quattro elementi, le qualità, menzionando Empedocle, Stratone e gli Stoici. Il tono difensivo del brano
presuppone, però, una "risposta" ad una critica a Platone soprattutto, ma
anche a Democrito, per aver posto dei principi non sensibili per il mondo
sensibile. Aristotele rivolge normalmente questa accusa contro Platone e
gli Accademici contrapponendo loro, però, proprio Democrito. Teofrasto, invece, nel De sensibus, critica congiuntamente ambedue, Platone e
Democrito, per aver posto delle figure alla base delle affezioni sensibili. Il
fantasma di Teofrasto aleggia su tutto il brano di Plutarco. La ricerca dei
103
Plut. De prim. frig. 948 C (506 L.) tw'i de; fusikw'i qewriva" e{neka metiovnti tajlhqe;" hJ tw'n
ejscavtwn gnw'si" ouj tevlo" ejs ti;n ajll ajrch; th'" ejpi; ta; prw'ta kai; aj nwtavtw poreiva". dio; kai;
Plavtwn ojrqw'" kai; Dhmovkrito" aijtivan qermovthto" kai; baruvthto" zhtou' nte" ouj katevpausan ejn gh'i kai; puri; to;n lovgon ajll ejpi; ta; " nohta;" aj nafevronte" ajrca; " ta; aijsqhta; mevcri
tw'n ejl acivstwn w{sper spermavtwn proh'lqon. Il termine spevrma richiama chiaramente Ti.
56b e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" stereo;n
gegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma.
92
Principi corporei/ incorporei
principi del caldo e del peso richiama proprio il De sensibus che fa seguire
al confronto fra i due autori la trattazione del peso in Democrito. La difesa di Plutarco presuppone poi la critica di Teofrasto a coloro che sono
andati a ricercare le cause del caldo e del freddo oltre il sensibile104 . Plutarco confuta queste obiezioni ricordando che per il filosofo, il quale si
trova all'apice della piramide della conoscenza, i principi fisici sono solo
un punto di partenza verso la ricerca di cause più alte. Si tratta della concezione della filosofia tipica di Posidonio che classifica le varie scienze
secondo un criterio gerarchico: la filosofia, la sola scienza in grado di
spiegare le cause e la physis di tutto sta al primo posto105 , le altre, come la
geometria e la matematica, sono scienze ausiliarie che non si occupano
della ricerca delle cause ultime, ma si basano sugli elementi di cui la filosofia ha fornito la dimostrazione. Il brano di Plutarco si colloca dunque in
quella tradizione, che si irradia da Teofrasto e passa attraverso Posidonio,
che vede Democrito e Platone come sostenitori di principi "intellegibili".
5. 2. Galeno e i principi di Platone: PHP 8,3,1
(II,494,26 De Lacy = V,667 K.)
Una trattazione sui principi perfettamente parallela a quella plutarchea, ma
concernente solo le dottrine platoniche, compare anche in Galeno, sicuramente da una fonte di ambito stoico, in quanto viene menzionato Crisippo. Il resoconto di Galeno è ovviamente indipendente da Plutarco in
quanto è molto più dettagliato e non nomina Democrito. Nell'ottavo libro
del De Placitis Hippocratis et Platonis, Galeno, confrontando i principi dei
due autori, osserva che il primo non ha ritenuto opportuno procedere
oltre i quattro corpi elementari nella ricerca dei principi perché si occupa
di una scienza pratica quale la medicina. Platone, invece, mettendo al
primo posto la filosofia teoretica, non si è fermato alle proprietà apparenti
104
105
V. supra, n. 26.
Posidon. F 90 E.-K. (Sen. Ep. 88,24-26) Quemadmodum, inquit, est aliqua pars philosophiae
naturalis, est aliqua moralis, est aliqua rationalis, sic et haec quoque liberalium artium turba locum sibi
in philosophia vindicat. cum ventum est ad naturales quaestiones, geometriae testimonio statur: ergo eius,
quam adiuvat, pars est [...] 26 Sapiens enim causas naturalium et quaerit et novit, quorum numeros mensurasque geometres persequitur et supputat. Qua ratione constent caelestia, quae illis sit vis quaeve natura
sapiens scit: cursus et recursus et quasdam obversationes, per quas descendunt et adlevantur ac speciem interdum stantium praebent, cum caelestibus stare non liceat, colligit mathematicus. Questa divisione
delle scienze è testimoniata anche per l'allievo di Posidonio, Gemino (Posidon. T 73 E.K.), ed è diffusissima nella filosofia tarda dove è evidentemente entrata a far parte delle definizioni scolastiche. Si ritrova infatti in Filone Alessandrino (De congr. erudit. grat. 144-147)
e viene riportata, negli stessi termini, come una delle definizioni di filosofia nel commento
di Ammonio all'Isagoge di Porfirio (Prooem. 7,13ss.). Sulla relazione del brano di Plutarco
con la concezione della scienza di matrice posidoniana, cf. anche Theiler 1982, II, 178.
Capitolo secondo
93
degli elementi, ma ha cercato anche le cause della loro generazione, ricerca
che per un medico è inutile. Chiedersi infatti perché l'acqua bagna e perché il fuoco brucia o perché l'acqua scorre e il fuoco va verso l'alto, o
perché la terra è la più stabile e la più pesante non serve per guarire le
malattie. Il ricercare le cause per cui il fuoco taglia e divide, siano esse la
sua forma piramidale o qualche altro motivo, è invece compito della filosofia teoretica cui Platone ha posto mano106 . La corrispondenza di questa
prima parte del brano di Galeno con quello plutarcheo è pressoché perfetta: la distinzione fra una scienza pratica, quale quella del medico, che si
limita alle cause più prossime, e quella teoretica del filosofo, che risale ai
primi principi, porta a giustificare la ricerca platonica delle cause nelle
forme geometriche. Anche qui è implicita la risposta alle critiche teofrastee: se lo scoprire perché il fuoco brucia non è compito delle scienze
pratiche, lo è invece del filosofo il quale deve risalire alle cause prime.
L'impronta posidoniana di questa concezione risulta chiara dal confronto
con i testi che riflettono le concezioni di Posidonio107 .
Galeno passa poi a descrivere la composizione degli elementi in una
maniera che rivela ancora l'impronta di Posidonio: Platone avrebbe diviso
"concettualmente" gli elementi in materia e figura e, essendo la figura
solida limitata da superfici, sarebbe risalito ai triangoli rettangoli che compongono il triangolo equilatero di aria, acqua e fuoco e il quadrato della
terra. Dal momento che non avrebbe potuto andare oltre, si sarebbe fermato a questi triangoli come a minimi chiamandoli elementi108 . Qui ab106
Gal. PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) dovxei d ejn tw'i mh; kalei'n aujta; (scil. pu'r,
ajhvr, u{dwr, gh') stoicei'a diafevresqai pro;" ÔIppokravthn: kaivtoi ge oujd ejkei'no" wj novmasen
aujta; stoicei' a, mov non d o{ti touv twn suniovntwn kai; kerannumevnwn ta; fusika; givgnetai
swvmata. kai; touvtwn proswtevrw cwrei' n oJ me; n ÔIppokravth" oujd emivan aj nav gkhn ei\ naiv fhsi,
praktikh;n ouj qewrhtikh; n metercov meno" tevc nhn: oJ de; Plavtwn wJ" a]n th; n qewrhtikh;n filosofivan hJgouv meno" ei\nai timiwtavthn oujk hjrkevsqh movnai" tai'" fainomevnai" ej n toi'"
stoiceivoi" dunavmesin ajlla; kai; th;n aijtivan ejpizhtei' th' " genevsew" aujtw' n, a[crhston ijatrw'i skevmma. dia; tiv ga;r uJgraiv nei me; n to; u{dwr, kaivei de; to; pu'r h] dia; tiv rJei' me;n to; u{dwr,
a[nw de; fevretai to; pu'r, eJdraiotav th de; kai; barutavth tw'n stoiceivwn ejsti; n hJ gh', pro;" ta;"
tw'n novswn ijavsei" oujde; n suntelei' ª...º to; d ejkzhtei'n ei[t ejk puramoeidw'n tw'i schvmati
morivwn suvgkeitai to; pu'r ei[t a[llh tiv" ejs tin aijtiv a di h}n tev mnei te kai; diairei' ta;
plhsiavzonta swvmata, th'" qewrhtikh'" filosofiva" e[r gon ejstivn, h}n metaceirizovmeno" oJ
Plavtwn ta; me;n tou' puro;" movria puramoeidh' fhsin ei\nai, ta; de; th'" gh' " kuboeidh', to; de;
kalouvmenon ojktavedron sch' ma tou' aj evro" i[dion ei\nai nomivzei kaqavp er kai; to; eijkosav edron u{dato".
107
V. supra, n. 105.
Gal. PHP 8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.) diairei' de; tw'i lovgwi pavlin aujta; tau'ta
108
kat ejpivnoian ei[" te th; n u{lhn kai; to; sch'ma: kajpeidh; to; sch'ma suv nqetovn ejsti, to; me;n th'"
puramivdo" ejk tettavrwn ijsopleuvrwn trigwvnwn, to; de; ejxavedron tou' kuv bou tetragwv nwn
e{x,ª...º pavlin ejpiskopei'tai tw' n ta; sterea; schvmata periorizovntwn ejpipevdwn th;n tav xin
kaiv fhsi to; me;n ijsovpleuron trivgwnon ejk trigwv nwn ojrqogwnivwn duoi'n genevsqai, to; de; tetravgwnon ejk tettavrwn. ejp ei; de; mhkev ti aj nwtevrw proelqei'n ei\c en, wJ " ej n ejlacivstoi"
94
Principi corporei/ incorporei
biamo una versione più diffusa di quello che Plutarco liquida con un accenno (Platone e Democrito sarebbero giustamente risaliti per i sensibili a
minimi intellegibili). Indicativo è il rilievo che Platone non ha di che andare oltre le superfici nella ricerca dei principi. Si tratta di una interpretazione scolastica stoicizzante della dottrina platonica basata esclusivamente
sul Timeo, che esclude ogni allusione agli a[grafa dovgmata. In questa ottica,
che concilia platonismo e aristotelismo, il corpo, nella sua unità di forma e
materia, viene assunto come fondamento della realtà. Le forme geometriche platoniche vengono invece relegate nell'ambito della pensabilità, funzionale alla ricerca delle cause: la forma, infatti, è mentalmente analizzabile
nelle sue componenti geometriche pur non esistendo in sé, al di fuori di
un corpo. Tale esegesi, che risale a Posidonio, non ammetteva, però, che
si superasse nella ricerca dei principi del corpo l'ambito della geometria109
fondandosi su Ti. 53d: gli ulteriori principi, al di là dei triangoli, li conosce
solo il dio o chi fra gli uomini gli è caro110 . Questa interpretazione è
presupposta in Antioco di Ascalona, per quanto si può giudicare dal Varro
ciceroniano111 ed è corrente nel platonismo successivo; i commentatori
neoplatonici di Aristotele la utilizzano in particolare in difesa di Platone
dalle accuse aristoteliche di aver generato i corpi da elementi incorporei.
Così, nel commento al De caelo, Temistio giustifica la teoria della composizione dei corpi da triangoli come una operazione mentale tesa alla ricerca
delle cause, che comunque non infirma la realtà del sinolo di forma e
materia112 .
i{statai touvtoi", kai; dia; tou't aujto; prosagoreuvei stoicei' a, to; me;n e{teron ijsopleuvrou
trigwvnou, to; d e{teron tetragwvnou.
109
110
Nella versione stoicizzante della dottrina del Timeo che si trova in Diogene Laerzio (3,67)
vengono distinti due ambiti, quello dell'anima, che avrebbe un principio di carattere matematico, e quello dei corpi, invece, basato su principi geometrici. Cf. 3,70 per la descrizione
della composizione degli elementi da triangoli.
Questo presupposto viene esplicitato in Anon. Proleg. 11,27 tw'i d ajnalutikw'i (scil. trovpwi)
ejn Timaivwi kevcrhtai aj naluvwn ta; fusika; pav nta eij" dexamenh; n kai; ei\do" (dexamenh; n
kalw'n th;n u{lhn), to; de; ei\do" pavlin eij" schvmata, ta; de; schvmata eij" trivgwna, ta; de;
ejpevkeina touvtwn movnon qeo; n lev gwn eijdev nai kai; to; n touv twi fivlon. Cf. anche [Justin.] Co-
111
112
hort. ad Graec. 26,1.
Cic. Ac. 1,2,6 Nostra tu physica nosti, quae cum contineantur ex effectione et ex materia ea, quam fingit
et format effectio, adhibenda etiam geometria est.
Themist. In De cael. 299b 31, 158,23-159,2 Atque in universum modo aliquo absurdum non est, ut,
cum de prima forma, quae est in materia, quaesierit aliquis—et est id, quod tribus dimensionibus praeditum est— quam reliquae naturae, nempe caliditas, frigiditas, siccitas, humiditas et qualitates, quae ex eis
constant, consequuntur —et ideo tantum invenitur forma per se, cum quaesierit primam formam, quae est
in materia, et formas dissolverit— <dico, absurdum non est> ut primo superficies sint et istae ante rectangulos (ad eas namque sermo terminatur), quoniam ipsae longe plurimum praecedunt, in quantum etiam inveniuntur reliquas qualitates corpori impartiri, sed ea ratione, qua forma, non praecedunt, siquidem corpus
eis prius extitit.
Capitolo secondo
95
Interessante è anche la seconda parte del testo di Galeno che prosegue
esemplificando il concetto di "elemento" come lo intende Platone: egli
chiamerebbe infatti elementi sia i triangoli che le figure solide113 . A riprova
di ciò viene citato Ti. 56b: "sia dunque secondo la giusta definizione e
secondo quella verosimile la forma della piramide che si è generata
elemento e seme del fuoco". Il fuoco è un ammasso di corpuscoli di figura piramidale così come in un mucchio di grano ciascun granello è elemento del mucchio. Questa concezione viene corroborata attraverso il
confronto con la dottrina crisippea del linguaggio: allo stesso modo anche
Crisippo chiama "elementi" sia le sillabe, in quanto esse generano i nomi, i
verbi e le altre parti del discorso, sia le lettere che compongono le sillabe114 . Il nome di Crisippo e l'esemplificazione, tipicamente stoica, del
mucchio115 , riporta chiaramente il resoconto di Galeno nell'ambito dello
stoicismo. La similitudine dei granelli di un mucchio di grano con le piramidi del fuoco (favorita dal testo platonico stesso) getta inoltre luce sull'affermazione di Plutarco secondo cui Platone e Democrito sono arrivati
fino ai "semi" minimi. Plutarco si è dunque rifatto ad un'interpretazione
corrente del Timeo risalente a Posidonio, nella quale Democrito veniva
citato, secondo il modello teofrasteo, accanto a Platone per essere risalito
ai principi "intellegibili" del corporeo.
6. Simplicio sui principi di Democrito e Platone
La dossografia derivata da Posidonio marca comunque tutta l'impostazione successiva del confronto fra Platone e Democrito che si trova sintetizzata e stratificata principalmente in Simplicio. Simplicio stesso sceglie
consapevolmente la tradizione sinfonica opponendola a quella diafonica,
un metodo, come egli dice, applicato da alcuni (l'allusione è agli autori
cristiani che sfruttano ampiamente la tradizione scettica) a tutta l'inter113
114
Cf. anche Diog. Laert. 3,70.
Gal. PHP 8,3,11 (II,496,31 De Lacy = V,670 K.) nu'n me;n ou\n ta; sustatika; trivgwna tw'n
oJrizovntwn ejpipevdwn ta; sterea; schvmata kevklhtai stoicei'a: pro[s]elqw;n de; kai; aujta; ta;
periorizovmena swvmata pro;" tw' n eijrhmevnwn ejpipevdwn oj nomav zei stoicei' a gravfwn ou{tw":
"e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" gegono;" stereo;n ei\do" puro;" stoicei'ovn te kai; spevrma". to; aijsqhto;n touti; pu'r ajqrovon a[qroisma nomivzei[n] mikrw'n ei\nai swmavtwn to; sch'ma pav ntwn ejcovntwn puramivdo". ejkeiv nwn ou\ n
e{kaston stoicei'on ei\naiv fhsi tou' purov", wJ " eij kai; tou' tw' n purw' n swrou' stoicei'on
e[legen ei\naiv ti" e{kaston tw' n purw' n, kata; de; to; n aujto; n lovgon kai; ta; me; n th'" fwnh'"
stoicei'a genna' n prwvta" me;n ta;" sullabav ", ei\t ejx aujtw' n genna'sqai tov t o[noma kai; to;
rJh'ma kai; th; n provqesin a[rqron te kai; suvndesmon a} pavlin oJ Cruvsippo" ojnomav zei tou'
lovgou stoicei' a.
115
Cf. SVF II 471, 153,2-6; 472, 153,29-31; 473, 154,14s.
96
Principi corporei/ incorporei
pretazione della filosofia. Egli cerca invece costantemente di conciliare le
tesi presocratiche fra loro e con la dottrina neoplatonica trasponendo a
tutte le teorie dei fisici quel carattere enigmatico che gli altri commentatori
attribuiscono alle dottrine pitagoriche116 . Si giustifica così la scelta da parte
di Simplicio di fonti che sottolineino piuttosto la concordanza fra Platone
e Democrito che una eventuale discordanza.
Esiste tuttavia nelle testimonianze di Simplicio una varietà di contesti
che rivelano la sedimentazione nel tempo di diverse problematiche fra
loro collegate su di un unico troncone dossografico di matrice teofrasteoposidoniana riguardo ai principi di Platone e Democrito. Ogni interprete
ha assunto una tesi precedente ampliandola secondo i propri scopi. In
questo ambito compaiono sempre accenni a Democrito praticamente
privi, però, di un vero valore informativo in quanto ormai cristallizzati
nello schema di assimilazione a Platone. Quello che presenterò qui di
seguito fa parte di una tradizionale Quellenforschung che va ben oltre il ristretto ambito dell'atomismo penetrando nella selva della tradizione dei
commenti neoplatonici ad Aristotele. Questa ricerca rivela però i suoi lati
positivi e, talvolta, la sua imprescindibile utilità perché dimostra in via
definitiva come tali testi siano del tutto inutilizzabili ai fini dell'interpretazione della dottrina democritea.
Le notizie dossografiche sui principi di Platone e Democrito in Simplicio si inquadrano principalmente nel contesto generale dell'interpretazione del Timeo (identificato nelle fonti più tarde con Timeo di Locri e
considerato cronologicamente anteriore a Platone). Nei testi simpliciani,
che ammettono una continuità fra Pitagorici, Platone e Aristotele e una
comunanza di metodo fra atomisti e Platone nella ricerca dei principi,
compaiono anche chiari indizi del dibattito sull'ordinamento delle categorie sviluppatosi dopo la pubblicazione del testo aristotelico da parte di
Andronico (I sec. a.C.) e protrattosi fino all'inizio del II sec. d.C. Era infatti sorta una disputa fra coloro che ordinavano la quantità dopo la sostanza117 , seguendo Aristotele, e coloro che invece davano la precedenza
alla qualità. Sappiamo, dai commenti alle Categorie, che al primo gruppo
116
Simpl. In Phys. 184b 15, 36,15-32 ou{tw" ou\n oiJ me;n eij" nohtovn, oiJ de; eij" aijsqhto;n diavkosmon ajforw'nte", kai; oiJ me;n ta; prosech' stoicei' a tw' n swmavtwn, oiJ de; ta; ajrcoeidevstera
zhtou'nte" ª...º kai; oiJ me; n stoicei' a mov non, oiJ de; pavnta ta; ai[tia kai; sunaivtia zhtou' nte"
diavfora me; n lev gousi fusiologou'nte", ouj me; n ejnantiva tw'i krivnein ojrqw' " dunamev nwi ª...º
ajlla; tau'ta me; n dia; tou; " euj kovlw" diafwniv an ej gkalou'nta" toi'" palaioi'" ejpi; plevon
hjnagkavsqhmen mhku' nai. ejpeidh; de; kai; Aristotevlou" ejl evgconto" aj kousovmeqa ta; " tw'n
protevrwn filosovfwn dovxa" kai; pro; tou' Aristotevlou" oJ Plavtwn tou'to faivnetai poiw'n
kai; pro; aj mfoi'n o{ te Parmenivdh" kai; Xenofav nh", ijstevon o{ti tw'n ejpipolaiovteron
ajkrowmev nwn ou|toi khdovmenoi to; fainovmenon a[topon ej n toi'" lovgoi" aujtw' n dielevgcousin,
aijnigmatwdw'" eijwqovtwn tw'n palaiw'n ta; " eJ autw'n ajpofaivnesqai gnwvma".
117
Cf. Olymp. In Cat. 4b 20, 81,21.
Capitolo secondo
97
apparteneva probabilmente Andronico stesso (al quale infatti i commentatori non attribuiscono cambiamenti di sorta nell'ordine delle categorie) e
Lucio118 , al secondo Eudoro e lo Pseudo-Archita119 . L'accanimento con cui
le due tesi opposte venivano difese si spiega col fatto che, per questi autori, l'ordinamento delle categorie non aveva una funzione esclusivamente
logica, ma si dilatava nel campo dell'ontologia. Dunque era importante
stabilire se l'essere si fondasse su una concezione qualitativa o quantitativa. Le teorie platoniche non solo venivano utilizzate per difendere l'una
o l'altra teoria, ma venivano a loro volta difese contro i sostenitori della
tesi opposta. Automaticamente, per effetto della trasmissione scolastica
marcata dal modello teofrasteo-posidoniano, la menzione dei triangoli
platonici veicolava anche quella degli atomi di Democrito.
Due brani del commento alla Fisica riportano una versione dei principi
di Platone e Democrito proveniente da un ambito che difendeva la
priorità della quantità sulla qualità: ambedue i filosofi avrebbero infatti
cercato ulteriori elementi degli elementi e sarebbero risaliti dalle qualità
alle figure. Si tratta di due brani complementari che si integrano e si
illuminano a vicenda e che permettono di individuare con una certa
trasparenza la stratificazione delle fonti. Lo schema teofrasteoposidoniano viene mantenuto praticamente intatto soprattutto in uno dei
due resoconti. Verrà trattato in primo luogo il brano che, pur venendo
dopo nell'ordine del libro simpliciano, evidenzia maggiormente il contesto
della discussione sull'ordinamento delle categorie.
6. 1. Simpl. In Phys. 188a 17, 179,12
Nel commento a Phys. 188a 17 Simplicio fornisce un elenco di coloro che
hanno posto principi "più principianti": Anassagora avrebbe assunto degli
elementi più principianti di Empedocle introducendo come principi le
qualità, ma avrebbe fallito perché queste per lui sono composte, non
semplici. Avrebbero invece condotto una ricerca più perfetta Aristotele,
Platone e, "prima di lui", i Pitagorici risalendo a forma e materia. Fra queste ultime dottrine, tuttavia, le più complete sono quelle che hanno posto
118
Simpl. In Cat. 6a 36, 156,20 a[llw" tev, fasivn (scil. oiJ peri; to;n Louvkion) eij" duvo diairoumevnwn tw'n legomev nwn, ei[" te to; kaq auJto; kai; eij" to; pro;" e{teron, ajrxavmenon peri; tw'n
kaq auJto; lev gein, ej n oi|" hJ oujsiva kai; to; posovn, e[dei kai; to; poio;n prosqev nta ou{tw" ejpi; ta;
prov" ti metabh'nai. Cf. Moraux 1983, 547 n. 89; Gioè 2002, 151.
119
Per Eudoro, cf. Simpl. In Cat. 8b 25, 206,10. Per altri passi, risalenti probabilmente ad
Eudoro, in cui compare questo ordinamento, cf. Mansfeld 1992a, 68 n. 26. Per PseudoArchita, cf. Ps.-Arch. Peri; tou' kaqovlou lovgou, 34,13ss. Szlezák (22,13ss. Thesleff); T 3
Szlezák (Dexipp. In Cat. 4b 20, 65,8-15); Simpl. In Cat. 4b 20, 121,14-18. Cf. anche Moraux
1983, 522; Dillon 1981, 24-27.
98
Principi corporei/ incorporei
la forma (la piramide o altre figure) alla base delle differenze qualitative
degli elementi, ritenendo la differenza di forma del corpo privo di qualità
più consona alla materia. Anche Democrito sembra aver visto giusto, ma,
rispetto agli altri, non ha proceduto alla scomposizione dei corpi semplici
in forma e materia120 .
L'interpretazione della materia sensibile primariamente come
"quanto" e non come "quale", si allinea sulle posizioni di coloro che ordinavano la quantità (come dimensionalità) prima della qualità considerandola più adeguata al concetto di sostanza corporea. Quest'ultima, infatti,
non viene eliminata come tale se le si sottraggono tutte le qualità e le si
lasciano solo le dimensioni, mentre non esiste più se viene privata della
dimensionalità121 . Questa tendenza era seguita sicuramente da Porfirio122 il
quale si rifaceva comunque ad autori precedenti123 . Quando Simplicio, nel
brano del commento alla Fisica, dice che le figure (espressione della dimensionalità e quindi della quantità) "sono maggiormente adeguate alla
materia", segue dunque probabilmente una interpretazione porfiriana che
utilizzava il solito schema dossografico di derivazione teofrasteo/ posidoniana per confermare l'esattezza dell'ordinamento aristotelico delle categorie: la posizione della quantità prima della qualità si giustificava in quanto
la materia corporea, per sua stessa definizione, è inconcepibile senza la
dimensionalità. Non a caso nel brano di Simplicio non si fa cenno alla
scomposizione dei solidi in triangoli che non presentano la terza dimensione.
120
121
122
123
Simpl. In Phys. 188a 17, 178,33-179,19 eij mh; a[ra kai; Anaxagovra" ta;" aJp la'" kai; ajrcoeidei'" poiovthta" uJpevqeto stoicei'a, ajlla; ta; suvnqeta (cit. 59 B 12 e B 15 DK) ª...º. ou{tw"
me;n ou\ n ejpi; ta; aJpla' ei[dh ajnadramw;n Anaxagovra" ajrcoeidev steron dovxei tou'
Empedoklevou" ta; peri; tw'n stoiceivw n filosofei'n. teleiovteron de; i[sw" Aristotevlh" kai;
Plavtwn kai; pro; ajmfoi'n oiJ Puqagovreioi stoiceiwvdei" ajrca; " th; n u{lhn kai; to; ei\do"
uJpevqento, kai; e[ti teleiovteron, o{soi th;n kata; ta; schvmata diafora; n tou' ajpoivou swvmato"
prosecestevran th'i u{lhi nomivs ante" uJpevqhkan tai'" kata; ta;" poiovthta" tw'n stoiceivwn
diaforai'", puramivda me; n tw'i puriv, a[llo de; a[llwi tw' n schmavtwn: o{p er kai; Dhmovkrito"
e[oike teqea'sqai kalw'", ejlleivpei de; to; mhkevti eij" ei\do" kai; u{lhn aj nalu's ai ta; aJpla'
swvmata.
Simpl. In Cat. 4b 20, 120,29-121,3 levgousin ou\n o{ti sunufivstatai tw'i o[nti to; posovn ª...º
o{ti prohgei'tai to; a[poion diastato;n th'" ejn aujtw'i ej gginomev nh" poiovthto", kai; o{ti tw'n me; n
a[llwn aj naireqev ntwn oujk aj nairei'tai hJ oujsiv a, eij to; diastato;n kataleiv poito, touvtou de;
ajnaireqev nto" sunanhvirhtai hJ swmatikh; ouj siva. Cf. Ibid. 8b 25, 207,19.
Porph. Isag. 4b 20, 100,13-16 to; sw'ma, i{na me;n sw'ma h\i, trich'i diastato;n ei\nai ojfeivlei,
i{na de; poio;n sw'ma h\i, tovte leuko; n h] mevlan ei\nai ojfeivlei. prohgei'tai de; to; sw'ma ei\nai
tou' poio;n ei\nai sw'ma. Cf. anche Ammon. In Cat. 4b 20, 54,4-9; 5a 3, 58,10-11.
Cf. la concezione della materia sensibile come "quanto" che accoglie ed è determinato da
estensione e molteplicità di Moderato che Porfirio stesso cita altrove (Porph. ap. Simpl. In
Phys. 191a 7, 231,6ss.).
Capitolo secondo
99
6. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss. (67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.)
C'è però nella Fisica un altro passo molto più dettagliato di questo nel
quale compaiono tre ulteriori elementi:
1. la menzione di Timeo di Locri, autore dello pseudoepigrafo Sulla
natura del cosmo, come pitagorico e ispiratore di Platone,
2. l'interpretazione dei triangoli platonici come figure fisiche, aventi
cioè anche la terza dimensione,
3. l'attribuzione a Leucippo e Democrito di forme particolari del
freddo contrarie a quelle del caldo.
Il modello interpretativo di Simplicio per questo passo è diverso dal
precedente. L'autenticità dello scritto di Timeo, già sostenuta da autori
medioplatonici124 , ricorre in seguito, in particolare, in Giamblico125 il quale
è anche il primo a interpretare i triangoli platonici come tridimensionali
per difendere Platone dagli attacchi aristotelici alla generazione del sensibile da corpi matematici126 .
Leucippo, Democrito e il pitagorico Timeo, dice Simplicio, non
negano che i quattro elementi siano principi dei corpi composti. Anche
costoro, come i Pitagorici, Platone e Aristotele, vedendo che il fuoco,
l'aria e l'acqua e forse anche la terra si cambiano l'uno nell'altro, cercavano
delle cause più principianti e più semplici che potessero giustificare anche
le differenze qualitative degli elementi. Dunque Timeo e Platone, che ne
segue la dottrina, hanno posto dei triangoli di figura differente e forniti
anche di profondità come "elementi degli elementi" ritenendo la natura
corporea con le figure corporee più principio e causa delle differenze qualitative127 .
Leucippo e Democrito, invece, che chiamano i corpi primi minimi, atomi, [affermano] che dalla differenza delle loro figure, posizione e ordine derivano i
corpi caldi e infuocati, quelli che sono composti da corpi primi più acuti e sottili
e disposti in maniera omogenea, e i corpi freddi e acquosi, quelli che sono com-
124
125
126
127
Nicom. Encheir. Harm. 11,6; Taur. ap. Philop. De aet. mundi 6,8, 223,12. Cf. Baltes 1972, 20.
In Nicom. Intr. arithm. 105,11; 118,26.
V. infra, n. 129.
Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 (273 L.) oiJ de; peri; to;n Leuvkippon te kai; Dhmovkriton
kai; to;n Puqagoriko;n Tivmaion oujk ejnantiou'ntai me; n pro;" ta; tevttara stoicei'a tw' n
sunqev twn ei\nai swmavtwn ajrcav". kai; ou|toi dev, w{sper oiJ Puqagovreioi kai; Plavtwn kai;
Aristotevlh", oJrw'nte" eij " a[llhla metabavllonta to; pu'r kai; to; n aj evra kai; to; u{dwr, i[sw"
de; kai; th;n gh' n, ajrcoeidevs terav tina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, di w| n kai; th; n
kata; ta;" poiovthta" tw' n stoiceivw n touvtwn diafora; n ajpologhvsontai. kai; ou{tw" oJ me; n
Tivmaio" kai; oJ touv twi katakolouqw' n Plavtwn ta; ejpivpeda bavqo" ti e[conta kai; schmavtwn
diafora;" stoicei'a prw'ta tw' n tettavrwn touv twn e[qeto stoiceivwn th; n swmatikh; n fuvsin
meta; tw'n swmatikw' n schmavtwn ajrcoeidestevran kai; aijtivan th' " tw' n poiothvtwn diafora; "
nomivzwn.
100
Principi corporei/ incorporei
posti da forme contrarie, e gli uni sono luminosi e splendenti, gli altri foschi e
bui128 .
La sequenza soggiacente è quella già incontrata precedentemente per il
mondo sensibile: corpo (fornito di dimensioni)-figura-qualità. Tuttavia la
terminologia indica una fonte che riprende meno sobriamente di Porfirio i
dati della dossografia. Questa fonte immediata di Simplicio è sicuramente
Giamblico, come si può dedurre da un passo parallelo del commento
simpliciano alle Categorie nel quale egli viene citato espressamente e nel
quale ricompare l'interpretazione dei triangoli platonici "materiali".
E infatti [Giamblico] obietta che Platone spiega che le figure, precedenti alla
formazione dei corpi, sono cause dell'essere dei corpi e che le differenze di qualità derivano dalle differenze di figura, dicendo che è caldo ciò che è composto da
figure con angoli acuti, quali le piramidi, e freddo ciò che è composto da figure
che ne hanno di meno, quali l'icosaedro, e ciò vale anche per le altre qualità, ma
non intende le figure matematiche; quelle infatti non sono né materiali, né fisiche, né sono osservabili in movimento come invece le superfici platoniche; Platone infatti pone queste ultime come materiali e fisiche129 .
Dato che questo passo viene citato a proposito del quarto genere della
qualità, la figura, si può dedurre che Giamblico accettava sì la teoria secondo cui le figure venivano prima delle qualità dei corpi elementari, ma
considerava anch'esse come qualità riallacciandosi ad Aristotele130 . Su queste basi poteva anteporre le figure alle qualità fisiche degli elementi e sostenere nel contempo la precedenza della qualità sulla quantità nell'ordinamento delle categorie: le figure venivano prima "delle altre qualità".
Quando dunque in Simplicio si incontra la formula secondo cui le figure
sono "più principianti delle altre qualità", c'è, mediata o diretta, la mano di
128
129
130
Simpl. In Phys. 184b 15, 36,1-7 (67 A 14 DK; 111, 247 L.) oiJ de; peri; Leuvkippon kai;
Dhmovkriton ta; ejlavcista prw'ta swvmata a[toma kalou'nte" kata; th;n tw' n schmavtwn aujtw' n
kai; th'" qev sew" kai; th' " tavxew" diafora; n ta; me;n qerma; givnesqai kai; puvr ia tw'n swmav twn,
o{sa ejx ojxutevrwn kai; leptomerestevrwn kai; kata; oJmoivan qevsin keimev nwn suvgkeitai tw'n
prwvtwn swmavtwn, ta; de; yucra; kai; uJd atwvdh, o{s a ejk tw'n ej nantivwn, kai; ta; me; n lampra;
kai; fwteinav , ta; de; aj mudra; kai; skoteinav.
Iambl. Fr. 78 Larsen (Simpl. In Cat. 10a 11, 271,8-16) kai; ga;r ejfistavnei (scil. oJ Iavmbliko")
o{ti Plavtwn me; n ta; schvmata prohgouvmena th'" sustavsew" tw' n swmavtwn wJ" ai[tia toi'"
swvmasi tou' ei\nai kai; tw'n poiothvtwn ta; " diafora; " ajpo; th'" tw' n schmavtwn diafora' " ajpologivzetai, qermo;n levgwn ei\nai to; ajpo; tw' n ojxugwnivwn schmavtwn sugkeivmenon, oi|aiv eijsin
aiJ puramivde", kai; yucro;n to; ajpo; tw'n h|tton toiouvtwn, oi|on to; eijkosav edron, kai; ejpi; tw' n
a[llwn wJsauvtw", ouj ta; maqhmatika; schvmata paralambav nwn: ejkei'na ga;r ou[te e[nulav
ejstin ou[te fusika; ou[te ej n kinhvs ei qewrouvmena, w{sper ta; Plav twno" ejpivpeda: tau'ta ga;r
kai; e[ nula kai; fusika; tivqhsin oJ Plavtwn. Cf anche Procl. In Tim. II,36,24, infra, n. 138.
Proclo stesso, cui Simplicio attinge nel commento al De caelo sostiene la tesi dei triangoli
"materiali" cioè forniti anche di profondità in quanto la materia prima è sì priva di qualità,
ma corporea e come tale tridimensionale. Simpl. In De cael. 306a 23, 648,19 pro;" tou'to
levgei oJ Provklo", o{ti ta; fusika; ejpivpeda ouj k e[s tin ajbaqh .
Cat. 10a 11ss.
Capitolo secondo
101
Giamblico. Così, in un passo di commento alle Categorie, in base a questa
formula, le figure atomiche di Democrito e di Epicuro divengono impercettibilmente dei qualia:
Anche Democrito e, in seguito, Epicuro, ipotizzando gli atomi impassibili e privi
di tutte le altre qualità tranne la figura e la loro composizione qualitativa, affermano che le
altre qualità, quelle semplici, come il calore e la levigatezza, e quelle relative ai colori e ai succhi vengono dopo131 .
Se si confronta questo passo con la versione dossografica canonica degli
atomi privi di qualità che si trova in Plutarco, in Sesto e in altri autori, si
nota subito la precisazione significativa e tipica di Giamblico che le figure
sono "prive delle altre qualità tranne le figure"132 .
Tornando al brano del commento alla Fisica, Simplicio/ Giamblico,
nel descrivere gli atomi di Leucippo e Democrito, si riferisce agli atomi
dell'anima come risulta da un passo parallelo del De anima di Giamblico
stesso non incluso né da Diels né da Lur'e nella raccolta delle testimonianze su Democrito nel quale gli atomi vengono definiti "più elementari
degli altri elementi"133 . L'affermazione che i corpi freddi e acquosi hanno
forme contrarie a quelli caldi e infuocati è ovviamente una deduzione sulla
base del confronto con i solidi platonici. Questo passo di Simplicio non
può dunque essere citato come testimonianza del fatto che Democrito
131
Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24 kai; oiJ peri; Dhmovkriton de; kai; u{steron oiJ peri; Epivkouron
ta;" ajtovmou" ajp aqei'" kai; ajpoivou" uJpotiqevmenoi tw' n a[llwn poiothvtwn para; ta; schvmata
kai; th;n poia;n aujtw' n suv nqesin ejpigivnesqai levgousi ta; " a[lla" poiovthta", tav" te aJpla'"
oi|on qermovthta" kai; leiovthta", kai; ta; " kata; ta; crwvmata kai; tou; " cumouv ". O'Meara
2000, 246 suppone che in questo passo Simplicio utilizzi Giamblico. La formulazione usata
dal commentatore costituisce a mio avviso, una prova sicura. La stessa formula ricompare
ancora nel commento a De cael. 299b 23, 576,5ss. dove ad Aristotele viene attribuita una
teoria della precedenza della figura sulle "altre qualità" (o{ti de; ajrcoeidevsteraiv eijsin aiJ
132
133
kata; ta; schv mata aijtivai tw' n kata; ta; " poiovthta", dh'lon, ei[per kai; aujto; " oJ Aristotevlh"
pro; tw'n a[llwn poiothvtwn ej ggiv nesqai ta; schvmata th'i u{lhi nomivzei).
Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) ti; ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajpeivrou"
to; plh'qo" ajtov mou" te kai; ajdiafqovrou", e[ti de; ajpoivou" kai; ajp aqei'", ejn tw'i kenw'i fevr esqai diesparmevna". Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK;
112 L.) aiJJ me;n ou\n a[tomoi suvmpasai swvmata ou\s ai smikra; cwri;" poiothvtwn eijsiv. Sext.
Emp. Pyrrh. hyp. 3,33 ouj ga;r dhvpou dunhsovmeqa kai; toi'" peri; Asklhpiavdhn
sugkatativqesqai, qrausta; ei\nai ta; stoicei'a levgousi kai; poiav, kai; toi' " peri; Dhmovkriton, a[toma tau' ta ei\nai favskousi kai; a[poia.
Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillon (Stob. 1,49, 363,11-18 Wachsmuth) tine;" eij" ta;"
tw'n tessavrwn stoiceivwn ajrca; " th; n oujsivan th' " yuch' " ajnafevrousin. ei\nai me;n ga;r ta;
prw'ta swvmata a[toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivwn stoiceiwdevstera: eijlikrinh' d o[nta
kai; peplhrwmev na pav nthi kaqara'" prwvth" oujsiv a" mh; devcesqai mhd oJpwstiou'n eij " aujta;
diaivresin. tau'ta toivnun a[peira e[c ein schvmata, e}n de; autw' n ei\nai to; sfairoeidev", ajpo;
de; tw'n sfairoeidw'n ajtov mwn ei\nai th;n yuchvn. Il riferimento all'infinità delle forme atomi-
che e alla forma sferica degli atomi dell'anima mostra chiaramente che il resoconto riguarda solo gli atomisti antichi e non anche Epicuro. Giamblico segue qui Aristotele, cf.
Finamore-Dillon 2002, 78.
102
Principi corporei/ incorporei
dava una forma agli atomi del freddo134 perché è solo l'epigono di uno
schema dossografico ripetutamente rielaborato.
6. 3. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10-566,16 (68 A 120 DK; 171 L.)
Simplicio riporta ancora in due brani paralleli del commento al De caelo
(299a 2, 564,10ss. e 306a 1, 641,1ss.) una interpretazione della genesi dai
triangoli del Timeo nella quale è compreso l'accenno a Democrito: prima di
Platone anche Democrito sarebbe risalito nella ricerca delle cause oltre i
quattro elementi fino agli atomi, come Platone fino ai triangoli. Lo scopo
di Simplicio, in ambedue i casi, è la difesa di Platone dagli attacchi aristotelici.
Nel commento a De Cael. 299a 2 Simplicio affronta uno dei temi più
spinosi e ricorrenti nella critica di Aristotele a Platone e ai suoi allievi,
quello di aver voluto comporre il mondo sensibile da oggetti matematici
che, non avendo nessuna delle caratteristiche di un corpo fisico, non sono
in grado di generare corpi. Simplicio, come è solito fare, rimprovera ad
Aristotele di fermarsi alle apparenze e di non approfondire la sostanza.
Infatti i triangoli del Timeo non sono triangoli matematici, ma fisici, hanno
cioè una profondità in quanto Platone avrebbe posto a fondamento del
mondo fisico innanzitutto il sinolo di materia e forma. I triangoli che
formano i quattro elementi non sono semplici "forme" disgiunte dalla
materia corporea tridimensionale, ma sono forme "materiali". Simplicio
cita a questo proposito il "pitagorico" Timeo di Locri e distingue poi due
tipi di interpretazioni platoniche: da una parte quella "simbolica", cioè non
letterale, di alcuni esegeti di Platone, e di Giamblico e, dall'altra quella dei
"platonici recenti" che interpretano invece il Timeo in senso letterale135 . Chi
siano questi ultimi è difficile determinare, ma si tratta probabilmente di
Proclo che Simplicio utilizza ampiamente nel commento al De caelo. La
prima parte (quella che esemplifica l'interpretazione dei "platonici recenti") contiene infatti lo schema teofrasteo di critica alla ricerca delle
cause fisiche al di là dei sensibili cui Proclo, come si è visto, si riferisce.
Queste sono le linee del resoconto della prima parte, quella nella quale
è nominato anche Democrito: siccome i quattro elementi sono composti
di forma e materia e in un discorso sui principi non possono essere considerati primi, alcuni, come Aristotele, fanno generare per primi nella mate134
135
Come ad es. Curd 2004, 185.
Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10 tauvthn de; th;n dia; tw'n schmavtwn fusiologivan tine;" me;n
tou' Plav twno" ej xhghtw' n, w|n kai; oJ qei'o" Iav mblicov" ejsti, sumbolikw'" eijrh'sqai
nomivzousi, kai; ou{tw" aujto;" ejxhgei'tai to;n Platwniko; n Tivmaion, oiJ de; newvteroi tw'n Platwnikw'n filosovfwn wJ" ou{tw" kata; to; legovmenon e[cousan peirw'ntai deiknuv nai.
Capitolo secondo
103
ria le qualità cosiddette passive (caldo, secco e i loro contrari) e i quattro
elementi col corpo privo di qualità. Alla domanda perché il fuoco riscaldi,
rispondono unicamente: perché è caldo (564, 14-24)136 .
Democrito, invece, come riferisce Teofrasto nella Fisica, fra coloro che hanno
cercato in modo imperfetto una giustificazione del caldo e del freddo e hanno
addotto tali cause, è risalito agli atomi; allo stesso modo i Pitagorici ai triangoli
ritenendo le figure e le grandezze cause del caldo e del freddo. Infatti le figure
che distinguono e dividono producono la sensazione di caldo, quelle che uniscono e astringono quella di freddo; e infatti ogni corpo, per la sua stessa sostanza, subito diventa un quanto, la figura, se anche è una qualità, ma è stata tratta dal
genere dei quanti, perciò ciascun corpo è un quanto fornito di figura. La materia in
sé infatti è incorporea, il secondo sostrato è un corpo privo in sé di qualità, ma
informato da varie figure e differisce dal corpo matematico perché è materiale e
tangibile, in quanto il tatto lo percepisce come massa e non come caldo o freddo.
Questo secondo sostrato decorato con diverse figure, costituisce—dicono—gli
elementi più principianti dei quattro elementi.137 .
A questa differenza di figure conseguono tutte le altre proprietà e i cambiamenti reciproci. Dunque i Pitagorici e Platone non hanno ragionato in
modo sbagliato (mh; ajlovgw") quando hanno riportato tutto alle figure. Qui
vengono in sostanza riprodotte le argomentazioni dei sostenitori della
precedenza della quantità sulla qualità riassunte nel commento al primo
libro della Fisica e viene ribadito (implicitamente contro l'interpretazione
di Giamblico) che, pur essendo la figura una qualità, essa appartiene al
genere dei "quanti". L'argomentazione viene arricchita con la caratterizzazione delle figure come e[nula ei[dh, forme "materiali" impresse in un corpo
tridimensionale preesistente caratteristica di Giamblico, ma anche di Proclo138 . E' verosimilmente quest'ultimo il modello interpretativo di Simpli136
137
138
La linea è quella dell'esposizione delle teorie teofrastee fornita da Proclo (In Tim. II,120,1822 = Theophr. Fr. 159 FHS&G). Per quest'ultimo testo, v. supra, n. 26.
Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120 DK; 171 L.) Dhmovkrito" de;, wJ" Qeovfrasto" ejn
toi'" Fusikoi'" iJstorei', wJ" ijdiwtikw'" ajpodidovntwn tw' n kata; to; qermo;n kai; to; yucro;n kai;
ta; toiau'ta aijtiologouvntwn ejpi; ta; " ajtovmou" ajnevbh, oJmoivw" de; kai; oiJ Puqagovreioi ejpi; ta;
ejpivpeda nomivzonte" ta; schv mata ai[tia kai; ta; megevqh th' " qermovthto" ei\ nai kai; th' "
yuvxew": ta; me; n ga;r diakritika; kai; diairetika; qermovthto" sunaivsqhsin parevcesqai, ta;
de; sugkritika; kai; pilhtika; yuvxew": kai; ga;r pa' n sw'ma kat ouj sivan eujqu;" pepovswtai, to;
de; sch'ma, eij kai; poiovth" ejstivn, ajll ejk tou' gevnou" ei[lhptai tw'n posw' n, dio; tw'n swmavtwn
e{kaston posovn ejstin ej schmatismev non: hJ me;n ga;r u{lh kaq auJth; n aj swvmatov" ejs ti, to; de;
deuvteron uJpokeivmenon sw'ma me;n a[poion kaq auJtov, schvmasi de; poikivloi" memorfwmev non
kai; tou' maqhmatikou' swv mato" diafevron tw'i e[nulon kai aJpto; n ei\nai th' " aJfh' " kata; to; n
o[gkon ajntilambanomev nh" aujtou' kai; ouj kata; qermovthta h] yucrovthta. tou'to ou\ n to;
deuvteron uJpokeivmenon diafovroi" schvmasi diazwgrafouvmenon ta; tw' n tessavrwn stoiceivwn fasi;n uJfistavnein ajrcoeidevs tera stoicei' a.
Cf. Procl. In Tim. II,36,24 oJ me;n qei'o " Iavmblico" ou|to" ga;r oJ ajnh;r diaferovntw"
ajntelav beto th'" toiauvth" qewriva", tw' n a[llwn w{ sper kaqeudovntwn kai; peri; to; maqhmatiko;n kalindoumev nwn mov non, diakriv nein moi dokei' ta; aJpla' tw' n sunqev twn kai; ta; mevrh
tw'n o{lwn kai; aJplw'" eijpei'n ta;" ej nuvlou" dunavmei" kai; ta; ei[dh ta; e[nula tw'n sumplhrou-
104
Principi corporei/ incorporei
cio in questo passo del De caelo. Da qui anche la differenza nel taglio esegetico.
In ogni caso lo schema di fondo di questi resoconti di Simplicio, pur
attraverso i vari rimaneggiamenti e adattamenti, permane quello di matrice
posidoniana che si ritrova anche nel De primo frigido Plutarco e nel De placitis di Galeno. Elementi comuni a questi resoconti sono:
1. La individuazione dei principi ultimi di Platone in materia e forma
(u{lh e sch'ma in Galeno, u{lh e ei\do" in Simplicio).
2. L'accenno al fatto che i peripatetici si fermavano alle qualità elementari ritenendo inutile farsi domande sull'origine del caldo e del freddo.
3. La ricerca delle cause protratta invece da Democrito fino agli atomi
e dai Pitagorici, nella fattispecie Timeo di Locri, e da Platone fino ai triangoli elementari (in Plutarco compaiono Democrito e Platone, in Galeno
solo Platone).
Si può dunque a questo punto ricostruire l'iter di un brano dossografico sui principi di Platone e di Democrito da Teofrasto fino a Simplicio:
1. Brano della Fisica di Teofrasto nel quale Platone e Democrito vengono presi come esempio di un procedimento contrario ai principi della
fisica in quanto hanno superato i limiti propri di questa scienza cercando
elementi di elementi.
2. Utilizzazione critica del testo teofrasteo da parte di Posidonio in un
contesto sulle finalità della filosofia come scienza universale delle cause:
Platone e Democrito hanno fatto quello che il vero fisico e il vero filosofo
devono fare, sono cioè risaliti alle cause ultime dei corpi. Per Platone tuttavia si tratterebbe sostanzialmente di una scomposizione mentale a fini
eziologici che non comporterebbe necessariamente l'esistenza della forma
separata dalla materia. Plutarco riporta, di questo testo, solo un breve
excursus nel quale compaiono sia Democrito che Platone. Galeno, dato il
carattere specifico della sua trattazione, si limita ovviamente alla dottrina
platonica, ma riproduce una versione più ampia del testo di matrice posidoniana.
3. Utilizzazione dello stesso testo nell'ambito del dibattito sull'ordinamento delle Categorie aristoteliche: la precedenza della quantità sulla
qualità viene dimostrata attraverso l'esempio delle figure di Democrito e
Platone. Questa potrebbe essere forse già la posizione di Andronico seguito da altri commentatori del secondo secolo e infine da Porfirio, una
delle fonti di Simplicio nel commento alla Fisica. Giamblico, dal canto suo,
riprende lo stesso modello spiegando, però, che la figura è una qualità e
mevnwn ajpæ aujtw' n oujsiw'n, kai; ta; me; n ejpivpeda kalei'n, ta; de; stereav: kaqavper ga;r to;
ejpivpedon e[scato" o{ro" ejsti; tou' maqhmatikou' swvmato", ou{tw dh; kai; to; e[nulon ei\do" kai;
hJ duvnami" hJ tw' n swmavtwn morfh; kai; pevra" ejsti; tw' n uJpokeimev nwn.
Capitolo secondo
105
non una quantità e che quindi Platone e Democrito hanno posto le figure
prima delle "altre qualità". Anche questa interpretazione riemerge nel
commento alla Fisica di Simplicio. Proclo, a sua volta, si riallaccia a Giamblico, ma ribadisce che le figure di Democrito e Platone sono una quantità, non una qualità, una esegesi che Simplicio riprende nel commento al
De caelo.
E' superfluo sottolineare come in tutti questi contesti la funzione dei
principi democritei sia totalmente subordinata rispetto ai triangoli platonici, tanto che, fuori dal nucleo teofrasteo vero e proprio, non vengono
neanche più presi in considerazione.
Se si confrontano i brani di Simplicio con la tradizione "diafonica"
presente in Sesto Empirico si può constatare dunque una diversità di impostazione nel rapporto Platone (Pitagorici)-Democrito. Da una parte, in
Sesto, abbiamo una opposizione di fondo basata su due concezioni diverse della realtà: una sostanzialmente materialista, quella atomista, una di
tipo matematico, quella dei cosiddetti Pitagorici i quali presenterebbero le
loro dottrine proprio come un superamento decisivo della mentalità soggiacente alla concezione atomistica antica. Solo nell'ambito dei principi
incorporei intellegibili si possono trovare i fondamenti di tutta la realtà,
anche di quella del mondo sensibile. E questo non è un assunto tardo
ellenistico, ma una problematica viva nell'Accademia platonica le cui
tracce sono ben individuabili sia nelle allusioni platoniche che negli excursus aristotelici riguardanti le dottrine dell'Accademia. L'autore tardo ellenistico che ha rielaborato il resoconto originale ha aggiunto alla diaphonia
solo i caratteri superficiali tipici dell'ellenismo, ma ha riportato una problematica che non era tipica del suo tempo. Questo risulta dal confronto
con il filone rappresentato da Plutarco nel De primo frigido, da Galeno nel
De Placitis e dai brani dei commentari aristotelici di Simplicio. L'assunto
fondamentale di tutto questo filone è una sostanziale identità fra le concezioni atomiste e quelle platoniche e pitagoriche. Il pitagorismo che compare qui è però ben diverso da quello che si incontra in Sesto ed è in particolare legato al nome di Timeo di Locri, rappresentante di un
platonismo aristotelizzante. La somiglianza configurata in questi testi tardi
fra Platone, i Pitagorici e Democrito dipende da una visione condizionata
dall'immagine aristotelizzante e stoicizzante di Platone e basata principalmente sull'interpretazione del Timeo. Nell'ottica di una interpretazione che
attribuiva a Platone materia e forma come ultimi principi (u{lh a[poio" che
riceve le forme geometriche) e che arrestava la ricerca dei principi dei
corpi ai triangoli del Timeo, anche le distanze dei triangoli dai corpuscoli di
Democrito si accorciavano. L'unica effettiva mancanza di Democrito era
quella di non aver enunciato materia e forma come principi ultimi, ma in
sostanza la sua dottrina non si discostava molto da quella platonica. È un
106
Principi corporei/ incorporei
punto che Alessandro stesso rilevava139 . Questa simbiosi fra l'atomismo
democriteo e il Timeo platonico si concreta in due tendenze presenti nei
commentatori neoplatonici:
1. Le forme degli atomi del freddo o di certi colori, che Democrito
non ha specificato o ha definitio diversamente, possono anche essere
descritte come i solidi del Timeo. Si tratta di un procedimento utilizzato
soprattutto dal Filopono, sia nel commento alla Fisica, sia in quello al De
generatione et corruptione140 .
2. Per contro, i triangoli platonici si trasformano in figure corporee,
fornite cioè di una terza dimensione come in Giamblico e possono essere
difese dagli attacchi aristotelici. La distanza che li separa dagli atomi democritei, che Aristotele aveva considerato nettamente superiori, non è più
così grande e, in ogni caso, il confronto non va a svantaggio di Platone.
Se il processo di avvicinamento fra l'atomismo di Democrito e i triangoli di Platone è già particolarmente evidente nella vulgata di matrice posidoniana quale quella di Plutarco, è ulteriormente accelerato dagli autori
che si servono dei principi platonici e democritei, fuori da un contesto che
riguarda direttamente le loro dottrine, in vista di uno scopo ben preciso,
vale a dire per dimostrare la correttezza o la debolezza dell'ordinamento
aristotelico delle categorie, un dibattito vivo soprattutto fra il I sec. a.C. e
la prima metà del II sec. d.C., e ripreso dai neoplatonici. In questo contesto non contavano tanto le differenze fra Democrito e Platone, quanto
piuttosto i loro caratteri comuni, il fatto cioè che essi avessero posto a
fondamento del sensibile delle figure, vale a dire la quantità. Se dunque il
rapporto Democrito-Platone-Pitagorici veniva trattato su questa linea di
139
140
Alex. ap. Simpl. In De cael. 299b 23, 576,5 (122 L.) ajlla; tiv, fhsivn (oJ Alevxandro"), dioivsei
th'" Dhmokrivtou dovxh" hJ ejk tw'n ejpipevdwn levgousa, ei[per kai; auj th; kata; ta; schvmata
eijdopoiei'sqai ta; fusika; swvmatav fhsi…
Philop. In Phys. 184b 20, 25,19 (101 L.) ei[dou" ga;r lovgon ejn tai'" ajtovmoi" to; sch'ma e[cein
e[legen oJ Dhmovkrito". h] kai; ej nantiv a": h[toi tou'tov fhsin o{ti Dhmovkrito" e}n to; gevno" uJp etivqeto tw'n aj tovmwn, diafevrein de; aujta;" kata; ta; schvmata, ouj movnon de; diafevrein, ajlla;
kai; ejnantiva" ei\nai (ejpeidh; ga;r qermovthta kai; yuv xin kai; leukovthta kai; melanivan oujk
e[legen ei\nai ej n tai'" ajtovmoi" oJ Dhmovkrito", ajll ejk tw' n schmavtwn ajp egev nna ta; pavqh kai;
th'" pro;" hJma' " tw' n ajtovmwn scevs ew": ta; " me;n sfairikav ", wJ" eujkinhvtou", qermovthto" kai;
tou' puro;" ei\nai aijtiva": wJ" ga;r eujkivnhtoi, diairou'si qa'tton kai; dieisduvnousi, tou'to de;
i[dion puro;" to; tmhtiko;n kai; eujkiv nhton: ta; " ga;r kubika;" de; fevr e eijpei'n, wJ" wjqouvs a"
ma'llon kai; pilouvsa", yuvxin ejr gav zesqai: pilhtiko;n ga;r to; yucrovn. oJmoivw" kai; ejpi; tw'n
crwmavtwn giv nesqai e[legen. o{tan me;n tw'n puramivdwn fevre eijpei'n aiJ korufai;
prosbavllwsi th'i o[yei, toiavnde poiei'n crwvmato" fantasivan, oi|on leukou': diakritiko;n
ga;r th'" o[y ew" to; leuko;n, diairetiko; n de; kai; to; ojxuv , oi{a ejsti; kai; hJ korufh; th'" puramivdo": o{tan de; aiJ bavsei", mevl ano": sugkritiko;n ga;r to; mevl an, toiou'ton de; to; ajmbluv: pilei' ga;r kai; eij" taujto;n th'i pilhvsei sunwqei' ta; diestw' ta. ejp ei; ou\ n toi'" diafovroi"
schvmasi tw'n ej nantivw n paqw'n poihtikaiv eijsin aiJ a[tomoi, ouj movnon diafevrein aujta;" toi'"
schvmasin ei\pen, ajlla; kai; ejnantiva" ei\nai)... Cf. anche Ibid. 188a 19, 116,28-117,10; 194a
20, 228,28-229,2; In De gen. et corr. 314b 15, 17,29-33.
Capitolo secondo
107
sostanziale omogeneità, è improbabile che Eudoro, cui da alcuni viene
attribuito il resoconto di Sesto, seguisse la via opposta. Eudoro infatti era
stato uno dei primi ad avviare il dibattito sull'ordinamento delle Categorie.
In ogni caso tutti questi autori utilizzano schemi manualistici in diatribe
nelle quali anche lo scopo puramente informativo della notizia dossografica viene a cadere. In questo contesto soprattutto vanno valutate le testimonianze sui principi di Democrito e di Platone presso i commentatori di
Aristotele ora esaminate.
7. Sintesi
Se le ipotesi sviluppate in questo capitolo sono esatte, ci si trova di fronte,
per quanto riguarda il confronto fra i principi di Democrito e Platone
(Pitagorici), ad una doppia tradizione.
1. Quella dominante di matrice teofrastea che si fonda sulla ricerca
delle somiglianze fra l'atomismo di Democrito e la dottrina del Timeo.
Teofrasto criticava ambedue per aver ricercato "elementi di elementi"
violando quindi una concezione della fisica che Aristotele aveva elaborato,
secondo cui la ricerca fisica doveva arrestarsi ai quattro elementi. Aristotele aveva finalizzato il confronto Democrito/ Platone alla sua polemica
contro i principi accademici preferendo ogni volta l'atomismo fisico del
primo rispetto a quello matematizzante del secondo. Teofrasto ha invece
posto Platone e Democrito sullo stesso piano criticandoli poi ambedue,
ma astenendosi dal prendere posizione a favore di uno o dell'altro. Da
Teofrasto si è sviluppata una linea conciliatoria che, attraverso Posidonio,
è passata in quasi tutta la tradizione successiva. La versione prettamente
manualistica di questo confronto è stata poi accolta e variamente utilizzata
nel dibattito sull'ordinamento delle categorie aristoteliche ed è arrivata
fino a Simplicio. Quest'ultimo, per questo confronto, non attinge direttamente a Teofrasto, anche se lo conosceva di prima mano, ma ad altri
commentatori quali Porfirio, Giamblico e Proclo.
2. Se la tradizione ora esaminata propone una sostanziale similarità fra
i triangoli del Timeo e gli atomi di Leucippo e Democrito, nel decimo libro
Contro i Matematici di Sesto Empirico emerge invece la prospettiva "diafonica". I Pitagorici, cioè gli allievi di Platone, avrebbero criticato e superato
le dottrine atomiste postulando, invece che dei corpi di per sé sempre
scomponibili e quindi non eterni per natura, delle sostanze incorporee ed
eterne in assoluto, gli oggetti matematici, e i numeri i cui principi ultimi
sono l'uno e la diade indefinita. Si tratta di uno schema di opposizione
corporeo/ incorporeo che riprende quello del Sofista platonico, arricchendolo di nuovi contenuti e che emerge in Aristotele in brani che espon-
108
Principi corporei/ incorporei
gono appunto la dottrina accademica nella prospettiva del superamento
dei principi corporei. Il confronto non è legato alle teorie del Timeo, ma
alla dottrina delle idee-numero di Senocrate. L'atteggiamento critico degli
allievi di Platone verso gli atomisti è presupposto anche dalle prese di
posizione talvolta estreme a favore di Democrito e dell'atomismo antico
nell'ambito dell'assunzione dei principi in diversi passi dell'opera aristotelica, in particolare del De generatione et corruptione e del De caelo. La veemenza
di tali attacchi ai principi accademici e l'utilizzazione di Democrito in funzione antiaccademica, si spiegano meglio se, dall'altra parte, nell'Accademia, Senocrate predicava, in direzione opposta, il superamento dei principi degli atomisti. La sopravvivenza in Sesto di questo filone, deviante
rispetto a quello dominante di matrice teofrastea, si spiega proprio per
l'utilizzazione da parte dello scetticismo tardo non solo di una varietà di
fonti, ma anche di tradizioni diverse rispetto a quelle correnti. Sesto, infatti, fa capo ad una fonte interna allo scetticismo stesso, ovverosia Enesidemo, il fondatore del neoscetticismo.
Capitolo terzo
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
1. Considerazioni generali
Sullo sfondo del confronto con le dottrine accademiche dei principi e con
le specifiche problematiche ad esse legate, anche i resoconti aristotelici che
individuano l'origine delle dottrine atomiste nella soluzione delle aporie
"eleatiche" sulla molteplicità e il movimento vanno viste in una diversa
prospettiva. L'immagine di un Leucippo che, in un confronto dialettico,
"concede" agli Eleati alcune premesse (non c'è movimento senza il vuoto),
ma nel contempo vuole accordare le sue dottrine con i fenomeni (il vuoto
esiste in quanto non essere e l'essere non è uno, ma molti simili all'uno
eleatico), presentata in un famoso passo del De generatione et corruptione (A
8), ha infatti segnato tutta la storia dell'interpretazione dell'atomismo antico fino ai giorni nostri. La rappresentazione degli atomisti come Eleati
deviati è stata inoltre corroborata nei primi anni del novecento dall'individuazione, in un altro passo dello stesso trattato (A 2), di una presunta
argomentazione di Democrito a favore degli indivisibili come soluzione
dei paradossi zenoniani della divisione all'infinito1. La versione aristotelica
della nascita dell'atomismo è stata considerata dall'ottocento ad oggi quasi
un dogma. In realtà, come notava Solmsen2, e come si cercherà di mostrare con l'analisi dei due brani in questo capitolo e nel successivo, i due
resoconti sollevano più dubbi di quanti ne risolvano. Le aporie che essi
presentano necessitano però più che di una soluzione di un inquadramento nel contesto nel quale Aristotele pensava, sviluppava le sue idee e
interpretava i predecessori. Tale contesto è costituito dalle discussioni
sulle presunte tesi eleatiche nell'Accademia platonica, che hanno portato
alla definizione del non essere come "altro dall'essere", alla distinzione fra
1
2
Cf. Hammer-Jensen 1910.
1988, 60ss. Solmsen, per istituire un legame fra gli atomisti antichi e gli Eleati, si basava
però su un passo ancora più dubbio di quelli succitati e cioè Phys. A 3, 187a 1ss. (su questo
brano, v. infra, 3. 2) e su altri di Lucrezio che, sebbene interessanti, non permettono di inferire nulla sulle origini dell'atomismo antico.
110
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
essere e uno e all'assunzione di indivisibili, e dalla contestazione da parte
di Aristotele di tali soluzioni. La trattazione delle tesi di Leucippo e Democrito sullo sfondo di queste problematiche più ampie non poteva e non
doveva essere un esatto resoconto. A questo proprosito assume una
grande rilevanza il carattere dialettico dei contesti aristotelici3. Aristotele fa
infatti dialogare di volta in volta i suoi protagonisti secondo schemi impiegati nelle discussioni accademiche e da lui codificati nei Topici per poi dimostrare l'inadeguatezza della loro impostazione e affrontare i problemi
da premesse diverse.
E' necessario dunque esaminare le testimonianze aristoteliche sulla derivazione dell'atomismo dall'eleatismo in un'ottica differente da quella
nella quale generalmente vengono lette, concentrando l'attenzione soprattutto sugli schemi dialettici in base ai quali viene impostata la discussione.
2. Leucippo e gli "Eleati"
De gen. et corr. A 8, 324b 35 - 325a 2-30 ha costituito uno dei cardini della
tesi secondo cui l'atomismo antico è il risultato di una correzione delle
dottrine eleatiche sull'unità dell'essere, con l'accettazione però di determinate premesse. Leucippo avrebbe formulato la sua concezione del mondo
composto di atomi e di vuoto a seguito di una "discussione" con non ben
precisati "Eleati", accettandone alcune affermazioni, ma cercando nel
contempo anche un "accordo" con la realtà dei fenomeni. L'artificialità di
questo schema è già di per sé palese non solo perché non trova alcun riscontro nella realtà storica (di Leucippo non è neppure sicuro il luogo di
provenienza), ma soprattutto perché questo tipo di "cavalleresco" confronto dialettico è del tutto anacronistico nel V sec. a.C. Lo schema aristotelico rimanda piuttosto a quell'atmosfera rarefatta e "cortese" della
conversazione fra Zenone, Parmenide e Socrate nel Parmenide e più specificamente agli esercizi dialettici della scuola platonica i cui fondamenti
sono delineati nei Topici aristotelici4.
3
4
L'influsso della discussione dialettica sull'impostazione delle aporie in altri scritti aristotelici
è già stato più volte esaminato. Cf. le considerazioni generali in Krämer 1971, 27-32 e le
analisi particolari in Beriger 1989 e Föllinger 1993.
I dibattiti pubblici hanno nel V sec. a.C. una marcata forma agonale che non permette di
"concedere" nulla agli avversari. Cf. ad es. le violente polemiche nei trattati ippocratici e in
particolare gli agoni nella tragedia euripidea e nelle Nuvole di Aristofane che riproducono, se
pure in rielaborazioni letterarie, lo spirito di questi dibattiti. Aristotele stesso distingue nettamente nei Topici (Q 5,159a 26ss.) la discussione dialettica di scuola, che ha come scopo
l'apprendimento e che viene condotta cavallerescamente, rispettando regole ben precise, da
quella agonale che mira invece alla vittoria con qualsiasi mezzo.
Capitolo terzo
111
Se i pre-supposti aristotelici sono, come si vedrà, da ricercarsi negli schemi
dialettici accademici, quelli degli interpreti moderni hanno le loro radici
nell'indiscussa autorità di Aristotele e dei grandi storici della filosofia dell'ottocento, in particolare Hegel e Zeller, come si è già detto nell'introduzione. Se il tentativo di questi ultimi di rivalutare l'atomismo radicandolo
nella filosofia (per quei tempi) positiva e "metafisica" dell'eleatismo ha una
sua giustificazione storica, oggi, cadute le ragioni che stavano alla base
delle tesi zelleriane, le relazioni degli atomisti con gli Eleati vanno nuovamente verificate.
Il modello interpretativo dominante dal Bailey5 ad oggi si basa sul presupposto evoluzionistico secondo cui l'atomismo costituirebbe il naturale
sviluppo delle teorie eleatiche dell'essere-uno. Gli atomisti sarebbero dunque necessariamente partiti da un esame dialettico delle proposizioni eleatiche per formulare la loro ipotesi. Siccome questa tesi si basa principalmente sulle testimonianze aristoteliche del De generatione et corruptione, è
indispensabile far riemergere i pre-supposti di queste ultime, cioè l'impostazione storico-dialettica dei passi per ricostruire il quadro culturale in cui
l'interpretazione aristotelica degli atomisti si è sviluppata.
2. 1. Il logos eleatico in Aristotele (De gen. et corr. A 8, 325a 2-23):
considerazioni generali
Il resoconto del De generatione et corruptione sulle origini dell'atomismo costituisce solo una parte di un discorso più ampio nel quale Aristotele nega
validità a tutte le dottrine che spiegano i fenomeni fisici attraverso la
suvgkrisi" e la diavkrisi" di particelle o di grandezze atomiche per introdurre la sua tesi della generazione e della corruzione come cambiamenti
qualitativi di un sostrato. E' importante dunque esaminare nel dettaglio
anche la prima parte del brano, quella che costituisce, secondo Aristotele,
la fonte dei tentativi successivi di soluzione del problema uno-molteplice,
stasi-movimento alla base dei concetti di generazione, corruzione e cambiamento, cioè le aporie "eleatiche" che negano tutti questi fenomeni e
affermano che l'essere è uno e immobile. Aristotele, che aveva trattato in
A 2 il problema degli indivisibili come soluzione del paradosso della divisibilità all'infinito, presenta in A 8 l'atomismo di Leucippo come risposta
alla negazione dell'esistenza del non essere, della molteplicità e del movimento. A Leucippo viene poi aggregato un Empedocle presunto atomista
e Platone per la sua presunta assunzione di superfici indivisibili. Il presupposto aristotelico nella trattazione di queste dottrine sta nel fatto che co5
Bailey 1928, 70ss.
112
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
loro che hanno ammesso in qualche maniera degli indivisibili sono comunque partiti dalle tesi eleatiche accettandone certe premesse e cadendo
quindi in una aporia. E' l'accettazione non ponderata di alcune premesse
dell'avversario spesso a determinare il fallimento di una confutazione.
In un brano della Metafisica di cui si parlerà ancora in seguito6, Aristotele traccia una netta linea di demarcazione fra il vecchio e il nuovo modo,
il suo, di affrontare le aporie riguardanti l'essere e l'uno. Platone e i suoi
allievi non sono arrivati ad una soluzione soddisfacente perché non hanno
definito prima correttamente i vari significati dell'oggetto di ricerca e
hanno quindi assunto, come gli Eleati, per l'essere e per l'uno un significato univoco (per Aristotele essi si predicano in più modi). Così facendo
hanno dovuto dar ragione a questi ultimi su assunti fondamentali e ammettere l'esistenza del non essere assoluto per spiegare la molteplicità
rimanendo imprigionati nelle stesse aporie che intendevano risolvere.
L'ajporh'sai ajrcaikw'" è per Aristotele l'elemento che unifica tutte le soluzioni del problema dell'essere, della molteplicità e del divenire antecedenti
alla sua, in particolare quelle che presentano la maggiore affinità fra loro
come i due tipi di atomismo leucippeo-democriteo e accademico.
A questo si deve aggiungere una ulteriore considerazione sui metodi
espositivi aristotelici delle aporie stesse. Le formulazioni di base dei logoi
eleatici e quelle dei loro avversari che troviamo in Aristotele risalgono in
definitiva alla prassi dialettica platonica di unificare il più possibile sotto
una sola voce diverse teorie e di contrapporre fra loro quelle i cui fondamenti, in questo modo sintetizzati, sembrino opposti7. Lo scopo principale
di queste sintesi non è quello di dare un resoconto obiettivo dei testi presi
in considerazione, ma, al contrario, di coglierne il significato profondo, la
diavnoia, che gli autori non hanno potuto o non sono stati in grado di
esprimere esplicitamente8. Si tratta quindi in sostanza di adattare i testi di
volta in volta al tema in discussione trovandovi elementi comuni o opposizioni di fondo, la prassi dialettica usuale nei dialoghi platonici9 e
nell'Accademia codificata poi da Aristotele nei Topici10. Questa prassi di co6
7
8
9
10
Metaph. N 2, 1088b 35ss., v. infra, 3. 2 n. 83.
Per l'utilizzazione di schemi polari da parte di Platone e Aristotele, cf. anche Giannantoni
1986, 273.
Cf. ad es. Metaph. A 4, 985a 3ss. in relazione ad Empedocle e le numerose affermazioni di
Aristotele sulle "dottrine" presocratiche che rimandano, nell'uso di e[oike, dokei' e di altre
espressioni simili, ad una interpretazione non letterale delle stesse. In particolare, per
Esiodo, Metaph. A 4, 984b 23-31; per Empedocle, De cael. G 6, 305a 3-4; Phys. D 1, 208b 29209a 1; per Anassagora, Metaph. A 8, 989a 30-b 21.
Cf. a questo proposito, Cambiano 1986, 68ss.
Cf. in particolare le osservazioni sulla formulazione della proposizione, del problema e
della tesi nel primo libro dei Topici (A 10, 104a 3-11; 11, 105a 1-9; 14, 105a 34-105b 25).
Sulla presenza in sottofondo nei Topici di una prassi scolastica accademica, cf. Düring 1976,
Capitolo terzo
113
struzione di logoi dialettici, che ha le sue radici nella sofistica11, sta alla base
del brano del De generatione et corruptione che espone la tesi eleatica e la risposta di Leucippo12. Il logos eleatico riportato da Aristotele costituisce un
caso di quella che in Top. A 11, 104b 19-22 viene definita una "tesi", vale a
dire un tipo particolare di teorema dialettico13:
Tesi è un'ipotesi contraria all'opinione generale di qualche personaggio famoso
nel campo della filosofia come [...] il fatto che tutto si muove, secondo Eraclito, o
che l'essere è uno, come dice Melisso14.
E ancora:
discende necessariamente da quanto si è detto che o la grande maggioranza delle
persone sia in disaccordo con i sapienti riguardo alla tesi o che all'interno di uno
qualsiasi di questi due gruppi (i molti e i sapienti) ci sia disaccordo giacché la tesi
è una ipotesi fuori del senso comune15.
Ciò significa che si potevano assumere come tesi quella eleatica e come
antitesi le opinioni di coloro che sostenevano il movimento incessante di
tutte le cose, oppure, all'inverso, porre queste ultime come tesi e attribuire
agli Eleati il ruolo di critici. In ogni caso i disputanti si mettevano nei
panni dell'uno o dell'altro autore le cui opinioni venivano poste come tesi
e, rispettivamente, come antitesi e si immedesimavano col suo presunto
11
12
13
14
85ss., Krämer 1971, 17ss. n. 68 con una ricca bibliografia; Flashar 1994, 326s. Sull'importanza dei passi dei Topici riguardanti la "tesi" per la definizione del carattere e della struttura
della dossografia peripatetica, cf. Mansfeld 1992b, 332ss. Sul problema della presenza in
Aristotele di interpretazioni dei cosiddetti presocratici correnti nell'Accademia, cf. anche
Gemelli Marciano 1991a, passim; 1991b, passim.
Cf. Arist. Soph. El. 34,183b 36ss. Cf. a questo proposito von Kienle 1961, 38-57; il volume
di Cambiano 1986 in generale e, in particolare, l'esauriente resoconto di Mansfeld 1986
[1990b].
Come si vedrà anche in seguito, coloro che hanno assunto il logos eleatico e la successiva
risposta di Leucippo se non come autentiche e dirette citazioni, per lo meno come una parafrasi diretta di testi di Eleati e di Leucippo (cf. e.g. Bollack 1969; Löbl 1976, 145-150),
hanno proprio tralasciato di considerare questo carattere schematico e topico dell'opposizione e dei termini dell'opposizione stessa. Cf. anche la critica di De Ley 1972.
Il termine tecnico è già accademico: Senocrate aveva scritto venti libri di qevsei" oltre che
quattordici sulla dialettica (Xenocr. Fr. 2 IP) qevsewn bibliva k', th'" peri; to; dialevgesqai
pragmateiv a" bibliva id'.
Top. A 11, 104b 19-22 qevsi" dev ejstin uJpovlhyi" paravdoxo" tw'n gnwrivmwn tino;" kata;
filosofivan, oi|on ª...º o{ti pavnta kinei'tai, kaq ÔHravkleiton, h] o{ti e}n to; o[n, kaqavp er
Mevlissov" fhsin. Le due tesi vengono confrontate e poste sullo stesso piano da Aristotele
nel primo libro della Fisica (A 2). Sull'importanza di Top. A 11 nella impostazione della di-
15
scussione dei problemi fisici in Aristotele stesso e nella dossografia in generale, cf.
Mansfeld 1992b, 332ss. Per considerazioni generali, cf. anche Beriger 1989, 40ss.
Top. A 11, 104b 32-34 ajnavgkh ga;r ejk tw'n eijrhmevnwn h] tou;" pollou;" toi'" sofoi'" peri; th;n
qevsin ajmfisbhtei' n h] oJpoterousou' n eJ autoi'", ejp eidh; uJpovlhyiv" ti" paravdoxo" hJ qevsi"
ejstivn.
114
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
modo di pensare scambiandosi all'occasione anche i ruoli16. In questo
schema i sostenitori delle varie tesi e antitesi variavano a seconda del contesto. Le tesi e le antitesi inoltre non solo erano interscambiabili, ma potevano anche essere attribuite ad autori diversi. Su questo sfondo si delinea
la struttura dialettica di De generatione et corruptione A 8 composto di due
parti: la tesi presupposta (e non enunciata) nella prima parte è quella di
coloro che sostengono la molteplicità, il movimento e l'esistenza del
vuoto, l'antitesi è il logos eleatico che confuta tutto questo sostenendo
l'unicità dell'essere. Questo logos viene però presentato a sua volta come
tesi cui si contrappone, come antitesi, la dottrina di Leucippo17. In altri
passi aristotelici gli oppositori degli Eleati non sono gli atomisti, ma gli
Accademici18.
Ryle, riferendosi espressamente alla prassi descritta nei Topici, evidenzia tre tratti fondamentali delle argomentazioni dialettiche: il loro carattere
"pubblico" (tutti conoscevano gli argomenti principali a favore dell'una o
dell'altra tesi19), la loro conseguente, progressiva cristallizzazione in "blocchi" e la loro riutilizzazione da parte di interlocutori diversi con sviluppo o
esclusione di determinati punti20. Aristotele non ha dunque "costruito" ex
novo delle contrapposizioni dialettiche fra i suoi predecessori, ma ha sicuramente attinto ad un patrimonio di logoi dell'Accademia platonica la cui
paternità si perde nell'esercizio dialettico ripetuto e costante21. Un modello
di questi logoi è il Parmenide. Secondo le dichiarazioni del protagonista
16
Cf. Top. Q 5, 159b 27 a]n dæ eJtevrou dovxan diafulavtthi oJ ajpokrinovmeno", dh'lon o{ti pro;"
th;n ejkeivnou diav noian ajpoblevponta qetevo n e{kasta kai; ajr nhtevo n ª...º poiou'si de; tou'to
kai; oiJ paræ ajllhvlwn decovmenoi ta; " qev sei": stocavzontai ga;r wJ " a] n ei[peien oJ qevmeno".
17
18
19
20
21
A questo carattere di logos dialettico-tipo fa probabilmente riferimento anche l'enigmatico
accenno ai logoi di Leucippo nel trattatello De Melisso Xenophane et Gorgia (980a 3-9) interpretato spesso come allusione proprio al passo di De gen. et corr. A 8. Cf. Newiger 1973,
120-22, con rassegna critica di altre interpretazioni. Il carattere particolare dell'espressione
era già stato rilevato da Diels che tuttavia lo considerava un possibile termine leucippeo
(lettera a Zeller del 26 Aprile 1880, Ehlers II, 1992, 38 "aber da der betr. Ausdruck lovgou"
bei Aristoteles, soviel ich weiß, allerdings auffallend und vielleicht aus Leucipp selbst genommen ist…").
Cf. Phys. A 9, 191b 35ss. e Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, infra, 3. 2 n. 83.
Cf. Arist. Top. Q 14, 163b 17 prov" te ta; pleistavki" ejmpivptonta tw'n problhmavtwn
ejxepivstasqai dei' lovgou", kai; mavlista peri; tw' n prwvtwn qevsewn. Poco prima (163b 4-9)
Aristotele raccomanda di scegliere e confrontare argomenti correlati ad una stessa tesi perché questo fornisce una gran quantità di materiale per poter poi condurre più facilmente la
confutazione. Cf. su questo passo Balthussen 2000, 38.
Ryle 1968, 75s.
Cf. Ryle 1968, 76 (in relazione ad una tesi di tipo etico) "To ask whether the finally
crystallized refutation of the thesis that pleasure is not a good is the handiwork of Aristotle or
of someone else is to ask an unanswerable question. It has passed between all the mill-stones. Dialectic is a co-operative and progressive polemic—a polemic not between persons,
but between theses and counter-theses".
Capitolo terzo
115
stesso del dialogo, il vecchio Parmenide, si tratta di un lovgo" gumnastikov"
nel quale si dimostrano tutte le conseguenze di una tesi paradossale quale
"se l'uno è uno" (e in questo caso si arriva alla conclusione che esso deve
essere tale da non esistere) e di quella, altrettanto paradossale, "se l'uno
non è" (e anche in questo caso si arriva al paradosso della non esistenza
del tutto), ma anche le difficoltà della tesi intermedia e cioè "se l'uno è", la
quale implica o la contemporanea presenza di unità e molteplicità o la non
esistenza dell'uno sia nell'uno che nell'altro dall'uno. Il Parmenide è un logos
costruito sulle aporie di Zenone che ha influenzato tutta la tradizione sull'Eleate, talché a tutt'oggi si discute se i suoi paradossi fossero una difesa
della dottrina dell'uno di Parmenide o se invece fossero diretti sia contro
l'assunzione dell'essere come uno sia contro la sua qualificazione come
molti22. Probabilmente non sono né l'uno né l'altro23, ma si inquadrano in
un metodo tendente a demolire le opinioni umane e a confondere la
mente per prepararla alla ricezione di un altro messaggio, quello parmenideo appunto24. Non è questo il luogo di trattare in modo approfondito i
paradossi di Zenone. Quello che interessa è invece il fatto che nel Parmenide platonico si ritrovano alcuni tratti tipici della costruzione di logoi quali
quelli descritti nei Topici aristotelici. Tre sono in particolare interessanti per
il contesto del De generatione et corruptione in questione:
22
23
24
La versione secondo cui Zenone vuole ajnairei'n to; e{n è quella che troviamo in Alessandro
il quale a sua volta la fa risalire ad Eudemo di Rodi (ap. Simpl. In Phys. 185b 25, 99,13 = 29
A 21 DK). Un'interpretazione di Zenone scettico negatore dell'uno, derivata da una dossografia di matrice accademico-scettica, si ritrova anche in Sen. Ep. 88,44 (29 A 21 DK).
Simplicio rigetta questa esegesi perché segue l'interpretazione canonica platonizzante che
vede in Zenone il difensore delle dottrine parmenidee. Altre fonti (e.g. Philop. In Phys.
185b 5, 42,9 = 29 A 21 DK) riferiscono la confutazione all'uno della molteplicità: questa è
infatti composta di unità. La tradizione riguardante Zenone è stata più volte esaminata
sotto tutti questi aspetti. La tendenza prevalente è quella di dar credito alla versione del
Parmenide platonico e all'interpretazione ortodossa di Simplicio (così Fränkel 1975, 102-142;
Furley 1967, 63ss.). Un'analisi della tradizione zenoniana condotta "in utramque partem" da
Solmsen 1971, 116-141, si conclude con una sospensione del giudizio e allo stesso modo si
pronuncia anche Barnes 1986, 234s.
Il Parmenide monista è in realtà il risultato di tutta una tradizione interpretativa dovuta ad
un approccio esclusivamente filosofico e ha poco a che fare con lo stile del poema stesso
che si basa principalmente su "immagini" ed ha una marcata funzione evocativa: l'attributo
e{n fa parte di una sequenza di "immagini" di completezza dell'essere che vuole trasmettere
una esperienza e non una "dottrina" filosofica in senso platonico-aristotelico. Per un approccio a Parmenide che tiene conto della funzione e del contesto del poema, cf. Kingsley
2003.
Cf. Kingsley 2003, 295-302 e 585. Platone stesso, nel Fedro (261d = 29 A 13 DK), riferisce
che Zenone dava l'impressione ai suoi ascoltatori di affermare che le stesse cose sono uno
e molti. Una interpretazione simile si trova anche in Isocrate, Hel. 3 (pw'" ga;r a]n ti" uJperbavloito ª...º Zhvnwna to;n taujta; dunata; kai; pavlin ajduv nata peirwvmenon aj pofaivnein…) ed è
adombrata nell'epiteto ajmfoterovglwsso" affibiatogli da Timone (Fr. 45 Di Marco). Evidentemente Zenone era famoso proprio per questa sua capacità di confondere.
116
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
1. Il tentativo di inglobare le dottrine di Zenone in quelle di Parmenide per farle confluire in un solo logos. A Zenone viene attribuita solo una
variazione di forma che avrebbe ingannato i profani. Per sua espressa
ammissione, egli sarebbe stato lontano da qualsiasi pretesa di originalità
rispetto al pensiero del maestro25.
2. Come conseguenza di questo primo passo, la successiva discussione
delle aporie sull'uno da parte dello stesso Parmenide e non dell'allievo
Zenone. In sostanza questo significava trattare un logos eleatico come un
blocco compatto in cui le differenze potevano essere trascurate.
3. Il fatto che Parmenide rivesta il ruolo di oppositore a tesi cronologicamente a lui posteriori. Egli infatti imposta il suo discorso partendo
dalla critica alle idee socratiche. In questo caso la tesi è rappresentata da
Socrate, l'antitesi da Parmenide.
Il logos aristotelico di De generatione et corruptione A 8 riproduce tratti e
schemi delle discussioni dialettiche descritte nei Topici e ha qualcosa in
comune con quelli del Parmenide descritti sopra. Si tratta infatti di un logos
composto di argomentazioni tratte in parte dagli Eleati, ma sicuramente
filtrate e rielaborate in quanto mancano riferimenti precisi sia a singoli
personaggi, sia alle dottrine contro cui si rivolgevano. Normalmente, Aristotele, quando riporta dottrine eleatiche, è sempre abbastanza preciso
nell'indicarne l'appartenenza26. Sono state tentate varie ipotesi sugli autori
cui egli allude27 e tutte risultano plausibili e implausibili allo stesso modo
proprio perché probabilmente egli si serve di una forma generica di logos
che riassume le presunte argomentazioni a favore dell'unicità e dell'immobilità dell'essere e contro la molteplicità e il movimento. Inoltre, le aporie
che il logos mette in evidenza potrebbero essere dirette anche contro un'ipotesi atomista28 oltre che contro tesi corpuscolariste29. Infatti, non solo si
25
26
27
28
29
Parm. 128a-e.
Cf. ad es. le discussioni delle teorie eleatiche in Phys. A 2-3; De cael. G 1, 298b 15ss.
Per un elenco dei vari autori che sono stati di volta in volta identificati nelle teorie esposte
da Aristotele, cf. Löbl 1976, 138ss. con relativa bibliografia.
Che il logos eleatico di Aristotele contenga argomentazioni contro l'atomismo è già stato
notato da Newiger 1973, 117-119 il quale vi vede una critica diretta di Melisso a Leucippo.
Il carattere dialettico degli argomenti esposti nel logos eleatico era stato notato da Joachim
1922, 159. L'argomentazione eleatica era diretta secondo lui contro i pluralisti le cui premesse non potevano dar ragione della pluralità e del movimento. Due sono le tesi dei pluralisti in questione: A. Che i molti sono separati dal vuoto. B. Che i molti sono unità discrete in contatto non separate dal vuoto. La prima sarebbe dei Pitagorici, l'altra di
Empedocle. L'Empedocle corpuscolarista (e atomista) che emerge talvolta in Aristotele è
un'interpretazione probabilmente già accademica (cf. Gemelli Marciano 1991a). La concezione del vuoto che separa è sì di matrice pitagorica, ma si inserisce in un contesto di reinterpretazioni come si vedrà più oltre. L'unico motivo per cui Joachim negava categoricamente che nella critica eleatica fossero compresi gli atomisti era la successiva attribuzione a
Leucippo di una risposta agli Eleati. E' importante citare alla lettera il suo commento in
Capitolo terzo
117
nega il vuoto come condizione del movimento e come elemento di divisione, ma viene rigettata come una ipotesi artificiosa anche l'assunzione di
una pienezza di parti del tutto contrapposta ad una non pienezza, la tesi
fondamentale del successivo logos di Leucippo. C'è infatti da tener presente
che il discorso sull'omogeneità dell'essere degli Eleati riguarda il tutto e
non le sue singole parti.
Sullo sfondo del carattere dialettico del brano aristotelico si delinea
anche il significato tecnico del termine logoi riferito alle dottrine di Leucippo riportate come "antitesi" al logos eleatico (Leuvkippo" d e[cein wjihvqh
lovgou"). I logoi di Leucippo non sono infatti necessariamente la trasposizione fedele di opinioni espresse dall'autore stesso, ma piuttosto una loro
rielaborazione nell'ottica di una discussione dialettica. Ciò risulta principalmente da due fatti:
1. I due logoi, quello degli Eleati e quello di Leucippo, hanno in sé una
struttura chiusa ed estrapolabile dal contesto: non riguardano infatti
espressamente l'agire e il patire, il tema principale del capitolo aristotelico
(che nel logos eleatico non viene neppure nominato), ma la problematica
dell'uno e del molteplice, del movimento e della stasi, problemi generali di
cui l'agire e il patire costituiscono solo un aspetto specifico e contingente.
Aristotele ricollega il problema dei principi col suo tema solo in 325a 32325a 32-325b 5 ritrascrivendo in termini di poiei'n e pavscein il meccanismo che per Leucippo spiegava la generazione, la corruzione e il cambiamento cioè l'intrecciarsi e il separarsi degli atomi nel vuoto30.
2. C'è una scarsa coerenza fra il logos eleatico che confuta implicitamente delle tesi come quelle di Leucippo e l'affermazione di Aristotele
secondo cui quest'ultimo risponderebbe agli Eleati accettandone certi
postulati.
Questi problemi sono dovuti ad una sovrapposizione, non immediatamente percepibile, su di un originario schema piuttosto semplice e di
probabile matrice sofistica, di tematiche sviluppate nell'Accademia e riprese e discusse da Aristotele. Qui di seguito cercherò di individuare gli
30
quanto è un esempio di ragionamento seguito dalla gran parte degli interpreti moderni,
159s.: "The opponents in question cannot be the atomists: for atomism (cf. 25a 33ss.) was
developed under the influence of, and subsequently to, the Eleatic criticism of this particular theory of a many and void".
De gen. et corr. A 8, 325a 32-325b 5 poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcavnousin aJptovmena ª...º
kai; suntiqevmena de; kai; periplekovmena genna' n ª...º ou{tw pa's an ajlloivwsin kai; pa'n to;
pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomev nh" th' " dialuvsew" kai; th' "
fqora'", oJmoivw" de; kai; th'" auj xhvsew", uJpeisduomev nwn sterew' n. Hussey 2004, 244 parla a
proposito di questo brano di una posizione a "sandwich" (The two parts of the discussion
of Empedocles begin and end the chapter, like the outside of a sandwich. Inside the sandwich is a long discussion (324b 35-326b 6) of atomism as a physical theory, which goes
well beyond the topic of 'action-passion').
118
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
strati del brano aristotelico e di inquadrarlo nel contesto più ampio del
dibattito con l'Accademia sulla questione dei principi.
2. 2. Gli strati del logos eleatico
2. 2. 1. Lo schema sofistico
Il logos eleatico è formulato come segue:
Con metodo soprattutto e con un discorso globale che abbraccia tutto Leucippo
e Democrito hanno dato le loro spiegazioni assumendo un principio conforme
alla natura, così come essa è. Alcuni infatti degli antichi erano dell'opinione che
l'essere fosse necessariamente uno e immobile; [dicevano] infatti che il vuoto è un
non-essere, ma che non ci può essere movimento se non c'è un vuoto separato. E
neppure ci sono i molti, se non c'è ciò che separa; d'altra parte non c'è nessuna
differenza fra il credere che il tutto non sia continuo, ma [fatto di parti che] si
toccano rimanendo separate, e l'affermare che esistono i molti, che non c'è un
"uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisibile in ogni parte, non c'è un
"uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma il tutto è vuoto. Ammettere
d'altra parte che è divisibile in un punto e non in un altro è simile ad una spiegazione inventata ad arte; infatti fino a che punto e perché una parte del tutto si
trova in questa condizione ed è piena, un'altra parte invece è divisa? Allo stesso
modo è necessario [secondo loro] affermare che non c'è il movimento. Da questi
argomenti desumono, senza curarsi e senza tenere alcun conto della sensazione
come se ci si dovesse lasciar guidare soltanto da un ragionamento dialettico, che il
tutto è uno, immobile e alcuni anche infinito; il limite infatti, [dicono], confinerebbe col vuoto. Gli uni dunque si sono espressi in questo modo e per questi
motivi "sulla verità". Inoltre a parole sembra che questo avvenga, nella realtà dei
fatti, invece, pensare in questo modo sembra avvicinarsi alla follia, giacché nessun
pazzo sembra essere andato a tal punto fuori di sé da credere che il fuoco e il
ghiaccio siano una sola cosa, ma ad alcuni a causa della loro follia sembra solo
che le cose belle e quelle che appaiono tali solo per consuetudine non differiscano in nulla 31.
31
Arist. De gen. et corr. A 8, 324b 35 (67 A 7 DK; 146 L.) oJdw'i de; mavlista kai; peri; pavntwn
eJni; lovgwi diwrivkasi Leuv kippo" kai; Dhmovkrito", ajrch; n poihsavmenoi kata; fuvsin h{per
ejstivn. ej nivoi" ga;r tw' n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx aj nav gkh" e} n ei\ nai kai; ajkivnhton: to; me;n ga;r
keno; n oujk o[n, kinhqh'nai dæ oujk a] n duvnasqai mh; o[nto" kenou' kecwrismevnou. oujdæ au\
polla; ei\nai mh; o[ nto" tou' dieivrgonto": tou'to de; mhde; n diafevrein, ei[ ti" oi[etai mh; sunece;" ei\nai to; pa' n ajllæ a{ptesqai dihirhmevnon, tou' fav nai polla; kai; mh; e}n ei\nai kai; kenovn. eij me; n ga;r pav nthi diairetov n, oujde; n ei\nai e{ n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno; n to; o{lon:
eij de; th'i me; n th'i de; mhv, peplasmev nwi tini; tou'tæ ejoikev nai: mevcri povsou ga;r kai; dia; tiv to;
me;n ou{tw" e[cei tou' o{lou kai; plh'rev" ejs ti, to; de; dihirhmev non… e[ti oJmoivw" fav nai
ajnagkai'on mh; ei\nai kivnhsin. ejk me;n ou\n touvtwn tw' n lovgwn, uJperbav nte" th;n ai[sqhsin kai;
paridovnte" auj th;n wJ" tw'i lovgwi devon ajkolouqei'n, e}n kai; ajkivnhton to; pa' n ei\naiv fasi kai;
a[peiron e[nioi: to; ga;r pevra" peraivnein a] n pro;" to; kenov n. oiJ me; n ou\ n ou{tw" kai; dia; tauv ta"
ta;" aijtiva" ajp efhvnanto peri; th'" ajlhqeiva". e[ti de; ejpi; me; n tw' n lovgwn dokei' tau'ta sum-
Capitolo terzo
119
Il logos è formulato già come un'antitesi a tesi che pongono il movimento e
la molteplicità. Lo schema sostenitori del movimento e della molteplicità/
sostenitori della stasi e dell'uno è corrente in testi risalenti ai primi decenni
del IV sec. a.C. In un passo polemico dell'Elena, Isocrate, scagliandosi
contro i suoi contemporanei che, secondo lui, vogliono fare sfoggio della
loro abilità retorica sostenendo tesi paradossali e di nessuna utilità per la
vita, fa notare come questa pratica non sia affatto nuova, ma risalga ai
sapienti del secolo precedente. Egli cita come esempio Gorgia, che ha
affermato che nulla esiste, Zenone, che avrebbe presentato successivamente la stessa tesi come possibile e impossibile e Melisso il quale avrebbe
cercato di dimostrare che tutto è uno nonostante per natura esista una
infinita pluralità di cose32. Nell'Antidosis l'oratore mette in guardia i giovani
dal lasciarsi inaridire la mente perdendosi nei logoi degli antichi sapienti
ognuno dei quali sostiene una tesi diversa dall'altro sul numero delle cose
esistenti. La gamma dei sapienti si estende qui dai sostenitori dell'infinita
molteplicità, di cui non vien fatto alcun nome, a quelli di una molteplicità
finita (Empedocle, Ione e Alcmeone), a quelli di un solo ente (Parmenide
e Melisso), per concludere con Gorgia che afferma che nulla esiste33.
baivnein, ejpi; de; tw'n pragmavtwn maniv ai paraplhvsion ei\nai to; doxavzein ou{tw": oujd evna ga;r
tw'n mainomev nwn ejxestav nai tosou' ton w{ste to; pu'r e}n ei\nai dokei'n kai; to;n kruvstallon,
ajlla; movnon ta; kala; kai; ta; fainovmena dia; sunhvqeian, tau't ej nivoi" dia; th;n manivan oujqe; n
dokei' diafevrein. Per i problemi testuali e sintattici della seconda parte del brano (oiJ me; n
ou\n ª...º diafevrein), cf. Joachim, ad loc., 161s. Egli vede una lacuna dopo ajlhqeiva" e ipotizza che uno o più argomenti contro l'eleatismo siano caduti. La lezione ejpei; per e[ti, sa-
32
33
rebbe un tentativo di ripristinare la logica del passo; cf. anche Löbl 1976, 146s. In realtà, se
si considera il fenomeno dello iotacismo, la lezione ejpei; potrebbe essere stata favorita dal
successivo ejpi; e il problema sintattico è solo apparente. Aristotele riprende e adatta infatti
un logos preesistente intercalandolo con osservazioni proprie e procedendo per accumulazione, non sempre ordinata, di argomenti. Egli sembra aver concluso il tema (oiJ me;n ª...º
ajlhqeiva") dopo un giudizio critico sulle argomentazioni eleatiche (ejk me;n ou\n ª...º e[ nioi) e
l'aggiunta di una ulteriore teoria fuori degli schemi uno/ molti e immobile/ in movimento,
quella cioè che pone l'uno come infinito (a[peiron... kenovn). In realtà egli riprende poi ancora la critica precedentemente espressa con la formula cumulativa tipica nei suoi scritti
(e[ti dev). Si tratta di un procedimento dialogico-discorsivo tipico delle discussioni dialettiche e funzionale al discorso orale. Su questo "residuo" di oralità nelle pragmateiai aristoteliche, cf. Föllinger 1993, 268. Non c'è dunque alcuna necessità di supporre una lacuna come
Joachim e Löbl, né di accettare la lezione ejp ei; di altri manoscritti come Rashed 2005, 38 e
138s. n. 6.
Isocr. Hel. 3 pw'" ga;r a[n ti" uJp erbavloito Gorgivan to;n tolmhvsanta levgein wJ" oujde;n tw'n
o[ntwn e[stin h] Zhv nwna to; n taujta; dunata; kai; pavlin ajd uvnata peirwvmenon ajpofaiv nein h]
Mevlisson o}" ajpeivrwn to; plh'qo" pefukovtwn tw' n pragmavtwn wJ" eJno; " o[nto" tou' panto;"
ejpeceivrhsen ajpodeivxei" euJrivskein;
Isocr. Antid. 268 (82 B 1 DK) ª...º tou;" lovgou" tw'n palaiw'n sofistw'n, w|n oJ me;n a[p eiron
to; plh'qo" e[fhsen ei\ nai tw'n o[ntwn ª...º Parmenivdh" de; kai; Mevlisso" e{ n, Gorgiva" de; pantelw'" oujdev n. Platone, nel Sofista (242c), fa ricorso ad una lista simile, ma senza contem-
plare i sostenitori dell'infinita pluralità e del numero zero.
120
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
Senofonte riproduce, da parte sua, nei Memorabili, varianti di questo
schema in una forma ancora più decisamente antitetica. Il suo Socrate
paragona infatti coloro che si occupano della ricerca sulla natura a due
schiere di pazzi che sostengono tesi contrarie: gli uni sono dell'opinione
che l'essere sia uno solo, gli altri invece che gli enti siano infiniti di numero, gli uni pensano che tutto si muova, gli altri che nulla si muova, gli
uni che tutto si generi e si distrugga, gli altri che nulla mai si generi e si
distrugga34. Il panorama descritto da Senofonte rimanda in effetti ai dibattiti pubblici fra "filosofi" cui allude anche Gorgia nell'Encomio di Elena (82
B 11 (13) DK). Gorgia stesso sta probabilmente all'origine di questi
schemi di diaphonia: nel suo scritto Sul non essere aveva infatti delineato le
posizioni antitetiche dei suoi predecessori prima di passare alla dimostrazione che nulla esiste35.
E' possibile dunque che le origini remote del logos eleatico nel De generatione et corruptione siano da ricondursi ad una sintesi di ambiente sofistico
di dottrine contrapposte: da una parte i sostenitori della molteplicità e del
movimento, dall'altra quelli dell'unità e immutabilità dell'essere. Ad una
originaria matrice sofistica dello schema fa pensare anche la critica che
segue immediatamente (325a 17-23): se a parole queste dottrine sembrano
verosimili, nei fatti nessun pazzo andrebbe così fuor di senno da dire che
il ghiaccio e il fuoco sono la stessa cosa. Il tono fortemente ironico della
polemica e l'insistenza sulla maniva è estraneo alla tipologia delle critiche
aristoteliche sempre piuttosto misurate, anche quando sono più decise36.
Tale accusa, rivolta sia agli Eleati che ai loro antagonisti, era però un topos
nel periodo della sofistica come si può vedere nel passo di Senofonte citato sopra37. Critiche di questo tipo erano certamente conosciute anche
nella cerchia platonica se, nel Parmenide, Zenone afferma espressamente di
34
35
36
37
Xen. Memor. 1,1,13 ejp ei; kai; tou;" mevgiston fronou'nta" ejpi; tw'i peri; touvtwn levgein ouj
taujta; doxavzein ajllhvloi", ajlla; toi'" mainomevnoi" oJmoivw" diakei'sqai pro;" ajllhvlou" […]
tw'n te peri; th'" tw' n pavntwn fuvs ew" merimnwv ntwn toi'" me; n dokei'n e} n mov non to; o] n ei\nai,
toi'" d a[peira to; plh'qo": kai; toi'" me;n ajei; pav nta kinei'sqai, toi'" d oujde;n a[ n pote
kinhqh'nai: kai; toi'" me; n pav nta giv gnesqai te kai; ajpovllusqai, toi'" de; ou[t a]n genevsqai
pote; oujde; n ou[te ajpolevsqai.
MXG 979a 13-18 kai; o{ti me;n oujk e[sti, sunqei;" (scil. Gorgiva") ta; eJtevroi" eijrhmevna, o{soi
peri; tw'n o[ntwn lev gonte" tajnantiva, wJ" dokou'sin, ajpofaivnontai auJtoi'", oiJ me;n o{ti e} n kai;
ouj pollav, oiJ de; au\ o{ti polla; kai; oujc e{n. Cf. Mansfeld 1986, 32ss. [1990b, 55ss.]
Cf. ad es. le obiezioni rivolte a Parmenide e Melisso in Phys. A 2-3. Aristotele rivolge una
accusa simile, ma più attenuata (debolezza mentale) ai sostenitori della stasi continua in
Phys. Q 3, 253a 32 to; me;n ou\n pant hjremei'n kai; touvtou zhtei'n lovgon ajfevnta" th;n
ai[sqhsin, ajrrwstiva tiv" ejsti dianoiv a". La stranezza dell'accusa di follia nel brano del De
generatione et corruptione viene notata anche da Hussey 2004, 250.
Cf. Xen. Memor. 1,1,13 supra, n. 34. Cf. ancora l'accusa del Socrate di Senofonte ad Anassagora in Mem. 4,7,6. L'accusa di maniva viene utilizzata come strumento confutativo anche
nel trattato ippocratico De arte 8,2 (232,17 Jouanna = VI,12 Littré).
Capitolo terzo
121
aver voluto difendere il suo maestro da coloro "che volevano ridicolizzarlo" e di aver a sua volta dimostrato che, assumendo le tesi degli antagonisti, sarebbero risultate delle conseguenze ancora più risibili38.
L'originario schema sofistico consisteva probabilmente in una
contrapposizione dei sostenitori della stasi e dell'unicità dell'essere (Melisso?) alle tesi del movimento e della infinita molteplicità degli enti con
una successiva ridicolizzazione, però, dei primi. I passi di Isocrate e di
Senofonte suggeriscono inoltre alcune ulteriori considerazioni:
1. Il fatto che Isocrate (e in subordine anche Senofonte il quale però,
in generale, non fa nomi) in nessuno dei due passi menzioni i sostenitori
della pluralità infinita e che questa voce non compaia neppure nel passo
parallelo sul numero degli enti del Sofista platonico (242d) fa pensare che
tale posizione non venisse attribuita a nessuno in particolare, ma fosse
considerata una opinione corrente e condivisa che Platone, proprio in
quanto tale, non prende in considerazione. Si tratta dunque di una casella
"vuota" nello schema passibile di essere "riempita" con nomi diversi39.
2. Dagli schemi isocratei si ricava l'impressione che le tesi dei sostenitori dell'uno siano principalmente ricalcate sui logoi di Melisso che aveva
espressamente polemizzato contro coloro che ammettevano il movimento
e la molteplicità senza fare però precisi riferimenti40. Era infatti principal38
39
40
Parm. 128c e[sti de; tov ge ajlhqe;" bohvqeiav ti" tau'ta ta; gravmmata tw'i Parmenivdou lovgwi
pro;" tou;" ejpiceirou'nta" aujto; n kwmwidei'n wJ " eij e{n ejsti, polla; kai; geloi'a sumbaiv nei
pavscein tw'i lov gwi kai; ej nantiv a aujtw'i. Quella di portare alle sue conseguenze paradossali
una tesi era una pratica sofistica (Arist. Soph. elench. 12, 172b 10s.) ampiamente utilizzata
nella dialettica accademica. Nelle Confutazioni sofistiche (12, 173a 6), Aristotele esemplifica
l'eij" paravdoxon a[gein con un esempio tratto dal Gorgia platonico. Cf. su questi punti Krämer 1971, 45.
Aristotele, nel primo libro della Metafisica, cita come rappresentante di questa tesi Anassagora (A 3, 984a 11-13), mentre ordina gli atomisti fra i dualisti, nel primo della Fisica, invece, i sostenitori dell'infinita pluralità sono Democrito e probabilmente Anassagora (A 2,
184b 20) e all'inizio del De generatione et corruptione (A 1, 314a 17s.), in ordine: Anassagora,
Leucippo, Democrito.
Melisso parte dalla considerazione che tutto ciò che vediamo è molteplice e cambia. Se
tuttavia si ammette che ciò corrisponda alla verità, ma che, d'altra parte, esista una molteplicità di enti eterni che rimangono, si va incontro a due difficoltà principali: A. Che questo
va contro la verità dei fenomeni da cui si parte per affermare che c'è la molteplicità (com'è
possibile infatti dire che ci sono i molti perché noi vediamo che tutto cambia e poi affermare nello stesso tempo che non è vero ciò che noi vediamo e che ci sono dei molti che
non cambiano?). B. Che questi enti eterni o hanno una massa, e quindi hanno parti e sono
una molteplicità soggetta alla dissoluzione come tutto il resto o, se non hanno parti, non
sono nulla perché sono incorporei (30 B 8 e B 9 DK). La priorità di Melisso o Leucippo è
ancora argomento di discussione, ma, se Melisso è il generale che ha combattuto contro
Pericle, Leucippo, contemporaneo di Anassagora, dovrebbe essere più vecchio di una ventina d'anni. Questo non esclude naturalmente che egli potesse criticare un suo contemporaneo più giovane, ma il fatto che il nome di Melisso come rappresentante dell'uno e della
stasi emerga soprattutto negli autori di fine V-inizio IV sec. a.C. oltre che presso il Socrate
122
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
mente Melisso per gli autori di inizio IV sec. a.C. il sostenitore-tipo dell'unicità dell'essere, come si può vedere dal passo dell'Elena e dallo scritto
ippocratico De natura hominis risalente a questo periodo41. In Isocrate gli
Eleati negano la realtà della molteplicità infinita posta da altri secondo uno
schema usato anche da Platone e Aristotele nell'ambito della problematica
della stasi e del movimento. Nel Teeteto "i Melissi e i Parmenidi" si opporrebbero42 ai sostenitori del moto continuo ("Eraclitei" e loro predecessori)
e nel quarto libro della Fisica Melisso risponde a coloro che ammettono il
vuoto (fra i quali sono compresi anche gli atomisti) che quest'ultimo è un
non-essere43. In una problematica del movimento e della stasi o dell'uno e
del molteplice, il logos eleatico poteva comparire dunque tanto come tesi,
quanto come antitesi.
2. 2. 2. Le problematiche accademiche del logos: vuoto, contatto e divisione
Lo schema sofistico si presenta tuttavia estremamente rielaborato nel resoconto aristotelico. La terminologia rimanda a definizioni del vuoto e a
discussioni sulla divisibilità all'infinito riecheggiate anche in altre opere
aristoteliche, che hanno però le loro radici nelle discussioni accademiche
sui primi principi: l'uno e la diade indefinita. In particolare le definizioni
del vuoto alla base del logos eleatico sono estremamente importanti per
individuare i pre-supposti del passo. Fra gli "Eleati" l'unico ad aver parlato
espressamente di vuoto è Melisso44. Tutte le interpretazioni moderne che
hanno attribuito allusioni al vuoto a Parmenide si basano su pure speculazioni e su una esegesi decontestualizzata del poema, non hanno quindi
alcuna reale consistenza. Melisso aveva negato l'esistenza del vuoto, in
quanto "non essere", e con questo anche quella del movimento e del
41
42
platonico, suggerisce in ogni caso che le sue dottrine hanno avuto una larga diffusione solo
in un periodo in cui Leucippo era presumibilmente già morto.
Nat. hom. 1 (166,9-11 Jouanna = VI,34 Littré), cf. Mansfeld 1986, 34 [1990b, 56s.]. Platone
stesso (cf. Theaet. 180e, nota seguente) menziona Melisso prima di Parmenide e Aristotele,
nel primo libro dei Topici (A 11, 104b 22), indica come sostenitore della tesi paradossale che
l'essere è uno Melisso e non Parmenide.
Plat. Theaet. 180e to; de; dh; provblhma a[llo ti pareilhvfamen para; me;n tw'n ajrcaivwn meta;
poihvsew" ejpikruptomev nwn tou; " pollouv", wJ" hJ gevnesi" tw' n a[llwn pavntwn Wkeanov" te
kai; Thqu;" rJeuvmata ão[ntaà tugcav nei kai; oujde; n e[ sthke ª...º ojlivgou de; ejpelaqovmhn, w\
Qeovdwre, o{ti a[lloi au\ tajnantiva touvtoi" ajp efhvnanto (cit. errata di 28 B 8,38 DK) kai;
a[lla o{sa Mevlissoiv te kai; Parmenivdai ejnantiouvmenoi pa'si touvtoi" diiscurivzontai, wJ"
e{n te pavnta ejsti; kai; e{sthken aujto; ej n auJ tw'i oujk e[con cwvr an ej n h|i kinei'tai. In questo
43
44
passo Platone traduce significativamente nel concetto più astratto di chora il vuoto di Melisso (30 B 7 DK kenou' de; mh; ejovnto" oujk e[cei o{khi uJpocwrhvs ei).
Phys. D 6, 213b 4-14, v. infra, 4. 1. 1 n. 104.
Cf. anche Barnes 1986, 217s.; Curd 2004, 182 n. 7.
Capitolo terzo
123
denso e del rado, in quanto quest'ultimo è più vuoto del denso (30 B 7,6-9
DK). Nell'argomento riportato da Aristotele emergono tuttavia una impostazione del problema e una terminologia che vanno ben oltre il frammento di Melisso. Il vuoto è definito come "ciò che separa" (definizione
che non compare in Melisso), quindi, in seguito, equiparato alla divisione e
concepito come un sostrato della realtà: se il tutto fosse diviso in ogni
parte, esso si ridurrebbe a un tutto vuoto.
Per comprendere meglio i concetti soggiacenti a questa rielaborazione
di tesi eleatiche offerta nel logos aristotelico, è opportuno andare alla discussione sul vuoto e sul luogo del quarto libro della Fisica. Aristotele
presenta qui due concezioni del vuoto: quella di Platone e dei Platonici e
quella attribuita a "Democrito, Leucippo e a molti dei fisici". I primi postulerebbero un vuoto-spazio concepibile mentalmente come sostrato
"separato" di corpi e grandezze, ma nella realtà sempre pieno (la Chora del
Timeo e il vuoto come ipostasi fisica della diade indefinita dei Platonici45).
Per gli altri, invece, il vuoto esiste "in atto" e "divide l'intera massa corporea del tutto in modo che sia discontinua" o "si trova fuori della massa
corporea del tutto"46. Le definizioni del vuoto che Aristotele attribuisce
agli atomisti e ad altri fisici sono in realtà modellate su quelle pitagoriche,
come si può constatare dal seguito dell'esposizione. Egli riferisce infatti
poco dopo che nelle cosmogonie pitagoriche, l'universo respira dall'infi45
Phys. D 2, 209b 6-12, per il testo, v. infra, n. 59. Phys. D 7, 214a 13 diov fasivn tine" ei\nai to;
keno; n th;n tou' swvmato" u{lhn (oi{per kai; to;n tovpon to; aujto; tou'to), levgonte" ouj kalw'": hJ
me;n ga;r u{lh ouj cwristh; tw' n pragmavtwn, to; de; keno; n zhtou' sin wJ" cwristovn. Che questa
sia la concezione dei Platonici, derivata dall'interpretazione della Chora del Timeo alla luce
del secondo principio, la diade indefinita, è confermato dal commento di Simplicio In Phys.
cor. de loc., 618,16 (267 L.) pavlin de; au\ tw'n to; keno;n aujto; tiqemevnwn oiJ me;n a[peiron
ei\naiv fasi kai; uJperbavllon ajpeirivai ta; swvmata kai; dia; tou'to a[llo ejn a[lloi" eJautou'
mevresi katadecovmenon, wJ" a]n e[t ucen, ei[per mevrh levgein ejpi; tou' ajpeivrou kenou' dunatov n.
toiauvthn de; peri; aujtou' dovxan ejs chkev nai dokou'sin oiJ peri; Dhmovkriton ajrcai'oi fusiolovgoi. oiJ de; ijsovmetron aujto; tw'i kosmikw'i swvmati poiou'si, kai; dia; tou'to th'i me;n eJautou'
fuvsei keno; n ei\ nai lev gousi, peplhrw'sqai de; aujto; swmavtwn ajeiv, kai; movnhi ge th'i ejpinoivai qewrei'sqai wJ" kaq auJ to; uJfestwv", oi|oiv tine" oiJ polloi; tw'n Platonikw'n filosovfwn
gegov nasi. Cf. anche 601,17 (266 L.). Per "Platonici" sono intesi qui gli allievi diretti di
Platone, cf. la stessa denominazione in In De cael. 279b 32, 303,33 dokei' me;n pro;" Xenokravthn mavlista kai; tou;" Platwnikou; " oJ lov go" teivnein. Per la concezione accademica del
vuoto come ipostasi della diade indefinita nel mondo fisico, cf. Theophr. Metaph. 6a 25
(Xenocr. Fr. 100 IP; Speus. Fr. 87 IP) tou;" ga;r ajriqmou;" gennhvsante" kai; ta; ejpivpeda kai;
46
ta; swvmata scedo;n ta\lla paraleivpousin plh;n o{son ejf aptovmenoi kai; tosou'ton movnon
dhlou'nte", o{ti ta; me;n ajpo; th'" ajorivstou duavdo", oi|on tovpo" kai; keno; n kai; a[peiron, ta; d
ajpo; tw' n ajriqmw' n kai; tou' eJ no;", oi|on yuch; kai; a[ll a{tta. Cf. anche Happ 1971, 111s.
Phys. D 6, 213a 31 ou[koun tou'to dei' deiknuvnai, o{ti ejstiv ti oJ ajhvr, ajllæ o{ti oujk e[sti
diavsthma e{teron tw' n swmav twn, ou[te cwristo;n ou[ te ej nergeivai o[n, o} dialambavnei to; pa'n
sw'ma w{s te ei\nai mh; sunecev", kaqavper lev gousin Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" kai; e{ teroi
polloi; tw'n fusiolovgwn, h] kai; ei[ ti e[xw tou' panto; " swvmatov" ejstin o[nto" sunecou' ". Per la
traduzione, cf. Ross 1960, 582 ad loc.
124
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
nito il vuoto che entra e lo divide poiché "il vuoto è una separazione e una
delimitazione di parti contigue"47. La definizione del vuoto attribuita qui
agli atomisti non dà ragione della complessità della loro concezione, come
si vedrà in seguito48, ma, soprattutto, si basa sull'idea che esista una massa
omogenea primordiale dalla quale il cosmo si genera per divisione, tipica
dei Pitagorici. Gli atomisti in realtà partono dal principio opposto, da
corpuscoli che si muovono nel vuoto e generano per aggregazione. La
definizione "pitagorica" del vuoto come "ciò che separa" e che permette la
molteplicità sta alla base del discorso degli "Eleati" in De generatione et corruptione A 8. Secondo la prospettiva assimilante del quarto libro della Fisica,
la critica eleatica potrebbe, però, senza problemi essere rivolta anche contro gli atomisti.
La seconda parte del logos eleatico è invece diretta contro presunte tesi
corpuscolariste, che, pur senza ammettere il vuoto, comporrebbero il tutto
da particelle separate, ma in contatto. La confutazione di queste tesi è
basata ancora sulla equivalenza vuoto-divisione, ma con l'aggiunta significativa della concezione del vuoto come sostrato pensabile tipica degli
Accademici.
D'altra parte non c'è nessuna differenza fra il credere che il tutto non sia continuo, ma [fatto di parti che] si toccano rimanendo separate, e l'affermare che esistono i molti, che non c'è un "uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisibile in ogni parte, non c'è un "uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma il
tutto è vuoto. Ammettere d'altra parte che è divisibile in un punto e non in un
altro è simile ad una spiegazione inventata ad arte; infatti fino a che punto e perché una parte del tutto si trova in questa condizione ed è piena, un'altra parte invece è divisa? Allo stesso modo è necessario affermare che non esiste il movimento49.
L'equivalenza di vuoto e divisione, oltre che essere un concetto mutuato
dal pitagorismo, è in perfetta consonanza con la proiezione a livello fisico
del secondo principio accademico, la diade indefinita, quella che genera
divisione e molteplicità: il vuoto, sostrato pensabile del mondo sensibile,
ne è una manifestazione50 e l'infinita divisione lo farebbe emergere nella
sua attualità. L'equivalenza divisione-vuoto permette inoltre di porre sullo
47
Arist. Phys. D 6, 213b 22-27 (58 B 30 DK) ei\nai d e[f asan kai; oiJ Puqagovreioi kenovn, kai;
ejpeisievnai auj tw'i tw'i oujranw'i ej k tou' ajpeivrou †pneuv mato"† wJ " aj napnevo nti kai; to; kenovn,
o} diorivzei ta;" fuvsei", wJ" o[ nto" tou' kenou' cwrismou' tino" tw'n ejfexh'" kai; [th'"] diorivsew". Sul problema testuale e i vari emendamenti, cf. Burkert 1972, 35 n. 35. Cf. inoltre
Arist. Phys. G 4, 203a 10ss.; Fr. 201 Rose.
48
V. infra, 4. 2. 2 e VII 2.
Per il testo greco, v. supra, n. 31.
V. supra, n. 45.
49
50
Capitolo terzo
125
stesso piano presunte dottrine corpuscolari e atomiste51. Se infatti non c'è
più nessuna distinzione fra i due concetti, ambedue le teorie sono attaccabili secondo i presunti postulati eleatici in quanto ambedue non solo introducono il non essere, ma, o riducono il tutto a nulla, o pongono artificialmente un arresto della divisione ipotizzando che una parte sia piena e
l'altra no senza ulteriori giustificazioni. La stessa critica viene rivolta ad un
inusitato Empedocle atomista nel seguito del brano aristotelico52. Di una
riduzione a un tutto vuoto attraverso la divisione non parlano né Zenone 53
né Melisso il quale si limita ad equiparare la divisione al movimento54 seguito in questo da Gorgia che, secondo l'autore del trattatello De Melisso
Xenophane et Gorgia, parlava di divisione invece che di vuoto55.
Parte delle argomentazioni riportate da Aristotele, sviluppano sul
piano fisico gli assunti del Parmenide platonico. Il vecchio Parmenide,
esaminando alcune conseguenze dell'ipotesi "se l'uno non è" (una rilettura
dell'aporia del Fr. 29 B 1 DK di Zenone), presentava lo scenario angosciante di una processione continua alla ricerca di quell'uno che manca e
che sempre sfugge56. Egli concludeva che, se l'uno non è, anche "l'altro
dall'uno", vale a dire la molteplicità, non può esistere in quanto, essendo
questa composta di unità, il tutto si riduce a nulla: eij ga;r mhde;n aujtw'n
51
Una unificazione fra atomismo e presunto corpuscolarismo in senso inverso, dove il vuoto
degli atomisti viene equiparato ad una divisione e quindi, di fatto, privato della sua fisicità si
trova ancora in un brano della Fisica sulla definizione di infinito: per Democrito e Anassagora sarebbe "continuo per contatto", Phys. G 4, 203a 16 (68 A 41 DK; 145, 220, 237 L.)
o{soi dæ a[peira poiou'si ta; stoicei'a, kaqavper Anaxagovra" kai; Dhmovkrito", oJ me; n ejk tw'n
oJmoiomerw'n, oJ dæ ejk th' " panspermiva" tw'n schmavtwn, th'i aJfh'i sunece;" to; a[peiron ei\nai
fasivn. Schofield 1980, 47 ha notato questa strana assimilazione senza tuttavia fermarsi ul-
52
53
54
55
teriormente sul problema.
Sulle ascendenze accademiche di una tale interpretazione che emerge anche in altri scritti
aristotelici, cf. Gemelli Marciano 1991a. Cf. in particolare l'assimilazione dell'atomismo ad
un presunto corpuscolarismo empedocleo che postula corpuscoli indivisi anche se ulteriormente divisibili in De cael. G 6, 305a 1-6, supra, II 4. 1 n. 56.
Furley 1967, 80, che fa risalire a Zenone l'argomento dell'infinita divisione, trova infatti
strana l'equivalenza, non zenoniana, di "tutto diviso" e "tutto vuoto". Questo punto è invece trascurato da Makin 1993, 27s. e Lewis 1998, 15ss. che, come Furley, attribuiscono
l'argomentazione a Zenone.
Mel. 30 B 10 DK. eij ga;r dihvirhtai, fhsiv, to; ejovn, kinei'tai: kinouvmenon de; oujk a]n ei[h.
MXG 980a 3-9 w{ste eij pavnthi kinei'tai, pavnthi dihvirhtai. eij dæ ou{tw", pavnta oujk e[stin.
ejklipe;" ga;r tauv thi, fhsivn, h|i dihvirhtai, tou' o[nto", ajnti; tou' kenou' to; dihirh'sqai levgwn,
kaqavper ej n toi'" Leukivppou kaloumev noi" lovgoi" gev graptai. Questo significa che Gorgia
56
evidentemente non impiegava il termine "vuoto" e che l'autore del trattatello si basa per la
sua deduzione su una equivalenza fra vuoto e divione presente in un "discorso-tipo" messo
in bocca a Leucippo (nei cosiddetti logoi di Leucippo). V. supra, 2. 1, n. 17.
Parm. 165a-b prov te th'" ajrch'" a[llh ajei; faivnetai ajrchv, metav te th;n teleuth;n eJtevr a
uJpoleipomevnh teleuthv, e[n te tw'i mevswi a[lla mesaivtera tou' mevsou, smikrovtera dev, dia;
to; mh; duv nasqai eJ no;" aujtw' n eJ kavs tou lambav nesqai, a{ te oujk o[ nto" tou' eJ nov".
126
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
ejsti;n e{n, a{panta oujdevn ejstin, w{ste oujd a]n polla; ei[h57. Nel brano
aristotelico quest'ultimo assunto è riprodotto quasi letteralmente: eij me;n
ga;r pavnthi diairetovn, oujde;n ei\nai e{n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno;n to;
o{lon. L'oujdevn platonico è sostituito dal vuoto, ipostasi fisica della diade
indefinita. Il tutto vuoto è infatti concepibile se si considera il vuoto un
sostrato spaziale pensabile delle grandezze, nella realtà sempre occupato.
Come già accennato, Aristotele esemplifica questo assunto nel quarto libro
della Fisica proprio parlando della concezione accademica del "luogo" che
equivarrebbe, secondo lui, al "vuoto"
In quanto sembra essere l'intervallo della grandezza, il luogo è materia/ sostrato58:
questo è infatti altro dalla grandezza, cioè è lo spazio occupato e delimitato dalla
forma, ad esempio da una superficie e da un limite. E questo è la materia/ il sostrato e l'indefinito. Se si sottraggono la superficie delimitante e le proprietà della
sfera, non rimane nulla al di là della materia/ del sostrato. Perciò Platone nel Timeo dice che la materia e lo spazio sono la stessa cosa…59
L'equivalenza fra tutto-diviso e tutto-vuoto di cui gli "Eleati" di Aristotele
si servono per criticare dottrine che ammettono una infinita serie di parti
che si toccano ha dunque le sue radici nelle concezioni accademiche del
vuoto come manifestazione fisica della diade indefinita.
Si può dunque concludere che il logos eleatico riportato da Aristotele
presenta tracce della rielaborazione accademica di uno schema sofistico di
opposizione degli Eleati (in particolare di Melisso) ai pluralisti. Il logos
prendeva di mira sia atomisti che presunti corpuscolaristi accusandoli di
introdurre il non essere, ridurre tutto a vuoto o postulare un arbitrario
arresto della divisione in un tutto omogeneo e dimostrava che costoro,
avendo ricercato dei principi corporei, erano criticabili dal punto di vista
eleatico, in quanto, in mancanza di ulteriori fondamenti logici e ontologici,
non spiegavano perché un essere omogeneo (corporeo) potesse essere da
una parte diviso e dall'altra no. Solo attraverso la ricerca di principi incorporei e la definizione di categorie logiche universali, anche la molteplicità
del mondo fisico poteva essere spiegata in modo soddisfacente.
57
58
59
Parm. 165e.
Lascio qui espressa la doppia valenza del termine perché la sola accezione "materia" potrebbe dare adito a fraintendimenti. Sul significato di "materia" in questo passo cf. Happ
1971, 129; Algra 1995, 114s.
Cf. Phys. D 2, 209b 6-12 h|i de; dokei' oJ tovpo" ei\nai to; diavsthma tou' megeqou", hJ u{lh: tou'to
ga;r e{teron tou' megevqou", tou'to dæ ejsti; to; periecovmenon uJpo; tou' ei[dou" kai; wJrismevnon,
oi|on uJpo; ejpipevdou kai; pevr ato", e[sti de; toiou'ton hJ u{lh kai; to; ajovriston: o{tan ga;r ajf aireqh'i to; pevra" kai; ta; pavqh th'" sfaivra", leivpetai oujde;n para; th;n u{lhn. dio; kai; Plavtwn
th;n u{lhn kai; th; n cwvr an taujtov fhsin ei\nai ej n tw'i Timaivwi.
Capitolo terzo
127
3. Logoi eleatici nell'Accademia?
3. 1. Il logos eleatico di Porfirio 135 F Smith
(Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24)
I commentatori di Aristotele attribuiscono costantemente la soluzione
delle aporie eleatiche dell'uno e del molteplice non agli atomisti, ma a
Senocrate. Egli sembra aver postulato indivisibili come "misure" e ipostasi
dell'uno ad ogni livello dell'essere, dai corpi alle grandezze matematiche 60
distinguendo i concetti di uno (come parte, indivisibile) e di essere (come
tutto, divisibile e derivante dalla combinazione dell'uno con il secondo
principio, la diade indefinita). Il limite ultimo assoluto della realtà fisica
sarebbe però la linea indivisibile che Senocrate avrebbe postulato partendo
dall'aporia "zenoniana" della divisione all'infinito, il cosiddetto "logos della
dicotomia" la cui formulazione esatta peraltro non è mai stata individuata
con sicurezza61. Presso le fonti antiche, al di fuori dei testi aristotelici, la
soluzione di questo paradosso con la dottrina degli indivisibili viene costantemente riportata a Senocrate, non a Leucippo o a Democrito62. Fra
questi testi uno, quello di Porfirio, è particolarmente interessante in
quanto, contrariamente a tutti gli altri, attribuisce il logos della dicotomia,
cui Senocrate avrebbe risposto, non a Zenone, ma a Parmenide riportandolo per esteso come citazione letterale (fhsiv). Tale logos presenta delle
analogie con quello eleatico di De gen. et corr. A 8 e con la dimostrazione
della necessità degli indivisibili di A 2 che verrà trattata più oltre, ma non
60
61
62
Riguardo all'interpretazione degli indivisibili senocratei esiste una certa confusione nelle
fonti antiche. Se la tendenza dei neoplatonici è quella di trasporre l'indivisibilità della linea
nell'ambito delle forme intellegibili, il trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus presenta invece un allargamento degli indivisibili anche a tutte le grandezze matematiche e ai
corpi postulando degli indivisibili ad ogni livello dell'essere come "misure" e ipostasi dell'uno. Cf. Krämer 1971, 356-362; 1983, 55; Heinze 1892, 62s.; Isnardi Parente 1974, 966ss.
con una esauriente bibliografia sull'argomento.
Di un logos sulla dicotomia parlano sia Aristotele (Phys. A 3, 187a 1-3, v. infra, 3. 2) che i
commentatori, ma Aristotele non sembra riferirsi a nessuno dei logoi di Zenone fra quelli
riportati da Simplicio. In Phys. Z 9, 239b 11-14 (29 A 25 DK) sembra identificarlo con il
primo argomento contro il movimento secondo cui un mobile che si muove lungo una linea, prima di arrivare ad un dato punto, deve sempre percorrere la metà del segmento di
cui quel punto è l'estremo. Simplicio (In Phys. 187a 1, 140,27-141,8) invece, parlando dell'argomento della dicotomia, riferisce i frammenti 59 B 1 e B 3 DK che illustrano il processo all'infinito nell'individuazione delle parti del tutto. A questo argomento si riferiscono
per lo più gli interpreti moderni, cfr. Ross 1936, 479s.; Furley 1967, 63-69; Baldes 1972,
30).
Aristotele stesso, quando nel terzo libro della Fisica ribadisce l'infinita divisibilità delle
grandezze, cita come esempio-tipo di soluzione atomista, le linee indivisibili e non gli atomi
di Democrito Phys. G 6, 206a 16-18 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevr geian oujk e[stin
a[peiron, ei[rhtai, diairevs ei d ejstiv n: ouj ga;r calepo;n aj nelei' n ta;" ajtovmou" grammav".
128
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
deriva da Aristotele. In primo luogo perché la risposta al logos eleatico è
attribuita a Senocrate e non a Leucippo, secondariamente perché le presunte argomentazioni di Parmenide sono dirette esplicitamente sia contro
dottrine corpuscolari che atomiste, cosa che nel logos aristotelico viene
sottaciuta.
Secondo Porfirio, Parmenide avrebbe utilizzato il "logos della dicotomia" per dimostrare che l'essere è uno e, come tale, indivisibile e privo di
parti.
Porfirio, comunque, dice che anche il logos della dicotomia è di Parmenide il quale
cercava di dimostrare, partendo dalla dicotomia, che l'essere è uno. Egli scrive
quanto segue: "Parmenide aveva un altro logos, quello che si riteneva dimostrasse
attraverso la dicotomia che l'essere è uno solo e che questo uno è privo di parti e
indivisibile. Se infatti l'essere fosse divisibile, dice, lo si divida in due parti, e poi
ancora ciascuna delle due parti in due. Se si continua con quest'operazione, è
chiaro —dice— che, o rimarranno alcune grandezze ultime minime e insecabili, infinite di numero, e il tutto sarà composto di minimi infiniti per numero, o sparirà e si
dissolverà nel nulla e sarà composto dal nulla. Queste ipotesi sono assurde, dunque non si dividerà, ma rimarrà uno. E infatti, dal momento che l'essere è omogeneo in ogni parte, se è divisibile, lo sarà dappertutto allo stesso modo, ma non
in una parte sì e nell'altra no. Lo si divida dunque in ogni parte; è chiaro perciò
nuovamente che non rimarrà nulla e sparirà e, se si ricomporrà, si ricomporrà dal
nulla. Se infatti rimarrà qualcosa, non sarà ancora diviso in ogni parte. Da questo
è chiaro —dice— che l'essere è indivisibile e privo di parti e uno"63.
Il logos di Parmenide riferito da Porfirio presenta delle analogie con quello
eleatico del De generatione et corruptione A 8 in quanto assimila le due soluzioni atomista e corpuscolarista e afferma che, ammettendo la divisione, il
tutto si riduce a nulla. Il logos di Porfirio, però, dice espressamente che non
si può arbitrariamente fermare la divisione a corpuscoli minimi e indivisibili perché l'essere è omogeneo, cosa che nel logos aristotelico viene presupposta, ma non esplicitata. Inoltre accenna a due presunti paradossi risultanti dalla prospettiva della ricomposizione del tutto (che riemergono in
De generatione et corruptione A 2 e presuppongono una equivalenza fra ciò
63
Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24) (Xenocr. Fr. 139 IP) oJ mevntoi Porfuvrio" kai; to;n ejk th'" dicotomiva" lovgon Parmenivdou fhsi;n ei\nai e} n to; o]n ejk tauv th"
peirwmevnou deiknuv nai. gravfei de; ou{tw": Æe{tero" de; h\ n lovgo" tw'i Parmenivdhi oJ dia; th'"
dicotomiva" oijovmeno" deiknuvnai to; o]n e} n ei\nai movnon kai; tou'to ajmere; " kai; ajdiaivreton. eij
ga;r ei[h, fhsiv, diairetovn, tetmhvsqw divca, ka[peita tw' n merw' n eJkavteron divca, kai; touvtou
ajei; genomev nou dh'lovn fhsin, wJ" h[ toi uJpomenei' tina; e[scata megevqh ejl av cista kai; a[toma,
plhvqei de; a[peira, kai; to; o{lon ejx ejlacivstwn, plhvqei de; ajpeivrwn susthv setai: h] frou'don
e[stai kai; eij" oujqe; n e[ ti dialuqhvsetai, kai; ejk tou' mhdeno;" susthvs etai: a{per a[ topa. oujk
a[ra diaireqhvsetai, ajlla; menei' e{n. kai; ga;r dh; ejpei; pavnthi o{moiovn ejstin, ei[per diaireto;n
uJpavrcei, pavnthi oJ moivw" e[ stai diairetovn, ajll ouj th'i me; n th'i de; ou[. dihirhvsqw dh; pav nthi:
dh'lon ou\n pavlin wJ" oujde;n uJpomenei', ajll e[stai frou'don, kai; ei[per susthvsetai, pavlin ejk
tou' mhdeno;" susthvsetai. eij ga;r uJpomenei' ti, oujdev pw genhvsetai pav nthi dihirhmevnon.
w{ste kai; ej k touv twn fanerov n fhsin, wJ " ajdiaivretovn te kai; ajmere; " kai; e} n e[stai to; o[n.
Capitolo terzo
129
che può essere pensato e la realtà infra, IV 4. 1): la ricostituzione da minimi indivisibili darebbe come risultato una estensione infinita. Nel caso
della divisione all'infinito invece, l'essere dovrebbe ricomporsi dal nulla e
cioè dal non essere. Rispetto al logos aristotelico manca in quello di Porfirio
la menzione esplicita del vuoto e l'equiparazione vuoto-divisione. Questo
dipende dalla diversa focalizzazione delle aporie: il logos di Porfirio, come
anche quello di De generatione et corruptione A 2, è incentrato principalmente
sull'aporia della divisibilità all'infinito, quello di De generatione et corruptione A
8 su quella dell'esistenza del non essere.
Porfirio continua riportando la risposta di Senocrate al logos parmenideo:
Senocrate ha ammesso che sussista la prima conseguenza, cioè che, se l'essere è
uno, è anche indivisibile, ma l'essere non è indivisibile. Perciò ancora l'essere non
è uno, ma molti. Pertanto esso non è divisibile all'infinito, ma la divisione ha fine
in certi indivisibili. Questi, però, non sono indivisibili in quanto minimi privi di
parti, ma, in relazione alla quantità e alla materia sono divisibili e hanno parti, in
relazione invece alla forma, sono indivisibili e primi, assumendo che ci siano alcune linee indivisibili prime e che ci siano superfici prime da queste formate e solidi primi. Dunque Senocrate crede di risolvere l'aporia derivante dalla dicotomia
e semplicemente dalla sezione e dalla divisione all'infinito, introducendo le linee
indivisibili e in generale assumendo grandezze indivisibili, evitando di dissolvere e
di eliminare l'essere nel non essere dal momento che le linee indivisibili da cui gli
esseri sono composti, rimangono insecabili e indivisibili64.
Il lungo brano di Porfirio propone uno schema di aporia e soluzione nella
quale si possono distinguere due momenti:
1. la "tesi" dell'unità dell'essere di Parmenide diretta nel contempo
contro soluzioni atomiste e corpuscolariste.
2. l'"antitesi" di Senocrate il quale fa a Parmenide alcune concessioni
(indivisibilità è uguale ad unità), correggendone però il presupposto fondamentale, dando cioè una diversa definizione dei concetti universali di
essere (divisibile e molteplice) e di uno (indivisibile). Le grandezze indivisibili proposte da Senocrate sarebbero comunque diverse dai minimi criti64
Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,5) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n
Xenokravthn th; n me;n prwvthn ajkolouqivan uJp ei'nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to;
o]n kai; ajdiaivreton e[stai, ouj mh;n ajdiaivreton ei\nai to; o[n. dio; pavlin mhde; e} n movnon
uJpavrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mev ntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij" a[tomav tina
katalhvgein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavcista, aj lla; kata; me; n to;
poso;n kai; th; n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw' ta, prwvta" tina;"
uJpoqevmeno" ei\nai gramma; " aj tovmou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta. th;n ou\n
ejk th'" dicotomiva" kai; aJplw'" th' " ejp a[p eiron tomh'" kai; diairevsew" uJp antw'san ajporivan oJ
Xenokravth" oi[etai dialuvesqai ta; " ajtovmou" eijsagagw;n gramma; " kai; aJ plw'" a[toma poihvsa" megevqh, feuvgwn to; ãto;Ã o] n ei[per ejs ti; diaireto;n eij " to; mh; o]n dialuqh'nai kai;
ajnalwqh'nai tw'n aj tovmwn grammw' n ejx w| n uJfivstatai ta; o[ nta menousw' n ajtmhvtwn kai; ajdiairevtwnÆ.
130
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
cati da Parmenide in quanto sarebbero indivisibili solo "secondo la
forma", ma non "secondo la quantità e la materia" cioè non dal punto di
vista matematico. Porfirio rielabora senz'altro la dottrina di Senocrate alla
luce dei concetti aristotelici di materia e forma per difenderlo dagli attacchi
che gli erano stati rivolti da Aristotele stesso di essere andato contro la
matematica assumendo degli indivisibili.
I presupposti teorici della soluzione senocratea dell'aporia sono esposti tuttavia più chiaramente da Alessandro secondo cui, però, Senocrate
risponderebbe a Zenone. L'Accademico avrebbe basato la sua soluzione
sulla differenza fra tutto (l'essere, divisibile e molteplice) e parte (l'uno,
indivisibile). Egli avrebbe dunque concesso che tutto ciò che è divisibile è
molteplice e che non è possibile che la stessa cosa sia uno e molti, ma
avrebbe affermato che non tutte le grandezze sono divisibili e hanno parti
(perché altrimenti non esisterebbe un uno) e posto come unità le linee
indivisibili65. Nonostante le diversità, Alessandro concorda con Porfirio
nei concetti di fondo che hanno caratterizzato la teoria senocratea e che
corrispondono grosso modo a quelli riferiti nel trattato sulle linee indivisibili: Senocrate traccia una distinzione logica universale fra essere come
tutto (molteplicità definita e divisibile), e uno come parte indivisibile che
ne costituisce il limite ultimo e la misura66. In questo modo elimina l'aporia
dell'omogeneità dell'essere e della presenza contemporanea nello stesso
oggetto di unità e molteplicità e definisce dei limiti ultimi delle grandezze
(le linee indivisibili) che corrispondono all'unità. Porfirio, rispetto ad Alessandro, cerca di mascherare la parte dell'indivisibile dimensionale per non
esporre Senocrate alle critiche di essere andato contro i principi della matematica.
Per quanto riguarda il discorso di Parmenide, Porfirio non l'ha certamente inventato perché la frequente ripetizione di fhsiv indica che egli ha
davanti un testo di cui ritiene di riferire la lettera. Non riproduce d'altra
parte il logos di De generatione et corruptione A 8 perché parla apertamente di
una critica di Parmenide a tesi atomiste e di un superamento di tali dottrine da parte di Senocrate. Per inciso, il Filopono, commentando il brano
aristotelico, riproduce il modello esegetico porfiriano attribuendo a Par65
Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP) touvtwi de; tw'i lovgwi, fhsiv, tw'i
peri; th'" dicotomiva" ej ndou' nai Xenokravth to; n Kalchdovnion dexavmenon me; n to; pa'n to;
diaireto;n polla; ei\nai (to; ga;r mevro" e{teron ei\nai tou' o{lou) kai; to; mh; duvnasqai taujto; n
e{n te a{ ma kai; polla; ei\ nai dia; to; mh; sunalhqeuvesqai th; n ajntivf asin, mhkevti de;
sugcwrei'n pa' n mevgeqo" diaireto;n ei\nai kai; mevro" e[cein: ei\nai gavr tina" ajtovmou" grammav", ejf w|n ouj kevti ajlhqeuvesqai to; polla;" tauvta" ei\nai. ou{tw" ga;r w[ieto th;n tou' eJno; "
euJrivskein fuvsin kai; feuvgein th; n aj ntivfasin dia; tou' mhvte to; diaireto; n e} n ei\nai ajlla; pollav, mhvte ta;" aj tovmou" gramma;" polla; ajll e}n movnon.
66
Il valore fondamentale per il pensiero senocrateo della distinzione logica fra tutto e parte,
estesa a diversi ambiti, è stato messo in luce da Pines 1961, 5ss.
Capitolo terzo
131
menide il logos eleatico e interpretandolo come una critica congiunta all'atomismo e al corpuscolarismo incurante del fatto che lo scopo di Aristotele è quello di dimostrare come gli atomisti abbiano risposto agli Eleati e
non come Parmenide abbia confutato le dottrine atomiste67.
Porfirio si riallaccia ad un filone di tradizione platonica in quanto la
sua esposizione presenta diverse tracce che portano fino a Platone. Anche
quest'ultimo attribuiva infatti a Parmenide dei logoi in prosa a quanto risulta dal breve accenno del Sofista68. Simplicio, a dieci secoli di distanza, si
trovava davanti un testo di Parmenide nel quale, fra i versi, comparivano
alcune frasi in prosa69. C'era dunque, da Platone in poi, una tradizione che
attribuiva a Parmenide dei discorsi in prosa. Inoltre, come nel Parmenide
platonico l'Eleate confutava la dottrina delle idee di Socrate notevolmente
più giovane di lui, anche nel logos di Porfirio, Parmenide rigetta delle teorie
a lui cronologicamente posteriori quali quelle atomiste e corpuscolariste.
Ciò è indizio di una impostazione soprattutto dialettica e non cronologica
dei rapporti fra i vari autori. Inoltre la trasposizione a Parmenide di logoi
zenoniani ha il suo capostipite nel Parmenide platonico stesso dove le aporie di Zenone sono proposte da Parmenide e non è isolata nella tradizione
tarda. Favorino, a detta di Diogene Laerzio, trasferiva a Parmenide la paternità del famoso paradosso di Achille e della tartaruga70. Porfirio, d'altra
parte, era entrato in contatto non solo mediato71, ma anche diretto con
opere degli allievi di Platone. Simplicio riferisce come, in un commento al
Filebo, egli affermasse di aver corretto l'esposizione oscura e enigmatica
delle trascrizioni degli allievi di Platone del Peri; tajgaqou' del maestro72.
67
68
69
70
71
72
Philop. In De gen. et corr. 325a 6, 157,12ss. oJ de; ajlhqh;" lovgo" e[cei o{ti kai; kenou' mh; o[nto"
oujde;n kwluv ei kai; diaivresin ei\ nai kai; kivnhsin, tw' n pragmavtwn dihirhmevnwn me; n aJptomevnwn de; ajllhvlwn kai; kenw'i mh; dieirgomev nwn, tou'to aj nairw'n oJ Parmenivdh" fhsi;n o{ti to;
ou{tw" uJpotivqesqai oujd e;n diafevr ei tou' a[toma kai; keno;n eijsfevrein. povteron gavr, fhsiv, to;
o]n pav nthi ejsti; diaireto;n h] ou[ … eij me;n ga;r pavnthi ejsti; diairetovn, ouj movnon polla; oujk
e[stai ta; prav gmata, ajll oujde; e{ n (diaireqe; n ga;r pav nthi oujde; n e[s tai loipovn, ajlla; movnon
kenov n), eij de; mh; pav nthi diairetovn, peplasmev nwi to; toiou'ton e[oiken: dia; tiv ga;r ph'i mev n
ejsti diaireto;n ph'i d ou[… ou{tw de; kai; hJ tw'n aj tovmwn eijskwmavs ei dovxa, h|itini e{petai kai;
to; keno;n ei\nai.
Soph. 237a pezh'i te w|de eJkavstote levgwn kai; meta; mevtrwn.
Simpl. In Phys. 184b 15, 31,3 kai; dh; kai; katalogavdhn metaxu; tw'n ejp w'n ejmfevr etaiv ti
rJhseivdion wJ" auj tou' Parmenivdou e[con ou{ tw"...
Diog. Laert. 9,23 (30 A 1 DK) kai; prw'ton (scil. to;n Parmenivdhn) ejrwth'sai to;n Acilleva
lovgon, wJ " Fabwri'no" ej n Pantodaph'i iJstorivai. Cf. anche Diog. Laert. 9,29 (29 A 1 DK).
Egli aveva attinto ad opere di medioplatonici quali Dercillide che avevano letto direttamente scritti degli allievi di Platone quali Ermodoro. Cf. Porph. 146 F Smith (Simpl. In
Phys. 192a 3, 247,30ss.; Hermod. Fr. 7 IP).
Simpl. In Phys., 202b 36, 453,27-454,14 (Porph. 174 F Smith) kai; to; mevga de; kai; to; mikro;n
tiqei;" a[p eiron ei\ nai e[legen ej n toi'" Peri; taj gaqou' lovgoi", oi|" Aristotevlh" kai; ÔHrakleivdh" kai; ÔEstiai'o" kai; a[lloi tou' Plavtwno" eJtai'roi paragenov menoi ajnegravyanto ta;
rJhqevnta aijnigmatwdw'", wJ " ejrrhvqh, Porfuvrio" de; diarqrou'n aujta; ejpaggellovmeno" tavde
132
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
C'è inoltre un passo specifico delle Confutazioni sofistiche di Aristotele,
l'unico in cui Parmenide e Zenone siano accomunati come sostenitori
dell'uno non solo nel corpus aristotelico, ma anche negli autori del IV sec.
a.C. al di là di Platone73, che rimanda a discussioni in corso sulla definizione di essere e uno proprio come risposta congiunta ai due Eleati. Si
tratta di discussioni che non possono essere nate altro che nell'Accademia
ai cui modelli dialettici Aristotele si richiama nei Topici e nelle Confutazioni.
Parlando dei paralogismi legati all'omonimia Aristotele afferma:
altri sembrano sfuggire anche ai dialettici più sperimentati (un segno di questo
fatto è che spesso dibattono sui nomi, come ad esempio sul fatto se l'essere e
l'uno abbiano in tutti i casi lo stesso significato o un significato diverso; infatti agli
uni sembra che l'essere e l'uno significhino la stessa cosa, gli altri risolvono il logos
di Zenone e di Parmenide affermando che l'essere e l'uno si dicono in molti
modi)74.
La menzione congiunta di Parmenide e Zenone come monisti, estranea ad
Aristotele e inusitata fuori dai testi platonici, non può che derivare dai logoi
dialettici cui egli si riferisce, cioè quelli accademici e spiega anche perché
Porfirio, se aveva davanti un logos di Senocrate, abbia potuto trovarvi il
nome di Parmenide e non quello di Zenone. L'Accademico, come il suo
maestro, metteva in bocca a Parmenide aporie rielaborate su quelle zenoniane.
E' ovviamente impossibile dimostrare con certezza che il logos parmenideo di Porfirio è antico quanto quello eleatico di Aristotele, anche se ci
sono buone ragioni per ritenerlo tale, come si è visto, ma il dato di fatto
più importante è che comunque Senocrate è partito da un logos di questo
tipo che, nella sostanza, era conosciuto a tutti i commentatori antichi75.
Infatti Alessandro e altri gli attribuiscono concordemente, in termini simili
a quelli porfiriani, la soluzione delle aporie eleatiche sulla divisibilità delperi; auj tou' gev grafen ej n tw'i Filhvbwi: ª...º tau'ta oJ Porfuvrio" ei\pen aujth'i scedo; n th'i
levxei, diarqrou'n ejpaggeilavmeno" ta; ej n th'i Peri; taj gaqou' sunousiv ai aijnigmatwdw' "
rJhqevnta.
73
74
Cf. anche Fedele 1999, 11s.
Arist. Soph. El. 33, 182b 22 ta; de; kai; tou;" ejmpeirotavtou" faivnetai lanqavnein (shmei'on de;
tou'tou o{ti mav contai pollavki" peri; tw'n ojnomavtwn, oi|on povteron taujto; shmaivnei kata;
pavntwn to; o]n kai; to; e{n, h] e{teron: toi'" me; n ga;r dokei' taujto; shmaivnein to; o]n kai; to; e{ n, oiJ
de; to;n Zhvnwno" lovgon kai; Parmenivdou luvousi dia; to; pollacw' " fav nai to; e}n levgesqai kai;
to; o[n). Sull'ambiente accademico in cui queste distinzioni vengono fatte Krämer 1971, 18
75
n. 69; Ryle 1968, 74.
Makin 1993, 24ss. attribuisce il logos tout-court a Zenone senza prendere in considerazione
né il contesto (che rimanda alla soluzione di Senocrate e comporta quindi la possibilità che
il logos sia stato rimaneggiato), né il fatto che la prima parte di questo passo contiene una
critica all'atomismo. Senocrate aveva del resto scritto un'opera Sulle dottrine di Parmenide (Fr.
1 IP Peri; tw'n Parmenivdou aæ). Sull'origine accademica del logos della dicotomia in generale
e sulle sue varie interpretazioni fino a Simplicio, cf. Fedele 1999.
Capitolo terzo
133
l'essere attraverso l'introduzione delle linee indivisibili. La differenza sta
nel fatto che essi accennano solamente ad un logos della dicotomia di Zenone ed espongono invece più diffusamente la soluzione di Senocrate.
Le similitudini fra il logos eleatico di Porfirio, da cui Senocrate sarebbe
partito per definire l'essere e l'uno e assumere degli indivisibili, e quello
aristotelico rendono verosimile l'ipotesi che Aristotele si sia ispirato ad un
logos eleatico corrente nell'Accademia che costituiva il punto di partenza
per definire i concetti di essere e di uno e impostare il discorso sugli indivisibili. Aristotele stesso indica del resto costantemente le aporie eleatiche
come base per le soluzioni accademiche del problema dell'essere e dell'uno.
3. 2. "Concedere ai logoi". Aporie eleatiche e loro soluzione
(Arist. Phys. A 3, 187a 1)
In un famoso passo della Fisica Aristotele allude ad "alcuni" che avrebbero
fatto concessioni (un termine tecnico nella discussione dialettica) ai logoi degli
Eleati proprio in relazione alla problematica dell'essere e dell'uno
Alcuni hanno fatto concessioni ad ambedue i logoi: a quello secondo cui tutto è
uno, se essere significa uno, affermando che c'è il non essere, a quello della dicotomia, ponendo grandezze indivisibili76.
I commentatori moderni hanno spesso letto in questo passo un riferimento agli atomisti in base al confronto con la presunta risposta di Leucippo agli Eleati in De generatione et corruptione A 8. In realtà, se si considera
che a monte della presentazione aristotelica dell'atomismo sta tutta la discussione ora esaminata sulle aporie eleatiche nell'Accademia, la prospettiva va rovesciata. Il brano della Fisica è piuttosto una chiave per comprendere lo schema dialettico e la "soluzione" dell'aporia eleatica da parte
di Leucippo e non viceversa.
I commentatori antichi sono concordi nell'affermare che Aristotele
vuole alludere a Platone, principalmente al Sofista77, e a Senocrate78 i quali
76
Phys. A 3,187a 1 e[nioi d ejnevdosan toi'" lovgoi" ajmfotevroi", tw'i me;n o{ti pavnta e{n, eij to; o]n
e}n shmaiv nei, o{ti e[sti to; mh; o[ n, tw'i d ejk th'" dicotomiva", a[ toma poihvsante" megevqh.
77
Alessandro (ap. Simpl. In Phys. ad loc., 134,21ss.) lo presuppone implicitamente; il Filopono, richiamandosi ad Alessandro stesso e a Temistio, vi accenna esplicitamente (In Phys.
ad loc., 81,25-29 tau'ta dev fasin aujto;n aijnivttesqai eij" Plavtwna kai; oJ Alevxandro" kai; oJ
Qemivstio": uJpotiqevmeno" ga;r oJ Plavtwn, fasivn, ejn tw'i Sofisth'i ei\nai to; kaqovlou mh; o[n,
o{per th;n tou' o[nto" fuvsin ejkpevf eugen, aj nhvirei to; ta; pav nta e}n ei\nai levgwn ou{tw": æeij to;
o]n pa'n e{ n ejstin, oujk e[stai to; mh; o[n: ajlla; mh;n e[sti to; mh; o[n: oujk a[ra to; o]n pa' n e{ n ejstiæ.
Cf. Themist. In Phys. ad loc., 12,6-17; Simpl. In Phys. ad loc., 134,14ss. Solo Porfirio, che riferisce la dottrina platonica in termini aristotelici di forma e materia, si distanzia da quella
degli altri commentatori basandosi, invece che sul Sofista, sul Timeo e identifica il non essere
134
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
avrebbero risposto rispettivamente a Parmenide e a Zenone. E' pur vero
che anche questo schema esegetico (l'opposizione di maestro a maestro e
di allievo ad allievo) ha sapore di manualistica scolastica e che il passo del
Sofista non rientra in una problematica fisica, ma in un contesto logicodialettico. Nel Sofista Platone dirige la dimostrazione dell'esistenza del non
essere come altro dall'essere esplicitamente contro la proposizione parmenidea Æouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh; ejovnta79 dimostrando come
ogni cosa partecipi sia dell'essere, in quanto esiste, che del non essere, non
come negazione dell'essere, ma in quanto "altro" rispetto a tutto il resto.
Infine dichiara di aver dimostrato, contro Parmenide, non solo che ciò che
non è è, ma anche di aver individuato il genere del non essere nella natura
dell'"altro" di cui tutte le cose partecipano80. Lo schema del Sofista costituiva tuttavia un modello di soluzione di aporia trasferibile dall'ambito
della logica a quello dei principi. Tale modello riemerge infatti molto chiaramente in un brano della Metafisica aristotelica nella critica ai principi accademici e in particolare alla diade indefinita.
Molte sono dunque le ragioni dell'essersi rivolti in maniera fuorviante81 verso
queste cause (scil. l'uno e la diade indefinita), ma il motivo principale è costituito
dal fatto che essi hanno posto i problemi in modo antiquato82. Infatti sembrò
di Platone con la materia prima a[morfon kai; ajneivdeon, secondo principio metafisico (134
F Smith) (Simpl. In Phys. ad loc., 135,1-5 fhsi; de; oJ Porfuvrio" to;n Plavtwna kai; to; mh; o]n
levgein ei\nai, ou{tw" mev ntoi ei\nai wJ" mh; o[n. to; me;n ga;r o[ntw" o]n ajpefhvnato ei\nai th; n
ijdevan kai; tauvthn o[ntw" ei\nai oujsivan, th; n de; ajnwtavtw prwvthn a[ morfon kai; ajneivdeon
u{lhn ejx h|" ta; pavnta ejsti; n ei\nai mevn, mhde;n de; ei\ nai tw'n o[ ntwn. auj th; ga; r ejf eJauth' " ejpinooumevnh dunav mei me; n pavnta ejstiv n, ejnergeivai de; oujd e;n. Per l'allusione al Timeo, cf. Ibid.
78
79
80
81
82
135,9).
Alex. ap. Simpl. In Phys. ad loc., 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Per il testo, v. supra, n. 65. Cf.
Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. ad loc., 140,6-18) (Xenocr. Fr. 139 IP); Themist. In
Phys. ad loc., 12,6-17 (Xenocr. Fr. 140 IP); Philop. In Phys. ad loc., 83,19-22 (Xenocr. Fr.
141 IP); Schol. In Arist. Phys. 334a 36ss. Brandis (Xenocr. Fr. 144 IP); Simpl. In Phys. ad loc.
142,16-27 (Xenocr. Fr. 145 IP).
Parm. 28 B 7,1-2 DK. Per il problema testuale costituito dalla lettura non metrica v. infra,
n. 84.
Soph. 258d hJmei'" dev ge ouj movnon ta; mh; o[nta wJ" e[stin ajp edeivxamen, ajlla; kai; to; ei\do" o}
tugcav nei o]n tou' mh; o[nto" ajpefhnav meqa: th; n ga;r qatevrou fuvsin ajpodeiv xante" ou\sav n te
kai; katakekermatismevnhn ejpi; pavnta ta; o[nta pro;" a[llhla, to; pro;" to; o]n e{kaston movrion
aujth' " ajntitiqevmenon ejtolmhvs amen eijpei'n wJ " auj to; tou' tov ejstin o[ ntw" to; mh; o]n.
Cf. Phys. A 8,191a 24-32 e b 31-33 dove il verbo ejktrevpein viene impiegato per indicare la
maniera fuorviante degli "antichi" di porre il problema dell'esistenza del non essere unicamente in antitesi all'essere. Si tratta di una obiezione che Aristotele mantiene, nella sostanza, anche contro gli Accademici.
La ragione dell'accusa di Aristotele di usare un sistema antiquato di porre i problemi, sta
anche nello schema topico dell'argomentazione dell'esistenza del non essere in quanto non
essere, tipico di una certa dialettica sofistica. Altrove Aristotele lo ritiene infatti un procedimento eristico generatore di un sillogismo apparente (Rhet. B 24, 1402a 3-6 e[ti w{sper ejn
toi'" ejristikoi'" para; to; aJplw'" kai; mh; aJplw'", ajlla; tiv, givgnetai fainov meno" sullogismov",
oi|on ejn me;n toi'" dialektikoi'" o{ti ej sti; to; mh; o]n o[n, e[sti ga;r to; mh; o]n mh; o[ n...).
Capitolo terzo
135
loro che tutte le cose esistenti fossero uno, l'uno in sé, se non si fosse risolto e
confutato il logos di Parmenide "che infatti mai in nessun modo si verifichi questo,
che le cose che non sono siano", ma sembrò necessario dimostrare che il non essere è; così infatti, dall'essere e da un "qualcos'altro" deriverebbero le cose esistenti se sono molte"83.
Il passo di Parmenide proposto come aporia da risolvere è esattamente
quello citato da Platone nel Sofista, di cui mantiene persino la lettura non
metrica84. Evidentemente costituiva, dopo Platone, un modello-tipo di
aporia eleatica sul non essere proposto alla discussione nell'Accademia.
Non si tratta tuttavia di una semplice riproduzione dell'argomentazione
logico-dialettica del Sofista, ma della sua trasposizione al piano dei principi,
uno e diade indefinita. Un passo della Fisica insiste sullo stesso tema: gli
Accademici avrebbero concordato con Parmenide che la genesi deve derivare dal non essere. Per risolvere il paradosso, avrebbero però attribuito a
questa natura, grande e piccolo o diade indefinita che dir si voglia, un
carattere di esistenza in assoluto senza distinguere i significati di non essere assoluto e relativo come invece ha fatto Aristotele85. L'aspetto più
interessante del passo della Fisica per il tema qui trattato è la formulazione
della presunta risposta accademica al problema posto dagli Eleati: essi
"concordano" con Parmenide che, per giustificare la generazione, è necessario ammettere l'esistenza del non essere. Si tratta dello stesso modo
arcaico di porre i problemi (ajporh'sai ajrcaiücw'") che Aristotele rimprovera anche altrove in modo più o meno esplicito agli Accademici86.
83
84
85
86
Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6 polla; me;n ou\n ta; ai[tia th'" ejpi; tauvta" ta;" aijtiva" ejktroph'", mavlista de; to; ajporh's ai ajrcaiükw'". e[doxe ga;r aujtoi'" pavnt e[sesqai e}n ta; o[ nta, aujto;
to; o[n, eij mhv ti" luvsei kai; oJmovse badiei'tai tw'i Parmenivdou lovgwi Æouj ga;r mhvpote tou't
oujdamh'i, ei\ nai mh; ejovntaÆ, ajll aj nav gkh ei\ nai to; mh; o]n dei'xai o{ti e[stin: ou{tw gavr, ejk tou'
o[nto" kai; a[llou tinov ", ta; o[nta e[sesqai, eij pollav ejstin.
La lezione tou'to damh' di E e J, accettata sia in Diels-Kranz 1952 per il Fr. 28 B 7,1 DK di
Parmenide, sia nell'edizione della Metafisica dello Jaeger, costituisce solo una correzione
tarda dell'evidente errore metrico tou't oujdamh'i riportato invece tale e quale in Ab (un codice che risale ad una edizione papiracea per lo meno del I sec. d.C., cf. Jaeger 1957, IX-X).
Fra i codici di Simplicio, che cita tre volte il frammento nel commento alla Fisica (187a 1,
135,21; 143,31; 191b 35, 244,1), solo quello più dotto, E, riporta tou'to damh'i costantemente, una evidente correzione a posteriori di una metrica zoppicante da parte di un copista colto. Il codice D, inferiore ad E, ma ancora relativamente buono, oscilla: in 135,21 e
244,1 porta tou'to mhdamh'i, in 143,31 concorda con E. Il codice F, invece, il meno dotto,
presenta una lacuna in 135,21, tou'tou oujdamh; in 143,31 e tou't oujdamh'i in 244,1. Evidentemente non vede il problema metrico e riproduce fedelmente il testo che ha davanti. Ross
1924, ad loc., accetta la lezione tou'to damh'i dell'edizione dielsiana di Simplicio senza far
parola di questa oscillazione nei codici.
A 9, 191b 36 prw'ton me; n ga;r oJmologou'sin aJplw' " giv nesqai ejk mh; o[ nto", h|i Parmenivdh"
ojrqw'" lev gein. Aristotele rimprovera agli Accademici di non aver distinto non essere per
accidente (materia) e non essere assoluto (privazione).
Sull'ajporh's ai ajrcaikw'", cf. Merlan 1967, 120 il quale, però, non menziona questo passo
della Fisica.
136
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
La problematica di fondo cui rimanda l'allusione aristotelica in Phys. A 3 a
coloro che "hanno concesso" ai logoi eleatici l'esistenza del non essere e
che hanno risposto con le grandezze indivisibili all'argomento della dicotomia, è dunque quella della definizione di essere, non essere e uno e dell'assunzione di grandezze indivisibili nell'Accademia87. Questo è tanto più
vero se si considera che, per la tradizione neoplatonica, che interpreta
l'allusione aristotelica come diretta contro gli accademici, sarebbe stato
molto più comodo in questo caso spiegarla come un attacco contro gli
atomisti per evitare di dover poi difendere Platone e Senocrate. E' evidente che questo passo della Fisica in tutta la tradizione antica era sempre
stato interpretato come una allusione a questi ultimi. Dato però che, fra i
moderni, proprio in base alla presunta risposta di Leucippo in De generatione et corruptione A 888, la "concessione" ai logoi degli Eleati è sempre stata
attribuita agli atomisti, si è interpretato in questo senso anche l'allusione
nel passo di Phys. A 389 e perciò si è dovuto necessariamente sostenere che
87
88
89
Sedley, che ringrazio per avermi gentilmente messo a disposizione un suo articolo in corso
di stampa (Atomism's Eleatic Roots, in Curd-Graham), è anch'egli incline, per motivi diversi da quelli ora esposti, a vedere nel passo aristotelico una allusione agli Accademici e in
particolare a Senocrate.
Sintomatico a questo proposito è il commento al passo di Ross, 1936, 480s., che rispecchia
perfettamente questo tipo di ragionamento fondato essenzialmente su una valutazione unidirezionale delle testimonianze aristoteliche. Dopo aver affermato che tutto sembrerebbe
alludere a Platone e alla sua scuola sulla base del confronto con Metaph. N 2, 1089a 1ss. e i
commenti dei commentatori antichi che riferiscono l'allusione aristotelica a Platone e Senocrate, Ross nota che Simplicio avanza delle riserve per quanto riguarda il riferimento a
Platone in quanto quest'ultimo non avrebbe assunto un semplice non essere, ma un non
essere qualcosa (In Phys. ad loc., 137,7-20). Da questa obiezione, che egli considera valida,
Ross parte per cercare un'alternativa e la trova nell'allusione agli atomisti fondandosi su De
gen. et corr. A 2. Ora, la critica di Simplicio (anche se centra il punto debole dell'interpretazione aristotelica di Platone) è, come sempre, tesa alla difesa di Platone stesso e dunque
non può costituire l'unico elemento per rigettare delle testimonianze evidenti. In secondo
luogo, se così fosse, non si spiega come mai, lo stesso Ross non citi anche 191b 35ss. dove
compare la stessa formulazione del problema e che, secondo il suo stesso commento (ad
loc., 497), è un chiaro riferimento a Platone e all'Accademia, riferimento che Simplicio
ugualmente rigetta, contro tutti gli altri esegeti, sulla base delle stesse argomentazioni addotte per il brano precedente (Simpl. In Phys. 191b 35, 242,22ss.). Il ragionamento di Ross è
seguito evidentemente anche da Barnes 1986, 354 e 619 n. 26, il quale afferma che solo gli
atomisti avrebbero sostenuto ambedue le tesi cui Aristotele si riferisce. Tuttavia, quando
Aristotele allude alle dottrine accademiche, spesso considera in blocco determinate problematiche senza differenziare un autore dall'altro. Inoltre, come si è visto nei brani della
Metafisica e della Fisica esaminati sopra, attribuisce la ammissione del non essere (la diade
indefinita) a seguito dell'aporia eleatica principalmente agli Accademici.
Per l'attribuzione agli atomisti Burnet 1930, 173; Ross 1936, ad loc. 479-81; Cherniss 1962,
75 n. 303; Hirsch 1953, 66; Furley 1967, 81; Kirk-Raven-Schofield 1983, 409; Baldes 1972,
45 non si pone neppure il problema di una diversa esegesi; Barnes 1982, 354; secondo
Krämer 1971, 260 con bibliografia in n. 103, sarebbero sottintese ambedue le scuole. Per
l'attribuzione a Platone e ai Platonici, Nicol 1936, 120s.; Isnardi Parente 1982, 356.
Capitolo terzo
137
tutti i commentatori si sono sbagliati90. Questa interpretazione è dovuta
però ad un rovesciamento della prospettiva che fa perdere di vista la problematica più generale sottesa agli schemi dialettici di De generatione et corruptione A 8, quella radicata nelle discussioni accademiche delle aporie eleatiche.
4. I logoi di Leucippo: De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11
(67 A 7 DK; 146 L.)
Aristotele è partito da un logos eleatico, le cui tracce portano all'Accademia
e che già conteneva una confutazione dell'atomismo e delle dottrine corpuscolari, per riformularne un altro. Agli argomenti degli Eleati egli contrappone infatti, come antitesi, quelli di Leucippo secondo uno schema
dialettico di cui generalmente si serve per esporre le soluzioni accademiche delle aporie eleatiche. Egli si basa ovviamente anche su effettive affermazioni dell'autore come risulta dai tratti più marcatamente espositivi
che emergono nella seconda parte del resoconto e corrispondono ad altri
brani di questo tipo presenti nella sua opera, ma nello schema dialettico
della risoluzione del problema eleatico dell'uno e del molteplice attraverso
il non essere e una molteplicità di "unità" simili all'essere eleatico, Leucippo sta sulla stessa linea di Platone e degli Accademici91.
90
91
L'argomentazione dell'errore dei commentatori è il modo più sbrigativo per eliminare una
importante controprova. A Ross aveva già risposto Nicol 1936, 121 n. 1, facendo notare
che Aristotele, nel passo di Metaph. N 2 citato più sopra, si riferisce a Platone e non agli
atomisti. Furley 1967, 81s., che riprende il tema dell'errore dei commentatori, accenna a
questo passo come possibile supporto per la loro tesi, ma afferma comunque, senza ulteriori argomentazioni, che è più probabile che Aristotele pensi agli atomisti portando come
unica prova il brano del De generatione et corruptione A 2.
Aristotele impiega anche altrove questo procedimento di assimilazione di dottrine
presocratiche ed accademiche allo scopo di dimostrare che Platone e i suoi allievi hanno
riprodotto un modo di pensare antiquato, con l'aggravante di non accordare i loro principi
coi fenomeni. Un passo significativo a questo proposito è quello del primo libro della Metafisica, in cui espone (considerandosi ancora un accademico e usando la prima persona plurale "noi") l'interpretazione accademica di Anassagora. Anassagora, pur non avendolo
espresso chiaramente, avrebbe assunto due principi, l'uno (il nous), e l'"altro" (l'infinito).
Egli avrebbe dunque detto le stesse cose degli Accademici, ma col vantaggio di accordare
maggiormente coi fenomeni le sue teorie, Metaph. A 8, 989a 30-b 21 (59 A 61 DK)
Anaxagovr an d ei[ ti" uJpolav boi duvo levgein stoicei' a, mavlist a] n uJpolav boi kata; lovgon, o} n
ejkei'no" aujto; " me;n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse ment a]n ejx aj nav gkh" toi'" ejp avgousin
aujtov n ª...º ejk dh; touvtwn sumbaiv nei levgein aujtw'i ta; " ajrca; " tov te e} n (tou'to ga;r aJplou' n
kai; aj mige; ") kai; qavteron, oi|on tivqemen to; ajovriston pri;n oJrisqh'nai kai; metascei'n ei[dou"
tinov", w{ste levgei me; n ou[t ojrqw'" ou[te safw'", bouvletai mev ntoi ti paraplhvsion toi'" te
u{steron levgousi kai; toi'" [nu' n] fainomevnoi" ma'llon ãajkolouqei'Ã ). Platone aveva criticato
Anassagora per essere partito da principi giusti, ma per non averli poi in pratica applicati
138
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
Qui di seguito, dunque, esaminerò i modelli dialettici ed esegetici più
generali sottesi al logos di Leucippo e li confronterò con le altre testimonianze aristoteliche e quelle posteriori ad Aristotele sugli atomisti che
offrono prospettive esegetiche alternative.
Aristotele, dopo aver esposto il logos eleatico, propone in questi termini la risoluzione di Leucippo:
Leucippo, invece, credette di avere dei logoi che, procedendo in accordo con la
sensazione, non confutassero né la generazione né la corruzione e neppure la
molteplicità delle cose esistenti. Avendo da una parte concesso questo ai fenomeni, dall'altra, a quelli che sostengono la tesi dell'uno, che non ci sarebbe movimento senza il vuoto, dice che il vuoto è non essere e che nulla di ciò che è è non
essere. Infatti l'essere nel senso proprio è il tutto-pieno92, ma non è uno solo, ma
92
(Phaed. 97c). Aristotele riprende una interpretazione accademica, per dimostrare invece implicitamente che gli Accademici hanno riprodotto lo stesso modo di affrontare i problemi
con lo svantaggio di non accordare le loro teorie coi fenomeni.
Seguo qui il testo tradizionale e la punteggiatura del passo di Joachim e Diels (oJmologhvsa"
de; tau'ta me;n toi'" fainomev noi", toi'" de; to; e} n kataskeuavzousin wJ" ouj k a] n kivnhsin ou\ san
a[neu kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[ n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o] n
pamplh're" o[ n ajllæ ei\ nai to; toiou'ton oujc e{ n, ajllæ a[peira to; plh'qo" v. nota seguente) per-
fettamente giustificabile alla luce della terminologia e del carattere dialettico del logos. La
proposta di una nuova lettura da parte di Rashed 2001, 323-25 (cf. anche 2005, 39 e 139 n.
ad loc.), seguito da Hussey 2004, 263s. non tiene conto né del senso generale del brano, né
dello stile aristotelico. Le ricerche di Rashed sulla tradizione testuale del De generatione et corruptione, per quanto estremamente documentate e importanti per il testo in generale, non
aggiungono in realtà su questo punto nulla di sorprendentemente nuovo. L'esistenza di
queste varianti era già ben documentata nell'apparato critico di Joachim e non è in sé particolarmente rilevante. La tradizione manoscritta da sola non giustifica la scelta dell'una o
dell'altra, tanto è vero che Rashed stesso si basa abbondantemente su presupposti e interpretazioni personali (cf. 2001, 324). Il testo offerto da Rashed è il seguente oJmologhvsa" ª...º
toi'" de; to; e} n kataskeuav zousin wJ" ou[t a] n kivnhsin ou\s an a[ neu kenou', tov te keno;n mh; o]n
kai; tou' o[ nto" oujq e;n mh; o[n, fhsin ei\ nai to; kurivw" e} n pamplh're" o[n (2001, 324 pamplh're"): ajll ei\nai to[ toiou'ton oujk e{n ... Hussey dà un testo che si discosta in parte da
questo (oJmologhvs a" ª...º toi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" oujk a]n kivnhsin ou\s an a[neu
kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[nto" oujqe; n mh; o[ n, fhsin ei\ nai to; kurivw" o]n pamplh're"
o]n: ajll ei\nai to; toiou'ton oujk e{ n. Un ou[te, da lui citato al posto di oujk, nella sua spiega-
zione del testo, non compare invece all'interno di quest'ultimo). La versione di Rashed è
estremamente problematica per il senso e per lo stile. A differenza di quanto afferma
Rashed, che fa dipendere, senza ulteriori argomentazioni, tutte le proposizioni da wJ" a
oujqe;n mh; o[n da oJmolovghsa", la costruzione tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[n è
sintatticamente perfetta (te ... kai; retto da fhsin ei\nai) e coerente, anche dal punto di vista
dello schema dialettico, con una presunta risposta di Leucippo agli Eleati. Il fatto che il
vuoto sia non essere (e come tale esista) e che l'essere sia il tutto pieno e molteplice è, secondo le regole della discussione dialettica, la nuova riformulazione del problema da parte
di Leucippo che dopo aver concordato con una premessa degli Eleati (che non c'è movimento senza il vuoto), ridefinisce le altre premesse (la concezione di essere e di non essere)
facendo le necessarie distinzioni. In questo contesto oujk, riportato da E e M, è perfettamente corretto e notevolmente superiore a ou[te accolto da Rashed. Al sintagma fhsin
ei\nai egli attribuisce poi una posizione inusitata in Aristotele. Il sintagma (con l'altra variante ei\naiv fhsin) è infatti frequentissimo nelle opere aristoteliche (come del resto in tutti
Capitolo terzo
139
infiniti per numero e invisibili per la piccolezza delle loro masse. Questi si muovono nel vuoto —infatti il vuoto c'è— e producono, combinandosi, la generazione, separandosi, la disgregazione. Essi agiscono e subiscono nella misura in cui
vengono fortuitamente a contatto; in questo modo infatti non formano una unità.
E, componendosi e intrecciandosi, generano. Ma da ciò che è veramente uno non
può generarsi una molteplicità né da quelli che veramente sono molti l'uno, ma
ciò è impossibile. Ma come Empedocle e alcuni altri dicono che le affezioni si
producono attraverso i pori, così [anche Leucippo sostiene che] ogni alterazione
e ogni affezione si produce in questo modo, dal momento che la dissoluzione e la
disgregazione si producono attraverso il vuoto, e allo stesso modo anche l'accrescimento, a causa della penetrazione delle particelle solide [negli spazi vuoti]. Anche Empedocle deve però quasi necessariamente sostenere le stesse tesi di Leucippo. Infatti ci devono essere certi corpi solidi, e per giunta indivisibili, se non ci
sono dovunque pori che si susseguono l'un l'altro. Questo è tuttavia impossibile:
infatti oltre ai pori non ci sarebbe qualcosa di solido, ma tutto sarebbe vuoto.
Dunque è necessario che le particelle a contatto siano indivisibili e che gli interstizi fra l'una e l'altra, che egli chiama pori, siano vuoti. Così parla anche Leucippo
riguardo all'agire e al subire93.
93
gli autori greci), ma compare sempre (e non solo in Aristotele) o immediatamente dopo il
soggetto (espresso, e non sottinteso come qui), ma con fhsin in posizione enclitica (costruzione peraltro molto rara, cf. Hist. anim. Z 5, 563a 6 kai; dia; tou'to kai; ÔHrovdwro" oJ
Bruvswno" tou' sofistou' pathvr fhsin ei\nai tou;" gu'p a" ajfæ eJtevr a" gh'"), o, molto più frequentemente, dopo il soggetto di ei\nai (Phys. A 5, 188a 22 kai; Dhmovkrito" to; plh're" kai;
kenov n, w|n to; me; n wJ" o]n to; de; wJ" oujk o]n ei\naiv fhsin. Cf. anche A 2, 185a 33 Mevlisso" de;
to; o]n a[peiron ei\naiv fhsin. D 2, 209b 11 Plavtwn th;n u{lhn kai; th;n cwvran taujtov fhsin
ei\nai ej n tw'i Timaivwi. De gen. et corr. A 5, 320b 33Dio; kai; croia;n ou[ fhsin ei\nai. A 8, 325b
32 Plavtwni de; kata; th;n aJfh;n movnon: keno;n ga;r oujk ei\naiv fhsin. Cf. anche Metaph. A 3,
983b 21 e passim), o comunque dopo il nome del predicato (Metaph. A 8, 989a 21
Empedoklh'" tevttarav fhsin ei\nai swvmata th;n u{lhn. De gen. et corr. A 8, 326a 9 kaivtoi
baruvterov n ge kata; th; n uJperochv n fhsin ei\nai Dhmovkrito" e{kaston tw' n ajdiairevtwn). La
posizione del sintagma proposta da Rashed e Hussey è dunque contraria all'uso aristotelico.
Per quanto riguarda la scelta di e{n per o[n è importante sottolineare che la tesi eleatica qui
discussa non è la natura dell'uno, ma quella dell'essere, se esso è uno o molti, immobile o in
movimento (ejnivoi" ga;r tw'n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx ajnavgkh" e}n ei\nai kai; ajkivnhton).
L'inquadramento del brano nell'ambito della distinzione di essere e uno come risposta alle
aporie eleatiche giustifica, anche al di là delle considerazioni stilistiche, la lettura
tradizionale.
Arist. De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11 (67 A 7 DK; 146 L.) Leuvkippo" dæ e[cein wjihvqh
lovgou", oi{tine" pro;" th;n ai[sqhsin oJmologouvmena levgonte" oujk aj nairhvs ousin ou[te gevnesin ou[te fqora; n ou[te kivnhsin kai; to; plh'qo" tw'n o[ ntwn. oJmologhvs a" de; tau'ta me; n toi'"
fainomevnoi", toi'" de; to; e} n kataskeuavzousin wJ" oujk a] n kivnhsin ou\s an a[ neu kenou', tov te
keno; n mh; o] n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[ n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o]n pamplh're" o[n, ajllæ
ei\nai to; toiou'ton oujc e{ n, ajllæ a[p eira to; plh'qo" kai; ajovrata dia; smikrov thta tw' n o[ gkwn.
tau'ta dæ ejn tw'i kenw'i fevresqai (keno;n ga;r ei\nai), kai; sunistavmena me;n gev nesin poiei'n,
dialuovmena de; fqoravn. poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcav nousin aJptovmena: tauvthi ga;r oujc
e}n ei\nai. kai; suntiqev mena de; kai; periplekovmena genna' n: ejk de; tou' katæ ajlhvqeian eJ no;"
oujk a] n genevsqai plh'qo" oujdæ ejk tw' n ajlhqw'" pollw'n e{ n, ajllæ ei\nai tou'tæ ajduv naton: ajllæ,
w{sper Empedoklh'" kai; tw'n a[llwn tinev" fasi pavscein dia; povrwn, ou{tw pa'san ajlloivwsin
kai; pa'n to; pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomevnh" th'" dialuvs ew"
kai; th'" fqora' ", oJmoivw" de; kai; th'" aujxhvs ew", uJp eisduomevnwn sterew' n scedo; n de; kai;
140
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
L'esposizione aristotelica è caratterizzata da tre parti:
1. Una di tipo argomentativo che mira a inquadrare le teorie di Leucippo nella discussione dialettica di tesi generali sulla definizione di essere,
sul movimento e sul numero dei principi secondo lo schema dei Topici.
2. Una di carattere descrittivo che espone più dettagliatamente la dottrina per confermare l'inquadramento fornito nella prima parte e correlarlo
col tema dell'agire e del patire trattato nel capitolo94. Le notizie di questa
seconda parte corrispondono pressoché esattamente a quelle dell'excursus
di Aristotele su Democrito presso Simplicio95 e concordano grosso modo
anche con le notizie sulla cosmogonia di Leucippo riportate da Diogene
Laerzio96 e Ippolito97 di derivazione teofrastea.
3. Una che, riprendendo e specificando il logos eleatico, cerca di dimostrare la sostanziale equivalenza fra le teorie di Empedocle e quelle di Leucippo.
4. 1. La prima parte del logos di Leucippo (De gen. et corr. A 8, 325a 23-30)
La prima parte del logos, che, in sostanza, inquadra in uno schema dialettico incentrato sulla formulazione di un'antitesi quanto esposto nella seconda parte, risente ovviamente di una più profonda rielaborazione. La
terza parte riprende un assunto del logos eleatico (equiparazione di un presunto corpuscolarismo empedocleo all'atomismo) e fornisce una interpretazione di Empedocle pressoché inusitata per lo stesso Aristotele.
La formulazione dell'antitesi alle tesi eleatiche della prima parte dei logoi di Leucippo è fortemente marcata dalla terminologia tecnica della discussione dialettica. Così l'espressione "avere dei logoi" indica, nei Topici, il
possesso di argomentazioni generali da usare in una disputa dialettica98. I
logoi di Leucippo non "confutano" (oujk ajnairhvsousin) la generazione, la
corruzione, il movimento e la molteplicità: ajnairei'n è un termine tipico
94
95
96
97
98
Empedoklei' aj nagkai'on levgein w{ sper kai; Leuvkippov" fhsin. ei\nai ga;r a[tta stereav,
ajdiaivreta dev, eij mh; pav nthi povroi sunecei'" eijsin. tou'to dæ ajduv naton: oujqe;n ga;r e[stai
e{teron stereo;n para; tou;" povrou", ajlla; pa' n kenov n. ajnavgkh a[r a ta; me; n aJptovmena ei\nai
ajdiaivreta, ta; de; metaxu; aujtw'n kenav, ou}" ejkei'no" levgei povrou". ou{tw" de; kai; Leuvkippo"
levgei peri; tou' poiei' n kai; pavs cein.
Ad esempio ajll ei\nai to; toiou'ton (scil. to; o]n) oujc e}n, ajll a[p eira to; plh'qo" è una
espressione tipica degli schemi prearistotelici che oppongono monisti a pluralisti (cf. Xen.
Mem. 1,1,13, supra, n. 34). Cf. a questo proposito Mansfeld 1986, 32-41 [1990b 55-63].
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,5-20) (68 A 37 DK; 293 L.).
Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.).
Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 16, 23, 291, 318 L.) Per quanto riguarda invece la testimonianza su Leucippo attribuita a Teofrasto, v. infra, 5. 1.
Top. Q 14, 164b 16 dei' de; kai; pepoihmevnou" e[cein lovgou" pro;" ta; toiau'ta tw'n problhmavtwn ejn oi|" ejl acivstwn eujporhvsante" pro;" plei'sta crhsivmou" e{xomen.
Capitolo terzo
141
per indicare la confutazione come kataskeuavzein per indicare la difesa di
una tesi99. Con gli Eleati che difendono la tesi (kataskeuavzonte") monista
Leucippo concorda (oJmologhvsa", un altro termine tecnico della discussione
dialettica100 ) che non c'è movimento senza il vuoto, ma, secondo le regole
dei Topici, "definisce" con più esattezza gli oggetti in discussione: l'essere
propriamente inteso101 è il "tutto pieno" che va distinto dal vuoto-non
essere, un essere improprio. Una volta introdotta la definizione precisa di
essere (corrispondente a quella dell'essere-uno eleatico), nulla si oppone
alla tesi della molteplicità degli enti come tante unità, che, per Leucippo,
però, sono infinite di numero102 .
Già dalla terminologia del passo risulta dunque che i logoi di Leucippo
non sono una riproduzione fedele, ma un rimaneggiamento dell'originale
in base ad uno schema dialettico-tipo di soluzione delle aporie eleatiche.
La stessa impressione si ricava dall'analisi dei presupposti della concessione e
della risposta agli Eleati103 . Infatti nella formulazione degli argomenti viene
implicitamente presupposto:
1. Che Leucippo si sia posto un "problema del movimento" cercandone nel vuoto la causa o, per lo meno, la condizione necessaria.
2. Che abbia definito l'essere come una molteplicità di unità simili all'essere-uno eleatico e attribuito al non essere un grado inferiore di esistenza (un essere non propriamente inteso, dunque un "altro dall'essere").
4. 1. 1. Vuoto e movimento
Come si è visto, Aristotele, nei Topici, porta come esempio di "tesi" e "antitesi" in una disputa dialettica le trattazioni del movimento: da una parte
la negazione assoluta dello stesso (Melisso), dall'altra la tesi del movimento
continuo (Eraclito). Nel primo brano del De generatione et corruptione gli
Eleati rispondono ai sostenitori del movimento, così come Melisso nel
99
100
101
I due termini compaiono appaiati in Top. B 3, 110b 9, 11; 7, 112b 29; 8, 113b 16; G 6, 119a
34 e passim.
Top. G 6, 120a 4; Z 13, 150b 31; H 3, 153b 29; Q 7, 160a 20.
Sulla necessità di "definire" i significati delle espressioni di una tesi per eliminarne le ambiguità e renderne più facile la confutazione, cf. Top. Q 3, 158b 8 tw'n de; o{rwn dusepiceirhtovtatoi pavntwn eijsi;n o{soi kevcrhntai toiouvtoi" ojnovmasin a} prw'ton me;n a[dhlav ej stin
ei[te aJplw'" ei[te pollacw'" lev getai, pro;" de; touv toi" mhde; gnwvrima povteron kurivw" h] kata;
metafora;n uJpo; tou' oJrisamev nou levgetai…
102
103
Nel logos eleatico di Porfirio l'assunzione di grandezze atomiche infinite viene però rigettata
in quanto assurda, v. supra, n. 64.
Cf. anche Gomperz I, 1922, 279; Lewis 1990, 241-245.
142
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
quarto libro della Fisica104 , nei logoi di Leucippo è invece quest'ultimo a
sostenere l'antitesi. La sua presenza in uno schema dialettico non implica
dunque necessariamente una sua reale presa di posizione nei termini descritti da Aristotele. Da altre testimonianze aristoteliche e di derivazione
teofrastea sugli atomisti, infatti, non risulta che essi si siano posti il problema di giustificare il movimento o di cercarne una causa rispondendo ad
eventuali oppositori. Il movimento degli atomi ha un valore di postulato, è
qualcosa che esiste da sempre ed è connaturato all'atomo stesso. Non c'è
dunque bisogno di cercarne una causa esterna105 . Aristotele stesso, nella
Metafisica, critica Leucippo, insieme a Platone, proprio perché avrebbe
posto un movimento eterno senza cercarne la causa106 e nei brani più prettamente espositivi non fa alcun cenno alla ricerca di cause del movimento
esterne agli atomi, ma riferisce semplicemente che essi lottano e si muovono nel vuoto perché sono diversi di forma e di grandezza107 . Teofrasto,
da parte sua, pur riprendendo lo schema dialettico aristotelico, tratta comunque le dottrine di Leucippo come affermazioni dogmatiche diametralmente opposte a quelle degli Eleati: questi ultimi hanno posto un tutto
uno immobile e ingenerato, Leucippo elementi infiniti e sempre in movimento108 . Il carattere assiomatico del movimento eterno connaturato agli
atomi è confermato anche da altri resoconti risalenti alla tradizione teofrastea dove gli atomi sono descritti come a[peira kai; ajei; kinouvmena109 e
soprattutto dal fatto che anche le loro proprietà (figura, modo di "voltarsi"
e di intrecciarsi reciprocamente) non sono concepibili a prescindere dal
movimento110 . Per questa natura stessa di particelle dinamiche gli atomi
non sono comunque comparabili all'essere eleatico immobile.
104
105
106
107
108
Phys. D 6, 213b 4-14 levgousi d e}n me;n o{ti kivnhsi" hJ kata; tovpon oujk a]n ei[h (au{th d ejsti;
fora; kai; au[xhsi"): ouj ga;r a] n dokei'n ei\nai kivnhsin, eij mh; ei[h kenov n: to; ga;r plh're"
ajduv naton ei\nai devxasqaiv ti. eij de; devxetai kai; e[stai duvo ej n taujtw'i , ejndevcoit a] n kai;
oJposaou'n ei\ nai a{ma swvmata ª...º Mevlisso" me; n ou\n kai; deivknusin o{ti to; pa'n ajkiv nhton ejk
touvtwn: eij ga;r kinhvs etai, aj nav gkh ei\naiv fhsi kenov n, to; de; keno;n ouj tw'n o[ntwn. Aristotele
riproduce lo schema platonico di Theaet. 180d-e dove vengono contrapposti i sostenitori
dell'eterno movimento a Parmenide e Melisso, v. supra, n. 42.
Cf. già Gomperz I, 1922, 281-283. Cf. anche Morel 1996, 65 e Perilli 1996, 94-97.
Metaph. L 6, 1071b 31 (67 A 18 DK; 17 L.) dio; e[nioi poiou'sin ajei; ejnevrgeian, oi|on
Leuvkippo" kai; Plavtwn: ajei; ga;r ei\naiv fasi kivnhsin. ajlla; dia; tiv kai; tivna ouj lev gousin.
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,9-11) (68 A 37 DK; 293 L.) stasiavzein
de; kai; fevresqai ej n tw'i kenw'i diav te th; n anomoiovthta kai; ta;" a[lla" eijrhmevna" diaforav ".
Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,7) (67 A 8 DK; 147 L.) ejkeivnwn ga;r
109
e}n kai; ajkiv nhton kai; aj gev nhton kai; peperasmev non poiouv ntwn to; pa' n, ª...º ou|to" a[p eira
kai; aj ei; kinouvmena uJpevqeto stoicei'a ta; " ajtovmou". Su questo brano, v. infra, 5. 1 n. 164.
Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 151 L.) Leuvkippo" de; Zhvnwno" eJtai'r o" ouj th;n aujth;n
dovxan diethvrhsen, ajllav fhsin a[peira kai; ajei; kinouvmena kai; gev nesin kai; metabolh; n sunecw' " ou\ san.
110
V. infra, 4. 2. 2 e cap. VII.
Capitolo terzo
143
4. 1. 2. Vuoto e non essere
Secondo Aristotele, Leucippo avrebbe "concesso" agli Eleati che non
esiste il movimento senza il vuoto, ma affermato che il vuoto è non essere
distinguendo un significato proprio, "forte", di essere (il tutto pieno), da
uno più "debole" (il vuoto). In questa argomentazione il vuoto si configura dunque come un tiv, un qualcosa "altro dall'essere" proprio, che esiste, ma non alla stessa stregua ed è necessario per poter spiegare il movimento e la molteplicità. Lo schema soggiacente alla prima parte del logos di
Leucippo è dunque quello della soluzione dell'aporia eleatica attraverso
l'ammissione dell'esistenza del non essere come un "altro dall'essere" che
esiste, ma in un grado inferiore, e che Aristotele stesso attribuisce agli
Accademici111 . In questo modello, applicato al mondo fisico, luogo e vuoto
equiparati corrispondono alla Chora platonica e all'ipostasi fisica della
diade indefinita112 . Aristotele lo impiega anche per l'interpretazione di un
autore al di sopra di ogni sospetto di "filosofia" come Esiodo proprio
seguendo un modello esegetico accademico113 . Nella discussione delle
dottrine che ammettono l'esistenza del luogo come "un qualcosa" di indipendente e "altro" dal corpo, egli spiega, infatti, sulla falsariga della Chora
platonica, il Chaos esiodeo come spazio preesistente e indistruttibile, condizione necessaria delle cose esistenti114 .
111
112
113
114
Cf. Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, supra, n. 83. La distizione fra un essere a pieno titolo
(o[ntw" o[n) e un essere di grado inferiore è comunque di ascendenza platonica (cf. e.g. la descrizione della Chora in Ti. 52a-d). Cf. anche Owen 1960, 183s.
Phys. D 2, 209b 6-12 e supra, n. 59.
Sull'interpretazione del Chaos esiodeo in Aristotele e negli autori tardi, cf. Gemelli Marciano
1991b.
Arist. Phys. D 1, 208b 25-209a 1 e[ti oiJ to; keno;n favskonte" ei\nai tovpon levgousin: to; ga;r
keno; n tovpo" a] n ei[h ejs terhmevno" swvmato". o{ti me; n ou\ n e[sti ti oJ tovpo" para; ta; swvmata
kai; pa' n sw'ma aijsqhto; n ej n tovpwi, dia; tou'twn a] n ti" uJpolav boi: dovxeie dæ a]n kai; ÔHsivodo"
ojrqw'" levgein poihvsa" prw'ton to; cavo". levgei gou' n Æpavntwn me; n prwvtista cavo" gev netæ,
aujta;r e[p eita gai'æ eujruvsterno",Æ wJ" devo n prw'ton uJpavrxai cwvran toi'" ou\si, dia; to; nomivzein, w{sper oiJ polloiv, pavnta ei\naiv pou kai; ej n tovpwi. eij dæ ejsti; toiou' to, qaumasthv ti"
a]n ei[h hJ tou' tovpou duv nami" kai; protevr a pav ntwn: ou| ga;r a[ neu tw' n a[llwn oujde; n e[ stin,
ejkei'no dæ a[ neu tw'n a[llwn, ajnavgkh prw'ton ei\nai: ouj ga;r ajpovllutai oJ tovpo" tw'n ej n auj tw'i
fqeiromevnwn. Il linguaggio ispirato alla descrizione della Chora del Timeo (52b) è palese. Cf.
anche Simpl. In Phys. 209a 18, 533,35 mavlista de; teivnei pro;" to; mh; ei\nai ajrch;n aujtovn,
o{per ejdovkoun lev gein oiJ to; ÔHsiovdou cavo" kai; to; keno;n Dhmokrivtou profevronte" kai; th; n
fusikh;n tw' n swmavtwn kivnhsin wJ" ajp aijtiva" tou' tovpou ginomevnhn. L'autore del trattatello
pseudo-aristotelico De Melisso, Xenophane et Gorgia pone sia il vuoto che il Chaos esiodeo
come antitesi alle tesi di Melisso (non c'è il movimento perché non c'è il vuoto), interpretandoli, sulla scia di Aristotele, come "un qualcosa", un non-corpo e uno spazio (MXG
976b 12-18 ajkivnhton d ei\naiv fhsin, eij keno;n mh; e[stin: a{panta ga;r kinei'sqai tw'i
ajllavttein tovpon. prw'ton me; n ou\ n tou'to polloi'" ouj sundokei', ajll ei\naiv ti kenovn, ouj
mevntoi tou'tov gev ti sw'ma ei\ nai, ajll oi|on kai; oJ ÔHsivodo" ejn th'i genevsei prw'ton to; Cavo "
144
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
La presunta "risposta" di Leucippo agli Eleati che assegna al vuoto-non
essere una certa esistenza, ma di grado diverso rispetto all'essere vero e
proprio e ne fa una condizione necessaria del movimento si iscrive dunque in questi schemi di soluzione delle presunte aporie eleatiche che introducevano un "non essere" come altro dall'essere per spiegare la molteplicità e il movimento e che Aristotele stesso attribuiva agli Accademici.
4. 1. 3. Atomi e uno
Anche la dottrina degli atomi come tante unità aventi tutte le caratteristiche dell'essere eleatico che segue subito dopo, rientra in uno schema preesistente di definizione dell'essere e dell'uno:
dell'essere niente è non essere perché l'essere propriamente detto è il tutto-pieno,
ma questo non è uno, ma infiniti per numero.
In termini dialettici si tratta infatti di una "ridefinizione" delle premesse
che porta ad una riformulazione della tesi eleatica. L'essere-uno eleatico è
solo quello propriamente detto, il pieno, e non è uno solo, ma una molteplicità. Il presupposto non espresso consiste nel fatto che questa molteplicità è resa possibile dall'esistenza di un "altro dall'essere" (il vuoto). Ma c'è
di più. I singoli atomi possono essere paragonati all'essere-uno eleatico
solo eliminandone, come Aristotele fa ripetutamente e insistentemente, la
caratteristica naturale, il movimento, e facendone delle unità astratte. Egli
li interpreta infatti sullo sfondo della problematica più generale della definizione di essere e uno, uno dei punti-chiave delle discussioni accademiche che egli stesso riesamina più volte criticamente. Nella Metafisica Aristotele distingue due impostazioni del problema: quella di Platone e dei
Pitagorici, che avrebbero posto l'uno e l'essere come sostanze in se stesse
distinte una dall'altra, e quella dei fisici che avrebbero considerato congiuntamente come essere e uno uno o più sostrati materiali senza fare alcuna distinzione fra i due concetti. Fra questi ultimi, dice Aristotele, coloro che hanno posto una pluralità di elementi devono necessariamente
sostenere che l'essere e l'uno sono tutti quegli elementi che essi hanno
posto come principi115 . Il presupposto della definizione degli atomi di
115
fhsi; genev sqai, wJ" devon cwvr an prw'ton uJp avrcein toi'" ou\si toiou'ton dev ti kai; to; kenovn,
oi|on ajggei'ov n ti ajna; mevson ei\ nai zhtou'men).
Metaph. B 4, 1001a 9-19 Plavtwn me;n ga;r kai; oiJ Puqagovreioi oujc e{terovn ti to; o]n oujd e; to;
e}n ajlla; tou'to aujtw'n th; n fuvsin ei\nai, wJ" ou[sh" th' " oujsiva" auj tou' tou' eJ ni; ei\nai kai; o[nti:
oiJ de; peri; fuvsew", oi|on Empedoklh'" wJ" eij" gnwrimwvteron aj nav gwn levgei o{ ti to; e{n ejstin:
dovxeie ga;r a]n levgein ti toiou'to th;n filivan ei\nai (aijtiva gou' n ejs ti;n au{th tou' e}n ei\nai
pa'sin), e{teroi de; pu'r, oiJ d ajevr a fasi;n ei\nai to; e}n tou'to kai; to; o[n, ejx ou| ta; o[ nta ei\naiv te
kai; gegonev nai. w{" d au[tw" kai; oiJ pleivw ta; stoicei'a tiqevmenoi: aj navgkh ga;r kai; touvtoi"
tosau'ta levgein to; e} n kai; to; o] n o{s a" per ajrca; " ei\ naiv fasin.
Capitolo terzo
145
Leucippo, in De generatione et corruptione A 8, sta dunque nella problematica
della definizione di essere e uno non leucippea, ma aristotelica e accademica.
La definizione di essere e uno come concetti universali e distinti
costituisce uno dei motivi portanti della soluzione delle aporie eleatiche
che i commentatori attribuiscono a Senocrate. E' la distinzione logica fra
parte (uno indivisibile) e tutto (essere divisibile) a fondare la dottrina degli
indivisibili senocratei. Senocrate risponde agli Eleati che l'essere, in quanto
tutto, è divisibile e dunque non è uno, ma molteplice. L'uno, nelle grandezze, è la parte indivisibile116 . In queste pur sintetiche notazioni, sono
individuabili i punti fondamentali delle tesi di Senocrate: definizione degli
universali, essere e uno, rispettivamente come tutto (risultante dalla compresenza dei principi, uno e diade indefinita) e come parte (governata dal
primo principio, l'uno) e loro applicazione all'ambito delle grandezze.
4. 2. Altre prospettive sul vuoto atomistico
Esaminati i pre-supposti teorici dei logoi di Leucippo, è opportuno ora
verificare, comunque, in che misura la formulazione aristotelica corrisponda ad una dottrina originale. Si potrebbe infatti obiettare che, al di là
dei presupposti aristotelici, nulla impedisce che anche Leucippo si sia
espresso in questi termini. Il discorso sul contesto culturale delle dottrine
atomistiche, che naturalmente ha una grande rilevanza anche per l'interpretazione delle radici dell'atomismo, verrà affrontato più diffusamente
nel capitolo conclusivo. Qui di seguito verranno invece esaminate altre
testimonianze che permettono di riconsiderare i punti già trattati da una
diversa angolazione. L'analisi della seconda parte dei logoi di Leucippo,
quella più propriamente descrittiva, chiuderà il cerchio permettendo di
stabilire da quali punti della dottrina originale Aristotele è partito per la
sua rielaborazione. Infine verranno prese in esame e interpretate alla luce
della tradizione aristotelico-teofrastea le testimonianze tarde che istituiscono una relazione fra gli atomisti e gli Eleati.
116
Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. testo, supra, n. 65. Porph.
135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,6) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n Xenokravthn
th;n me; n prwvthn ajkolouqivan uJpei' nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to; o]n kai;
ajdiaivreton e[stai, ouj me; n ajdiaivreton ei\nai to; o]n. dio; pavlin mhde; e}n mov non uJp avrcein to;
o[n, ajlla; pleivw. La formulazione della soluzione riecheggia da vicino quella attribuita da
Aristotele a Leucippo nel brano in questione.
146
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
4. 2. 1. Vuoto e non essere: mh; ma'llon to; de;n h] to; mhdevn
(68 B 156 DK; 7, 78 L.)
Gli interpreti moderni hanno visto una conferma dello schema aristotelico
di soluzione delle aporie eleatiche attraverso l'introduzione del non essere
da parte di Leucippo in una famosa massima: mh; ma'l lon to; de;n h] to;
mhdevn che compare decontestualizzata, parafrasata o solo accennata nelle
testimonianze. In questa forma è riportata solo da Plutarco e attribuita
specificamente a Democrito e non a Leucippo117 , ma essa viene riecheggiata soprattutto da Aristotele e Teofrasto e nella tradizione successiva che
a loro si richiama. I termini isolati devn e mhdevn compaiono come denominazione degli atomi e del vuoto nel frammento dell'opera su Democrito di
Aristotele118 . Quest'ultimo fornisce tuttavia, nel resoconto su Leucippo e
Democrito del primo libro della Metafisica, una parafrasi del contesto in cui
presumibilmente la massima compariva. Qui, però, come anche altrove
nella Metafisica119 e nella Fisica120 , egli considera gli Abderiti da un'altra ottica
e cioè come dualisti che avrebbero posto principi contrari, e assegna conseguentemente agli atomi e al vuoto lo stesso grado di esistenza come
sostrato materiale
Leucippo e il suo discepolo Democrito dicono che sono elementi il pieno e il
vuoto, chiamando l'uno essere, l'altro non essere; di questi il pieno e solido è l'essere, il vuoto e rado il non essere (perciò dicono anche che l'essere non è più del
117
Plut. Adv. Colot. 1109 A (68 B 156 DK; 7, 78 L.) oi|" oujdæ o[nar ejntucw;n oJ Kwlwvth" ejsfavlh
peri; levxin tou' ajndrov", ejn h|/ diorivzetai mh; ma'llon tov Æde;nÆ h] tov Æmhde; nÆ ei\nai, Æde; nÆ me; n
ojnomavzwn to; sw' ma Æmhde;nÆ de; to; kenov n, wJ " kai; touvtou fuvsin tina; kai; uJpovstasin ijdivan
e[conto". Le altre occorrenze del termine devn, se si eccettua un passo del Filopono (v. nota
seguente), sono dovute a congetture, in alcuni casi giustificate, in altri no. Nel testo di Galeno De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,17-19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.)
kata; de; th; n ajlhvqeian e} n kai; mhdev n ejsti ta; pavnta. kai; ga;r au\ kai; tou'tæ ei[rhken auj tov", e} n
me;n ta; " ajtovmou" ojnomavzwn, mhdev n de; to; kenovn, i Mss. riportano concordemente e{n, che
Mullach, seguito poi da Diels, ha corretto in devn. Dato che Galeno concepisce sempre gli
118
atomi come unità che hanno tutte la stessa sostanza, ha sicuramente "normalizzato" lo
strano termine democriteo. La lezione dei manoscritti va quindi mantenuta (cf. De Lacy
1996, 167 ad loc.).
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,3) (68 A 37 DK; 172, 197 L.) prosago-
reuvei de; to;n me;n tovpon toi'sde toi'" ojnovmasi tw'i te kenw'i kai; tw'i ouj deniv ª...º, tw'n de;
oujsiw'n eJ kavs thn tw'i te dev n. Lo Heiberg ha emendato la lezione corrotta (tw'ite de; A) o altrimenti lacunosa (tw'i te seq. lac. 7 litt. D: lac. 8 litt. E) di questo passo in Simplicio,
119
120
rifacendosi ad un brano del Filopono che sicuramente lo riecheggia, In Phys. 188a 19,
110,10 (188, 197, 328 L.) to; de; plh're" kai; to; keno;n ejnantiva, a{tina o]n kai; oujk o]n ejkavl ei,
kai; de;n kai; oujdev n, de;n me;n to; plh're" to; de; keno; n oujdev n. Anche qui tuttavia compaiono
nei codici le lezioni de;n (K) e e}n (LMt).
Metaph. G 5, 1009a 22 (8, 143 L.).
Phys. A 5, 188a 19 (68 A 45 DK; 238 L.).
Capitolo terzo
147
non essere, perché neppure il vuoto è più del corpo), questi sono causa delle cose
esistenti come materia121 .
Questo testo ha sempre costituito un problema perché presenta una versione inusuale dell'atomismo. Accanto a pieno e vuoto, compaiono infatti
rispettivamente come essere e non essere, anche il solido, il corpo in generale, e il rado. Queste "devianze", sono state imputate per lo più alla tradizione manoscritta, ma, molto più verosimilmente, derivano da una difficoltà oggettiva di Aristotele di adattare a categorie fisse e ben delimitate
delle formulazioni probabilmente vaghe e di più ampio respiro del testo
originale. Due sono le principali difficoltà testuali del brano:
1. Il fatto che vengano indicati come essere e non essere prima il
pieno e il vuoto, poi, immediatamente dopo, il pieno e solido e il vuoto e
rado. In seguito a questa anomalia, che distingue questa dalle altre testimonianze su Democrito di tradizione aristotelica e teofrastea, dove solo il
pieno e il vuoto vengono definiti essere e non essere, la maggior parte
degli editori ha espunto te kai; manovn.
2. Il fatto che l'affermazione che l'essere non è più del non essere sia
giustificata da un apparente paradosso: perché neppure il vuoto è più del
corpo. Qui l'esistenza del pieno sarebbe misurata anche su quella del
vuoto e non solo viceversa. Anche in questo caso, già nell'antichità, il testo
è stato reinterpretato e normalizzato. Simplicio, che si richiama a Teofrasto, riferisce nel suo resoconto la frase con l'integrazione e[latton122 , Alessandro, invece, nel suo commento al passo, aveva operato tacitamente una
metatesi dei casi123 . Gli editori moderni hanno adottato ora l'una, ora l'altra
121
122
123
Arist. Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.) Leuvkippo" de; kai; oJ eJtai'ro" aujtou'
Dhmovkrito" stoicei'a me; n to; plh're" kai; to; keno; n ei\naiv fasi, levgonte" to; me;n o]n to; de; mh;
o[n, touvtwn de; to; me; n plh're" kai; stereov n, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn, to; mh; o[n (dio;
kai; oujqe;n ma'llon to; o]n tou' mh; o[nto" ei\ naiv fasin, o{ti oujde; to; keno; n tou' swvmato"), ai[tia
de; tw'n o[ntwn tau'ta wJ " u{lhn.
Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (67 A 8 DK; 147 L.) e[ti de;
oujde;n ma'llon to; o] n h] to; mh; o] n uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomev noi" a[mfw.
th;n ga;r tw'n ajtovmwn oujsiv an nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai kai; ejn tw'i
kenw'i fevresqai, o{per mh; o]n ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[nto" ei\naiv fhsi. A questa rein-
terpretazione risale l'integrazione più in voga presso gli editori moderni del testo aristotelico oujde; to; keno;n ãe[l attonà tou' swmato" (cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1056 n. 2; Diels
ad loc.; Taylor 1999, 72). Sulla paternità teofrastea (e non simpliciana, pace Schofield 2002)
del passo, v. infra, n. 168.
Alex. In Metaph. 985a 21, 35,24 (214 L.) eJxh'" de; th;n Leukivppou te kai; Dhmokrivtou peri;
stoiceivwn dovxan iJstorei', kai; safw' " ejktivqetai thvn te dovxan aujtw'n kai; th;n pro;" tou; "
a[llou" diaforav n te kai; koinwnivan th; n kata; th; n dovxan. plh're" de; e[legon to; sw'ma to; tw'n
ajtovmwn dia; nastovthtav te kai; ajmixivan tou' kenou' . ojnomavzonte" de; to; me;n plh're" o]n to; de;
keno; n mh; o[n, ejp ei; oJmoivw" aujtoi'" h\n ej n uJp avrxei tov te plh're" kai; to; kenov n, oujde; n ma'llon
e[legon ei\nai to; plh're" tou' kenou'. Fra i moderni hanno proposto questa soluzione Ross
1924, ad loc.; Lur'e 1970, ad loc.; Mansfeld II, 1986, 286; Curd 2004, 181 n. 4, 189. Asclepio pur accogliendo quest'ultima interpretazione, la vede come l'affermazione di una ugua-
148
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
soluzione per restituire lo stesso significato ad ambedue le frasi col risultato di produrre una tautologia. Lo Pseudo-Filopono, tradotto dal Patrizi124 , metteva invece in rilievo la paradossalità della seconda frase
interpretandola come una osservazione ironica di Aristotele nei confronti
degli atomisti125 .
In realtà questo apparente paradosso non ha bisogno di correzioni o
aggiustamenti in quanto è perfettamente comprensibile alla luce dell'uso
leucippeo e democriteo del mh; ma'llon. La massima compare infatti più
volte nella tradizione sugli atomisti come enunciazione di una assoluta
equivalenza126 . Piuttosto i punti oscuri del brano rispecchiano la difficoltà
di Aristotele di adattare al suo schema sui principi un testo originale che
probabilmente si riferiva non solo agli atomi e al vuoto, ma anche, più in
generale, ai corpi solidi e a quelli radi. Se si prescinde per un momento
dagli atomi e dal vuoto e si osserva la struttura del parallelismo aristotelico
touvtwn de; to; me;n plh're" kai; stereovn, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn,
to; mh; o[n, risulta subito evidente che te kai; manovn non può essere espunto
senza comprometterne irrimediabilmente la simmetria127 . D'altra parte
anche plh're" e stereovn non sono del tutto equivalenti, come invece sostiene Jäger128 , in quanto l'uno denota la pienezza, l'altro la solidità che non
compete solo all'atomo, ma, in misura diversa, anche ai corpi visibili e
glianza quantitativa fra atomi e vuoto, cf. Ascl. In Metaph. 985b 4, 33,9 (177 L.) kai; e[legon
o{ti oujk e[stin ejpi; plevon to; o]n tou' mh; o[nto", ejp eidh; ou[te to; sw'ma, toutevstin aiJ a[tomoi,
pleivone" uJp avrcousi tou' kenou': pantacou' ga;r kai; keno;n kai; a[tomoi uJp av rcousin). Egli si
basa evidentemente su Metaph. G 5, 1009a 22. Sulla stessa lunghezza d'onda la correzione
del testo aristotelico (to; sw'ma tou' kenou') di Casaubon.
124
125
126
Un testo composto tra il XII e il XIV sec. Cf. l'introduzione di Ch. Lohr alla ristampa
dell'edizione del Patrizi del 1583, XII.
Cf. Ps.-Philop., In Metaph. vers. lat. Patritii, f. 3 Iam dicit et de Leucippo et Democrito qui dicebant,
plenum vel ens; et vacuum vel non ens, elementa. Ideo non plus tribuerunt enti, quam non enti. Quando
etiam ambo, elementa dixerunt. Quod vero neque vacuum corporis? irrisio est philosophi in illos.
Secondo Simplicio/ Teofrasto, Leucippo e Democrito avrebbero giustificato l'infinita
varietà delle forme atomiche col fatto che una cosa non è più di tal forma che di talaltra,
Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,9-10; 28,25-26) (67 A 8 DK; 2, 147 L.)
kai; tw' n ej n tai'" ajtov moi" schmavtwn a[peiron to; plh'qov" fasi dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton
h] toiou'ton ei\nai. Per l'uso della massima in vari contesti, cf. in particolare De Lacy 1964,
127
128
Graeser 1970, che però si attiene all'esegesi tradizionale del passo della Metafisica con relative correzioni del testo, e Burkert 1997, 30s. che interpreta la frase come espressione positiva di equivalenza e argomenta a favore del mantenimento del testo tràdito.
Cf. anche Sedley 1982, 191s.; Waschkies 1997, 162. Ambedue sottolineano la vaghezza
della concezione di "vuoto" esteso anche al rado. Essi non mettono però in discussione la
valenza dell'interpretazione aristotelica perché tralasciano l'altro problema testuale e il fatto
che plh're" e stereovn indicano sia gli atomi che i corpi composti.
1957 app. ad loc.; 1917, 484. Jaeger non offre peraltro alcun argomento a sostegno della
sua tesi.
Capitolo terzo
149
tangibili129 . I due concetti sono speculari a vuoto e rado nella seconda
parte. Vuoto e rado compaiono appaiati come concetti simili anche in un
testo ippocratico contemporaneo a Democrito. Descrivendo le parti porose del corpo quali il polmone o le mammelle, l'autore del trattato De
vetere medicina afferma che esse sono le più adatte ad assorbire liquido in
quanto non sono in grado di evacuarlo ogni giorno come le parti cave
ma quando una di queste parti assorba e riceva in sé il liquido, si riempiono le
parti vuote e rade anche quelle piccole in ogni parte e, invece che molle e rada, la
parte diventa dura e compatta e non opera né cottura né evacuazione130 .
Si tratta qui ovviamente di un contesto fisiologico, che tuttavia dimostra
come vuoto e rado potessero essere posti sullo stesso piano. Del resto
anche l'opinione comune identificava, secondo Aristotele, l'essere col
corpo tangibile, il non essere sia col vuoto che con l'aria (il rado), ambedue
invisibili e impercettibili131 . Sembra dunque che la massima parafrasata da
Aristotele definisca come essere e non essere non solo atomi e vuoto, ma
anche corpi solidi e radi. Plutarco stesso, citando la massima, identifica
mhdevn col vuoto, ma devn col corpo (sw'ma). Se è vero che egli usa il termine "corpi" al plurale anche per gli atomi seguendo l'uso epicureo132 , qui
si riferisce evidentemente non all'"atomo" singolo, ma al concetto più
generale di "corpo". Solo Galeno, che sostituisce in base ad una sua interpretazione e{n a devn e comunque utilizza un resoconto di seconda mano,
identifica ovviamente l'unità con l'atomo.
Melisso, equiparando espressamente il vuoto al mhdevn, lo distingue
implicitamente dal rado: ambedue non esistono, come non esiste il denso,
ma definisce solo il vuoto un non essere, non anche il rado133 . Anche se la
129
130
131
132
133
L'immagine che si forma dalla compressione dell'aria all'atto della vista è "solida", Theophr.
De sens. 50 (68 A 135 DK; 478 L.). Per la durezza dei corpi composti, cf. Ibid. 62 (68 A 135
DK; 369 L.) sklhro;n me;n ga;r ei\nai to; puknovn, malako;n de; to; manovn ª...º sklhrovteron
me;n ei\nai sivdhron. Compattezza e durezza sono caratteristiche dei corpi anche nella testimonianza di Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse est minora foramina esse.
[Hippocr.] VM 22,6 (151,2 Jouanna = I,630 Littré) ajll o{tan pivhi kai; devxhtai aujto;" ej"
eJwuto; n to; uJ grovn, ta; kena; kai; ajraia; ejplhrwvqh kai; ta; smikra; pavnth, kai; ajnti; malqakou'
te kai; ajr aiou' sklhrov" te kai; pukno;" ej gev neto, kai; ou[t ejkpev ssei ou[t ajf ivhsi.
Phys. D 6, 213a 27-31 (67 A 19 DK; 255 L.) oiJ d a[nqrwpoi bouvlontai keno;n ei\nai
diavsthma ej n w|i mhdevn ejsti sw'ma aijsqhtovn: oijovmenoi de; to; o]n a{pan ei\nai sw'ma fasivn, ej n
w|i o{lw" mhdevn ejsti, tou't ei\nai kenov n, dio; to; plh're" ajevro" keno;n ei\nai. I Pitagorici identificavano del resto il vuoto con il pneuma Phys. D 6, 213b 22-24. Cf. anche De gen. et corr. A
3, 318b 19 dokei' de; ma'llon toi'" polloi'" tw'i aijsqhtw'i kai; mh; aijsqhtw'i diafevrein: ª...º to;
ga;r o] n kai; to; mh; o]n tw'i aijsqavnesqai kai; tw'i mh; aijsqav nesqai diorivzousin.
Cf. Plut. Quaest. conv. 653 F; cf. anche. De fort. Rom. 317 A.
30 B 7 DK, 7-8 oujde; keneovn ejs tin oujd evn: to; ga;r keneo;n oujd evn ejstin: oujk a]n ou\n ei[h tov
ge mhdev n ª...º pukno;n de; kai; ajr aio;n oujk a] n ei[h: to; ga;r ajr aio;n oujk aj nusto;n plevwn ei\nai
oJmoivw" tw'i puknw'i, ajllæ h[dh to; ajraiov n ge kenewvteron givnetai tou' puknou'.
150
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
massima del mh; ma'llon fosse rivolta contro questa tesi di Melisso, la denotazione di "non essere" presso gli atomisti sarebbe comunque più ampia
e si estenderebbe al di là dell'ambito dei principi cui Aristotele vorrebbe
ridurla. Essa costituirebbe inoltre una asserzione dogmatica dell'esistenza
del non essere decisamente opposta a quella di Melisso così come lo sarebbe anche se si supponesse, come spesso viene fatto, che la massima
fosse diretta contro un Parmenide reinterpretato. Dunque gli atomisti non
avrebbero concesso nulla agli Eleati e non avrebbero nulla in comune con
loro, ma andrebbero esattamente nella direzione opposta.
Alcuni interpreti, nel tentativo di "salvare" il prestigio "filosofico" di
Leucippo e Democrito e di farne in qualche modo gli eredi degli Eleati,
ipotizzano però che la massima fosse solo la conclusione di una argomentazione più ampia che è andata perduta134 , altri suppongono che gli
atomisti distinguessero due significati di ei\nai: uno più debole, "esserci"
(del vuoto e degli atomi) e uno più forte, "essere reale", (solo degli atomi
in quanto riempiono lo spazio). Il vuoto esisterebbe in un senso più debole, in quanto spazio vuoto, ma non sarebbe "reale"135 . Tutto questo
riecheggia, in forme moderne, il tentativo di distinzione fra un significato
proprio e improprio di essere già aristotelico, ma non trova alcun riscontro nelle testimonianze sugli atomisti. Il pre-supposto di queste ipotesi sta
nel rifiuto di collocare gli atomisti nel loro contesto storico. Se si esaminano i testi concernenti la natura dell'universo e dell'uomo più o meno
contemporanei a Leucippo o a Democrito come i frammenti di Anassagora, di Ione di Chio, di Filolao e i trattati ippocratici, risulta subito chiaro
che affermazioni dogmatiche e lapidarie non vengono a conclusione di
un'argomentazione, ma introducono il discorso e non sono precedute da
definizioni e distinzioni (un tratto tipicamente platonico e aristotelico).
Talvolta sono seguite da qualche "prova" empirica (tekmhvrion, shmei'on,
martuvrion) o argomenti che, dal punto di vista degli interpreti moderni,
sono spesso del tutto insufficienti e nebulosi come le massime stesse136 .
Questo è dovuto al fatto che lo scopo dello scritto non è quello di presentare un trattato teorico redatto secondo i canoni della logica aristotelica, ma quello di influenzare e persuadere un pubblico che condivide gli stessi
pre-supposti culturali compresa la concezione di "argomento persuasivo".
134
135
136
Mc Gibbon 1964, 254s.; Curd 2004, 191.
Bailey 1928, 75; Barnes 1982, 403-405. Per una critica a questa tesi, cf. Curd 2004, 191s.
Cf. e.g. l'incipit del libro di Filolao (44 B 1 DK) "la natura nel cosmo è stata composta di
cose illimitate e di cose limitanti, e il cosmo nella sua interezza e tutto quanto si trova in
esso". I frammenti B 2-6 DK, che dovrebbe fornire una argomentazione a favore di questa
tesi, sono formulati in maniera altrettanto vaga e sibillina quanto l'incipit e proprio per questo sono indice di autenticità. Cf. Burkert 1972, 252ss., Huffman 1993, Part II. 1, cf. anche
93ss.
Capitolo terzo
151
Lo stile dell'enunciazione è dunque parte fondamentale del discorso. In
questo contesto l'affermazione dogmatica, soprattutto se foneticamente
ben costruita, aveva un impatto e un effetto sul destinatario altrettanto
forte di quanto poteva averlo una argomentazione logica formalmente
perfetta sugli allievi del Peripato. Essa denota infatti sicurezza e autorità,
infonde fiducia e soddisfa esteticamente l'uditore ed ha perciò ha tutti i
requisiti per essere accettata. La stessa massima anassagorea oJmou'
crhvmata pavnta h\n (59 B 1 DK), con la sua meravigliosa eufonia137 , è un
buon esempio di questo tipo di enunciazione e non viene esplicitamente
giustificata o spiegata prima, ma costituisce semmai il fondamento del
discorso successivo. Allo stesso modo i Triagmoi di Ione di Chio e il trattato ippocratico De genitura si aprono con una frase ad effetto138 . La massima atomista era dunque quella che è, una affermazione lapidaria ed efficace, seguita probabilmente da considerazioni quali quelle che si trovano
nella parafrasi aristotelica: il corpo non è più del vuoto perché quest'ultimo non è più del corpo.
Quello dell'esistenza del non essere, del vuoto, del rado era un problema dibattuto nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Sul non essere si era
espresso ad esempio Seniade di Corinto, un contemporaneo cui Democrito stesso aveva fatto riferimento, il quale sosteneva che tutte le cose
nascono dal, e periscono nel non essere139 . Gorgia, dal canto suo, aveva
cercato di dimostrare l'opposto di Democrito e cioè che non esistono né
l'essere né il non essere. L'affermazione dell'esistenza del non essere, la sua
equiparazione al rado erano dunque temi correnti nell'ultimo terzo del V
sec. a.C. e su questo sfondo di concezioni comuni e discorsi sofistici va
interpretata la massima democritea. Il vuoto e il rado sono "enti" a pieno
titolo in quanto esistono alla stessa stregua, ma in ogni caso non più, dei
corpi. All'enunciazione della formula poteva seguire qualche prova, secondo la procedura corrente nei testi presocratici, ippocratici e in generale
negli autori della seconda metà del V sec. a.C. Aristotele allude, senza
137
138
La sua sequenza vocalica centrale (e-a-a-a-a) è degna della poesia (riecheggia infatti la
formula epica h{mata pavnta Hom. Il. 8,539 al.; Od. 4,209 al.; Hes. Th. 305 al.) e naturalmente va persa nella versione che si ritrova più spesso nella tradizione antica oJmou' pavnta
crhvmata (e sostituita da Diels nel testo di Simpl. In Phys. 155,27 alla versione corretta riportata dai codici in questo passo, cf. Rösler 1971 e Sider 2005, 69s.) che non tiene alcun
conto del suono e del ritmo.
Ion 36 B 1 DK (Harpocr. s.v. “Iwn) ajrch; dev moi tou' lovgou: pavnta triva kai; oujden plevon h]
e[lasson touv twn tw'n triw'n. eJ no;" eJkav stou ajreth; triav ": suv nesi" kai; kravto" kai; tuvch.
[Hippocr.] Genit. 1,1 (44,1 Joly = VII,470 Littré) novmo" me;n pavnta kratuvnei: hJ de; gonh; tou'
ajndro;" e[rcetai ajpo; panto; " tou' uJgrou' tou' ej n tw'i swv mati ejovnto", to; ijscurovtaton
ajpokriqevn. In questo trattato segue la "prova" (tou' tou de; iJstovrion tovde, o{ti ajpokrivnetai
to; ijscurovtaton): dopo il coito, pur eiaculando una piccola quantità di liquido, ci si sente
139
deboli.
Sext. Emp. Adv. Math. 7,53 (68 B 163 DK; 75 L.).
152
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
tuttavia riportare nomi, ad alcuni martuvria sull'esistenza del vuoto: l'esempio del vaso pieno di cenere che contiene tanta acqua quanto ne
contiene quando è vuoto, rivela che la cenere ha una struttura estremamente rada e contiene moltissimi vuoti140 ; l'esempio della crescita dei
corpi, che avviene per assunzione di cibo, rivela che il corpo ha una
struttura porosa che ne permette la penetrazione 141 .
Lo scenario che la massima mh; ma'llon to; de;n h] to mhdevn con i suoi
corollari presenta è dunque diverso da quello descritto in De generatione et
corruptione A 8: non solo non si vede nessuna differenza fra un essere propriamente detto e un non essere che ha un grado di esistenza inferiore, ma
c'è un'estensione della denotazione di questi termini ad un ambito più
vasto di quello degli atomi e del vuoto. Inoltre, se la massima ha una qualche relazione con gli Eleati, questa è di pura opposizione di una dottrina
formulata indipendentemente e non di derivazione o di "concessione".
4. 2. 2. Vuoto e vuoti. Modalità e funzioni
Al di là della massima del mh; ma'llon, l'attenzione degli atomisti si concentra comunque non tanto sull'esistenza del vuoto in generale, quanto
piuttosto su quella dei "vuoti" e sulle funzioni specifiche della loro forma
e posizione nella generazione e nel funzionamento del mondo e dei corpi.
Questo non equivale affatto ad una concezione astratta del vuoto come
condizione necessaria o addirittura causa del movimento quale sembra
riflessa in certi passi aristotelici. Riguardo agli atomisti si tratta di un problema mal posto in quanto essi cercano non la ragione teorica del movimento in generale, ma la causa fisica dell'origine del cosmo e l'eziologia di
fenomeni concreti. Il vuoto, fuori da questo contesto, non è causa di nulla,
come non lo sono gli atomi presi in se stessi come unità astratte ordinate
una dopo l'altra in un generico vuoto. Ciò che fa la differenza sono le
forme diverse e irregolari dei corpuscoli ognuna delle quali conferisce loro
una spinta specifica creando disordine e scompiglio, le loro giravolte e il
loro reciproco impigliarsi, ma anche la forma, la grandezza e la posizione
dei "vuoti" nel contesto cosmogonico e fenomenico. Il mondo degli atomisti è un mondo "poroso" e permeabile, dove i pori-vuoti, anch'essi "irregolari", hanno la funzione di accogliere e di lasciar passare effluvi dall'interno all'esterno e viceversa e di permettere continui riassetti all'interno
dei corpi e del cosmo stesso, piuttosto che di "dividere". Le formulazioni
140
141
Phys. D 6, 213b 21-22 martuvrion de; kai; to; peri; th'" tevfra" poiou'ntai, h} devcetai i[son
u{dwr o{son to; aj ggei'on to; kenovn. Cf. [Arist.] Probl. 938b 24-27.
Phys. D 6, 213b 18-20 e[ti de; kai; hJ au[xhsi" dokei' pa'si givgnesqai dia; kenou': th;n me;n ga;r
trofh;n sw'ma ei\nai, duvo de; swvmata ajduv naton a{ma ei\nai.
Capitolo terzo
153
aristoteliche in De generatione et corruptione A 8 e in tutti i passi in cui il vuoto
e gli atomi vengono trattati in termini generali e astratti fanno perdere di
vista proprio il fatto che gli atomisti parlano soprattutto di forme atomiche particolari e di vuoti specifici concepiti in un contesto dinamico e non
statico. E' il grande vuoto, il mevga kenovn, e non il vuoto in quanto tale, a "fagocitare" la massa disordinata di atomi in lotta fra loro e ad innescare il
processo cosmogonico142 . Nei corpi i vuoti più grandi o più piccoli favoriscono in misura maggiore o minore il passaggio di succhi, di nutrimento e
di aria. Quelli più grandi e più diritti, come i pori di certe piante, offrono
ovviamente un transito più agevole al nutrimento accogliendone una maggiore quantità e permettendo una maggiore crescita143 . Fenomeni analoghi
si verificano all'interno dei corpi viventi: nella zona dello stomaco e del
ventre, che contiene un grande vuoto, confluisce una grande quantità di
figure dei vari succhi144 . Il suono, pur spandendosi in tutto il corpo, viene
percepito solo con le orecchie perché al loro interno c'è un vuoto più
grande, secco e facilmente penetrabile145 . Pori troppo stretti, invece, come
quelli dell'osso frontale dei buoi senza corna, non possono accogliere il
nutrimento proveniente dal ventre e impediscono la crescita delle corna146 .
Una determinata collocazione dei vuoti e dei pieni all'interno dei corpi, ne
determina la maggiore o minore durezza o le variazioni di peso: il ferro,
che ha una struttura non omogenea con molti vuoti, ma disposti a grandi
intervalli è più duro, ma, nel contempo, più leggero del piombo il quale
contiene meno vuoti, ma ha una struttura regolare e omogenea147 . Il colore
142
143
144
145
146
147
Sul contesto e la funzione di questa immagine, v. infra, VII 2. Orelli 1996, Parte II, assegna
a tutti i vuoti un effetto di "trazione", lo stesso esercitato dalle koilivai ippocratiche. Berryman 2002, 188-90, individua questo ruolo del vuoto nel movimento di corpi macroscopici senza però prestare attenzione alla funzione specifica delle forme e delle dimensioni
dei vuoti.
Theophr. De caus. plant. 1,8,2 (68 A 162 DK; 557 L.) o{sa de; kata; ta;" ijdiva" fuvsei", wJ" a]n
gev no" pro;" gevno" ªoJº sugkrivnwn lavboi ti", povtera kata; ta; " eujquvthta" tw'n povrwn
lhptevon, w{ sper Dhmovkrito"… eu[rou" ga;r hJ fora; kai; aj nempovdisto" w{" fhsin.
Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) uJgrainovmena de; kai; ejk th'" tavxew" kinouvmena
surrei'n eij " th;n koilivan: tauv thn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauv thi plei'ston ei\nai kenovn. Teofrasto nel De sensu non parla mai di atomi, ma di figure (schvmata).
Theophr. De sens. 56 (68 A 135 DK; 488 L.) eij" ga;r to; keno;n ejmpivptonta to;n ajevr a
kivnhsin ej mpoiei'n, plh; n o{ti kata; pa'n me; n oJmoivw" to; sw'ma eijsiev nai, mavlista de; kai;
plei'ston dia; tw' n w[twn, o{ti dia; pleivstou te kenou' dievrcetai kai; h{kista diamivmnei. ª...º
ajqrovon ga;r a] n ou{tw" eijsiev nai th; n fwnh; n a{ te dia; pollou' kenou' kai; aj nivkmou kai;
eujtrhvtou eijsiou's an.
Aelian. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.) oiJ de; a[kerwi tau'roi to; tenqrhniw'de" (ou{tw
de; ojnomavzei Dhmovkrito") ejpi; tou' brevgmato" ouj k e[conte" (ei[h dæ a]n to; shraggw'd e" levgwn)
ajntituvpou tou' panto;" o[ nto" ojstevo u kai; ta;" surroiva" tw' n cumw' n ouj decomevnou gumnoiv te
kai; a[ moiroi givnontai tw' n ajmunthrivw n.
Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) diafevrein dev ti th;n qevsin kai; th;n ejnapovlhyin
tw'n kenw' n tou' sklhrou' kai; malakou' kai; barevo" kai; kouvfou. dio; sklhrovteron me; n ei\ nai
154
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
nero ha pori non diritti e quindi difficilmente permeabili alla luce148 , il
verde è anch'esso costituito di grosse "figure" e di grossi vuoti e le sue
varietà dipendono dall'ordine e dalla reciproca disposizione degli uni e
degli altri149 . I fulmini e i turbini sono dovuti alla formazione, in nuvole
che si scontrano, di interstizi con molti vuoti attraverso cui (dia; tw'n polukevnwn ajraiwmavtwn) gli atomi generatori del fuoco vengono filtrati.
Quando aggregati di fuoco con molti vuoti al loro interno e circondati da
membrane sono inglobati in spazi contenenti a loro volta molto vuoto
(polukenwvtera sugkrivmata puro;" ejn polukevnoi" katasceqevnta
cwvrai") e si slanciano verso il basso, si forma il turbine infuocato, il
prhsthvr150 . Come si può vedere da tutti questi esempi, non è il vuoto,
principio fisico astratto, che contribuisce a produrre i fenomeni, ma la
grandezza, la forma e la distribuzione dei vuoti concreti nell'universo e nei
corpi.
Quello che si trova nella prima parte del resoconto aristotelico di De
generatione et corruptione A 8 è dunque una rielaborazione di testi atomisti in
base ad una impostazione di problemi quali quello del movimento e della
definizione di essere e uno tipici del contesto culturale in cui Aristotele si
era formato.
sivdhron, baruvteron de; movl ubdon: to; n me;n ga;r sivdhron ajnwmavlw" sugkei'sqai kai; to;
keno; n e[c ein pollach'i kai; kata; megavl a, pepuknw'sqai de; kata; e[ nia, aJplw'" de; plevo n
e[cein kenov n. to;n de; movlubdon e[latton e[conta keno;n oJmalw' " sugkei'sqai kata; pa' n
oJmoivw": dio; baruvteron mevn, malakwv teron dæ ei\ nai tou' sidhvrou.
148
149
Theophr. De sens. 74 (68 A 135 DK; 484 L.).
Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.) to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou' kenou'
sunestavnai megavlwn ejx ajmfoi'n, th'i qevs ei de; kai; tavxei aujtw' n th; n crov an. Diels, evidentemente ritenendo improbabile che Democrito tenesse conto anche della dimensione e disposizione dei vuoti per la determinazione del colore e delle sue sfumature, ha cambiato e
integrato la lezione dei manoscritti in questo passo (to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou'
kenou' sunestavnai mikto;n ejx aj mfoi'n, th'i qevsei de; kai; tavxei ãdiallavtteinà aujtw' n th;n
crovan). La correzione mikto;n non ha senso perché è chiaro che non solo il verde, ma ogni
150
colore come ogni altro oggetto o proprietà è fatto di atomi e vuoto, la seconda è superflua
perché Teofrasto non si riferisce al cambio di colore, ma alle sue varie sfumature: come ci
sono diversi bianchi e rossi (cf. 73; 75) così anche diversi verdi. Sassi 1978, 142 n. 111
cambia, evidentemente in base allo stesso presupposto, megavlwn in me;n gavr. Il passo così
come è tramandato dai manoscritti ha invece un senso perfetto se si tiene conto che la
forma e la disposizione dei vuoti hanno, insieme a quella degli atomi, una funzione fondamentale.
68 A 93 DK; 415 L.
Capitolo terzo
155
4. 3. La seconda parte del resoconto aristotelico
(De gen. et corr. A 8, 325a 30-b 11)
Aristotele non costruisce naturalmente sul nulla. Esistevano indubbiamente, come si ricava dalla parte più propriamente espositiva del resoconto su Leucippo, ma anche dagli altri resoconti di questo tipo sparsi qua
e là nell'opera aristotelica, delle affermazioni che, se astratte dal loro contesto immediato e rielaborate in uno schema dialettico, potevano far rientrare questo autore nel gruppo di coloro che hanno accettato in parte delle
tesi eleatiche pur criticandole. Il fatto che avesse posto come base del
mondo fisico corpuscoli pieni, solidi e indistruttibili, rendeva facile la loro
assimilazione all'uno, assimilazione che Aristotele stesso fa esplicitamente
in Metaph. B 4 (v. supra, 4. 1. 3 n. 115) e che diverrà poi un caposaldo dell'interpretazione hegeliana dell'atomismo. La massima del mh; ma'llon e la
designazione di vuoto e rado come "non essere" favoriva, se lievemente
modificata, l'inserimento di Leucippo nello schema di soluzione dell'aporia
"eleatica" attraverso la distinzione di un essere propriamente detto e di un
non essere come "altro dall'essere".
Il passaggio dalla rielaborazione dialettica alla parte descrittiva di dottrine atomistiche in De generatione et corruptione A 8, che riproduce in sostanza una "scheda" aristotelica, è piuttosto brusco e sconnesso: non è
chiaro infatti come la tesi di un infinito numero di corpuscoli invisibili si correli con la presunta risposta agli Eleati. L'invisibilità e l'infinità sono del
tutto ridondanti nel contesto della presunta disputa151 . La ragione di questo
passaggio estemporaneo sta nel fatto che Aristotele collega qui lo schema
dialettico con un suo resoconto-tipo sull'atomismo che impiega anche
altrove e da cui ha preso le mosse per costruire lo schema. Secondo questa
descrizione infiniti corpuscoli invisibili si muovono nel vuoto e, urtandosi
e intrecciandosi, producono una genesi, separandosi, una dissoluzione.
Agiscono e subiscono nei loro contatti fortuiti e generano componendosi
e intrecciandosi: dal vero uno non si genera il molteplice, né dalla vera
molteplicità l'uno. L'immagine dell'atomismo che viene offerta in questa
parte del resoconto è diversa da quella dello schema precedente di confronto dialettico con gli Eleati. Qui viene semplicemente ribadito che il
vuoto esiste e gli atomi non vengono presentati come unità astratte (il
tutto-pieno) separate fra loro dal vuoto, ma come forme in movimento
che "agiscono e subiscono", vengono a contatto e si intrecciano senza
formare mai un corpo unico. Vale la pena soffermarsi su quest'ultima
caratteristica in quanto ritorna frequentemente nei resoconti aristotelici
151
Cf. anche Hussey 2004, 252 n. 18 "why the particles of 'what is' were supposed collectively
infinite in number and individually invisible because of their smallness il left unexplained".
156
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
sull'atomismo152 e viene spesso interpretata come prova del fatto che
manca un vero contatto fra gli atomi, perché essi sono sempre tenuti separati da una patina di vuoto153 . Gli interpreti moderni hanno seguito su
questo punto il commento del Filopono154 il quale, però, è frutto di pura
speculazione155 . L'idea che due atomi della stessa materia debbano necessariamente divenire uno, se non c'è nulla che li tiene divisi, deriva dal presupposto aristotelico che le singole parti di un sostrato materiale della
stessa natura debbano necessariamente fondersi se vengono a contatto
senza che ci sia qualcosa che li separa156 . Contatto e vuoto hanno tuttavia
ciascuno la loro funzione per gli atomisti, come dichiara esplicitamente
Aristotele stesso nel seguito del resoconto: per Leucippo la generazione e
la dissoluzione avverrebbero attraverso il contatto e attraverso il vuoto. Il
contatto fra gli atomi è dunque un contatto vero e proprio, come mostra il
termine specifico per il contatto reciproco diaqighv e il richiamo agli intrecci (periplevkesqai), agli incroci (ejpallaghv) e al reciproco sostegno
(ajntivlhyi")157 . La prospettiva teorica della divisione attraverso il vuoto in
un sostrato unico continuo fa completamente dimenticare le caratteristiche fisiche reali degli atomi: essi non si fondono mai in un unico corpo
non perché sono separati dal vuoto, ma perché sono assolutamente duri e
152
153
154
155
156
157
Arist. De cael. G 4, 303a 6 (67 A 15 DK; 47, 292 L.) ou[t ejx eJno;" polla; givgnesqai ou[te ejk
pollw'n e{n. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,12-14) (68 A 37 DK; 293 L.)
fuvsin mev ntoi mivan ejx ejkeivnwn kat ajlhvqeian oujd hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe"
ei\nai to; duvo h] ta; pleivona genevsqai a[n pote e{n. Cf. Metaph. Z 13,1039a 7-14 (68 A 42 DK;
46, 211 L.). Come si vede la formulazione dell'enunciato varia a seconda del contesto.
Nella Metafisica, dove compare non più la molteplicità, ma il due, ha sicuramente influito il
confronto con le teorie senocratee delle idee numero che, secondo Aristotele, ponevano
contemporaneamente come unità sia l'idea-numero (la diade), sia le sue singole componenti
(su questo, v. infra, V 2 n. 27).
Cf. e.g. Bailey 1928, 87; Löbl 1976 Barnes 1982, 349; Curd 2004, 184 n. 12.
Philop. In De gen. et corr. 325a 32, 158,27-159,3.
Cf. l'analisi critica dettagliata della testimonianza del Filopono e dell'interpretazione moderna in Bodnár 1998, 136-140; cf. anche Mansfeld 2007.
Cf. De gen. et corr. A 8, 326a 31-33 (critica agli atomisti) eij me;n ga;r miva fuvs i" aJpavntwn, tiv to;
cwrivsan… h] dia; tiv ouj giv netai aJy avmena e{ n, w{sper u{dwr u{dato" o{tan qivghi… cf. Metaph. H 2,
1042b 11-15; Phys. G 4, 203a 33-203b 1; De cael. A 7, 275b 30ss. L'interpretazione aristotelica ha condizionato non solo la concezione epicurea, ma tutta l'interpretazione dell'atomismo antico fino ad oggi. Epicuro, quando accenna al vuoto che tiene divisi gli atomi (Ep.
1,44), presuppone la definizione aristotelica (usa lo stesso termine diorivzein). La concezione degli atomi come "materia" e sostrato unico che deve essere tenuto diviso dal vuoto
è anche il pre-supposto più o meno esplicito delle interpretazioni moderne che accettano
come autenticamente democritea la testimonianza aristotelica sugli atomisti antichi di De
gen. et corr. A 8. Cf. e.g. Furley 1987, 118; Makin 1993, 13, 52s.; Algra 1995, 45; Pyle 1997,
46; Curd 2004, 187s. V. anche infra, VII 2.
Arist. Fr 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,11-18) (68 A 37 DK; 293 L.). Su
ajntivlhyi" come "sostegno", cf. Xen. Eq. 5,7; [Hippocr.] Off. 9 (II,36,10 Kühlewein =
III,302 Littré).
Capitolo terzo
157
compatti e dunque non possono né interpenetrarsi né fondersi. Le stesse
caratteristiche spiegano anche la sterilità dell'atomo. Nella Fisica, dove
confronta le due teorie di Anassagora e Democrito attribuendo ad ambedue la concezione di un "infinito per contatto", Aristotele spiega che,
mentre l'uno attribuisce agli omeomeri una infinita capacità generativa
Democrito dice che fra i corpi primi nessuno si genera dall'altro158 .
Questa formulazione potrebbe avvicinarsi maggiormente all'originale della
formula tipica uno-molti, che Aristotele impiega in De gen. et corr. A 8 e in
altri passi in cui parla di queste caratteristiche dell'atomo. Egli tende infatti
a sostituire la formula-tipo ad espressioni come ajpo; (o ejk) tou' aujtou'
eJteroiou'sqai159 .
Gli atomisti distinguono così, diversamente da Anassagora, i corpi fenomenici, sottoposti a continua genesi e cambiamento e, come tali esposti
a squilibri e dissoluzione, dai corpuscoli che ne costituiscono i fondamenti
eterni che, per essere tali, devono essere sterili, immutabili e inattaccabili e
dunque privi di "vie" che permettano l'entrata, l'uscita e lo spostamento di
materia. Non bisogna dimenticare che Democrito equiparava l'atto della
generazione, in cui "un uomo balza fuori da un uomo", ad una piccola
apoplessia e osservava che i corpi fenomenici sono esposti all'azione anche di minuscole particelle che vi si insinuano dall'esterno o che cambiano
posizione al loro interno160 . Generazione e cambiamento sono dunque per
Democrito potenziali cause di squilibrio e dissoluzione. Questa concezione del cambiamento è fondamentale nella medicina del quinto secolo 161
e ha come complemento la convinzione che corpi più duri e più compatti,
come quelli maschili, siano più resistenti e più immuni da malattie di quelli
158
159
160
161
Phys. G 4, 203a 33 (68 A 41 DK; 220 L.) Dhmovkrito" d oujde;n e{teron ejx eJtevrou givgnesqai
tw'n prwvtwn fhsiv n.
Cf. ad esempio la "traduzione" aristotelica di Diogene di Apollonia, in De gen. et corr. A 6,
322b 13 (64 A 7 DK) kai; tou't ojrqw'" levgei Diogevnh", o{ti eij mh; h\n ejx eJno;" a{p anta, oujk a]n
h\n to; poiei'n kai; to; pavs cein uJp ajllhvlwn. Cf. anche Theophr. De sens. 39 (64 A 19 DK). Il
testo di Diogene è invece il seguente (64 B 2 DK) pavnta ta; o[nta ajpo; tou' aujtou' eJteroiou'sqai kai; to; auj to; ei\ nai ª...º ajlla; pav nta tau'ta ejk tou' aujtou' eJ teroiouvmena a[llote
ajlloi'a givnetai kai; eij" to; aujto; aj nacwrei'.
Per la concezione dell'atto sessuale, cf. 68 B 32 DK (527; 804a L.), supra, Introduzione n.
14. Per l'estrema influenzabilità e mutevolezza dei corpi, cf. Arist. De gen. et corr. A 2, 315b
13-15 (67 A 9 DK; 70 L.); Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (68 A 8
DK; 147 L.).
La medicina si sofferma soprattutto sul carattere negativo del cambiamento prodotto in
uno stato di equilibrio per l'introduzione di qualcosa dall'esterno o per il prevalere di un
elemento all'interno del corpo, processi alla radice della malattia, cf. e.g. Alcmaeon 24 B 4
DK; [Hippocr.] Morb. sacr. 18,1 (31,16 Jouanna = VI,394 Littré); VM 14,4 (136,8 Jouanna
= I,602 Littré). Per il coito come forte alterazione dell'equilibrio corporeo, cf. Genit. 1,2-3
(44,10-45,8 Joly = VII,470-472 Littré). Cf. anche Schubert 1993, 158ss.
158
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
molli e porosi come quelli femminili162 che possono accogliere e trattenere
sostanze estranee dall'interno e dall'esterno.
Se è valido tutto quanto si è osservato finora sul rapporto fra vuoti e
atomi e sulla concezione dei corpi presso gli atomisti, bisogna riconoscere
che la tesi di una nascita dell'atomismo sull'accettazione-correzione di
concetti eleatici nei termini esposti da Aristotele è dettata da una visione
estremamente teorica e astratta che prescinde dai testi reali, dalla loro
terminologia specifica e dalle immagini che rimandano al contesto del loro
tempo come si vedrà più diffusamente nel capitolo settimo. Aristotele non
è in malafede, ma interpreta questi testi alla luce della problematica del suo
tempo, quella cioè finalizzata alla soluzione delle aporie eleatiche impostate nell'Accademia.
5. Atomisti ed Eleati in Teofrasto e nelle testimonianze tarde
5. 1. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15)
(67 A 8 DK; 147 L.)
Le testimonianze tarde riguardo al tema delle presunte relazioni fra atomisti ed Eleati sono in diversa misura influenzate dai resoconti aristotelici e
soprattutto teofrastei. E' dunque importante prendere in considerazione
anche la testimonianza di Simplicio la quale risale, probabilmente in modo
mediato, a Teofrasto163 .
Leucippo l'Eleate o il Milesio (infatti gli vengono attribuite ambedue le provenienze), pur partecipando della filosofia di Parmenide, non ha seguito la stessa via
di Parmenide e Senofane nella determinazione delle cose esistenti, ma piuttosto,
come sembra, quella contraria. Mentre infatti quelli ponevano il tutto come uno,
immobile, ingenerato e limitato e non ammettevano neppure che si cercasse il
non essere, egli ha posto elementi infiniti e sempre in movimento, gli atomi, e ha
supposto che la quantità delle forme in essi presenti sia infinita perché nulla è più
di tal forma che di talaltra e perché osservava nelle cose esistenti una genesi e un
cambiamento incessanti. Inoltre diceva che l'essere non esiste più del non essere e
che ambedue sono cause delle cose esistenti allo stesso modo. Infatti, ponendo la
sostanza degli atomi come compatta e piena, disse che era l'essere e che si muove
nel vuoto, che chiamava non essere, e dice essere non meno del non essere164 .
162
163
164
Su queste concezioni mediche, v. infra, V 4 n. 99-100 e VII 1.
Per una utilizzazione mediata di Teofrasto da parte di Simplicio, per lo meno in alcuni
punti dell'excursus sui presocratici, von Kienle 1961, 58ss.
Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.) Leuvkippo" de; oJ Eleavth" h] Milhvsio" (ajmfotevrw" ga;r levgetai peri; aujtou') koinwnhvs a" Parmenivdhi th'" filosofiva", ouj th;n aujth;n ej bavdise Parmenivdhi kai; Xenofav nei peri; tw'n o[ntwn
Capitolo terzo
159
In questo resoconto l'appartenenza eleatica di Leucippo non è ritenuta un
dato incontrovertibile, ma solo una delle ipotesi che circolano su di lui,
l'altra lo farebbe, invece, originario di Mileto165 . Teofrasto inoltre non usa
per designare il rapporto Leucippo-Parmenide i termini tecnici del discepolato, eJtai'ro" o ajkousthv", bensì un più generico koinwnhvsa" Parmenivdhi th'" filosofiva"166 che fa pensare piuttosto ad una ricostruzione a
posteriori sulla scia di De generatione et corruptione A 8. Infine, nel resoconto
teofrasteo risulta abbastanza trasparente un intreccio di schemi oppositivi
di matrice sofistica con interpretazioni aristoteliche. Lo schema di fondo
è, infatti, quello canonico dell'opposizione netta monisti/ pluralisti, sostenitori del movimento continuo/ sostenitori della stasi, sostenitori/ negatori della generazione e della dissoluzione di matrice sofistica che si inoJdovn, ajll wJ" dokei' th;n ejnantiv an. ejkeiv nwn ga;r e} n kai; ajkiv nhton kai; ajgevnhton kai; peperasmev non poiouv ntwn to; pa'n, kai; to; mh; o]n mhde; zhtei' n sugcwrouv ntwn, ou|to" a[p eira kai;
ajei; kinouvmena uJp evqeto stoicei' a ta; " aj tovmou" kai; tw' n ejn auj toi'" schmavtwn a[peiron to;
plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou' ton h] toiou'ton ei\nai ªtauvthn ga;rº kai; gevnesin kai; metabolh;n ajdiavleipton ej n toi'" ou\si qewrw'n. e[ti de; oujde; n ma'llon to; o]n h] to; mh; o] n
uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomevnoi" a[ mfw. th; n ga;r tw'n ajtovmwn ouj sivan
nasth; n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o] n e[legen ei\nai kai; ej n tw'i kenw'i fevresqai, o{per mh; o]n
ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[ nto" ei\naiv fhsi.
165
166
Io non credo che Teofrasto su questo punto si limiti a "tradurre" dei dati semplicemente
ricavabili da diverse trattazioni di Leucippo nell'opera aristotelica come pensava Mc
Diarmid 1970, 229. Secondo Mc Diarmid il resoconto teofrasteo sarebbe ricavato dalla
conflazione di Metaph. A 4, dove Leucippo e Democrito sarebbero posti fra gli ionici, e De
gen. et corr. A 8 nel quale appunto Leucippo è rappresentato come seguace degli Eleati. Teofrasto rielabora indubbiamente interpretazioni aristoteliche, ma si basa anche su schemi
provenienti da altre tradizioni quali quella sofistica e platonica. La classificazione che compare in Metaph. A 4 è ben lungi, del resto, dal presentare una generazione "ionica" di filosofi (Leucippo e Democrito compaiono fra Empedocle e i Pitagorici), anzi, Aristotele ha
difficoltà ad inserire gli atomisti. Inoltre, se l'origine milesia di Leucippo fosse dedotta unicamente dalle classificazioni aristoteliche, anche Democrito, che nella Metafisica viene nominato insieme a Leucippo, dovrebbe essere definito milesio oltre che Abderita, cosa che
non avviene. Dunque Teofrasto ha evidentemente accesso anche a delle notizie biografiche, per quanto inesatte possano essere, indipendenti dalle successioni dedotte da Aristotele. Cf. anche Diels 1881, 98 [=1969, 187]. Le stesse ipotesi con l'aggiunta di Abdera come
luogo di provenienza sono presenti nel resoconto di matrice teofrastea in Diog. Laert. 9,30
(67 A 1 DK; 152 L.) Leuvkippo" Eleavth", wJ" dev tine", Abdhrivth", kat ejnivou" de;
Milhvsio".
L'espressione è stata considerata da Kranz 1912, 19 n. 3 un indizio del fatto che Leucippo
non è stato allievo diretto di Parmenide. Così anche Alfieri 1936, 16 n. 61. Teofrasto definisce fra l'altro con la stessa espressione il rapporto fra Anassagora e Anassimene (Simpl. In
Phys. 184b 15, 27,2 = 59 A 41 DK) che, chiaramente, non è di discepolo ad allievo. La lieve
differenza nell'espressione (koinwnhvs a" Parmenivdhi th'" filosofiva" per Leucippo, col dativo della persona che sarebbe indice di un rapporto personale, koinwnhvs a" th'"
Anaximevnou" filosofiva" nel caso di Anassagora con il genitivo subordinato a filosofiva"
che sottolineerebbe solo il rapporto con l'oggetto) per la quale Burnet 1930, 392 n. 2, giustificava il rapporto di discepolato di Leucippo con Parmenide, non è un motivo sufficiente
in quanto, come giustamente osservava Kranz, Teofrasto non si sarebbe certo servito, per
indicare il rapporto discepolo-maestro, di un'espressione così artificiosa.
160
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
contra nel brano dei Memorabili di Senofonte già citato (1,1,13)167 . Questo è
dunque lo scheletro originario del resoconto basato su una diaphonia, ma
non su una accettazione da parte di Leucippo di concetti eleatici, né tantomeno su una dipendenza scuola. I modelli aristotelici di De generatione et
corruptione A 8 e del primo libro della Metafisica, del quale vengono mantenute in parte anche le formulazioni168 , agiscono comunque in sottofondo.
E' la tensione fra i due modelli, quello aristotelico e quello sofistico, a
creare l'impressione di una certa incongruenza fra la tesi iniziale di un Leucippo seguace di Parmenide e l'esposizione successiva che ne fa praticamente un avversario169 .
167
168
169
V. supra, 2. 2. 1 n. 34. l'opposizione Parmenide/ Leucippo si articola esattamente sui punti
indicati nel brano di Senofonte: Parmenide (e Senofane) sostengono che il tutto è uno,
immobile, ingenerato, finito, Leucippo che è infiniti, sempre in movimento e che nelle cose
esistenti c'è una continua genesi e cambiamento.
Schofield 2002 ha recentemente sostenuto la tesi che in questo brano Simplicio stesso
abbia operato un ampliamento del resoconto teofrasteo su Leucippo prendendo la massima del mh; ma'llon dal resoconto su Democrito che segue immediatamente (la spia sarebbe il tauvthn ga;r già posto tra parentesi da Diels 1879, 484 come svista, però, di un copista), e integrandolo con materiale aristotelico (Metaph. A 4, supra, n. 121) per sottolineare
maggiormente l'opposizione di Leucippo agli Eleati. Questa tesi mi sembra debole per due
motivi: perché Teofrasto stesso poteva aver assimilato nel suo resoconto le tesi di Leucippo e Democrito pur mantenendo una lieve distinzione fra i due (anche Aristotele, del
resto, pur distinguendo in De gen. et corr. A 8 la posizione di Leucippo, aveva unificato nella
Metafisica le tesi di ambedue). Questo si ricava chiaramente dal resoconto parallelo di Ippolito (citato anche da Schofield levgei de; oJmoivw" Leukivppwi peri; stoiceivwn) e non c'è nessuna ragione di escludere che Teofrasto stesso avesse attribuito la stessa massima a Leucippo e a Democrito e di ipotizzare una macchinosa combinazione di Aristotele e
Teofrasto da parte di Simplicio. Il fatto che Eusebio e Ippolito non riportino per Leucippo
la massima del mh; ma'llon non è di per sé indicativo. Ippolito taglia inesorabilmente in
molti punti tanto da risultare quasi incomprensibile se non vi fosse il resoconto parallelo di
Diogene Laerzio. Non solo, ma sia lui che quest'ultimo sono concentrati soprattutto sulla
cosmogonia di Leucippo e quindi tendono ad eliminare tutto quanto non sia strettamente
connesso con questo tema. E' Teofrasto, su un modello sofistico di opposizione fra Eleati
e sostenitori del moto e non Simplicio su un modello aristotelico (che sarebbe piuttosto di
conciliazione come si è visto) a sottolineare la divergenza fra Leucippo e Parmenide. Questo è confermato anche dall'origine "alternativa" proposta per Leucippo, Mileto.
Su questa incongruenza, cf. Mc Diarmid 1970, 228.
Capitolo terzo
161
5. 2. Le testimonianze tarde sui rapporti degli atomisti con gli Eleati
Nelle testimonianze tarde abbiamo due tipi di collegamento degli atomisti
agli Eleati. Uno che si basa sullo schema delle successioni e costituisce una
ricostruzione a posteriori su una tradizione peripatetica170 , uno che accenna ad una eventuale menzione di Parmenide e Zenone da parte di
Democrito.
Nella tradizione posteriore, Leucippo viene indicato come allievo di
Zenone contrariamente alla testimonianza teofrastea che invece si limita
ad affermare che avrebbe avuto una concezione filosofica comune a Parmenide e Senofane. Da Clemente, Ippolito, Diogene Laerzio e altri, si
deduce che Zenone è stato collocato nella successione eleatica fra Parmenide e Leucippo e ha potuto così diventare maestro di quest'ultimo171 .
Una testimonianza di Trasillo sembra accennare ad una menzione degli Eleati da parte, non di Leucippo, ma di Democrito. Trasillo fornisce
alcuni dati per avvallare la sua datazione di Democrito nel 470 a.C. Egli
sarebbe infatti più vecchio di Socrate di un anno e sarebbe stato contemporaneo di Archelao (che fra parentesi era maestro di Socrate e dunque
doveva essere ben più vecchio di Democrito) e di Enopide di Chio
e infatti menziona anche quest'ultimo. Menziona anche la dottrina dell'uno di
Parmenide e Zenone, poiché ai suoi tempi erano assai famosi e Protagora di Abdera, che, concordemente viene indicato come contemporaneo di Socrate.
Il brano, in verità, presenta problemi di critica testuale e, conseguentemente, anche di interpretazione172 . Un punto particolarmente controverso
è proprio quello che indicherebbe la menzione di Parmenide e Zenone. I
codici BPF riportano infatti concordemente la lezione mevmnhtai de; kai;
peri; th'" tou' eJno;" dovxh" tw'n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna, mentre D
(uno dei manoscritti della vulgata) e le versioni latine, in base alle quali il
Casaubon ha corretto il testo, seguito per lo più dagli editori moderni, ne
forniscono un'altra: mevmnhtai de; kai; th'" peri; tou' eJno;" dovxh" tw'n peri;
170
171
Sul carattere di ricostruzione a posteriori delle diadochai, a cominciare da Teofrasto, cf. in
particolare von Kienle 1961, passim.
Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.) th'" de; Eleatikh'" ajgwgh'" Xenofavnh" oJ
Kolofwvnio" katavrcei, ª...º Parmenivdh" toiv nun Xenofav nou" ajkousth; " giv netai, touvtou de;
Zhvnwn, ei\ta Leuv kippo", ei\ta Dhmovkrito". Cf. anche Diog. Laert. Prooem. 15 (152 L.);
172
9,30 (67 A 1 DK; 152 L.); Hippol. Ref. 1,12,1 (67 A 10 DK; 151 L.); Eus. Praep. Ev.
10,14,15s. (VIII L.).
Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,41 (68 A 1, B 5 DK; I L.) ei[h a]n ou\n katæ Arcevlaon to;n
Anaxagovrou maqhth;n kai; tou;" peri; Oij nopivdhn: kai; ga;r touv tou mev mnhtai. mevmnhtai de;
kai; th'" peri; tou' eJ no;" dovxh" tw' n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna wJ " katæ aujto; n mavlista
diabebohmev nwn, kai; Prwtagovrou tou' Abdhrivtou, o}" oJmologei'tai kata; Swkravthn gegonev nai.
162
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
Parmenivdhn kai; Zhvnwna173 . Nel primo caso la traduzione dovrebbe essere
la seguente: "menziona anche, riguardo alla dottrina dell'uno, Parmenide e
Zenone...". Ora, Diogene Laerzio usa la forma mevmnhtai o ejmevmnhto col
genitivo della persona (solo in due casi, 1,76; 9,111, col genitivo della cosa)
senza interposizioni di sorta. Anche se la costruzione risalisse a Trasillo,
sarebbe comunque strana in quanto gli altri nomi ricordati da Democrito
vengono citati senza alcuna ulteriore osservazione. Dunque la lezione più
corretta deve essere la seconda. Tuttavia, anche in questo caso, l'espressione è sibillina. Perché Trasillo attribuisce a Democrito la menzione
"della dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone" e non la semplice citazione dei nomi dei due filosofi? Un ulteriore problema è costituito dalla
menzione di Zenone in relazione alla dottrina dell'uno. L'immagine dell'Eleate corrente ai tempi di Democrito non era affatto quella del Parmenide
platonico, ma quella di chi argomenta in utramque partem. Lo stesso Platone
lo definisce nel Fedro "il Palamede eleatico che fa sembrare agli ascoltatori
le stesse cose uguali e disuguali, uno e molti, immobili e in movimento" e
Isocrate lo considera uno che fa apparire le stesse cose possibili ed impossibili, un'immagine che persiste ancora in epoca tarda nel giudizio di Alessandro di Afrodisia174 . Se dunque a Parmenide teoricamente si poteva
attribuire la dottrina dell'uno anche ai tempi di Democrito, sebbene in
realtà egli parlasse dell'essere e "uno" fosse solo un segno di completezza,
è piuttosto difficile che la si riferisse anche a Zenone. In realtà questa
interpretazione è quella della tradizione platonica che prende le mosse dal
Parmenide ed è, sulla scia di questo dialogo, che Trasillo attribuisce a Democrito la menzione della dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone. Dato
che egli vuole avvalorare la tesi della contemporaneità di Democrito e
Socrate, non c'è dialogo più adatto di questo per inquadrarla storicamente:
i due Eleati compaiono come ospiti di riguardo intorno ai quali si raccolgono gli intellettuali ateniesi fra cui il giovane Socrate. L'osservazione
"poiché ai suoi tempi erano i più famosi" rimanda direttamente all'aura di
rispetto e di ammirazione che circonda Parmenide e Zenone nel dialogo
platonico. La presunta menzione di Trasillo è dunque altamente sospetta.
In conclusione si può affermare che, al di là del resoconto aristotelico
del De generatione et corruptione e di quelli influenzati da questo modello, non
ci sono altre testimonianze su un eventuale influsso degli Eleati sulla nascita della dottrina atomista.
173
174
Per le lezioni dei codici, cf. Marcovich 1999, 659 in app. Per le versioni latine, cf. l'apparato
di Huebner 1831, 368 (De uno Ambrosius: deque Parmenidis ac Zenonis de uno sententia Aldobrandinus).
Per questi passi, v. supra, n. 22 e 24.
Capitolo terzo
163
6. Sintesi
La tesi della nascita dell'atomismo da una ripresa e correzione delle dottrine eleatiche dell'essere-uno dominante nell'interpretazione moderna
dell'atomismo antico si basa sostanzialmente sul resoconto aristotelico di
De generatione et corruptione A 8. Tale resoconto mostra però, sia nella presentazione delle dottrine eleatiche che in quella dei logoi di Leucippo, una
struttura marcatamente dialettica che ha le sue radici negli schemi oppositivi sofistici rielaborati per le discussioni nell'Accademia e ampliati e codificati da Aristotele stesso nei Topici. A formulazioni di tesi e antitesi di
matrice accademica rimandano certi tratti del logos eleatico (cui risponderebbe Leucippo), in particolare l'equivalenza vuoto-divisione di ascendenza pitagorica, ma influenzata dalla rappresentazione delle ipostasi fisiche della diade indefinita della scuola platonica. Questa assimilazione
permette di riunire sotto una sola voce tesi corpuscolariste e atomiste e
confutarle ambedue. Secondo la rappresentazione corrente nei commentatori di Aristotele la confutazione delle tesi eleatiche e il superamento
delle posizioni atomiste e corpuscolariste in base a nuovi presupposti logico-ontologici (definizione di essere e di uno) costituisce il punto di partenza per l'argomentazione di Senocrate a favore delle linee indivisibili.
Come il logos eleatico, anche la presunta risposta di Leucippo nel brano
aristotelico, è influenzata dagli schemi dialettici correnti (soluzione delle
aporie eleatiche) e dall'impiego di concetti di cui Aristotele stesso si serve
altrove per esporre le soluzioni accademiche delle aporie eleatiche: introduzione del non essere (il vuoto), come un essere di grado inferiore, un
"altro" dall'essere vero e proprio, definizione di essere propriamente detto
come pieno (e uno come l'essere eleatico), molteplicità di queste "unità".
L'esame della parte espositiva del logos e di altri brani aristotelici e teofrastei sugli atomisti mostra che il resoconto sull'origine dell'atomismo da
una concessione/ correzione delle dottrine eleatiche sull'essere, la molteplicità e il movimento è piuttosto una costruzione dialettica che un dato di
fatto. Gli atomisti non si sono posti il problema del movimento e delle sue
cause perché il movimento è da sempre e non ha bisogno di giustificazioni, né hanno attribuito al vuoto-non essere un'esistenza di grado inferiore rispetto al pieno, perché nella loro spiegazione dei fenomeni i vuoti,
con le loro forme e grandezze, hanno una funzione altrettanto importante
dei "solidi". Inoltre, con la loro massima "il devn non è più del mhdevn "
hanno inteso non solo l'atomo e il vuoto, ma anche il corpo in generale e
il rado rivolgendosi in primo luogo contro concezioni comuni che negavano esistenza a tutto ciò che non era visibile o tangibile. Se essi hanno
polemizzato anche contro gli Eleati, lo hanno comunque fatto da posi-
164
Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)
zioni dogmatiche già acquisite e non "riflettendo" sui problemi posti dalle
aporie eleatiche, un atteggiamento, questo, tipico della scuola platonica.
Capitolo quarto
La dimostrazione della necessità degli indivisibili
(De gen. et corr. A 2)
1. Considerazioni generali
Come si è visto nel capitolo precedente, secondo tutti i commentatori
antichi l'aporia zenoniana cosiddetta "della dicotomia" aveva costituito il
punto di partenza per la teoria degli indivisibili di Senocrate. Una versione
di questa aporia, attribuita a Parmenide da Porfirio, da cui l'accademico
avrebbe preso le mosse, presenta strette affinità col logos eleatico di De
generatione et corruptione A 8. Questo contesto di soluzione di aporie eleatiche nell'Accademia va tenuto presente anche quando si analizza la dimostrazione-tipo della necessità degli indivisibili di De gen. et corr. A 2. Il
punto di partenza è infatti un logos che ricorda sia quello eleatico di A 8,
sia quello riportato da Porfirio.
Questo brano sulla necessità degli indivisibili ha goduto sempre di una
grande fortuna presso gli interpreti e non c'è studio sugli atomisti che non
vi abbia dedicato almeno un piccolo spazio. La problematica che il resoconto aristotelico propone è quindi così nota che basterà riassumerla solo
brevemente. Aristotele pone il problema se, per spiegare la generazione, la
corruzione e l'alterazione, si debba ammettere l'esistenza di grandezze
indivisibili e presenta innanzitutto le tesi di coloro che hanno sostenuto
questa necessità. Egli distingue in questo ambito i due atomismi: quello
fisico di Democrito e Leucippo, che avrebbero assunto corpi indivisibili, e
quello matematico di Platone, che nel Timeo avrebbe posto triangoli indivisibili. Ambedue le teorie sono problematiche, ma per lo meno quella dei
corpi indivisibili è in grado di spiegare la generazione e l'alterazione dei
corpi fisici, l'altra no perché non ha una base fisica, ma dialettica.
La ragione per cui costoro hanno una minore capacità di vedere nel suo complesso quanto concorda [coi fenomeni] è la mancanza di esperienza. Perciò coloro che hanno maggiore dimestichezza con la fisica sono maggiormente in
grado di postulare principi tali che possano abbracciare un maggior numero di
166
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
fenomeni; quelli, invece, che a causa del loro perdersi in molte discussioni non
vedono i fatti concreti, sono più portati a fare affermazioni sulla base di un numero limitato di fatti. Si può vedere anche da questo in che cosa differiscano
quelli che fanno una ricerca su basi fisiche da quelli che invece la perseguono attraverso ragionamenti dialettici; infatti riguardo all'esistenza di grandezze indivisibili gli uni dicono che il triangolo in sé sarebbe una molteplicità, Democrito, invece, sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti più appropriati e di
carattere fisico. Quello che andiamo dicendo risulterà chiaro nel seguito del discorso1.
Nel seguito in realtà viene offerto innanzitutto un logos sulla necessità di
porre un limite, mentale prima che fisico, alla divisione all'infinito di corpi
e grandezze, dove non solo il nome degli atomisti, ma anche i tratti tipici
delle loro dottrine (come il vuoto, la differenza di forme, il movimento)
sembrano sparire nel nulla, mentre stile e argomenti sono quelli di una
dimostrazione dialettica-tipo. Nella seconda parte viene poi fornita una
dimostrazione "fisica" della necessità degli indivisibili nella quale fra l'altro
emergono anche i tipici concetti aristotelici di potenza e atto come si vedrà. Dunque nulla risulta chiaro proprio perché questo logos sembra invece
un modello generale di discorso sulla necessità degli indivisibili.
L'ipotesi che Aristotele si basi su materiale democriteo, ma da lui
reinterpretato è quella generalmente più accreditata presso i commentatori
moderni dalla Hammer-Jensen in poi2. Alcuni dei sostenitori questa tesi
intravvedono un ulteriore punto di appoggio nel commento al passo del
Filopono il quale attribuisce espressamente a Democrito la dimostrazione
della necessità degli indivisibili qui riportata3. Ora, il Filopono non solo
non aveva a disposizione alcun testo di Democrito (tutto ciò che egli
riferisce sugli atomisti o è frutto di proprie speculazioni o risale alla tradizione dei commentari ad Aristotele o a resoconti di diversa provenienza),
ma aveva dietro di sé tutta la tradizione neoplatonica che identificava
l'atomismo principalmente con quello di Democrito e di Epicuro. I Neo1
Arist. De gen. et corr. A 2, 316a 5 ai[tion de; tou' ejpæ e[l atton duvnasqai ta; oJmologouvmena
sunora'n hJ ajp eiriva: dio; o{soi ejnwikhvkasi ma'llon ejn toi'" fusikoi'" ma'llon duv nantai uJpotivqesqai toiauvta" ajrca;" ai} ejpi; polu; duvnantai suneivrein: oiJ dæ ej k tw' n pollw'n lovgwn
ajqewvrhtoi tw'n uJparcov ntwn o[nte", pro;" ojlivga blevy ante", ajpofaiv nontai rJa'ion. i[doi dæ a[n
ti" kai; ejk touv twn o{son diafevrousin oiJ fusikw'" kai; logikw'" skopou' nte": peri; ga;r tou'
a[toma ei\ nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to; aujtotrivgwnon polla; e[stai, Dhmovkrito" dæ a] n faneivh oijkeivoi" kai; fusikoi'" lovgoi" pepei'sqai. dh'lon d e[stai o} levgomen proiou'sin.
2
Hammer-Jensen 1910, 103-105; 211-214; Joachim 1922, 76 ad loc.; Frank 1923, 52; Lur'e
1932, 129-138; 1970, 441-445; Alfieri 1936, 81s. n. 160; 1979, 63; Cherniss 1962, 113; Guthrie II, 1965, 503s.; Stokes 1971, cap. 8; Baldes 1972, 64ss.; Löbl 1976, 150-156; 1987, 7581; Makin 1993, cap. 3; Curd 2004, 185s.; Sedley 2004; Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n.
2.
Hammer-Jensen 1910, 103; Lur'e 1932, 130; 1970, 441-445; Furley 1967, 83; Löbl 1976,
151; 1987, 78.
3
Capitolo quarto
167
platonici, come si può agevolmente constatare da altri testi del Filopono
stesso, di Porfirio, Siriano e Simplicio, avevano fatto quadrato intorno a
Platone e Senocrate per preservarli dalle accuse di Aristotele di andare
contro i principi della matematica assumendo grandezze indivisibili e
tendevano quindi a scaricare sugli atomisti il peso delle critiche aristoteliche4. Non a caso il Filopono, immediatamente prima dell'attribuzione del
logos sugli indivisibili a Democrito, commentando l'accenno al triangolo in
sé come indivisibile, si produce in una accanita difesa di Platone secondo
le linee tipiche dei commentatori Neoplatonici5. Questa testimonianza
non ha dunque alcun valore come aveva già del resto visto Zeller e hanno
ribadito altri dopo di lui6.
Non esiste dunque, al di là delle interpretazioni soggettive del testo
aristotelico, alcun indizio sostanziale del fatto che la dimostrazione della
necessità degli indivisibili risalga specificamente a Democrito7 anche perché nessuno è in grado di spiegare esattamente quale sia il nucleo originale
democriteo del logos. D'altra parte, lo stesso problema si presenta per l'individuazione esatta nei testi di Zenone del cosiddetto argomento della
"dicotomia" che, secondo i commentatori moderni, costituirebbe il punto
di partenza della presunta dimostrazione democritea della necessità degli
indivisibili. Le versioni del logos fornite da Aristotele e da Porfirio non
corrispondono a nessun frammento superstite dell'Eleate. La communis
opinio è che l'originale sia andato perduto. In realtà Aristotele non dice
4
5
6
7
V. infra, VI 3. 4.
Cf. Philop. In De gen. et corr. 316a 12, 27,8ss. La sostanza dell'argomentazione è la seguente:
Platone non ha mai sostenuto l'esistenza di grandezze indivisibili. Tale tesi gli è stata attribuita da Aristotele nei resoconti sulle lezioni non scritte o, secondo l'opinione di alcuni, risale invece ai Platonici. Una giustificazione di questa presunta indivisibilità del triangolo
consiste nell'affermare che è la figura geometrica ultima non scomponibile in altre figure,
ma solo in un ordine di grandezze ad esso immediatamente successivo, cioè in linee. Il Filopono, però, la esclude e separa, seguendo una linea esegetica tipicamente neoplatonica,
l'idea del triangolo dalla figura geometrica: il triangolo in sé, in quanto logos del triangolo, si
trova fuori dell'ordine delle grandezze ed è quindi indivisibile. La stessa linea è tenuta da
Porfirio nei confronti delle linee indivisibili di Senocrate come si è visto nel capitolo precedente.
Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n. 2; Mau 1952-53,12; 1954, 26; cf. anche Maccioni 1983,
44-53.
Sedley 2004 divide, come Lur'e 1932-1933, il resoconto aristotelico in due parti: una
"storica" (316a 15-b 19), dove non ci sarebbero "presupposti" aristotelici (con questo intende evidentemente unicamente la dottrina della potenza e dell'atto), e una ricostruita da
Aristotele stesso (316b 20-34) nella quale egli consciamente fa sollevare a Democrito obiezioni contro la sua stessa teoria della potenza e dell'atto. Tuttavia nel contempo ammette di
sospendere il giudizio sul nodo cruciale del problema e cioè se la prima parte sia un resoconto diretto da Democrito o solo una ricostruzione aristotelica (68 n. 6). Ma se questa seconda ipotesi fosse vera, cadrebbe anche la divisione fra resoconto "storico" e resoconto
"ricostruito". Ambedue sarebbero in ogni caso ricostruzioni.
168
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
affatto che il logos da cui avrebbe preso le mosse il discorso sugli indivisibili sia di Zenone e Porfirio non lo attribuisce a Zenone, ma a Parmenide,
e ne fa, come si è visto, il punto di partenza della dimostrazione della
necessità degli indivisibili di Senocrate. Alessandro e Simplicio sostengono
che il logos della dicotomia è di Zenone, ma Simplicio, per confermare
questa tesi, non riesce a far di meglio che riportare i frammenti 29 B 2, 3,
1 DK in sequenza, nessuno dei quali coincide col logos riportato da Porfirio e tantomeno con quello aristotelico. Nei frammenti di Zenone riportati da Simplicio non si parla affatto di "divisibilità", ma di un processo
progressivo di individuazione di parti intermedie in un "ente" che porta a
dilatarne all'infinito la dimensione (in quanto non si arriva mai alla fine del
processo), ma anche, nel contempo, siccome l'individuazione comporta
anche un movimento retrogrado, a dissolverlo in qualcosa nel quale non
sono più individuabili parti perché non ha più né estensione né spessore
alcuno. Questo qualcosa, come dimostra Zenone nel frammento B 2, non
è nulla perché, aggiunto ad una grandezza non la rende più grande, sottratto, non la rende più piccola. Se si abbandona per un attimo il condizionamento esercitato da tutte le trattazioni successive di questi frammenti alla luce del problema matematico dell'infinita divisibilità delle
grandezze e si guarda Zenone da un'altra angolazione, vediamo qui perfettamente rappresentato il percorso della mente che, concentrata sulla
concezione tradizionale di ciò che è, come corpo fornito di grandezza e
spessore, è costretta ad immaginarlo8 nello stesso tempo come infinitamente grande e come nulla. In definitiva, Zenone riproduce perfettamente
l'immagine dei dikranoi con una mente "vagante" incapaci di decidere fra
l'essere e il non essere, così efficacemente descritta nel Fr. 28 B 6 DK di
Parmenide, e demolisce le concezioni tradizionali di "essere". Simplicio
riporta questi frammenti perché evidentemente non aveva davanti a sé
nessun testo che corrispondesse al "logos della dicotomia", ma altri che
contenevano solo in parte argomenti assimilabili a quello che veniva designato in questi termini. Nasce quindi il sospetto che il famoso argomento
della dicotomia e i logoi ad esso collegati siano una riformulazione dialettica di testi zenoniani alla luce del problema della divisibilità all'infinito e
della definizione dell'uno e del molteplice discussi nella scuola platonica.
8
Lo spirito, se non la lettera, dei frammenti zenoniani è mantenuto da Platone nel Parmenide
(164c) nella descrizione del "sogno" della mente vagante in una molteplicità senza l'uno:
"ma ciascuna massa di questi (scil. dei molti senza l'uno), come sembra, è infinita per numero di parti, e se anche uno colga ciò che sembra la parte più piccola, come nel sonno un
sogno, compaiono improvvisamente, invece di ciò che sembrava uno, molti, e invece della
parte più piccola una massa enorme rispetto alle particelle che risultano dalla sua frammentazione".
Capitolo quarto
169
2. Democrito e gli Accademici sugli indivisibili: il preambolo
aristotelico (De gen. et corr. A 2, 315b 28-316a 14)
Aristotele parla esplicitamente, nel preambolo, di triangoli indivisibili del
Timeo9, una tesi naturalmente mai espressa nel dialogo. Egli lo conosceva
ovviamente molto bene, ma la sua esegesi era marcata dalle interpretazioni
che dei triangoli platonici davano gli allievi come dimostra la sua breve e
sibillina notazione secondo cui coloro che argomentano dialetticamente
(cioè i Platonici) assumono che, se non ci fossero grandezze indivisibili, il
triangolo in sé sarebbe una molteplicità10. Questa palese deviazione dal
testo platonico così come il sottofondo di interpretazioni accademiche
che l'ha generata dovrebbe in ogni caso rendere cauti sul grado di aderenza di Aristotele ai testi originali in un resoconto così fortemente marcato dai concetti e dalle problematiche correnti nella scuola platonica.
Un altro problema del preambolo, già da tempo rilevato da Mau, ma
poi generalmente sottaciuto o sbrigativamente messo da parte dagli interpreti successivi, riguarda l'accenno alla supposta argomentazione di Democrito; la formulazione aristotelica a questo riguardo è ambigua e imprecisa e suggerisce che Aristotele non ha in mente un preciso testo
democriteo11. Mentre infatti attribuisce con certezza agli Accademici (oiJ
mevn fasin) la teoria secondo cui il triangolo in sé sarebbe molti se non
fosse indivisibile, si esprime, nel caso di Democrito, con la formula dubitativa: Democrito sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti "fisici" appropriati al soggetto (Dhmovkrito" d a]n faneivh oijkeivoi" kai; fusikoi'"
lovgoi" pepei'sqai). Questa formulazione rimanda a tesi non di Democrito
stesso (in tal caso infatti ci si aspetterebbe un kecrh'sqai12), ma ad argo9
10
11
12
De gen. et corr. A 2, 315b 28 kai; pavlin eij megevqh (scil. ajdiaivreta), povteron, wJ" Dhmovkrito"
kai; Leuv kippo" swvmata tau't ejstiv n, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda.
De gen. et corr. A 2, 316a 11-12 peri; ga;r tou' a[toma ei\nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to;
aujtotrivgwnon polla; e[stai. Questo breve accenno è stato interpretato in due maniere:
come una trasposizione dell'indivisibilità del triangolo in sé alla molteplicità dei triangoli fisici (che sarebbero indivisibili in quanto sue ipostasi fisiche), cf. Heinze 1892, 58s.; Cherniss 1962, 127s.; Mugler 1966, ad loc., 7 e 80 n. 1; Hirsch 1953, 55s. Maccioni 1983, 32 e n.
21. Come riferimento all'indivisibilità del triangolo in sé (che altrimenti avrebbe parti e sarebbe quindi una molteplicità), cf. Joachim 1922, 76; Barnes 1982, 354. Quest'ultima interpretazione non solo è la più aderente alla sintassi del brano (l'apodosi del periodo ipotetico
della irrealtà al futuro è comunissima in Aristotele e la protasi è qui sottintesa: se non fosse
indivisibile il triangolo in sé sarebbe una molteplicità), ma trova corrispondenza negli argomenti che nel trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus vengono riferiti ai sostenitori delle linee indivisibili. Queste sono tali in quanto parti rispetto ad un tutto. Se infatti
così non fosse ed esse avessero parti, ci sarebbero altre grandezze prime rispetto a queste,
vale a dire esse risulterebbero una molteplicità (968a 9-14 = Xenocr. Fr. 127 IP).
Mau 1954, 26.
Cf. Metaph. G 4, 1006a 2 crw'ntai de; tw'i lovgwi touvtwi polloi; kai; tw'n peri; fuvsew".
170
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
menti che gli si potrebbero attribuire interpretando le sue dottrine da una
certa ottica13. Aristotele contrappone inoltre nel preambolo un modo di
argomentare "logico" (quello degli Accademici) e un modo di argomentare "fisico" (quello di Democrito) e annuncia che nel seguito del discorso
risulterà chiaro quanto va dicendo. Quest'ultima affermazione è stata
generalmente interpretata come un riferimento al solo argomentare fisico
di Democrito e conseguentemente come una implicita ammissione che
tutto ciò che viene dopo è da considerarsi argomento "democriteo"14. In
realtà il problema del riferimento è più complesso. Nulla esclude infatti
che Aristotele si riferisca ad ambedue i modi di argomentare citati prima e
che offra nel seguito, come fa in altri punti della sua opera, semplicemente
un esempio di ambedue i modelli di argomentazione, dialettica e fisica. Se
si guarda in particolare ai passi in cui la contrapposizione è implicita o
esplicita, si può osservare che, per Aristotele, la differenza fra i due modi
di argomentare logikw'" e fusikw'" non concerne tanto l'aspetto formale,
gli oggetti e i singoli argomenti, quanto i limiti e gli scopi dell'argomentazione. L'esame "dialettico" di un problema fisico non fa distinzioni fra ciò
che può essere pensato e ciò che esiste o può verificarsi veramente nel
mondo fisico perché il suo scopo è quello di arrivare ai principi generali
non a quelli specifici di quest'ultimo15. Simplicio, commentando la defini13
In Metaph. A 8, 989a 30ss. Aristotele "conduce" Anassagora a riconoscere che il suo oJmou'
pavnta e il suo nou' " corrispondono in realtà all'"altro" e all'"uno" dei Platonici
(Anaxagovran d ei[ ti" uJpolaboi duvo levgein stoicei'a, mavlist a]n uJpolavboi kata; lovgon, o}
ejkei'no" aujto;" me; n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse mev nt a] n ejx ajnav gkh" toi'" ejpavgousin
aujtov n).
14
Un esempio di questo procedimento e della maniera sbrigativa di trattare in generale il
preambolo si trova in Furley 1967, 83s. Dopo aver accennato alla formulazione dubitativa
di Aristotele riguardo a Democrito e al fatto che comunque il logos che segue contiene concetti aristotelici così come era stato rilevato da Mau egli osserva: "All this is true: Aristotle
has certainly expressed the arguments in his own terms. But I still think it probable that
the logic of the argument belongs to Democritus. I cannot see why else Aristotle should
begin as he does", e cita 316a 11-14. Nessun altro argomento viene portato a sostanziare la
tesi che l'argomentazione sia di Democrito. Cf. anche Makin 1993, 49-55; Curd 2004, 186.
Sedley 2004 ritiene che la prima parte sia un resoconto storico democriteo senza presupposti aristotelici, ma è chiaro che non c'è nessuna testimonianza indipendente che permetta di attribuire a Democrito ad esempio l'argomentazione della dissoluzione del corpo
fino ai punti. V. infra, 4. 3.
Cf. Phys. G 5, 204b 4ss. dove si incontra la stessa contrapposizione in relazione all'infinito
per grandezza (l'altro corno del dilemma dell'infinità). L'argomentazione dialettica si basa
sulla definizione di corpo come "ciò che è delimitato da una superficie". In base a quest'ultima non c'è dunque un corpo infinito né sensibile né intellegibile, ma neppure un numero
infinito esiste separatamente perché il numero in quanto numerabile può essere numerato
e non è possibile percorrere, cioè numerare, in un tempo finito un infinito. L'argomentazione fisica si basa sul fatto che l'infinito non può essere né composto (due corpi infiniti si
limiterebbero a vicenda) né semplice (un corpo sensibile infinito dovrebbe essere diverso
dagli elementi, ma tale corpo non esiste nella realtà, e, d'altra parte, visto che i fenomeni si
15
Capitolo quarto
171
zione di ajporiva logikhv, fornisce due spiegazioni del termine che corrispondono perfettamente al concetto di argomentare "logico" sopra esposto
la chiama logica […], o perché trae unicamente dal ragionamento la sua verosimiglianza e non trova sostegno nei fatti concreti (così infatti vengono definiti i logoi di Zenone i quali confutano in modo verosimile il movimento), oppure definisce logica una aporia più generale non aderente a, né specifica dell'oggetto in
discussione né tale da prendere le mosse dai principi che sono propri di quest'ultimo16.
Tutti gli interpreti moderni hanno riconosciuto che il resoconto sulla
dimostrazione della necessità degli indivisibili che segue la succitata affermazione in De gen. et corr. A 2 è nettamente diviso in due parti chiaramente
delimitate da Aristotele stesso. Quello che invece è stato inspiegabilmente
trascurato è che le due parti nei loro oggetti e nei loro scopi corrispondono perfettamente ai due tipi di argomentazione, logica e fisica, annunciati nel preambolo. Questa specificità delle due parti è dunque estremamente rilevante non solo per definire la reale importanza del passo
aristotelico ai fini della "ricostruzione" della nascita dell'atomismo dall'eleatismo, ma per ricollocare nel suo contesto reale il problema degli "indivisibili".
Qui di seguito esaminerò dunque dapprima in maniera generale le caratteristiche delle due parti alla luce della distinzione fra argomentazione
logica e argomentazione fisica. In seguito prenderò in esame i punti soprattutto della prima parte che, in base a questa classificazione sono piuttosto attribuibili agli Accademici che a Democrito. Infine cercherò di
definire l'importanza del brano per l'inquadramento generale della dottrina
democritea nel contesto della discussione sugli indivisibili fra Aristotele e
l'Accademia.
16
generano sempre dai contrari, è impossibile che questo infinito sia uno solo degli elementi). Mentre l'argomentazione "logica" si basa esclusivamente su ciò che si può pensare,
quella "fisica" considera (almeno nelle intenzioni) anche ciò che esiste in realtà. Sulla distinzione fra argomentazione dialettica e fisica, cf. la dettagliata analisi di Algra 1995, 164ss.
dei contesti in cui l'opposizione ritorna. Egli sintetizza il problema come segue "A survey
of the way in which Aristotle contrasts physical and logical or general (katholou) problems
and arguments shows indeed that to his mind the distinction did not boil down to the
contrast between 'special empirical' arguments on the one and more general or theoretical
arguments on the other hand, but rather to a contrast between arguments (either directly
empirical or of a more theoretical character) which are, so to speak, embedded in a theory
about the physical world, and, on the other hand, those which are of a purely abstract character, taking no recourse to the world as it actually appears to us or even flatly contradicting common appearances. Among the latter kind he ranked tha arguments of the philosophers of the Eleatic tradition".
Simpl. In Phys. 202a 21, 440,21. Il brano è segnalato e riportato in questo contesto in Algra
1995, 164 n. 106.
172
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
3. Le due parti del logos sugli indivisibili
Come già aveva visto Lur'e e ha ribadito recentemente Sedley17 il brano è
articolato in due parti: nella prima (316a 15-b17), nella quale si sono tradizionalmente intravvisti argomenti democritei, l'aporia dell'indivisibilità
presenta tutti i tratti dell'argomentazione "logica" quali si trovano anche in
altri passi aristotelici di cui ho parlato precedentemente. Essa infatti prospetta una situazione "verosimile solo sul piano mentale" come la definirebbe Simplicio, ma non sul piano fisico18. La divisione mentale all'infinito
di un corpo fisico sta in effetti alla base della dimostrazione della necessità
degli indivisibili in questa prima parte.
La seconda parte (316b 29-34) è una riformulazione del logos da parte
di Aristotele stesso sulla base di una argomentazione "fisica", sulla base
cioè di quanto accade effettivamente quando si divide un corpo. Se lo si
divide progressivamente non si potrà materialmente portare a termine una
infinita frammentazione, d'altra parte, non è possibile dividere realmente il
corpo contemporaneamente in ogni punto, ma solo in una certa misura.
Se la distinzione fra dimostrazione dialettica e fisica postulata da Aristotele nel preambolo come linea di demarcazione fra la dimostrazione
della necessità degli indivisibili nell'Accademia e quella di Democrito è
rispecchiata nelle due parti succitate, si deve dedurre che la prima parte,
che offre una argomentazione dialettica, non può essere comunque attribuita a Democrito. In questo caso però cadono tutti i problemi sull'indivisibilità fisica o teoretica dell'atomo democriteo intravvisti dai commentatori moderni. La dimostrazione "fisica", d'altra parte, ci pone chiaramente
di fronte una grandezza indivisibile perché colui che divide non può procedere materialmente nella divisione oltre un certo limite. Questa dimostrazione non va al di là del senso comune e significativamente Aristotele
non si produce in ulteriori spiegazioni delle cause di questa impossibilità
(per mancanza di tempo? per l'impossibilità di operare una divisione oltre
una certa soglia quando si arriva ad una grandezza minima? perché non
c'è uno strumento adeguato nel caso in cui la divisione sia progressiva?
per l'impossibilità materiale di dividere in ogni punto in simultanea, nel
17
18
Sedley 2004; cf. anche Atomism's Eleatic Roots (in corso di stampa).
Barnes 1982, 358s. tende a sottovalutare proprio il carattere mentale dell'operazione di
divisione sottolineato da formulazioni che insistono sulla possibilità di immaginarla anche
se non verrà mai eseguita nella realtà, cf. 316a 17-19 eij ga;r pavnthi diairetovn, kai; tou'to
dunatovn, ka]n a{ma ei[h tou'to dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ ma dihviretai. 316a 22s. ejpei; oujd a] n
eij" muriv a muriav ki" dihirhmevna h\i, oude; n ajd uvnaton: kaivtoi i[sw" oudei; " a]n dievloi. Cf. il
passo della Fisica nella nota seguente che prospetta un'infinità per accrescimento th'i
nohvsei ed è diretto contro gli Accademici.
Capitolo quarto
173
caso della divisione contemporanea in tutti i punti?) perché a lui interessa
l'evidenza dell'impossibilità di una divisione reale all'infinito.
Il richiamo al senso comune, alla realizzazione pratica e all'esistenza
reale di un certo fatto, fa parte di un tipico modo di argomentare "fisico"
aristotelico. Questo risulta chiaro se si confronta il passo con la critica
all'infinito per accrescimento postulato dai Platonici nel terzo libro della
Fisica:
è assurdo basarsi [per affermare che l'infinito esiste in atto] su una rappresentazione mentale; infatti l'eccesso e il difetto non si producono [in questo caso] in
un oggetto reale, ma nella rappresentazione mentale. Infatti ci si potrebbe rappresentare ciascuno di noi crescere in progressione all'infinito, ma uno non è più
grande della città o della dimensione che egli possiede perché qualcuno lo pensa
così, ma perché è così19.
come uno non è più grande della dimensione che possiede anche se si
potrebbe immaginare tale, così una divisione di una grandezza all'infinito
e in tutti i punti contemporaneamente o progressivamente quale viene
postulata nel primo logos sugli indivisibili non si verificherà mai nella realtà.
Questo è quanto in modo riassuntivo si può dire dei due logoi. E' opportuno ora passare ad una loro trattazione più specifica per confermare
quanto detto in sintesi. Nell'esame della prima parte verrà dunque messo
in rilievo il carattere "dialettico" dell'argomentazione e gli elementi che
fanno pensare alla rielaborazione di un logos accademico. Nell'esame della
seconda parte, invece, si cercherà di stabilire se sia ancora possibile definire l'argomento "fisico" come un argomento "democriteo".
4. Il logos sugli indivisibili. Prima parte.
Motivi accademici e rielaborazioni aristoteliche
4. 1. Divisione mentale e divisione reale (De gen. et corr. A 2, 316a 15-29)
Punto di partenza del logos sugli indivisibili, è una "tesi" (ei[ ti" qeivh), nel
senso tecnico dei Topici20, una formulazione paradossale, che contiene una
ajporiva (e[cei ajporivan). La tesi pone l'esistenza di un corpo e di una
grandezza divisibili per natura in ogni parte e la possibilità di compiere
19
20
Arist. Phys. G 8, 208a 14 to; de; th'i nohvsei pisteuvein a[topon: ouj ga;r ejpi; tou' pravgmato" hJ
uJperoch; kai; hJ e[lleiyi", ajll ejpi; th'" nohvsew". e{kaston ga;r hJmw' n nohvs eien a[ n ti" pollaplavsion eJautou' au[xwn eij" a[peiron: ajll ouj dia; tou'to e[xw tou' a[steov " tiv" ejstin h] tou'
thlikou'de megevqou" o} e[comen, o{ti noei' ti", ajll o{ti e[stin .
Top. A 11, 104b 19-22, v. supra, III 2. 1 n. 14.
174
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
questa divisione. Se questo è possibile, però, si potranno anche dividere o
dovunque e simultaneamente (ka]n a{ma ei[h tou'to pavnthi dihirhmevnon), o
per bisezione continua (oujkou'n kai; kata; to; mevson wJsauvtw"). Nulla infatti è impossibile, neppure se le si dividesse in innumerevoli parti innumerevoli volte anche se forse nessuno potrebbe dividerle nella realtà21. Il
risultato sarà che non rimarrà né un corpo né una grandezza, ma solo la
divisione e il corpo si dissolverà nel nulla e sarà composto dal nulla. In
questo caso il tutto non sarà altro che un'apparenza (316a 29 to; pa'n dh;
oujde;n ajll h] fainovmenon). Abbiamo qui dunque due modi di dividere la
grandezza, i quali portano ambedue alla sua dissoluzione: la divisione
contemporanea in tutte le parti e la bisezione progressiva.
La formulazione della tesi richiama, anche nella terminologia, l'immagine della molteplicità senza l'uno del Parmenide platonico. Platone esponeva il problema nei termini più generali di uno e altro dall'uno, ma la
sostanza del discorso, e talvolta anche la lettera, sono identici: l'altro dall'uno, senza quest'ultimo, si presenta sempre come una molteplicità infinitamente frammentabile col pensiero. Ogni massa si sbriciola in pezzi
laddove la si concepisca senza l'uno22. Platone sottolinea proprio il carattere mentale (th'i dianoivai) di questo procedimento secondo il quale della
molteplicità pensata senza l'uno (una molteplicità concepita in termini
fisici se l'espressione specifica per designarne le parti è o[gko" e quella per
indicarne lo sbriciolamento è qruvptesqai23) non rimangono nient'altro
che delle unità apparenti, ma non reali (Parm. 164d oujkou'n polloi; o[gkoi
e[sontai, ei|" e{kasto" fainovmeno", w]n de; ou[, ei[per e}n mh; e[stai;). In De
generatione et corruptione A 2 abbiamo lo stesso schema: la divisione mentale
all'infinito porta all'annullamento della realtà nell'apparenza. Rispetto però
all'immagine platonica, ai frammenti stessi di Zenone, che presentano una
individuazione progressiva di parti, al logos di Porfirio e anche al logos elea21
22
23
De gen. et corr. A 2, 316a 14-23 (68 A 48b DK; 105 L.) e[cei ga;r ajporivan, ei[ ti" qeivh sw'mav
ti ei\nai kai; mev geqo" pavnthi diaireto; n kai; tou'to dunatovn. tiv ga;r e[stai o{per th;n diaivresin diafeuvgei… eij ga;r pav nthi diaireto; n kai; tou' to dunatovn, ka] n a{ma ei[h tou'to pav nthi
dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ ma dihvirhtai. ka] n eij tou'to gev noito, oujd e;n a] n ei[h ajduv naton.
oujkou' n kai; kata; to; mevson wJ sauvtw". kai; o{lw" dev, eij pavnthi pevfuke diairetovn, a] n
diaireqh'i, oujde;n e[stai ajduv naton gegonov", ejp ei; oujd a]n eij" muriva muriavki" dihirhmevna
h\i, oujde; n ajduv naton: kaivtoi i[sw" oujdei;" a] n dievloi.
Parm. 165b qruvptesqai dh; oi\mai kermatizovmenon ajnavgkh pa'n to; o[n, o} a[n ti" lavbhi th'i
dianoivai: o[gko" gavr pou a[neu eJ no;" ajei; lambav noit a[ n. Cf. anche 158c.
Il passo è interessante in quanto Barnes 1982, 358s. e Sedley 2004, 69 concludono, in base
al fatto che in 316a 34ss. si immagina come risultato della divisione del corpo una specie di
segatura (e[kprisma), che nella prima parte del logos aristotelico non venga presa in esame
una divisione mentale, ma reale e se ne servono come argomento per attribuire a Democrito il logos. Come dimostra l'esempio del Parmenide, tuttavia, l'uso di una terminologia fisica non significa nulla. Platone usa infatti immagini estremamente concrete per indicare la
frammentazione mentale dei molti senza l'uno.
Capitolo quarto
175
tico di A 8 che si situa sulla stessa linea, nell'argomento di A 2 compare
anche la divisione simultanea in ogni parte. Questo è un tratto aristotelico
dovuto alla tipica distinzione di significati sempre operata da Aristotele
quando affronta un'aporia: pavnthi diairetovn può essere infatti inteso sia
come divisibile in ogni parte nello stesso momento che in momenti successivi. In ogni caso la concezione di una divisione mentale all'infinito
come reale è tipicamente platonico-accademica. Si potrebbe obiettare che
anche l'aporia di Zenone non distingue fra processi mentali e reali, ma il
logos che Aristotele presenta, come si è visto, è vicino a Platone, non a
Zenone e, in ogni caso, il tema della divisibilità all'infinito delle grandezze
nei termini espressi nel logos aristotelico è un punto focale nella trattazione
platonico-accademica del secondo principio (il grande e il piccolo o la
diade indefinita) come si può evincere da numerose testimonianze di Aristotele stesso e dei commentatori24. Aristotele critica in altri punti della sua
opera e in relazione al concetto di infinito per divisione proprio i Platonici
(e non Zenone) per aver attribuito ai procedimenti mentali un carattere di
realtà. Nel terzo libro della Fisica, affermando la possibilità della divisione
all'infinito delle grandezze, specifica, in esplicita polemica contro la dottrina delle linee indivisibili, come si deve intendere l'infinito per divisione.
Si tratta di un infinito in potenza, non nel senso che può essere trasposto
in qualche momento in atto, ma nel senso che la divisione può essere
effettuata in un punto qualsiasi in momenti diversi.
Ma che la grandezza non sia in atto infinita, è stato detto; lo è, però, per divisione, infatti non è difficile confutare l'ipotesi delle linee indivisibili. Rimane dunque la
possibilità che l'infinito sia in potenza. Non si deve, però, prendere il significato
'infinito in potenza' nello stesso modo in cui si dice 'se è possibile che questo divenga una statua, sarà in effetti una statua', così ci sia anche un infinito che sarà
tale in atto, ma, poiché l'essere si predica in molti modi, come l'essere del giorno
e della gara per essere sempre un altro ed un altro ancora, così anche l'infinito25.
24
25
Per quanto riguarda i commentatori, oltre al già citato logos di Porfirio che avrebbe costituito il punto di partenza dell'assunzione di linee indivisibili da parte di Senocrate, è interessante ad esempio un altro passo di Porfirio che riferisce della cosiddetta "divisione del
cubito" risalente alle lezioni non scritte di Platone (Porph. 174 F Smith = Simpl. In Phys.
202b 36, 453,30-454,14). Qui viene riproposto il tema della divisione progressiva delle
grandezze all'infinito con il suo corrispettivo, l'infinito per accrescimento: si assuma una
grandezza finita, come un cubito, la si divida in due parti lasciandone poi una intatta; se si
divide l'altra metà continuamente e si aggiungono le parti a questa sottratte alla metà rimasta intatta, si otterranno due parti, una che procede verso l'infinitamente piccolo e l'altra
che tende all'infinitamente grande. Platone avrebbe dimostrato con questo esempio la presenza, anche nelle grandezze finite, di una tendenza verso l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, effetto del secondo principio, la diade indefinita.
Phys. G 6, 206a 16-23 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevr geian oujk e[stin a[peiron, ei[rhtai,
diairevsei d ejstivn: ouj ga;r calepo;n aj nelei'n ta; " ajtov mou" grammav ": leivpetai ou\n dunav mei
ei\nai to; a[p eiron. ouj dei' de; to; dunav mei o]n lambavnein, w{sper eij dunato; n tou't ajndriav nta
176
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
L'accenno alle linee indivisibili e l'alternativa che Aristotele propone costituiscono un corrispettivo della più diffusa critica al logos sugli indivisibili
di De gen. et corr. A 2. Qui egli spiega che, in quel tipo di dimostrazione si
nasconde un paralogismo che consiste nella mancata distinzione di significati fra "divisibile in ogni parte" e "diviso in ogni parte". Divisibile in ogni
parte all'infinito non significa che la divisione debba avvenire in realtà né
simultaneamente, né progressivamente "in tutti i punti" in quanto questo
comporterebbe l'esistenza contemporanea di punti contigui uno all'altro.
Questo non è possibile perché i punti sono limiti e non grandezze, e dunque esistono solo nel momento in cui vengono posti. Una grandezza è
divisibile in ogni parte nel senso che lo è in un dato momento in un
punto, in un altro, in un altro: ogni volta, però, non ci sono nella grandezza infiniti punti, ma uno solo26.
La tesi nella prima parte del logos sugli indivisibili di De gen. et corr A 2 è
basata dunque su argomenti tipicamente accademici rielaborati da Aristotele. Il riportare a Democrito una rielaborazione dell'aporia zenoniana in
questi termini non ha alcun fondamento perché non trova nessuna ulteriore conferma nelle testimonianze antiche.
4. 2. Corpi e grandezze indivisibili
Aristotele nel brano suddetto parla costantemente di "corpi e grandezze
indivisibili". Ora, le due espressioni non sono equivalenti come taluni
inclinano a credere27, ma designano i due livelli del problema degli indivisibili, quello propriamente fisico, i corpi, e quello delle grandezze matematiche, in questo contesto le superfici indivisibili. Se è vero che, nel brano
che precede immediatamente l'excursus sugli indivisibili, Aristotele utilizza
il termine "grandezze indivisibili" in una accezione più generale, egli distingue però al loro interno i corpi indivisibili (di Democrito e Leucippo)
e le superfici indivisibili (del Timeo). Che egli abbia in mente una distinzione precisa quando parla di corpi e grandezze, è confermato del resto da
ei\nai, wJ " kai; e[stai tou't ajndriav ", ou{tw kai; a[peirovn ti, o} e[stai ej nergeivai: ajll ejpei;
pollacw'" to; ei\ nai, w{sper hJ hJmevra ejsti; kai; oJ ajgw; n tw'i ajei; a[llo kai; a[llo givnesqai,
ou{tw kai; to; a[peiron. Sulle teorie accademiche come obiettivo di Aristotele nei passi suc26
27
citati, cf. Krämer 1971, 296-297.
De gen. et corr. A 2, 317a 2-12.
Questo è stato notato da più parti. Baldes 1972, 44s., partendo dal presupposto che Aristotele si riferisca a materiale democriteo, ipotizza, in modo piuttosto nebuloso, che si tratti di
grandezze matematiche concepite come immanenti ai corpi fisici indivisibili e, in quanto
tali, accidentalmente indivisibili. Lewis 1998, 19 n. 34 fa notare che kai; megevqh è estraneo
alla discussione seguente che riguarda solo la divisione dei corpi e ritiene l'espressione una
semplice aggiunta aristotelica in quanto per lui ogni corpo è anche una grandezza.
Capitolo quarto
177
un altro brano del capitolo nono dello stesso libro dove riassume il ragionamento che ha portato agli indivisibili28. Qui Aristotele sostituisce al
sintagma sw'mata ajdiaivreta kai; megevqh, sw'ma ajdiaivreton h] plavto" in
cui il riferimento ai triangoli platonici è palese. Il logos era evidentemente
un discorso generale sugli indivisibili che comprendeva sia la trattazione
dei corpi che quella dei triangoli. Come si vedrà nel cap. V, l'indivisibilità
(relativa) dei corpi e delle grandezze fino all'indivisibile assoluto, la linea, è
un assunto di Senocrate. Per ora comunque ci si può limitare a constatare
che nel logos aristotelico corpi e grandezze hanno due referenti diversi.
4. 3. Punti, segatura e affezioni (De gen. et corr. A 2, 316a 30-b 16)
Vale la pena riesaminare ora singolarmente gli argomenti della prima parte
a favore di corpi e grandezze indivisibili in quanto questi sono un tipico
esempio di rielaborazione aristotelica di temi trattati nell'Accademia e più
volte ripresi da Aristotele in altre parti della sua opera. Da questo esame si
potrà constatare che, in tutto questo, di Democrito non c'è traccia.
L'argomento fondamentale della prima parte del logos è diretto contro
la divisione dei corpi e delle grandezze fino ai punti. Ammettere che questo sia il risultato della divisione equivale a dissolvere i corpi e le grandezze nel nulla e a volerli ricomporre dal nulla.
Poiché dunque il corpo è divisibile in ogni parte, lo si divida. Che cosa rimarrà
dunque? una grandezza? non è possibile perché altrimenti ci sarebbe qualcosa di
non diviso, ma era divisibile completamente. Se tuttavia non sarà né un corpo né
una grandezza, ma ci sarà la divisione, consisterà di punti, e ciò di cui è composto
saranno non grandezze, o nulla del tutto, talché sarà generato da nulla e composto da nulla e il tutto non sarà altro che apparenza. Allo stesso modo, se sarà
composto da punti, non avrà una estensione misurabile. Infatti quando i punti si
toccavano e la grandezza era un tutto unico e i punti erano insieme, non rendevano più grande il tutto. Infatti quando il tutto è stato diviso in due o in più parti,
non lo rendevano né più piccolo, né più grande di prima, talché, se tutti venissero
messi insieme, non produrrebbero una grandezza 29.
28
29
De gen. et corr. A 9, 327a 6 eij me;n ga;r mh; pavnthi diaireto;n to; mevgeqo", ajll e[sti sw''ma
ajdiaivreton h] plavto" oujk a]n ei[h pavnthi paqhtikovn, ajll oude; sunece; " ouj devn.
De gen. et corr. A 2, 316a 23-34 ejpei; toivnun pavnthi toiou'tovn ejs ti to; sw'ma, dihirhvsqw. tiv
ou\n e[stai loipovn… mevgeqo"… ouj ga;r oi|ovn te: e[ stai gavr ti ouj dihirhmev non, h\n de; pav nthi
diairetovn. ajlla; mh;n eij mhde;n e[stai sw'ma mhde; mevgeqo", diaivresi" dæ e[stai, h] ejk stigmw' n
e[stai, kai; ajmegevqh ejx w| n suvgkeitai, h] oujde;n pantavpasin, w{ste ka]n givnoito ejk mhdeno;"
ka]n ei[h sugkeivmenon, kai; to; pa'n dh; oujde; n ajllæ h] fainovmenon. oJmoivw" de; ka] n h\i ejk stigmw'n, oujk e[s tai posovn. oJpovte ga;r h{ptonto kai; e}n h\n mevgeqo" kai; a{ ma h\san, oujde; n
ejpoivoun mei'zon to; pa' n: diaireqev nto" ga;r eij " duvo kai; pleivw, oujde;n e[latton oujd e; mei'zon
to; pa' n tou' provteron, w{ste ka] n pa' sai sunteqw'sin, oujd e;n poihvsousi mevgeqo".
178
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
In questo argomento viene scartata una prima soluzione, cioè che da una
divisione completa possa risultare una grandezza. "Grandezza" in questo
contesto viene generalmente interpretato come sinonimo di corpo, ma ciò
è inverosimile almeno per due ragioni: in primo luogo perché Aristotele
subito dopo distingue fra corpo e grandezza come possibile risultato della
divisione (se non ci sarà né un corpo né una grandezza), in secondo luogo
perché il caso della divisione fino ad una minuscola particella corporea
come segatura viene prospettato dopo, come alternativa distinta (316b 1).
Siamo dunque qui confrontati con due possibilità: quella della divisione
fino a corpuscoli e quella della divisione fino a grandezze geometriche.
Aristotele non spiega qui come si possa arrivare nella divisione ad una
grandezza, ma lo fa più volte altrove riferendo il metodo di sottrazione dei
Platonici: il corpo è divisibile in superfici, queste in linee e queste in
punti30. Quest'ultimo passaggio, la divisione in punti, tuttavia, non era
ammesso da chi sosteneva la dottrina delle linee indivisibili come limite
ultimo della realtà fisica. A detta di Aristotele lo stesso Platone avrebbe
polemizzato contro le tesi che ponevano il punto come principio della
linea e avrebbe posto l'arresto della divisione a linee indivisibili31. Lasciando da parte la dibattuta questione se questa sia tesi platonica o derivi
da una interpretazione di Senocrate, che non è rilevante ai fini del presente argomento, rimane comunque il fatto che la divisione fino al punto
era stata criticata nell'Accademia nel contesto dell'assunzione di indivisibili: la divisione doveva arrestarsi prima, pena la dissoluzione in una nongrandezza.
L'identificazione del punto con la non-grandezza ritorna in Aristotele
anche in relazione a Zenone. In Metaph. B 4, in un contesto critico contro
30
31
Si tratta in particolare della tesi di Speusippo che genera dal punto la linea, da questa la
superficie e infine il solido, cf. Arist. Metaph. N 3, 1090b 5-7 (Speus. Fr. 81 IP); M 9, 1085a
31-34 (Speus. Fr. 84 IP); Iambl. De comm. math. sc. 4, 16,15ss. Festa (Speus. Fr. 88 IP). Un
passo aristotelico particolarmente indicativo perché ripropone la dissoluzione del corpo in
punti (in una critica ai triangoli e alle linee indivisibili) è De cael. G 1, 300a 7-12 o{lw" de;
sumbaivnei h] mhdevn pot ei\nai mev geqo", h] duvnasqaiv ge aj naireqh' nai, ei[ per oJmoivw" e[cei
stigmh; me;n pro;" grammhvn, grammh; de; pro;" ejpivpedon, tou'to de; pro; " sw'ma: pav nta ga;r eij"
a[llhla ajnaluovmena eij " ta; prw'ta ajnaluqhvs etai: w{st ej ndevcoit a] n stigma;" mov non ei\nai,
sw'ma de; mhqevn. Per critiche simili, cf. anche De cael. G 1, 299a 6-9; Metaph. K 2, 1060b 12;
Metaph. B 5, 1002a 4-6.
Metaph. A 9, 992a 19-24 e[ti aiJ stigmai; ejk tivno" ejnupavrxousin… touvtwi me;n ou\n tw'i gevnei
kai; diemavc eto Plavtwn wJ" o[nti gewmetrikw'i dovgmati, ajll ejkavlei ajrch; n grammh' "—tou'to
de; pollavki" ejtivqei—ta;" ajtovmou" grammav ". kaivtoi aj nav gkh touv twn ei\naiv ti pevra": w{st ejx
ou| lovgou grammhv ejsti, kai; stigmhv ejstin. Questo passo è stato molto discusso in quanto
contraddice le testimonianze tarde sul Peri; tajgaqou', in particolare quella di Alessandro,
dove il punto viene equiparato all'uno e definito "monade avente una posizione" (In
Metaph. 987b 33, 55,20-26; ap. Simpl. In Phys. 202b 36, 454,23-29). In generale, però, si
suppone che la testimonianza di Alessandro sia imprecisa e viziata da interpretazioni sue o
delle sue fonti, cf. De Vogel 1949, 306-311 e Burkert 1972, 18 n. 17.
Capitolo quarto
179
il concetto accademico di uno in sé come sostanza universale separata e
indivisibile, egli riporta un'interpretazione matematizzante del frammento
29 B 2 DK. Zenone sosteneva che ciò che non ha grandezza è nulla perché aggiunto o sottratto ad un ente non lo rende più grande o più piccolo32. Aristotele identifica questo nulla col punto privo di dimensioni
Ancora, se l'uno in sé è indivisibile, secondo l'assunto di Zenone, non è nulla; infatti egli nega che ciò che aggiunto o tolto non rende più grande o più piccolo, sia
uno degli enti, poiché chiaramente l'ente è una grandezza e, se è una grandezza, è
corporea; questo infatti è un essere nella sua completezza, le altre, come la superficie e la linea, quando vengono aggiunte, in un certo modo rendono più grande,
in un certo modo no, il punto e la monade in nessun modo 33.
Aristotele ritorce più volte l'argomento dell'equivalenza del punto col
nulla contro le dottrine dei triangoli e delle linee indivisibili: il punto (che i
sostenitori di queste tesi rigettano come principio in quanto non-grandezza) non è diverso dalle linee e dai triangoli dai quali essi fanno derivare
i corpi in quanto tutti sono limiti e, come tali, non-grandezze.
E' dunque necessario assumere che nella dissoluzione del corpo in
grandezze prospettata in questa prima parte del logos sugli indivisibili sia
presupposta una dissoluzione del solido in superfici, di queste in linee e
infine in punti che, in quanto non-grandezze, non sono nulla e non possono ricomporre né una grandezza né un corpo. Tale procedimento è
però tipico di Senocrate e di Platone, non di Democrito. Significativamente, coloro che attribuiscono l'argomento a quest'ultimo, non spiegano
come avvenga il passaggio dal corpo ai punti, ma, quando devono portare
l'esempio concreto di una divisione in punti, scivolano impercettibilmente
dal corpo alla linea34. Non c'è dunque nulla che possa far pensare a Demo-
32
33
34
29 B 2 DK eij de; ajpoginomevnou to; e{teron mhde;n e[latton e[s tai mhde; au\ prosginomevnou
aujxhvs etai, dh'lon o{ti to; prosgenovmenon oujde; n h\n oujde; to; ajpogenovmenon.
B 4, 1001b 7 e[ti eij ajdiaivreton aujto; to; e{ n, kata; me; n to; Zhvnwno" ajxivwma oujqe;n a] n ei[h: o}
gavr mhvte prostiqevmenon mhvte ajf airouvmenon poiei' mei'zon mhde; e[latton, ou[ fhsin ei\nai
tou'to tw'n o[ntwn, wJ " dhlonovti o[nto" megevqou" tou' o[nto": kai; eij mev geqo" swmatikovn:
tou'to ga;r pav nthi o[n: ta; de; a[lla pw;" me; n prostiqevmena poihvsei mei'zon, pw;" d oujqevn,
oi|on ejpivpedon kai; grammhv , stigmh; de; kai; mona;" oujd amw' ". Su questo passo e sul suo contesto accademico, cf. Burkert 1972, 286. La decontestualizzazione del passo e l'errata attribuzione della definizione del punto come monade avente una posizione ai Pitagorici e non
agli Accademici è all'origine della tesi, sostenuta in primo luogo da Tannéry 1930, 258ss. e
Burnet 1930, 314-17 (cf. anche Alfieri 1979, 41ss.) secondo cui i paradossi di Zenone sarebbero diretti contro una ipotetica matematica pitagorica. Lur'e 1932-1933, 108ss., non
devia sostanzialmente da questa linea in quanto mantiene l'ipotesi di una argomentazione
zenoniana contro il punto, cambiandone solo i presunti obiettivi polemici: invece che i Pitagorici, la matematica del tempo. Cf. anche Mau 1954, 12ss. Per la critica dettagliata a
queste interpretazioni, cf. Burkert 1972, 285-289.
Cf. e.g. Furley 1967, 85; Sedley 2004, 70.
180
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
crito di cui non vengono mai menzionate opinioni sul punto o su una
eventuale dissoluzione delle grandezze in punti.
La seconda ipotesi del logos della divisione all'infinito sembrerebbe più
vicina ad una possibile argomentazione democritea: la divisione all'infinito
non produce questa volta punti o nulla, ma un corpuscolo minuscolo,
simile ad una particella di segatura
Anche se comunque dalla divisione del corpo risulta qualcosa, una sorta di segatura, e così dalla grandezza si stacca un corpo, vale per questo lo stesso argomento, come è divisibile?35
Poiché tuttavia si era ammesso che un corpo, per quanto piccolo, poteva
essere per definizione diviso, sorge la domanda di come questo corpuscolo possa essere ancora diviso e si ricade nell'aporia precedente (divisione fino ai punti e al nulla). La terminologia fisica, come si è visto, non è
necessariamente indice di una divisione reale. Una teoria corpuscolare che
ammetteva dei corpuscoli ulteriormente divisibili con la mente, ma mai
divisi era sostenuta nell'Accademia da Eraclide Pontico e, probabilmente
sulla sua scia, veniva attribuita anche ad Anassagora e ad Empedocle36.
Questa tesi, però, supponeva che un corpo in quanto tale fosse divisibile
all'infinito, dunque il corpuscolo non diviso deve essere ulteriormente
divisibile, per lo meno con la mente. Questo tema ritorna in forme diverse
nel logos eleatico di De generatione et corruptione A 2 e in quello di Porfirio. In
ambedue si afferma che l'essere non può essere diviso in una parte sì e in
un'altra no e Porfirio ne spiega anche la ragione col fatto che l'essere è
omogeneo. Uno dei capisaldi della critica all'atomismo e al corpuscolarismo dei Pitagorici-Accademici in Sesto Empirico era basato sulla tesi che i
corpi sono ulteriormente divisibili con la mente e quindi non possono
essere eterni37. In base a tutto questo, l'arresto della divisione in un corpuscolo minuscolo come segatura sarebbe non "reale", ma solo fisico in
quanto la mente può procedere oltre. Si può ricordare a questo punto
anche la frase di Platone riguardo agli "amici delle idee" nella gigantomachia del Sofista: questi ultimi, secondo lo straniero di Elea, "fanno a pezzettini nei loro logoi i corpi di quegli altri" definendo un divenire incessante
quella che costoro chiamano essenza38. La prima parte del logos riportato
da Aristotele, che fa proprio questo, potrebbe ben figurare come punto di
35
De gen. et corr. A 2, 316a 34-b 2 ajlla; mh;n kai; ei[ ti diairoumevnou oi|on e[kprisma givnetai
tou' swvmato", kai; ou{tw" ejk tou' megevqou" sw'mav ti ajp evrcetai, oJ aujto;" lovgo", ejkei' no pw'"
diairetovn.
36
37
38
V. supra, II 4. 1 n. 56-57.
V. supra, II 4 n. 38.
Soph. 246b ta; de; ejkeivnwn swvmata kai; th;n legomevnhn uJp aujtw'n ajlhvqeian kata; smikra;
diaqrauvonte" ejn toi'" lovgoi" gevnesin ajnt oujsiva" feromevnhn tina; prosagoreuvousin. V.
supra, II 2 n. 11.
Capitolo quarto
181
partenza per un discorso sugli indivisibili dietro al quale sta, però, quello
sui principi: i corpi e le grandezze, in quanto formati anche dalla diade
indefinita, tendono all'infinità nei due sensi, per divisione e per aggiunta39,
essi vengono però limitati dall'uno, che si configura come misura indivisibile. La necessità del triangolo indivisibile è data dal fatto che questo, in
quanto misura ultima della realtà fisica (nel Timeo la divisione viene protratta solo fino ai triangoli elementari), deve essere tale, altrimenti sarebbe
anch'esso una molteplicità.
Aristotele aggiunge poi un ulteriore argomento che allude a teorie
specifiche da lui criticate altrove: la divisione all'infinito di un corpo produce un ei\do" o un pavqo" separato che agisce su punti e contatti. In questo caso si ricade nella prima ipotesi in quanto si deve presupporre una
divisione del corpo in punti (da cui si separerebbero poi forme e affezioni)
e quindi la dissoluzione nel nulla40. Egli attribuisce altrove una dottrina
della "mescolanza" di forme (nel senso platonico di idee) e affezioni separate dalla materia ad Anassagora e a Eudosso. Quest'ultimo avrebbe sostenuto la tesi secondo cui le idee sarebbero immanenti nei sensibili in
quanto "mescolate" ad essi come il bianco al bianco ponendosi, secondo
Aristotele, sulla scia di Anassagora41. I dettagli di questa mescolanza, non
risultano affatto chiari né da qui né dalla lunga serie di critiche che Aristotele esponeva nel Peri; ijdew'n42. Egli vi vedeva, però, la possibilità che,
in quanto "mescolate", le idee potessero anche essere separate dalla materia così come, secondo lui, si potevano separare le affezioni dal tutto in
tutto di Anassagora43. Nello stesso primo libro del De generatione et corruptione Aristotele, più oltre, discutendo il concetto di mescolanza, si esprime
in modo altrettanto critico nei confronti di questa presunta teoria: le affezioni non possono essere mescolate perché ciò che si mescola, si può
anche separare e nessuna di esse è separata dai sensibili44. Si spiega perciò
39
40
41
Cf. il già citato esempio della "divisione del cubito" attribuito a Platone da Porfirio e
derivante dal Peri; tajgaqou', supra, n. 24.
De gen. et corr. A 2, 316b 2-5 eij de; mh; sw'ma ajll ei\dov" ti cwristo;n h] pavqo" o} ajph'lqen, kai;
e[sti to; mevgeqo" stigmai; h] aJf ai; todi; paqou' sai, a[topon ej k mh; megeqw' n mev geqo" ei\nai.
Metaph. A 9, 991a 14 (Eudox. Fr. D 1 Lasserre) ou{tw me;n ga;r a]n i[sw" ai[tia dovxeien (scil.
ta; ei[dh) ei\nai wJ" to; leuko; n memigmevnon tw' leukw'i, ajll ou|to" me; n oJ lovgo" livan
eujkiv nhto", o}n Anaxagovra" me;n prw'to" Eu[doxo" d u{steron kai; a[lloi tine;" e[legon
(rJavdion ga;r sunagagei'n polla; kai; ajd uvnata pro;" th;n toiauvthn dovxan). Cf. anche 998a 35.
42
43
44
Arist. De ideis Fr. 5 Ross (Alex. In Metaph. 991a 14, 97,27-98, 24). Sui problemi di interpretazione di tale dottrina attribuita da Aristotele ad Eudosso, cf. Krämer 1983, 74-77.
Metaph. A 8, 989a 30-b 4 (59 A 61 DK) ajtovpou ga;r o[nto" kai; a[llw" tou' favskein memi'cqai th;n ajrch;n pavnta, kai; dia; to; sumbaivnein a[ mikta dei' n proupavrcein kai; dia; to; mh;
pefukevnai tw'i tucov nti mivgnusqai to; tucovn, pro;" de; touvtoi" o{ti ta; pavqh kai; ta; sumbebhkovta cwrivzoit a] n tw' n oujsiw'n (tw'n ga;r aujtw' n mi'xiv" ejs ti kai; cwrismov").
De gen. et corr. A 10, 327b 13-22 to;n aujto;n de; trovpon ou[te tw'i swvmati th;n trofh;n ou[te to;
sch'ma tw'i khrw'i mignuvmenon schmativzein to; n o[gkon: oujde; to; sw'ma kai; to; leuko;n oujd
182
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
perché Aristotele prospetti, al di là della divisione dei corpi, anche l'ipotesi
di una ulteriore divisione in un ei\do" o in un pavqo", perché egli pensa alle
presunte tesi di Eudosso e di Anassagora45 e le aggiunge come ulteriore
caso di risultato di una divisione all'infinito. Siccome tuttavia le idee o le
affezioni dovrebbero agire su punti e contatti, si ricade nell'aporia precedente: come si può ricostituire un corpo da questi ultimi? Tutte le domande e gli esempi che Aristotele fa seguire immediatamente e che hanno
disorientato gli interpreti fanno parte di una strategia di dilazione che
Aristotele stesso raccomanda nei Topici. Esse infatti introducono argomenti che, o ripetono quanto già si è detto, o sembrano non essere pertinenti al tema. Ma questa è una tecnica che, in una disputa dialettica, permette di confondere l'avversario46. Con questo espediente si può spiegare
ad esempio la strana domanda sulla posizione dei punti e sul loro eventuale movimento che non ha nulla a che fare col problema della divisibilità
(qui non si parla affatto di corpi in moto, ma di corpi e grandezze in
quanto tali) e la ripresa e l'ampliamento di argomenti già trattati il cui
unico scopo è di rafforzare ulteriormente l'aporia: se divido un pezzo di
legno e poi lo ricompongo, rimane uguale (vale a dire nulla si aggiunge e
nulla si toglie) e lo stesso succede se lo divido in qualsiasi punto. Se posso
dividerlo dovunque, però, significa che in potenza è diviso in ogni parte47
e, inoltre, se la ricomposizione non ha aumentato la dimensione del legno,
il risultato della divisione dovranno essere necessariamente dei punti privi
di dimensioni48. La conclusione, secondo questo logos, è che vi debbano
essere dei corpi e delle grandezze indivisibili.
Come si vede, l'argomentazione "dialettica" che pone come tesi una
infinita divisibilità mentale dei corpi e delle grandezze è un "modello" di
dimostrazione sviluppata su un nucleo di matrice accademica, ma con
aggiunte e rielaborazioni da parte di Aristotele. Non c'è alcun indizio, al di
o{lw" ta; pavqh kai; ta; " e{xei" oi|ovn te mivgnusqai toi'" pravgmasin: swzovmena ga;r oJra'tai.
ajlla; mh; n oujde; to; leukovn ge kai; th; n ejpisthvmhn ej ndevc etai micqh'nai, oujd a[llo tw' n mh;
cwristw'n oujd evn. ajlla; tou'to lev gousin ouj kalw'" oiJ pav nta pote; oJmou' favs konte" ei\nai kai;
memivcqai: ouj ga;r a{pan a{panti miktovn, ajll uJp avrcein dei' cwristo;n eJkavteron tw'n micqevntwn: tw' n de; paqw'n oujqe; n cwristov n.
45
46
47
48
Sedley 2004, 71, riportando questo argomento a Democrito, ipotizzando che qui si voglia
parlare di "massa" o "solidità" o di qualche altra proprietà dei corpi, tralascia proprio di
considerare il carattere specificamente aristotelico dell'allusione all'ei\do" e al pavqo".
Top. Q 1, 157a 1 e[ti to; mhkuvnein kai; parembavllein ta; mhde;n crhvsima pro;" to;n lovgon,
kaqavper oiJ yeudografou'nte": pollw'n ga;r o[ ntwn a[dhlon ej n oJpoivwi to; yeu'do".
Il perfetto (pavnthi a[r a dihvirhtai dunavmei), che ha un valore risultativo, si spiega col fatto
che la divisione in potenza che si immagina avverrà di fatto è equivalente ad una divisione
già operata.
Questo argomento, che Sedley 2004, 72s. e 75s. vuole trasporre prima di 316b 28 sulla
base del fatto che non sarebbe "democriteo" e dunque non potrebbe stare nel contesto
precedente, è invece in perfetta consonanza con la strategia aristotelica delineata nel testo.
Capitolo quarto
183
là di ragioni puramente ipotetiche, che possa far pensare alla riutilizzazione di un testo democriteo.
5. La seconda parte del logos. La dimostrazione "fisica" della
necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2, 316b 18-35)
La dimostrazione "fisica", nella quale il Lur'e intravvedeva la parte più
propriamente democritea del logos sugli indivisibili e che invece da altri è
stata considerata un argomento aristotelico, è in realtà una riformulazione
dell'aporia "logica" in termini più propriamente "fisici". Il problema, come
osservano molti interpreti, è che essa contiene i concetti tipicamente aristotelici di atto e potenza49. La tesi originaria supponeva che, se si assume
un corpo divisibile in ogni parte, bisogna necessariamente ammetterne
anche la divisione totale, anche se questa in concreto non verrà mai realizzata. Il presupposto di questa tesi è che ciò che si può dividere con la
mente è reale.
Aristotele riformula la tesi partendo dalla sua dottrina dell'atto e della
potenza, le muove una possibile obiezione, ma riporta poi la discussione
nell'ambito "fisico". Una cosa è ciò che si immagina, un'altra ciò che invece avviene nel mondo reale:
Orbene: che ogni corpo sensibile sia divisibile in qualsivoglia punto e indivisibile
non è nulla di assurdo; infatti sarà divisibile in potenza, ma indivisibile in atto.
Sembrerebbe invece che l'essere divisibile in potenza simultaneamente nella sua
totalità fosse impossibile. Se infatti ciò fosse possibile, la divisione potrebbe essere realmente eseguita cosicché il corpo non sarebbe simultaneamente ambedue
le cose, indivisibile e diviso in atto, ma diviso in ogni punto. Dunque nulla resterebbe e il corpo si dissolverebbe nell'incorporeo e si genererebbe nuovamente o
da punti o assolutamente dal nulla e questo come è possibile? Ma è chiaro, comunque, che si divide in grandezze separabili, sempre più piccole, distanziate e
distinte una dall'altra. Né se si divide il corpo parte per parte la frammentazione
sarà infinita, né sarà possibile dividere simultaneamente in ogni punto, non è infatti possibile, ma solo fino ad un certo punto. E' necessario dunque che esso
contenga grandezze insecabili invisibili, soprattutto se la generazione e la corruzione avvengono l'una per associazione, l'altra per dissociazione50.
49
50
Mau 1952-53, 12 aveva appunto rigettato per questo la paternità democritea di tutto il
passo di De generatione et corruptione A 2; cf. anche Sinnige 1968, 147. Coloro che, invece, vedono nella prima parte del passo un resoconto "storico" delle tesi di Democrito spiegano
questo argomento come un rimaneggiamento aristotelico di tesi democritee (Furley 1967,
90s.; Baldes 1972, 38; Sedley 2004). Joachim 1922, 84 ipotizzava addirittura che si trattasse
in origine di una nota marginale di Aristotele stesso.
Arist. De gen. et corr. A 2, 316b 21-27 to; me;n ou\n a{p an sw'ma ai[sqhto;n ei\nai diaireto;n kaq
oJtiou'n shmei'on kai; ajdiaivreton oujde; n a[topon: to; me; n ga;r dunavmei, to; d ej nteleceivai
184
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
L'obiezione che Aristotele muove alla sua soluzione dell'aporia (la possibilità di distinguere fra divisione in atto e in potenza), si basa sui presupposti dell'argomentazione "dialettica", cioè sull'ipotesi che una divisione
attuabile col pensiero equivalga ad una divisione reale; in questo caso la
distinzione fra potenza e atto è nulla e si deve ammettere l'esistenza degli
indivisibili. Anche questa di muovere obiezioni alla propria tesi è un tipico
espediente dialettico, codificato nei Topici, il cui scopo è quello di rendere
l'avversario meno diffidente51. Aristotele ribatte però a questa obiezione
ritornando all'ambito concreto della fisica. In ossequio al principio
secondo cui, trattando di fenomeni fisici, ci si deve attenere a quanto è
realizzabile veramente e non a quanto si immagina, prospetta un altro
scenario. Come riguardo all'infinito per accrescimento osservava che uno
non è più grande di una città perché si immagina tale, così per quanto
riguarda la divisione si richiama a quanto accade in realtà: e di fatto si osserva che, quando si divide, si ottengono delle grandezze sempre più piccole, ben distinte e separate (e non delle grandezze in cui non si arriva mai
a isolare veramente una parte come veniva ipotizzato nell'argomentazione
"logica" da Platone nel Parmenide e nel paradosso stesso di Zenone), non
solo, ma, anche che, dividendo progressivamente parte per parte, non si
può portare la frammentazione all'infinito né è possibile materialmente
dividere la grandezza simultaneamente in ogni punto. Ed è questo argomento dell'impossibilità materiale che, nell'argomentazione fisica, porta a
postulare delle grandezze indivisibili nei corpi. Aristotele prosegue poi a
confutare sia l'argomento dialettico, sia quello fisico dimostrando che in
ambedue si nasconde un paralogismo. Ambedue partono infatti dalla
premessa che una grandezza sia costituita in ogni momento da un infinito
numero di punti contigui, ma questo è falso perché il punto non è una
sostanza, ma un limite e quindi non ha un'esistenza in atto. Non è possibile dunque dividere in due o più punti simultaneamente (ad esempio nel
punto centrale della grandezza e in quello immediatamente successivo), o
anche successivamente, ma solo in uno. La grandezza è infinitamente
divisibile in quanto è divisibile in tutti i punti, ma ogni volta c'è su di essa
51
uJpavrxei. to; d ei\nai a{ma pavnthi diaireto;n dunavmei ajduv naton dovxeien a] n ei\nai. eij ga;r dunato; n, ka] n gevnoito, oujc w{ste ei\ nai a{ma a[mfw ej nteleceivai ajdiaivreton kai; dihirhmevnon,
ajlla; dihirhmevnon kaq oJtiou'n shmei'on: oujde;n a[ra e[stai loipovn, kai; eij" ajswv mata
ejfqarmev non to; sw'ma, kai; giv noito d a]n pavlin h[toi ejk stigmw'n h] oJlw" ejx oujdenov". kai;
tou'to pw' " dunatovn… ajlla; mh; n o{ti ge diairei'tai eij " cwrista; kai; ajei; eij " ejl avttw megevqh
kai; eij" ajpevconta kai; kecwrismevna fanerov n. ou[te dh; kata; mevro" diairou'nti ei[h a] n
a[peiro" hJ qruvyi", ou[te a{ma oi|ovn te diaireqh' nai kata; pa'n shmei'on, ouj ga;r dunatovn,
ajlla; mev cri tou: aj nav gkh a[ra ejnupavrcein a[toma megevqh ajovrata, a[llw" te kai; ei[per
e[stai gev nesi" kai; fqora; hJ me; n diakrivs ei hJ de; sugkrivsei.
Top. Q 1, 156b 18 dei' de; kai; aujtovn pote eJautw'i e[nstasin fevrein: ajnupovp tw" ga;r e[cousin
oiJ ajpokrinovmenoi pro;" tou;" dokou' nta" dikaivw " ejpiceirei'n.
Capitolo quarto
185
un solo punto, non infiniti. Dunque non c'è bisogno di porre alla base
della realtà delle grandezze indivisibili, anche perché la generazione e la
dissoluzione non avvengono per composizione e scomposizione.
Ritorniamo ora all'argomento "fisico". Se fosse democriteo, risulterebbe che gli atomi sono tali solo perché sono le parti più piccole a cui
possa materialmente arrivare una divisione fisica, sono dunque degli
ejlavcista52 del tutto simili ai corpuscoli delle teorie corpuscolari, cioè a
quella segatura rigettata nell'argomento precedente. In Sesto gli Accademici-Pitagorici rimproverano agli atomisti e ai corpuscolaristi di essersi
fermati nella scomposizione a corpuscoli indivisibili riconoscendo loro
una prerogativa, l'eternità, che in realtà, in quanto corpi, essi non hanno.
Infatti, anche se materialmente non si possono dividere, col pensiero sono
ulteriormente scomponibili fino ai limiti ultimi.
Aristotele rovescia invece la gerarchia dei "modelli" preferendo comunque quello "fisico", che bada alla realtà dei fatti, a quello "dialettico"
che sposta l'argomentazione fuori della realtà fisica perché ha come scopo
la ricerca dei principi universali. Ambedue sono però argomenti-tipo usati
con varianti nelle dispute dialettiche. Democrito "sembrerebbe essere
stato persuaso" dall'argomento fisico che in realtà non è suo, ma può
essere dedotto leggendo i suoi testi nell'ottica degli indivisibili. La parte
finale dell'argomentazione rivela infatti in certe piccole incongruenze che
Aristotele ha sì in mente la formulazione generale della dottrina democritea, quella che egli espone nelle sue "schede" in altri punti della sua opera,
ma che l'ha "adattata" alla problematica degli indivisibili. In particolare
saltano agli occhi la menzione di grandezze "invisibili", che non ha nulla a
che fare col problema della divisibilità, e l'affermazione che la generazione
e la corruzione si verificano per composizione e, rispettivamente, per
separazione. La stessa ridondanza è presente nella presunta risposta di
Leucippo agli Eleati in A 8 dove, alla dichiarazione che l'essere propriamente detto non è uno, ma infiniti, segue inopinatamente (325a 30) kai;
ajovrata dia; smikrovthta tw'n o[gkwn, che nulla a a che fare con l'argomento. Questa è però ogni volta la "spia" dell'adattamento della solita
"scheda" generale aristotelica sull'atomismo al problema in discussione,
così come lo è l'allusione alla generazione e alla corruzione per composizione e disgregazione di particelle che si ritrova puntualmente anche nell'altro brano del De generatione et corruptione così come in tutti i brani in cui
viene dato un sunto delle dottrine atomistiche53. Si tratta di quelle schede
52
53
Aristotele stesso critica più sotto nello stesso capitolo (326a 24-29) la tesi che l'indivisibilità
sia da attribuire solo ai corpuscoli piccoli e non a quelli grandi.
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,8-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejk touvtwn
(scil. mikrw'n oujsiw'n) ou\n h[dh (D E, Diels: h[/dei A Heiberg) kaqavper ejk stoiceivwn genna'i
kai; sugkriv nei (Diels: genna' n kai; sugkrivnein codd.) tou;" ojfqalmofanei'" kai; tou; "
186
La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)
che Aristotele nei Topici raccomanda di redigere per poter poi utilizzare al
bisogno54.
L'affermazione che la generazione e la dissoluzione avvengono per associazione e dissociazione era una enunciazione dogmatica che non aveva
bisogno di dimostrazione perché era largamente condivisa. Né Empedocle né Anassagora hanno dato alcuna giustificazione di questo loro assunto. L'assunzione di minuscoli corpuscoli invisibili diversi dai corpi
visibili (i quali sono esposti a cambiamento, malattia e dissoluzione) e
dunque resistenti, compatti e non tagliati55 era perfettamente adatta a giustificare la persistenza dell'universo. Non c'era bisogno di una trattazione
dialettica generale del problema dell'indivisibilità per questo. Aristotele ha
costruito su questa semplice base di dottrina atomistica una argomentazione fisica da cui Democrito avrebbe potuto essere persuaso se avesse
formulato la sua tesi partendo dalla problematica degli indivisibili viva fra
gli Accademici e tesa alla soluzione delle presunte aporie eleatiche sulla
divisibilità all'infinito.
Se questo è vero, la dimostrazione dell'indivisibilità delle grandezze
come è delineata in De generatione et corruptione A 2 scaturisce da una problematica accademica e aristotelica, non democritea. Dunque questo
brano non ci dice nulla né su una ipotetica soluzione democritea dei paradossi zenoniani, né sul tipo di indivisibilità che Democrito attribuiva all'atomo, ma ci informa unicamente sui presupposti interpretativi di Aristotele e sul contesto in cui egli colloca e discute l'atomismo.
6. Sintesi
Il logos sulla necessità degli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 è
stato considerato, come quello di A 8, una ulteriore prova del fatto che gli
atomisti sarebbero partiti dall'aporia zenoniana della divisibilità all'infinito
per formulare la loro dottrina degli indivisibili. In realtà Aristotele riproduce nel suo resoconto sulla necessità degli indivisibili due tipi di argoaijsqhtou;" o[gkou" ª...º ejpi; tosou'ton ou\n crov non sfw' n aujtw'n ajntevc esqai nomivzei kai;
summevnein, e{w " ijscurotevra ti" ejk tou' perievconto" aj navgkh paragenomevnh diaseivshi kai;
cwri;" auj ta; " diaspeivrhi. La dichiarazione che generazione e corruzione non sono altro
che composizione e scomposizione di elementi già preesistenti è anche in Anassagora una
enunciazione dogmatica, cf. Anaxag. 59 B 17 DK to; de; givnesqai kai; ajpovllusqai oujk
54
55
ojrqw'" nomivzousin oiJ ”Ellhne": oujde; n ga;r crh'ma givnetai oujde; ajpovllutai, ajllæ ajpo;
ejovntwn crhmavtwn summivsgetaiv te kai; diakrivnetai. kai; ou{ tw" a]n ojrqw' " kaloi'en tov te
givnesqai summivsgesqai kai; to; ajpovllusqai diakrivnesqai.
Top. A 14, 105b 16-18.
Sul significato dell'aggettivo a[tomo" al tempo di Democrito e sulle denominazioni originali
del corpuscolo democriteo, v. infra, V 3.
Capitolo quarto
187
mentazione: una dialettica, che presuppone un'equivalenza fra pensabile e
reale che egli, qui e altrove, designa come caratteristica peculiare degli
Accademici, e una fisica, che "presta" a Democrito nella seconda parte del
logos.
Secondo l'argomentazione dialettica, la necessità di corpi e grandezze
indivisibili è la conseguenza del fatto che, se non si arresta la divisione ad
un certo punto, si rischia di dissolvere la realtà in punti e quindi nel nulla
rendendone impossibile la ricomposizione. L'argomento della dissoluzione in punti presuppone il metodo di sottrazione accademico dal corpo,
alla superficie, alla linea, al punto e l'equivalenza del punto al nulla sostenuta da Platone e Senocrate. Anche l'altro argomento alla base del logos
sulla necessità degli indivisibili, quello della ulteriore divisibilità col pensiero di corpuscoli minuscoli non divisi nella realtà, ha le sue radici nell'Accademia come si può dedurre dalle argomentazioni dei Pitagorici-Accademici nel decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico esaminati
nel secondo capitolo. Queste argomentazioni costituivano la base di partenza per formulare la dottrina dei principi, uno e diade indefinita, e per
ordinare il reale: l'indivisibile nei corpi e nelle grandezze è il riflesso dell'uno che impone un ordine all'infinita molteplicità generata dalla diade.
L'argomentazione "fisica" si basa invece, come altre argomentazioni
aristoteliche dello stesso tipo, non su ciò che si può pensare avvenga, ma
su ciò che si verifica effettivamente: non si può infatti dividere materialmente un corpo, né simultaneamente, né in successione, in tutti i punti,
ma ci si deve arrestare necessariamente a corpuscoli indivisibili. Aristotele
"presta" a Democrito quest'ultimo argomento traendo le sue conclusioni
dalla solita "scheda" sull'atomismo che egli utilizza anche altrove. La spia
di questo passaggio da quanto gli atomisti effettivamente dicono a quanto
Aristotele deduce è la menzione di grandezze "invisibili" che, qui come
altrove, non è funzionale all'argomento dell'indivisibilità.
Il logos sugli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 è dunque una
ricostruzione aristotelica di due modelli di argomentazione, dialettica e
fisica, che si basa principalmente su problematiche accademiche, non
democritee e non è utilizzabile per spiegare la genesi dell'atomismo antico
e la concezione dell'atomo.
Capitolo quinto
Atomi e minimi. Concetti accademici e terminologia
democritea in Aristotele
1. Minimo privo di parti come misura nell'Accademia
Nei capitoli precedenti si è delineato lo sfondo generale su cui Aristotele
interpreta l'atomismo e cioè le discussioni accademiche delle aporie eleatiche che sfociano nella dottrina degli indivisibili e dei due principi, l'uno e
la diade indefinita. Aristotele rielabora schemi dialettici e logoi correnti e
inserisce in questi contesti la dottrina atomistica. L'interpretazione dell'atomo cui ci troviamo di fronte, soprattutto nei brani in cui viene discussa
la problematica specifica degli indivisibili, è in generale influenzata dalle
concezioni accademiche delle grandezze indivisibili e dei minimi (ejl avcista). E' quindi necessario tentare di inquadrare questa concezione per
capire meglio le oscillazioni dei testi aristotelici nella rappresentazione dei
corpuscoli leucippei e democritei che vengono ora definiti nei termini
della problematica degli indivisibili, ora colti nella loro fisicità e sullo
sfondo specifico della nascita, della disgregazione e del cambiamento del
cosmo sensibile.
Una teorizzazione dei minimi fisici come solidi geometrici primi gerarchicamente ordinati, costituiva il naturale sviluppo degli assunti del
Timeo1. Platone, infatti, accenna ad una gerarchia delle figure che compongono i vari elementi: primo per genesi è il fuoco, seconda l'aria, terza l'acqua2 e inoltre, ad esclusione della terra che ha una posizione particolare, le
1
2
Così Krämer 1971, 354ss.; Furley 1967, 106.
Ti. 56b-c e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n eijkovta to; me;n th'" puramivdo" stereo;n gegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma. to; de; deuvteron kata; gev nesin ei[pwmen
ajevro", to; de; trivton u{dato". pav nta ou\n dh; tau'ta dei' dianoei'sqai smikra; ou{tw", wJ " kaq
e}n e{kaston me;n tou' gevnou" eJkavstou dia; smikrovthta oujde; n oJrwvmenon uJf hJmw' n, sunaqroisqevntwn de; pollw'n tou;" o[ gkou" aujtw' n oJr a'sqai.
Capitolo quinto
189
figure dell'ottaedro dell'aria e dell'icosaedro dell'acqua costituiscono dei
multipli del tetraedro ovverosia della piramide del fuoco3.
Aristotele, nel terzo libro del De caelo raggruppa sotto una stessa voce
due dottrine anonime che assumerebbero come elemento primo del
mondo fisico il fuoco.
Alcuni di loro, infatti, attribuiscono al fuoco una figura, come quelli che pongono
la piramide, e, fra costoro, gli uni dicono più grossolanamente che la piramide è
la più tagliente fra le figure geometriche, il fuoco è il più tagliente dei corpi, altri
invece adducono in maniera più raffinata a sostegno della loro tesi l'argomentazione che tutti i corpi sono composti da quello più sottile, le figure solide dalla
piramide. Cosicché, siccome fra i corpi il fuoco è il più sottile, mentre fra le figure solide la piramide è quella composta di parti più piccole e la figura prima è
quella del corpo primo, il fuoco sarebbe una piramide4.
Le due dottrine sono chiaramente accademiche. In particolare quella dei
più raffinati risale probabilmente a Senocrate. E' lui infatti a separare
l'ambito del corpo da quello del solido e a sostenere, come si vedrà più
oltre che il minimo è l'elemento primo e la misura delle grandezze appartenenti allo stesso livello dell'essere. A Senocrate Stobeo attribuisce per
ben due volte una concezione corpuscolare, generalmente contestata in
quanto considerata risultato di confusioni. Nella sezione Sulla mescolanza
egli riferisce che
Empedocle e Senocrate componevano gli elementi da masse più piccole che
sono minimi e come elementi di elementi5.
Pseudo-Plutarco riporta nel passo parallelo solo il nome di Empedocle,
ma questo è semmai il risultato di una epitome6, non di una maggiore
accuratezza. E non c'è neppure ragione di postulare una confusione del
dossografo con Eraclide7, visto che Senocrate compare come sostenitore
di minimi fisici anche nella sezione Sui minimi (v. infra). La testimonianza
di Stobeo, per lo meno nelle sue linee generali, esprime invece concezioni
3
4
5
6
7
Cf. anche Krämer 1971, 358 n. 437.
De cael. G 5, 304a 9-18 oiJ me;n ga;r aujtw'n sch'ma periavptousi tw'i puriv, kaqavp er oiJ th;n
puramivda poiou' nte", kai; touvtwn oiJ me; n aJploustevrw" levgonte" o{ti tw' n me; n schmavtwn
tmhtikwvtaton hJ puramiv", tw'n de; swmavtwn to; pu'r, oiJ de; komyotevrw" tw'i lovgwi prosavgonte" o{ti ta; me; n swvmata pav nta suv gkeitai ejk tou' leptomerestavtou, ta; de; schvmata ta; sterea; ej k tw'n puramivdwn, w{st ejp ei; tw'n me; n swmavtwn to; pu'r leptovtaton, tw'n de; schmavtwn
hJ purami;" mikromerevstaton kai; prw'ton, to; de; prw'ton sch'ma tou' prwvtou swvmato", purami;" a]n ei[h to; pu'r.
Stob. 1,17,1 (Xenocr. Fr. 151 IP) Empedoklh'" kai; Xenokravth" ejk mikrotevrwn o[gkwn ta;
stoicei'a sugkriv nei, a{per ejsti; n ejl avcista kai; oiJonei; stoicei'a stoiceivwn.
Anche per quanto riguarda la prima dovxa di questa sezione, Stobeo ha "Talete e i suoi
successori" mentre Pseudo-Plutarco abbrevia in "gli antichi". Inoltre, anche nella sezione
"Sui minimi" (1,13, 883 B), quest'ultimo omette sia Senocrate e Diodoro che Eraclide che
compaiono invece in Stobeo 1,14,1k.
Cf. Isnardi-Parente 1982, 374s.
190
Atomi e minimi
simili a quelle del passo del De caelo: il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra, possono scomporsi a loro volta in particelle "elementi di elementi". Quest'ultima definizione è profondamente influenzata dal Timeo platonico. Platone
rimprovera ai suoi predecessori proprio di non essersi occupati della genesi dei quattro elementi e di averli posti come tali quando non sono da
paragonarsi neppure a sillabe8. Nel De generatione et corruptione Aristotele
riferisce, con una terminologia apertamente platonica, che, in quanto ad
Empedocle
non risulta con chiarezza come si generi e si distrugga la loro (scil. degli elementi)
grandezza ammassata, né gli è possibile dare spiegazioni in merito dal momento
che egli non dice che c'è un elemento del fuoco e ugualmente di tutti gli altri come ha
scritto Platone nel Timeo 9.
Si tratta di un'interpretazione di Empedocle diametralmente opposta a
quella corpuscolare riferita da Stobeo e da Aristotele stesso poco prima e
in altri passi10, ma che utilizza gli stessi concetti di base del Timeo per ribadire la necessità di porre "elementi di elementi". L'assunzione di minimi
fisici come "elementi di elementi" è dunque perfettamente coerente con
l'insegnamento platonico. Nel brano di Sesto Empirico esaminato nel
secondo capitolo, gli Accademici-Pitagorici accettano che la scomposizione effettiva del mondo fisico possa fermarsi ai corpuscoli, ma proseguono poi a scomporre "mentalmente" fino ai fondamenti di tali corpuscoli, gli elementi degli elementi appunto11. Se dunque il corpuscolo primo
del mondo fisico è il fuoco, il suo corrispettivo a livello matematico,
quello che "ordina" la massa corporea, sarà la piramide, la prima delle
figure solide e "elemento dell'elemento fuoco".
Nella sezione Sui minimi, dopo Empedocle ed Eraclito, e prima di
Eraclide e ben distinto da lui, Stobeo cita ancora Senocrate come sostenitore di una dottrina corpuscolare che pone dei minimi fisici privi di
parti.
Senocrate e Diodoro definivano privi di parti i minimi12.
8
9
10
11
12
Pl. Ti. 48b.
Arist. De gen. et corr. A 8, 325b 22-25 aujtw'n de; touvtwn pw'" givnetai kai; fqeivretai to;
swreuovmenon mev geqo", ou[te dh'lon ou[ te ejndevcetai levgein aujtw'i mh; levgonti kai; tou'
puro;" ei\nai stoicei'on, oJmoivw" de; kai; tw'n a[llwn aJpav ntwn, w{sper ejn tw'i Timaivwi gevgrafe Plavtwn.
De gen. et corr. A 8, 325b 5-11 (supra, III 4 n. 93) dove ad Empedocle vengono affiancati
"alcuni altri che sostengono che le affezioni si producono attraverso i pori", probabilmente
Eraclide Pontico; cf. anche De cael. G 6, 305a 1-6, (supra, II 4. 2 n. 56) e Gemelli Marciano
1991a.
Sext. Emp. Adv. Math. 10,252-256 (v. supra, II 4 n. 38).
Stob. 1,14,1k (Xenocr. Fr. 148 IP) Xenokravth" kai; Diovdwro" ajmerh' ta; ejlavcista wJrivzonto. Secondo Krämer 1971, 313s. n. 290, Senocrate sarebbe menzionato prima di Diodoro
in quanto cronologicamente precedente. Il termine ajmerev" sottintende infatti la problema-
Capitolo quinto
191
Che cosa si intenda per privi di parti, verrà specificato in seguito. Per ora è
importante rilevare che, siccome il paragrafo riguarda esclusivamente
autori cui viene attribuita l'assunzione di minimi fisici, si deve dedurre che
tali siano anche quelli di Senocrate. Ora, queste testimonianze dossografiche corrispondono ad alcuni tratti della dottrina di Senocrate descritti nel
trattato peripatetico Sulle linee indivisibili, a tutt'oggi una delle testimonianze
principali sull'Accademico. Nel trattato, al di là dei possibili fraintendimenti da parte dell'autore dell'opera, viene attribuito a Senocrate un preciso apparato teorico che subordina la fisica alla logica e giustifica l'assunzione di grandezze minime ad ogni livello dell'essere (corpi, solidi, superfici, linee) ciascuna come riflesso dell'uno e misura del suo ambito e, in
quanto tale, priva di parti. In pratica, secondo questa concezione, la piramide prima, il solido più piccolo, in quanto "misura" degli altri solidi, non
potrebbe essere scomponibile in altre parti tridimensionali più piccole
altrimenti non sarebbe più misura (lo è invece nelle componenti che appartengono al livello successivo dell'essere, quello delle superfici13).
Nel De lineis il concetto di ejlavciston viene definito in linea generale
in base all'opposizione molto-grande/ poco-piccolo (quantità e grandezze
sono poste sullo stesso piano in quanto anche queste ultime sono caratterizzate da un certo numero di divisioni e sono quindi quantificabili) che
viene a sua volta configurata come opposizione infinito/ finito: se ciò che
ha divisioni quasi infinite è molto, il piccolo e il poco avranno divisioni
limitate. Per ogni "poco" (ojlivgon) viene quindi ipotizzato un minimo
(ejlavciston) che, in quanto unità di misura, per definizione, deve essere
privo di parti: se in tutto c'è il poco e il piccolo, ci sarà anche una grandezza minima priva di parti14. In questo contesto tuttavia ogni ajmerev" non
è indivisibile in assoluto, ma solo in quanto misura, riflesso dell'uno che
"ordina" lo spazio e la materia sensibile. L'unico indivisibile vero è la linea,
l'elemento ultimo dell'ordinamento spaziale. Questa teoria costituisce un
13
14
tica parte-tutto tipica della dottrina senocratea. Se fosse stato Diodoro a coniare il termine
per il corpo minimo, come sostiene Dionisio (ap. Eus. Praep. ev. 14,23), Aristotele avrebbe
dovuto dipendere da lui nella trattazione del moto, e non viceversa. Sulla dipendenza di
Diodoro da Aristotele, cf. Giannantoni 1980, 131s. La datazione di Diodoro è assai controversa (cf. Sedley 1977, 78-81; Furley 1967, 131ss.; Giannantoni 1990, III, 69ss.), ma sia i
sostenitori di una cronologia più alta che quelli di una più bassa lo collocano dopo Senocrate.
Cf. Krämer 1971, 345-47.
De lin. insec. 968a 2-9 (Xenocr. Fr. 127 IP) eij ga;r oJmoivw" uJpavrcei tov te polu; kai; to; mevga
kai; ta; aj ntikeivmena touvtoi", tov te ojlivgon kai; to; mikrovn, to; dæ ajpeivrou" scedo;n diairevsei" e[con oujk e[stin ojlivgon ajlla; poluv, fanero; n o{ti peperasmev na" e{xei ta;" diairevsei"
to; ojlivgon kai; to; mikrovn: eij de; peperasmev nai aiJ diairevs ei", aj navgkh ti ei\nai aj mere; "
mevgeqo", w{ste ejn a{p asin ej nupavrxei ti ajmerev", ejpeivper kai; to; ojlivgon kai; to; mikrovn. Per
la discussione sui problemi posti dal passo, cf. Hirsch 1953, 68-71; Krämer 1971, 338 n.
362 e 338-40 per l'origine accademica dei concetti impiegati e i rimandi a passi paralleli.
192
Atomi e minimi
naturale sviluppo degli assunti del Parmenide: infatti nella molteplicità senza
l'uno che vi è rappresentata la distinzione delle parti di una massa corporea non finisce mai proprio perché manca l'"unità" che la ordina. Al di là
dei dubbi sollevati sull'obiettività dell'esposizione generale del peripatetico, tutti sono concordi sul fatto che i punti succitati riflettono una dottrina senocratea. Si possono quindi ricavare da questo due considerazioni:
1. Senocrate dava una definizione generale del concetto di minimo
come elemento ultimo di una divisione finita ad ogni livello dell'essere.
2. Questo minimo, nel suo carattere di misura, era necessariamente un
ajmerev" (se avesse avuto parti non avrebbe più potuto essere misura). Ciò
valeva anche nell'ambito del corporeo come informa il terzo argomento
del De lineis: si tratta infatti non di un corpo considerato in se stesso, ma
nel suo carattere di unità di misura prima che "ordina" gli altri corpi15.
La definizione di minimo privo di parti è dunque la risultante di un
ragionamento logico-dialettico che tende a stabilire dei limiti all'infinito
ordinando la realtà sul modello numerico16 e non ha molto in comune con
la definizione adottata generalmente dagli interpreti moderni che intendono privo di parti in senso assoluto. Priva di parti in questo senso è solo
la linea, misura ultima della spazialità. Gli altri minimi, il triangolo, il
tetraedro e il corpuscolo fisico, sono relativamente privi di parti in quanto
unità di misura del corrispettivo livello dell'essere17. L'attendibilità dell'autore del De lineis su questo punto è stata variamente valutata18, ma il fonda15
De lin. insec. 968a 16-18 (Xenocr. Fr. 127 IP) e[ti eij swvmatov" ejsti stoicei'a, tw'n de; stoiceivwn mhde;n provteron, ta; de; mevrh tou' o{lou provtera, ajdiaivreton a] n ei[h to; pu'r kai; o{lw"
tw'n tou' swvmato" stoiceivw n e{kaston, w{st ouj movnon ej n toi'" nohtoi'", aj lla; kai; ej n toi'"
aijsqhtoi'" ejstiv ti ajmerev ".
16
Cf. in particolare Krämer 1971, 360s.; Isnardi-Parente 1982, 158s.
Questa distinzione fra un un ajmerev" relativo, il corpo, e un ajmerev" assoluto che può
esistere solo nell'incorporeo, si ritrova costantemente nella tradizione tarda, cf. Plut. Quaest.
plat. 1002 C kai; mh;n ajmerev" ge levgetai kai; ajmevriston to; me;n sw'ma mikrovthti, to; dæ
17
ajswvmaton kai; nohto;n wJ " aJplou' n kai; eijlikrine; " kai; kaqaro; n aJp avsh" eJterovthto" kai;
diafora'". De an. procr. 1022 E hJ me; n ou\ n ajmevristo" oujsiv a kai; aj ei; kata; taujta; kai;
wJsauvtw" e[ cousa mh; mikrovthti, kaqavper ta; ejlavcista tw'n swmavtwn, noeivsqw feuvgousa
to;n merismovn.
18
Hirsch 1953, 75-77, mette in rilievo come la dottrina della priorità della parte rispetto al
tutto esposta nel secondo argomento, stia alla base anche del terzo e come esso rispecchi
effettivamente una concezione senocratea. Furley 1967, 106, sottolinea come non ci sia
contraddizione nell'assunzione di diversi indivisibili nei diversi gradi delle grandezze se li si
considera ognuno come "misura" del proprio ambito; Krämer 1971, 346s., ritiene essenzialmente valida l'attribuzione del peripatetico in quanto si basa su concetti tipicamente senocratei come la priorità della parte rispetto al tutto e, come Furley, sottolinea il loro carattere di misura, riflesso dell'uno (cf. anche 360ss.). Isnardi-Parente 1982, 362 non accetta
l'esattezza della applicazione dell'indivisibilità ai corpi fisici in quanto, in base alla dottrina
del Timeo, su cui Senocrate si appoggiava, i corpi elementari si dissolvono nei corpi geometrici. Il peripatetico avrebbe interpretato l'assunzione di minuscoli corpuscoli geometrici
primi come una teoria fisica corpuscolare. Tuttavia nel resoconto di Sesto Empirico (Adv.
Capitolo quinto
193
mento logico-dialettico su cui è basata l'assunzione di indivisibili nei vari
ambiti (priorità della parte rispetto al tutto19 e modello numerico che informa la realtà) è una concezione originale senocratea. Il minimo fisico è
quindi quel corpuscolo elementare cui si riferisce l'autore del De lineis, che
compare anche in De cael. G 5, 304a 9-18 (v. supra, n. 4) e che viene espressamente citato dalla notizia dossografica di Stobeo. Esso è privo di parti
in quanto considerato nel suo aspetto di parte/ misura prima rispetto ad
un tutto, vale a dire nel suo carattere di riflesso dell'uno principiante.
L'autore del De lineis separa inoltre l'ambito del nohtovn, da quello dell'aijsqhtovn, nel quale rientra appunto la menzione dei corpuscoli elementari. La dottrina riportata come senocratea nel commento al De anima di
Temistio, insiste proprio sul carattere aleatorio delle unità del mondo sensibile contro la vera unità presente solo nell'incorporeo20. La definizione di
minimo fisico come privo di parti relativo contrapposta ad un ajmerev"
assoluto presente solo negli incorporei, rientrava probabilmente nell'ambito delle distinzioni tese a porre una barriera fra incorporei intellegibili e
corpi sensibili.
Sulla falsariga della concezione del minimo fisico come privo di parti
relativo, ma non tale per natura venivano evidentemente interpretate e
anche criticate le dottrine presocratiche che ponevano come principi dei
corpi; oltre quelle di Empedocle, probabilmente anche Anassagora, Leucippo, Democrito, quegli autori cui allude il brano Sesto esaminato nel
secondo capitolo. Tutti, secondo l'interpretatio academica, avevano posto
come sostanze eterne dei corpuscoli minimi che invece, per natura, non lo
erano. Nelle loro teorie mancava infatti quell'apparato concettuale (la
sottrazione fino ai principi primi e la distinzione fra parte e tutto) che
invece caratterizza la definizione dei minimi accademici21.
19
20
21
Math. 10,255ss.), i cosiddetti Pitagorici, cioè Senocrate, separano il solido dal corpo ponendoli su due livelli diversi, intellegibile e sensibile, e sembrano accettare, insieme con gli
atomisti e i corpuscolaristi, che i corpuscoli fisici possano essere eterni (supra, II 4; 4. 1 e 2).
Questo non impedisce loro di proporre una ulteriore scomposizione mentale dei corpi fisici negli enti matematici. Dunque non c'è contraddizione fra una eventuale indivisibilità
dei corpuscoli elementari e una loro scomposizione kat ejpivnoian negli elementi incorporei che ne costituiscono il fondamento.
La priorità della parte rispetto al tutto è uno dei tratti caratteristici della dottrina di Senocrate, cf. Pines 1961, 1-34; Krämer 1971, 342-344; Isnardi-Parente 1982, 350-53.
Themist. De an. 404 b 20, 11,20 (Xenocr. Fr. 260 IP), supra, II 4. 2 n. 71.
Sext. Emp. Adv. Math. 10,252-256, supra, II 4 n. 38 e 4. 1.
194
Atomi e minimi
2. Atomi e minimi. L'interpretazione matematizzante
dell'atomo in Aristotele
Aristotele non riferisce mai esplicitamente il termine ejl avciston, nella sua
accezione di elemento minimo risultante da una divisione finita, all'atomo
di Leucippo e Democrito. Il termine compare invece per lo più in contesti
generici, senza precise attribuzioni e soprattutto come definizione corrente. Aristotele lo utilizza generalmente nell'ambito della critica a quelle
teorie che ammettono una composizione e scomposizione di particelle
nella costituzione e nella mescolanza dei corpi. In alcune di esse è compreso anche l'atomo, ma Aristotele, quando prende in considerazione
separatamente la dottrina gli atomisti, non lo designa mai specificamente
come tale.
Egli parla di ejl avcista sia nel De generatione et corruptione che nel De
sensu criticando il concetto di mescolanza come giustapposizione di particelle: dal momento che i corpi sono divisibili all'infinito, la mescolanza
non è una composizione di ejlavcista posti l'uno accanto all'altro e impercettibili22. Non vengono fatti nomi specifici, ma sembra siano attaccati
congiuntamente l'atomismo e il presunto corpuscolarismo di Empedocle
e di Anassagora23. Da un brano del primo libro del De caelo in cui, come ha
abbondantemente documentato Krämer, gli obiettivi della critica sono
principalmente gli Accademici, in particolare Senocrate24, si può tuttavia
22
De gen. et corr. A 10, 327b 33ss. o{tan ga;r ou{tw" eij" mikra; diaireqh'i ta; mignuvmena kai;
teqh'i par a[llhla tou'ton to; n trovpon w{s te mh; dh'lon e{kaston ei\nai th' i aijsqhvsei, tovte
mevmiktai h] ou[, ajll e[stin w{ste oJtiou'n par oJtiou' n ei\nai movrion tw'n micqevntwn… ª...º ejpei;
d oujk e[stin eij" tajl avcista diaireqh'nai, ãoujde;Ã suv nqesi" taujto; kai; miv xi" ajll e{teron,
dh'lon wJ" ou[te kata; mikra; swzovmena dei' ta; mignuvmena favnai memivcqai. De sens. 3, 440a
31-440b 4 eij d ejsti; mivxi" tw'n swmavtwn mh; movnon to;n trovpon tou'ton o{nper oi[ontaiv tine",
par a[llhla tw'n ejlacivstwn tiqemevnwn, ajdhvlwn d hJmi'n dia; th; n ai[sqhsin, ajll o{lw"
pavnthi pav ntw" w{sper ejn toi'" peri; mivxew" ei[rhtai kaqovlou peri; pav ntwn...
23
Per possibili allusioni all'atomismo, v. infra nel testo e n. 34. Per quanto riguarda la critica a
teorie corpuscolari, cf. De gen. et corr. B 7, 334a 26-30 ejkeivnoi" te ga;r toi'" levgousin wJ"
24
Empedoklh'" tiv" e[ stai trovpo"… aj nav gkh ga;r suv nqesin ei\nai kaqavp er ejx plivnqwn kai;
livqwn toi'co": kai; to; mi'gma de; tou'to ejk swzomev nwn me;n e[stai tw'n stoiceivwn, kata; mikra;
de; par a[llhla sugkeimev nwn. Phys. A 4, 187a 36-187b 2 (riferito ad Anassagora) to; loipo;n
h[dh sumbaiv nein ej x ajnav gkh" ej novmisan ejx o[ntwn me; n kai; ej nuparcovntwn givnesqai, dia; mikrovthta de; tw'n o[gkwn ej x aj naisqhvtwn hJmi'n. diov fasi pa'n ej n panti; memi'c qai diovti pa'n ejk
panto; " eJwvrwn gignovmenon.
Krämer 1971, 266 n. 123 fa notare come in De Cael. G 1, 299a 2ss. la stessa accusa di
scuotere i principi della matematica sia rivolta contro gli Accademici e in Metaph. N 3,
1090b 28 contro i sostenitori delle idee-numero. Se è vero che in un altro passo del De caelo
(G 4, 303a 20-23, v. infra, n. 31) anche gli atomisti antichi vengono accusati di aver sconvolto i principi della matematica, osserva ancora Krämer, lo sono in quanto assimilati agli
Accademici come assertori di grandezze indivisibili. Questo loro coinvolgimento in una
più generale confutazione degli indivisibili diretta soprattutto contro le dottrine accademi-
Capitolo quinto
195
dedurre che Aristotele vede nell'ejlavciston soprattutto un concetto accademico, la grandezza minima indivisibile che scuote i principi della matematica25. Proprio nell'ambito degli attacchi a Senocrate sono più frequenti
anche le allusioni al corpuscolo democriteo interpretato come ejlavciston.
Quest'ultimo costituisce per Aristotele il corrispettivo della monade/
parte/ misura di Senocrate. In Metaph. M 8, 1084b 27ss., egli instaura una
esplicita relazione fra coloro che costruiscono la realtà dal "minimo" e gli
Accademici. Questi ultimi avrebbero posto la monade come 'materia' del
numero, quelli il minimo come elemento costitutivo degli esseri. Il difetto
degli Accademici è però quello di aver assunto contemporaneamente due
tipi di unità, ambedue in qualche modo prime: la monade costitutiva del
numero ideale e il numero ideale stesso (la diade, la triade, la tetrade). In
realtà Senocrate distingue fra questi due tipi di unità (l'una è la parte, l'altra
è il tutto) e le pone a due differenti livelli: le unità che costituiscono il
triangolo in sé, indivisibile, non sono a loro volta triangoli, ma linee, che,
avendo una sola dimensione, non appartengono più allo stesso ambito,
cioè alle superfici. Il triangolo in sé è dunque nel contempo indivisibile, in
quanto unità di misura delle superfici, e scomponibile, ma in unità che
appartengono ad un altro livello (la linea). Lo stesso vale per i numeri
ideali: la triade è una unità in quanto elemento ultimo del suo ambito,
molteplicità in quanto può essere scomposta in monadi appartenenti però
ad un livello superiore. Aristotele tuttavia non fa cenno a questa distinzione e rimprovera ai sostenitori delle idee-numero di aver sbagliato rispetto a coloro che avrebbero posto dei minimi poiché questi ultimi non
considerano il corpo composto di corpuscoli una vera unità, gli Accademici ritengono invece anche il composto una unità a tutti gli effetti. Aristotele non fa alcun riferimento specifico, ma instaura un'analogia fra le
monadi componenti dell'idea-numero e i minimi posti da "alcuni" a fondamento della realtà. I commentatori antichi vedono in questo brano
un'allusione a Democrito e Leucippo26. L'attribuzione può essere il riflesso
di una tradizione che dirotta sugli atomisti antichi ogni accenno all' ejlavciston, ma potrebbe anche corrispondere in questo caso all'intenzione di
Aristotele. Egli potrebbe infatti essersi servito a fini critici di una inter-
25
26
che è sottolineato dal rinvio ai libri della Fisica, Sul tempo e sul movimento. Il fatto che Simpl.
In De cael. ad loc. 202,27-31 individui in Democrito o chiunque altro sostenga grandezze
minime l'obiettivo dell'attacco è semplicemente il riflesso di quella tradizione neoplatonica
di difesa degli Accademici che dirotta il più possibile su Democrito le critiche aristoteliche
contro le grandezze indivisibili. Su questo, v. infra, VI 3. 4.
De cael. A 5, 271b 9-11 oi|on ei[ ti" ejl avciston ei\naiv ti faivh mevgeqo": ou|to" ga;r toujl avciston eijsagagw;n ta; mev gist a]n kinhvs eie tw' n maqhmatikw'n.
[Alex.] In Metaph. 1084 b 23, 775,28; Syrian. In Metaph. 1084b 23, 152,20; Simpl. In De cael.
271b 2, 202,27. Themist. In De cael. 271b 4-19, 22,16-19 mantiene invece la genericità del
riferimento aristotelico (Si quis minimam aliquam esse dicat magnitudinem indivisibilem...).
196
Atomi e minimi
pretazione degli atomisti come sostenitori di minimi fisici proprio per
mostrare agli avversari che le loro teorie non erano migliori di quelle che
essi criticavano. Un parallelo si ritrova infatti in Metaph. Z 13 dove i sostenitori dell'idea-numero risultano perdenti nel confronto con Democrito:
Perciò, se la sostanza è una, non sarà composta da sostanze che in essa si trovano
ed è giusto il modo in cui si esprime Democrito: infatti dice che è impossibile che
dal due derivi l'uno o dall'uno il due; egli, infatti, pone come sostanze le grandezze indivisibili. E' chiaro perciò che allo stesso modo staranno le cose in relazione al numero, se il numero, come dicono alcuni, è una composizione di monadi; infatti o la diade non è un uno o non c'è alcuna monade in atto al suo interno27.
Il confronto con la diade accademica e l'ironica allusione all'aporia del
Fedone sulla causa della genesi del due (96e-97b), condizionano anche la
formulazione della dottrina di Democrito in questo passo: la molteplicità
da cui non può derivare una unità citata altrove, diventa qui unicamente il
due28. L'obiettivo di Aristotele è infatti quello di dimostrare che gli
Accademici non solo utilizzano gli stessi concetti di coloro che essi criticano, ma cadono in contraddizioni che quelli hanno evitato.
Alla stessa matrice critica nei confronti dell'atomismo senocrateo è da
riportarsi la strana assimilazione di atomi democritei (non denominati
espressamente ejl avcista, ma considerati in ogni caso come oggetti matematici) e monadi di Senocrate che emerge in un passo del De anima sulla
teoria dell'anima come numero che muove se stesso. Le sferette dell'anima
di Democrito sono considerate equivalenti a monadi in quanto, in relazione a questa tesi, non sarebbero rilevanti le loro diverse dimensioni, ma
il fatto che siano una quantità29. Le due dottrine così assimilate soggiacciono alle stesse obiezioni. L'obiettivo polemico principale è tuttavia proprio Senocrate e non Democrito30 in quanto Aristotele discute in particolare la definizione senocratea dell'anima come numero che muove se
stesso (cf. A 4, 408b 32).
27
Metaph. Z 13, 1039a 7-14 (68 A 42 DK; 46, 211 L.) w{st eij hJ oujsiva e{n, oujk e[stai ejx
oujsiw'n ejnuparcousw' n kai; kata; tou'ton to; n trovpon, o} n lev gei Dhmovkrito" ojrqw'": ajduv naton ga;r ei\naiv fhsin ejk duvo e} n h] ejx eJ no;" duvo genevsqai: ta; ga;r megev qh ta; a[toma ta; "
oujsiva" poiei'. oJmoivw" toivnun dh'lon o{ti kai; ejp ajriqmou' e{xei, ei[per ejsti;n oJ ajriqmo;"
suvnqesi" monavdwn, w{sper lev getai uJpov tinwn: h] ga;r oujc e} n hJ dua;" h] ouj k e[sti mona;" ej n
aujth'i ejnteleceivai.
28
29
Su questi passi, v. supra, III 4. 3 e n. 152.
De an. A 4, 409a 10-15 (117 L.) dovxeie d a]n oujqe;n diafevrein monavd a" levgein h] swmavtia
mikrav: kai; ga;r ejk tw' n Dhmokrivtou sfairivwn ej a;n gev nwntai stigmaiv, mov non de; mevnhi to;
posovn, e[stai ti ejn aujtw'i to; me; n kinou' n to; de; kinouvmenon, wJsper ej n tw'i sunecei': ouj ga;r
dia; to; megevq ei diafevr ein h] mikrovthti sumbaivnei to; lecqev n, ajll o{ti posov n.
30
Come invece sostiene Silvestre 1985, 77.
Capitolo quinto
197
Nei contesti in cui riporta il termine o il concetto di ejlavciston, Aristotele
si riferisce dunque o ad una definizione generale di minimo applicata
all'interpretazione di più dottrine presocratiche o, se allude specificamente
a Democrito, lo fa nell'ambito di una polemica con Senocrate e con
l'Accademia per dimostrare agli avversari che quei corpuscoli sono del
tutto simili, se non superiori sul piano teorico, alle loro monadi. In quest'ultimo caso è Aristotele stesso a spingere nella direzione matematizzante la concezione dell'atomo per farla aderire il più possibile alla monade accademica.
C'è poi un altro tipo di contesto, complementare a questo, nel quale,
per ragioni di economia, Aristotele sembra avvallare una interpretazione
dell'atomo come minimo matematizzante. In questi casi egli si serve dell'assimilazione dell'atomo all'ejlavciston kai; ajmerev", minimo indivisibile e
misura, per la ragione opposta, per poter sollevare cioè contro Democrito
le stesse obiezioni da lui rivolte ai minimi di Senocrate e per non doversi
quindi produrre in una critica specifica dell'atomismo antico. In questi casi
egli rimanda puntualmente ai libri della Fisica, Sul tempo e sul movimento. In
questo contesto rientra il rimprovero agli atomisti nel terzo libro del De
caelo di andare contro i principi della matematica e di confutare molte
opinioni comuni e molti fenomeni ponendo corpi indivisibili31. Aristotele
utilizza qui strumentalmente un'interpretazione matematizzante dell'atomo democriteo che gli permette di cumulare un ulteriore motivo critico
senza doverlo poi sviluppare specificamente. Il fatto che rimandi ai libri
Sul tempo e sul movimento (rispettivamente il cap. 1 e 2 del sesto libro della
Fisica) diretti in generale contro gli indivisibili, ma principalmente contro
quelli accademici32, conferma che Aristotele economizza sulla discussione
del problema più specifico unificando sotto un'unica voce teorie democritee e indivisibili accademici. Ancora in De sens. 6, dove non menziona
espressamente alcun nome, allude agli indivisibili conoscibili solo col pensiero e privi di qualità sensibili che risulterebbero dalla divisione dei corpi
come a dei corpi "matematici":
talché necessariamente la sensazione deve essere divisibile all'infinito e ogni parte
deve essere una grandezza sensibile; poiché è impossibile vedere il bianco senza
vedere una quantità di colore bianco. Se infatti così non fosse, sarebbe possibile
l'esistenza di un corpo privo di colore, di peso e di qualsiasi affezione del genere;
talché un tal corpo non sarebbe per nulla sensibile, dal momento che i sensibili
possiedono queste affezioni. Dunque il sensibile sarebbe composto di enti non
31
De cael. G 4, 303a 20-23 (67 A 15 DK; 109 L.) pro;" de; touvtoi" ajnavgkh mavcesqai tai'"
maqhmatikai'" ejpisthvmai" a[toma swvmata levgonta", kai; polla; tw'n ejndovxwn kai; tw'n fainomev nwn kata; th;n ai[sqhsin aj nairei' n, peri; w| n ei[rhtai provteron ej n toi'" peri; crovnou kai;
kinhvsew".
32
Cf. Krämer 1971, 265s.
198
Atomi e minimi
sensibili. E' necessario invece che lo sia poiché non può essere certamente composto di enti matematici33.
Aristotele rimanda per la critica ancora agli stessi passi del sesto libro della
Fisica dove vengono trattati specificamente gli indivisibili, ma non è chiaro
se qui, nel De sensu, egli alluda solo all'atomismo accademico o anche all'atomismo democriteo interpretato in questa ottica34.
Il tratto caratterizzante dei passi aristotelici in cui il corpuscolo democriteo viene considerato un ejlavciston indivisibile contrario ai principi
della matematica è dunque il confronto con concetti e teorie accademiche.
Questo rafforza il dubbio che nella dottrina originale l'atomo non comparisse in una problematica marcata da una visione matematizzante della
realtà e dalla ricerca dei principi universali e che non fosse affatto una
reazione al paradosso della divisibilità all'infinito. Giudicato però da quest'angolazione, il corpuscolo solido e compatto degli atomisti antichi era
interpretabile come la particella ultima indivisibile risultato di una divisione finita e misura della realtà fisica, corrispondente in qualche modo al
concetto accademico di ejl avciston kai; ajmerev". L'astrattezza di tipo matematico che caratterizza questa concezione urta però contro i tratti peculiari dei cosiddetti atomi di Leucippo e Democrito che non hanno un
numero definito di forme tali da poter "misurare" e ordinare il sensibile e
non possono a loro volta essere "misurati" da un'unica unità di misura35.
Gli ejlavcista kai; ajmerh' prospettati nel De lineis sono infatti misure prime
delle lunghezze, delle superfici, dei solidi e dei corpi elementari, e corrispondono ciascuno ad una unità nel loro ambito. L'interpretazione degli
atomi di Leucippo e di Democrito sullo sfondo di problematiche e concetti ad essi estranei favoriva ovviamente le critiche, in particolare quella
all'infinità e all'irregolarità delle forme che emerge occasionalmente in
Aristotele e si intravvede dietro una osservazione marginale della Metafisica
teofrastea, passi che verranno commentati qui di seguito.
33
34
35
De sens. 6, 445b 8-15 (110, 429 L.) w{st ajnavgkh thvn te ai[sqhsin eij" a[peira diairei'sqai
kai; pa' n ei\nai mev geqo" aijsqhtovn: ajd uvnaton ga;r leuko; n me;n oJra' n, mh; poso;n dev. eij ga;r mh;
ou{tw", ej ndevcoit a]n ei\ naiv ti sw'ma mhde; n e[con crw'ma mhde; bavro" mhd a[llo ti toiou'ton
pavqo": w{st oujd aijsqhto;n o{lw", tau'ta ga;r ta; aijsqhtav. to; a[r aijsqhto;n e[stai sugkeivmenon oujk ejx aijsqhtw'n. ajll ajnagkai'on: ouj ga;r dh; e[ k ge tw' n maqhmatikw'n.
De sens. 6, 445b 15-21 (110, 429 L.) e[ti tivni krinou'men tau'ta h] gnwsovmeqa… h] tw'i nw'i… ajll
ouj nohtav, oujd e; noei' oJ nou' " ta; ejkto;" mh; met aijsqhvsew" o[ nta, a{ma d eij tau't e[cei ou{tw",
e[oike marturei' n toi'" ta; a[toma poiou'si megevqh: ou{tw ga;r a] n luvoito oJ lovgo". ajll ajduv nata: ei[rhtai de; peri; aujtw' n ej n toi'" lovgoi" toi'" peri; kinhvsew".
Il problema è stato rilevato da Sinnige 1968, 152s. che proprio su queste basi rifiuta la
caratterizzazione matematica che in più punti Aristotele attribuisce all'atomo degli atomisti
antichi presentandolo come risultato della divisibilità all'infinito. Su questo problema si è
appuntata in particolare anche l'attenzione della critica anglosassone, cf. Baldes 1972, 1;
Konstan 1987, 6 n. 7; Furley 1987, 127ss.; Lewis 1990, 249ss.
Capitolo quinto
199
L'ultima parte di De caelo G 4, è, come giustamente osserva Krämer36,
fondamentale per individuare dei residui di interpretazioni accademiche
degli atomisti in Aristotele in quanto ripropone in sequenza tutti i punti
qualificanti di quella esegesi dell'atomo ora delineata. Il passo si apre infatti con un breve resoconto sull'atomismo che si conclude inopinatamente con l'osservazione:
in un certo modo anche costoro riducono tutte le cose esistenti a numeri e le
fanno composte di numeri; e infatti, anche se non lo dichiarano apertamente,
tuttavia vogliono dire proprio questo37.
Ora, questo contrasta con tutti gli altri giudizi aristotelici che vogliono
l'atomismo antico distinto da quello platonico proprio per il fatto che
pone a fondamento del reale dei corpi e non degli enti matematici, ma
concorda con una visione matematizzante degli atomi considerati come
unità tutte uguali alla stregua di quelle numeriche e, come tali, misure
ultime della realtà38. Da questa interpretazione scaturisce la successiva
critica alle forme infinite degli atomi:
Ancora neppure secondo la loro teoria sembrerebbe che gli elementi fossero infiniti se i corpi differiscono per la figura e tutte le figure sono composte da piramidi, quelle rette da piramidi rette, la sfera da otto parti. Infatti necessariamente
ci sono dei principi delle figure. Cosicché, sia che questi principi siano uno, sia
che siano due o più, anche i corpi semplici saranno altrettanti per numero39.
Queste teorie della composizione degli elementi da piramidi sono state
attribuite a diversi allievi di Platone40, ma la matrice accademica della critica non è mai stata messa in discussione. Le forme degli atomisti, che non
hanno nulla a che fare con le figure matematiche, vengono interpretate e
criticate alla luce della concezione accademica esposta da Aristotele stesso
36
37
Krämer 1971, 265.
Arist. De cael. G 4, 303a 8-10 (67 A 15 DK; 109 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavnta ta;
o[nta poiou'sin ajriqmou;" kai; ejx ajriqmw'n: kai; ga;r eij mh; safw'" dhlou' sin, o{mw" tou'to
bouvlontai lev gein.
38
39
Questa è anche l'interpretazione fornita dai commentatori, cf. Themist. ad loc. 178,8-22;
Simpl. ad loc. 610,3-7.
Arist. De cael. G 4, 303a 29-303b 3 e[ti oujde; kata; th;n touvtwn uJpovlhyin dovxeien a]n a[peira
givgnesqai ta; stoicei'a, ei[per ta; me; n swv mata diafevrei schv masi, ta; de; schvmata pav nta
suvgkeitai ejk puramivdwn, ta; me; n eujq uvgramma ejx eujqugravmmwn, hJ de; sfai'ra ejx ojktw;
morivwn. aj nav gkh ga;r ei\naiv tina" ajrca; " tw'n schmavtwn. w{ste ei[te miv a ei[te duvo ei[te
pleivou", kai; ta; aJpla' swvmata tosau'ta e[s tai to; plh'qo".
40
Heinze 1892, 70 n. 1 e Cherniss 1962, 143 le hanno attribuite a Senocrate, Isnardi Parente
1982, 357s. a Speusippo, Furley 1967, 98 e Krämer 1971, 265 le hanno riportate ad un
esempio di scuola corrente nell'Accademia. Assolutamente infondata è invece la tesi di Lur'e 1970 che, in accordo con la sua concezione di un Democrito matematico, le riferisce a
quest'ultimo (Test. 130), pur ammettendone la "somiglianza" con quelle accademiche (450
ad loc.). La sua interpretazione è stata tuttavia ripresa anche da Baldes 1972, 2 e 10 n. 5.
200
Atomi e minimi
poco dopo41 secondo cui gli elementi sono costituiti ciascuno da una figura solida la prima delle quali è la piramide42. In questo capitolo Aristotele si serve dunque sia di argomenti accademici contro gli atomisti43, sia
del modello di assimilazione di atomismo antico e accademico per criticare ambedue.
Del resto anche in Teofrasto, che ci restituisce la versione più marcatamente fisica delle dottrine democritee e leucippee, sono individuabili, in
un accenno dell'ultimo capitolo della Metafisica (11b 17-22), residui di una
critica alle forme atomiche espressa dall'ottica matematizzante secondo
cui gli indivisibili sono le unità di misura dei vari gradi dell'essere. Teofrasto, conclude il suo trattato dicendo che negli enti non esiste un ordine
assoluto, né un finalismo assoluto, ma solo fino ad un certo punto. Su
queste basi classifica una serie di enti in relazione al grado di ordine che
essi possiedono:
sembrerebbe che, fra i sensibili, possedessero il massimo ordine i corpi celesti, fra
gli altri, se non sono addirittura precedenti a questi ultimi, gli oggetti matematici.
Se anche infatti non tutto in questi è ordinato, almeno lo è la maggior parte di
loro, a meno che non si prendano in considerazione forme quali quelle che Democrito attribuisce agli atomi44.
La sequenza teofrastea è ordinata in maniera dicotomica: da una parte gli
aijsqhtav (nel cui ambito il massimo ordine è rapppresentato dai corpi
celesti), dall'altra i maqhmatikav che fanno parte dei nohtav. Subordinatamente a quest'ultima voce Teofrasto cita specificamente le forme democritee. Qui non solo è presupposta la distinzione fra aijsqhtav e nohtav presente anche nelle argomentazioni dei "Pitagorici" di Sesto, ma anche il
modello esegetico di De caelo G 4 che considera gli atomi alla stessa stregua
degli oggetti matematici. L'accenno alle forme non va interpretato tanto
come la possibilità dell'introduzione di un disordine reale in questi ultimi,
quanto piuttosto come un caveat nei confronti di dottrine come quella di
41
G 4, 304a 14ss., v. supra, n. 4.
42
Temistio, nel commento al passo, mette proprio in rilievo questa incongruenza di giudicare
le figure atomiche e di criticarle come se fossero delle figure matematiche, In De cael.
181,29-34 Perspicuum est autem et manifestum figuras regulatas esse finitas, quemadmodum sunt omnes
figurae, quae equilaterae sunt ac aequis angulis constant, figurae autem irregulatae termino ac fine vacant.
Itaque si isti dixerint individua ita se habere, quemadmodum etiam dicere solent, consentaneum non est, ut
per hunc sermonem eis opponatur.
Non si tratta quindi semplicemente di un uso arbitrario da parte di Aristotele della dottrina
del Timeo per confutare Democrito (Cherniss 1935, 6s.), ma della ripresa di una critica corrente nell'Accademia basata sulla considerazione delle figure atomiche come solidi regolari.
Il contesto stesso giustifica quest'uso.
Theophr. Metaph. 11b 17-22 (175 L.) mavlista d a]n dovxeien e[cein thvn ge tavxin tw'n me;n
43
44
aijsqhtw'n ta; oujrav nia, tw'n d a[llwn, eij mh; a[ra kai; provtera touvtwn, ta; maqhmatikav: eij
ga;r kai; mh; pa' n ajll ej n touvtoi" plevon to; tetagmevnon. plh; n ei[ ti" toiauvta" lambav noi ta;"
morfa;" oi{ a" Dhmovkrito" uJpotivqetai tw' n ajtovmwn.
Capitolo quinto
201
Democrito: le forme atomiche si situano sì al di fuori del sensibile, ma
non possono essere paragonate agli oggetti matematici proprio per le loro
forme irregolari. La distanza da questi ultimi è sottolineata dall'uso da
parte di Teofrasto del termine morfaiv che designa l'aspetto, la foggia in
generale, ma non le forme geometriche (schvmata). Questa equiparazione
con, e nel contempo distinzione dagli oggetti matematici costituisce un
caso singolare nell'esegesi teofrastea dell'atomismo antico e si giustifica col
fatto che nella Metafisica Teofrasto presta maggiore attenzione alle tesi
accademiche45.
Proprio la trattazione delle forme e delle grandezze fa risaltare la diversa ottica con cui gli atomisti antichi affrontano il tema della generazione e della corruzione rispetto agli Accademici. Se i corpuscoli indistruttibili degli atomisti presentano variazioni infinite di forma e grandezza, significa che essi erano concepiti non come unità minime cui si
arriva per divisione di corpi e grandezze omogenee, ma, al contrario,
come corpuscoli indistruttibili ed eterni da cui si parte per comporre una
varietà infinita di corpi: l'infinità delle forme è concepita a questo fine46 e
forme particolari degli atomi, come quelle uncinate e ad amo hanno senso
in un'ottica costruttivistica47 non in una prospettiva matematizzante che
arriva ai minimi per divisione48. Aristotele faceva osservare nel De caelo che
la differenza fra la fisica e la matematica sta nel fatto che l'una procede per
addizione l'altra per sottrazione 49. Questa definizione si addice anche alla
diversità di impostazione e di origine fra l'atomismo antico e quello accademico. Interpretare gli atomi come risultanti da una divisione in parti
45
46
Gli ultimi editori della Metafisica teofrastea hanno visto in questo accenno alle forme democritee un problema che è forse risolvibile se correlato con il contesto interpretativo più
ampio dell'atomismo in generale. Laks-Most 1993, 88, pur ammettendo che l'irregolarità
delle forme atomiche spiegherebbe l'allusione ad un disordine negli enti matematici, ritengono inutile il plh;n eij in quanto gli atomi di Democrito non sono affatto forme geometriche. L'eccettuativa si giustifica però alla luce della critica di matrice accademica contro l'infinità e l'irregolarità delle forme che si ritrova anche in De caelo G 4.
Cf. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,22) (68 A 38 DK; 318 L.) w{ste
eujlovgw" ajpeivrwn oujsw' n tw'n ajrcw' n pav nta ta; pavqh kai; ta;" ouj siva" ajpodwvsein
ejphggevllonto, uJf ou| tev ti givnetai kai; pw'".
47
Cf. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,14-18) (68 A 37 DK; 227, 293 L.)
tou' de; summev nein ta; " ouj siva" met ajllhvlwn mevcri tino; " aijtia'tai ta;" ejp allaga;" kai; ta;"
ajntilhvyei" tw'n swmavtwn: ta; me; n ga;r aujtw' n ei\nai skalhnav , ta; de; ajgkistrwvdh, ta; de;
koi'la, ta; de; kurtav, ta; de; a[lla" ajnarivqmou" e[conta diaforav ". Cf. Stob. 1,22,1 (67 A 23
DK; 386 L.) Leuvkippo" kai; Dhmovkrito" citw'na kuvklwi kai; uJmevna periteivnousi tw'i
kovsmwi, dia; tw' n aj gkistroeidw'n ajtovmwn sumpeplegmev non. Cf. anche Diog. Laert. 9,31ss.
48
49
(67 A 1 DK; 382 L.); Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,19-22) (68 A
38 DK; 318 L.); Id. De sens. 66 (68 A 135 DK; 496 L.).
Non a caso le critiche all'indivisibilità dell'atomo nella tradizione tarda (v. infra, VI 3. 2. 1 e
3. 2. 2) si appuntano in particolare contro tali forme atomiche.
Arist. De cael. G 1, 299a 17s.; cf. anche Metaph. K 3, 1061a 28-1061b 7.
202
Atomi e minimi
sempre più piccole di un corpo, significa infatti inserirli in una soluzione
matematizzante del problema dell'infinita divisione che subordina il
mondo fisico ai principi incorporei e alla definizione di essere e uno tipica
dell'Accademia. Significa inoltre isolare il corpuscolo degli atomisti dalla
sua caratteristica peculiare, il movimento, e soprattutto sradicarlo dal
contesto socio-politico e culturale del tempo in cui è stato concepito.
Un'astrazione in questo senso viene operata in certi contesti da Aristotele
stesso. Se si guarda infatti ai tre termini che egli riporta come originali
democritei e che designano le potenzialità generatrici del corpuscolo di
Leucippo e Democrito, rJusmov", trophv, diaqighv, si può percepire chiaramente la distanza che separa una concezione del mondo di tipo componenziale e dinamico articolata su uno sfondo socio-politico da una di tipo
afairetico e statico concepita in termini matematico-dialettici. Gli atomi
sono rappresentati come esseri viventi che si muovono e si combinano in
un contesto di lotte e di cambiamenti, gli ejl avcista kai; ajmerh' che invece
emergono dai resoconti sugli indivisibili accademici hanno tutte le caratteristiche astratte delle unità matematiche e derivano da una scomposizione
teorica della realtà fisica subordinata alla definizione di essere e di uno.
Aristotele traduce dunque in una terminologia più adeguata ai problemi
teorici dell'atomismo del suo tempo i termini originali democritei con il
risultato di trasformare l'atomo da corpo in movimento ad entità spaziale
astratta50, non solo, ma di privarlo di quelle connotazioni che riflettono
una realtà socio-politica dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Così la denominazione sch'ma, per rJusmov", trasforma l'atomo in una figura statica e
astratta alla stregua delle figure geometriche platoniche. ÔRusmov" veicola
tuttavia un'immagine dinamica: il "ritmo" è il passo cadenzato della danza
e della marcia51. I poeti arcaici lo usano poi per indicare una "disposizione" dell'essere umano in una sequenza mutevole o in una varietà di
50
51
Sul tratto del movimento indissolubilmente legato alle denominazioni dell'atomo democriteo e sulla completa scomparsa di tale caratterizzazione nelle traduzioni aristoteliche, cf.
von Fritz 1938, 25-29; Silvestre 1981, 40ss. sottolinea ulteriormente questo fatto, ma intravvede nel termine rJusmov" "la proporzione e il rapporto armonico esistente tra le misure
fondamentali dell'atomo (che ha elencato prima in configurazione esteriore, altezza, larghezza, profondità ecc.)" o "il rapporto esistente tra la forma e la grandezza dell'atomo"
(42). In questa definizione tuttavia viene tacitamente presupposto che l'atomo sia concepito come teoreticamente divisibile e che possieda dei minimi con i quali essere misurato,
insomma che coincida con l'atomo epicureo. Se la misura non viene concepita inoltre nei
termini di una misura di lunghezze come il minimo dell'atomo di Epicuro, riesce difficile
immaginare come possa essere concretamente pensabile una misura di forme irregolari
come quelle degli atomi democritei. Per una recente e approfondita analisi del termine, cf.
ora Morel 1996, 54-59.
Ar. Th. 956; Xen. An. 5,4,14; Cyr. 1,3,10; Pl. Leg. 670b.
Capitolo quinto
203
stati d'animo52. Anche nell'uso erodoteo, già molto vicino a quello
democriteo, il termine compare in un contesto di cambiamento. Erodoto
riporta l'origine delle lettere greche all'alfabeto fenicio: i Greci ne avrebbero col tempo cambiato il suono e la "foggia"53. Il titolo di un'opera
democritea, che, per lingua e terminologia sembra essere originale, è:
"Sulle cose che cambiano foggia" (Peri; ajmeiyirusmiw'n54). In altri testi
contemporanei a Democrito rJusmov" significa la "foggia" particolare di un
vestito o di qualche altro capo di abbigliamento che lo distingue da altri e
ne caratterizza la provenienza geografica55. Dunque rJusmov" non è la figura
geometrica di un atomo isolato e astratto, bensì l'aspetto caratteristico e
distintivo di un corpuscolo in movimento in un contesto vario e mutevole
o comunque di forma irregolare. Trophv rimanda anch'essa ad un cambiamento, in quanto indica la "giravolta" di un atomo in movimento ed è
tratto sicuramente dal lessico militare56: trophv è infatti l'atto di volgersi in
fuga di fronte al nemico57. Nel frammento aristotelico su Democrito aleggia in effetti l'immagine di una stavsi", di una "guerra civile", nella quale
gli atomi si scontrano gli uni con gli altri:
Queste essenze sono in lotta l'una contro l'altra e si muovono nel vuoto a causa
della loro disuguaglianza e delle altre differenze summenzionate e, muovendosi,
si scontrano e si avviluppano…
Alcuni atomi, nello scontro, si "volgono in fuga" di fronte ad altri; ecco
dunque la trophv. Quello di Aristotele è un contesto cosmogonico, ma la
52
53
54
55
56
57
Cf. e.g. Archil. Fr. 128,6s. West ajlla; cartoi'sivn te cai're kai; kakoi'sin ajscavla/ mh; livhn,
givnwske dæ oi|o" rJusmo;" aj nqrwvpou" e[cei. Theogn. 1,963s. mhvpotæ ejp ainhvshi", pri; n a] n
eijdh'i" a[ ndra safhnw'"/ ojrgh;n kai; rJuqmo;n kai; trovpon o{sti" a]n h\i.
Hdt. 5,58,1 meta; de; crovnou probaivnonto" a{ma th'i fwnh'i metevballon kai; to;n rJuqmo;n tw'n
grammavtwn. Come ha già ricordato il von Fritz 1938, 25s. una relazione diretta fra i due usi,
erodoteo e democriteo, è comunque inverosimile.
Diog. Laert. 9,47 (68 A 33 DK; CXV (V) L.).
[Hippocr.] Art. 62 (II,214,2 Kühlewein = IV,268 Littré), per la foggia particolare delle
calzature chiote. Cf. anche Eur. Her. 130 per la foggia "greca" del peplo.
Non bisogna dimenticare che fra i titoli di Democrito compaiono anche un Taktiko;n e un
ÔOplomacikovn. Queste opere sono state talvolta considerate spurie dalla critica moderna
solo in seguito al pregiudizio che Democrito, da filosofo qual era, non avesse potuto scrivere anche opere tecniche di questo genere. In realtà Democrito non è un filosofo, ma un
tipico polymathes dell'ultimo terzo del V sec. a.C. (come lo era del resto Ippia) il cui tratto
caratterizzante è appunto quello di invadere anche il campo delle technai. Il sofista Dionisodoro che conosciamo anche da Platone tiene fra l'altro anche corsi di tattica militare
(Xen. Mem. 3,1,1). Democrito esortava ad imparare la tevcnh polemikhv poiché era importantissima. Plut. Adv. Colot. 1126 A (68 B 157 DK; 728 L. w|n Dhmovkrito" me;n parainei' thvn
te polemikh;n tevcnhn megivsthn ou\san ejkdidavskesqai...). La lezione politikhvn che si trova
in Diels (e in Lur'e) è una correzione di Reiske della lezione dei manoscritti, cf. invece De
Lacy 1967 ad loc.
Hdt. 1,30; Thuc. 2,19; 6,69 al.; Aesch. Ag. 1237; Soph. Aj. 1275; [Eur.] Rhes. 82; Ar. Eq.
246.
204
Atomi e minimi
trophv è un fenomeno frequente anche all'interno dei composti nel mondo
attuale tenuti insieme da una ajnavgkh più forte delle loro spinte centrifughe: in questo caso la "giravolta" non comporta una "fuga", ma determina
semplicemente un assetto diverso del composto stesso: il corpo cambia,
ad esempio, colore. Aristotele traduce il termine con qevsi" eliminando
non solo l'aspetto dinamico e il carattere relazionale di questa "giravolta",
ma soprattutto cancellando tutto il complesso di immagini e connotazioni
socio-politiche evocate da questo termine e sradicandolo dal contesto in
cui è stata concepito.
Gli atomi in movimento dunque si scontrano: gli uni si 'volgono', gli
altri invece, evidentemente quelli che hanno forme complementari, rimangono "impigliati" nella lotta e, volenti o nolenti, imprigionati nell'abbraccio adattandosi senza arrivare però mai ad una unione completa.
Questo processo di reciproco contatto è definito diaqighv. Si tratta di un
hapax, ma qiggavnw significa, oltre che "toccare", anche "abbracciare" e
avere rapporti sessuali58. Il termine rimanda dunque all'immagine di una
lotta che tuttavia, producendo dei "contatti" anche forzati, può trasformarsi in una forza generatrice. Anche la diaqighv determina l'apparenza
dei composti: il contatto può essere più o meno stretto, riguardare superfici più o meno ampie e dare origine ad aggregati più o meno omogenei,
più friabili o più compatti, come nel caso degli oggetti bianchi descritti da
Teofrasto59. Aristotele traduce il termine con tavxi", l'ordine degli atomi in
un composto, eliminandone il carattere di reciprocità, il dinamismo e
soprattutto le connotazioni che stanno alla radice dell'immagine. I corpuscoli di Leucippo e Democrito sono concepiti sullo sfondo di una visione
socio-politica della natura, dove singoli individui resistenti e indistruttibili,
in continua fibrillazione, forniti di movimenti propri e spiccate tendenze
all'autonomia, rimangono volenti o nolenti impigliati in aggregazioni aleatorie60. Era però inevitabile che, una volta inseriti in una visione matematizzante e astratta finalizzata al discorso sugli indivisibili e sui principi,
questi corpuscoli assumessero quelle caratteristiche concettuali astratte
che si incontrano in molti resoconti aristotelici e venissero interpretati
come ejl avcista, corpuscoli minimi che, in qualità di riflessi dell'uno nel
mondo fisico, lo misurano e lo ordinano e che, quanto non rientrava in
queste categorie, fosse o modificato, o criticato, o espunto. Si tratta di una
costante dei processi di assimilazione culturale alla quale la prassi scolastica imprime talvolta una accelerazione innaturale.
58
59
60
"Abbracciare": Eur. Ph. 300. "Avere contatti sessuali": Eur. Hippol. 885, 1044; Soph. OC
329. Per altri termini dello stesso campo semantico usati nella dossografia democritea e
probabilmente originali, cf. Decleva Caizzi 1984, 14s.
De sens. 73 (68 A 135 DK; 484 L.).
V. infra, VII. 3.
Capitolo quinto
205
3. Terminologia accademica nelle denominazioni degli atomi
in Aristotele
L'influsso della problematica accademica degli indivisibili è particolarmente marcato a livello terminologico quando Aristotele menziona i corpuscoli democritei nell'ambito del tema più generale delle grandezze indivisibili e prime, o li confronta con i triangoli platonici. Qui di seguito
prenderò in esame i singoli termini tecnici con cui Aristotele designa l'atomo sottolineando, all'occasione, la differenza fra il contesto aristotelico
e quello dell'uso del termine nel V sec. a.C., l'età in cui la dottrina atomistica è stata formulata.
“Atoma. Il termine a[tomon è considerato generalmente originale democriteo e probabilmente è così. Senza voler negare il valore di tutta una
tradizione che assegna a Leucippo e a Democrito come carattere distintivo proprio la denominazione "atomo", non ci si può tuttavia nascondere
che le testimonianze, in particolare quella aristotelica, lasciano aperte delle
questioni sul suo uso e sul suo reale significato, che devono comunque
essere rilevate.
Una famosa citazione democritea corrente in molti testi tardi recita:
per convenzione dolce, per convenzione amaro, per convenzione caldo, per convenzione freddo, per convenzione colore, in realtà atomi e vuoto61.
Il termine compare qui al neutro e non permette particolari considerazioni
sul suo significato originario. Della massima in questa forma non sembra
essere rimasta traccia in Aristotele. Teofrasto vi allude in un passo del De
sensu62 nel quale però parla di schvma e non di a[tomon. Plutarco, nella Contro Colote, ne riporta la parafrasi specificando che Democrito chiamava gli
61
Cito la versione più ampia riportata da Sext. Emp. Adv. Math. 7,135 (68 B 9 DK; 55 L.)
novmwi glukuv, novmwi pikrovn, nov mwi qermovn, novmwi yucrovn, novmwi croihv: ejteh'i de; a[toma
kai; kenov n. Cf. anche Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.). Altre versioni non
62
menzionano il caldo e il freddo, cf. Gal. De elem. sec. Hipp. 2,9 (60,8 De Lacy = I,2,417 K.)
(68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.), cf. De med. empir. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.).
Su queste varianti, cf. Gemelli Marciano 1998. La formulazione della seconda parte della
citazione è invece costante in tutti gli autori. Ho dato qui di proposito una traduzione il più
possibile neutra che lascia aperta la via per più di una interpretazione. Quella esistenziale
("per convenzione [è il] dolce… in realtà [ci sono solo] atomi e vuoto") risale all'Accademia scettica e viene ripresa dai neopirroniani, quella relativistica (per convenzione [qualcosa] è dolce… in realtà [è] atomi e vuoto) è riflessa in Galeno. La prima nega esistenza e
valore alle qualità sensibili, l'altra invece ne sottolinea unicamente la relatività. Su questa
massima e sulla sua trasmissione e interpretazione, cf. Gemelli Marciano 1998.
De sens. 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.) aJplw'" de; to; me;n sch'ma kaqæ auJtov ejsti, to; de; gluku;
kai; o{lw" to; aijsqhto;n pro;" a[llo kai; ejn a[lloi", w{ " fhsin.
206
Atomi e minimi
atomi ijdevai: "tutto è atomi, da lui chiamati forme, e nient'altro"63. Questi
passi fanno balenare la possibilità che a[toma, nella formulazione corrente
della massima, sia stato sostituito ad ijdevai certamente meno indicativo,
ma ben attestato anche per Democrito64. A favore di a[toma, però, depongono il ritmo e l'eufonia.
L'uso e il significato del termine a[tomon (sw'ma?) da parte degli atomisti si presentano dunque un poco più problematici di quanto a prima vista
non sembri. Mi limiterò qui ad accennare ad un'ulteriore stranezza. Aristotele, nel già citato frammento dell'opera su Democrito65, non riporta fra
le denominazioni dei corpuscoli democritei il termine a[tomon. Sebbene le
corrispondenze da lui istituite non siano del tutto precise66, rimane
comunque singolare che egli non faccia alcun cenno proprio ad una
denominazione che in altri testi ritiene scontata e fondamentale, tanto più
che riporta quella molto più inusuale di nastovn. I corpuscoli di Democrito
vengono definiti mikrai; oujsivai, o[nta, nastav, devn, ma non a[toma né
ajdiaivreta, né compare alcun accenno all'indivisibilità. Il fatto che essi
vengano a contatto senza fondersi mai in un solo ed unico corpo è spiegabile, come si è visto, con la compattezza e la durezza e non presuppone
necessariamente il discorso teorico sull'indivisibilità67. Se si confronta,
però, il passo parallelo di Metaph. Z 13, 1039a 7-14 citato sopra68 dove
Aristotele oppone esplicitamente Democrito a Senocrate, si osserva come
le oujsivai del primo siano senza esitazione qualificate come a[toma megevqh
(ta; ga;r megevq h ta; a[toma ta;" oujsiva" poiei'). Lo stesso fenomeno si riscontra in altri resoconti aristotelici dove esse vengono designate con la
stessa espressione o come a[toma o a[toma swvmata. In generale si tratta di
63
64
65
66
67
68
Plut. Adv. Colot. 1111 A (68 A 57 DK; 198 L.) ei\nai de; pavnta ta;" ajtovmou", ijdeva" uJp
aujtou' kaloumev na", e{teron de; mhdev n. Non sono assolutamente giustificate quelle interpretazioni che considerano a[tomoi attributo di ijdevai (cf. Diels-Kranz, ad loc., II, 99 app.;
Alfieri 1936, 100 n. 228; id. 1979, 59s.). Come già faceva notare Westman 1955, 269s., la
costruzione sintattica indica chiaramente che Plutarco attribuisce a Democrito l'esistenza
reale solo di quelli che nella tradizione sono chiamati atomi e che l'Abderita, invece, definiva ijdevai. L'altra interpretazione richiederebbe una diversa costruzione: ei\nai de; pavnta
ta;" uJp auj tou' kaloumev na" ajtovmou" ijdev a", e{teron de; mhdevn.
Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,137 (68 B 6 DK; CXVI, 48 L.) ejn de; tw'i Peri; ijdew'n. Simpl.
In Phys. 195b 31, 327,24s. (68 B 167 DK; 19, 288 L.) dei'non ajpo; tou' panto;" ajpokriqh'nai
pantoivw n eijdevw n. Simplicio la riporta come citazione letterale attingendo probabilmente ad
Eudemo menzionato immediatamente dopo (327,27). La forma eijdevwn non è in ogni caso
democritea.
Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,1ss.) (68 A 37 DK; 172, 197, 293 L.).
Cf. ad esempio la denominazione a[p eiron con la quale, secondo Aristotele, Democrito
avrebbe indicato il vuoto. Nel resoconto di Diogene Laerzio su Leucippo, a[peiron è invece il tutto, l'insieme del pieno e del vuoto (Diog. Laert. 9,31 = 67 A 1 DK; 289 L.).
Forse Aristotele interpretava una espressione del tipo ejn ajpeivrwi kenw'i.
V. supra, III 4. 3 n. 152.
V. supra, n. 27.
Capitolo quinto
207
contesti che, o utilizzano schemi di classificazione correnti69, o instaurano
comunque delle analogie con forme di atomismo accademico70.
Altre singolarità si riscontrano nei testi teofrastei. Le testimonianze
che risalgono a lui solo in maniera indiretta non fanno testo in quanto il
termine compare nella forma femminile adottata dall'epicureismo e corrente negli autori tardi, hJ a[tomo"71. Nei testi originali di Teofrasto ricorre
invece solo due volte, e nella forma neutra, di cui una nel De causis plantarum, quando nega che le forme di Democrito possano trasformarsi una
nell'altra per generare un succo da un altro: "infatti l'atomo è incapace di
patire"72. Quest'ultima osservazione è un inciso di Teofrasto perfettamente
consonante col giudizio aristotelico di De gen. et corr. A 8, 326a 1 ("è necessario definire ajpaqev" ciascuno degli indivisibili"). Nel passo della Metafisica
citato nel paragrafo precedente, il termine è correlato, come detto, con la
caratterizzazione matematica del corpuscolo democriteo. Singolare è
inoltre che nel De sensibus, nel lungo resoconto sulla teoria democritea
delle sensazioni (di cui la famosa massima dovrebbe fare parte), non si
parli mai di a[toma, ma sempre e solo di schvmata. Se, nonostante tutto, si
accetta il termine a[tomon come originale, si pone comunque il problema
semantico. Non è infatti scontato che Democrito gli attribuisse quel significato tecnico di "indivisibile" che assume in Platone e nella sua scuola e
in Aristotele. Il termine è rarissimo prima di Platone e si incontra solo una
volta nelle Trachinie di Sofocle. Il prato dell'Eeta, consacrato a Zeus, è
definito a[tomo", non naturalmente nel senso di "indivisibile", ma in quello
di "non tagliato, non falciato, inviolato"73. Più tardi, nel V sec. a.C., viene
utilizzato dal comico Efippo per indicare la barba fluente, "non tagliata"
69
70
71
72
73
Cf. De an. A 2, 404a 2 (67 A 28 DK; 200 L.) ajpeivrwn ga;r o[ntwn schmavtwn kai; ajtovmwn ta;
sfairoeidh' pu'r kai; yuch;n lev gei, dove kai; ajtovmwn sembra piuttosto una aggiunta a
schmavtwn ripreso subito dopo da sfairoeidh'.
Cf. De gen. et corr. A 2, 316a 11ss. dove le dottrine di Democrito e Leucippo vengono
trattate nel problema generale dell'esistenza di a[toma megevqh e confrontate con quelle accademiche. Cf. anche De cael. G 4, 303a 20-23, supra, n. 31, dove a Democrito viene mossa
l'accusa, coniata specificamente per i Platonici, di andare contro i principi della matematica.
Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4ss.) (67 A 8 DK; 147 L.; 68 A 38
DK; 318 L.); Theophr. Fr. 238 FHS&G (Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24-26) (68 A 120
DK; 171 L.); Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.).
Theophr. De caus. plant. 6,7,2 (68 A 132 DK; 499 L.) Dhmokrivtwi mevn ge pw'" pote ejx
ajllhvlwn hJ gev nesi" (scil. tw'n cumw' n) ajporhvs eien a[ n ti". ajnavgkh ga;r, h] ta; schvmata metar-
ruqmivzesqai, kai; ejk skalhnw' n kai; ojxugwnivwn periferh' givnesqai ª...º. ejpei; dæ ajduv naton
metaschmativzesqai, (to; ga;r a[ tomon ajp aqev"), loipo;n ta; me; n eijsievnai ta; dæ ejxiev nai h] ta;
me;n uJpomevnein ta; dæ ejxiev nai. Nella composizione del colore verde in De sens. 75 (68 A 135
DK; 484 L.), invece, il termine a[tomon non compare to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou'
kenou' sunestavnai meikto;n ejx ajmfoi' n.
Soph. Tr. 200 w\ Zeu', to;n Oi[th" a[tomon o}" leimw'n e[cei". Questo passo viene segnalato,
proprio per questo significato di "non tagliato", anche da Lewis 1998, 2s. n. 1, il quale però
non ne trae alcuna conclusione.
208
Atomi e minimi
dei filosofi74. Il termine, nel suo uso corrente, designa dunque un oggetto
su cui non è intervenuto alcun strumento da taglio. Il significato di "indivisibile" è attestato solo a cominciare da Platone che ne fa un termine
tecnico della diaivresi" logica75 così come aveva fatto con stoicei'on nell'ambito della fisica per designare gli elementi76. Se Democrito si atteneva
al significato corrente ai suoi tempi, gli a[toma swvmata erano non corpi
"indivisibili", ma corpi intatti su cui non è intervenuto nessun strumento
da taglio. In questa accezione il termine evoca una bella immagine anassagorea
le cose che si trovano in un insieme ordinato77 non stanno separate una dall'altra
né è reciso con la scure ciò che è caldo da ciò che è freddo né ciò che è freddo da ciò
che è caldo78.
A loro modo anche gli "omeomeri" di Anassagora sono "atomi", in
quanto le loro componenti basilari non sono separate una dall'altra né
"tagliate con la scure", ma sono sempre lì, tutte insieme. L'azione separatrice del Nous infatti, non si esercita su di loro, ma sulla mescolanza in
generale. L'immagine è molto concreta ed evocativa e precorre in un certo
senso quella degli "atomi" di Democrito: a[tomon è quel corpo che nessuna lama ha mai reciso, che è rimasto intatto, non scalfito da nessuna
ajnavgkh. Non si tratta in questo caso di un significato tecnico derivato
dalla problematica della divisione, ma di un termine che evoca un'immagine. Una stessa carica evocativa ha anche un altro hapax democriteo
molto vicino per formazione a a[tomon cioè ajpavthton, "non calcato da
piede", per designare ciò che ha una struttura irregolare79. Questa terminologia, che attinge alla realtà della vita ed è altamente evocativa e pittorica è caratteristica di Democrito80. Se dunque anche a[tomon è termine
democriteo, difficilmente lo è il suo significato tecnico "indivisibile", tipico di Platone e della sua scuola. L'estensione delle connotazioni che la
parola aveva assunto nella problematica della diaivresi" e degli indivisibili
anche all'uso democriteo era però naturale per chi osservava le dottrine di
Democrito dall'ottica astratta del problema della divisibilità.
74
75
76
77
78
79
80
Ephipp. Fr. 14,7 K.-A. a[toma pwvgwno" bavqh.
Pl. Soph. 229d ajlla; ga;r hJmi'n e[ti kai; tou'ton skeptevon, a\r a[tomon h[dh ejsti; pa'n h[ tina
e[con diaivresin ajxivan ejpwnumiv a".
V. supra, I 2 n. 44, 45 e 48.
Traduco così eJni; kovsmwi in quanto, se kovsmo" qui indicasse il nostro mondo, non ci si
aspetterebbe il numerale. Anassagora parla qui evidentemente di singoli aggregati.
59 B 8 DK (Simpl. In Phys. 188a 5, 175,12-14) ouj kecwvristai ajllhvlwn ta; ejn tw'i eJni;
kovsmwi oujde; ajpokevkoptai pelevkei ou[te to; qermo; n ajpo; tou' yucrou' ou[te to; yucro;n ajpo;
tou' qermou'.
Hesych. s.v. ajpavthton (68 B 131 DK; 828 L.) ajp avthton: to; ajnwmavlw" sugkeivmenon para;
Dhmokrivtwi.
Per altri esempi, v. infra, VII 6. 2. 1.
Capitolo quinto
209
Adiaivreta. La definizione ajdiaivreta è chiaramente aristotelica e deriva
dalla sovrapposizione al corpuscolo democriteo della terminologia
corrente per designare le grandezze ultime derivate da una diaivresi" per
sottrazione di tipo accademico81. Gli ajdiaivreta per eccellenza sono l'uno
e il punto82, ma, in quanto corrispondenti all'uno, anche l'elemento83 o la
misura nell'ambito del sensibile possono essere ajdiaivreta, sebbene in
senso relativo84. In particolare in contesti dove designa i corpuscoli di
Leucippo e Democrito con le tipiche formule accademiche (prw'ta
swvmata o prw'ta megevqh)85 e li individua come stoicei'a Aristotele li
chiama ajdiaivreta e li definisce "grandezze prime indivisibili"86 e "corpi
primi dai quali sono composti e nei quali si dissolvono" tutti gli altri87,
81
Cf. De gen. et corr. A 2,315b 24 (67 A 7 DK part.; 101 L.) ajrch; de; touvtwn pavntwn, povteron
ou{tw giv netai kai; ajlloiou'tai kai; aujxav netai ta; o[nta kai; taj nantiva touvtoi" pavscei, tw'n
prwvtwn uJp arcovntwn megeqw' n ajdiairevtwn, h[ oujq evn ejsti mev geqo" ajdiaiv reton: diafevr ei
ga;r tou'to plei'ston. kai; pavlin eij megevqh, povteron, wJ" Dhmovkrito" kai; Leuvkippo"
swvmata tau't ejstiv n, h] w{sper ej n tw'i Timaivwi ejpivpeda. tou'to me; n ou\ aujtov, kaqavper kai; ejn
a[lloi" eijrhvkamen, a[logon mevcri ejpipevdwn dialu's ai. dio; ma'llon eu[logon swvmata ei\nai
ajdiaivreta. De gen. et corr. A 8, 325b 25-30 (67 A 7 DK; 118, 222 L.) tosou' ton ga;r diafevrei
tou' mh; to;n auj to;n trovpon Leukivppwi levgein, o{ti oJ me;n sterea; oJ d (scil. oJ Plavtwn) ejpivpeda levgei ta; ajdiaivreta, kai; oJ me; n ajpeivroi" wJrivsqai schvmasi tw'n ajdiairevtwn sterew' n
e{kaston oJ de; wJrismevnoi", ejpei; ajdiaivretav ge ajmfovteroi levgousi kai; wJrismevna schvmasin.
Sull'uso aristotelico di ajdiaivr eton per il corpuscolo democriteo come risultato di un'inter-
82
83
84
85
86
87
pretazione, cf. Sinnige 1968, 153.
Per l'uno, cf. Phys. A 2, 185b 8; G 7, 207b 6; Metaph. B 3, 999a 1; 4, 1001b 7; I 1, 1053a 1
(come definizione corrente della monade), a 10; 3, 1054a 21; M 9, 1085b 16. Per il punto,
cf. Phys. Z 1, 231a 25; De cael. G 1, 299b 6; Metaph. B 6, 1002b 4; D 3, 1014b 8.
Cf. in particolare Metaph. D 3, 1014b 4-6 kai; metafevronte" de; stoicei'on kalou'sin
ejnteu'qen o} a] n e} n o]n kai; mikro;n ejpi; polla; h\i crhvsimon, dio; kai; to; mikro;n kai; aJplou' n
kai; ajdiaivreton stoicei'on levgetai.
Cf. in particolare Metaph. I 1, 1052b 31ss.
Cf. Pl. Ti. 57c o{s a me;n ou\n a[krata kai; prw'ta swvmata dia; toiouvtwn aijtiw'n gevgonen. Cf.
anche Alex. In Metaph. 987b 33, 55,20 (Arist. De Bono, Fr. 2, 113 Ross) ajrca;" me;n tw'n
o[ntwn tou;" ajriqmou; " Plavtwn te kai; oiJ Puqagovreioi uJpetivqento, o{ti ej dovkei aujtoi'" to;
prw'ton ajrch; ei\nai kai; to; ajsuv nqeton, tw'n de; swmavtwn prw'ta ta; ejpivpeda ei\nai —ta; ga;r
aJplouvsterav te kai; mh; sunanairouvmena prw'ta th'i fuvsei...
De gen. et corr. A 2, 315b 24-30 (101 L.) ajrch; de; touvtwn pavntwn, povteron ou{tw givnetai kai;
ajlloiou'tai kai; aujxav netai ta; o[ nta kai; taj nantiv a touv toi" pav scei, tw' n prwvtwn uJp arcovntwn megeqw' n ajdiairevtwn, h[ oujqev n ejsti mevgeqo" ajdiaivreton: diafevrei ga;r tou'to
plei'ston. kai; pavlin eij megevqh povteron, wJ " Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" swvmata tau't
ejstivn, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda. De cael. G 4, 303a 5-6 (67 A 15 DK; 109, 292 L.)
fasi; ga;r ( scil. Leuvkippo" kai; Dhmovkrito") ei\nai ta; prw'ta megevqh plhvqei me;n a[peira, megevqei de; ajdiaivreta.
De gen. et corr. A 8, 325b 17-19 (337 L.) toi'" me;n gavr ejs tin ajdiaivreta ta; prw'ta tw'n
swmavtwn, schv mati diafevronta mov non, ejx w| n prwvtwn suv gkeitai kai; eij " a} e[scata dialuvetai... Cf. la definizione in Metaph. D 3, 1014a 31-34 oJmoivw" de; kai; ta; tw' n swmavtwn
stoicei'a levgousin oiJ levgonte" eij" a} diairei''tai ta; swvmata e[scata, ejkei' na de; mhkevt eij"
a[lla ei[dei diafevronta. Che l'impiego di stoicei'on per designare gli elementi costitutivi
della realtà fisica risalga a Platone è testimoniato da Eudemo (Fr. 31 Wehrli) ... o{ ge
210
Atomi e minimi
attribuendo loro le prerogative tipiche delle grandezze indivisibili elementari degli Accademici.
Stereav. Aristotele talvolta, designando i corpuscoli di Leucippo e
Democrito come stereav, li carica di una connotazione matematica tipica
della scuola platonica. Stereav è infatti il termine tecnico con cui Platone
designa i solidi geometrici (che, per lui, sono anche i corpi)88. Non a caso
Aristotele usa il termine in questa accezione particolare quando mette
sullo stesso piano la dottrina platonica e quella atomista89. Quando invece
vuole porre l'accento sulla loro differenza schierandosi a favore dell'atomismo fisico, distingue fra i corpi (swvmata) di Leucippo e Democrito e i
solidi geometrici (stereav) risultanti dalla combinazione dei triangoli platonici90. Probabilmente Democrito non usava il plurale stereav neppure
per i solidi geometrici. Il problema dei titoli delle opere democritee è una
questione spinosa, ma un titolo dell'elenco riportato da Diogene Laerzio,
peri; ajlovgwn grammw'n kai; nastw'n aæ bæ91, dove compare il termine tipico
democriteo nastav (e dunque sembrerebbe originale) fa pensare che Democrito usasse questa denominazione, e non stereav, anche per designare
i solidi geometrici. Diverso è invece il discorso per l'aggettivo al singolare
(stereov") che Democrito, come del resto i contemporanei autori ippocratici, può aver impiegato in senso non tecnico come attributo dei corpi
in generale92.
Si possono dunque distinguere, all'interno dei resoconti aristotelici
sull'atomismo antico, due tipi di influssi accademici: nell'interpretazione e
nella critica dell'atomo e nella terminologia.
1. L'atomo viene interpretato sullo sfondo della dottrina senocratea
dei "minimi privi di parti" (ejlavcista kai; ajmerh'), elementi ultimi di una
divisione finita e misure dei vari livelli dell'essere in quanto riflesso dell'uno. Senocrate distingueva comunque una mancanza di parti relativa
(quella dei corpi primi e dei minimi nei vari gradi della spazialità fino alla
linea) e una assoluta, quella della linea indivisibile, limite ultimo della spaPlavtwn... kaj n toi'" fusikoi'" kai; genhtoi'" ta; " stoiceiwvdei" ajrca; " tw' n a[llwn dievkrine
kai; stoicei' a prw'to" aujto;" wjnovmase ta;" toiauvta" ajrcav", wJ " oJ Eu[dhmo" iJstorei'. Sull'at-
88
89
90
91
92
tendibilità di questa notizia e per la derivazione platonica di questo uso risalente ad un impiego particolare in matematica nel significato di "fondamento costitutivo" in un sistema
ordinato di teoremi, cf. Burkert 1958, 167-197 dove vengono discusse anche le ipotesi di
coloro che fanno risalire a Democrito l'uso del termine nel significato di elemento fisico.
Nel Timeo compare "la figura solida della piramide, elemento e seme del fuoco" (56b).
De gen. et corr. A 8, 325b 25-30 (67 A 7 DK; 118, 222 L.), v. supra, n. 81; cf. 326a 21; De cael.
D 2, 309a 2ss. (68 A 60 DK; 368 L.).
Cf. De gen. et corr. A 2, 315b 32-316a 4.
Diog. Laert. 9,47 (68 A 33 DK; CXV (VIII) L.).
Cf. Metaph. A 4, 985b 7; cf. Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.), supra, III 4. 2. 2 n.
149.
Capitolo quinto
211
zialità e non ulteriormente divisibile neppure in elementi di un livello superiore. Privi dell'apparato teorico su si fondava la concezione accademica
(dottrina dei principi, uno e diade indefinita, che fonda le distinzioni fra
essere e uno, parte e tutto), gli atomi leucippei e democritei reinterpretati
come minimi indivisibili in assoluto prestavano ovviamente il fianco a
critiche. Essi, infatti, equivalevano ai corpuscoli dei corpuscolaristi, mai
divisi, ma comunque ulteriormente divisibili con la mente. Questa assimilazione di atomi e corpuscoli, caratteristica della posizione degli Accademici-Pitagorici in Sesto, emerge più volte anche in Aristotele: nel logos
eleatico di De generatione et corruptione A 8, nella classificazione delle dottrine
che pongono come limite ultimo del reale dei corpuscoli (indivisibili o
divisibili, ma non più divisi) in De cael. G 6 e nella critica agli atomisti per
aver posto come indivisibili per natura solo dei corpi piccoli in De generatione et corruptione A 9. Gli atomi di Leucippo e Democrito, inoltre, interpretati alla luce della dottrina dei minimi come unità di misura, venivano
attaccati anche per la mancanza di un ordine e di un limite nelle forme,
critica che Aristotele puntualmente rivolge proprio sulla scorta di una
interpretazione matematizzante delle forme in De cael. G 4 e a cui Teofrasto accenna nella Metafisica.
2. La discussione sugli indivisibili nell'Accademia costituisce poi il filtro concettuale e terminologico attraverso cui Aristotele giudica o denomina gli atomi in particolare nelle trattazioni generali sugli indivisibili e nel
confronto fra dottrine platonico-accademiche e democriteo-leucippee. In
questi casi egli prende come punto di riferimento sia i triangoli, reinterpretati, del Timeo, sia la teoria delle grandezze indivisibili e prime degli
a[grafa dovgmata e di Senocrate.
Questi due tipi di influsso esercitato dall'atomismo accademico sull'interpretazione delle dottrine degli atomisti antichi già nell'opera aristotelica, sono molto importanti per comprendere anche una certa differenziazione nei resoconti tardi su Leucippo e Democrito.
E' ora opportuno riprendere, a scopo contrastivo, anche un'altra presentazione dell'atomismo antico nelle opere aristoteliche. Si tratta di passi
più strettamente espositivi caratterizzati da un maggior interesse storico e
meno marcati da un'impostazione argomentativa tipica della trattazione di
problemi generali.
4. Terminologia atomista in Aristotele
E' indubbio che, leggendo le opere degli atomisti, Aristotele era necessariamente condizionato dalla sua formazione nell'alveo dell'Accademia. E'
tuttavia altrettanto vero che, rispetto alle linee interpretative di Platone e
212
Atomi e minimi
dei suoi allievi, interessati soprattutto all'estrapolazione dai testi della problematica generale di volta in volta trattata, Aristotele sviluppa anche un
interesse più marcatamente storico per i suoi predecessori. E sono appunto i suoi resoconti di carattere più propriamente espositivo, i suoi
appunti riassuntivi, le testimonianze più facilmente leggibili. L'interesse
eminentemente descrittivo più che argomentativo di tali testi rivela infatti
più facilmente le difficoltà di integrazione delle teorie descritte nel sistema
di riferimento di Aristotele, rende maggiormente distinguibile la terminologia derivata o sovrapposta da quella originale e permette quindi di individuare più agevolmente un nucleo originale di terminologia e dottrina
leucippea e democritea.
In uno di questi excursus, il frammento dell'opera su Democrito riportato da Simplicio, Aristotele dichiara espressamente di riferire i termini
originali democritei per le sostanze costitutive del mondo e per il vuoto.
Se alcuni di questi fanno nascere il sospetto di qualche lieve rimaneggiamento93, altri, come devn e nastovn, sono sicuramente autentici perché
estremamente specifici e assolutamente estranei alla terminologia platonica e aristotelica. Il frammento aristotelico su Democrito si distingue
inoltre anche per ulteriori peculiarità: gli atomi vengono specificamente
classificati fra gli enti eterni e la loro piccolezza viene considerata unicamente causa della loro invisibilità, non messa in relazione con l'indivisibilità94. Proprio quest'ultima problematica, che tanto spazio occupa nel resto
dell'opera aristotelica, viene sorprendentemente passata sotto silenzio: il
grande assente è appunto l'"atomo". Il termine non compare nell'elenco
delle denominazioni democritee delle oujsivai eterne e nessun accenno a
una problematica degli indivisibili emerge nel resto del resoconto. Come si
è già detto, il fatto che da due sostanze non può derivare una unità è perfettamente giustificabile alla luce della compattezza dei corpuscoli. E'
anche piuttosto improbabile che Aristotele trattasse l'indivisibilità in qualche altra parte del suo scritto su Democrito in quanto proprio questo
passo sarebbe stato il punto cruciale per la definizione degli atomi come
indivisibili. Qui di seguito tratterò quindi innanzitutto più diffusamente il
termine specifico nastovn e poi altri attributi dell'atomo che ricorrono in
altri passi aristotelici e che ne mettono in luce la "fisicità" lontana da
quella matematizzazzione operata da Aristotele nei passi sugli indivisibili.
Nastovn. Il termine nastovn è rarissimo e soprattutto non è un termine
"tecnico" o "filosofico". La sua attestazione più antica si ha nella comme93
94
Per le denominazioni del vuoto, v. supra, n. 66.
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,1-6) (68 A 37 DK; 172, 197 L.)
Dhmovkrito" hJgei'tai th;n tw' n ajidivwn fuvsin ei\ nai mikra; " oujsiv a" to; plh'qo" ajpeivrou" ª...º
tw'n de; ouj siw'n eJ kavsthn (scil. prosagoreuvei) tw'i te de;n kai; tw'i nastw'i kai; tw'i o[nti. nomivzei de; ei\nai ou{tw mikra; " ta;" oujsiva" w{s te ejkfugei'n ta;" hJmetevr a" aijsqhvsei".
Capitolo quinto
213
dia attica del V sec. a.C. dove designa un dolce sacrificale95. L'Etymologicum
Magnum lo descrive come
il pane pressato, compatto, pieno e senza nulla di leggero; così chiamato per essere completamente infarcito di condimenti e frutta secca96.
Tali caratteristiche corrispondono perfettamente a quelle dei corpuscoli
democritei ed è del tutto verosimile, visto il suo stile ricco di immagini,
che Democrito li abbia definiti proprio in analogia con questo dolce di
uso comune che doveva essere estremamente difficile tagliare. Nastovn
rimane in tutta la tradizione dossografica indissolubilmente legato all'atomo democriteo ed è raramente impiegato in altri ambiti tecnici. Uno di
questi usi è però estremamente importante non solo per quanto riguarda
la ricezione di Democrito, ma perché contribuisce a fare chiarezza anche
sulle connotazioni del termine e sui contesti in cui può essere stato usato
dagli atomisti. Nastovn ricorre infatti in un passo del Corpus Hippocraticum
proprio nel significato di "compatto, spesso" applicato al corpo maschile
in contrasto con la struttura rada del corpo femminile. L'uso del termine e
i sinonimi da cui è affiancato nell'opera Sulle ghiandole97 sono importanti in
quanto si distanziano dalle "traduzioni" aristoteliche e peripatetiche dello
stesso. L'autore ippocratico, amante degli usi ricercati e dei preziosismi, ha
certamente Democrito come modello98. Non solo infatti questa è l'unica
attestazione del termine nel Corpus Hippocraticum, ma è assente nel passo
parallelo dell'opera ginecologica De muliebribus I, che tratta lo stesso motivo e produce gli stessi esempi analogici in maniera ben più dettagliata99.
L'autore del De glandulis, trattando dei seni, spiega le ridotte dimensioni
95
96
97
98
99
Ar. Av. 567; Pl. 1142; Metag. Fr. 6 K.-A.; Pherecr. Fr. 113 K.-A.
Etym. magn. s. v. nastov": oJ pepilhmevno" a[rto", oJ mestov", plhvrh", kai; mh; e[con ti; kou'fon:
ajpo; tou' navssesqai ajrtuvmasin h] traghmasiv tisi.
La datazione del trattato è oggetto di controversie come quella di quasi tutti gli scritti
ippocratici e va dal V sec. a.C. fino al II d.C. , ma Joly 1978, 110 offre buoni argomenti per
collocarla fra la fine del V e l'inizio del IV sec. a.C. L'autore sarebbe quindi un contemporaneo più giovane di Democrito.
Stranamente questo passo, che documenta in maniera evidente la conoscenza di Democrito da parte di un autore ippocratico, è stato tralasciato da tutti gli interpreti moderni
(compresi Stückelberger 1984 e Salem 1996) che hanno analizzato la ricezione democritea
nel Corpus Hippocraticum.
Mul. I 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré). Anche qui, come nel testo
del De glandulis, la struttura del corpo femminile è paragonata alla lana e quella del corpo
maschile ad un tessuto compatto. Se si pongono un tessuto di lana e uno compatto su un
terreno umido o sulla bocca di un vaso contenente acqua e si lasciano lì per due giorni e
due notti, si vedrà che la lana diventa molto più pesante. Questo perché essa ha una struttura più rada e accoglie e trattiene quindi molto di più l'umidità. I termini impiegati per la
struttura corporea femminile sono i comuni ajraiov", aJpalovsarko" e per la lana ajraiov" e
malqakov". Quelli per il corpo maschile stereovs arko" e, per il tessuto, plh're" e bebusmevnon.
214
Atomi e minimi
delle ghiandole nel corpo maschile rispetto a quello femminile con una
differenza di struttura:
Nei maschi la strettezza [degli interstizi] e la densità del corpo contribuisce grandemente alla dimensione ridotta delle ghiandole; il maschio infatti è compatto e
come una stoffa spessa alla vista e al tatto; la femmina invece è rada e porosa e
come lana alla vista e al tatto; cosicché ciò che è rado e molle non lascia uscire
l'umidità; il maschio, d'altra parte, non potrebbe accoglierne neppure una piccola
quantità, giacché è denso e inospitale, e la fatica ne indurisce il corpo in modo
tale che non ha interstizi attraverso cui accogliere qualcosa di superfluo100 .
Due fattori in questo contesto mi sembrano particolarmente rilevanti:
1. Il parallelismo con la concezione democritea delle parti dure e molli
dei corpi conformate nell'uno o nell'altro modo in base alle loro capacità
di ricezione ed emissione di umori ed effluvi. In Democrito l'occhio deve
avere vuoto e umidità per poter "ricevere" in maggior misura gli effluvi
che producono la sensazione della vista e trasmetterli al resto del corpo101 ;
gli occhi umidi sono perciò migliori di quelli duri. I buoi senza corna sono
tali perché il loro osso frontale, attraversato da vene sottili e deboli, non è
spugnoso ed è così "respingente" (ajntivtupo", forse un termine democriteo) da non poter accogliere umori dall'interno del corpo. Al contrario, i
buoi arabi femmina hanno belle corna perché accolgono molto umore; le
vene che lo veicolano sono spesse e ne trattengono quanto più ne possono102 . Significativamente Democrito definiva le vene dexamenaiv, "ricettacoli, cisterne"103 . Seneca in un brano delle Naturales quaestiones, riferisce che, secondo Democrito, "quei corpi che sono più duri e più compatti
hanno necessariamente pori più piccoli"104 . Le espressioni latine duriora et
pressiora sono perfette traduzioni del greco sklhrovtera kai; nastovtera e
attestano un uso più generalizzato del termine da parte di Democrito anche per i corpi composti, proprio come nel trattato ippocratico.
2. Il fatto che il termine nastovn venga caratterizzato soprattutto dal
non accogliere e dal non emettere nulla così come per Democrito le parti
100
101
102
103
104
Gland. 16,2 (121,20 Joly = VIII,572 Littré) toi'si de; a[rsesi kai; hJ stenocwrivh kai; hJ
puknovth" tou' swvmato" mevga sumbavlletai mh; ei\ nai megavla" ta;" ajdev na": to; ga;r a[rsen
nastov n ªedd.: ajston codd.º ejsti kai; oi|on ei|ma pukno;n kai; oJrevonti kai; ejpafwmev nwi: to; de;
qh'lu ajraio;n kai; cau' non kai; oi|on ei[rion oJrevonti kai; ejpafwmev nwi: w{ste th;n uJ grasivh n ouj
meqivhsi to; ajr aio;n kai; malakovn: to; de; a[rsen ouj k a[n ti prosdevxaito, puknovn te ejo; n kai;
ajstergev ", kai; oJ povno" kratuv nei aujtou' to; sw'ma, w{ste ouj k e[cei di ou| lhvyetaiv ti tw'n perissw'n.
Theophr. De sens. 54 (68 A 135 DK; 478 L.) fhsi; ga;r dia; tou'to kenovthta kai; uJgrovthta
e[cein dei' n to;n ojfqalmov n, i{n ejpi; plevon dev chtai kai; tw'i a[llwi swvmati paradidw'i. dio; kai;
tou;" uJgrou;" tw'n sklhrw'n ojfqalmw'n aj meivnou" ei\nai pro;" to; oJra' n.
Ael. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.).
Hesych. s.v. dexamenaiv (68 B 135 DK; 828 L.), v. infra, VII 6. 2 n. 78.
Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse
est minora foramina esse.
Capitolo quinto
215
spesse e dure. Democrito imputava la dissoluzione dei corpi proprio all'irrompere dall'esterno di una qualche ajnavgkh più forte che scompiglia gli
atomi e li disperde105 e le affezioni e i cambiamenti dei corpi alla presenza
di vuoti che permettono la penetrazione e lo spostamento di corpuscoli al
loro interno106 . La struttura del corpo si modifica anche "se vi si introduce
un piccolo corpuscolo"107 .
L'uso di nastovn da parte dell'autore ippocratico permette dunque nel
contempo di precisare meglio il significato e l' impiego del termine anche
in Democrito. Egli infatti lo ha applicato non solo agli "atomi", come ci
dice la tradizione aristotelico-teofrastea, ma anche ai corpi composti,
come dimostra il passo di Seneca. Il titolo citato sopra dell'opera matematica di Democrito Sulle linee e i solidi irrazionali, dove il termine designa i
solidi geometrici, conferma questo uso allargato. Negli autori tardi di
trattati tecnici riemerge solo per designare una sfera piena in opposizione
alla sfera vuota108 , dunque solidi "concreti", corporei, non figure astratte.
Il termine nastovn rimanda dunque in primo luogo alla tematica generale dell'inattaccabilità dei corpi da agenti esterni o da squilibri interni
tipica della medicina, che costituiva un importante punto di partenza per
l'assunzione dei cosiddetti "atomi". L'autore del De glandulis non è influenzato dalle interpretazioni di Aristotele o di Teofrasto e ha avuto sicuramente davanti un testo democriteo. Il suo uso di nastovn permette quindi
di cogliere il legame profondo fra la concezione dell'atomo democriteo e
quelle mediche del corpo, che nel telegrafico accenno aristotelico rimane
completamente in ombra.
Da quanto finora osservato, risulta dunque che il termine nastovn rimanda alla sfera semantica specifica della cucina e degli oggetti sacrificali.
Democrito, trasponendolo ai corpi, non solo ne ha sfruttato la carica
analogica e pittorica, ma ne ha allargato le connotazioni alla sfera biologico-medica e, per ulteriore estensione, a quella geometrico-tecnica. Un
tale termine, tipico del linguaggio estremamente ricercato e inusuale di età
sofistica, fuori di quel periodo era destinato alla sparizione. In effetti esso
è limitato alla dossografia su Democrito e ad un autore che ricerca i pre105
106
107
108
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejpi; tosou'ton ou\ n crovnon sfw' n aujtw' n (tw'n oujsiw' n) ajntevc esqai nomivzei kai; summev nein, e{w"
ijscurotevra ti" ej k tou' perievconto" aj navgkh paragenomev nh diaseivshi kai; cwri;" aujta;"
diaspeivrhi.
Sext. Emp. Adv. Math. 7,136 (68 B 9 DK; 55 L.); Arist. De gen. et corr. A 8, 325b 3-5 (67 A 7
DK; 338 L.); cf. anche Phys. D 6, 213b 18-20.
Arist. De gen. et corr. A 2, 315b 11 (67 A 40 DK; 240 L.) kai; metakinei'sqai mikrou'
ejmmignumev nou.
Cf. Hero Metr. 1, Prooem. 92,17; 19 Schöne; Philo Belop. 1,330; cf. anche Philop. In Phys.
Cor. de loc. 562,6; 575,22. Esichio (s. v. nastovn) si riferisce proprio a quest'uso quando
riporta fra le definizioni del termine, oJlosfuvrhto", mh; e[cwn uJpovkoufav tina.
216
Atomi e minimi
ziosismi come quello del trattato ippocratico Sulle ghiandole. Riemerge poi,
probabilmente perché Democrito stesso l'aveva usato in quell'ambito,
presso gli autori di trattati tecnici tardi per indicare una sfera o una figura
solida concreta, piena e compatta. In ogni caso, l'uso di questo vocabolo
così estraneo ad un livello "teorico" denota una prospettiva piuttosto
lontana dalla problematica dell'indivisibilità così come è configurata in
altri testi aristotelici.
Sklhrovn, plh're". Aristotele impiega il termine sklhrovn in De generatione et corruptione A 8 quando afferma che gli atomisti si sono contraddetti
ponendo degli indivisibili e quindi "impassibili" e nel contempo assegnando loro qualche qualità. Essi infatti non avrebbero attribuito agli
atomi solo il caldo, ma anche il peso109 e la durezza senza però contemplare anche il suo opposto, la cedevolezza. Se infatti l'atomo è duro, sostiene Aristotele, dovrebbe essere anche cedevole (una proprietà richiede
necessariamente anche il suo contrario) e, come tale, essere anche capace
di patire110 . Il termine sklhrovn è originale in quanto viene attribuito, come
109
110
De gen. et corr. A 8, 326a 4ss. Aristotele fa, in relazione al caldo, una deduzione: siccome gli
atomi sferici sono atomi dell'anima e questa è calda, gli atomi sferici sono caldi. Per il peso,
cf. anche Theophr. De sens. 61 (68 A 135 DK; 369 L.) che assegna peso diverso ad atomi
grandi e piccoli.
De gen. et corr. A 8, 326a 13-14 ajlla; mh;n eij sklhrovn, kai; malakovn. to; de; malako;n h[dh tw'i
pavscein ti levgetai: to; ga;r uJpeiktiko;n malakov n. Cf. anche Philop. ad loc. 167,21-24.
Mantengo la punteggiatura e il testo dell'edizione di Joachim 1922. Nella sua recente edizione del De generatione et corruptione Rashed 2005, 41 adotta un'altra punteggiatura e un'altra
lieve variante testuale: ajlla; mh;n eij sklhrovn kai; malakovn, to; de; malako;n tw'i pavscein ti
levgetai, e traduce: "Mais s'il y a dur et mou, «mou» est employé parce que la chose subit
une affection", considerando de; come l'introduzione di una apodosi con effetto avversativo (143 n. 10). Il risultato di questa interpretazione sarebbe che "Ar. se contente donc de
tirer la conséquence non pas d'une prémisse atomiste «absolue», mais de l'extension dialectique opérée aux ll. 6-8: si on admet le couple dur-mou, on admet par définition l'existence de
l'affection". Nei casi cui fa riferimento Rashed (K.-G. II 2, 275) il de; ha il valore di "comunque, in ogni caso" (cf. Il. 1,137 "sia che lo diano…, sia che non lo diano, io comunque
me lo prenderò da me"), una sfumatura che scompare nella sua traduzione così come dal
suo testo scompare h[dh (di FHJ1V, posposto a pavscein in W), riportato da Joachim e da
altri, perché egli segue invece ELM e Hunain. Inoltre traduce sklhrovn e malakovn come
neutri sostantivati equivalenti a to; sklhrovn ktl., ma qui sono nomi del predicato che si riferiscono al soggetto e{kaston tw'n ajdiairevtwn (come sopra baruvteron). Rashed si riferisce
sì all'argomento dialettico delle linee 6-8, ma non tiene conto delle linee successive che
specificano questo argomento e confermano la traduzione corrente del periodo (per inciso
Rashed non spiega perché quest'ultima debba essere rifiutata). Aristotele vuole infatti dimostrare che Democrito non solo ha attribuito agli atomi delle qualità, contraddicendo le
premesse secondo cui un atomo deve essere impassibile, ma ha introdotto una ulteriore
contraddizione, non ammettendo i contrari di queste qualità, pur essendo essi necessariamente presupposti. Tutto il resto del passo è incentrato sulla dimostrazione di questo assunto. La confusione nasce dal fatto che l'argomento del peso viene impiegato per un
doppio fine: 1. per dimostrare che Democrito ha ammesso solo una delle qualità senza il
suo contrario (in questo caso il pesante, ma non il leggero), 2. per dimostrare che, nono-
Capitolo quinto
217
nastovn, anche ai corpi composti nella citazione dal quarto libro delle Naturales quaestiones di Seneca riportato sopra (n. 104): duriora è la traduzione
latina di sklhrovtera come pressiora lo è di nastovtera. Evidentemente,
come esistono diversi gradi di compattezza nei corpi, così anche di durezza. I più duri e i più compatti sono gli "atomi".
Anche plh're"111 , termine riportato poi generalmente da tutta la dossografia su Democrito a cominciare da Teofrasto, è probabilmente democriteo in quanto termine piuttosto comune, anche al di là di Melisso, nei
testi contemporanei. È però dal punto di vista sia lessicale che semantico
assai meno specifico e caratterizzante di nastovn e per questo assai più
fruibile e diffuso in tutta la dossografia sull'atomismo. Il resoconto su
Leucippo di matrice teofrastea112 riportato da Simplicio riferisce ambedue i
termini, nastov" e plhvrh", uno accanto all'altro, ma il secondo suona come
una specificazione in termini più correnti del primo (th;n ga;r tw'n ajtovmwn
oujsivan nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai). Allo stesso
modo procedono i commentatori di Aristotele e i dossografi, nella maggioranza dei casi, quando si imbattono in nastovn.
Da quanto osservato, dunque, si può dedurre che Aristotele, in certi
contesti, più propriamente descrittivi, riporta sicuramente dei termini
originali quali nastovn, sklhrovn, plh're". Egli tuttavia restringe probabilmente la loro referenza agli atomi, mentre Democrito li utilizzava anche
in qualità di semplici attributi di corpi composti. La terminologia aristotelica, sia quella che riproduce un originale democriteo, sia quella influenzata dalla problematica accademica, è comunque il punto di partenza anche per le testimonianze tarde nelle quali compaiono ora l'uno ora l'altro
termine presente in Aristotele.
111
112
stante ciò, egli ha implicitamente ammesso l'esistenza di questo contrario non solo per il
pesante, ma anche per il caldo: se infatti un atomo è più pesante, potrà essere anche più
caldo e dunque anche più freddo. Dunque se un atomo è caldo e pesante, un altro potrà
essere freddo e leggero. Stando così le cose, gli atomi non sono impassibili, ma subiscono
affezioni uno dall'altro. Allo stesso modo, dato che Democrito ha ammesso un atomo
duro, deve averne contemplato uno molle ricadendo nell'aporia precedente: infatti il molle
si dice tale perché subisce un'affezione. Dunque Democrito ha contraddetto la premessa
secondo cui l'atomo, in quanto indivisibile, è impassibile. Nella traduzione di Rashed uno
dei punti critici di Aristotele, cioè che l'Abderita ha ammesso solo una delle qualità senza il
suo contrario, presupponendolo però, senza rendersene conto, cade come cadono i parallelismi con le linee precedenti nelle quali questa argomentazione viene espressa. L'atomo
duro non è dunque una deduzione di Aristotele come non lo è l'atomo pesante, ma rispecchia una dottrina originale democritea.
Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.); G 5, 1009a 28 (143 L.). Pamplh're" De gen. et corr.
A 8, 325a 29 (67 A 7 DK; 146 L.). Improbabile, per il contesto eleatizzante in cui Aristotele inserisce Leucippo, la lezione pamplhqev".
Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,13) (67 A 8 DK; 147 L.).
218
Atomi e minimi
5. Sintesi
Nelle notizie aristoteliche riguardanti i corpuscoli di Democrito e Leucippo si possono distinguere due tipi di resoconto cui è collegata anche
una specifica terminologia: uno di carattere argomentativo, influenzato in
qualche modo dalla problematica accademica degli indivisibili, l'altro di
carattere espositivo, avulso dalla discussione di questioni particolari.
Nel primo tipo di testo il corpuscolo indistruttibile di Leucippo e
Democrito viene visto come un ejlavciston, un minimo fisico, "misura"
del corporeo e unità ultima indivisibile di una divisione finita in altre unità
dello stesso livello. In questa ottica l'atomo si distingue dai presunti corpuscoli di Empedocle e di Anassagora che per natura sarebbero ancora
mentalmente divisibili in tali unità, sebbene materialmente non divisi.
Questa intepretazione matematizzante elimina o critica quei caratteri propriamente fisici del corpuscolo democriteo che non sono in consonanza
con il concetto di minimo. In particolare passa sotto silenzio il tratto della
solidità e della compattezza così come tutte le connotazioni del termine
non tecnico nastovn e traspone in un linguaggio più filosofico altri termini
democritei caratterizzanti come rJusmov", trophv, diaqighv, i quali evocano
immagini ben lontane da definizioni di tipo matematizzante. Essa porta
inoltre alla critica contro l'infinità e la mancanza di un ordine delle forme.
Aristotele la utilizza talvolta, in contesti particolari, soprattutto critici nei
confronti dell'atomismo in generale. Non solo, ma si serve di una terminologia accademica per descrivere le proprietà dell'atomo quando lo tratta
nell'ottica del problema degli indivisibili o lo confronta con l'atomismo
accademico.
Aristotele tuttavia nei resoconti di carattere più prettamente espositivo, non correlati specificamente al tema dell'indivisibilità, riflette un'altra
immagine delle dottrine leucippee e democritee derivata dalle sue letture
dirette. In questo tipo di testi egli pone l'accento in primo luogo sul carattere fisico del corpuscolo, sulla sua solidità, compattezza e assoluta
impenetrabilità, sul suo carattere dinamico, sul fatto che costituisce un
punto di partenza per la generazione del mondo piuttosto che un punto di
arrivo in un processo di divisione. Ne risulta dunque una concezione dell'indistruttibilità dei corpuscoli di carattere fisico-medico: i corpi si alterano o si dissolvono a causa dell'irruzione dall'esterno di qualcosa di
estraneo o di mutamenti nel loro equilibrio interno. Questo avviene
perché essi presentano degli interstizi, cioè dei "passaggi" vuoti, che permettono tale penetrazione e tale cambiamento interno. Ciò che è eterno e
indistruttibile non può avere questa struttura e quindi non deve contenere
vuoti che "accolgano" effluvi o che permettano assestamenti. Il termine
più caratteristico per indicare queste proprietà è nastovn, un vocabolo non
Capitolo quinto
219
filosofico caratterizzato dall'analogia con gli omonimi dolci pressati e
infarciti.
Ambedue le interpretazioni dell'atomo, quella derivante dalla prospettiva accademica e quella derivante dai testi democritei, si ritrovano nelle
testimonianze tarde, separate in quelle più antiche, fuse in quelle più recenti e per lo più intrecciate con quelle sull'atomismo epicureo, necessariamente il punto di riferimento più vicino e più conosciuto. Individuare i
percorsi di queste tradizioni è un'opera ardua, ma necessaria per ordinare
con una certa plausibilità anche la congerie di testimonianze sull'indivisibilità dell'atomo democriteo fonte incessante di dubbi e di discussioni. Ed
è quanto verrà fatto nel capitolo seguente.
Capitolo sesto
L'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito nella
dossografia tarda
1. Tradizione epicurea e peripatetica:
atomo indivisibile per la solidità
Nella dossografia tarda la tradizione che fa capo in qualche modo ad Aristotele e Teofrasto restituisce ovviamente solo i tratti superficiali di quelle
concezioni dell'atomo che invece sono ancora leggibili nei testi dei capostipiti. Si incontra infatti frequentemente l'attributo più generico plh're",
oppure quelli ripresi da Epicuro stereovn e sklhrovn con i rispettivi sostantivi stereovth" e sklhrovth". Il termine nastovn compare raramente
anche perché Epicuro non lo usa neppure laddove potrebbe farlo; nella
critica alla dottrina dell'infinità delle forme chiaramente diretta contro
l'atomismo antico, preferisce la "traduzione" mestovn1. Evidentemente lo
considerava un termine desueto e forse anche poco preciso.
In una serie di testimonianze tarde gli atomi vengono esplicitamente
definiti indivisibili per la loro solidità. Qui la tradizione di provenienza
teofrastea, che non accentua particolarmente la problematica dell'indivisibilità dell'atomo, ma pone soprattutto in rilievo la sua compattezza, viene
corroborata da quella epicurea che definisce esplicitamente l'atomo indivisibile per la solidità e per la mancanza di vuoto2. Stereovth", sklhrovth", i
termini epicurei, sono quelli di uso più frequente. A questa tradizione
epicurea si riallaccia il breve brano di stile dossografico sulla dottrina democritea di Diogene Laerzio, nel quale gli atomi sono definiti impassibili e
1
2
Ep. Ep. 1,42 a[toma tw'n swmavtwn kai; mestav. mestov" è una delle definizioni di nastov" del
lessico di Esichio (s. v. nastov") e mestav compare proprio dove ci si aspetterebbe nastav in
Stob. 1,16,1 (68 A 125 DK; 94, 214, 243, 487 L.) Dhmovkrito" fuvs ei me;n mhde;n ei\nai
crw'ma, ta; me; n ga;r stoicei' a a[poia, tav te mesta; kai; to; kenov n. I manoscritti riportano infatti concordemente mestav. La lezione nastav che si trova nei Vorsokratiker e in Diels 1879,
314 è una correzione di Diels stesso.
Cf. Schol. Dionys. Thrac. 116,11 Hilgard (Ep. Fr. 92 Us.) sw'ma stereo;n ajmevtocon kenou'
paremplokh'". Lucr. 1,485s.; 500; 510; 518s.; 548; 574; 609.
Capitolo sesto
221
inalterabili per la solidità3. Questo brano si differenzia in generale da quelli
di provenienza teofrastea per le tematiche e la terminologia che compaiono implicitamente o esplicitamente anche nelle opere di Epicuro e
degli epicurei e non invece nella dossografia su Democrito. Mi limito qui
ad indicare i punti più significativi a questo riguardo:
1. La massima secondo cui nulla nasce dal nulla né si dissolve nel nulla
attribuita da Diogene Laerzio a Democrito, viene enunciata esplicitamente
da Epicuro nella Epistola ad Erodoto4, ma è assente in generale nella
dossografia teofrastea sugli atomisti.
2. Anche la formula dell'infinità degli atomi per numero e per grandezza è di matrice epicurea e non aristotelica o teofrastea5. Epicuro, sempre nell'Epistola ad Erodoto, metteva in guardia contro l'assunzione di una
infinità di dimensioni che porterebbe a postulare anche atomi grandi. Da
questo presupposto si è generata poi la doxa secondo cui Democrito
avrebbe ammesso l'esistenza di atomi grandi come un mondo6.
3. La polemica contro coloro che avrebbero interpretato come semplice ricerca del piacere la dottrina dell'eujqumiva rientra nel campo dell'etica e si situa fuori della dossografia teofrastea (che contemplava solo la
fisica)7 e non può che provenire dagli Epicurei8.
4. L'allusione alla massima novmwi glukuv... nei termini riferiti da Diogene all'inizio del brano (non alla fine) è anch'essa entrata con Colote nella
tradizione epicurea9.
3
4
5
6
7
8
Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 215, 382 L.) a{per (scil. ta; a[toma) ei\nai ajpaqh' kai; ajnalloivwta dia; th; n sterrovthta. Cf. Ep. Ep. 1,44; 54.
Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 42, 382 L.) mhdevn te ejk tou' mh; o[nto" givnesqai mhde; eij" to;
mh; o]n fqeivresqai. Cf. Ep. Ep. 1,38s.; 54.
Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 184, 382 L.) kai; ta;" ajtovmou" de; ajp eivrou" ei\nai kata;
mevgeqo" kai; plh'qo". In Arist. De cael. G 4, 303a 4 compare invece la formula plhvqei me; n
a[peira megevqei de; ajdiaivreta (67 A 15 DK; 109, 292 L.).
Ep. Ep. 1,42s. tai'" de; diaforai'" oujc aJplw''" a[peiroi, ajlla; movnon ajp erivlhptoi ª...º eij
mevllei ti" mh; kai; toi'" megevq esin aJplw'" eij " a[peiron aujta;" ej kbavllein. Sugli atomi grandi
come un mondo v. infra, 3. 2. 2.
Diels 1879,167.
Diog. Laert. 9,45 (68 A 1 DK; 735 L.) tevlo" dæ ei\nai th;n eujqumivan, ouj th;n aujth;n ou\san
th'i hJdonh'i, wJ" e[ nioi parakouvs ante" ejxedevxanto, ajlla; kaqæ h}n galhnw'" kai; eujs taqw'" hJ
yuch; diavgei, uJpo; mhdeno;" tarattomevnh fovbou h] deisidaimoniv a" h] a[llou tino;" pavqou".
kalei' dæ aujth;n kai; euj estw; kai; polloi'" a[lloi" ojnovmasi. La descrizione dell'imperturbabi-
9
lità e della libertà dalla paura e dalla superstizione è di chiara matrice epicurea.
Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 93, 382 L.) ajrca;" ei\nai tw'n o{lwn ajtovmou" kai; kenovn, ta; dæ
a[lla pav nta nenomivsqai. Cf. Plut. Adv. Colot. 1110 E (61 L.); Diog. Oenoand. Fr. 7 II 2
Smith (61 L.). Per l'interpretazione Gemelli Marciano 1998. Bisogna tuttavia distinguere in
questo caso la parafrasi epicurea che compare all'inizio del breve sunto di Diogene, da
quella che invece compare alla fine (9,45 = 68 A 1 DK; 569 L.) poiovthta" de; novmwi (Zeller,
edd.: poihta; de; novmima codd.) ei\nai, fuvsei dæ a[toma kai; kenovn. Nietzsche 1870, 19 [219]
attribuiva questa aggiunta al fatto che Diogene si sarebbe rifatto ad un Fragmentum kata;
222
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
Si può dunque affermare che il brano di Diogene è uno dei più chiari
esempi di dossografia epicurea sull'atomo democriteo e non contiene nessun accenno all'indivisibilità dell'atomo per la piccolezza, ma solo per la
solidità.
Uno strato di tradizione peripatetica più tarda presente nei commentatori di Aristotele combina invece la terminologia aristotelico-teofrastea
con quella epicurea sulla falsariga però di definizioni aristoteliche. In
questo gruppo rientrano passi di Alessandro, del Filopono e di Simplicio.
Alessandro, nel commento al famoso passo sull'atomismo del primo libro
della Metafisica, sostiene che Leucippo e Democrito hanno definito il
"corpo" degli atomi pieno per la sua compattezza e perché non è mescolato col vuoto10. La terminologia aristotelico-teofrastea si arricchisce con
un ulteriore tratto tipico delle definizioni dell'atomo epicureo, la ajmixiva
col vuoto11, che non compare né in Aristotele né nei brani di ascendenza
teofrastea. La stessa definizione, lievemente modificata e attribuita congiuntamente a Leucippo, Democrito ed Epicuro, si incontra in un brano
del commento al De caelo di Simplicio: gli atomi sono impassibili per il
fatto che sono compatti e non partecipano (ajmoivrou") di vuoto12. Questa
seconda testimonianza mostra un'assimilazione dell'atomismo antico a
quello epicureo e deriva probabilmente da Alessandro stesso.
In un altro passo del commento alla Fisica Simplicio enumera i vari significati di indivisibile:
Se l'essere è uno in quanto indivisibile; poiché l'indivisibile si definisce in molti
modi: o quello che non è ancora stato diviso e che può essere diviso, come ciascuna delle grandezze continue, o ciò che per natura non è assolutamente divisibile in quanto non ha parti in cui essere diviso, come il punto e la monade, o per
avere parti e grandezza, ma essere impassibile per la solidità e la compattezza
come ciascuno degli atomi di Democrito13.
mevro". Si tratta invece di una aggiunta di Diogene stesso in base alla formula da lui cono-
10
11
12
13
sciuta attraverso la tradizione scettica. La stessa parafrasi ricompare infatti nel capitolo sugli
scettici (9,72).
Alex. In Metaph. 985a 21, 35,26s. (214 L.) plh're" de; e[legon (scil. Leuvkippo" kai; Dhmovkrito") to; sw' ma to; tw' n ajtovmwn dia; nastovthtav te kai; aj mixivan tou' kenou'.
Il termine usualmente adottato per l'atomo epicureo è ajmevtoco" kenou', cf. Ps.-Plut. 1,3,877
D-F e i passi di derivazione aeziana.
Simpl. In De cael. 275b 29, 242,18 (67 A 14 DK; 214 L.) ou|toi ga;r e[legon ajp eivrou" ei\nai
tw'i plhvqei ta;" ajrcav", a}" kai; ajtovmou" kai; ajdiairevtou" ejnovmizon kai; ajp aqei'" dia; to; nasta;" ei\nai kai; aj moivrou" tou' kenou'.
Simpl. In Phys. 185b 5, 81,34-82,3 (212 L.) eij de; ou{tw" e}n to; o]n wJ" ajdiaivreton, ejp ei; to;
ajdiaivreton pollacw' ", h] to; mhvpw dihirhmevnon oi|ovn te diaireqh'nai kaqav per e{kaston tw' n
sunecw' n, h] to; mhde; o{lw" pefuko;" diairei'sqai tw'i mh; e[c ein mevrh eij " a} ãa] nà diaireqh'i,
w{sper stigmh; kai; monav", h] tw'i movria e[c ein kai; mev geqo", ajp aqe;" de; ei\nai dia; sterrovthta
kai; nastovthta, kaqavp er eJkavs th tw'n Dhmokrivtou ajtov mwn. Simplicio, per il commento a
Capitolo sesto
223
Il modello è quello delle definizioni di uno di Metaph. I 1, 1053a 20-24
dove Aristotele distingue un indivisibile in assoluto, quale la monade, da
un indivisibile solo in relazione alla sensazione (in quanto ogni grandezza
continua è divisibile) come la linea di un piede. Rispetto al modello aristotelico, Simplicio amplia la gamma degli indivisibili con l'accenno all'atomo che viene comunque distinto dalla monade perché ha parti ed è
indivisibile solo per la sua solidità.
Nel commento al De anima l'autore (sia egli Simplicio o Prisciano14) distingue esplicitamente gli atomi democritei dalle monadi di Senocrate
proprio in virtù del fatto che gli uni sono indivisibili per la solidità e la
compattezza, le altre sono prive di parti e indivisibili in assoluto. Egli aggiunge, parafrasando Aristotele:
infatti, anche se Democrito concepisce il numero [dell'anima] come costituito da
corpuscoli, li pone indivisibili per la compattezza e inoltre indifferenziati per specie e per natura. […] L'anima è dunque secondo ambedue, Democrito e Senocrate, costituita da indivisibili della stessa natura. Infatti non c'è alcuna differenza,
in relazione all'essere numero, se i corpuscoli hanno una massa, che Aristotele ha
chiamato grandezza, mentre le monadi sono prive di parti, monadi che egli ha definito per questo piccole15.
Le monadi sono qui chiaramente concepite come ejl avcista kai; ajmerh'
indivisibili in assoluto, gli atomi invece sono indivisibili solo per la loro
compattezza. Una costante dunque di questo filone peripatetico è la netta
distinzione, in base alle definizioni aristoteliche, fra l'indivisibilità della
monade, priva di parti, e l'atomo indivisibile perché solido, ma fornito di
parti e di grandezza. Alcuni commentatori moderni hanno basato su queste testimonianze di Simplicio la loro interpretazione dell'atomo democriteo come teoreticamente divisibile16. Tuttavia questi passi non hanno
maggiore validità di altri in cui Simplicio dice che l'atomo è un indivisibile
14
15
questo passo della Fisica, attinge abbondantemente a fonti peripatetiche quali Alessandro
ed Eudemo stesso come risulta dal seguito (83,19ss.; 26ss.).
Il dibattito è aperto, cf. Hadot 1987, 23s. e 2002 la quale sostiene che, in ogni caso, non ci
sono argomenti sufficienti per negare la paternità dello scritto a Simplicio.
In De an. 409a 10, 64,2-7 (117 L.) ka]n ga;r ejk swmativwn tinw'n poih'i to;n ajriqmo;n oJ
Dhmovkrito", ajll ejx ajdiairevtwn dia; nastovthta kai; e[ti ajdiafovrwn kat ei\do" kai; th;n
uJpokeimev nhn fuvsin. ª...º ajriqmo;" ou\n kat aj mfotevrou" (scil. Dhmovkriton kai; Xenokrav thn) hJ
yuch; ejx ajdiairevtwn kai; ajdiafovrwn. oujde; n ga;r dioivsei pro;" to; ajriqmo;n ei\nai to; ta; me;n
swmavtia o[ gkon e[c ein, o} dh; mevgeqo" e[fh, ta; " de; monavd a" ei\nai ajmerei' ", a} " mikra; " dia;
tou'to ei\p en.
16
Cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1065 n. 2; Lur'e 1932-1933, 174 lo cita in appoggio alla tesi
della doppia indivisibilità degli atomi e dei minimi dell'atomo in Democrito; cf. anche 1970,
465. Contra Furley 1967, 95, il quale però ritiene affidabili le testimonianze che vanno in
senso contrario, su questo v. infra, 3. 4. Sul problema costituito in generale dalle testimonianze di Simplicio, cf. Guthrie II, 1965, 506s.; Krämer 1971, 270. Baldes 1972, 48s. accenna ad un possibile influsso delle definizioni aristoteliche sul brano di Simplicio senza
tuttavia porsi il problema della tradizione esegetica sottesa al passo.
224
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
per la piccolezza e privo di parti. A livello di testimonianze si tratta di
ajdiavfora e, come tali, vanno valutate. Ciò non toglie che anche questo
brano sia importante, come del resto tutti gli altri dei commentatori aristotelici, per ricostruire un brandello di tradizione scolastica che ha veicolato delle informazioni su Democrito.
Dallo stesso filone peripatetico tardo derivano alcune testimonianze
del Filopono. Sulla falsariga di alcuni brani espositivi aristotelici, il Filopono sottolinea come gli atomi degli atomisti (Leucippo, Democrito ed
Epicuro) siano indivisibili per la durezza, ma invisibili per la piccolezza17,
tenendo ben distinte le due caratteristiche. Per dimostrare come la piccolezza renda gli atomi invisibili, il Filopono cita l'esempio del pulviscolo
atmosferico su cui si ritornerà più diffusamente in seguito18.
2. Atomi privi di qualità e indivisibili per la solidità.
La tradizione stoicizzante:
Accademia scettica e classificazioni posidoniane
Un gruppo di testi presenta ancora ulteriori peculiarità rispetto ai precedenti: il nucleo di base è teofrasteo, gli atomi di Democrito ed Epicuro
vengono assimilati e definiti indivisibili per la solidità, ma il tutto rivela,
nella terminologia e nei concetti di fondo, un marcato influsso stoico. Tale
rappresentazione dell'atomo si fonda infatti sulla concezione stoica di
materia prima priva di qualità (u{lh a[poio"), principio passivo, cui si affianca un principio attivo, il dio19. In un buon numero di testi di questo
gruppo le notizie sull'atomismo sono inglobate in un contesto critico: gli
atomi (la materia) sono sì privi di qualità (come la materia stoica), ma sono
nel contempo anche impassibili (ajpaqei'") e non sottoposti ad alcun principio attivo e ordinatore, dunque non possono generare nulla. Questo tipo
di critica all'atomismo risale molto probabilmente già allo stoicismo antico. Nel catalogo delle opere di Cleante compaiono due titoli: Pro;"
17
18
19
Philop. In Phys. 184b 15, 25,5 (200 L.) Dhmovkrito" de; kai; Leuvkippo" kai; Epivkouro" ta;"
ajtovmou" kai; to; keno;n uJp etivqento ª...º ajtovmou" de; e[lege swvmatav tina dia; smikrovthta
ajfanh' kai; ajdiaivreta dia; sklhrovthta, oi| av eijsi dia; tw'n qurivdwn ejn tai'" ajkti'si koniortwvdh fainovmena yhvgmata, a{per ajfanh' givnetai mh; ejpilampouvsh" ajkti'no" ouj dia; to; mh;
ei\nai, ajlla; dia; th;n smikrovthta. Cf. anche In De gen. et corr. 316b 32, 39,4; In De an. 403b
31, 67,21 (200 L.).
V. infra, VII 5.
Cf. per Zenone SVF I 85, 24,6-7; per Cleante, SVF I 493, 110,25-29; per Crisippo, SVF II
300, 111,8-10 e passim.
Capitolo sesto
225
Dhmovkriton20 e un trattato Peri; tw'n ajtovmwn nel quale il filosofo sosteneva la dottrina dei due principi, passivo (u{lh a[poio" kai; paqhthv) e attivo
(qeov")21. Sfero, un allievo di Zenone e di Cleante, aveva anch'egli scritto
contro gli atomi e gli idoli22. Sicuramente, dunque, quelle critiche contro
l'incapacità generativa degli atomi e la mancanza di un principio ordinatore che emergono spesso negli autori tardi hanno la loro origine nello
stoicismo antico. L'Accademia di mezzo, però, che per il suo carattere non
dogmatico, si è servita di materiale di provenienza disparata, ha ripreso e
fatto propri a fini critici questi motivi.
I brani che verranno esaminati qui di seguito hanno in comune la definizione degli atomi di Democrito e di Epicuro (il nome di Leucippo
generalmente non compare) come indivisibili per la solidità e la critica ad
ambedue le dottrine così assimilate. Gli atomi vengono definiti ajpaqh' dia;
th;n sterrovthta e a[poia. Se ajpaqhv" è un termine tipicamente aristotelicoteofrasteo23, a[poio" caratterizza invece la definizione stoica di materia e
non compare come attributo dell'atomo né in Aristotele, né in Teofrasto 24
e neppure in Epicuro il quale concepiva pur sempre figura, grandezza e
peso come caratteristiche qualitative, per natura connesse al concetto
stesso di corpo25. Questa rappresentazione degli atomi è inserita per lo più
in un contesto critico marcato anch'esso da una concezione stoica dell'universo. In tali contesti si sottolinea che:
1. Gli atomi sono tutti di un'unica natura e privi di qualità (corrispondono cioè alla u{lh a[poio" degli Stoici), ma impassibili per la loro solidità
(contrariamente alla u{l h stoica per natura solo passiva).
2. Essendo tali e mancando un principio attivo, non possono generare
nulla.
20
21
SVF I 481, 107,1. Secondo von Arnim I, 1901, 138, 8, potrebbe trattarsi di un titolo diverso dell'opera Sugli atomi.
SVF I 493, 110,25-29. Un'eco di questa contrapposizione di Cleante all'atomismo si avverte nelle Irrisiones di Hermias che, fra le molte confusioni, riporta anche materiale pregevole come già osservava Diels 1897, 263. Cf. Herm. Irris. 14 (Cleante contro Epicuro) ajll
oJ Kleav nqh" ajpo; tou' frevato" ejp avra" th;n kefalh;n katagela'i sou tou' dov gmato" kai; aujto; "
ajnima'i ta;" ajlhqei'" ajrca;" qeo; n kai; u{lhn.
22
23
24
25
SVF I 620, 139,25.
Arist. De gen. et corr. A 8, 326a 1ss.; Theophr. De caus. plant. 6,7,2 (68 A 132 DK; 499 L.).
Per Aristotele e Teofrasto ajpaqev" designa già la mancanza di qualità (pavqo"), cf. Arist. De
sens. 6, 445b 11-13 (429 L.); Theophr. De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.); 69 (68 A 135 DK;
3, 441 L.).
Cf. in particolare Ep. 1,68s. Le attestazioni del termine che si trovano nel Glossarium Epicureum dell'Usener (Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24; Sext. Emp. Adv. Math. 9,335) sono contenute in esposizioni di matrice dossografica che non riportano la terminologia originale epicurea.
226
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
3. La teoria atomista non spiega dunque la realtà fenomenica. Come
potrebbero infatti generarsi degli esseri forniti di qualità da atomi solidi,
privi di qualità e incapaci di patire?
Le critiche all'atomismo sono state formulate in questi termini verosimilmente dagli Stoici antichi, ma sono attestate per la prima volta in
autori legati all'Accademia scettica. In effetti, come si può dedurre da Cicerone, anche gli Accademici argomentavano contro gli indivisibili. A
Carneade viene specificamente attribuita l'opinione che non esiste alcun
corpo indivisibile e tale da non poter essere frammentato26. Nel primo
libro del De natura deorum l'accademico Cotta giudica la concezione di un
cosmo continuo e privo di vuoto per lo meno più verosimile di quella
epicurea di un universo discontinuo fatto di indivisibili e di vuoto27. Varrone, nell'omonimo libro degli Academica, esponendo le tesi di Antioco,
ribadisce la teoria della continuità della materia e della sua infinita divisibilità "poiché non c'è assolutamente nulla nella natura di così piccolo che
non si possa dividere"28. Le critiche all'atomo indivisibile per la solidità,
impassibile e privo di qualità nei termini sopra indicati emergono poi qua
e là in Cicerone e si incontrano tutte insieme nella Contro Colote di Plutarco. Caratteristico di questi testi è il procedimento dialettico, tipico
dell'Accademia scettica, che tende ad annientare l'avversario sul suo stesso
terreno. Proprio questo carattere specificamente polemico anche nei confronti di Democrito e non solo di Epicuro distingue questo filone di tradizione sull'atomismo da un altro di tipo descrittivo, che si ritrova nella
vulgata tarda e risale verosimilmente a Posidonio. Tuttavia, in ambedue i
casi, pur con differenze specifiche, viene fornita una interpretazione dell'indivisibilità dell'atomo che emargina Leucippo e unifica le tesi di Democrito ed Epicuro.
26
27
28
Cic. De nat. deor. 3,12,29 (Carnead. F 8a, 93,24ss. Mette) Illa autem quae Carneades adferebat,
quem ad modum dissolvitis? Si nullum corpus immortale sit, nullum esse corpus sempiternum; corpus
autem immortale nullum esse, ne individuum quidem nec quod dirimi distrahive non possit.
Cic. De nat. deor. 1,23,65 Abuteris ad omnia atomorum regno et licentia; hinc quodcumque in solum
venit, ut dicitur, effingis atque efficis. Quae primum nullae sunt. Nihil est enim***quod vacet corpore; corporibus autem omnis obsidetur locus; ita nullum inane, nihil esse individuum postest. Haec ego nunc physicorum oracula fundo, vera an falsa nescio, sed veri tamen similiora quam vestra. Sulle fonti accademiche della critica ad Epicuro nel primo libro del De natura deorum, rimane ancora
fondamentale Hirzel I, 1877, 32-45. Sulla stessa linea anche Lévy 1992, 563ss.
Cic. Ac. 1,7,27 Cum sit nihil omnino in rerum natura minimum quod dividi nequeat. La fisica di
Antioco è marcata dai concetti stoici di materia priva di forma e passiva e principio attivo e
divino, cf. Ibid. 27-29. Sull'influsso della fisica stoica su Antioco, cf. Luck 1953, 46; Lévy
1992, 552-554.
Capitolo sesto
227
2. 1. La critica all'atomo indivisibile e privo di qualità nell'Accademia
scettica
L'Accademia scettica, proprio per il suo carattere non dogmatico, si
muove liberamente fra le diverse scuole filosofiche, riprendendo spunti e
motivi diversi da diverse parti e attingendo a piene mani anche dall'armamentario stoico29. In più occasioni lo schema dialettico e i contesti in cui
compare la descrizione dell'atomismo con relativa critica rimandano appunto all'Accademia. In questi casi più che parlare di una "fonte" comune
è più corretto parlare di una tradizione tramandata, anche oralmente, all'interno della scuola che perciò può presentarsi anche con varianti e aggiunte a dipendenza dell'uso personale e contingente delle argomentazioni
da parte dei vari autori30.
2. 1. 1. Cicerone: De natura deorum, Academica
L'uso di tesi stoiche contro l'atomismo da parte degli Accademici scettici è
particolarmente evidente in Cicerone il quale pone le argomentazioni
enunciate sopra al paragrafo 2 talvolta in bocca ad Accademici talvolta a
Stoici. Nel primo libro del De natura deorum è l'accademico Cotta a parlare
in questo modo contro Velleio, l'epicureo:
In che modo tuttavia nasce tutto questo apparato delle cose esistenti da corpi indivisibili? i quali, se anche ci fossero, ma in realtà non esistono, potrebbero forse
spingersi e urtarsi venendo a contatto uno con l'altro, ma non potrebbero generare forme, vita, colori31.
Nel secondo libro del De natura deorum è lo stoico Balbo a sostenere le
stesse tesi32, ma nel Lucullus è Cicerone stesso, in qualità di fautore delle
tesi di Filone di Larissa, a spiegare con argomentazioni simili il suo rifiuto
di aderire, tra le altre dottrine, anche a quella democritea. Se infatti volesse
29
30
31
32
Cf. in particolare la dipendenza delle argomentazioni di Carneade da Crisippo, Cic. Ac.
2,27,87 (Carnead. F 5, 85,67ss. Mette). Per la rielaborazione delle argomentazioni sul tevlo"
di Crisippo da parte di Carneade, cf. Algra 1997.
Sulla prassi della memorizzazione di argomenti, del resto ampiamente in uso nelle scuole di
retorica, cf. Mansfeld 1999, 15s.
Cic. De nat. deor. 1,39,110 Omnis tamen ista rerum effigies ex individuis quo modo corporibus oritur?
quae etiam si essent, quae nulla sunt, pellere se ipsa et agitari inter se concursu fortasse possent, formare figurare colorare animare non possent.
De nat. deor. 2,37,93-94 Hic ego non mirer esse quemquam qui sibi persuadeat corpora quaedam solida
atque individua vi et gravitate ferri mundumque effici ornatissimum et pulcherrimum ex eorum corporum
concursione fortuita? [...] Isti autem quem ad modum adseverant ex corpusculis non calore, non qualitate
aliqua (quam poiovthta Graeci vocant) non sensu praeditis sed concurrentibus temere atque casu mundum
esse perfectum. Sulla stessa linea si situano anche le critiche all'atomismo di De fin. 1,6,18 (68
A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.).
228
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
seguire Democrito, che peraltro egli stima, subito sarebbe incalzato da una
schiera di Stoici i quali gli chiederebbero:
Ma tu credi davvero che ci sia un qualche vuoto [...] o che esistano degli atomi
completamente diversi da qualsiasi cosa essi formino?33.
La flessibilità con cui Cicerone affida gli stessi argomenti a Stoici e Accademici è in perfetta consonanza con il carattere dialettico degli stessi e col
fatto che erano divenuti un patrimonio confutativo comune che poteva
essere utilizzato in diverse maniere e in diversi contesti.
2. 1. 2. Plutarco. Contro Colote
Il problema delle fonti della Contro Colote di Plutarco, anche dopo lo studio
di Westman 1955, non può considerarsi risolto. Egli, infatti, tende in generale ad attribuire a Plutarco stesso delle argomentazioni che fanno invece parte di schemi retorici diffusi e a trascurare il ruolo della tradizione
dell'Accademia scettica proprio nell'elaborazione e nella trasmissione di
queste argomentazioni. In una dissertazione del 1911, che costituisce in
effetti ancora oggi forse l'unico studio in qualche modo comprensivo delle
relazioni fra Plutarco e l'indirizzo scettico, Schröter aveva rilevato che
diversi punti della Contro Colote rimandano ad argomentazioni scettiche
nella tradizione dei tropi di Enesidemo34. Egli si è tuttavia limitato a
considerare il rapporto diretto Plutarco-scetticismo senza allargare la
ricerca ad una consuetudine di trasmissione scolastica tipica anche dell'Accademia scettica, non rifuggendo così da una certa episodicità e anche da
una certa inesattezza. La tesi dell'uso della tradizione accademica scettica
da parte di Plutarco, soprattutto in opere polemiche come la Contro Colote
e quelle contro gli Stoici, è stata ripresa negli ultimi decenni in un libro
fondamentale per la ricostruzione dell'immagine dell'Accademia scettica
quale quello di John Glucker35. Sulla sua scia altri studi moderni hanno
sottolineato inoltre come Colote stesso abbia diretto i suoi strali, fra gli
altri, anche contro autori prediletti dall'Accademia di Arcesilao e contro le
33
34
35
Cic. Ac. 2,40,125 Sin agis verecundius et me accusas, non quod tuis rationibus non adsentiar, sed quod
nullis, vincam animum cuique adsentiar deligam-quem potissimum? Quem? Democritum: semper enim, ut
scitis, studiosus nobilitatis fui. urguebor iam omnium vestrum convicio: 'tune aut inane quicquam putas esse
[...] aut atomos ullas, e quibus quidquid efficiatur, illarum sit dissimillimum'? L'argomento secondo
cui gli elementi devono essere omogenei rispetto a ciò di cui sono elemento ha le sue radici
nella distinzione crisippea fra elemento, che è appunto tale, e principio, che non lo è (SVF
II 408, 134,37).
Schröter 1911, 11ss. e passim.
Glucker 1978. Per questa tesi, cf. anche De Lacy 1953-1954; Jones 1916, 18s.; Donini
1986, 205.
Capitolo sesto
229
interpretazioni che quest'ultima ne aveva dato36. Ovviamente il problema
delle fonti della Contro Colote è complesso ed esula dai limiti di questo studio, ma alcuni passi in cui l'esposizione delle teorie atomiste è inquadrata
in un giudizio critico globale su di esse riflettono la stessa tradizione che si
ritrova nei testi di Cicerone.
1. Nella Contro Colote ricompare il leit-motiv ciceroniano del plagio
epicureo di Democrito. Quando introduce qualche innovazione, Epicuro
non fa che peggiorare la dottrina, per il resto copia37.
2. La critica agli atomi di Democrito e poi, successivamente, anche a
quelli di Epicuro, viene impostata negli stessi termini di quella dell'Accademico Cotta nel De natura deorum ciceroniano. L'accusa è sempre la stessa:
da atomi impassibili, solidi, privi di qualità non possono nascere esseri
viventi e forniti di qualità, anzi non possono formarsi neppure degli aggregati in quanto tali atomi, incontrandosi, rimbalzano e si allontanano
immediatamente uno dall'altro38.
3. Plutarco accenna, in diretta correlazione con la critica all'atomo impassibile, ad un motivo che riemerge in modo più esplicito e dettagliato
solo più tardi in un testo di Galeno39, quello dell'impossibilità per i corpi
36
37
Glucker 1978, 260s. L'immagine di Socrate che riflette la Contro Colote è ad esempio
perfettamente congruente con quella circolante nell'Accademia filoniana ancora ai tempi di
Cicerone (Ac. 1,4,16; 12,44; 2,23,74). Cf. Opsomer 1998, 101-105. L'incapacità di Socrate
di definirsi come uomo è un tema che ritorna nell'interpretazione "scettica" del filosofo riferita da Sesto Empirico (Adv. Math. 7,264; Pyrrh. Hyp. 2,22). E' probabile che Colote si sia
servito anche di una "vulgata" sui filosofi elaborata nell'Accademia di Arcesilao e assunta
anche dall'epicureismo. Cf. Caizzi 1986, 155; Gemelli Marciano 1998; Brittain-Palmer 2001;
Warren 2002. Plutarco gli rimprovera non solo di essersi servito di affermazioni degli autori che egli critica estrapolate dal loro contesto (Adv. Colot. 1108 D), ma di non averne
neppure letto i libri (come nel caso di Democrito, Adv. Colot. 1109 A). La confutazione di
Colote (o delle tendenze da lui rappresentate) in quanto avversario diretto dell'Accademia
scettica, doveva costituire un esercizio retorico non così inusuale nella tradizione della
scuola.
Plut. Adv. Colot. 1111 C-E oujk ou\n ajnagkai'on uJpoqevsqai, ma'llon de; uJfelevsqai Dhmokrivtou, ajtovmou" ei\ nai tw'n o{lwn ajrcav ": qemev nwi de; to; dovgma kai; kallwpisamev nwi tai'"
prwvtai" piqanovthsin aujtou' prosekpotevon ejsti to; duscerev", h] deiktevon o{pw" a[poia
swvmata pantodapa; " poiovthta" aujtw'i movnwi tw'i sunelqei'n parevscen. Cf. Cic. De fin.
38
1,6,17 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.); 1,6,21 (182, 350, 470 L.); De nat. deor. 1,26,73 (68
A 51 DK; XCIX L.); 1,33,93 (CIV L.); 1,43,120 (68 A 74 DK; 472a, 594 L.).
Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) tiv ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajp eivrou"
to; plh'qo" ajtovmou" te kai; ajdiafqovrou" (corr. Emperius: diafovrou" EB), e[ti de; ajpoivou"
kai; ajp aqei'" ej n tw'i kenw'i fevr esqai diesparmevna": o{tan de; pelavswsin ajllhvlai" h] sumpevswsin h] periplakw'si faivnesqai tw'n ajqroizomev nwn to; me; n u{dwr to; de; pu'r to; de; futo;n
to; de; a[nqrwpon, ei\nai de; pavnta ta;" ajtovmou", ijdev a" uJp aujtou' kaloumevna", e{teron de;
mhdevn: ejk me;n ga;r tou' mh; o[ nto" oujk ei\ nai gev nesin, ejk de; tw' n o[ntwn mhde;n a]n genevsqai
tw'i mhvte pavscein mhvte metabavllein ta; " ajtovmou" uJpo; sterrovthto": o{q en ou[te crov a ej x
ajcrwvstwn ou[te fuvsin h] yuch; n ejx ajpoivwn kai; ajpaqw' n uJp avrcein. Cf. Cic. De nat. deor.
39
1,39,110, supra, n. 31.
Infra, 3. 2. 3.
230
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
fatti di atomi e di vuoto di essere feriti o ammalarsi. L'obiezione è rivolta
principalmente contro le teorie epicuree, ma è valida in blocco anche
contro tutte le dottrine atomiste. A Colote che rimprovera ad Empedocle
di aver eliminato la possibilità per gli esseri viventi di ferirsi e ammalarsi,
Plutarco risponde che non è Empedocle ad aver fatto questo, ma semmai
le dottrine epicuree che hanno composto i corpi da atomi e vuoto, ambedue insensibili40. Si tratta di una critica diffusissima cui risponde lo stesso
Lucrezio nel secondo libro del De rerum natura41. Tale argomentazione fa
parte di una serie di confutazioni dialettiche che mirava a porre le dottrine
atomiste in una empasse: o gli atomi, in quanto impassibili, non possono
generare nulla che sia vivo e con tutte le caratteristiche dell'essere vivente,
cioè anche quella di ferirsi o ammalarsi, o, se non sono tali, anch'essi,
come tutti gli altri corpi viventi, sono esposti a malattia, dolore e dissoluzione e non possono essere eterni. L'insistenza sulla malattia e la dissoluzione come caratteristiche proprie dell'essere vivente è un motivo tipico di
Carneade così come il fatto che nessun corpo è immortale, indivisibile e
tale da non poter essere frammentato42. Filodemo, già nel I sec. a.C.,
rispondeva a queste critiche affermando che i corpi sono corruttibili non
in quanto corpi, ma in quanto partecipi del vuoto43.
Il brano di stile dossografico di Plutarco su Democrito con la relativa
critica agli atomi ha dunque le sue radici nella tradizione dell'Accademia
scettica così come la maggior parte dei riferimenti ciceroniani. La rappre-
40
Adv. Colot. 1113 E tivsin ou\n ajlhqw'" e{petai to; mh; traumativzesqai mhde; nosei'n, w\
Kwlw'ta… uJ mi'n toi' " ej x ajtovmou kai; kenou' sumpephgovsin, w| n oujd etevrwi mevtestin
aijsqhvsew".
41
42
43
Lucrezio (cf. in particolare 2,865ss.) confuta a sua volta punto per punto queste obiezioni
con l'armamentario scolastico sviluppato nell'epicureismo.
Cic. De nat. deor. 3,12,29 (Carnead. F 8a, 93,24 Mette) Illa autem quae Carneades adferebat, quem
ad modum dissolvitis? Si nullum corpus immortale sit, nullum esse corpus sempiternum; corpus autem immortale nullum esse, ne individuum quidem nec quod dirimi distrahive non possit; cumque omne animal
patibilem naturam habeat, nullum est eorum quod effugiat accipiendi aliquid extrinsecus, id est quasi ferendi et patiendi necessitatem, et si omne tale est, immortale nullum est [...] 13,32 Omne enim animal sensus habet; sentit igitur et calida et frigida et dulcia et amara nec potest ullo sensu iucunda accipere, non accipere contraria; si igitur voluptatis sensum capit, doloris etiam capit; quod autem dolorem accipit, id
accipiat etiam interitum necesse est. omne igitur animal confitendum est esse mortale. Cf. Sext. Emp.
Adv. Math. 9,139; 142 (Carnead. F 3, 80,2-3; 81,17-19 Mette); 151 (Carnead. F 3, 81,30
Mette).
Philod. De signis 25, 53,2 De Lacy eujqevw " ga;r [t]a; par hJmi'n swvmata [o]ujc h|i swvmat ejsti;n
fqartav ejstin ajll h|i fuvsew" hj nantiwmev nh" th'i swmatikh'i kai; eijktikh'" meteivlhfen.
oJmoivw" de; crwvmat e[c ei ta; par hJmi' n swvmata oujc h|i swv mat ejstivn. Il fatto che Filodemo
usi precedentemente il termine periodeuvein (cercare una sicura prova) tipico della termi-
nologia carneadea (Carnead. F 1, 72,26ss. Mette) potrebbe essere, più che un prestito (De
Lacy, ad. loc., 109 n. 59), una allusione ad attacchi accademici contro i principi epicurei in
questi termini.
Capitolo sesto
231
sentazione dell'atomo in questi testi rimane comunque costantemente
quella di un corpuscolo indivisibile perché solido.
2. 2. La vulgata di matrice posidoniana
Esiste tuttavia anche un'altra tradizione, più recente, interna allo stoicismo, cui si è già accennato nel secondo capitolo, che è divenuta la "vulgata"
negli autori di età imperiale. I suoi tratti distintivi rispetto al filone precedente sono: il carattere manualistico, lo stile dossografico e la classificazione di Democrito ed Epicuro (Leucippo non compare) fra coloro che
hanno posto come principi corpi indivisibili per la solidità, separati espressamente dai sostenitori di tesi corpuscolari. Questa classificazione risale
probabilmente a Posidonio che, secondo la versione più completa della
vulgata fornita da Sesto Empirico, riportava le origini della dottrina atomistica al saggio fenicio Moco44. I presupposti di questa distinzione fra
atomisti e corpuscolaristi sono ben chiariti da Sesto nel primo libro Contro
i Matematici in un passo nel quale vengono elencate le varie teorie di coloro
che ammettono dei corpi solo intellegibili: alcuni li ritengono insecabili,
altri li considerano divisibili. Questi ultimi vengono ancora distinti in due
sottogruppi: quelli che li pongono divisibili all'infinito, quelli che, pur ritenendoli divisibili, li fanno terminare in certi minimi privi di parti45. In questo schema gli atomi di Epicuro e Democrito (assolutamente indivisibili)
vengono costantemente distinti dai minimi privi di parti (ulteriormente
divisibili col pensiero), attribuiti esclusivamente a Diodoro. Se Posidonio
separava espressamente l'atomismo dalle dottrine corpuscolariste, si comprende perché nella sezione Sui minimi (Peri; ejl acivstwn) del cosiddetto
Aezio46, che risale in ultima analisi a lui, compaiano Eraclito, Empedocle,
Eraclide, Senocrate e Diodoro, ma non gli atomisti: gli ejlavcista infatti,
nella definizione risalente all'Accademia platonica e corrente nella filosofia
44
45
Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (68 A 55 DK; 124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro"
ajtovmou", eij mhv ti ajrcaiotevr an tauv thn qetevon th; n dovxan kai;, wJ" e[l egen oJ Stwiko;" Poseidwvnio", ajpo; Mwvcou tino;" aj ndro;" Foivniko" katagomev nhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomev nio"
oJmoiomereiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejlavcista kai; ajmerh' swvmata,
Asklhpiavdh" oJ Biquno; " ajnavrmou" o[ gkou". Per la menzione di Moco, cf. anche Strab.
16,2,24; Diog. Laert. Prooem. 1.
Sext. Emp. Adv. Math. 1,27 ajll ª...º ou[te nohto;n (scil. to; sw'ma ei\nai duvnatai) dia; to;
ajdhlei'sqai kai; auj to; tou'to aj nepikrivtw" diafwnei'sqai para; pa'si toi'" filosovfoi", tw'n
me;n a[tomon tou'to legov ntwn uJpavrcein tw' n de; tmhto;n, kai; tw' n tmhto;n famevnwn ei\nai ejnivw n
me;n eij" a[peiron tevmnesqai tou'to ajxiouv ntwn, ej nivwn de; eij" ejlavciston kai; ajmere;" katalhvgein. Sull'importanza di questo passo per decifrare un testo corrotto di Pseudo-Plu46
tarco e Stobeo, v. infra, 3. 3.
Ps.-Plut. 1,13, 883 B; Stob. 1,14,1 (Dox. 312).
232
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
di età tardo-ellenistica e imperiale, sono corpuscoli minimi ulteriormente
divisibili col pensiero anche se in realtà non divisi. Gli atomi non appartengono a quest'ambito.
Questa classificazione delle dottrine atomiste ritorna, con delle varianti, in diversi autori di età imperiale. Una di queste versioni, quella del
vescovo di Alessandria Dionisio (III sec. d.C.), è particolarmente interessante, non solo perché riporta un resoconto più ampio sull'atomismo
rispetto alle liste usuali, ma anche perché ha scatenato ipotesi e discussioni
sulla dimensione degli atomi democritei. Dionisio oppone ai monisti
(Platone, Pitagora gli Stoici ed Eraclito) gli atomisti come sostenitori di
una infinità di principi e di una sostanza infinita, ingenerata e non regolata
da alcuna provvidenza (un altro tratto su cui insistono spesso i resoconti
tardi di matrice stoica). A Epicuro e a Democrito attribuisce espressamente atomi indivisibili per la solidità e intravvede una diaphonia solo nel
fatto che Democrito avrebbe assunto addirittura degli atomi grandi come
un mondo, mentre Epicuro li avrebbe concepiti tutti come piccolissimi.
Quest'ultimo dettaglio, che si trova anche in Stobeo47, deriva, come ha
dimostrato O'Brien, da un pre-supposto e cioè dal motivo epicureo dell'esistenza di parti dell'atomo cui consegue una correlazione fra varietà di
forme e varietà di grandezza: se l'atomo è formato di parti, una variazione
infinita di forme, produce una variazione infinita anche di volume. Questa
correlazione viene esplicitamente istituita da Lucrezio48 e tacitamente presupposta sia dai dossografi antichi che dagli storici della filosofia moderni49. Un altro fatto non è però mai stato rilevato e cioè che questa
47
48
49
Stob. 1,14,1 (Dox. 311; 68 A 47 DK; 207 L.) dalla stessa fonte, che non è direttamente
epicurea come vuole Diels, Vors. II, 96 n. ad loc., ma si basa semmai su dei presupposti
epicurei secondo cui gli atomi sono infiniti per numero e per grandezza (cf. anche Diog.
Laert. 9,44, supra, n. 5).
2, 479-499.
O'Brien 1982, 191ss. I moderni si sono spesso limitati a utilizzare questo passo senza
discuterlo criticamente. Bailey 1928, 126-28 vi vedeva una conferma della differenza da lui
ipotizzata fra Leucippo e Democrito; invece di un atomo indivisibile per la piccolezza,
Democrito avrebbe assunto un atomo indivisibile per la solidità e un'infinità di forme che
avrebbe portato anche alla possibilità di un atomo grande e visibile. L'infinità di forme,
tuttavia, è attribuita espressamente da Aristotele (De gen. et corr. A 2, 315b 6ss. = 67 A 6
DK; 240 L.) e da Teofrasto (Fr. 229 FHS&G = 67 A 8 DK; 147 L.) sia a Democrito che a
Leucippo. Più fantasiosa l'interpretazione data da Mau 1954, 24 il quale, vedendo nell'atomo democriteo un minimo matematico e una misura, fa dell'atomo grande come un
mondo una misura delle grandezze astronomiche (grandezze che richiedono una unità di
misura molto grande). Mugler 1956, 234 vede nell'atomo grande l'applicazione del principio di isonomia (l'argomento dell'indifferenza) il quale tuttavia non viene mai enunciato rispetto alla grandezza, ma alle forme. Altrove (1959, 11) contempla la possibilità che Democrito potesse pensare che, in mondi diversi dal nostro, potessero esistere atomi di
grandezza maggiore di quelli costituenti mediamente il nostro mondo, ma qui siamo nel
campo della pura speculazione. Makin 1993, 63 riprende l'argomento dell'indifferenza delle
Capitolo sesto
233
affermazione così specifica è una presa di distanza da un'altra rappresentazione del rapporto Epicuro-atomisti antichi, che ritorna nei padri della
chiesa e verrà esaminata in seguito, secondo la quale il primo avrebbe
posto atomi indivisibili per la solidità, gli altri invece atomi indivisibili per
la piccolezza. Qui viene ribadito proprio il contrario: Democrito, lungi dal
sostenere questa ipotesi, ha invece ammesso atomi grandissimi poiché li
riteneva, come Epicuro, indivisibili per la solidità. Nel seguito del resoconto Dionisio riproduce in maniera confusa lo schema classificatorio
della vulgata, distinguendo gli atomisti da Diodoro, Eraclide ed Asclepiade,
ma elimina la differenza sostanziale fra gli uni e gli altri facendone una
questione di mera denominazione: i corpuscolaristi avrebbero solo "cambiato nome agli atomi" chiamandoli "minimi privi di parti" o "o[gkoi"50 .
La versione fornita da Dionisio risale probabilmente ad una fonte neopitagorica che interpretava come principio di Pitagora, e quindi anche di
Platone, l'uno inserendo ambedue fra i monisti. Tale fonte ha rielaborato
un resoconto di matrice stoica così come hanno fatto anche altri autori di
50
forme e sostiene che, per una forma di "charity", si devono far trarre a Democrito tutte le
conseguenze di questo argomento anche per le grandezze. Lur'e 1970, 464 accetta senza discussione la testimonianza. Alfieri incline in 1936 ad una valutazione positiva dei testi di
Dionisio e di Stobeo (13 n. 49; 19 n. 75; 80 n. 151; 94 n. 207), vi vede invece in 1979, 67
(cf. anche 1952, 149) una sorta di glossa critica non riferibile alla dottrina democritea
stessa, bensì alle conseguenze che se ne potevano trarre. Così anche Guthrie II, 1965, 394s.
e Furley 1967, 96.
Dionys. ap. Eus. Praep. Ev. 14, 23,1-4 (68 A 43 DK; 219, 265, 299, 310 L.) povteron e{n ejsti
sunafe; " to; pa'n, wJ" hJ mi'n te kai; sofwtavtoi" tw'n ÔEllhvnwn Plav twni kai; Puqagovrai kai;
toi'" ajpo; th' " Stoa' " kai; ÔHrakleivtwi faivnetai ª...º h] kai; polla; kai; a[peira, w{" tisin
a[lloi" e[doxen, oi} pollai'" th'" dianoiva" paraforai'" kai; poikivlai" proforai'" ojnomavtwn
th;n tw'n o{lwn ejpeceivrhsan katakermativzein oujsiv an a[peirovn te kai; ajgev nhton kai; ajpronovhton uJpotivqentai… oiJ me;n ga;r ajtovmou" proseivponte" a[fqartav tina kai; smikrovtata
swvmata plh'qo" ajnavriqma kaiv ti cwrivon keno; n mev geqo" ajp eriovriston probalovmenoi,
tauvta" dhv fasi ta;" ajtov mou" wJ" e[tucen ej n tw'i kenw'i feromevna" aujtomavtw" te sumpiptouvsa" ajllhvlai" dia; rJuvmhn a[takton kai; sumplekomev na" dia; to; poluschvmona" ou[sa"
ajllhvlwn ejpilambav nesqai, kai; ou{tw tovn te kovsmon kai; ta; ej n aujtw'i, ma' llon de; kovsmou"
ajpeivrou" ajpotelei'n. tauv th" th' " dovxh" Epivkouro" gegovnasi kai; Dhmov krito": tosou'ton de;
diefwvnhsan o{son oJ me; n ejlacivsta" pavs a" kai; dia; tou'to aj nepaisqhvtou", oJ de; kai; megivsta" ei\ naiv tina" aj tovmou" oJ Dhmovkrito" uJpevl aben. ajtovmou" de; ei\naiv fasin ajmfovteroi
kai; levgesqai dia; th; n a[luton sterrovthta. oiJ de; ta; " ajtovmou" metonomavs ante" ajmerh' fasin ei\ nai swvmata, tou' panto;" mevrh, ejx w|n ajdiairevtwn o[ ntwn suntivqetai ta; pavnta kai; eij"
a} dialuv etai. kai; touvtwn fasi; ajmerw' n oj nomatopoio;n Diovdwron gegonevnai: o[noma dev, fasivn, auj toi'" a[llo ÔHrakleivdh" qevmeno" ejkavlesen o[gkou", par ou| kai; Asklhpiavdh" oJ ijatro;" ejklhronovmhse to; o[noma. Cf. per l'ultima parte [Gal.] Ther. ad Pis. 11 (XIV,250 K.) ejx
ajtovmou kai; tou' kenou' kata; to;n Epikouvrou te kai; Dhmokrivtou lovgon suneisthvkei ta;
pavnta, h] e[k tinwn o[gkwn kai; povrwn kata; to;n ijatro; n Asklhpiavdhn: kai; ga;r ou{tw"
ajllavxa" ta; oj novmata movnon kai; ajnti; me; n tw' n ajtovmwn tou;" o[gkou", aj nti; de; tou' kenou' tou; "
povrou" lev gwn th;n aujth; n ej keivnoi" tw' n o[ntwn oujsivan ei\nai boulovmeno".
234
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
età imperiale51, ma ha dato una diversa versione della diaphonia fra Epicuro
e Democrito rispetto a quella che è accennata nella dossografia aeziana e si
ritrova in altri autori della tarda età imperiale.
3. Atomo indivisibile per la piccolezza e minimo fisico
negli autori tardi
Nel capitolo quinto si è parlato di una interpretazione dell'atomo degli
atomisti antichi come "minimo" alla luce di una problematica logico-ontologica e di una visione matematizzante della realtà sensibile tipica dell'Accademia antica. In questa ottica l'atomo diviene l'unità ultima che ordina e misura il sensibile, il minimo privo di parti relativo e, come tale,
viene posto sullo stesso piano di un corpuscolo sempre divisibile con la
mente, anche se in pratica mai diviso. Tale interpretazione, che influenza
la presentazione aristotelica dell'atomismo nei contesti che trattano la
problematica degli indivisibili, si ripresenta anche nella tradizione successiva, se pure con una frequenza del tutto inferiore a quella della rappresentazione dell'atomo pieno e compatto di matrice aristotelico-teofrastea.
Se si può tracciare una storia di questa particolare esegesi dall'Accademia
scettica fino a Simplicio, resta tuttavia difficile riempire quel vuoto che
separa gli allievi più prossimi di Platone dall'Accademia di Arcesilao, una
difficoltà connaturata con la profonda trasformazione operatasi nella
scuola sotto lo scolarcato di quest'ultimo52. Tale lacuna, nel caso specifico
come in tante altre problematiche correlate alla seconda Accademia, può
51
52
Sesto varia presentando non un elenco, ma una opposizione fra sostenitori dei vari principi
principi corporei e incorporei, che la versione originale probabilmente non contemplava.
Inoltre, rispetto a Dionisio, assegna agli Stoici quattro principi, classifica Pitagora e Platone
fra i sostenitori dei principi incorporei e li qualifica non come monisti, ma come pluralisti
tenendoli ben distinti uno dall'altro (Pitagora ha assunto come principi i numeri, Platone le
idee). Ippolito (Ref. 10,6,1-7) fornisce una ulteriore versione ancora più complessa, probabilmente di provenienza medioplatonica in quanto a Platone sono attribuiti i classici tre
principi medioplatonici: dio-materia-modello. Gli Stoici vengono inseriti fra i monisti,
come in Dionisio, ma la lista dei sostenitori di infiniti principi si presenta ulteriormente
rielaborata in base alla distinzione: uguali a ciò che essi generano (Anassagora)/ diversi da
ciò che essi generano. Sotto quest'ultima voce vengono distinti coloro che pongono principi diversi e impassibili (Democrito ed Epicuro) da quelli che pongono invece principi diversi, ma capaci di patire (Eraclide e Asclepiade). Si tratta, come si vede, di schemi flessibili
e adattati in base alle esigenze di ciascuna scuola filosofica.
Uno stacco dall'Accademia platonica e radici peripatetiche ipotizza Weische 1961. Una
continuità nella tradizione accademica, soprattutto per quanto riguarda il metodo dialettico
e la base logica della dottrina delle idee e delle categorie, e dunque uno sviluppo della seconda Accademia sui metodi di fondo dell'Accademia platonica tramandatisi all'interno
della scuola, vi vede Krämer 1971, cap. I.
Capitolo sesto
235
essere colmata solo da ipotesi più o meno plausibili. Sta di fatto che comunque l'interpretazione del corpuscolo solido come ejl avciston kai; ajmerev", minimo indivisibile per la piccolezza e privo di parti, riemerge nella
tradizione tarda collegata, però, in particolare al nome di Leucippo. Solo di
riflesso e per gli accidenti della trasmissione viene talvolta estesa anche agli
atomi di Democrito e persino a quelli di Epicuro. Bailey aveva ricostruito
una dottrina atomista di Leucippo diversa da quella di Democrito appoggiandosi soprattutto a questo filone53.
3. 1. Le premesse. Epicuro fra l'Accademia e Aristotele:
atomi solidi e minimi dell'atomo
La tradizione tarda che presenta l'atomo degli atomisti antichi come
ejlavciston kai; ajmerev" ha come tratto distintivo la diaphonia fra Leucippo
(talvolta anche Democrito) ed Epicuro: ad un atomo, minimo indivisibile
per la piccolezza e privo di parti degli atomisti antichi, Epicuro avrebbe
contrapposto il suo atomo indivisibile per la solidità. Si tratta di una rappresentazione opposta a quella del filone precedentemente esaminato che
invece vede una sostanziale concordanza fra Epicuro e Democrito. Per
verificare se tale diaphonia rispecchi veramente la posizione di Epicuro o
sia solo una ricostruzione a posteriori, è opportuno fare una digressione
sui fondamenti dell'atomismo epicureo.
La definizione dell'ejlavciston come ajmerev" e misura di ogni singolo
livello dell'essere e la sua utilizzazione per la soluzione delle aporie zenoniane, risale, come si è visto, a Senocrate. Aristotele non designa mai
esplicitamente gli atomi di Democrito e Leucippo come ajmerh', ma applica questa definizione agli indivisibili matematici, in particolare al punto,
estendendone però la denotazione, in contesti diretti contro gli Accademici, anche alle grandezze prime di ogni livello54. Nel sesto libro della
Fisica si produce in un minuzioso esame dei problemi che questo concetto
di indivisibile privo di parti comporta se applicato all'ambito della fisica,
caratterizzato per eccellenza dal movimento. O si nega il movimento in
atto (praticamente ricadendo nell'assurdo ancora più grave di ammettere
che un oggetto non è mai in movimento, ma si è comunque mosso) o si
deve concedere che non esistono indivisibili. Queste critiche non hanno
come obiettivo principale Leucippo e Democrito cui Aristotele non attribuisce mai primariamente degli atomi privi di parti, ma gli Accademici55.
53
54
55
Bailey 1928, 78ss.
In particolare Phys. Z 1-2, cf. Krämer 1971, 265s.
Cf. Krämer 1971, 288ss.
236
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
Questa premessa è indispensabile per comprendere le ragioni profonde
della doppia caratterizzazione dell'indivisibile in Epicuro che sembra aggiungere ad un atomismo fisico una appendice matematizzante suggerita
da ragioni teoriche, ma priva di una valenza fisica effettiva. Non è il caso
di dilungarsi sul ruolo svolto dalle critiche aristoteliche agli indivisibili privi
di parti della Fisica nell'elaborazione del concetto di minimo assoluto da
parte di Epicuro56 e neppure sull'influsso esercitato dall'Accademia, un
tema anch'esso già ampiamente trattato57. E' importante invece rivedere le
modalità di ricezione di questi influssi. Epicuro stabilisce chiaramente una
distinzione fra aspetto fisico e aspetto logico del problema degli indivisibili: l'atomo è il principio ultimo ipotizzabile nel campo della fisica, il minimo dell'atomo quello ipotizzabile nell'ambito della teoria, ma solo il
primo costituisce il fondamento della realtà, mentre l'altro esiste solo kat
ejpivnoian e ha quindi una funzione meramente logica. Esso serve a spiegare certi fenomeni (quali ad esempio il fatto che l'atomo abbia una grandezza58, ma non infinite variazioni59), ma non li genera. A mio parere si
tratta di un elemento fondamentale, sostanzialmente polemico contro le
concezioni accademiche. Si è visto che nel brano di Sesto Empirico Contro
i Matematici60 i cosiddetti Pitagorici rimproveravano agli atomisti antichi
proprio la mancanza di quella ulteriore scomposizione mentale (kat
ejpivnoian) che, spingendosi al di là dell'apparente eternità del mondo fisico, li avrebbe portati a scomporre i corpi, per natura composti, nei più
principianti incorporei matematici. Si è visto, d'altra parte, come Aristotele
contrapponesse all'atomismo, secondo lui infecondo e statico, degli Accademici proprio quello degli atomisti antichi capace, se non altro, di generare degli oggetti fisici e in movimento e come attribuisse agli oggetti matematici un valore unicamente logico. Soprattutto nel quadro di queste due
posizioni fondamentali del dibattito sull'atomismo fra l'Accademia e il
Peripato, mi sembra si debba inserire la dottrina epicurea. Si tratta infatti
di un compromesso fra l'ontologia matematizzante degli Accademici, che
rimproveravano agli atomisti di non aver cercato le vere cause intellegibili
del reale, e la fisica atomista ripresa e giustificata sulla base delle critiche
aristoteliche all'Accademia. In questo senso la dottrina epicurea dei minimi
dell'atomo costituisce anche una conferma indiretta dell'autenticità della
polemica di Senocrate e degli Accademici contro gli atomisti. Epicuro
accetta il principio accademico della scomposizione mentale privandolo
56
57
58
59
60
Cf. su questo soprattutto Mau 1954, 27ss.; Furley 1967, cap. 8.
L'opera fondamentale su questo aspetto è Krämer 1971, 231ss. Cf. anche Isnardi Parente
1980b, 367-392; 1981, 24s. n. 40.
Ep. Ep. 1,59.
Lucr. 2,481-499.
10,255ss., supra II 4.
Capitolo sesto
237
però di una validità ontologica e fondandolo su altre premesse metodologiche legate all'empiria e al ragionamento induttivo, non più al metodo
matematico di sottrazione. Il minimo dell'atomo viene infatti inferito per
analogia col minimo sensibile e non per scomposizione del corpo nelle sue
componenti matematiche ai vari livelli. Vengono invece accettati i minimi
privi di parti dell'Accademia nel loro carattere di limiti e unità di misura
solo perché servono a spiegare fenomeni visibili, ma non viene loro attribuita una esistenza autonoma61. A questo proposito è da rilevare l'analogia
dei minimi dell'atomo con la concezione delle qualità costitutive del
corpo: figura, grandezza, peso. Anch'esse sono entità noetiche senza le
quali un corpo non può essere concepito come tale, ma non hanno un'esistenza indipendente. Con questo Epicuro rifiuta implicitamente le idee
incorporee platoniche come entità a sé stanti e si allinea sulle posizioni
delle Categorie aristoteliche. Sia nella teoria dei minimi che nella concezione
del corpo egli opera dunque una netta distinzione fra fisica e logica, sulla
base delle obiezioni agli Accademici e delle conseguenti teorie elaborate da
Aristotele. Questo spiega perché, nonostante le critiche aristoteliche della
Fisica agli indivisibili, Epicuro mantenga degli indivisibili ultimi e assuma
ciò che Aristotele aveva rifiutato come assurdo e cioè che qualcosa si è
sempre mosso, ma non è in movimento attuale62. Proprio perché Epicuro
distingue nettamente il presupposto logico, utile a spiegare il fenomeno,
dalla realtà del fenomeno stesso, egli accetta alcune tesi accademiche e nel
contempo alcune tesi aristoteliche. Siccome per lui l'infinito è qualcosa di
61
62
Nella particolare argomentazione a favore dell'assunzione di un minimo privo di parti
come argine alla divisibilità all'infinito di Lucr. 1,615-627, Furley 1967, 36-38, individua
giustamente un riferimento alla tradizione argomentativa accademica. Lucrezio sostiene
che, se non si concepissero dei minimi dell'atomo, anche i corpi piccolissimi sarebbero
composti di infinite parti e niente sarebbe finito. Non ci sarebbe dunque nessuna differenza fra la somma delle cose, infinita, e la cosa più piccola, anch'essa infinita. Furley, contro tutta la tradizione interpretativa che vi vedeva una polemica antistoica, fa notare come
questo argomento lucreziano rechi i tratti del primo argomento a favore degli indivisibili
del trattato De lineis (968a 2): la distinzione fra molto e poco è appunto là garantita dall'esistenza di ajmerh'. Isnardi Parente 1980b, 375, individua anche nella definizione del minimo
come misura, che distingue negli atomi il più piccolo e il più grande (Ep. 1,59), un implicito
influsso delle categorie platonico-accademiche del grande e del piccolo. Il minimo sarebbe
dunque un elemento che limita e definisce l'oscillazione grande/ piccolo.
Sono i due punti con cui alla fine devono confrontarsi tutti coloro che accettano senza
riserve la presentazione di Simplicio (v. infra, 3. 4) della teoria epicurea come correzione
dell'atomismo antico in seguito alle critiche aristoteliche. Cf. Silvestre 1985, 70ss., che è poi
costretta ad attribuire ad Epicuro la svista di aver trasferito in realtà sui minimi le caratteristiche degli atomi di Democrito. Furley 1967, 128s. ammette di non aver trovato nessuna
testimonianza del perché Epicuro abbia spostato sui minimi dell'atomo l'assoluta indivisibilità e non abbia invece assunto un atomo indivisibile in assoluto come quello Democriteo. Infatti adottando il principio, rifiutato da Aristotele, che l'atomo si è mosso in ogni
momento, ma non si muove mai, cioè ammettendo che il tempo è fatto anch'esso di indivisibili, non ci sarebbe stato bisogno di modificare la concezione dell'atomismo antico.
238
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
reale e di esistente in atto accetta, contrariamente ad Aristotele, l'arresto
della divisione e gli indivisibili. Dato che inoltre si devono spiegare alcuni
fatti connessi con gli indivisibili, quali ad esempio la grandezza e la diversità delle forme, accetta anche l'ulteriore divisibilità teoretica dell'atomo,
ma solo in funzione della giustificazione di questi fenomeni. I suoi minimi
non esistono separati dall'atomo, dunque gli Accademici hanno ragione a
ipotizzare un limite all'infinita divisione che vada al di là dei corpi, ma
sbagliano quando scompongono il corpo nelle figure matematiche assegnando loro una validità reale e ponendole a fondamento del mondo fisico.
Un tratto tipicamente epicureo è la critica a Platone e all'Accademia
attraverso la rielaborazione di argomentazioni aristoteliche rivolte contro
di loro. La critica alle forme geometriche degli elementi è condotta ad
esempio con argomenti tratti dal terzo libro del De caelo63. Aristotele, polemizzando contro le figure geometriche elementari accademiche, aveva
affermato che, se non si pongono queste figure come indivisibili, una
parte del fuoco non sarà fuoco né una parte di terra, terra, in quanto le
parti di una piramide non sono piramidi, né quelle del cubo o della sfera,
cubi o sfere. Epicuro "traduce" il concetto generale di indivisibilità, cui
Aristotele accennava, nei suoi termini (indivisibile uguale ad assolutamente
solido) e rivolge la critica aristotelica contro le figure elementari accademiche: queste non sono indivisibili perché non sono solide. Non preesistendo questa condizione, si possono immaginare non solo divisibili all'infinito, ma anche in una grande varietà di forme, diverse dai quattro solidi e
dai triangoli64. La critica alle forme atomiche di Platone e degli Accademici
fornisce un esempio del modo di procedere di Epicuro nella definizione
dei fondamenti della dottrina atomistica:
1. Ponendo come causa dell'indivisibilità degli elementi primi la solidità, egli nega che le quattro forme elementari possano essere i principi del
mondo fisico e rivaluta nel contempo la tesi della varietà delle forme atomiche contro quella di forme matematiche ben definite.
63
64
De cael. G 7, 306a 30-35 ajnavgkh ga;r o{soi sch'ma poiou'sin ejkavstou tw'n stoiceivw n kai;
tou'twi diorivzousi ta; " oujsiva" aujtw' n, ajdiaivreta poiei' n aujtav: th' " ga;r puramivdo" h] th'"
sfaivra" diaireqeivsh" pw" oujk e[stai to; leipovmenon sfai'ra h] puramiv". Cf. anche 305b
31-306a 1 e Arrighetti 1973, 606s.
Ep. Peri; fuvsew", Fr. [29.23] Arr. pw'" a[n ti" u{dwr h] ajevªrºa dianohqeivhi h] pu'r, ejpei; oujd
a]n gh'n sterea;n kai; ajdiavl uton dianohqeivhi ti", mh; o{ti tau'ta, a[llw" tãeà kai; kªinduneuvw n
eij"º ªa[ºpeiron e{kasªton aujtw'n tevº mnein w{sper oiJ tau'ªtaº ajpofainovmenoi tevmnousin. eij
ga;r mh; stereo;n e{kaston touvtwn nohqhvs etªaºi, polla;" kai; pantoi'a" katªa;º ta;" toma;"
fantasiva" par askeua'i schmavtwn kai; oªujº tªrºivgwna ªoºujde; puramivda" oujde; kuv bou" oujd
a[llo oujqe;n wJªrºismev non sch'ma. oªujqºe; n gªa;ºr piqano; n e[coien ªa]º n lev gein wJ " ma'llovn ti
ªta;º oJrwvmena tau'ta ªta;º tªevtºtara ªei[ºdh ejªsºti;ª.
Capitolo sesto
239
2. A questo scopo utilizza la critica aristotelica alle forme geometriche
e ai corpi matematici come elementi del mondo fisico65.
3. Epicuro accetta però anche l'assunto accademico della limitatezza
delle forme e delle grandezze in quanto questo spiega perché nessun
atomo sia visibile. Nasce dunque quello strano ibrido secondo cui la varietà delle forme non è infinita, ma solo inconcepibile66.
Ci sono dunque buone ragioni per credere che Epicuro abbia operato
allo stesso modo nell'ambito della teoria dell'atomo e dei minimi:
1. Rivalutando la fisica democritea basata su corpuscoli assolutamente
solidi come fondamenti ultimi del mondo fisico e facendo della solidità e
della compattezza l'unico vero criterio di indivisibilità.
2. Utilizzando la critica aristotelica contro la scomposizione ulteriore
dei corpi in elementi matematici degli Accademici.
3. Accettando di questi ultimi la divisione del corpo fino ai suoi limiti
concettuali che permettono di pensarlo come finito, fornito di grandezza e
di forme limitate, ma privando di qualsiasi valore reale questa scomposizione e facendone solo una necessità logica.
Epicuro definisce infatti l'atomo come "corpo solido privo di vuoto al
suo interno"67, assumendo un criterio di indivisibilità fisico, non matematico. Egli inoltre non definisce l'atomo come un minimo privo di parti
perché quest'ultimo concetto appartiene al livello non della realtà fisica,
ma della logica. Il minimo epicureo è il limite (delle lunghezze)68 e l'unità di
misura prima69 come quello degli Accademici, ma nell'Epistola ad Erodoto
viene confinato espressamente con una espressione fortemente allusiva
alla "dia; lovgou qewriva ejpi; tw'n ajoravtwn". Questa espressione non indica
genericamente "un metodo di ragionamento che si applica alle cose invisibili" (secondo la traduzione di Arrighetti), ma allude molto specificamente
all'"esame dialettico nell'ambito degli invisibili", a quel metodo cioè che
Aristotele attribuisce agli Accademici definendoli oiJ logikw'" skopou'nte"
e opponendoli a Democrito immediatamente prima del brano sugli indivi65
66
67
68
69
Cf. per la prima parte del frammento precedente le critiche di Arist. De cael. G 7, 306a 3035. Arrighetti 1973, 605s., ad loc.
Ep. Ep. 1,42 per le forme; cf. per le grandezze, 55-56.
Fr. 92 Us., v. supra, n. 2.
Ep. Ep. 1,59. Il fatto che questi vengano definiti limiti delle lunghezze non può che far
pensare alle linee indivisibili di Senocrate, cf. Isnardi Parente 1980b, 376; 1981, 25 n. 40.
Ep. Ep. 1,59 e[ti te ta; ejlavcista kai; ajmerh' pevrata dei' nomivzein tw'n mhkw'n to; katamevtrhma ej x aujtw' n prw'ton toi'" meivzosi kai; ejlavttosi paraskeuavzonta th'i dia; lovgou
qewrivai ejpi; tw'n ajoravtwn. Per il testo di questo brano mi attengo all'edizione di Arrighetti
1973 che accetta la correzione del von Arnim di ajmigh' dei codici in ajmerh' (cf. von Arnim
1907, 398 n. 5; Krämer 1971, 246 n. 53; Isnardi Parente 1980b, 372 n. 10) e la lezione
prw'ton di BFZf contro prwvtwn degli altri codici, di Usener e dello stesso Krämer 1971,
247. Cf. anche Isnardi Parente 1980b, 375 n. 17.
240
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
sibili in De generatione et corruptione A 2. Dato che il campo degli ajovrata
comprende anche gli atomi, in questa precisazione di Epicuro si può leggere una implicita distinzione fra due ambiti di ricerca sugli elementi invisibili: quello fisico, che fonda la realtà, e quello dialettico, funzionale a
questo e valido unicamente per giustificarne certi caratteri, ma non in sé.
Nel secondo capitolo si è visto come i cosiddetti Pitagorici di Sesto lodassero atomisti e corpuscolaristi per aver posto dei principi invisibili del
mondo fenomenico, ma li criticassero poi per aver arrestato arbitrariamente la divisione e per non aver ricercato principi incorporei veramente
eterni. Epicuro sembra puntualizzare, nell'allusione all'indagine dialettica
sugli invisibili, l'ambito in cui questa ulteriore divisione va collocata, che
non è quello dei fondamenti reali del mondo fenomenico, ma quello dei
loro presupposti logico-dialettici.
Nelle definizioni di atomo e minimo fisico è dunque leggibile quella
posizione di Epicuro a favore di un atomismo fisico di Democrito condotta con l'aiuto di Aristotele e contro le critiche accademiche, ma anche
l'accettazione di un certo schema di pensiero accademico sconosciuto a
Democrito e rifiutato da Aristotele.
Tutti quei tratti dei minimi epicurei che rimandano ad una polemica
velata contro le critiche degli Accademici agli atomisti antichi, condotta
sulla falsariga degli attacchi aristotelici contro le dottrine accademiche,
sono messi in rilievo in un testo di Lucrezio sui minimi. La testimonianza
è interessante in quanto riporta una argomentazione non reperibile negli
scritti superstiti di Epicuro, ma probabilmente presente nel Peri;
fuvsew"70. Lucrezio, trattando dei minimi dell'atomo, ne ribadisce la necessità teorica, ma ne sottolinea, più di quanto non faccia Epicuro nella lettera ad Erodoto, la assoluta irrilevanza fisica: essi infatti non possono
avere esistenza propria e separata71. Questo è già di per sé sintomatico in
quanto Aristotele si era proprio accanito contro la valenza fisica attribuita,
secondo lui, dagli Accademici a oggetti isolabili solo mentalmente, ma che
non hanno alcuna incidenza sui processi fisici72. Come argomento contro
l'esistenza separata dei minimi dell'atomo Lucrezio adduce il fatto che essi
non potrebbero ricostituire nulla dal momento che ciò che non ha parti
non possiede le proprietà che caratterizzano una materia generatrice e
70
71
72
Per una trattazione dettagliata di questa testimonianza lucreziana Furley 1967, cap. 2;
Krämer 1971, 249-254.
Lucr. 1,602s. nec fuit unquam/ per se secretum neque posthac esse valebit;/ quae quoniam per se nequeunt constare, necessest/ haerere unde queant nulla ratione revelli.
Cf. e.g. Metaph. B 5, 1002a 18-25. Linea, superficie solido sono presenti nel corpo in quanto
divisioni, ma non in quanto sostanze separate. Konstan 1987, 5s. sottolinea come Epicuro
si differenzi per questa posizione soprattutto dall'atomismo accademico piuttosto che da
quello democriteo.
Capitolo sesto
241
stanno alla base dei processi fisici: svariate possibilità di contatto, peso,
spinta verso l'alto73, capacità di combinarsi, movimenti vari74. Lucrezio si
riferisce principalmente agli oggetti matematici i quali, secondo Aristotele,
non possono dare origine a nessun corpo fisico perché privi delle caratteristiche di quest'ultimo. Aristotele rivolge costantemente questa critica non
agli atomisti antichi i cui corpuscoli, in quanto tali, avevano il vantaggio di
poter generare dei processi fisici75, bensì a Platone e ai suoi allievi e,
occasionalmente, anche ai Pitagorici76. Negli attacchi aristotelici contro gli
Accademici si possono ritrovare dunque quei punti qualificanti che Lucrezio designa come tipici della materies genitalis e che i minimi non hanno. In
particolare la mancanza di peso degli indivisibili accademici (in Lucrezio
pondera) è oggetto di una lunga critica in De caelo G 1. Aristotele oppone a
questi ultimi proprio i corpuscoli di Democrito che, in quanto corpi,
hanno peso77 e obietta che gli oggetti matematici, in quanto privi di movi73
74
75
76
77
Cf. per la distinzione fra peso, movimento verso il basso, e plhghv, spinta verso l'alto che gli
atomi ricevono da altri che stanno al di sotto, Stob. 1,14,1f; Ps.-Plut. 1,12, 883 B (Ep. Fr.
280 Us.) Epivkouro" ª...º kinei'sqai de; ta; a[toma tovte me;n kata; stavqmhn tovte de; kata; parevgklisin, ta; de; a[nw kinouvmena kata; plhgh; n kai; ajpopalmovn.
Lucr. 1,628-634 Denique si minimas in partis cuncta resolvi/ cogere consuesset rerum natura creatrix,/
iam nil ex illis eadem reparare valeret/ propterea quia, quae nullis sunt partibus aucta,/ non possunt ea
quae debet genitalis habere/ materies, varios conexus pondera plagas/ concursus motus, per quae res quaeque geruntur.
De gen. et corr. A 2, 315b 33-34 o{mw" de; touvtoi" (scil. Dhmovkrito" kai; Leuvkippo") ajlloivwsin
kai; gevnesin ej ndevc etai poiei' n.
Cf. Ibid. 316a 2-4 toi'" d eij" ejpivpeda diairou'sin oujkevti: oujde;n ga;r givnetai plh;n sterea;
suntiqemev nwn: pavqo" ga;r oujd ejgceirou'si genna'n oujde; n ejx aujtw' n. Sull'incapacità di generare degli oggetti matematici, cf. anche Metaph. B 5, 1002a 32. Contro i numeri pitagorici,
cf. De cael. G 1, 300a 16-20 to; d aujto; sumbaivnein kai; toi'" ejx ajriqmw'n suntiqei'si to;n
oujranovn: e[ nioi ga;r th;n fuvsin ejx ajriqmw'n sunista'sin, w{sper tw' n Puqagoreivwn tinev ": ta;
me;n ga;r fusika; swv mata faivnetai bavro" e[conta kai; koufovthta, ta;" de; monavda" ou[te
sw'ma poiei' n oi|ovn te suntiqemev na" ou[te bavro" e[cein. Cf. anche Metaph. M 8, 1083b 11-19.
Cf. in particolare G 1, 299a 25-30 eij dh; tw'n ajdunavtwn ejsti;n eJkatevrou mevrou" mhde;n
e[conto" bavro" ta; a[ mfw e[c ein bavro", ta; d aijsqhta; swvmata h] pav nta h] e[nia bavro" e[c ei,
oi|on hJ gh' kai; to; u{dwr, wJ " ka] n aujtoi; fai'en, eij hJ stigmh; mhde; n e[c ei bavro", dh'lon o{ti oujd
aiJ grammaiv, eij de; mh; au|tai, oujde; ta; ejpivpeda: w{st oujde; tw' n swmavtwn ouj qevn. Cf. anche D
2, 308b 36: gli atomisti avrebbero ragione a sostenere che i corpi composti più grandi sono
più pesanti, ma non quelli che compongono i corpi da triangoli. Per i passi contro i Pitagorici, v. nota precedente. Cf. anche Metaph. A 8, 990a 12-14. E' curioso come proprio la
proiezione delle caratteristiche dell'atomo epicureo sull'atomismo antico conduca all'interpretazione di questi passi, espressamente diretti da Aristotele contro gli Accademici, come
rivolti invece contro Leucippo e Democrito in Alex. In Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.)
oujde; ga;r to; povqen hJ baruvth" ej n tai'" aj tovmoi" levgousi (scil. Dhmovkrito" kai; Leuvkippo"):
ta; ga;r ajmerh' ta; ejpinoouv mena tai'" ajtovmoi" kai; mevrh o[nta aujtw' n aj barh' fasin ei\ nai: ejk
de; ajbarw'n sugkeimev nwn pw'" a] n bavro" gev nhtai… ei[rhke de; peri; touvtwn ejpi; plevon ejn tw'i
trivtwi Peri; oujranou'. Themist. In De cael. 306b 22, 201,24-25 accenna ancora a questa in-
terpretazione di Alessandro. E' chiaro che quest'ultimo utilizza, operando una conflazione
fra i due atomismi, argomentazioni corrrenti contro le dottrine epicuree. E' trascurando le
possibili assimilazioni fra i due atomismi spesso operate negli autori di età imperiale che
242
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
mento, non possono essere sostanza generatrice di corpi fisici caratterizzati proprio dal movimento78.
Epicuro si pone del resto anche nelle definizioni e nelle denominazioni dell'atomo, sulla scia di Aristotele e Teofrasto definendolo sw'ma
stereo;n ajmevtocon kenou' paremplokh'"79 o attribuendogli una natura
"piena"80, ma "traduce" nastov" con mestov"81. Lucrezio ripete in diverse
varianti la definizione epicurea della solidità dell'atomo82.
Dal passo di Lucrezio e dalle testimonianze di Epicuro stesso riguardanti le definizioni di atomo e minimo, si può dedurre che l'interpretazione dell'atomo come indivisibile per la solidità e l'assunzione dei minimi
assoluti privi di parti dell'atomo da parte di Epicuro, più che essere dettata
dalle critiche aristoteliche contro gli atomisti antichi, è stata suggerita:
1. Dalla critica accademica agli atomisti antichi per aver arbitrariamente arrestato la divisione ai corpi facendone i principi ultimi della realtà,
una caratteristica che spetta invece agli incorporei.
2. Dalle critiche aristoteliche agli Accademici per aver identificato invece questi limiti negli indivisibili matematici assumendoli come sostanze
separate e per aver quindi trattato i problemi fisici con criteri dialettici
(logikw'" skopei'n).
3. Dal giudizio dello stesso Aristotele sull'atomismo di Democrito
considerato in ogni caso superiore a quello accademico per aver posto per
il mondo fisico dei principi fisici.
Epicuro accetta alcuni assunti basilari della teoria accademica, quali la
necessità dell'arresto della divisione kat ejpivnoian per porre un limite
all'infinito e per imporre un ordine nell'ambito stesso degli atomi, ma
svuota questi minimi privi di parti di qualsiasi valore reale riducendoli
unicamente ad un presupposto logico. Integrando l'atomismo fisico con la
teoria dei minimi e attribuendo solo a questi ultimi la definizione di ejlavcista kai; ajmerh', mostra nel contempo di interpretare il corpuscolo democriteo esclusivamente come un oggetto fisico, solido e compatto, come lo
78
79
80
Lur'e 1932-1933, 124ss. ha costruito su questo passo l'ipotesi di un doppio atomismo, matematico e fisico, degli atomisti antichi che precorrerebbe quello epicureo.
Su questa linea si svolge anche la critica ai numeri pitagorici che sono pur sempre dei
numeri anche se immanenti e quindi sono posti sullo stesso piano delle sostanze accademiche.
V. supra, n 2.
Ep. 1,41 tau'ta (scil. swvmata) dev ejs tin a[toma kai; ajmetavblhta ei\p er mh; mevllei pavnta eij"
to; mh; o]n fqarhvs esqai, ajll ijscuvonta uJpomenei'n ej n tai'" dialuvs esi tw'n sugkrivsewn
plhvrh th;n fuvsin o[ nta kai; oujk e[conta o{phi h] o{pw" dialuqhvsetai.
81
82
Ep. 1,42 Per le ulteriori occorrenze di questo termine fuori dai testi epicurei come sinonimo di nastov" v. supra, n. 1.
Lucr. 1,510 Sunt igitur solida ac sine inani corpora prima. 1,518 Materies igitur, solido quae
corpore constat,/ esse aeterna potest, cum cetera dissolvantur. Cf. 1,485, 500, 548, 574, 609, 627.
Capitolo sesto
243
aveva rappresentato Aristotele nell'opera su Democrito. Egli lo ripropone
inoltre, proprio in questa sua caratteristica peculiare come principio spostando invece le caratterizzazioni matematiche del minimo fuori dell'ambito fisico e dunque privandoli di un reale valore ontologico.
Il discorso su una possibile interpretazione dell'atomo democriteo da
parte di Epicuro secondo le linee aristoteliche e contro i criteri matematizzanti dell'Accademia si è reso necessario in quanto tutto un filone della
dossografia antica, accettato anche dai commentatori moderni, interpreta
l'atomismo di Epicuro come una correzione dell'atomismo antico in termini esattamente opposti a quelli delineati: al minimo privo di parti di
Leucippo (e Democrito), Epicuro avrebbe opposto invece un corpuscolo
indivisibile per la solidità, ma ulteriormente divisibile teoreticamente per
parare le critiche che Aristotele aveva rivolto agli indivisibili. Come si è
visto, il discorso è invece molto più complesso e porta ad una valutazione
del tutto opposta.
3. 2. Epicuro contro atomisti antichi sull'indivisibilità dell'atomo
nella tradizione dossografica e negli autori di età imperiale
Passiamo ora ad esaminare quella serie di testimonianze nella tradizione
dossografica cui si è accennato.
Un'interpretazione dell'atomo, di Leucippo soprattutto, come un
ejlavciston indivisibile per la piccolezza emerge sporadicamente qua e là
nella tradizione tarda accanto a quella dell'atomo indivisibile per la solidità
di cui è stata già tracciata la storia. Come si è visto, la dossografia che deriva da Posidonio separa l'atomo indivisibile per la solidità di Democrito e
di Epicuro, dai minimi privi di parti che attribuisce a Diodoro e, nella
sezione specifica sui minimi, anche a Senocrate. Dunque l'attribuzione di
minimi indivisibili per la piccolezza a Leucippo in particolare e talvolta
anche a Democrito non può derivare né da Teofrasto né dalla vulgata di
matrice posidoniana, ma neppure dal libro di Aristotele su Democrito nel
quale la piccolezza è menzionata unicamente in relazione all'invisibilità,
non all'indivisibilità di cui non si fa parola.
Le versioni che riportano più diffusamente la tesi dell'indivisibilità per
la piccolezza sono inglobate in contesti non classificatori e diairetici, ma
dialettici a cominciare dal lungo resoconto Sui principi di Epicuro nei Placita
dello Pseudo-Plutarco. Tale rappresentazione dell'atomo come minimo
indivisibile per la piccolezza è stata mediata da una tradizione che non
solo trattava le doxai in un contesto dialettico, ma attingeva liberamente da
più parti soprattutto per poter avere maggiori possibilità di eventuali confutazioni. Questo tipo di procedimento non può che risalire all'Accademia
244
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
scettica come si cercherà di dimostrare con riscontri più precisi qui di
seguito. Il fatto che l'Accademia scettica avesse accolto anche l'altra interpretazione, quella di un atomo indivisibile per la solidità, non costituisce
un problema: le due tesi infatti potevano essere utilizzate in contesti confutativi diversi o per portare alla luce le contraddizioni all'interno dell'atomismo stesso.
Prima di passare all'esame dettagliato delle singole testimonianze e
delle loro correlazioni, è opportuno ancora sottolineare che, ancor più dei
precedenti, questi testi non possono costituire alcuna prova a sostegno di
una o dell'altra concezione democritea dell'atomo. Essi fanno semplicemente parte di una tradizione che si è tramandata attraverso argomentazioni orali e manuali, ma non è fondata sulla conoscenza delle opere originali.
L'interpretazione dell'atomo come minimo non sembra aver lasciato
tracce nei testi superstiti di Cicerone sebbene riemergano, soprattutto nel
De natura deorum e negli Academica, delle tematiche ad essa correlate. C'è
però da tener presente che una parte degli Academica priora (l'Hortensius)
nella quale il tema avrebbe potuto essere trattato più diffusamente, è andata perduta. Le testimonianze più diffuse si incontrano solo in testi
piuttosto tardi: nei Placita dello Pseudo Plutarco e in due opere di Lattanzio83; Galeno vi dedica un fugace accenno, altrove la doxa viene citata anonima. Il nome di Leucippo si legge solo in Lattanzio e in Galeno, nello
Pseudo-Plutarco compare unicamente quello di Democrito, Teodoreto
non riporta alcun nome specifico. Tali testi sono comunque complementari in quanto si comprendono solo se messi in reciproca correlazione,
dunque risalgono probabilmente ad un unico nucleo nel quale le dottrine
atomistiche di Epicuro e di Leucippo venivano opposte dialetticamente e
presentate l'una come una correzione dell'altra. In questo schema giocava
un ruolo importante anche una voce critica che prima formulava obiezioni
a Leucippo, provocando le "correzioni" di Epicuro, poi confutava anche
queste ultime rigettando definitivamente l'atomismo in generale. Nell'opera degli epitomatori sono andati perduti senza dubbio gli stadi intermedi
e, talvolta, anche i nomi; ne sono risultate una gran confusione nelle attribuzioni e incongruenze riscontrabili in alcune fonti particolarmente riassuntive. Dato che la rappresentazione dell'atomismo si basa su un blocco
unico di argomentazioni e confutazioni che emerge con sfumature e ottiche diverse in diversi autori non contemporanei né dipendenti uno dall'altro, l'esposizione qui di seguito non seguirà un criterio cronologico, ma un
ordine basato sull'ampiezza delle informazioni dei vari resoconti e sulla
concatenazione delle argomentazioni da loro offerte.
83
Div. Inst. 3,17,21-27 (218, 235, 565 L.); De ira dei 10,1ss. (218, 235, 272, 302, 591 L.).
Capitolo sesto
245
3. 2. 1. Lattanzio
I testi di Lattanzio, benché più tardi, meritano un'attenzione che è stata
loro generalmente negata secondo un metro che identifica posteriores con
deteriores. I resoconti sull'atomismo del De ira dei e delle Institutiones permettono invece di individuare il sostrato e di comprendere alcuni punti
oscuri della testimonianza di Pseudo-Plutarco. Nell'opera di Lattanzio
sono distinguibili tre presentazioni dell'atomo corrispondenti a fasi cronologiche diverse84: nel suo primo scritto dopo la conversione, il De opificio
dei, 303/ 304 d.C.85, l'autore nomina solo la dottrina di Epicuro secondo
cui atomi indivisibili e solidi formano il mondo attraverso una casuale
aggregazione senza l'intervento di alcuna provvidenza86. Si tratta di una
vulgata sull'atomismo, soprattutto epicureo, ma, per riflesso, anche democriteo, che si trova in Cicerone87, Pseudo-Plutarco88, Dionisio89, Plotino 90,
Nemesio91 ed è comune alla tradizione cristiana92. Nel terzo libro delle
Divinae institutiones, elaborate nel loro insieme dopo il 30593, invece, vengono sicuramente utilizzate altre fonti. Compare infatti lo schema di successione, già ciceroniano, Leucippo-Democrito-Epicuro e i loro atomi
vengono congiuntamente descritti come indivisibili per la piccolezza,
mentre la caratteristica della solidità viene solo accennata, ma non consi84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
La cronologia delle opere di Lattanzio è piuttosto incerta, tuttavia si è potuto stabilire che il
De opificio dei è la prima opera da lui scritta dopo la conversione; le Institutiones, l'Epitome e il
De ira dei presentano numerosi parallelismi che tuttavia non aiutano a fissare una cronologia definitiva. Sembra che il De ira dei sia stato scritto dopo il 311 e forse dopo alcuni libri o
parallelamente ad altri delle Institutiones, cf. Heck 1972, 158s.; Ingremeau 1982, 25ss.; KraftWlosok 1983, Xss.
Quest'opera viene datata con una certa sicurezza per le criptiche allusioni alle persecuzioni
di Diocleziano, cf. Ingremeau 1982, 25; Kraft-Wlosok 1983, XI.
Lact. De op. dei 2,10 Unde ego philosophorum qui Epicurum secuntur amentiam soleo mirari, qui
naturae operae reprehendunt ut ostendant nulla providentia instructum esse ac regi mundum, sed originem
rerum insecabilibus ac solidis corporibus adsignant, quorum fortuitis concursionibus universa nascantur et
nata sint .
De fin. 1,6,17 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.); Tusc. 1,18,42 (449 L.); De nat. deor. 2,37,93.
Ps.-Plut. 2,3, 886 D, cf. Stob. 1,21,3c, Theodoret. 4,15 (67 A 22 DK; 23, 589 L.); [Gal.]
Hist. Phil. 46.
V. supra 2. 2.
Plot. 3,1,2; cf. anche 3,1,3.
Nem. De nat. Hom. 43 (592 L.).
Cyrill. Contra Jul. 2,15; Didym. Caec. Comm. in Eccles. 7-8,8, Cod. p. 209,27; Ambros.
Hexaemer. 1,2,7 (P. L. 14, 125 C).
Se la data del 305 come termine di inizio dell'opera viene generalmente accettata, anche
perché Lattanzio nel De opificio l'annuncia (20,2), è invece estremamente problematico stabilire il periodo in cui fu portata a compimento. Le date più frequentemente proposte sono
il 313 o il 311. Per quest'ultima Heck 1972, 143; Ingremeau 1982, 25; Kraft-Wlosok 1983,
XVs.
246
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
derata causa dell'indivisibilità. La descrizione dell'atomismo è fondata su
punti già trattati relativamente ai testi di Cicerone e Plutarco, ma con una
diversa rappresentazione dell'indivisibilità dell'atomo, con ampliamenti
ulteriori e soprattutto in un contesto dialettico di tesi e antitesi. Questi, in
breve, i punti qualificanti del resoconto di Lattanzio94:
Tesi: Ci sono dei "semina" che svolazzano nel vuoto e dalle cui composizioni fortuite tutto nasce.
Domanda: Perché allora non li percepiamo né li vediamo?
Risposta: Perché sono privi di ogni qualità sensibile e così piccoli da
non poter essere né tagliati né divisi.
Domanda: dove stanno e da dove vengono questi corpuscoli e perché
se li è figurati solo Leucippo95 che ha poi istruito Democrito il quale a sua
volta ha lasciato la sua stolta eredità ad Epicuro? In pratica si chiedono,
come nel brano del decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico
(255), altri principi per questi corpuscoli (unde). Se sono corpi e sono solidi, come dicono, per il concetto stesso di corpo, dovrebbero cadere sotto
i sensi. Inoltre, se hanno tutti la stessa natura, in che modo possono formare cose diverse?
Risposta: in base ad una varietà nella loro posizione e disposizione e
nelle loro forme come le lettere. Infatti sono scabri, ad amo, lisci.
Confutazione: se hanno forme ad amo, non sono più indivisibili in
quanto hanno parti che sporgono e che quindi si possono tagliare. Questo
contraddice la loro definizione secondo cui l'atomo è così piccolo che non
esiste alcuna lama così sottile che possa tagliarlo. Se, d'altra parte, sono
solo lisci, non possono attaccarsi l'uno all'altro. Inoltre, mancando di sensibilità e di ragione, non possono costruire nulla di ordinato e razionale.
94
95
Div. inst. 3,17,21-27 (591 L. partim) Sunt enim semina per inane volitantia, quibus inter se temere
conglobatis universa gignuntur atque concrescunt. Cur igitur illa non sentimus aut cernimus? Quia nec colorem habent, inquit, nec calorem ullum nec odorem. Saporis quoque et umoris expertia sunt et tam minuta, ut secari ac dividi nequeant. Sic eum, quia in principio falsum susceperat, consequentium rerum
necessitas ad deliramenta perduxit. Ubi enim sunt aut unde ista corpuscula? Cur nemo illa praeter unum
Leucippum somniavit, a quo Democritus eruditus hereditatem stultitiae reliquit Epicuro? Quae si sunt
corpuscula et quidem solida, ut dicunt, sub oculos certe venire possunt. Si eadem est natura omnium,
quo modo res varias efficiunt? Vario inquit ordine ac positione conveniunt sicut litterae: quae cum sint paucae, varie tamen collocatae innumerabilia verba conficiunt. At litterae varias formas habent. Ita inquit et
haec ipsa primordia. Nam sunt aspera, sunt hamata, sunt levia. Secari ergo ac dividi possunt, si aliquid inest illis quod emineat. Si autem levia sunt et hamis indigent, cohaerere non possunt.
Hamata igitur esse oportet, ut possint invicem concatenari. cum vero tam minuta esse dicantur, ut
nulla ferri acie dissici valeant, quomodo hamos aut angulos habent? Quos, quia extant, necesse est
posse divelli. Deinde quo foedere inter se, qua mente conveniunt, ut ex iis aliquid conseratur? Si sensu carent nec coire tam disposite possunt quia non potest quicquam rationale perficere nisi ratio.
Cf. una obiezione simile rivolta da Plutarco contro gli Stoici (solo loro hanno visto che
ognuno di noi è un doppio soggetto: sostanza e qualità?) verosimilmente su un modello
confutativo dell'Accademia scettica in De comm. not. 1083 C. Cf. Schroeter 1911, 19 n. 2.
Capitolo sesto
247
Nel De ira dei, composto forse dopo o parallelamente ad alcune sezioni
delle Institutiones96, la dottrina degli atomi indivisibili per la piccolezza viene
attribuita negli stessi termini al solo Leucippo e a lui viene anche riportata
la denominazione di atomo in quanto appunto indivisibile perché piccolo.
Le argomentazioni contro gli atomi indivisibili per la piccolezza sono le
stesse che nell'opera precedente, ma arricchiti di altri elementi che fanno
pensare ad una utilizzazione più ampia della stessa fonte per il De ira e,
invece, ad un suo adattamento maggiore nelle Institutiones97. In particolare:
1. Fra coloro che negano la provvidenza, compare, insieme agli atomisti, anche Stratone. Egli, a sua volta, si oppone all'atomismo in quanto
attribuisce la proprietà di generare alla natura. E' questo l'unico passo in
Lattanzio in cui si incontri una menzione del peripatetico98.
2. Non viene fatto più alcun accenno alla solidità dell'atomo.
96
97
98
Anche per questo trattato si pongono problemi di datazione analoghi a quelli delle Institutiones. Generalmente si concorda sul fatto che è stato composto in un periodo di relativa
tranquillità per i Cristiani, vale a dire dopo il 311, data della cessazione delle persecuzioni.
Manca infatti nel trattato, che però è eminentemente teorico, qualsiasi accenno a queste ultime. Cf. Ingremeau 1982, 27; Kraft-Wlosok 1983, XVs. Per l'ipotesi della stretta correlazione con il libro terzo delle Institutiones ha giocato proprio la sorprendente coincidenza dei
due passi sull'atomismo, cf. Ingremeau 1982, 31. In ogni caso, il De ira è stato composto sicuramente dopo i libri 1, 2, 4 e 6 delle Institutiones ai quali fa riferimento (in 2,4 al secondo
libro delle Institutiones; in 2,6 al quarto; in 11,1 al primo; in 17,12 al sesto).
De ira dei 10,1 (591 L. partim) Qui nolunt divina providentia factum esse mundum, aut principiis inter
se temere coeuntibus dicunt esse concretum aut repente natura extitisse, naturam vero, ut Straton ait, habere
in se vim gignendi et minuendi, sed eam nec sensum habere ullum nec figuram, ut intellegamus omnia quasi
sua sponte esse generata, nullo artifice, nec auctore. Utrumque vanum et impossibile. Sed hoc evenit ignorantibus veritatem, ut quidvis potius excogitent quam id sentiant quod ratio deposcit. Primum minuta illa
semina, quorum concursu fortuito cohaesisse mundum loquuntur, ubi aut unde sint quaero. Quis illa vidit
umquam? Quis sensit? Quis audivit? An solus Leucippus oculos habuit? Solus mentem? Qui profecto solus omnium caecus et excors fuit, qui ea loqueretur quae nec aeger quisquam delirare nec dormiens posset
somniare. Quattuor elementis constare omnia philosophi veteres disserebant. Ille noluit, ne alienis vestigiis
videretur insistere, sed ipsorum elementorum alia voluit esse primordia quae nec videri possent nec
tangi nec ulla corporis parte sentiri. Tam minuta sunt, inquit, ut nulla sit acies ferri tam subtilis
qua secari ac dividi possint. unde illis nomen inposuit atomorum. Sed occurrebat ei quod, si una
esset omnibus eademque natura, non possent res efficere diversas tanta varietate quantam videmus inesse
mundo. Dixit ergo esse levia et aspera, et rotunda et angulata et hamata. Quanto melius fuerat tacere
quam in usus tam miserabiles, tam inanes habere linguam! Equidem vereor ne non minus delirare videatur
qui haec putet refellenda; respondeamus tamen velut aliquid dicenti. Si levia sunt et rotunda, utique non
possunt invicem se adprehendere, ut aliquod corpus efficiant, ut, si quis milium velit in unam coagmentationem constringere, lenitudo ipsa granorum in massam coire non sinat. Sin aspera et angulata sunt et hamata, ut possint cohaerescere, dividua ergo et secabilia sunt; hamos enim necesse est et angulos eminere, ut
possint amputari. Ita quod amputari ac divelli potest, et videri poterit et teneri [...] 10,23 Sed putemus artus et ossa et nervos et sanguinem de atomis posse concrescere: quid sensus cogitatio mens memoriam ingenium? Quibus seminibus coagmentari possunt? Minutissimis, inquit. Sunt ergo alia maiora. Quomodo
igitur insecabilia? Deinde si ex invisibilibus sunt quae non videntur, consequens est ut ex visibilibus sint
quae videntur. Cur igitur nemo videt?
Cf. Ingremeau 1982, 268 ad loc. Nella Epitome (62,6) si allude alle sue teorie, ma il nome
non compare.
248
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
3. Si insiste maggiormente sul fatto che Leucippo non ha spiegato l'origine dei corpuscoli99. La stessa critica (unde) è solo accennata nelle Institutiones e si richiama alla concezione che Sesto attribuisce ai cosiddetti
Pitagorici: un corpo è per natura composto e quindi deve avere altri principi100 .
4. Viene riportato l'esempio del pulviscolo atmosferico per spiegare il
moto disordinato degli atomi che ricompare poi in Teodoreto nella seconda parte del resoconto sull'atomismo101 .
5. Viene riportata più sotto anche una critica che non si incontra altrove. Alla spiegazione atomista secondo cui la mente e l'intelligenza sono
formati da atomi più piccoli, si ribatte che, se si ipotizzano anche atomi
più grandi, cade il discorso dell'indivisibilità. E' chiaro da qui che l'atomo è
concepito esclusivamente come un ejl avciston kai; ajmerev", un minimo
privo di parti e misura.
L'eccezionalità della testimonianza di Lattanzio è stata rilevata e riportata a fonti quali l'Hortensius di Cicerone o a un'opera perduta di Seneca
alle quali egli, per sua bizzarria avrebbe aggiunto l'argomentazione contro
le forme atomiche come distruttrice del concetto di indivisibilità102 . Altrimenti, si è trattato il brano a frasi o a segmenti, cercando di istituire confronti con passi sparsi di Lucrezio tuttavia piuttosto lontani dalla globalità
del contesto103 . Ora, senza voler negare la evidente presenza di Lucrezio
nel De ira e nelle Institutiones, mi sembra tuttavia chiaro che la rappresentazione dell'atomo data in questi passi per punti fondamentali quali l'indivisibilità e le critiche alle forme atomiche, emargini completamente il tratto
della solidità addotto da Lucrezio proprio per giustificare la varietà delle
99
100
Cf. anche 10,11 Ac primum requiro quae sit istorum seminum vel ratio vel origo. Si enim ex illis sunt
omnia, ipsa igitur unde esse dicemus?
Sext. Emp. Adv. Math. 10,255-256 ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'n
filosovfwn, kat ejpiv noian skeptovmeqa to; ej k tivnwn ta; aijwvnia tau'ta kai; lovgwi qewrhta;
sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw'n h] ajswv mata. kai; swvmata
me;n oujk a]n ei[paimen, ejpei; dehvsei kajkeivnwn swv mata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{tw"
eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiv a" a[ narcon givnesqai to; pa'n.
101
102
103
De ira dei 10,9 "Haec, inquit, per inane inrequietis motibus volitant et huc atque illuc feruntur, sicut
pulveris minutias videmus in sole, cum per fenestram radios ac lumen inmiserit. Ex his arbores et herbae et
fruges omnes oriuntur, ex his animalia et aqua et ignis et universa gignuntur et rursum in eadem resolvuntur". Ferri hoc potest, quamdiu de rebus parvis agitur. "Ex his etiam mundus ipse concretus est". Il richiamo a Lucrezio (2,114-120) da parte di Ingremeau 1982, 274 ad loc., è senz'altro pertinente, ma Lucrezio è solo uno dei tanti autori che riportano l'esempio del pulviscolo. La
reminiscenza può aver giocato a livello linguistico, ma, a livello strutturale, il contesto, nella
sua globalità, è molto più vicino al brano di Teodoreto (4,8-10), v. infra, 3. 2. 4 n. 154.
Così Ogilvie 1978, 86s. Cicerone non avrebbe anticipato l'argomento distruttivo di Lattanzio, ma l'uso di ergo potrebbe indicare una aggiunta di Lattanzio stesso. Egli propende poi
però, per le Exhortationes di Seneca come fonte, piuttosto che per l'Hortensius ciceroniano
senza tuttavia fornire alcun riscontro oggettivo.
Questo tipo di commento ai singoli punti del cap. 10 è caratteristico di Ingremeau 1982.
Capitolo sesto
249
forme104 . Il brano sull'atomismo del De ira, è costituito inoltre da un corpo
compatto di argomentazioni concatenate che sono state evidentemente
assunte in blocco da un resoconto assai dettagliato. Tale resoconto utilizzava un repertorio critico consolidato e un modello dossografico ben
preciso, quello cioè che faceva capo al nome di Leucippo e alla sua concezione di un atomo indivisibile per la piccolezza e che compare già per lo
meno più di un secolo prima in un autore come Galeno (v. infra, 3. 2. 3).
Dunque Lattanzio per questo non inventa nulla né tuttavia attinge alla
versione corrente da lui stesso utilizzata nel De opificio, ma si rifà sicuramente ad un resoconto esteso sull'atomismo nel quale l'atomo di Leucippo era definito indivisibile per la piccolezza e alla solidità non veniva
attribuito alcun ruolo in questo senso. Anche la terminologia è quella corrente nella dossografia, in particolare l'espressione ipsorum elementorum alia
voluit esse primordia corrisponde alla formula greca stoicei'a stoiceivwn (o a
quella più tarda ajrcai; stoiceiwdevsterai), di ascendenza platonica, che
nello Pseudo-Plutarco e in Stobeo viene applicata ai corpuscolaristi (Empedocle e Senocrate)105 , ma negli autori neoplatonici in particolare a
Democrito per il già citato "avvicinamento" degli atomisti antichi a Platone106 .
In ogni caso Lattanzio nel De ira si serve di argomenti confutatori
risalenti sicuramente all'Accademia scettica107 . La critica alle forme atomiche, in particolare, è un tema che si incontra solo in parti delle opere filo-
104
105
106
Lucrezio (1,609-614) precisa che dagli atomi non si può strappare né togliere nulla in
quanto sono di una "solida semplicità". I minimi dell'atomo sono infatti parti solo concepibili con la mente, ma non separabili in realtà: Sunt igitur solida primordia simplicitate/ quae
minimis stipata cohaerent partibus arte,/ non ex illorum conventu conciliata,/ sed magis aeterna pollentia
simplicitate,/ unde neque avelli quicquam neque deminui iam/ concedit natura reservans semina rebus.
Cf. Ingremeau 1982, 273s.
Cf. Ps.-Plut. 1,13, 883 B; Stob. 1,14,1 (Dox. 312); Ps.-Plut. 1,17, 883 E; Stob. 1,17,1 (Dox.
315). V. supra, V 1.
Plot. 4,7,2,4-3,6 pu'r ga;r kai; ajh;r kai; u{dwr kai; gh' a[yuca par aujtw'n:ª...º a[lla de; para;
tau'ta swv mata oujk e[ sti. kai; oi|" ge dokei' ei\nai stoicei'a touvtwn e{ tera, swvmata, ouj yucaiv, ejlevcqhsan ei\nai oujde; zwh;n e[conta. Cf. Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillon
ei\nai me;n ga;r ta; prw'ta swvmata a[ toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivw n stoiceiwdevstera,
supra, II 6. 2 n. 133; Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 kai; ou|toi dev, ª...º ajrcoeidevsterav
tina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, supra, II 6. 2 n. 127.
107
Cf. ad es. in 13,9 la confutazione da parte degli Accademici della dottrina stoica secondo
cui dio ha creato l'universo in funzione dell'uomo con l'argomento della presenza di animali dannosi all'uomo come i topi, le tarme e i serpenti (Sed Academici contra Stoicos disserentes...). La versione è lievemente diversa rispetto a Cic. Ac. 2,38,121. Le stesse obiezioni
agli Stoici, in un contesto in cui viene espressamente nominato Carneade come critico di
Crisippo, si ritrovano anche in Porph. De abst. 3,20. Cf. Ingremeau 1982, 305 ad loc. Per la
posizione nei confronti della dottrina stoica nel De ira dei, Kraft-Wlosok 1983, XV.
250
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
sofiche di Cicerone dove parla un accademico108 . Nel primo libro del De
natura deorum Cotta rimprovera a Velleio di aver creduto fino alla sua età
alle sciocchezze di Democrito e di Leucippo secondo cui ci sarebbero
"corpuscoli lisci, scabri, rotondi, con angoli o ami o uncini, dai quali si
sarebbe formato il cielo, la terra senza l'impulso di alcuna legge naturale,
ma per un casuale incontro"109 . Cotta oppone all'aggregazione casuale degli
atomi, non solo la dottrina stoica che fa governare il mondo da un principio divino razionale, ma anche quella di Stratone, che assegna questa funzione alla natura110 . Proprio quest'ultimo viene contrapposto a Leucippo
nel De ira. La stessa diaphonia Stratone/ atomisti con relativa derisione
delle forme ad amo e ad uncino compare nel Lucullus. Cicerone, per illustrare il dissenso fra i dogmatici sulle questioni fisiche, oppone alle tesi
stoiche quelle di Stratone di Lampsaco:
tu dici che senza la divinità non può esistere nulla. Ma eccoti improvvisamente
Stratone di Lampsaco che esonera questo dio da un compito ben gravoso; [...]
egli dichiara di non servirsi dell'opera degli dèi per costruire il mondo. Qualsiasi
genere di cose esistenti, insegna, è stato creato dalla natura, non come colui che
dice che queste cose sono state composte da corpi scabri, lisci, ad amo e ad uncino con il vuoto inframmezzato —questi egli ritiene siano sogni di un Democrito visionario, non maestro—; in quanto a lui, esaminando ad una ad una le
parti del mondo, insegna che ogni cosa esistente o generata è o è stata generata
dai pesi e dai moti naturali111 .
Questo brano, pur essendo molto più riassuntivo, costituisce un evidente
parallelo al testo di Lattanzio: all'interno dello stesso gruppo di negatori
della provvidenza Stratone si oppone a Democrito e lo giudica "un visionario". Secondo Lattanzio, è Leucippo ad "aver sognato" (somniavit) l'esistenza dei suoi corpuscoli112 .
108
109
110
111
112
La tradizione di matrice posidoniana pone piuttosto in rilievo, nell'ambito dei processi
generativi, l'attrazione delle forme simili e non l'aggregazione di forme diverse. Cf. Sext.
Emp. Adv. Math. 7,116 (68 B 164 DK; 11, 316 L.); Dionys. ap. Eus. Praep. Ev. 14,25,9.
Cic. De nat. deor. 1,24,66 (67 A 11 DK; 165, 226, 590 L.) Ista enim flagitia Democriti sive etiam
ante Leucippi, esse corpuscula quaedam levia, alia aspera, rotunda alia, partim autem angulata, hamata
(edd.: curvata B: firamata A) quaedam et quasi adunca, ex his effectum esse caelum atque terram nulla
cogente natura sed concursu quodam fortuito- hanc tu opinionem, Gai Vellei, usque ad hanc aetatem perduxisti.
Cic. De nat. deor. 1,24,67 Sed ubi veritas? […] an in individuis corpusculis tam praeclara opera nulla
moderante natura, nulla ratione fingentibus?
Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.) Negas sine deo posse quicquam: ecce tibi e transverso
Lampsacenus Strato, qui det isti deo immunitatem magni quidem muneris; [...] negat opera deorum se uti
ad fabricandum mundum. Quaecumque sint, docet omnia effecta esse natura nec ut ille qui ex asperis et levibus et hamatis uncinatisque corporibus concreta haec esse dicat, interiecto inani: somnia censet haec esse
Democriti non docentis, sed optantis; ipse autem singulas mundi partes persequens, quidquid aut sit aut
fiat naturalibus fieri aut factum esse docet ponderibus et motibus.
Div. Inst. 3,17,23, v. supra, n. 94.
Capitolo sesto
251
Il confronto fra Lattanzio e Cicerone permette di formulare alcune
considerazioni:
1. La similarità degli schemi e dei contesti fa presupporre che Lattanzio abbia potuto rifarsi ad un ulteriore testo ciceroniano perduto come
l'Hortensius nel quale l'atomo veniva presentato come un ejlavciston, un
minimo fisico privo di parti e indivisibile per la piccolezza. Un accenno a
questa concezione dell'atomo (questa volta epicureo), che violerebbe i
principi non solo della fisica, ma anche della matematica si trova altrove,
nel De finibus113 .
2. La critica alle forme atomiche si può far risalire per lo meno fino a
Stratone. E' impossibile stabilire se egli la approfondisse con argomentazioni simili a quelle che si trovano in Lattanzio, ma si può affermare, in
base ai testi di Cicerone, che sicuramente l'Accademia scettica aveva fatto
proprie le sue obiezioni e le aveva utilizzate contro l'atomismo in generale.
Ci sono comunque indizi del fatto che, nella scuola epicurea, verso la
fine del II sec. a.C., fossero note delle argomentazioni contro le forme
atomiche con le quali si cercava di demolire la tesi dell'infrangibilità dell'atomo. Demetrio Lacone, un Epicureo che si situa fra la metà del II e il
primo quarto del I sec. a.C.114 aveva cercato di dimostrare, attraverso una
interpretazione filologica dei testi del fondatore, come in realtà Epicuro
non avesse detto quanto gli rimproveravano i suoi detrattori115 . Fra questi
tentativi di difesa se ne incontra uno piuttosto interessante per il tema
specifico. Demetrio risponde infatti ad una critica che rimproverava ad
Epicuro di aver assunto forme infinite spiegando che:
Epicuro definisce infinite le nature prime non per specie, ma per genere, sicché
non tutte quante le forme che si riscontrano nei sensibili sono altrettante forme
prime, ma solamente ... quelle compatte116 .
Attribuendo agli atomi epicurei solo forme compatte, Demetrio sosteneva
l'argomento dell'impossibilità di infinite forme atomiche e parava nel
113
114
115
116
De fin. 1,6,20 Deinde eadem illa atomorum in quo etiam Democritus haeret, turbulenta concursio hunc
mundi ornatum efficere non poterit, ne illud quidem physici credere aliquid esse minimum, quod
profecto numquam putavisset, si a Poliaeno familiari suo geometrica discere maluisset quam illum
etiam ipsum dedocere.
Per la datazione, cf. la discussione in Puglia 1988, 37ss.
Sul metodo filologico e sulla sua funzione in Demetrio Lacone e, in generale nella scuola
epicurea, cf. Erler 1993, 289-295.
Dem. Lac. P. Herc. 1012 col. XV,154 Puglia oJ Epivkouro" ajpeivrou" levgei tºa;" prwvtaª"
fuvsºei" ouj kªat eºi\do" ªajlla; kata;º g evno", w{sªteº mh; pav nta ªta; schvmaq o{sºa peri; ta;
aijsªqhtav ejstin a[llºa tosau't ei\naªi schvmata pºrw'ta, movno n ªde; ... ta; sumfºuh': Seguo in
linea di massima la traduzione di Puglia 1988, 189. Non ritengo tuttavia che Epicuro stesso
scartasse le forme ad amo e a tridente, come afferma Puglia (208s., ad loc.) basandosi sulla
testimonianza di Ps.-Plut. 1,3, 877 D (su questo brano v. infra, 3. 2. 2). Demetrio non riproduce in questo caso esattamente la dottrina epicurea, ma la interpreta cercando di parare le critiche che le venivano rivolte.
252
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
contempo le critiche alla friabilità dell'atomo come quelle che compaiono
in Lattanzio. Demetrio Lacone era allievo di Zenone Sidonio117 , anch'egli
filologo delle opere epicuree e, secondo quanto riferisce Cicerone, uditore
di Carneade118 . Egli poteva dunque conoscere le critiche rivolte dall'Accademia di mezzo a determinate forme atomiche. Lucrezio ribadiva, come
si è visto, che l'indivisibilità dell'atomo era dovuta alla sua solidità e ammetteva dunque senza problemi le forme ad amo e ad uncino119 .
In ogni caso il testo di Lattanzio, sia esso mediato da Cicerone o da
altra fonte, riporta argomentazioni che risalgono almeno al II sec. a.C. e
che contengono una interpretazione dell'atomo leucippeo come un ejlavciston kai; ajmerev", un minimo fisico indivisibile per la piccolezza e privo di
parti. Leucippo non compare nella sezione Sui minimi di Pseudo-Plutarco e
Stobeo perché, come si è visto, nella vulgata di matrice posidoniana, non
veniva classificato fra i corpuscolaristi. Qui è sempre Diodoro il sostenitore di ejlavcista kai; ajmerh' i quali, tuttavia, sono concepiti come ulteriormente divisibili con la mente120 . Ci sono però dei resoconti che
differenziano fra l'atomo indivisibile per la piccolezza di Leucippo e quello
indivisibile per la solidità di Epicuro. Tale distinzione è accompagnata dai
nomi in un brano del De elementis secundum Hippocratem di Galeno (v. infra,
3. 2. 3), mentre rimane anonima in Teodoreto e implicita nello PseudoPlutarco. Qui di seguito verranno confrontati i tre testi fra di loro e con il
brano di Lattanzio appena esaminato.
3. 2. 2. Pseudo-Plutarco
Il brano dossografico sulla dottrina di Epicuro e Democrito dello PseudoPlutarco nella sezione Sui principi riflette alcune argomentazioni e una
strutturazione dialettica simili a quelle del passo di Lattanzio. Proprio quest'ultimo contribuisce a chiarire alcune affermazioni del dossografo, altrimenti di difficile comprensione. Pseudo-Plutarco non fa il nome di Leucippo, ma espone la differenza fra Democrito ed Epicuro nella forma di
uno scambio dialettico. Si tratta di un modello, consolidato nell'Accademia
scettica e usuale in Cicerone e in altri autori che inglobano materiale dossografico in contesti più o meno letterari e marcatamente retorici, che
prescinde dalle relazioni cronologiche e pone a confronto le tesi di diversi
interlocutori121 .
117
118
119
120
121
Su questo personaggio, cf. Angeli-Colaizzo 1979.
Cic. Ac. 1,12,46. Cf. Angeli-Colaizzo 1979, 70.
Lucr. 1,609-614, supra, n. 104.
Su questo, v. supra,V 1.
Cf. anche Van der Eijk 1999, 23ss.
Capitolo sesto
253
Lo Pseudo-Plutarco presenta il resoconto sull'atomismo come dottrina
epicurea che avrebbe preso le mosse da Democrito:
Epicuro, figlio di Neocle, Ateniese, che filosofava secondo Democrito, disse che i
principi delle cose esistenti sono corpi, concepibili con l'intelletto, privi di vuoto,
ingenerati, eterni, indistruttibili che non possono essere né frammentati né riplasmati da parti, né alterati; essi sono concepibili con l'intelletto; questi dunque si
muovono nel vuoto e attraverso il vuoto; il vuoto stesso è infinito e infiniti sono i
corpi122 .
La versione di Pseudo-Plutarco citata da Eusebio, attribuisce invece la
dottrina a Democrito, pur ponendo Epicuro sulla sua scia, lo Pseudo-Giustino, negli stessi termini, al solo Epicuro e così anche Stobeo, che riporta
una versione estremamente abbreviata123 . Questa prima parte, che vede
una sostanziale equivalenza delle dottrine di Democrito ed Epicuro, è
seguita in Pseudo-Plutarco da un'altra sequenza nella quale invece vengono messe in particolare rilievo le discordanze. Il verbo fhsiv, che rimanda ad un presunto discorso di Epicuro, e l'uso del discorso indiretto
fanno chiaramente capire che il testo di riferimento era strutturato in maniera dialettica alla stregua dei dialoghi ciceroniani e del brano di Lattanzio. Epicuro rispondeva a eventuali critiche formulate contro l'atomismo
antico correggendone alcuni assunti.
I corpi hanno questi tre accidenti: figura, grandezza e peso. Democrito ne ha
ipotizzati due, figura e grandezza, Epicuro vi ha aggiunto anche il peso: è neces-
122
123
Ps.-Plut. 1,3, 877 D Epivkouro" Neoklevo u" Aqhnai'o" kata; Dhmovkriton filosofhvsa" e[fh
ta;" ajrca; " tw'n o[ntwn swvmata, lovgwi qewrhtav, ajmevtoca kenou' , aj gev nhta, ajivdia, a[vfqarta,
ou[te qrausqh'nai dunavmena, ou[ te diaplasmo; n ejk tw' n merw'n labei'n ou[ te ajlloiwqh'nai:
ei\nai d aujta; lovgwi qewrhtav: tau'ta mev ntoi kinei'sqai ejn tw'i kenw'i kai; dia; tou' kenou':
ei\nai de; kai; aujto; to; keno;n a[peiron kai; ta; swvmata a[peira. L'espressione che definisce
l'atomo non riplasmabile si presenta in varianti diverse ed è stata corretta in ou[te diavplasin ejk tw' n merw' n labei'n dal Diels sulla scorta di Ps.-Iustin. Cohort. ad Graec. 4,1. Diaplasmovn è il termine riportato nei manoscritti dello Pseudo-Plutarco. L'impossibilità della
riplasmazione dell'atomo corrisponde al dettato epicureo secondo cui i minimi non si
muovono e sono fissi all'interno dell'atomo. Il dossografo oppone così implicitamente gli
atomi di Epicuro agli o[gkoi di Asclepiade che potevano essere frammentati in infinite parti
e poi ricomposti. Questa è per lo meno l'interpretazione del discusso passo di Celio Aureliano (Acut. 1,14,106), fornita da Vallance 1990, 20ss. Al contrasto con gli elementi di
Asclepiade sembra rimandare anche l'espressione precedente ou[te qrausqh'nai dunavmena.
Essi sono infatti più volte definiti, nelle testimonianze, qraustav (cf. Sext. Emp. Pyrrh. Hyp.
3,33; Galen. De const. art. med. 7 (I,249 K.); [Galen.] Intr. sive med. 9 (XIV,698 K.).
Ps.-Plut. ap. Eus. Praep. Ev. 14,14,5 Dhmovkrito", w|i meta; plei'ston Epivkouro" hjkolouvqhsen, ajrca;" tw' n o[ntwn swvmata a[ toma, lovgwi de; qewrhtav, ajmevtoca kenou', aj gev nhta,
ajdiavfqarta oujde; qrausqh'nai dunav mena, ou[te diplavsion ej k tw' n merw'n labei'n ou[te
ajlloiwqh'nai, ei\ nai dæ auj ta; lovgwi qewrhtav . tau' ta mev ntoi kinei'sqai ej n tw'i kenw'i kai; dia;
tou' kenou': ei\nai de; kai; aujto; to; keno;n a[p eiron kai; ta; swvmata a[p eira. Stob. 1,10,14
(Dox. 285) Epivkouro" ajrca;" ei\nai tw'n o[ntwn swvmata lovgwi qewrhtav, ajmevtoca kenou',
ajgevnhta, ajdiavfqarta, ªtaº ou[te qrausqh' nai dunavmena, ou[te ajlloiwqh'nai.
254
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
sario infatti, dice, che i corpi si muovano sotto la spinta del peso, altrimenti non
potrebbero muoversi124 .
Le affermazioni sul peso dell'atomo costituiscono un punto controverso
che qui non può essere esaminato nel dettaglio125 . Rilevante è tuttavia il
fatto che lo schema: assenza di peso dell'atomo democriteo/ correzione
apportata da Epicuro corrisponda perfettamente, anche nella formulazione, a quello di Cic. De fato 20,46. Anche qui, nella critica alla teoria del
clinamen, viene attribuita ad Epicuro una simile correzione della tesi democritea: Democrito avrebbe infatti sostenuto che gli atomi sono mossi non
dal peso, ma da un'altra spinta che egli chiama "colpo", Epicuro invece, da
una spinta che deriverebbe loro dal peso126 . Anche qui Epicuro parla in
prima persona in un confronto dialettico con Democrito, ma subito dopo
viene confutato, ancora in forma dialogica, da un terzo interlocutore, critico nei confronti della dottrina atomistica127 .
Il testo di Pseudo-Plutarco prosegue poi con la critica di Epicuro alle
forme democritee:
Le figure degli atomi sono concepibili, non infinite. Infatti, dice, non sono né uncinate, né a tridente, né ad anello. Infatti queste forme sono friabili, mentre gli
atomi sono impassibili e infrangibili; ma gli atomi hanno forme proprie intellegibili. E si dice atomo non perché è il più piccolo, ma perché non si può tagliare in
quanto impassibile e privo di vuoto; talché quando dice atomo, dice infrangibile e
impassibile, privo di vuoto 128 .
L'assunzione di un numero non infinito di forme atomiche e il rifiuto delle
forme friabili compaiono qui nella stessa sequenza in cui sono menzionate
nel testo dell'epicureo Demetrio Lacone. Il testo di Pseudo-Plutarco si
distingue però da quest'ultimo per due tratti specifici: innanzitutto definisce chiaramente quali forme Epicuro avrebbe escluso perché friabili (De124
Ps.-Plut. 1,3, 877 E (Dox. 285; 217, 234 L.) sumbebhkevnai de; toi'" swvmasi triva tau'ta,
schvma mevgeqo" bavro". Dhmovkrito" me;n ga;r e[lege duvo, mevgeqov" te kai; sch'ma, oJ d
Epivkouro" touvtoi" kai; trivton, to; bavro", ejpevqhken ªprosevqhken Eus., Dielsº: ajnav gkh
gavr, fhsiv, kinei'sqai ta; swv mata th'i tou' bavrou" plhgh'i: ejp ei; ouj kinhqhvsetai.
125
Per il problema del peso dell'atomo in questo passo e in quello ciceroniano, cf. in particolare O'Brien I, 1981, 229-248.
Cic. De fato 20,46 (68 A 47 DK; 307, 365 L.) «Declinat» inquit (scil. Epicurus) «atomus». Primum
cur? aliam enim quandam vim motus habebant a Democrito inpulsionis, quam plagam ille appellat, a te,
Epicure, gravitatis et ponderis. La stessa sequenza in uno schema diairetico e non dialettico in
Stob. 1,14,1; 1,19,1 (Ps.-Plut. 1,23, 884 C) (68 A 47 DK; 307, 365 L.).
Per una sequenza simile (correzione epicurea di una tesi democritea-critica da parte di
Carneade) riguardo al clinamen, cf. De fato 10,23 (68 A 47; 307, 365 L.).
Ps.-Plut. 1,3, 877 E (Dox. 285; 217, 234 L.) ei\nai de; ta; schvmata tw'n ajtovmwn perilhptav,
oujk a[p eira. mh; ga;r ei\nai mhvt ajgkistroeidei'" mhvte triainoeidei'" mhvte krikoeidei'":
126
127
128
tau'ta ga;r ta; schvmata eu[qraustav ejstin, aiJ d a[ tomoi ajpaqei'" a[qraustoi: i[dia d e[cein
schvmata lovgwi qewrhtav. kai; ei[rhtai a[ tomo", oujc o{ ti ejsti;n ejl acivsth ajl l o{ti ouj duvnatai
tmhqh'nai, ajp aqh;" ou\s a kai; ajmevtoco" kenou': w{ste, eja;n ei[phi a[ tomon, a[qrauston lev gei
kai; ajp aqh', ajmevtocon kenou'.
Capitolo sesto
255
metrio affermava genericamente che avrebbe ammesso solo forme compatte). In secondo luogo, come ulteriore risposta alla critica alle forme,
fornisce una definizione dell'atomo come indivisibile perché solido in
contrasto con un atomo indivisibile perché minimo che manca in Demetrio. La critica alle forme e la ridefinizione dell'atomo nel testo di PseudoPlutarco sembrano a prima vista mancare di una connessione logica. Il
loro rapporto diviene, però, chiaro sullo sfondo dei brani di Lattanzio. In
questi ultimi, infatti, la confutazione dell'atomo indivisibile per la piccolezza di Leucippo si basava proprio sulla critica alle forme atomiche friabili come quelle scabre, ad amo e con angoli. Non solo, ma, in risposta ad
argomenti come quello avanzato da Demetrio, venivano criticate anche le
forme "compatte" come quelle lisce e sferiche: tali forme, dice Lattanzio,
non generano nulla perché non possono combinarsi. Gli atomi devono
perciò avere anche forme ad amo e con sporgenze che, come tali, si possono tagliare e quindi non possono essere indivisibili. La presunta ridefinizione dell'atomo da parte di Epicuro costituisce proprio una risposta a
questa doppia critica: gli atomi non sono insecabili in quanto minimi, ma
in quanto infrangibili, impassibili e privi di vuoto. In Galeno, come si
vedrà, è presente la risposta anche a questa "correzione" epicurea che
manca invece nei resoconti di Lattanzio. Dunque, nel brano dello PseudoPlutarco è implicita una struttura dialettica che presuppone:
A. Tesi degli atomisti antichi: ci sono minimi indivisibili di infinite forme.
B. Critica di un avversario: se gli atomi hanno, fra le altre, anche forme
ad amo e con sporgenze, non sono indivisibili perché queste ultime si
possono sempre tagliare.
C. Correzione epicurea: gli atomi non hanno forme infinite, ma concepibili col pensiero. Alcune forme friabili possono dunque essere escluse.
D. Critica dell'avversario: se non hanno forme con sporgenze, ma sono
lisci e rotondi, non possono combinarsi.
E. Risposta epicurea: l'atomo si definisce tale non perché è un minimo,
ma perché è impassibile e privo di vuoto.
Per quanto riguarda i punti C, D ed E, si può osservare che ad Epicuro sono attribuite delle tesi in parte da lui veramente sostenute, come
quella della non infinità delle forme atomiche, ma anche delle opinioni
palesemente in contrasto con le testimonianze come le forme "concepibili" e la negazione delle forme atomiche ad amo a tridente e ad anello.
Per quanto riguarda il primo punto, la lezione perilhptav è stata generalmente riportata ad un errore della tradizione manoscritta e corretta, sulla
scorta dell'Epistola ad Erodoto (1,42), in ajperivl hpta129 . In realtà i manoscritti di Pseudo-Plutarco, compreso quello che il traduttore arabo aveva
129
Duebner II, 1841; Diels 1879; Lachenaud 1993.
256
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
davanti130 , hanno concordemente perilhptav. Il termine è perfettamente
accettabile se lo si interpreta non come una affermazione originale di Epicuro, ma come una deduzione che si poteva trarre dall'epistola epicurea: se
le forme atomiche non sono infinite, devono essere concepibili con la
mente in quanto solo l'infinito è inconcepibile. Dunque Epicuro avrebbe
ammesso che le forme sono concepibili131 . Riguardo al secondo punto, la
negazione di certe forme atomiche, Demetrio Lacone allude al fatto che
Epicuro ha ammesso solo forme compatte, ma non specifica di quali si
tratti. Tale affermazione è però palesemente contraddetta all'interno della
scuola stessa. Le forme ad amo a tridente e ad anello sono citate, infatti,
espressamente da Lucrezio per spiegare la struttura di certi oggetti sensibili
e di altri fenomeni. Atomi ad amo e "a ramo" compongono le cose che ci
appaiono dure e spesse e l'attrazione del magnete e del ferro si spiega
attraverso intrecci di atomi ad anello e ad amo132 . Anche Galeno accenna
in un contesto critico a quest'ultimo punto133 . Per Cicerone, come si è già
constatato, le forme ad amo e ad uncino sono dottrina leucippea e democritea accettata anche dagli epicurei134 . Pseudo-Plutarco attribuisce dunque
ad Epicuro delle tesi che non sono sue, ma solo deduzioni di chi argomenta pro o contro le forme atomiche. Da affermazioni quale quella di
Demetrio Lacone, secondo cui Epicuro avrebbe ammesso solo forme
compatte e rifiutato quelle friabili, si poteva facilmente passare all'identificazione di queste ultime con le forme ad amo e ad uncino. D'altra parte la
ridefinizione dell'atomo da parte di Epicuro, che, detto per inciso, ripete
130
131
132
133
Daiber 1980, 105: "Die Gestalten der Körper, welche nicht teilbar sind, lassen sich erfassen und sind
nicht unendlich".
Anche l'esclusione delle forme con sporgenze sia in Demetrio Lacone che nel testo di
Pseudo-Plutarco è il risultato di una deduzione. L'Accademico Cotta nel primo libro del De
natura deorum (1,32,90) usa un procedimento simile per confutare la concezione epicurea
della divinità. L'affermazione di Epicuro secondo cui gli dèi sono simili agli uomini presuppone che anche gli uomini siano simili agli dèi. E' logico infatti che sia la forma degli
uomini a derivare da quella degli dèi sempre eterni e ingenerati e non viceversa. Conseguentemente si deve dire non che gli dèi hanno forma umana, ma che gli uomini hanno
forma divina. Quest'ultima deduzione viene poi assunta come effettiva tesi di Epicuro e
confutata nel paragrafo seguente (perché dunque improvvisamente sarebbero nati degli
uomini di forma divina?).
Lucr. 2,444-446 Denique quae nobis durata ac spissa videntur,/ haec magis hamatis inter sese esse
necessest/ et quasi ramosis alte compacta teneri; cf. 2,393s. Cf. anche 6,1087-1089 (del magnete):
Est etiam, quasi ut anellis hamisque plicata/ inter se quaedam possint coplata teneri;/ quod magis in lapide hoc fieri ferroque videtur. Lur'e 1970, 466s. ha notato l'incongruenza del testo dello
Pseudo-Plutarco con le testimonianze lucreziane, ma, senza addurre alcuna prova, ha attribuito a Lucrezio una ripresa di dottrine democritee che Epicuro avrebbe invece rifiutato.
Gal. Nat. fac. 1,14 (III,137,1 Helmreich = II,49 K.) (Ep. Fr. 293 Us.) eij ga;r e{kaston aujtw'n
muriostovn ejsti mevro" tw' n ejn tw'i aj evri feromevnwn yhgmav twn, phlivkon crh; noh'sai to;
pevra" aujtw' n to; ajgkistroeidev", w|i periplevketai pro; " a[llhla…
134
V. supra, 3. 2. 1 n. 110.
Capitolo sesto
257
in parte quella della prima parte del brano e sembra assolutamente superflua, presuppone un'ulteriore critica anche a forme compatte quali quelle
lisce. Dato che queste ultime non possono generare nulla, si devono reintrodurre necessariamente quelle forme in un primo tempo rifiutate con
tutti i problemi che ne conseguono. Si tratta delle argomentazioni addotte
da Lattanzio. Ecco allora la ridefinizione dell'atomo che para tutte le obiezioni precedenti: l'atomo non è tale in quanto minimo (e dunque privo di
parti), ma in quanto impassibile e privo di vuoto. Nell'epitome dossografica sono state probabilmente assimilate critiche degli avversari e risposte
epicuree ed eliminato il nome di Leucippo135 .
Alla luce dei passi di Lattanzio delle Institutiones e del De ira dei si può
comprendere meglio anche la connessione fra le diverse parti del brano di
Pseudo-Plutarco. Egli ha infatti riassunto una sequenza di tesi, confutazioni e controtesi alla maniera dei dialoghi ciceroniani dove l'Accademico
scettico non solo illustra la diaphonia fra le teorie dogmatiche, ma formula
critiche e attribuisce anche risposte agli interlocutori basandosi su un nucleo dottrinale effettivo, ma anche su deduzioni che da questo si possono
trarre. Dunque la seconda parte del brano dello Pseudo-Plutarco, così
come quello di Lattanzio, riportano all'ambito dell'Accademia scettica.
Lattanzio espone la presunta dottrina di Leucippo con relativa critica,
Pseudo-Plutarco riferisce anche le "correzioni" epicuree, ma la trattazione
dell'atomismo nella sua globalità non si fermava qui. A questo punto entravano in gioco quegli argomenti contro l'impassibilità e la mancanza di
qualità dell'atomo, assunti dalla tradizione stoica e presenti in Cicerone e
Plutarco (v. supra, 2. 1). Questo quadro di insieme è ricostruibile attraverso
un brano del De elementis secundum Hippocratem di Galeno.
3. 2. 3. Galeno
Nel De elementis secundum Hippocratem Galeno propone un lungo excursus
sull'atomismo per dimostrare come quest'ultimo si presti alla critica
espressa nel trattato ippocratico De natura hominis secondo cui, se il corpo
fosse composto da un unico elemento, non potrebbe sentire dolore. Galeno, come egli stesso afferma in questa e in diverse altre opere, ritiene che
gli atomisti siano dei monisti in quanto hanno assunto come principi
atomi tutti uguali per specie e privi di qualità136 . Per dimostrare come la
135
136
Che compare invece nel resoconto parallelo di Galeno, v. infra, 3. 2. 3.
Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16ss. (60,19 De Lacy = I,418 K.); cf. anche De const. art. med. 7
(I,246 K.). Si tratta di uno schema interpretativo già presente nella Contro Colote di Plutarco
laddove si cerca di dimostrare che Epicuro, in realtà, ha sostenuto le stesse tesi monistiche
che Colote rimprovera a Parmenide (1114 A). Il modello di questa "riduzione" di Galeno
258
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
critica ippocratica sia rivolta contro tali posizioni, espone prima di tutto le
teorie democritee. La struttura di tale resoconto richiama da vicino quella
della Contro Colote di Plutarco. Come Plutarco, Galeno parte dalla massima
novmwi gluku; ktl. per passare poi alla descrizione dell'insieme della dottrina e ritornare infine a criticare l'impassibilità dell'atomo e la sua inalterabilità. Egli, tuttavia, non si limita a riferire le tesi di Democrito. Dopo
averne diffusamente descritto i caratteri basilari, soprattutto il meccanismo
di generazione dei corpi composti, accenna ad una differenza fra due tipi
di atomismo
Essi ritengono i corpi primi impassibili; alcuni di loro, come Epicuro, infrangibili
per la durezza, altri invece indivisibili per la piccolezza, come Leucippo137 .
Qui viene in pratica esplicitata quella diaphonia fra atomismo antico ed
Epicuro nella concezione dell'indivisibilità dell'atomo che nello PseudoPlutarco è solo presupposta. Nel contempo si ritrova l'accenno alle presunte teorie di Leucippo oggetto di critica nei brani delle Divinae Institutiones e del De ira dei di Lattanzio. In Galeno ci sono dunque ancora dei resti
di quella stessa tradizione critico-interpretativa che compare nei brani
suddetti. Altrove egli menziona Leucippo una sola volta incidentalmente e
in uno schema generico di concordanza con Epicuro e Democrito: tutti
avrebbero posto come elementi piccoli corpuscoli138 .
La terminologia del brano del De elementis ricorda quella dello PseudoPlutarco, in particolare l'attributo molto specifico a[qrausta degli atomi
137
risale certamente in ultima analisi ad Aristotele, come afferma Morel 1996, 115ss., ma è sicuramente filtrato da una tradizione posteriore come mostra la corrispondenza con Plutarco. Morel, interessato al tema più generale della rappresentazione dell'atomismo in Galeno, non indaga ulteriormente sulla tradizione che sta dietro la struttura dialettica del
brano e sulle strette relazioni di quest'ultimo con la Contro Colote. Sulle somiglianze e differenze fra i due brani, cf. Gemelli Marciano 1998, 121s.
Gal. De elem. sec. Hipp. 2,17 (62,4-7 De Lacy = I,418-419 K.) (68 A 49 DK; 112 L.) ajpaqh' d
uJpotivqentai ta; swvmata ei\nai ta; prw'ta: tine; " me; n aujtw' n uJpo; sklhrovthto" a[qrausta, kaqavper oiJ peri; Epivkouron, e[ nioi de; uJpo; smikrovthto" ajdiaivreta, kaqav per oiJ peri; to; n
Leuvkippon. De Lacy, nella sua edizione, aggiunge, sulla scorta della traduzione araba, anche il nome di Diodoro kaqavp er oiJ peri; to;n Leuvkippon ãkai; Diovdwronà (app. ad loc. e p.
138
22) ritenendo impossibile che il traduttore arabo possa aver aggiunto di suo pugno un
nome così inusuale. Che il nome fosse anche nel manoscritto greco è comunque piuttosto
strano in quanto Diodoro è sì il sostenitore-tipo degli ejlavcista kai; ajmerh' nella vulgata su
atomisti e corpuscolaristi (il suo nome è comunque sistematicamente tralasciato da PseudoPlutarco e compare solo nei passi paralleli di Stobeo), ma non viene mai citato in un contesto dove compaiono solo atomisti ed è completamente assente nelle opere di Galeno.
Quest'ultimo accenna più volte, qui e altrove, alla vulgata, ma senza fare nomi e distinguendo comunque il gruppo dei corpuscolaristi da quello degli atomisti, cf. De elem. sec.
Hipp. 1,7 (58,21 De Lacy = I,416 K.) ejk taujtou' d aujtoi'" eijsi corou' kai; oiJ ta; ejlavcista
kai; a[narma kai; aj merh' tiqevmenoi stoicei'a. Cf. anche De simpl. med. 5,25 (XI,783 K.)
Comunque sia, se anche Galeno qui menziona Diodoro fuori luogo, questo non ha
nessuna incidenza in relazione alla diaphonia Leucippo-Epicuro.
De nat. fac. 2,6 (III,172,7 Helmreich = II,97 K.).
Capitolo sesto
259
epicurei, che corrisponde esattamente alla definizione del dossografo aiJ
de; a[tomoi ajpaqei'" a[qraustoi. Galeno non lo usa più altrove. Egli non
menziona inoltre il termine originale nastovn che, come si può dedurre da
un altro passo139 , sembra non conoscere, e sembra presupporre una differenza fra a[qrausto", infrangibile per la durezza, e ajdiaivreto", indivisibile
in quanto ejlavciston.
Rispetto a Lattanzio e allo Pseudo-Plutarco, che si arrestano rispettivamente alla critica all'indivisibilità per la piccolezza e alla dichiarazione
epicurea della solidità dell'atomo, Galeno riporta anche un'argomentazione contro il concetto di impassibilità già presente nei testi di Cicerone e
Plutarco, che faceva dunque probabilmente parte di uno stesso blocco
confutativo. Egli le dà un taglio medico, rifacendosi all'obiezione rivolta ai
monisti nel De natura hominis ippocratico: se il corpo fosse composto da un
solo elemento, non dovrebbe sentire dolore140 . Tuttavia Galeno utilizza
anche un'altra argomentazione di tipo empirico: se si punge, anche con un
piccolo ago, la pelle, tutto il corpo sente dolore. Ammettiamo che questo
ago tocchi un solo atomo; se l'atomo è insensibile e per di più non può
subire ferite, non avrà alcuna reazione dalla puntura dell'ago. Nessuna
sensazione si produrrà neppure se l'ago toccherà due atomi e così via,
talché, se componiamo un corpo di atomi impassibili e insensibili, anch'esso risulterà tale. Infatti sarebbe veramente strano se ogni parte di
questo corpo fosse insensibile e impassibile, mentre il tutto è sensibile e
capace di subire. Ora, il corpo è chiaramente soggetto a dolore e, se si
ferisce una sua parte, il dolore viene avvertito dovunque, dunque deve
essere composto di elementi sensibili e capaci di "patire"141 . L'argomentazione coincide con una delle tante obiezioni rivolte da Plutarco all'atomo
di Epicuro nella Contro Colote:
a chi dunque, veramente, o Colote, consegue di non venir feriti né di ammalarsi?
a voi, a voi che siete fatti di atomo e di vuoto, nessuno dei due partecipe di sensazione142 .
Come si è visto sopra, Carneade considerava come caratteristica distintiva
dell'essere vivente il provare sensazioni e dolore e sosteneva che nessun
corpo è tale da non poter essere frammentato143 . Le critiche all'atomo e al
vuoto insensibili, che mettono in rilievo le incongruenze insite nell'atomismo, fanno parte dunque di un bagaglio che risale per lo meno a
Carneade. L'esempio dell'ago che punge, di carattere tipicamente medico,
potrebbe essere stato inventato da Galeno, ma ci sono buoni motivi per
139
140
141
142
143
De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK), v. supra, Introduzione 2. 1 n. 33.
Nat. hom. 2 (168,4s. Jouanna = VI,34 Littré).
Gal. De elem. sec. Hipp. 2,24ss. (64,5 De Lacy = I,420 K.).
Plut. Adv. Colot. 1113 E. Per il testo, v. supra, n. 40.
V. supra, 2. 1. 2 n. 42.
260
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
ritenere che non sia così. Innanzitutto non compare più in altri passi paralleli di Galeno, dove invece viene enunciata solo la tesi generale144 . In
secondo luogo, riemerge nella confutazione delle tesi atomiste nel commento al De generatione et corruptione del Filopono145 . Il commentatore neoplatonico non attinge direttamente da Galeno, in quanto riporta una variante (l'ago potrebbe pungere l'atomo o andare nel vuoto, ambedue
insensibili146 ) e lo cita come parte di un elenco di aporiai contro gli indivisibili che Aristotele avrebbe esposto nel terzo libro del De caelo147 . Ovviamente Aristotele non ha detto nulla di tutto questo, ma solo accennato al
fatto che le dottrine atomiste minano alla base la sensazione. Alessandro
di Afrodisia nel suo commento perduto al trattato, aveva ampliato le argomentazioni aristoteliche con aggiunte proprie148 , ma il Filopono non lo
segue149 ; egli attinge a qualche altra fonte che sfruttava anche argomenti di
matrice scettica. Infatti, la sua accusa agli atomisti di eliminare i sensibili
riprende non solo la tematica incontrata in Cicerone e Plutarco, ma presenta una concordanza quasi letterale col giudizio espresso in un famoso
brano di Sesto su Democrito. In sintesi il Filopono dice che, se gli atomi
sono insensibili, neppure le cose da loro composte avranno sensibilità,
dunque "non ci sarà nessun sensibile per natura"150 . Si tratta della defini144
145
Cf. De const. art. med. 7 (I,247-249 K.) e In Hippocr. De nat. hom. 1,6 (21,11-23 Mewaldt =
XV,36 K.) dove egli applica la stessa critica ad atomisti e corpuscolaristi.
Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,24-165,8 trivton (scil. ejpiceivrhma) o{ti ajnairou'si th;n
sunaivsqhsin kai; ta; pavqh. wJ" ga;r ei[rhtai pollavki", o{tan kenthvshi to; sw'ma belovnh ti",
ajnavgkh pa'sa h] ej n tw'i kenw'i cwrh'sai auj th;n h] th'" ajtovmou ãa{y asqai. eij me;n ou\n ej n tw'i
kenw'i cwrhvsei, oujk aijsqhvsetaià h} (sic eij?) de; th'" ajtov mou a{y etai, dia; to; ajpaqh' ei\nai
pavlin oujk aijsqhvsetai. w{ste aj nhvirhtai hJ ai[sqhsi" kai; oujde; n e[s tai aijsqhtovn. eij ga;r to;
aijsqavnesqai tw'i pavs cein ti uJpo; tw' n aijsqhtw' n th; n ai[sqhsin lev getai, oujk e[sti de;
sunaivsqhsi" oujd e; pavqo", oujd a[r a aijsqhtov n ti a]n ei[h kurivw".
146
147
148
149
150
Cf. Plut. Adv. Colot. 1113 D, supra, n. 40, dove sia il vuoto che gli atomi sono definiti insensibili.
Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,11-13.
Simplicio, nel commento ai passi del De caelo cui il Filopono allude, cita e segue appunto
Alessandro (303a 17, 612,1ss.).
Questo è chiaro dal confronto con l'argomentazione parallela nel commento al De caelo di
Simplicio che invece si richiama ad Alessandro. Simplicio, riferendosi alla critica aristotelica
alle dottrine atomiste di andare non solo contro la matematica, ma di eliminare anche la
sensazione, si riferisce unicamente al fatto che, essendo i corpi discontinui, la sensazione
non può propagarsi in tutto il corpo (612,15 "come infatti un dolore al piede si potrebbe
sentire [nel resto del corpo], se i corpi non sono continui?"). Simplicio elenca questa obiezione come terzo argomento contro la discontinuità e l'indivisibilità dei corpi, il Filopono,
invece, la riporta come quarto.
Philop. In De gen. et corr. 326a 14, 168,4 eij me;n ou\n mhde;n e[coien pavqo", oujd a]n ta; ejx
aujtw' n sugkeivmena scoivh a[ n ti pavqo". pw'" ga;r o} mh; e[cousi toi'" ej x aujtw'n sugkeimev noi"
doi'en a[ n… ajll eij mhde; n e{xousi ta; ej x aujtw'n pavqo", ajnaireqhvsetai hJ ai[sqhsi" kai; ta;
aijsqhtav. hJ ga;r ai[sqhsi" tw'i pavscein ti uJpo; tw' n aijsqhtw'n levgetai, tau'ta dev ejsti ta;
pavqh. w{ste oujd e;n e[stai fuvsei aijsqhtovn.
Capitolo sesto
261
zione letterale di Sesto: Democrito ha assunto come veri solo gli intellegibili per il fatto che non c'è alcun sensibile per natura perché tutto quanto è
formato da atomi privi di ogni qualità sensibile151 . In Sesto, come in Plutarco, questa argomentazione è correlata alla famosa frase novmwi gluku;
ktl. e proviene in ultima analisi dall'Accademia scettica152 . Nel brano di
stile dossografico di Galeno ritornano dunque quelle argomentazioni che
emergono nei diversi passi esaminati finora e che costituivano il nerbo
della confutazione dell'atomismo nell'Accademia di mezzo.
3. 2. 4. Teodoreto
Il resoconto di Teodoreto sull'atomismo, come già notato da Mansfeld e
Runia153 , costituisce un problema in quanto questo autore utilizza non solo
Aezio, ma anche altre fonti e le combina in maniera idiosincratica aggiungendo e rimaneggiando. Così si esprime riguardo ai principi degli atomisti
nel quarto libro Sulla materia e sul cosmo
Democrito figlio di Damasippo per primo introdusse la dottrina del vuoto e dei
corpi compatti; Metrodoro di Chio invece li chiamò indivisibili e vuoto, come di
nuovo Epicuro figlio di Neocle, Ateniese, della quinta generazione dopo Democrito, chiamò atomi quei corpi che costoro [Democrito e Metrodoro] avevano
denominato compatti e indivisibili. Gli uni dicono che si definisce indivisibile,
atomo e compatto per l'impassibilità, gli altri, invece, per la piccolezza perché non
può subire taglio o divisione. Chiamano così quei corpi piccolissimi e sottilissimi
che il sole, penetrando attraverso le finestre, mostra sussultare su e giù nella sua
luce. Alle loro dottrine ha aderito anche Ecfanto di Siracusa, il Pitagorico154 .
Il resoconto riproduce solo in parte ciò che si trova in Stobeo. Vi compare
nella prima parte, come là, la successione Democrito-Metrodoro-EpicuroEcfanto e l'elenco delle varie denominazioni degli indivisibili (tutto questo
151
Sext. Emp. Adv. Math. 8,6 (57, 92 L.) oiJ de; peri; to;n Plavtwna kai; Dhmovkriton movna ta;
nohta; uJp enovhsan ajlhqh' ei\nai, ajll oJ me;n Dhmovkrito" dia; to; mhde; n uJ pokei'sqai fuvs ei
aijsqhtw'n tw' n ta; pav nta sugkrinousw' n ajtovmwn pavsh" aijsqhth'" poiovthto" e[rhmon ejcousw'n fuvsin.
152
Cf. Adv. Math. 8,55; 6,53; 7,135 e Gemelli Marciano 1998. Per una contestualizzazione
generale di queste interpretazioni in Sesto Empirico, cf. Morel 1996, 427ss.
Mansfeld-Runia 1997, 280-82.
Theodoret. 4,8-10 (Dox. 285; 113 L.) Dhmovkrito" de; oJ Abdhrivth" oJ Damasivppou th;n tou'
153
154
kenou' kai; tw' n nastw' n prw'to" ejp eishvgage dovxan: tau'ta de; Mhtrovdwro" oJ Ci'o" ajdiaivreta kai; keno;n proshgovreusen, w{sper au\ pavlin Epivkouro" oJ Neoklev ou" oJ Aqhnai'o"
pevmpthi genea'i meta; Dhmovkriton gegonw;" ta; uJp ejkeivnwn nasta; kai; ajdiaivreta dh;
klhqevnta a[toma proshgovreusen. ajdiaivreton de; kai; a[tomon kai; nasto;n oij me; n dia; to;
ajpaqe; " wjnomavsqai fasiv n, oiJ de; dia; to; a[gan smikro;n a{ te dh; tomh;n kai; diaivresin devxasqai ouj dunavmenon. kalou'si de; ou{tw ta; smikrovtata ejkei'na kai; leptovtata swvmata, a} dia;
tw'n fwtagwgw' n eijs bavllwn oJ h{lio" deivknusin ejn eJ autw'i a[ nw kai; kavtw pallovmena.
touvtoi" kai; “Ekfanto" oJ Surakouvsio" oJ Puqagovreio" hjkolouvqhse.
262
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
manca in Pseudo-Plutarco). Tuttavia l'indicazione che Epicuro è della
quinta generazione dopo Democrito è inusitata155 . La seconda parte, riassuntiva e senza nomi specifici, come spesso nelle epitomi dossografiche,
attribuisce agli atomisti due concezioni diverse dell'atomo, una per la
ajpavq eia, cioè per la solidità, l'altra per la piccolezza. Si tratta di una differenziazione che non è esplicita nei testi dossografici di matrice "aeziana"
(Pseudo-Plutarco e Stobeo), ma sottintesa alla ridefinizione dell'atomo da
parte di Epicuro, mentre in Galeno è legata ai nomi di Epicuro e Leucippo. Teodoreto, particolarmente attento a mettere in rilievo la diaphonia
fra gli autori pagani, mantiene questo tratto eliminando però il nome di
Leucippo, per lui secondario156 . La definizione dell'atomo come "ciò che
non può subire taglio o divisione" è la formula corrente negli autori cristiani per lo meno dal III sec. d.C.157 . Teodoreto aggiunge però a questo
punto come illustrazione dell'atomo l'immagine degli xuvsmata, che non
compare nei testi dossografici di matrice "aeziana", ma è presente nel De
ira di Lattanzio e segue la definizione dell'atomo in diversi autori latini
fino all'epoca medievale158 . A differenza di questi ultimi, però, sicuramente
influenzati dalla similitudine lucreziana (2,114), Teodoreto identifica pulviscolo e atomi. Questa interpretazione non è una sua Verschlimmbesserung
come si potrebbe pensare159 , ma ha le sue radici in un passo del De anima
aristotelico160 ed è attestata anche in una citazione di Democrito in un
testo arabo, su cui si ritornerà nel capitolo conclusivo, e nel commento
alla Metafisica dello Pseudo-Alessandro che cita le particelle del pulviscolo
155
156
157
158
159
160
Mansfeld-Runia 1997, 281.
Lo nomina una sola volta in relazione alla dottrina dell'infinità dei mondi (4,15).
Cf. Hippol. Ref. 7,15,1 infra, n. 168; Aug. Serm. 362,20 (P. L. 39,V,2, 1624) Atomus dictus est a
tomhv, quod est sectio: a[tomo" graece quod secari non potest. Sed dicitur atomus in corpore, dicitur in tempore. in corpore dicitur, si quid inveniri potest quod quidem dividi non posse perhibetur, corpusculum aliquod tam minutum, ut iam non habeat ubi secari possit. Cf. Ep. 118,28 (P. L. 33,II, 445) Epicurus
vero neque aliquid in principiis rerum ponit praeter atomos, id est corpuscula quaedam tam minuta
ut iam dividi nequeant, neque sentiri, aut visu aut tactu possint; quorum corpusculorum concursu fortuito et mundos innumerabiles et animantia et ipsas animas fieri dicit, et deos.
Serv. Ecl. 6,31 Epicurei, vero […] corpus volunt esse atomos, id est quasdam minutissimas
partes, quae tomhvn, id est sectionem, non recipiunt, unde et atomi dictae sunt: quas Lucretius minutiores dixit esse illis corpusculis, quae infusis per fenestras radiis solis videmus; dicit enim illas nec visum
posse recipere. Isid. Etym. 13,2,1-4 Atomos philosophi vocant quasdam in mundo corporum partes tam
minutissimas ut nec visui pateant nec tomh;n, id est sectionem, recipiant; unde et a[tomoi dicti sunt. Hi per
inane totius mundi inrequietis motibus volitare et huc atque illuc ferri dicuntur, sicut tenuissimi pulveres
qui infusi per fenestras radiis solis videntur. Ex his arbores et herbas et fruges omnes oriri, ex his ignem et
aquam et universa gigni atque constare quidam philosophi gentium putaverunt. Raban. Maur. De universo 9,1 (P. L. 111,V, 262) (ad 594, p. 573 Nr.16 L.).
Mansfeld-Runia individuano come tali alcune delle particolarità dei resoconti di Teodoreto.
Arist. De an. A 2, 404a 1-21 (67 A 28 DK; 200, 443a, 462 L.), v. infra, VII 5 n. 50.
Capitolo sesto
263
come esempio di unità indivisibili161 . Sicuramente dunque Teodoreto attinge per questo passo non solo al cosiddetto Aezio, ma anche per lo
meno ad un'altra fonte come hanno già fatto notare Mansfeld e Runia162 , la
cui identità è però destinata a rimanere oscura163 .
Si può dunque ricostruire, attraverso i brani di Lattanzio, Pseudo-Plutarco, Galeno e Teodoreto, un filone espositivo-interpretativo risalente
all'Accademia scettica che istituiva una diaphonia all'interno dell'atomismo
accogliendo una tradizione sull'indivisibilità dell'atomo in quanto minimo
legata al nome di Leucippo e diversa da quella corrente su Democrito ed
Epicuro. L'atomo di Leucippo veniva criticato con delle motivazioni capziose e legate all'empiria: essendo indivisibile perché minimo e privo di
parti, non poteva assumere forme con sporgenze le quali si possono invece tagliare. Gli Epicurei reagivano eliminando le forme friabili e ammettendo solo quelle compatte, ma esponendosi ad una nuova critica in
quanto queste ultime non possono intrecciarsi. Infine definivano l'atomo
indivisibile non perché minimo, ma perché solido, infrangibile e impassibile. A sua volta questa risposta veniva sottoposta a critica attraverso l'argomentazione che troviamo in Plutarco e in Galeno: atomi insensibili e
impassibili non possono formare corpi sensibili e quindi in grado di sentire dolore. Se, d'altra parte, anch'essi sentono dolore, allora sono, come
gli altri corpi, soggetti a dissoluzione e dunque non eterni e indistruttibili.
È praticamente impossibile stabilire da quale tradizione interpretativa
l'Accademia scettica avesse assunto la rappresentazione dell'atomo leucippeo come insecabile perché elemento più piccolo. Questa interpretazione
rispecchia sia l'argomento "fisico" di De Generatione et corruptione A 2, dove
però il nome di Leucippo non compare, sia la definizione di minimo privo
di parti risalente all'Accademia antica e corrente negli autori di età imperiale164 . La critica alle forme atomiche ad essa legata sembrerebbe riportare
fino a Stratone di Lampsaco, ma quest'ultimo, criticava Democrito e non
Leucippo. Teofrasto attribuiva inoltre ad ambedue gli stessi principi: il
pieno e compatto e il vuoto. In ogni caso questa tradizione è confluita in
161
Ps.-Alex. In Metaph. 1056b 28, 631,8-11 ouj pa'n, o} a]n h\i e}n kai; ajdiaivreton, ajriqmov" ejstin,
ajll eijsi; polla; e}n kai; ajdiaivr eta ta; ejn tai'" ajkti'si tou' hJlivou oJrwvmena xuvsmata, kai; ou[k
eijsin ajriqmov", eij tavc a kai; e[stin ajriqmo;" auj tw'n.
162
1997, 280-282.
Si potrebbe pensare a Porfirio, che Teodoreto nomina espressamente come sua fonte
accanto ad Aezio e Plutarco. Il fatto che la Historia philosopha del neoplatonico arrivasse fino
a Platone (Eunap. Vita Soph. 2,1) mentre Teodoreto menziona anche Epicuro, non è necessariamente un ostacolo all'attribuzione. Infatti la classificazione delle teorie atomistiche
avrebbe potuto far parte senza problemi di un resoconto sugli atomisti antichi. In ogni
caso la fonte di Teodoreto seguiva da vicino la letteratura delle diadochai come mostra l'indicazione sul posto occupato da Epicuro nella successione degli atomisti.
V. supra, V 1 n. 17.
163
164
264
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
una sezione dossografica Sui principi di cui si trovano le tracce in Galeno e
Teodoreto e, in parte, nel resoconto di Lattanzio.
Nelle fonti tarde lo schema diafonico presente in questi testi scompare
per effetto dell'epitome producendo una assimilazione di dottrine presentate in origine come contrarie e conseguentemente una attribuzione oscillante delle diverse definizioni. Tre sono gli schemi di assimilazione:
1. Citazione delle due definizioni dell'atomo come assolutamente
equivalenti e senza attribuzioni specifiche come in Suda, il cui testo si avvicina a quello di Teodoreto165 .
2. Attribuzione di ambedue le definizioni dell'atomo ad Epicuro come
nell'Isagoge di Achille166 .
3. Attribuzione dell'atomo indivisibile per la piccolezza ad Epicuro
che, essendo il rappresentante canonico dell'atomismo, funge da paradigma. Nel III sec. d.C., questa tendenza è già affermata. Un autore come
Ippolito, che pure riporta spesso abbastanza fedelmente molti brani dossografici, attribuisce l'indivisibile per la piccolezza ad Epicuro interpretandolo in pratica come un ajmerev"167 .
3. 3. Minimo privo di parti ed epitomi dossografiche
La tradizione precedente riguardante i principi, che illustra una diaphonia
fra Leucippo ed Epicuro all'interno degli atomisti, è comunque diversa
dalla vulgata che si trova in altri autori tardi che non nomina mai Leucippo,
classifica separatamente, ordinandoli fra i corpi "intellegibili", atomi e
ajmerh' (questi ultimi sono posti fra i corpi divisibili all'infinito, ma indivisi
insieme alle omeomerie di Anassagora e agli onkoi di Eraclide e Ascle165
166
167
Sud. s. v. “Atoma (201 L.) leptovtata. ta; mh; dunavmena dia; th;n a[kran leptovthta tevmnesqai.
o{ti a[toma wj novmasan oiJ ”Ellhne" kai; ajmerh' swv mata dia; to; ajp aqe; " h] smikro;n a[ gan, a{te
mh; tomh; n h] diaivresin dev xasqai dunavmena.
Achill. Isag. 3, 31,5 Maas (Ep. Fr. 267 Us.) Epivkouro" de; oJ Aqhnai'o" ejk swmavtwn nohtw'n
smikrotavtwn ta; " ajrca;" tw' n o{lwn ei\naiv fhsi: kalei' de; auj ta; " ajtovmou" h] dia; smikrovthta
ajkariaiva" tina;" ou[s a" h] dia; to; ajfqavrtou" aujta;" ei\nai kai; mh; tevmnesqai.
Hippol. Ref. 1,22,2 Epivkouro" ª...º ta;" de; ajtovmou" to; leptomerevstaton kai; kaq ou| oujk a[n
gev noito kev ntron oujde; shmei'on oujdev n, oujde; diaivresi" oujd emiva, e[fh ei\nai: dio; kai;
ajtovmou" auj ta; " wj novmasen. Cf. invece Ref. 7,15,1 dove Ippolito contrappone alla concezione
dell'atomo indivisibile per la piccolezza quella di individuo di Aristotele che per natura non
può essere diviso: a[tomon de; ouj dia; smikrovthta swvmato" ejkei'no" (scil. oJ Aristotevlh")
levgei, ajlla; ãto;Ã fuvs ei tomh; n ajnadev xasqai mhd hJ ntinaou' n dunavmenon. La contrazione risulta ancor più chiara in un autore come Psello, epitomatore per eccellenza (Theol. 49,
191,208 Gautier oJ ga;r Epivkouro" nou'n kai; qeo;n ajnairw'n oi[etai to;n kovsmon aujtomavtw"
ejx aj merw' n susth'nai swmavtwn: lev gei ga;r o[ gkou" tina;" ajmerei'" te kai; aj paqei'", oi| a ta; ej n
tai'" ajkti'si dia; tw' n qurivdwn xuvsmata faiv netai, eij " eJ autou;" sumplakevnta" to; xuv mpan
ajpogennh'sai).
Capitolo sesto
265
piade) e attribuisce gli uni a Democrito ed Epicuro, gli altri a Diodoro168 .
Tuttavia il procedimento riassuntivo, tipico della dossografia, che ha portato all'assimilazione delle varie dottrine atomiste, è stato applicato anche
alla vulgata. Una "contrazione" spiega infatti una testimonianza di PseudoPlutarco e Stobeo, nella sezione Sulla divisione dei corpi, sulla quale alcuni si
sono basati per attribuire a Democrito degli indivisibili in assoluto. Secondo il testo riportato da Diels 1879 e comunemente accettato, lo
Pseudo-Plutarco parlerebbe genericamente di "coloro che pongono gli
atomi" i quali negherebbero la divisione all'infinito e si fermerebbero a
corpi privi di parti169 . Lo Stobeo attribuisce invece espressamente la concezione a Democrito170 . Lur'e usava questa testimonianza, insieme a quella
sulla doppia concezione dell'atomo (atomo e minimo) di Alessandro171 ,
come prova di un doppio atomismo democriteo172 . Tuttavia il testo dello
Pseudo-Plutarco risulta da una correzione del Diels il quale riteneva che,
in generale, il testo di Stobeo riproducesse meglio il modello aeziano173 . In
realtà i codici di Pseudo-Plutarco riportano un'altra lezione: oiJ ta;"
ajtovmou" h] ta; ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\nai th;n tomh;n. Il
senso è perfettamente coerente anche senza la correzione174 e corrisponde
alla distinzione fra atomisti e Diodoro della vulgata: "quelli che hanno ipotizzato gli atomi o gli ajmerh' affermano che la divisione si arresta e che
non procede all'infinito". La stessa costruzione sintattica, con la forma
attiva del verbo, si ritrova anche in un passo parallelo del Filopono175 . Si
168
169
170
171
172
173
174
175
Per la distinzione di atomi e ajmerh', cf. Sext. Emp. Adv. Math. 1,27, v. supra, n. 45.
Ps.-Plut. 1,16, 883 D (Dox. 315; 68 A 48 DK; 106 L.) oiJ ta;" ajtovmou", peri; ta; ajmerh'
i{stasqai kai; mh; eij" a[p eiron ei\nai th; n tomh;n. Riproduco qui il testo dielsiano accettato
anche da Lachenaud 1993 ad loc. e, fra gli editori di Democrito, da Lur'e e Taylor 1999, 78.
Stob. 1,14,1f (Dox. 315; 68 A 48 DK; 106 L.) oJ d aujto;" e[lege (scil. Dhmovkrito") peri; ta;
ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\ nai th;n tomhv n. I Mss. riportano peri; ta; mevrh, ma si
tratta di una aplografia frequente in Stobeo.
Alex. In Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.), v. supra, n. 77.
1932-1933, 125. Democrito avrebbe assunto, accanto agli atomi indivisibili per la solidità,
anche dei minimi matematici privi di parti precorrendo così Epicuro. Sull'assurdità di questa ipotesi, cf. Furley 1967, 97ss.; Krämer 1971. 270ss. Tuttavia il Furley, nella sua critica,
non menziona il passo di Aezio.
Diels 1879, 5 n. 2.
Mau 1971 ad loc., ha introdotto un non necessario ãeijsavgonte"Ã accettato anche da
Lachenaud 1993, 93 ad loc.
Philop. In De gen. et corr. 326a 24, 175,7 kai; ga;r oiJ mh; a[toma uJpotiqevmenoi oujk eij" a[p eiron
diairou'sin, ajll iJsta'si dia; th;n smikrovthta th; n tomhvn. Ad una stessa distinzione fra atomisti e corpuscolaristi, i quali avrebbero posto un arresto della divisione dei corpuscoli per
mancanza di uno strumento da taglio adeguato allude anche Ps.-Alex. In Metaph. 1053a 14,
610,24-32 to; de; i[sw" provskeitai h] dia; tou;" levgonta" ejx ajtovmwn sugkei's qai ta; megevqh, h]
dia; th;n ajsqev neian tou' te ojr gav nou, w|i crh'tai eij" th; n tmh'sin, kai; tou' tevmnonto" zwviou,
ejpei; th'i oijkeivai fuvsei pa' n mevgeqo" tmhtov n ejstin. L'argomento è lievemente rimaneggiato,
266
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
tratta in pratica di un riassunto della classificazione di cui Sesto Empirico
fornisce una versione integrale separando nettamente gli atomisti dai corpuscolaristi176 . Prima di arrivare allo Stobeo, i due gruppi non sono più
stati distinti. Il risultato estremo e paradossale di questo processo di epitomazione si riscontra infatti in altri autori come Epifanio, che attribuisce
agli Epicurei non solo atomi e ajmerh', ma anche gli omeomeri177 , e Michele
Psello, che vi aggiunge anche gli o[gkoi178 . Dunque anche questa attribuzione di ajmerh' agli atomisti è solo apparente e risulta invece da una contrazione della classificazione di matrice posidoniana.
3. 4. Atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti: atomisti antichi,
Aristotele, Epicuro nei commentatori neoplatonici
Dall'esame della tradizione esposta nel paragrafo precedente, che gioca
sulla diaphonia fra Epicuro e atomisti antichi, si deve partire per valutare
una testimonianza di Simplicio intorno alla quale, in positivo o in negativo, ha ruotato gran parte dell'interpretazione dell'atomismo sia di Democrito che di Epicuro fino ai giorni nostri. Prima di affrontarla nei dettagli è
opportuno ancora ricordare quanto si è già più volte detto sulle testimonianze simpliciane. Simplicio non riporta nulla di prima mano, e spesso
neppure di seconda, sull'atomismo. Il fatto che conosca l'opera di Aristotele su Democrito non significa automaticamente che egli se ne serva
sempre. Allo stesso modo, pur conoscendo di prima mano le dovxai teofrastee, utilizza talvolta rielaborazioni ben posteriori che egli trae da altri
176
177
178
ma la distinzione (che risale in definitiva a quella fra atomisti e corpuscolaristi di Arist. De
cael. G 4) è costante.
Adv. Math. 1,27, supra, n. 45. Un residuo di questa classificazione, che nomina di seguito i
sostenitori di atomi e di ajmerh' come due gruppi distinti, si ha ancora in Ps.-Plut. 1,10, 882
C oiJ dæ u{dwr levgonte" h] gh'n h] pu'r h] ajevra th;n u{lhn oujkevti a[morfon aujth;n levgousin ajlla;
sw'ma: oiJ de; ta; ajmerh' kai; ta;" aj tovmou" a[morfon. Basil. Hexaem. 3 A dia; tou'to oiJ me;n ejpi;
ta;" uJlika; " uJpoqevsei" katevf ugon, toi'" tou' kovsmou stoiceivoi" th; n aijtivan tou' panto;" aj naqevnte": oiJ de; a[toma kai; ajmerh' swvmata, kai; o[gkou" kai; povrou" sunevcein th;n fuvsin tw'n
oJratw'n ejf antavsqhsan.
Epiph. Anacephal. 1,8, 166,5 Holl Epikouvr eioi a[toma kai; ajmerh' swvmata kai; oJmoiomerh' te
kai; a[p eira th; n ajrch; n ei\ nai tw'n pav ntwn uJp esthvs anto.
Michael. Psell. Theol. 49, 191,208 Gautier, v. supra, n. 167. Psello attribuisce altrove nella
stessa opera le stesse definizioni all'atomo di Leucippo e Democrito, Theol. 6, 25,87 Gautier
tivvne" ou|toi… Leuvkippo" kai; Dhmovkrito": ou|toi ga;r th;n ej nantivan tai'" o{ lai" filosofivai"
ejbavdisan fasi; ga;r o{ti, kenou' tou' panto;" o[nto", gevgonev pote oJ kovsmo" provteron mh; o[n,
ei\ta eijpei' n boulhqevnte" kai; o[ntina trovpon ejgev neto ª...º ajnevplasan eJautoi'" swmavtiav
tina aj merh' oujk oi\d o{pw" kai; ajp aqevstata, qevsei kai; tavxei kai; schvmati diesthkovta.
ajmerh' gou' n swv mata kai; a[ toma ta; sumplev konta kai; sumplekovmena katwnovmazon: o[ gkou"
de; kai; pwvrou" ta; ejk tw'n sumplokw' n ginovmena e[f askon: ejk parallhvlou ga;r ta; oj novmata
tauti; kei'tai.
Capitolo sesto
267
commentatori di cui si serve in quel passo e le cui formulazioni sono più
vicine al suo scopo e all'argomento che sta trattando. Questo vale anche
per le sue affermazioni sull'atomo di Democrito e Leucippo come indivisibile per la piccolezza e privo di parti che non possono costituire un
punto di appoggio neppure secondario per ricostruire una originale concezione democritea dell'indivisibilità dell'atomo come invece spesso è
stato fatto179 .
Simplicio presenta una diaphonia fra atomisti antichi ed Epicuro come
quella della tradizione dossografica or ora esaminata, ma arricchita di
maggiori particolari. Il suo testo è il seguente:
Coloro che hanno negato la divisione all'infinito, poiché non possiamo dividere
all'infinito e provare da questo che la divisione è incessante, dicevano che i corpi
sono composti da indivisibili e si dividono in indivisibili. Tuttavia Leucippo e
Democrito considerano come causa del fatto che i corpi primi non si dividono
non solo l'impassibilità, ma anche la piccolezza e la mancanza di parti, Epicuro,
che viene dopo, invece, non li ritiene privi di parti, ma afferma che sono indivisibili per l'impassibilità. E in molti passi Aristotele ha confutato la tesi di Leucippo
e Democrito e forse, proprio per quelle critiche rivolte alla mancanza di parti,
Epicuro, venuto dopo di loro, concordando con la dottrina di Leucippo e Democrito sui corpi primi, li ha mantenuti impassibili, ma ha eliminato la mancanza di
parti, poiché essi sono stati per questo confutati da Aristotele180
La concezione dell'atomo epicureo indivisibile unicamente per la solidità
sarebbe nata dunque da una correzione delle teorie leucippee e democritee
dovuta alle obiezioni rivolte da Aristotele alla mancanza di parti dei loro
atomi. Questa versione simpliciana dei rapporti fra atomismo antico e
atomismo epicureo ha avuto una grande fortuna presso i commentatori
moderni perché offre un quadro apparentemente ordinato e verosimile,
179
180
La valutazione favorevole di questa testimonianza a scapito di quella già citata di In Phys.
185b 5, 81,34ss. ha condizionato, unitamente ad altre considerazioni, per lo più riguardanti
i passi aristotelici del De generatione et corruptione commentati nei capitoli III e IV, molte interpretazioni dell'atomismo democriteo o epicureo, cf. Furley 1967, 94ss.; Löbl 1976, 238s.
(cf. anche 1987, 148s.); Arrighetti 1993, 509; Silvestre 1985, 72 n. 10. Lur'e 1932-1933,
124ss.; 1970, 448.
Simpl. In Phys. 231a 21, 925,10-22 (67 A 13 DK; 113 L.) oiJ de; th'" ejp a[p eiron tomh'" ajpegnwkovte", wJ" ouj dunamev nwn hJmw'n ejp a[p eiron temei' n kai; ejk touvtou pistwvsasqai to; ajkatavlhkton th' " tomh'", ejx ajdiairevtwn e[legon uJf estavnai ta; swvmata kai; eij " ajdiaivreta diairei'sqai. plh;n o{ti Leuvkippo" me;n kai; Dhmovkrito" ouj movnon th;n ajp avq eian aijtiv an toi'"
prwvtoi" swvmasi tou' mh; diairei'sqai nomivzousin, ajlla; kai; to; smikro;n kai; ajmerev ",
Epivkouro" de; u{s teron ajmerh' oujc hJ gei'tai, a[toma de; aujta; dia; th; n ajpavq eian ei\naiv fhsi.
kai; pollacou' me;n th;n Leukivppou kai; Dhmokrivtou dovxan oJ Aristotevlh" dihvlegxen, kai;
di ejkeivnou" i[sw" tou;" ejlev gcou" pro;" to; ajmerev" ej nistamev nou" oJ Epivkouro" u{steron me; n
genovmeno", sumpaqw'n de; th'i Leukivppou kai; Dhmokrivtou dovxhi peri; tw'n prwvtwn
swmavtwn, ajp aqh' me;n ejf uvlaxen aujtav, to; de; ajmere;" aujtw' n pareivleto, wJ" dia; tou'to uJpo;
tou' Aristotevlou" ejl egcomevnwn. Cf. anche In De cael. 303a 3, 609,17 (237 L.) metev bh pro;"
tou;" peri; Leuvkippon kai; Dhmovkriton stoicei'a levgonta" ta;" dia; smikrovthta kai; nastovthta ajtovmou".
268
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
ma ha lo svantaggio di creare più problemi di quanti ne risolva. Essa si
scontra infatti con altre testimonianze dello stesso Simplicio181 e di altri
autori antichi scatenando fra i commentatori moderni quella ridda di ipotesi sull'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito cui si è già accennato. Per poter valutare questa testimonianza è dunque necessario
analizzarne la struttura e inquadrarla nella problematica che Simplicio sta
trattando. Il suo schema presenta tutti i tratti della tradizione diafonica
sull'atomismo esaminata sopra182 , ma con varianti significative, indice di
un'ulteriore rielaborazione:
1. Leucippo e Democrito, non vengono distinti, ma assimilati, con la
conseguenza che la tesi dell'atomo-minimo ajmerev" e quella dell'atomo
impassibile vengono attribuite sia all'uno che all'altro. Si tratta, come si è
visto, di un fenomeno connaturato alla trasmissione dossografica.
2. Viene introdotta la critica aristotelica come mediatrice fra l'atomismo antico e quello epicureo. Questo elemento del tutto nuovo si spiega
alla luce di una ben precisa tendenza neoplatonica ad individuare principalmente negli atomisti antichi l'obiettivo delle critiche aristoteliche agli
indivisibili. La ricostruzione, probabilmente non di Simplicio stesso, ma
già dell'autorità su cui si appoggia, contrariamente a quanto generalmente
si pensa, è infatti del tutto artificiosa e dettata da fattori contingenti. In
questo testo, infatti, non è tanto importante quanto viene detto, ma
quanto viene taciuto. Simplicio sottace il fatto che Epicuro ha tuttavia
supposto anch'egli degli ajmerh' (i minimi dell'atomo) contro i quali comunque si era diretta la critica aristotelica183 . Temistio rimprovera a Epicuro di aver ripreso esattamente quelle tesi che Aristotele aveva rifiutato e
Simplicio stesso, poco più oltre nel commento allo stesso paragrafo della
Fisica, riprende lo stesso motivo parlando del movimento dei minimi epicurei184 . Questa incongruenza nasce dal fatto che la testimonianza si basa
sulla sovrapposizione di due tronconi concepiti separatamente:
181
182
183
184
Simplicio applica in In De an. 409a 10, 64,5-7 (117 L.) la stessa equivalenza piccolo-privo di
parti alle monadi di Senocrate dando invece dell'atomo di Democrito la definizione canonica di indivisibile per la solidità. Per il testo, v. supra, n. 15.
Arrighetti 1973, 508s., ha in effetti messo in relazione il brano di Simplicio con quello di
Pseudo-Plutarco senza però trarne le necessarie conseguenze.
Cf. Krämer 1971, 268; cf. anche Silvestre 1985, 75. Epicuro ipotizza infatti diversi minimi
ajmerh': dello spazio in cui si muovono gli atomi, del movimento, del tempo (cf. Krämer
1971, 255 e n. 82-86 con relative indicazioni di testi). Egli afferma che gli atomi non "si
muovono" al presente su ognuno dei tratti privi di parti dello spazio, ma ogni volta "si
sono mossi", una tesi che Aristotele aveva posto come paradosso (Phys. Z 1, 232a 6-11).
Themist. In Phys. 232a 3-22, 184,9 (Ep. Fr. 278 Us.) ajll oJ sofwvtato" hJmi'n Epivkouro" oujk
aijscuv netai crh'sqai farmavkwi th' " novsou calepwtevrwi kai; tau'ta Aristotevlou" th;n
mocqhrivan tou' lovgou proepideivxanto". Simpl. In Phys. 231b 18, 934,23 (Ep. Fr. 278 Us.)
o{ti de; ouj pavnthi ajpivqanon tauvthn tevqeike (scil. Aristotevlh") th; n e[ nstasin, dhloi' to; kai;
qevnto" aujth; n kai; dialuvsanto" tou;" peri; Epivkouron o{mw" u{ steron genomevnou" ou{tw
Capitolo sesto
269
1. Lo schema dossografico riguardante le definizioni di atomo e i rapporti fra Epicuro e l'atomismo antico.
2. Una interpretazione seriore della critica aristotelica agli ajmerh' come
diretta contro l'atomismo antico e non contro l'Accademia.
Questo secondo elemento è di fondamentale importanza ai fini della
comprensione non solo del testo simpliciano, ma anche di tutta una serie
di testimonianze tarde che attribuiscono gli ajmerh' agli atomisti antichi o ai
cosiddetti democritei e che hanno avuto esiti e valutazioni del tutto opposte nelle moderne interpretazioni dell'atomismo antico. Come ha accuratamente documentato Krämer, gli obiettivi principali della critica aristotelica contro gli ajmerh', soprattutto nel sesto libro della Fisica, ma anche
altrove, non sono gli atomisti antichi, bensì Senocrate e l'Accademia185 . I
problemi posti dal passo di Simplicio devono però essere inquadrati nel
contesto generale dell'interpretazione degli attacchi aristotelici contro le
dottrine accademiche da parte dei Neoplatonici. Il brano costituisce un
preambolo al commento al sesto libro della Fisica, quello più espressamente rivolto contro gli indivisibili, e dunque riveste una funzione particolare. È una specie di segnale che Simplicio appone al suo testo per indicare in quale direzione questo libro vada interpretato: la critica di
Aristotele agli indivisibili deve essere intesa cioè come rivolta contro gli
atomisti e non contro gli Accademici che Simplicio non menziona in questo contesto. Attribuendo i minimi privi di parti agli atomisti antichi e
interpretando le critiche aristoteliche come dirette contro di loro, egli nega
implicitamente che gli obiettivi siano invece gli Accademici e in particolare
Senocrate. Ora, la difesa di Senocrate, e il tentativo di preservarlo dalle
obiezioni aristoteliche è una costante degli interpreti neoplatonici, Porfirio
in prima linea. Ci sono diverse testimonianze a questo proposito, anche di
Simplicio, nelle quali si nega recisamente che Senocrate abbia sostenuto
l'indivisibilità della linea come oggetto matematico. Dunque, o Aristotele
si è sbagliato, o i suoi attacchi non sono rivolti contro l'Accademico, ma
contro gli atomisti. Le due interpretazioni sono complementari e talvolta
si presentano unificate, talaltra invece isolate. In Porfirio, nel brano riportato da Simplicio nel commento al primo libro della Fisica, sono strettamente connesse: egli oppone infatti nettamente gli indivisibili di Senocrate
agli ejlavcista kai; ajmerh', quei minimi che, nel logos da lui riferito come di
levgein th;n kiv nhsin giv nesqai: ej x ajmerw'n ga;r kai; to; mevgeqo" kai; th;n kivnhsin kai; to;n
crovnon ei\nai lev gonte" ejpi; me; n tou' o{lou megevqou" tou' ejx ajmerw'n sunestw'to" kinei'sqai
levgousi to; kinouvmenon, kaq e{ kaston de; tw' n ejn aujtw'i ajmerw'n ouj kinei'sqai, ajlla; kekinh'sqai, dia; to; eij teqeivh kai; ejpi; touvtwn kinei'sqai to; ejpi; tou; o{lou kinouvmenon diaireta; aujta; e[s esqai. Cf. Furley 1967, 113, 119.
185
Krämer 1971, 263-7. Il fatto che nel libro della Fisica, che Simplicio commenta, Aristotele
non nomini mai né Democrito, né Leucippo è sottolineato anche da Giannantoni 1980,
129.
270
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
Parmenide, venivano appunto sottoposti a critica186 . Le linee e le figure
indivisibili di Senocrate sarebbero tali solo in quanto ei[dh, ma non nella
loro sostanza materiale che è divisibile all'infinito187 . Porfirio tenta qui di
conciliare gli indivisibili senocratei con le teorie aristoteliche eliminando
ciò che può costituire un oggetto di critica. Nel contempo egli scarica
tutto il peso dell'assunzione degli indivisibili sulle teorie atomiste criticate
nel logos di Parmenide. Siriano, nel commento a Metaph. M 8, in cui le monadi delle idee-numero vengono assimilate agli ejl avcista, segue la stessa
linea rimproverando ad Aristotele di aver frainteso gli Accademici. Essi
infatti non avrebbero sostenuto una dottrina degli ajmerh' come Democrito, ma distinto la monade numerica, principio ilico, e l'uno, principio
eidetico188 . Proclo, in un passo del commento al Timeo, dichiara esplicitamente la matrice antiperipatetica dell'interpretazione neoplatonica precisando che Senocrate ha assunto delle linee indivisibili solo per quanto
riguarda il loro carattere sostanziale, non in quanto enti matematici189 .
Simplicio stesso, nel brano di commento al primo libro della Fisica immediatamente successivo alla citazione del logos di Porfirio, avanza un'altra
possibile soluzione, tesa a salvare Senocrate dalle accuse di andare contro i
principi della matematica e interpreta le linee indivisibili in direzione corpuscolare conciliandole con i concetti di potenza e atto aristotelici. Le
linee senocratee, se potessero essere isolate, sarebbero indivisibili non per
natura, ma per la piccolezza. Riunite però nei corpi, possono essere sottoposte a quella divisione che non sarebbe possibile se fossero prese singolarmente190 . Al di là delle acrobazie simpliciane, si riconosce l'argomento
186
187
188
189
190
V. supra, III 1 n. 64: qui i minimi venivano definiti ejl avcista kai; a[toma.
Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,8-13) (Xenocr. Fr. 139 IP) dio; pavlin mhde;
e}n movnon uJp avrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mev ntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij"
a[tomav tina katalhv gein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavc ista, ajlla; kata;
me;n to; poso;n kai; th; n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw'ta, prwvta"
tina; " uJpoqev meno" ei\nai gramma;" ajtov mou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta.
Syrian. In Metaph. 1084b 23, 152, 17-21 (120 L.) o{ti me;n ajd uvnaton tw'i aujtw'i tau'ta a{ma
uJpavrcein, eu\ lev gei". ou[koun oujd ejkei' noi th;n aujth; n monavda pavntwn te aj riqmw'n ei\nai perilhptikh;n e[legon kai; movrion eJkav stou to; ejlav ciston, ajll ei[rhtai o{ti th;n me; n ajrchgikh;n
th;n de; uJlikh; n w[ionto ei\ nai. ou[t ou\ n ej x ajmerw' n kai; ajtovmwn ta; pravgmata sunetivqesan, wJ"
oiJ peri; Dhmovkriton. Cf. Ibid. 1080b 23, 124,1-6 (Xenocr. Fr. 147 IP).
Procl. In Tim. II,245,23 Diehl (Xenocr. Fr. 146 IP) tiv ou\n e[ti fobhqhsovmeqa tou;" deinou;"
tw'n Peripathtikw' n, oi} dh; ejrwtw'sin hJma'", poivan oJ Plavtwn pareivlhfen ej ntau'qa grammhv n…
th;n fusikhv n… ajll a[topon: pevr a" ga;r au{th tw'n swmavtwn. ajlla; th; n maqhmatikhvn… ajlla;
ajkivnhto" au{th kai; oujk oujsiva: th;n de; yuch; n oujsivan te ei\ nai kai; cwristh;n swmavtwn famevn. mavthn ou\ n tau'ta fhvsomen auj tou;" ejrwta' n: pavlai ga;r grammh;n hJmei'" oujsiwvdh levgonte" ouj pauov meqa, kai; pro; hJmw' n oJ Xenokravth", a[tomon grammh;n th; n toiauvthn ajpokalw'n:
geloi'on gavr, ei[ ti" ajdiaivreton nomivzei mev geqo": ajlla; dh'lon, o{ti to; n lovgon th' " grammh' "
to;n ouj siwvdh grammh;n w[ieto crh' nai kalei'n.
Simpl. In Phys. 187a 1, 142,19-27 (Xenocr. Fr. 145 IP) mhvpote ou\n ouj pro;" th;n ejp a[peiron
tomh;n ejnivstatai oJ Xenokravth" (ouj ga;r a] n gewmetrikh;n ajrch; n ajnei'le gewmetriko;" w] n
Capitolo sesto
271
aristotelico della divisibilità in potenza. Allo stesso modo il Filopono nel
commento alla Fisica, riferisce che Senocrate ha sì ammesso un arresto
della divisione all'infinito191 , ma aggiunge, sulla stessa linea di Simplicio (e
probabilmente dalla stessa fonte), che ha postulato una divisione finita in
atto, ma infinita in potenza. Più oltre spiega che alcuni hanno attribuito a
Senocrate la tesi delle linee indivisibili, e rimanda appunto alla sua spiegazione che dimostra falsa questa affermazione192 .
L'esegesi delle linee indivisibili senocratee dei Neoplatonici è dunque
rivolta contro la tradizione peripatetica, in particolare rappresentata fra i
commentatori da Alessandro, che individua invece in Senocrate il rappresentante-tipo degli indivisibili e quindi di teorie antimatematiche e lo designa come il referente delle critiche aristoteliche193 . Se, per i Neoplatonici,
Senocrate non ha sostenuto una teoria atomista vera e propria, è chiaro
ajnhvr), ajlla; pro;" to; eij" a[peira dihirh'sqai o[ntwn ajeiv tinwn ajtmhvtwn megeqw'n: a{ tina oujd
uJpo; th'" fuvs ew" ijscuvei kaq auJta; diairei'sqai dia; smikrovthta, ajll eJnwqev nta pavlin
a[lloi" swvmasin, ou{ tw tou' o{lou diairoumevnou, ej n eJ autoi'" ej kei'na devcetai th;n diaivresin,
h}n movna o[nta ouj k a]n uJp evmeinen. wJ" ou\ n oJ Plavtwn ejpivpeda ei\pen ei\ nai ta; prw'ta kai;
ejlavcista swvmata, ou{ tw" oJ Xenokravth" gramma; " ajdiairevtou" me;n dia; smikrovthta, diaireta; " de; kai; aujta;" ou[s a" th'i fuvs ei. Cf. la stessa concezione utilizzata da Simplicio, indipendentemente dalle teorie di Senocrate in In Phys. 206a 18, 493,33-494,11 ajll e[stw me;n
dunavmei to; a[peiron ej n th'i tw'n megeqw'n diairevsei kata; th; n ejp a[peiron tomhvn. pw'" de;
o{lw" diairei'taiv ti ejp a[peiron h] tiv to; diairou' n ejsti… tevc nh me; n ga;r ouj k a]n ejp a[peiron
tevmnoi (kai; oJ bivo" ga;r ajpagoreuvsei tou' tecnivtou kai; ta; o[rgana oujk ijscuvsei), hJ de; fuvsi"
eij ejp a[p eiron tevmnoi ti mev geqo", polla; a]n h[dh tmhvmata a[ crhsta pro;" suvstasin ejpoivhse
dia; smikrovthta. eij de; pro; tou' eij" ejlavciston kai; a[crhston katamenei'n pavlin aujta; suntivqhsin, oujk e[stai hJ ejp a[peiron tomhv. mhvpote ou\ n rJhtevon o{ti hJ fuvsi" poiei'tai me;n ta;"
diairevsei" mevcri th' " creiva", temou'sa de; duvo tmhv mata, eij tuvcoi ta; ejlav cista, kai; au\qi"
aujta; suntiqei'sa, eij pavlin devoi temei'n, ouj pav ntw" kata; th;n sumbolh;n tevmnei, ajlla; kai;
kat a[llo mevro" oujde; n a[tomon ajpolimpavnousa, eij kai; a[llote kat a[l la mevrh diairei'.
kai; ou{tw" hJ ejp a[peiron tomh; kai; ej nergoumevnh fanhvsetai, kai; oujde; n i[ sw" a[topon ajkolouqhvsei.
191
192
Cf. Philop. In Phys. 187a 1, 83,19-27 (Xenocr. Fr. 141 IP). Cf. anche Ibid. 187a 2, 84,15-85,2
(Xenocr. Fr. 142 IP). In questo secondo passo la formulazione è simile a quella del brano
di Proclo citato precedentemente (kakw'" ejnevdosan yeudw'" uJpoqevmenoi mh; ei\nai ejp
a[peiron ta; megevqh diairetav).
Philop. In Phys. 206a 14, 465,3-13 (Xenocr. Fr. 143 IP) o{ti ga;r ouj suvgkeitai hJ grammh; ejx
ajtovmwn grammw'n, o{per oiJ lu'sai qevlonte" th; n Zhvnwno" ajporivan kakw'" uJpevqento, wJ" ej n
tw'i prwvtwi ei[rhtai, ouj calepov n fhsi dei'xai: oJlovklhron ga;r biblivon pro;" Anaxagovran
[sic] aujtw'i gevgraptai peri; ajtovmwn grammw'n, o{ti ajduvnaton a[toma ei\nai megevqh. eij ga;r
devdeiktai toi'" gewmevtrai" th; n doqei'san eujqeiv an divc a temei' n, ajduv naton dhvpou grammh;n
ei\nai a[tomon h] ej x ajtovmwn sugkei'sqai: eij ga;r sugkevoito ejk perittw'n ajtov mwn, ouj
tmhqhvsetai divca, devdeiktai de; kai; o{ti pa'n to; ejx ajtovmwn sugkeivmenon, taujto; n de; eijpei' n
ajmerw' n, kai; aujto; ajmere;" e[stai. ei[pomen de; kai; ejn tw'i prwvtwi lovgwi, o{ti tine;" to; n Xenokravthn uJpwvpteusan ta;" aj tovmou" eijshgei'sqai grammav ", kai; ejdeivxamen wJ" yeudh;" hJ
uJpovnoia.
193
Cf. Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 130,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. anche Ps.-Alex. In
Metaph. 1083b 1, 766,31-34 (Xenocr. Fr. 129 IP). Su questa linea tutte le testimonianze che
fanno capo a questa tradizione, cf. Xenocr. Fr. 128; 135-136; 140-142; 144 IP.
272
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
che le critiche aristoteliche non sono rivolte contro di lui, ma contro gli
atomisti veri, quelli che hanno ipotizzato dei minimi indivisibili e privi di
parti. Il filone dossografico che postulava la diaphonia fra gli atomisti esaminato nel paragrafo precedente offriva proprio questa immagine, per
questo si ritrova con una certa frequenza in Simplicio l'attribuzione di
minimi privi di parti a Democrito. Così nel commento all'affermazione
aristotelica del primo libro del De caelo secondo cui chi introduce la dottrina delle grandezze minime scuote i principi della matematica, Simplicio
riferisce l'allusione a Democrito o "a chiunque assuma come principi
grandezze piccole e minime"194 . Questa formula, che serve a coprire ulteriori referenti, e l'accenno al tema della dicotomia, che compare in tutte le
testimonianze su Senocrate, sono però il segnale di una attribuzione artificiosa solo a Democrito. Temistio, nel commento allo stesso passo, tace.
Da queste considerazioni risulta assai verosimile che la ricostruzione
dei rapporti fra Epicuro e l'atomismo antico via Aristotele in Simplicio
risalga a Porfirio, un modello comunque per il commento alla Fisica195 . Gli
ejlavcista kai; ajmerh' che Aristotele critica sono infatti riconducibili, secondo Porfirio, non a Senocrate ma agli atomisti (quelli criticati nel logos
eleatico da lui attribuito a Parmenide). Egli dunque poteva riprendere lo
schema dossografico della diaphonia fra Epicuro e l'atomismo antico, legato appunto alla diversa concezione dell'indivisibilità dell'atomo, e integrarlo con le presunte critiche aristoteliche agli atomisti. Questa interpre194
Simpl. In De cael. 271b 1, 202,27-31 (108 L.) Dhmovkrito" h] o{sti" a]n ou{tw" uJpovqoito mikrav
tina uJpoqevmenoi ta; " ajrca;" kai; ejlav cista megevqh dia; to; megivsthn duvnamin wJ" ajrca; " e[c ein
aJmartov nte" peri; aujta; ta; mev gista tw' n ejn gewmetriv ai ejkivnhsan to; ejp a[peiron ei\nai ta;
megevqh diairetav, di o} kai; th; n doqei'san eujqei' an divca temei' n dunatovn.
195
Rashed 2001, 44-47 vede una relazione fra questo testo di Simplicio e quello dello scolio a
De Gen. et corr. nel Cod. E f. 68v. da lui commentato, nel quale compare una differente concezione degli indivisibili fra Leucippo ed Epicuro e li riporta ambedue al commento perduto alla Fisica di Alessandro di Afrodisia. I due contesti sono tuttavia sostanzialmente differenti: Simplicio, come si è visto, riprende una tradizione neoplatonica e adduce la
diaphonia in un contesto specifico sugli indivisibili, funzionale alla difesa di Senocrate. Lo
scolio, così come lo riporta Rashed, invece, fornisce una delle tante versioni della vulgata sui
principi di matrice posidoniana eliminando nomi come quello di Democrito e di Eraclide
ed inserendo Leucippo al posto di Diodoro, che evidentemente non conosce: tw'n doxasavntwn peri; stoiceivwn ª...º oiJ d (scil. eijrhvkasin aujta;) a[peira: oJmoiomereiva" wJ "
Anaxagovr a", ajtovmou", wJ " Epivkouro", ajmerh', wJ" Leuvkippo", a[narma, wJ" Asklhpiavdh"
(questo testo è quello che si può dedurre dallo schema fornito da Rashed). Per il confronto
con altri passi paralleli della vulgata, v. supra, 2. 2 e II 4. 2 n. 77. Né Simplicio né lo scolio
possono comunque derivare da Alessandro che non mostra di conoscere una diaphonia
all'interno dell'atomismo e, nel De mixtione, segue invece molto da vicino la vulgata
classificatoria di matrice posidoniana (per il testo, v. supra, II 4. 2 n. 77). Alessandro
distingue qui espressamente i sostenitori di tesi atomiste da quelli di tesi corpuscolariste e
tralascia i nomi di Diodoro, Eraclide e Asclepiade. Egli conosceva comunque Diodoro di
prima mano, cf. De sensu 445b 27, 122,21; 449a 5, 172,28 (II F 9 SSR) e difficilmente
avrebbe potuto scambiarlo con Leucippo.
Capitolo sesto
273
tazione che, inserendosi nel solco della tradizione dossografica, spostava
tuttavia tutto il peso delle critiche aristoteliche contro le grandezze indivisibili sull'atomismo antico, è perfettamente coerente con l'attribuzione da
parte di Porfirio di un atomismo solo ideale, ma non matematico, a Senocrate.
A questa ricostruzione si potrebbe obiettare che le testimonianze dei
Neoplatonici sull'atomismo di Senocrate non sono tuttavia unidirezionali.
Passi di Proclo, Filopono e Simplicio sembrerebbero offrire anche una
visione opposta secondo cui Senocrate avrebbe ipotizzato linee indivisibili
andando contro i principi della matematica. In questo gruppo di testimonianze egli compare spesso insieme agli atomisti. Mi pare, dunque, sia
importante esaminare anche questo aspetto in quanto il caso di Senocrate
costituisce uno specchio del metodo di lavoro dei commentatori aristotelici e di conseguenza fornisce un'indicazione anche per l'interpretazione
dei passi sugli atomisti antichi. Sia le testimonianze su questi ultimi, sia
quelle su Senocrate possono infatti essere del tutto travisate se estrapolate
dal contesto e dal riferimento ai modelli dei commentatori.
Le dottrine di Senocrate vengono presentate come prototipo di teorie
atomiste che vanno contro i principi della matematica sempre in contesti
che affrontano, dal punto di vista matematico, il problema molto specifico
della dicotomia della linea e delle grandezze incommensurabili. Tale interpretazione risale in ultima analisi al trattato peripatetico Sulle linee indivisibili
le cui obiezioni hanno poi fatto scuola soprattutto fra i matematici e, ovviamente, nella tradizione dei commentatori di Aristotele196 . Proclo, nel
commento alla Repubblica platonica, indica, senza ulteriori osservazioni,
Epicuro e Senocrate come i rappresentanti di una teoria che va contro i
principi della matematica per aver posto l'uno gli atomi, l'altro la linea
indivisibile come misura delle rispettive grandezze197 . L'ottica è quella del
trattato Sulle linee indivisibili che spiegava i minimi di Senocrate come misure delle grandezze nei vari gradi dell'essere. Simplicio, pur attribuendo
nel commento alla Fisica le grandezze indivisibili solo agli atomisti e non a
Senocrate, nel commento al De caelo, scritto precedentemente198 , riporta
anche il nome di Senocrate, ma anche qui il contesto è importante.
Quando infatti attribuisce a quest'ultimo le linee indivisibili, lo fa riferendo
196
197
L'insieme delle obiezioni contro le linee indivisibili e gli oggetti matematici degli Accademici vengono riportate esplicitamente come topoi correnti e ricondotte appunto al trattato
menzionato sopra da Simplicio stesso in In De cael. 299a 2, 566,23-567,1. Cf. anche Philop.
In De gen. et corr. 325b 34, 164,10ss.
Procl. In Rempubl. II,27,3 Kroll (Xenocr. Fr. 130 IP) w|i kai; dh'lon o{ti ajsuvmmetrav ejstin
megevqh, kai; o{ti Epivkouro" yeudw' " poiw'n mevtron th; n a[tomon pav ntwn swmavtwn kai; oJ Xenokravth" th; n a[tomon grammh; n tw'n grammw' n.
198
Cf. Hadot 1987, 22.
274
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
il punto di vista aristotelico che egli successivamente critica. In questi casi
egli segue la struttura e[nstasi"/ luvsi" che caratterizzava anche uno specifico libro di Proclo sulle obiezioni aristoteliche del De caelo ai Platonici
(diretto contro le interpretazioni di Alessandro) che Simplicio cita espressamente come fonte199 . Così, quando nel commento al primo capitolo del
terzo libro (contrariamente a quanto sostiene nel commento al primo
paragrafo del sesto libro della Fisica), spiega che l'obiettivo degli attacchi
aristotelici dei libri della Fisica sul movimento è appunto Senocrate, riferisce il pensiero di Aristotele osservando però subito dopo che quest'ultimo
dirige i suoi strali contro l'apparenza delle dottrine degli Accademici200 .
Anche nell'altra testimonianza Simplicio attribuisce le grandezze indivisibili a Democrito e Senocrate con formula dubitativa specificando che si
tratta comunque di una obiezione aristotelica contro gli Accademici cui
Proclo ha risposto201 . E' dunque chiaro che i Neoplatonici sono restii ad
attribuire a Senocrate assunti che vanno contro i principi della matematica
e tendono a confutare le critiche aristoteliche su questo punto o ad interpretarle come dirette contro gli atomisti antichi. Simplicio non fa eccezione e si allinea per lo più sulle posizioni di Porfirio. Anche le loro ricostruzioni non possono quindi fornire indizi attendibili né per ricostruire le
caratteristiche originarie dell'atomo di Leucippo e Democrito né per determinare in quale contesto queste dottrine si sono sviluppate.
A questo stesso ambito del platonismo tardo è da riportare anche la
famosa testimonianza dello scolio al decimo libro di Euclide secondo cui
"non c'è una grandezza minima come affermano i democritei"202 . Tale
accenno è stato citato, ora per confermare l'esistenza di "minimi" dell'atomo di Democrito203 , ora a sostegno dell'indivisibilità matematica dell'a199
200
201
202
203
Simpl. In De cael. 306a 1, 640,20 tou'to toivnun proeilhvfqw kai; th;n uJpo; Alexavndrou
rJhqei'san e[ nstasin kai; th;n uJpo; Aristotevlou" prwvthn rJhqhsomevnhn dialuvein dunavmenon.
ejpeidh; de; pro;" tauvta" ta;" ej nstavsei" ta;" th'i genevsei tw'n swmavtwn th'i ejk tw'n ejpipevdwn
legomev nhi prosenecqeivsa" tine;" me; n kai; a[lloi tw'n Platwnikw'n aj nteirhvkasi, Provklo"
de; oJ ejk Lukiva" ojlivgon pro; ejmou' gegonw; " tou' Plavtwno" diavdoco" biblivon e[ graye ta; "
ejntau'q a tou' Aristotevlou" ej nstavsei" dialuvon, kalw'" e[cein e[doxev moi suntov mw" wJ" dunato; n tai'" ej nstav sesi ta;" luvs ei" ej keivna" uJpotavxai.
Simpl. In De cael. 299a 2, 563,20-27 (Xenocr. Fr. 132 IP) ajlla; mh;n devdeiktai ejn th'i Fusikh'i ajkroav sei ejn toi'" peri; kinhvs ew" lovgoi", ej n oi|" aj ntevlege pro;" Xenokravth gramma; "
ajtovmou" lev gonta, o{ti oujk e[stin ajdiaivreta mhvkh, toutevstin o{ti oujde; n mevro" ejsti; th' "
grammh' " ajdiaivreton, ajll ejp a[peirovn ejsti diairethv: ª...º tau'ta me; n ta; tou' Aristotevlou",
o{per aj ei; levgw, pro;" to; fainovmenon uJp antw'nto" tou' lovgou.
Cf. In De cael. 307a 19, 665,5-16 (119 L.) (Xenocr. Fr. 133 IP) eij de; kai; e[stin a[toma megevqh kai; ajp aqh' kai; a[poia, wJ " oiJ peri; Dhmovkriton e[legon kai; Xenokravth" ta; " ajtovmou"
gramma; " uJpotiqevmeno", a[ntikru" toi'" maqhmatikoi'" a] n h\n ejoikovta ª ...º tau'ta me;n oJ
Aristotevlh", oJ de; Provklo" pro;" aujta; kalw'" uJpantw' n ª...º.
Schol. Eucl. 10,1, V,436,15 Heiberg (68 A 48a DK; 107 L.) oujk e[stin ejl avciston mevgeqo"
wJ" oiJ Dhmokrivteioiv fasin.
Lur'e 1932-1933, 124-126.
Capitolo sesto
275
tomo204 . Se lo si interpreta invece alla luce delle testimonianze precedenti,
si può intravvedere anche qui il modello esegetico neoplatonico che sposta la concezione degli ejlavcista dagli "Accademici" ai "Democritei"205 .
4. Sintesi
Nelle testimonianze dossografiche tarde che descrivono l'atomo come
indivisibile per la solidità, si possono distinguere più filoni:
1. Una tradizione epicurea che si intravvede nel resoconto di Diogene
Laerzio.
2. Uno strato più tardo di tradizione peripatetica veicolato in particolare dai commenti ad Aristotele, presente ad esempio in Alessandro di
Afrodisia, che amplia il modello descrittivo teofrasteo con le definizioni
dell'atomo di Epicuro e tende a raggruppare sotto un'unica voce Leucippo, Democrito ed Epicuro stesso. Accanto alle definizioni epicuree
correnti delle proprietà dell'atomo quali stereovth" (sterrovth"), compare
anche quello di sicura derivazione teofrastea nastovth". Sono comunque
queste, la compattezza e la solidità, unitamente all'assenza di vuoto (tipica
delle definizioni epicuree), le caratteristiche che fanno dell'atomo di tutti
gli atomisti un indivisibile. I commentatori aristotelici, in particolare Simplicio e il Filopono, inoltre, distinguono in alcuni passi, sulla scorta delle
definizioni aristoteliche di indivisibile assoluto e relativo della Metafisica e
di una tradizione di commenti peripatetici, la monade, indivisibile e priva
di parti in assoluto, e l'atomo che ha parti ed è indivisibile solo per la solidità. Si spiega dunque anche l'apparente contraddizione fra queste testimonianze di Simplicio e altre da lui fornite in altri passi che presentano
una visione opposta dell'atomo. E' evidente che egli si è servito di fonti
diverse o di una prospettiva diversa a seconda del contesto commentato206 .
3. Una tradizione critica, mediata dagli Stoici, che riprende quella aristotelico-teofrastea dell'atomo indivisibile per la solidità e assimila l'atomo
di Democrito a quello di Epicuro. Questo tipo di tradizione si incontra:
A. In contesti dialettici (di Cicerone e Plutarco) risalenti all'Accademia
scettica che criticano con una certa veemenza l'atomismo epicureo. Le
obiezioni si concentrano soprattutto sulla mancanza di qualità e sull'impassibilità degli atomi che rendono impossibile la formazione di corpi
sensibili fenomenici forniti di qualità e di vita. La critica viene estesa anche
204
205
206
Furley 1967, 88; Cf. Frank 1923, 230.
Cf. Krämer 1971, 271 il quale accenna alla possibilità che lo scoliasta abbia interpretato
erroneamente in senso matematico l'indivisibilità dell'atomo.
Su questa caratteristica di Simplicio, cf. Hadot 2002,168ss. Hadot assegna un ruolo particolare fra le fonti di Simplicio appunto ad Alessandro, Porfirio e Giamblico.
276
L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda
alla solidità degli atomi i quali, venendo a contatto possono solo rimbalzare, ma non unirsi in aggregati.
B. In resoconti dossografici risalenti probabilmente a Posidonio, che
rielaborano l'interpretazione dello stoicismo antico in maniera manualistica, sottolineando soprattutto la mancanza nei sistemi atomisti dell'elemento provvidenziale e cercando nel contempo di tracciare una storia
dell'atomismo e di mettere ordine nelle concezioni atomiste e corpuscolariste riportando ognuna di esse a nomi precisi. Questa tradizione è alle
radici della vulgata tarda. Una delle varianti della vulgata vede una diaphonia
fra Democrito ed Epicuro unicamente nel fatto che il primo ha ipotizzato
una infinita variazione di grandezza nell'atomo, mentre l'altro ha ammesso
solo atomi piccolissimi. Ambedue i filoni hanno comunque in comune la
definizione dell'atomo come "impassibile", privo di qualità e indivisibile
per la solidità.
4. Esiste però nelle testimonianze tarde una interpretazione dell'atomo
come indivisibile per la piccolezza, legata soprattutto al nome di Leucippo,
che viene contrapposta dialetticamente alla concezione dell'atomo epicureo come indivisibile per la solidità. Tale schema ha le sue radici nell'Accademia scettica e si distingue dalla classificazione di matrice posidoniana
che teneva separati atomismo (arresto della divisione a corpi indivisibili in
assoluto) e corpuscolarismo (arresto della divisione a determinati corpuscoli tuttavia ulteriormente divisibili) e attribuiva unicamente a Diodoro
minimi privi di parti. Paradossalmente i resoconti più ampi e dettagliati
sull'atomismo e sull'atomo indivisibile per la piccolezza con il loro armamentario confutativo vengono conservati da un autore tardo quale Lattanzio il quale, a sua volta, risale probabilmente alla parte perduta degli Academica ciceroniani. Che utilizzi comunque materiale antico è confermato
dal fatto che il suo resoconto non solo riprende obiezioni che la scuola
epicurea aveva già cercato di parare nel II sec. a.C., ma permette anche di
spiegare certe affermazioni, altrimenti oscure, nel brano sull'atomismo
della sezione Peri; ajrcw'n dello Pseudo-Plutarco. Alla stessa tradizione si
ricollega anche Galeno che dirige la critica soprattutto contro l'impassibilità dell'atomo, un tema anch'esso caro alla tradizione accademica scettica.
In Teodoreto la diaphonia si presenta ulteriormente riassunta e priva di
nomi, ma le similitudini con Pseudo-Plutarco, Galeno e Lattanzio fanno
pensare alla consultazione di una fonte che aveva a disposizione un resoconto abbastanza ampio. Ad epitomi vieppiù semplificate sono poi da
riportare tutte quelle testimonianze tarde che riferiscono ambedue le concezioni dell'atomo, indivisibile per la piccolezza e per la solidità, ora ad
Epicuro, ora a Democrito e Leucippo, ora solo a Democrito. L'unificazione delle definizioni dell'atomo sotto la qualificazione di indivisibile per
la piccolezza, attribuito sia ad Epicuro che a Leucippo e Democrito co-
Capitolo sesto
277
stituisce solo l'ultimo stadio di questo progressivo processo di assimilazione. Un processo di epitomazione anche all'interno della vulgata riguardante concezioni atomiste e corpuscolariste ha portato all'assimilazione,
presso lo Stobeo e altri autori di età tardo imperiale e bizantina, di teorie
atomiste e corpuscolariste. Atomi, ajmerh', o[gkoi vengono considerati
un'unica dottrina e, talvolta, attribuiti ad Epicuro. E' superfluo dire che
queste testimonianze non hanno alcun valore per la ricostruzione dell'originaria concezione democritea dell'atomo.
5. Le testimonianze dei commentatori Neoplatonici che attribuiscono
agli atomisti antichi degli indivisibili per la piccolezza privi di parti sono
invece dovute principalmente a due fattori strettamente interdipendenti:
A. La rielaborazione del filone dossografico presente in Pseudo-Plutarco e risalente all'Accademia scettica che aveva impostato una diaphonia
fra atomisti antichi ed Epicuro sulla concezione dell'indivisibilità dell'atomo.
B. Il collegamento di questa interpretazione con la difesa di Senocrate
dagli attacchi aristotelici. Secondo i commentatori neoplatonici Senocrate
non avrebbe affatto ipotizzato delle linee matematiche indivisibili, ma
avrebbe applicato la definizione degli indivisibili solo all'ambito delle
forme intellegibili separandoli nettamente dalla materia stessa, di per sé
infinitamente divisibile.
In questo contesto interpretativo va inserita la testimonianza del
commento al sesto libro della Fisica di Simplicio. Il passo si trova proprio
all'inizio del libro e assume per ciò stesso il carattere di una traccia da seguire. Gli atomisti antichi avrebbero assunto degli atomi indivisibili per la
solidità e per la piccolezza. Epicuro, costretto dalla critica aristotelica
contro gli ajmerh' degli atomisti, avrebbe invece eliminato la mancanza di
parti dell'atomo e sostenuto unicamente l'indivisibilità per la solidità. In
Simplicio i due tronconi suddetti si presentano unificati. Dunque la sua
ricostruzione ha delle ragioni storiche e filosofiche ben precise, ma è comunque artificiosa e, in ogni caso, tende a porre in ombra proprio quella
parte della dottrina epicurea (nella fattispecie gli ajmerh') più strettamente
collegata con le polemiche aristoteliche contro i principi matematici dell'Accademia e alle conseguenti reinterpretazioni di Epicuro di questi ultimi. Da tutto questo risulta che tale testimonianza non può essere utilizzata per ricostruire la concezione originale dell'atomo democriteo.
Capitolo settimo
L'atomismo antico e il suo contesto culturale
Passate in rassegna le varie interpretazioni dell'atomo nell'antichità e i presupposti che le hanno determinate, non resta che cercare di tracciare una
via alternativa per arrivare al carattere originario dei corpuscoli di Leucippo e Democrito e alle radici della loro dottrina. Il tutto comporterebbe
ovviamente uno studio specifico, perciò mi limiterò qui a riprendere e ad
integrare alcuni dati emersi da questa ricerca e a fornire qualche spunto
per ulteriori approfondimenti. Da questo lavoro è emerso che la concezione dell'atomo come soluzione dell'aporia dell'infinita divisione più che
un dato di fatto è la risultante della proiezione sugli atomisti di tematiche
accademiche riprese criticamente da Aristotele.
I testi di carattere descrittivo in Aristotele e Teofrasto, nelle testimonianze di derivazione teofrastea e in altri resoconti e accenni sparsi lungo
tutto l'arco dell'antichità fanno emergere invece altri possibili scenari per
la nascita della dottrina atomista, in particolare un sostrato di immagini e
di concezioni radicate nel contesto storico-culturale della sofistica e nell'atmosfera della riscoperta delle technai, soprattutto della medicina, nell'ultimo quarto del V sec. a.C. All'esame di queste immagini e di queste concezioni particolari e alle conseguenze che se ne possono trarre per una
diversa rappresentazione dell'atomismo e delle sue origini sarà dedicato
questo capitolo.
1. Costrizioni cosmiche e vulnerabilità dei corpi.
Per una definizione dei fondamenti eterni
Una funzione fondamentale nella cosmogonia e nella dottrina atomistica
in generale ha l'ajnavgkh, quella forza cosmica che "costringe" i corpi a
comportarsi in un certo modo in determinate condizioni, generando e
disgregando con la stessa violenza. Il ruolo dell'ajnavgkh è una costante nei
Capitolo settimo
279
riferimenti a Democrito da Aristotele, a Teofrasto, ad Epicuro1 ed è in
perfetta consonanza con la concezione di questa forza e di questa "divinità" presso gli autori del V sec. a.C. come si preciserà più oltre. Da qui,
dal "principio" enunciato e non spiegato, si deve partire per interpretare
l'atomismo il cui scopo, come del resto anche quello dei cosiddetti fisici,
era di chiarire "dove, in quali circostanze e come"2 si è generato il mondo,
non di discutere sul problema dell'indivisibilità. Visti dalla prospettiva
dell'azione dell'ajnavgkh, i fondamenti eterni devono, per poter sopravvivere alle "costrizioni" e agli assalti di questa forza, essere assolutamente
compatti e duri senza "vie" (povroi) che permettano una penetrazione.
Inoltre, contrariamente a quella di altri presocratici, e soprattutto di
Anassagora, la cosmogonia degli atomisti non si verifica per separazione
da una massa preesistente3, vale a dire non è concepita, nella sua fase originaria, per "divisione", ma per aggregazione da singoli corpuscoli durissimi e resistenti, già divisi uno dall'altro, che fluttuano e si scontrano nel
vuoto. Questo significa che non si arriva alle componenti eterne sempre
più piccole del mondo sensibile per "divisione", ma si parte da queste per
comporlo (come sottolinea ripetutamente anche Aristotele). Le loro
forme sono poi concepite come infinite e irregolari ai fini dell'aggregazione e della produzione dei fenomeni: non c'è ragione che una forma
esista più di un'altra perché le forme sensibili che risultano da queste
composizioni cambiano continuamente e sono infinite 4. La generazione
del cosmo avviene per combinazione di atomi di forma e provenienza
disparata5 che esistono dall'eternità e non potrebbero comporre nulla se si
1
2
3
4
Per Aristotele v. infra, n. 14; per i resoconti risalenti in ultima analisi a Teofrasto, v. infra, n.
13; per Epicuro, cf. Ep. 2,90; Long-Sedley 1987, II, 20C, 105-107 (Fr. [34. 30] Arr.). Anche
il resoconto di [Plut.] Strom. 7 (68 A 39 DK; 20, 23 L.), sebbene marcato dall'equiparazione
stoica dell'eiJmarmevnh all'ajnavgkh (SVF II 925, 266,35-37), segue questa tradizione.
La "definizione" delle prerogative del "filosofo della natura" è quella di un famoso frammento, contemporaneo a Democrito, dell'Antiope di Euripide (Fr. 910 Kannicht o[lbio"
o{sti" th'" iJstoriva"/ e[sce mavqhsin,/ […] ajllæ ajqanavtou kaqorw'n fuvsew"/ kovsmon
ajghvrwn, ph'i te sunevsth/ kai; o{phi kai; o{pw"). Per l'attribuzione, cf. Kambitsis 1972, 130;
per il testo Kannicht 2004, 917s. Per un commento al frammento dal punto di vista del
contesto culturale, cf. Gemelli Marciano 2006, 223s.
L'espressione kata; ajpotomh;n ejk th'" ajpeivrou ªcwvra"?º in Diog. Laert. 9,31 (67 A 1 DK;
382 L.) è da intendersi come "in una sezione dell'infinito [spazio?]" non "per distacco dall'infinito [spazio?]", cfr. Bollack 1980, 13s.
Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,8) (67 A 8 DK; 147 L.) ou|to"
a[peira kai; ajei; kinouv mena uJpevq eto stoicei' a ta;" ajtovmou" kai; tw'n ej n aujtoi'" schmavtwn
a[peiron to; plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton h] toiou'ton ei\nai ªtauv thn ga;rº kai; gevnesin kai; metabolh;n ajdiavleipton ej n toi'" ou\si qewrw' n.
5
Anche "il vortice di forme di ogni genere" che "si separa dal tutto", nella formulazione
riportata da Simplicio (In Phys. 195b 31, 327,24 = 68 B 167 DK; 19, 288 L.), infra, n. 64,
non deve ingannare. Il vortice si forma nella seconda fase della cosmogonia, quando una
280
Atomismo antico e contesto culturale
disgregassero al primo impatto con i loro simili. Il problema dell'atomismo non è dunque quello della fine del mondo (come invece nella prospettiva anassagorea del Nous che continua a separare senza dissolvere mai
la massa), ma quello dell'inizio e non è quello astratto dell'arresto della
divisione in una grandezza continua, ma quello concreto di concepire un
corpo originario che non sia come quelli che noi vediamo: vulnerabile,
esposto all'azione di qualsiasi agente esterno o squilibrio interno, massa
instabile attraversata da continui flussi, ma compatto e "inviolato, non
tagliato", resistente a qualsiasi ajnavgkh.
L'ajnavgkh (o piuttosto le ajnavgkai) è il problema centrale nella concezione dell'atomo e delle dottrine atomistiche in generale. Nonostante
siano stati fatti molti studi su questo tema, la portata di questo fatto è
generalmente sfuggita in quanto l'ajnavgkh è stata interpretata sulla scorta
delle testimonianze antiche e, nel migliore dei casi, della critica epicurea, in
maniera teorica unicamente come la legge o l'insieme delle leggi fisiche
che determinano i fenomeni. Questa è però solo una concezione astratta e
sublimata che compare in Platone e poi in Aristotele. Nel V sec. a.C.
ajnavgkh ha tutta una gamma di significati molto concreti che vanno dal
campo semantico della tortura a quello magico-religioso6. Essa è in primo
luogo una "forza di costrizione" che si esercita sui corpi fenomenici e che
non richiede di essere spiegata, contrariamente a quanto pensava Aristotele, perché è concepita come un semplice dato di fatto chiaro per tutti:
l'ajnavgkh o le ajnavgkai esistono e basta. Tutto e tutti agiscono e subiscono
costretti da una certa ajnavgkh. Lo sapevano gli autori di poesia orfica e i
poeti in generale che ne facevano una divinità che governa l'universo7, e lo
sapevano quelli che si occupavano dei corpi e dei fenomeni a vario titolo,
in particolare i cosiddetti magoi, i medici, i "fisici" come Anassagora. Tutti
cercavano di scoprire come funzionassero effettivamente le varie ajnavgkai
per poter prevedere o riprodurre e provocare essi stessi i fenomeni. Ho
già accennato altrove8 ad un passo di Senofonte particolarmente rivelatore
a questo proposito. Socrate, criticando proprio i fisici, avanza dubbi sui
loro scopi:
Egli ricercava su di loro [i "fisici"] anche questo: se dunque, come fanno quelli
che studiano le cose umane, che pensano di mettere in pratica ciò che hanno appreso a loro favore e a favore di quelli che loro vogliono, così anche quelli che
indagano i fenomeni divini pensino, quando abbiano saputo a causa di quali "costrizioni" ciascuno di essi si produce, di provocare, quando lo vogliano, venti, ac-
6
7
8
massa disordinata di atomi già aggregati si precipita nel vuoto. La prima fase è quella dell'aggregazione casuale dei corpuscoli.
Schreckenberg 1964.
Cf. Schreckenberg 1964, in part. 72-81 con relativa indicazione dei passi..
Cf. Gemelli Marciano 2005, 375; 2006, 221s.
Capitolo settimo
281
qua, stagioni e qualsiasi altro fenomeno di questo genere di cui essi necessitino,
oppure non sperino nulla del genere, ma si accontentino di sapere soltanto in che
modo ciascuno di questi si verifica9.
Le ajnavgkai qui non sono semplicemente le "leggi naturali", ma forze o,
rispettivamente, condizioni particolari che "costringono" i fenomeni a
verificarsi in un certo modo e che possono essere evocate o, rispettivamente, riprodotte (v. infra), ma anche solo scoperte e studiate. La differenza fra il meteorologos e il mago sta dunque principalmente nello scopo e
non nell'oggetto della loro indagine. L'evocazione delle forze divine che
"costringono" la natura a produrre venti, pioggia, siccità è una delle prerogative dei purificatori attaccati nello scritto ippocratico De morbo sacro,
ma anche di Empedocle e degli specialisti di riti meteorologici della religione ufficiale10. Anche i medici, cui probabilmente il Socrate di Senofonte
si riferisce (oiJ tajnqrwpei'a manqavnonte"), si situano in questo ambito
sullo stesso piano dei magoi. L'autore ippocratico del De Arte, un contemporaneo di Democrito, afferma che la medicina ha trovato delle ajnavgkai
per costringere la natura a dare dei segni quando questa non lo fa spontaneamente. Il medico riproduce delle "costrizioni" ancora più forti di
quelle naturali che gli permettono di fare una diagnosi della malattia interna invisibile11. "Costringe" il flegma ad uscire sotto forma di pus somministrando bevande e alimenti aspri (che riscaldano e sciolgono), e il
soffio a rivelare la sua natura, sottoponendo il malato a pesanti esercizi
fisici. L'autore del secondo libro del Prorrhetikos parla di emissioni spontanee (ajpo; tou' aujtomavtou) o "forzate" (ejx ajnavgkh") prodotte dal medico
stesso12.
9
Mem. 1,1,15 ejskovpei de; peri; aujtw'n kai; tavde, a\ræ, w{sper oiJ tajnqrwvp eia manqavnonte"
hJgou' ntai tou'qæ o{ ti a]n mavqwsin eJ autoi'" te kai; tw' n a[llwn o{twi a] n bouvl wntai poihvsein,
ou{tw kai; oiJ ta; qei'a zhtou'nte" nomivzousin, ejpeida; n gnw'sin ai|" aj nav gkai" e{kasta givgnetai, poihvsein, o{tan bouvlwntai, kai; aj nev mou" kai; u{d ata kai; w{ra" kai; o{tou a]n a[llou
devwntai tw'n toiouvtwn, h] toiou'ton me;n oujde;n oujdæ ejlpivzousin, ajrkei' dæ aujtoi'" gnw'nai
movnon h|i tw'n toiouvtwn e{kasta givgnetai.
10
Per i magoi, cf. Morb. sacr. 1,9 (7,3 Jouanna = VI,358 Littré); per Empedocle, cf. 31 B 111
DK e Kingsley 1995a, cap. 15; per i riti meteorologici, cf. gli ajnemokoi'tai di Corinto menzionati da Esichio e Suda (s.v.) e il rito per evocare la pioggia dei sacerdoti di Zeus Lykaios
in Arcadia in Paus. 8,38,2-3.
De arte 12,3 (240,10 Jouanna = VI,24 Littré) o{tan de; tau'ta ta; mhnuvo nta mhd aujth; hJ fuvsi"
eJkou's a ajfih'i, aj nav gka" eu{rhken (scil. hJ tevcnh) h|isin hJ fuvsi" ajzhv mio" biasqei's a meqivhsin: ajneqei'sa de; dhloi' toi'si ta; th'" tevc nh" eijdovsin a} poihtev a.
Prorrh. II,30 (276 Potter = IX,60 Littré) touvtoisin ajrhvgei ai|ma rJue;n ajp o; tou' aujtomavtou
kai; ejx aj navgkh". Ibid. (278 Potter = IX,60 Littré) wjf elevousi de; kai; ptarmoi;, kai; blev nnai
ejn th'isi rJisi; ginovmenai, ma'llon me;n ajpo; tou' aujtomav tou, eij de; mh; , ejx aj navgkh". In ambedue i passi sono enunciati rimedi per il mal di testa. Se l'emissione di sangue o di muco non
avviene spontaneamente, il medico la fa uscire "forzatamente".
11
12
282
Atomismo antico e contesto culturale
Quando dunque Leucippo e Democrito parlano di ajnavgkh, evocano non
un tranquillizzante quadro di fisica teorica, ma l'immagine presente a tutti
i loro contemporanei di forze opprimenti e costrittive alla cui mercé si
trovano tutti i corpi e il mondo stesso
Come le generazioni che si verificano nel cosmo, così anche le crescite e le diminuzioni e le distruzioni avvengono secondo una certa ajnavgkh che non specifica
quale sia13.
Così si legge nelle frasi conclusive del resoconto sulla cosmogonia di Leucippo in Diogene Laerzio, un motivo che ricompare anche nel frammento
aristotelico su Democrito:
Egli ritiene che (scil. i corpuscoli) rimangano attaccati gli uni agli altri e uniti (in
un aggregato) finché non sopravvenga dall'atmosfera circostante una ajnavgkh più
forte che li scuota violentemente e li disperda qua e là14.
E nelle parole stesse di Democrito
Nulla accade a caso, ma tutto per una ragione e sotto la pressione di una
ajnavgkh15.
Dovunque ci sia una forte pressione dall'esterno o dall'interno e delle vie
che permettano la penetrazione o la fuoriuscita di effluvi, si verificano
alterazione o distruzione in base alla maggiore o minore compattezza e
resistenza dell'oggetto o al grado di "costrizione" esercitato. Anche l'instabilità delle sensazioni viene spiegata in termini di penetrazione e di "resistenza" di ciò che viene a contatto col corpo16. La sensazione stessa è una
sorta di malattia in quanto è dovuta alla preponderanza nel corpo di certe
forme atomiche sulle altre che crea squilibrio. La generazione sessuata è
determinata da un "colpo" interno seguito ad un grande sconvolgimento e
13
14
Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) ei\naiv te w{sper genevs ei" kovsmou, ou{tw kai;
aujxhvs ei" kai; fqivsei" kai; fqora;" katav tina aj navgkhn, h} n oJpoiva ejsti;n ãoujà diasafei'. Cf.
Hippol. Ref. 1,12,2 (67 A 10 DK; 23, 291 L.).
Arist. fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejpi; to-
sou'ton ou\ n crovnon sfw' n aujtw'n aj ntevc esqai nomivzei kai; summevnein, e{w" ijscurotevra ti"
ejk tou' perievconto" aj navgkh paragenomev nh diaseivshi kai; cwri;" aujta;" diaspeivrhi. Con
espressioni simili viene descritta nel trattato ippocratico De aeribus la possibilità di una
alterazione o corruzione del seme al momento del concepimento nella Scizia, Aer. 19,5
(235,4 Jouanna = II,72 Littré) tw'n ga;r wJrevwn paraplhsivwn ejousevwn, fqorai; oujk
15
16
ejggiv gnontai oujde; kakwv sie" ej n th'i tou' gov nou xumphvxei, h]n mhv tino" aj nav gkh" biaivou tuvchi
h] nouvsou.
Stob. 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) oujde;n crh'ma mavthn givnetai, ajlla; pavnta ejk lovgou te kai;
uJpæ aj navgkh". Per l'attribuzione di questa massima a Leucippo cf. Introduzione n. 1.
Sext. Emp. Adv. Math. 7,135 (68 B 9 DK; 55 L.) hJmei'" de; tw'i me;n ejovnti oujde;n ajtreke;"
sunivemen, metapi'pton de; katav te swvmato" diaqhvkhn kai; tw'n ejpeisiovntwn kai; tw'n
ajntisthrizov ntwn ("ma noi in verità non comprendiamo nulla di incontrovertibile, ma
qualcosa che muta secondo la disposizione del corpo e delle cose vi penetrano e di quelle
che gli oppongono resistenza").
Capitolo settimo
283
spostamento di atomi che fa separare "un uomo da un altro uomo"17. Alla
luce di queste considerazioni diviene più chiaro il motivo per cui l'atomo è
assolutamente compatto e pieno (nastovn), solido (stereovn), duro
(sklhrovn), secondo le denominazioni originali esaminate nel capitolo
quinto. Esso è semplicemente un corpo non attaccabile da nessuna
ajnavgkh, un corpo che può essere spinto qua e là, ma non "compresso" o
disgregato, è il corpo privo di pori e sterile che non emana effluvi né li
riceve. L'immagine è sorprendentemente vicina a quella dell'individuo
"invulnerabile", inattaccabile dalle malattie, impassibile, eccezionale e duro
come il diamante nel corpo e nell'anima che l'Anonimo di Giamblico
presenta come un ideale inesistente18. Quando pensano al corpuscolo
eterno tetragono a qualsiasi colpo o pressione gli atomisti hanno dunque
come modello, non una "materia" generica e indistinta nella quale si possono operare "divisioni", ma i corpi fisici concreti e specifici con la loro
forma, i loro interstizi, la loro varia compattezza e vulnerabilità. Non si
deve dimenticare che nei contemporanei testi ippocratici il tema della
"resistenza" e della "compattezza" del corpo è direttamente collegato alla
sua predisposizione alla malattia: i maschi in generale sono più sani perché
hanno un corpo più compatto, con pori stretti che non permettono l'assorbimento e la ritenzione di liquidi, mentre le femmine, con il loro tessuto poroso e la loro conseguente sovrabbondanza di fluidi, hanno un
equilibrio estremamente instabile e sono le più esposte all'insorgere dei
morbi19. Queste concezioni mediche sulla vulnerabilità e l'instabilità dei
corpi e sulla loro predisposizione alla malattia e alla distruzione permeano
comunque gran parte della letteratura della seconda metà del V sec. a.C.20.
In questo contesto le problematiche dell'indivisibilità si stemperano nel
sottofondo in cui sono nate e cioè nel contesto dialettico ed esegetico
accademico e aristotelico. Qualcuno potrebbe obiettare che l'immagine
fisica dell'atomo qui tracciata può coesistere con la soluzione matematizzante del problema dell'indivisibilità, ma a questo si può rispondere che
Leucippo e Democrito non erano allievi né della scuola platonica, né di
quella aristotelica e che il metodo dialettico che Aristotele presta loro,
17
18
19
20
68 B 32 DK (527 L.). Sulla ricostruzione del frammento in base citazioni parziali e diverse
di diversi autori, cf. Introduzione n. 14 e Gemelli Marciano 2007, 215-217 n. 23-29.
Anon. Iambl. 89,6 DK eij me;n dh; gevnoitov ti" ejx ajrch'" fuvsin toiavnde e[cwn, a[trwto" to;n
crw'ta a[ nosov" te kai; ajp aqh;" kai; uJperfuh;" kai; ajdamav ntino" tov te sw'ma kai; th;n yuchvn…
A differenza degli atomi democritei, quest'uomo, secondo l'anonimo, non potrebbe sopravvivere se non salvaguardasse le leggi e la giustizia perché sarebbe sopraffatto dalla
moltitudine coalizzata degli altri uomini.
Cf. Mul. I 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré); Gland. 16,2 (121,20 Joly
= VIII,572 Littré), supra, V 4 n. 99 e 100.
Cf. in particolare le acute pagine scritte su questo tema nei testi tragici da Padel 1992, 4968.
284
Atomismo antico e contesto culturale
come si è visto, è abbondantemente basato sui modelli e sulle problematiche accademiche. Neppure Anassagora, cui Aristotele e molti fra i moderni hanno attribuito una forma di corpuscolarismo e una riflessione sul
problema della divisibilità all'infinito, usa le espressioni astratte "divisione", "dividere" (diaivresi", diairei'n), ma sempre una terminologia
fisica strettamente legata al movimento e ancorata ai processi corporei e
parla di "separazione" e di "distinzione"21. Nell'ottica della problematica
della divisibilità accademica e aristotelica i corpuscoli degli atomisti vengono invece astratti e trasformati: il corpo "non tagliato" compatto e assolutamente resistente diventa un "indivisibile". L'ananke, la forza concreta, opprimente e disgregatrice, scompare per lasciare il posto ad una
mente che, nel contesto di una "lezione" scolastica, immagina scenari di
divisione all'infinito.
Se si elimina gradatamente dal quadro dell'atomismo antico il deposito
delle interpretazioni antiche e moderne, si possono dunque intravvedere
alcuni particolari che dirottano l'attenzione sul contesto in cui queste dottrine si sono sviluppate. E' da qui che bisogna prendere le mosse per "rileggere" il tutto.
2. Il grande vuoto: cosmologie orfiche ed embriologia nella
cosmogonia di Leucippo. Per una ridefinizione del vuoto
atomistico
Già altri hanno messo in rilievo le radici embriologiche della cosmogonia
di Leucippo e le sue affinità con la descrizione del concepimento e della
formazione dell'embrione nei trattati ippocratici De genitura e De natura
pueri22. E' stato pure sottolineato che, a differenza del meccanismo di riproduzione descritto nei trattati ippocratici, scatenato dall'attrazione sessuale e dal conseguente movimento del coito che porta il seme da ogni
parte del corpo verso il centro, cioè i testicoli nel maschio e l'utero nelle
femmine, quello cosmogonico di Leucippo e di Democrito è dovuto ad
un impigliarsi loro malgrado di atomi in una parte dello spazio cosmico e
alla loro conseguente forzata aggregazione in una massa disordinata pro21
22
Apokrivnesqai, 59 B 4, 6, 7, 9, 12, 16 DK; per cwrivzesqai, B 8 DK; per diakrivnesqai, B
12, 13, 17 DK.
Cf. in particolare Orelli 1996 che ha dedicato anche una buona parte del suo studio ai
rapporti fra questi trattati e la cosmogonia atomistica. Cf. anche Lonie 1981. Per la funzione dell'embriologia nella cosmogonia e cosmologia di altri presocratici, cf. ancora Orelli
1996, 197-204; per la sua rilevanza in particolare nella cosmogonia e zoogonia empedoclea,
Gemelli Marciano 2005.
Capitolo settimo
285
prio perché fatta di elementi in lotta fra loro. Tale massa rissosa si getta,
secondo Leucippo, in un mevga kenovn, un grande vuoto23. Si tratta di
un'immagine molto eloquente nel V sec. a.C., del particolare che rimanda
ad un sottofondo offuscato dalla narrazione di stile dossografico del testimone antico. In un contesto cosmogonico infatti l'espressione, lungi
dall'essere una nozione "più teorica che rigorosamente fisica"24, richiama
immediatamente la cosmologia esiodea e le cosmogonie cosiddette orfiche. In Esiodo la terra, il mare e il cielo affondano le loro radici nel
grande abisso il cavsma mevga, il regno della Notte dove infuriano continue,
tremende tempeste25. Nei versi restanti di una cosmogonia "orfica" sicuramente già noti a Platone perché parafrasati in parte nel mito del Fedone, il
mevga cavsma pelwvrion è l'immenso abisso originario nel quale "non c'era
né un limite, né un fondo, né una base fissa"26. Nella cosmologia di matrice
pitagorica del Fedone, ritorna l'allusione a questi versi nella descrizione del
Tartaro:
Uno degli abissi della terra inoltre è il più grande [di tutti gli altri] ed è perforato
per tutta la grandezza della terra. E' questo abisso a cui Omero si riferisce
quando dice: "molto lontano, dove l'abisso sotto la terra è più profondo" (Il.
8,14), quello che lui, in altri passi, e molti altri poeti hanno chiamato il Tartaro. A
questo abisso infatti affluiscono tutti i fiumi e ne defluiscono poi nuovamente e
ognuno di loro assume la sua qualità particolare secondo la natura della terra
attraverso la quale esso scorre. La ragione per cui tutti i fiumi defluiscono da e
affluiscono a questo luogo è il fatto che questo liquido non ha né un fondo né una
base fissa27.
23
24
25
26
27
In un modo simile si comportano gli atomi che formano il vento: quando si trovano in
uno spazio stretto, cominciano a scontrarsi, a fare pressione l'uno sull'altro finché non rimangono impigliati e, dopo aver a lungo oscillato, prendono finalmente una direzione, cf.
Sen. Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.). Il grande vuoto potrebbe formarsi per l'aggregarsi di atomi in un altro punto dell'infinito. Nel corpo, ad esempio, dei vuoti si formano quando vi penetrano atomi dell'acido, angolosi e sinuosi, che astringono e contraggono, Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.).
Silvestre 1985, 128, seguita da Morel 1996, 269.
Hes. Th. 736-745.
111 F,3 Bernabé (=OF 66,3) oujdev ti pei'rar uJph'n, ouj puqmhvn, oujdev ti" e{dra. Il cavo"
ritorna poi nelle varie versioni di cosmogonie orfiche compresa quella comica degli Uccelli
di Aristofane (691). Sulla stretta correlazione dei versi orfici con la descrizione esiodea del
Tartaro e sulla loro posizione implicitamente critica nei confronti di Esiodo, così come sul
loro carattere preplatonico e sui rapporti col Fedone, cf. Kingsley 1995a, 126-132.
Phaed. 112b e{n ti tw'n casmavtwn th'" gh'" a[llw" te mevgiston tugcavnei o]n kai; diampere;"
tetrhmev non diæ o{lh" th'" gh'", tou'to o{per ”Omhro" ei\pe, lev gwn auj tov: th'le mavlæ, h|ici bavqiston uJpo; cqonov " ejsti bevreqron: o} kai; a[lloqi kai; ejkei'no" kai; a[lloi polloi; tw'n poihtw'n
Tavrtaron keklhvkasin. eij" ga;r tou'to to; cavsma surrevousiv te pavnte" oiJ potamoi; kai; ejk
touvtou pavlin ejkrevousin: givgnontai de; e{kastoi toiou'toi diæ oi{a" a] n kai; th'" gh'" rJ evwsin. hJ
de; aijtiva ejsti;n tou' ejkrei'n te ej nteu'qen kai; eijsrei'n pavnta ta; rJeuvmata, o{ti puqmevna ouj k
e[cei oujde; bavsin to; uJgro; n tou'to.
286
Atomismo antico e contesto culturale
Il testo del Fedone dimostra che il mevga cavsma era una componente basilare delle cosmogonie poetiche più note nel V sec. a.C. e che veniva reinterpretato e integrato nelle cosmologie del tempo. Il mevga kenovn è dunque
sicuramente un'espressione originale di Leucippo che allude al grande
abisso cosmogonico: il grande vuoto esercita una sorta di attrazione sulla
massa disordinata e rissosa degli atomi che, confluendo nel baratro (surruh'nai eij" mevga kenovn è l'espressione riportata da Ippolito28) come i
fiumi del Fedone, comincia a girare vorticosamente. La funzione del vuoto
non è qui dunque quella di "dividere", ma, al contrario, di favorire una
maggiore aggregazione degli atomi. Il suvsthma sfairoeidhv" che si origina
dalla massa vorticante nell'abisso ricorda la formazione del primo uovo
cosmico nelle cosmogonie orfiche29. In Leucippo tuttavia si trova solo
un'eco di questa letteratura. La sua cosmogonia è più vicina ai testi medici
che a quelli orfici ed epici. L'uovo cosmico di poetica memoria diviene
una membrana che contiene in sé ogni genere di corpuscoli e dentro la
quale, come nell'embrione, a poco a poco si articola il cosmo. Costretti dal
movimento rotatorio, gli atomi simili si aggregano, i più pesanti vanno
verso il centro e formano qui il primo punto di resistenza, quello che
corrisponde al cordone ombelicale 30. C'è però una differenza fondamentale fra la cosmogonia di Leucippo e il modello embriologico ippocratico
o le cosmogonie pitagoriche: il cosmo di Leucippo non "inspira" come in
queste ultime il vuoto (o il pneuma come l'embrione ippocratico) che
28
29
30
Ref. 1,12,2 (67 A 10 DK; 291 L.). Si può ricordare che nella descrizione dei succhi, Democrito affermava, che gli atomi del dolce mettono in agitazione altri atomi; questi, scardinati
dalle loro posizioni, "confluiscono" nel ventre (68 A 135 (65) DK; 496 L. ejk th'" tavxew"
kinouvmena surrei'n eij" th; n koilivan), il luogo più accessibile poiché c'è la maggior quantità
di vuoto (tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\nai kenovn). Cf. su questo Orelli 1996, 163ss., la quale fornisce anche i paralleli con i testi ippocratici.
Anche quest'immagine compare in versi riportati da autori tardi (114 F Bernabé = OF 55),
ma era sicuramente presente anche nelle antiche cosmogonie orfiche perché "l'uovo di
vento" che nasce nel Tartaro è parodiato da Aristofane (Av. 695). Del resto questa relazione fra cosmogonia leucippea e cosmogonie orfiche è già stata ampiamente rilevata, cf.
Guthrie II, 1965, 408 n. 1, Orelli 1996, 190ss.
Il cordone ombelicale è definito da Democrito "un ancoraggio contro violenta burrasca e
vagare errabondo" (Plut. De am. prol. 495 E; 68 B 148 DK; 537 L. «oJ ga;r ojmfalo;" prw'ton
ejn mhvtrhisin» w{ " fhsi Dhmovkrito" «aj gkurhbovlion savlou kai; plav nh" ejmfuvetai») e viene
citato da Plutarco anche in un contesto cosmogonico, in una similitudine con la terra (De
fort. Rom. 317 A « ajgkurhbovlion savlou kai; plavnh"», w{" fhsi Dhmovkrito". wJ" ga;r oiJ fusikoi; to;n kovsmon lev gousin ouj k ei\nai kovsmon oujd ejqevlein ta; swvmata sunelqovnta kai;
summigevnta koino; n ejk pavntwn ei\do" th'i fuvs ei parascei'n, ajlla; tw' n me; n e[ti mikrw'n kai;
sporavdhn feromev nwn diolisqanovntwn kai; uJpofeugovntwn ta; " ejnapolhvyei" kai; periplokav", tw' n d aJdrotevrwn kai; sunesthkovtwn h[dh deinou; " aj gw' na" pro;" a[llhla kai; diatrachlismou;" lambanov ntwn, kluvdwna kai; brasmo;n ei\ nai kai; fqovrou kai; plavnh" kai;
nauagivwn mesta; pav nta, privn ge th; n gh' n mev geqo" labou'san ejk tw'n sunistamev nwn kai;
feromev nwn iJdruqh'naiv pw" aujth; n kai; toi'" a[lloi" i{drusin ej n auJth'i kai; peri; auJth; n parascei'n).
Capitolo settimo
287
divide perché è già un mondo diviso. Proprio per questo non attira atomi
dall'esterno in un solo punto (nell'embriologia ippocratica è il cordone
ombelicale che si forma appunto laddove l'embrione inspira)31, ma, per
effetto del movimento vorticoso e per la sua stessa permeabilità, si appropria di qualsiasi corpuscolo con cui venga a contatto in ogni sua parte.
L'immagine del grande vuoto di orfica memoria e la sua funzione di
"attrazione" nei confronti delle masse disordinate di atomi vaganti nell'universo, così come la sua peculiarità rispetto al vuoto pitagorico che entra
invece nella massa cosmica dividendola e articolandola, rimette in discussione la definizione che Aristotele dà del vuoto atomistico nella Fisica (D
6, 213a 32-34) come "ciò che divide la massa corporea in modo che sia
discontinua". In realtà questa definizione si basa sull'assimilazione del
vuoto atomistico al vuoto pitagorico e su un pre-supposto tipicamente
aristotelico e cioè sulla tesi che "sostanze corporee" della stessa natura (il
sostrato materiale) debbano fondersi un'unica massa se non sono tenute
divise dal vuoto32. Il fatto però che gli atomi siano della stessa natura non
conduce affatto necessariamente a questa conclusione. Infatti, a causa della
loro durezza, essi non potrebbero mai, anche se il vuoto non ci fosse,
fondersi in una massa compatta. In questo senso va interpretata anche la
notizia ripetuta in varie forme da Aristotele che dai molti non può derivare una vera unità. Gli atomi, dunque, a rigore non hanno bisogno di
qualcosa che li tenga divisi. In realtà i vuoti sono concepiti, come si è visto
sopra (III 4. 2. 2), come pori e cavità che permettono un passaggio più o
meno agevole di effluvi dall'esterno verso l'interno e viceversa e una circolazione all'interno del corpo. Corpi più o meno permeabili, sono più o
meno predisposti alla dissoluzione, alla distruzione e all'instabilità, ma,
proprio perché porosi, i corpi possono anche generare. Il corpo maschile,
per quanto compatto, possiede comunque delle vie attraverso cui il seme
confluisce nell'organo genitale per poi venire espulso, quello femminile
delle cavità uterine per accoglierlo. I vuoti inoltre, con le loro varie forme,
creano le condizioni perché qualcosa si generi con certe caratteristiche
piuttosto che con altre e determinano dunque anche gli effetti dell'ajnavgkh
e delle ajnavgkai sui corpi.
Da queste osservazioni risulta che la concezione del vuoto atomistico
è qualcosa di molto più ricco e complesso delle definizioni aristoteliche e
ha le sue radici nell'interpretazione delle cosmogonie poetiche e nelle
concezioni mediche, non nella riflessione astratta sulle definizioni di
vuoto, movimento e divisione.
31
32
Nat. puer. 12,6 (54,27-55,3 Joly = VII,488 Littré); 13,3 (56,3-5 Joly = VII,490 Littré); cf.
anche 14,2 (56,19-21 Joly = VII,492 Littré): il sangue, nutrimento dell'embrione, viene assunto unicamente attraverso il cordone ombelicale.
V. supra, III 4. 3 e n. 156.
288
Atomismo antico e contesto culturale
3. Stavsi" e aggregazione: immagini socio-politiche nella
cosmogonia di Democrito
Se nel resoconto sulla cosmogonia di Leucippo viene posto l'accento sul
vortice cosmico, il frammento dell'opera di Aristotele su Democrito descrive in particolare le caratteristiche specifiche dei corpuscoli eterni, il
loro movimento e il loro meccanismo generale di combinazione. Su alcuni
tratti degli atomi si è già detto e si è accennato anche alle immagini di
guerre civili e combattimenti che il loro volteggiare disordinato e ostile nel
vuoto evoca. Qui vorrei aggiungere ancora qualche osservazione sul contesto cui tale rappresentazione rimanda e sulla distanza della stessa da una
problematica astratta di tipo matematizzante. Dopo aver accennato alle
denominazioni delle "sostanze eterne" di Democrito e alla loro piccolezza
che le rende impercettibili, Aristotele passa a descrivere le loro caratteristiche formali e il loro movimento:
Essi hanno aspetti e forme di ogni genere e differenze di grandezza. Da queste
sostanze, inoltre, come da elementi fa generare e comporre gli aggregati che appaiono ai nostri occhi e gli aggregati percettibili. Queste sostanze sono [secondo
Democrito] in rivolta l'una contro l'altra e si muovono nel vuoto a causa della
loro disuguaglianza e delle altre differenze summenzionate, e, muovendosi, si
scontrano e si avviluppano in un intreccio tale che le porta a contatto e in contiguità, ma non produce con esse veramente alcuna natura unica di qualsivoglia
genere: infatti sarebbe del tutto insensato supporre che il due o i molti divenissero mai una sola cosa33.
L'immagine degli atomi è quella di tanti individui tendenzialmente isolati e
diversi fra loro per aspetto (scabri o lisci), figura (rotonda, irregolare e così
via) e grandezza. Le loro diversità rispecchiano a livello microscopico
quelle che si riscontrano nel mondo fisico e negli agglomerati socio-politici. La loro naturale tendenza è quella all'isolamento, alla diversità e alla
lotta reciproca. Gli atomi si muovono qua e là nel vuoto in uno stato di
continua rivolta proprio perché sono uno diverso dall'altro (dia; th;n ajnomoiovthta)34. Questa loro tendenza naturale all'isolamento che li caratte33
Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,7-14) (68 A 37 DK; 227, 293 L.)
uJpavrcein de; aujtai'" pantoiv a" morfa;" kai; schvmata pantoi'a kai; kata; mev geqo" diaforav".
ejk touvtwn ou\ n h[dh kaqavp er ejk stoiceivw n genna'i kai; sugkrivnei tou; " ojf qalmofanei'" kai;
tou;" aijsqhtou; " o[gkou". stasiavzein de; kai; fevresqai ejn tw'i kenw'i diav te th;n ajnomoiovthta
kai; ta; " a[lla" eijrhmev na" diaforav", feromev na" de; ej mpivptein kai; periplevkesqai periplokh;n toiauvthn, h} sumyauv ein me; n aujta; kai; plhsivon ajllhvlwn ei\nai poiei', fuvsin mev ntoi
mivan ejx ej keivnwn katæ ajlhvqeian oujdæ hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe" ei\nai to; duvo h]
ta; pleivona genevsqai a[ n pote e{n.
34
L'immagine "politica" della stasis fra proprietà e succhi diversi all'interno del corpo come
elemento patogeno ricorre del resto più volte anche negli scritti contemporanei del Corpus
Hippocraticum, cf. su questo tema Vegetti 1983, 463s.
Capitolo settimo
289
rizza come "individui" si manifesta anche nelle combinazioni: essi si avvicinano e si toccano, si danno sostegno, si abbracciano, quando casualmente rimangono impigliati l'uno all'altro, ma non formano mai un'unità e
dunque, nel momento in cui una ajnavgkh più forte di quella che li tiene
insieme li scuote, si disperdono nuovamente ritornando al loro stato naturale. La famosa attrazione fra i simili comincia ad esercitarsi solo sotto la
spinta del vortice cosmogonico, cioè di una ajnavgkh più forte delle tendenze individualistiche degli atomi, che li costringe ad una particolare
aggregazione. E non bisogna dimenticare che il mondo per gli atomisti
continua a muoversi a vortice e che dunque l'attrazione dei simili va spiegata in questo contesto35.
Anche nella vulgata della Kulturentstehungslehre, per lungo tempo attribuita a Democrito stesso, si presentano immagini simili dei primi uomini:
essi vivono in una condizione belluina, uno separato dall'altro36 e si aggregano solo per necessità di difesa e sotto la spinta del bisogno sviluppando
poi a poco a poco tutte le altre risorse e le altre arti che portano al vivere
sociale. Anche in questo sfondo socio-politico che vede il corpo sociale
non come un agglomerato compatto e armonico, ma come un aggregato
"costretto", instabile e temporaneo di individui fra loro estremamente
differenti e tendenti all'isolamento, continuamente esposto a fluttuazioni e
cambiamenti violenti si deve cercare l'idea dell'atomo come corpuscolo
isolato e autosufficiente che solo suo malgrado entra in "società" con altri.
Queste spinte "centrifughe" e isolazioniste degli atomi sono lo specchio
perfetto di quelle che le dottrine sofistiche contemporanee esaltano come
caratteristiche "naturali" nell'individuo dando loro la priorità sulle necessità di coesione della compagine sociale.
Già da queste prime osservazioni si delinea una concezione dell'atomo
che ha le sue radici più che in speculazioni filosofiche, in una percezione
medica del corpo e in una visione socio-politica della realtà: il corpo fisico
come struttura instabile, attraversata continuamente da flussi destabilizzanti è parallelo al corpo sociale, aggregato aleatorio di individui eterogenei "costretti" insieme dalla necessità, ma con persistenti spinte centrifughe.
35
36
Si deve dunque fare molta attenzione alle testimonianze indirette (come ad es. 68 B 164
DK; 11, 316 L. e 68 A 128 DK; 11, 316, 491, 565 L.) che per lo più sono mediate da fonti
stoiche influenzate dalla teoria della sympatheia. In questi contesti il ruolo dell'ajnavgkh come
elemento scatenante e costitutivo del fenomeno viene relegato in secondo piano.
Diod. 1,8,1 (68 B 5 DK; 558 L.) tou;" de; ejx ajrch'" gennhqevnta" tw'n ajnqrwvpwn fasi;n ejn
ajtav ktwi kai; qhriwvdei bivwi kaqestw'ta" sporavdhn ejpi; ta; " noma;" ejxievnai. Cf. anche
Anon. Iambl. 89,6,1 DK il quale attribuisce all'instinto naturale di conservazione il bisogno
di aggregarsi.
290
Atomismo antico e contesto culturale
4. Effluvi, eidola e inalterabilità dell'atomo
Un'ulteriore immagine, frequente e paradigmatica, dell'atomismo antico,
che concerne proprio l'estrema instabilità e la vulnerabilità dei corpi, è
quella degli effluvi e degli eidola. Il mondo di Leucippo e di Democrito, al
di là di tutte le spiegazioni "scientifiche" che essi ne hanno dato, è un
mondo pieno di flussi e di fantasmi più o meno invisibili, più o meno
potenti più o meno benefici o distruttivi. Tutti i corpi emettono effluvi,
perfino i più duri come la pietra, il ferro e il magnete37. I corpi viventi ne
emettono di più a causa del loro calore. Tutti questi effluvi mantengono
non solo la forma, ma anche le caratteristiche e le affezioni psichiche dei
corpi da cui sono usciti (evidentemente perché vi sono frammisti atomi
dell'anima che escono anch'essi dal corpo sotto la spinta della pressione
esterna), "vagano" e "si immergono" in altri corpi senza essere percepiti.
"Riemergono" solamente durante il sonno (quando il corpo si raffredda, il
movimento degli atomi interni si calma ed essi possono liberarsi dall'oppressione degli atomi più grandi e più spessi che li tengono soffocati) e
vanno a riflettersi nelle pupille chiuse producendo le visioni oniriche38.
Altri idoli, invece, come quelli che producono il malocchio, si insinuano
allo stesso modo impercettibilmente attraverso i pori nei corpi e vi prendono dimora impregnandoli della loro cattiveria e provocandone la progressiva consunzione39. Talvolta idoli più grandi, di natura divina, si presentano agli occhi degli uomini per annunciare l'avvenire o emettono
voci40. Si tratta, è vero, di aggregati atomici, che conservano però tutta la
carica minacciosa di quei fenomeni che essi dovrebbero spiegare. Democrito, lungi dal minarne la credibilità, ne conferma la validità dando loro
un fondamento naturale. Gli effluvi e gli idoli testimoniano dell'instabilità
dei corpi e nel contempo confermano la realtà e la pericolosità degli influssi impercettibili che questi possono esercitare uno sull'altro. Non si
deve dimenticare che questi erano anche i presupposti della cosiddetta
37
38
39
40
Per la pietra, cf. Albert. Magn. De lapid. 1,1,4 (68 A 164 DK; 448 L.); per il magnete e il
ferro Alex. Quaest. 2,23, II,72,28 Bruns (68 A 165 DK; 319 L.).
Plut. Quaest. conv. 734 F-735 A (68 A 77 DK; 476 L.).
Plut. Quaest. conv. 682 F (68 A 77 DK; 476 L.); Hermipp. (Iohann. Catrar.) De astrol. 25,19
Kroll-Viereck (68 A 78 DK; 472a L.)
Sext. Emp. Adv. Math. 9,19 (68 B 166 DK; 472a L.); cf. Plut. Aem. Prooem. 4; De def. orac.
419 A; Clem. Strom. 5,13,87; Iren. Adv. haeres. 2,14,3; Michael Ephes. De insomn. 83,18 (con
riferimento ad Alex. Aphr. Peri; daimovnwn) (472a L.). L'incontro coi demoni è una caratteristica dei pitagorici, cf. Arist. Fr. 193 Rose (Apul. De deo. Socr. 20 At enim [secundum] Pythagoricos mirari oppido solitos, si quis se negaret umquam vidisse daemonem, satis ut reor idoneus auctor est
Aristoteles). Anche a Senocrate Plutarco attribuisce una concezione dei demoni come esseri
"grandi e forti", De Is. 361 B (Xenocr. 225 IP) ei\nai fuvsei" ejn tw'i perievconti megavl a"
me;n kai; ijscurav ", dustrovpou" de; kai; skuqrwpav ".
Capitolo settimo
291
"magia". Il primo in Grecia a dire che tutto ciò che esiste emette effluvi è
stato del resto Empedocle, un carismatico "mago"41. Il suo allievo Gorgia
che, nell'Encomio di Elena, designa espressamente la gohteiva e la mageiva
come technai42, presenta allo stesso modo un mondo di corpi porosi,
permeabili a tutti gli influssi esterni, in particolare all'azione della parola,
che ne altera profondamente la struttura. I corpuscoli invisibili del logos
agiscono come un filtro magico o un'incantesimo sull'anima; l'ejpwidhv, in
particolare, la incanta e la sconvolge43.
I magoi persiani, secondo Sozione, avrebbero sostenuto non solo che
gli dèi appaiono loro, ma anche che l'aria è piena di eidola, prodotti di esalazione, che, in qualità di effluvi, si introducono negli occhi di "coloro che
hanno una vista acuta"44. Si è spesso interpretato questo passo come una
trasposizione ai magoi della dottrina atomistica degli effluvi, ma, in primo
luogo Sozione non parla di immagini composte di atomi, ma di "fantasmi"
che derivano da una "esalazione" (si può ricordare che Aristotele definisce
con lo stesso termine l'anima di Eraclito), di esseri cioè "aerei", che vengono percepiti da "chi ha una vista acuta". Se il carattere di "esalazioni" di
questi eidola sembra non avere corrispondenza nei testi avestici, il particolare degli ojxuderkei'" è stato considerato originale dagli iranisti ed equiparato45 all'"occhio dell'anima" che permette la visione "spirituale" (menog) ed
è posseduto solo da uomini puri e santi. Democrito, caso unico fra i cosiddetti presocratici, aveva attribuito ai sofoiv (oltre che agli animali e agli
dèi) ulteriori organi di percezione rispetto ai cinque sensi46. Il parallelismo
non è certamente perfetto, ma permette di pensare che il resoconto di
Sozione, lungi dall'essere una semplice "traduzione" in termini atomistici
della dottrina dei magoi, riproduca invece ciò che sta a monte dell'immagine degli effluvi e degli idoli di Democrito e cioè l'idea che esseri eterei,
invisibili, forniti di un proprio pensiero e di una propria coscienza si aggirino nell'aria agendo in qualche modo silenziosamente sugli esseri viventi.
I magoi descritti nel papiro di Derveni, allontanano, attraverso incantesimi
41
42
43
44
45
46
31 B 89 DK. Sull'Empedocle "mago", cf. Kingsley 1995a, 2002, 2003.
82 B 11,10 DK gohteiva" de; kai; mageiva" dissai; tevcnai eu{rhntai, ai{ eijsi yuch'" aJmarthvmata kai; dovxh" ajp athvmata.
82 B 11,10 DK aiJ ga;r e[nqeoi dia; lovgwn ejpwidai; ejp agwgoi; hJdonh'", ajpagwgoi; luvph"
givnontai: sugginomev nh ga;r th'i dovxhi th'" yuch' " hJ duvnami" th' " ejpwidh'" e[qelxe kai; e[peise
kai; metevsthsen aujth; n gohteiv ai.
Sotion Fr. 36 Wehrli (Diog. Laert. 1,7) ajskei'n (scil. tou;" Mavgou") te mantikh;n kai;
provrrhsin, kai; qeou;" auj toi'" ej mfanivzesqai levgonta". ajlla; kai; eijdwvlwn plhvrh ei\nai to; n
ajevr a, kat ajporroivan uJp ajnaqumiavsew" eijskrinomev nwn tai'" o[y esi tw' n oj xuderkw' n.
De Jong 1997, 218s. con bibliografia.
Ps.-Plut. 4,10, 900 A; Stob. 1,51,4 (68 A 116 DK; 86, 438, 520, 572 L.).
292
Atomismo antico e contesto culturale
e riti, chiaramente non greci, i demoni ostili47, che evidentemente solo loro
sono in grado di vedere, riconoscere e dominare. La dottrina degli idoli di
Democrito ha dunque le sue radici in un'atmosfera permeata dagli "incontri coi Magi"48. Non c'è quindi da meravigliarsi che le fonti tarde,
inventando aneddoti impossibili, ma non per questo meno significativi,
facciano di Democrito un allievo dei Magi49 e che Bolo di Mende abbia
preso quest'ultimo come modello per il suo scritto Sulle simpatie e sulle
antipatie dove trattava appunto di medicina magica. La dottrina stessa degli
effluvi democritei lo suggeriva.
La definizione dell'atomo si delinea dunque anche su questo sfondo
socio-culturale in cui l'incontro con i magoi ha lasciato le sue tracce. L'idea
degli effluvi è direttamente collegata a fenomeni magico-religiosi come le
apparizioni di demoni, i sogni profetici, il malocchio, e alle "costrizioni" e
alle alterazioni dei corpi da questi provocate. Apparizioni, percezione,
malattia hanno tutti la stessa radice, il fatto cioè che i corpi sono porosi e
perciò influenzabili, alterabili e distruttibili: l'atomo, a differenza di tutti gli
altri corpi, non è nulla di tutto ciò.
5. Atomi e pulviscolo: per una ridefinizione dell'atomo
L'atomo degli atomisti è dunque l'unico corpo duro e compatto, l'unico a
non emettere e a non ricevere effluvi e, come tale, l'unico a sottrarsi a
qualsiasi possibilità di influenza distruttiva. Per quanto riguarda gli effluvi,
si può notare che, in linea generale, sono impercettibili anche se si inabissano continuamente nei corpi, ma divengono visibili in casi particolari,
come appunto nelle visioni e nei sogni. L'aria ne è tuttavia piena. Proprio
a questa miriade di corpuscoli che riempiono l'aria riporta un'immagine
che ha sempre suscitato problemi dall'antichità ad oggi e che, a mio parere, è centrale per comprendere la natura dell'atomo: quella del pulviscolo atmosferico. In un controverso passo del De anima Aristotele spiega
47
48
49
Cf. Burkert 2003, 129 che sottolinea anche il legame fra la rappresentazione dei magoi nel
papiro e quella di Sozione. In ogni caso l'allusione ad un sacrificio di uccelli (col. VI,10s.)
in relazione alla cacciata di demoni rimanda all'ambito mesopotamico. Nei testi accadici
contenenti le istruzioni per riti esorcistici di guarigione viene inscenata una morte del paziente, ma al suo posto ucciso un animale il cui sangue viene fatto colare sul corpo del
malato. In questo modo viene ingannato e appagato il demone che ne ha preso possesso.
In uno di questi riti il sostituto è appunto una colomba, cf. Ebeling 1931, 83 Nr. 21, 5-7
(verso). In questo contesto di contatti culturali non c'è alcun bisogno di speculare su significati diversi di ojrnivqeion (come Betegh 2004, 76-78).
Su questi "incontri" metaforici e reali, cf. in particolare Kingsley 1995b.
Diog. Laert. 9,34 (68 A 1 DK; XI L.).
Capitolo settimo
293
che gli atomisti identificano l'anima con gli atomi sferici presenti nel pulviscolo:
Perciò Democrito dice che essa (scil. l'anima) è una sorta di fuoco e di caldo; essendo infatti infinite le forme e gli atomi, definisce quelle sferiche fuoco e anima,
vale a dire: le particelle del cosiddetto pulviscolo atmosferico che si vedono nei
raggi del sole che penetrano attraverso le finestre, la cui panspermia egli definisce
elementi di tutta la natura (e allo stesso modo Leucippo), di queste, però, quelle
di forma rotonda sono l'anima, poiché queste fogge possono insinuarsi con la
massima facilità dappertutto e muovere il resto, muovendo se stesse, dal momento che essi (scil. Democrito e Leucippo) ritenevano che l'anima fosse ciò che
imprime il movimento agli esseri viventi […] Sembra che anche quanto è stato
detto dai Pitagorici abbia lo stesso significato; infatti alcuni di loro hanno detto
che l'anima è il pulviscolo atmosferico, altri ciò che lo muove. Di questo si dice
che appare muoversi incessantemente anche quando ci sia una completa assenza
di vento50.
Il passo è sintatticamente difficile e, in ogni caso, anacolutico. Epicuro e
Lucrezio usavano il pulviscolo come una similitudine e altri autori antichi
interpretavano il passo di Aristotele allo stesso modo, ma altri ancora,
come lo Pseudo-Alessandro e la tradizione dossografica cui fa capo Teodoreto, equiparavano gli atomi al pulviscolo51. Non sono quindi le
testimonianze antiche che possono decidere l'interpretazione del passo,
ma la sintassi e il senso del contesto. Ora, Aristotele, dopo aver affermato
che Democrito nell'infinità degli atomi e delle forme atomiche individua
come caratteristici dell'anima quelli sferici, riferisce quanto è contenuto
nel testo specifico (oi|on)52 di Democrito riguardante gli xuvsmata: secondo
50
Arist. De an. A 2, 404a 1-21 (67 A 28 DK; 200, 443a, 462 L.) o{qen Dhmovkrito" me;n pu'r ti
kai; qermovn fhsin aujth; n (scil. th;n yuch;n) ei\nai: ajpeivrwn ga;r o[ntwn schmavtwn kai; ajtovmwn
ta; sfairoeidh' pu'r kai; yuch;n lev gei oi|on ej n tw'i aj evri ta; kalouvmena xuvs mata, a} faivnetai
ejn tai'" dia; tw' n qurivdwn ajkti'sin, w|n th; n me;n panspermiv an stoicei'a levgei th'" o{lh"
fuvsew" (oJmoivw" de; kai; Leuvkippo"), touvtwn de; ta; sfairoeidh' yuch;n, dia; to; mavlista dia;
panto; " duvnasqai diaduv nein tou;" toiouvtou" rJusmou; " kai; kinei' n ta; loipav kinouv mena kai;
aujtav, uJpolambav nonte" th; n yuch; n ei\nai to; parevcon toi'" zwvioi" th;n kivnhsin ª...º e[oike de;
kai; to; para; tw'n Puqagoreivwn legovmenon th;n auj th;n e[cein diavnoian: e[ fasan gavr tine"
aujtw' n yuch; n ei\nai ta; ej n tw'i ajevri xuvsmata, oiJ de; to; tau'ta kinou'n. peri; de; touvtwn
ei[rhtai o{ti sunecw'" faiv netai kinouvmena, ka] n h\i nhnemiva pantelhv".
51
Per l'uso della similitudine in Epicuro, cf. Gal. De nat. fac. 1,14 (III,136,25 Helmreich =
II,49 K.) (Ep. Fr. 293 Us.) naiv, fhsiv, smikra; ga;r aujta; crh; pavnu noei'n, w{ste tw'n ejmfero-
52
mevnwn tw'i ajevri yhgmav twn touvtwn dh; tw' n smikrotavtwn ejkeivnwn e{ kaston muriosto;n ei\nai
mevro". Cf. anche Lucr. 2,114. Per gli altri autori, cf. supra, VI 3. 2. 4.
Per l'uso di oi|on per introdurre il contenuto di testi specifici di autori cui Aristotele fa
riferimento, atto a spiegare la sua deduzione, cf. Metaph. M 4, 1078b 21 oiJ de; Puqagovreioi
provteron periv tinwn ojlivgwn, w|n tou; " lovgou" eij" tou; " ajriqmou;" aj nh'pton, oi|on tiv ejsti
kairo;" h] to; divkaion h] gavmo". Arist. Phys. D 6, 213b 15 a[llon (scil. trovpon) dæ o{ti faivnetai
e[nia suniovnta kai; pilouvmena, oi|on kai; to; n oi\nov n fasi devcesqai meta; tw'n ajskw'n tou; "
pivqou", wJ" eij" ta; ejnov nta kena; suniovnto" tou'p uknomev nou swv mato". Per altri casi in cui
oi|on introduce un esempio e non una similitudine, cf. Phys. D 9, 216b 27 levgw d oi|on eij ejx
294
Atomismo antico e contesto culturale
quest'ultimo la loro mescolanza (w|n th;n me;n panspermivan) è il fondamento di tutta la natura e, fra questi, quelli rotondi (touvtwn de; ta; sfairoeidh') sono atomi dell'anima perché sono più mobili e penetranti. Il tutto
risulta ambiguo forse perché Aristotele stesso, come in altri casi in cui il
testo cui aveva accesso non corrispondeva alle sue categorie di pensiero e
alle sue definizioni di atomo, aveva difficoltà ad adattarlo. Diels aveva
comunque capito che il testo così com'è presuppone una identificazione
di atomi e pulviscolo e, per evitare l'incongruenza con le opinioni comuni
sull'atomo, aveva drasticamente espunto il passo da ta; sfairoeidh' fino a
w|n. Gli interpreti moderni hanno invece cercato di farne un paragone
cambiando variamente la punteggiatura, ma i pronomi al genitivo plurale
w|n e touvtwn si riferiscono al pulviscolo e non alle forme e agli atomi della
frase precedente53. Che sia da intendere come una equivalenza è del resto
deducibile anche dal seguito del brano. Aristotele dice infatti che le concezioni pitagoriche hanno lo stesso significato. E i Pitagorici vedono nel
pulviscolo, o l'anima o le particelle da questa mosse54. Ne consegue che
anche per Democrito e Leucippo il pulviscolo è un insieme di atomi che
compongono la natura compresi quelli sferici dell'anima che li muove
tutti. A questo proposito è importante un'ulteriore testimonianza, da una
traduzione araba di un'opera greca non ben identificata (forse Galeno De
demonstratione). Non si tratta di una falsificazione, come ribadisce
Strohmaier, l'arabista editore del frammento, anzi il passo sembra una
citazione letterale:
Affermazione di Democrito —l'uomo del pulviscolo e delle parti che non possono essere divise—, egli dice: "la composizione dei corpi deriva dal pulviscolo
sottilissimo che è sparso nell'aria e diviene visibile nel raggio di sole. Una prova
di ciò è la seguente: se ci si pone nel raggio e ci si gratta il corpo, un tale pulviscolo sale in alto da questo e si stacca dalla pelle in modo tale che, se si continua
a grattare, la pelle si squama. Egli diceva: e questo squamarsi si verifica a causa
53
54
u{dato" kuavqou gev gonen ajhvr, a{ma ejx i[sou aj evro" u{dwr tosou'ton gegenh's qai. Cf. anche De
cael. G 8, 306b 33.
Cf. Hicks 1907, 213 ad loc.. Hicks mette, come la maggior parte degli editori della testimonianza democritea, fra parentesi oi|on ... ajkti'sin, ma questo crea problemi sintattici e semantici. w|n e touvtwn sono troppo lontani da schmavtwn e ajtovmwn, mentre il loro riferimento a xuvsmata non presenta problemi. Se inoltre quella con il pulviscolo fosse una
similitudine enunciata per inciso, essa rimarrebbe senza termini di riferimento (a che cosa è
simile il pulviscolo: all'anima o agli atomi in generale? e in che cosa è simile?). Il senso invece è chiaro se si considera l'identità di atomi e pulviscolo: il pulviscolo è fatto di atomi di
ogni genere di cui quelli sferici, che imprimono con la loro velocità il movimento agli altri
corpuscoli, sono l'anima.
Quest'ultima tesi è probabilmente quella di Ecfanto secondo cui gli atomi venivano mossi
da una qeiva duvnami" che egli identificava con l'intelligenza e con l'anima 51 1 DK (Hippol.
Ref. 1,15).
Capitolo settimo
295
del ridursi di ciò che della struttura corporea composta da quelle parti che non
vengono divise viene distrutto"55.
Al di là dello stile perifrastico, tipico delle traduzioni arabe, i punti fondamentali sono chiari e consistono in una tesi (i corpi sono fatti di pulviscolo-atomi) e in una prova (il grattarsi al sole mostra che la pelle si
squama e che il pulviscolo che la compone si stacca e sale). L'enunciazione di una tesi seguita dalla prova che deve corroborarla è un procedimento tipico negli autori dell'ultimo terzo del V sec. a.C. come Erodoto, e
i medici ippocratici56. Shmei'on o tekmhvrion è generalmente l'espressione
caratteristica che la introduce. Il più grosso ostacolo a considerare il pulviscolo non come un'analogia, ma come un'identificazione con gli atomi sta
nel fatto che questi ultimi sono definiti nelle testimonianze antiche da
Aristotele in poi sempre come invisibili. Questo tuttavia non costituisce
un problema. Gli atomi sono in effetti invisibili così come lo sono gli eidola
che si aggirano nell'aria, ma, come questi ultimi, in certe particolari condizioni, possono diventare visibili. Questo non viene ovviamente detto da
Aristotele o dagli altri autori perché la loro definizione di atomo non lo
permette e forse non veniva neppure fatto notare esplicitamente dagli
atomisti, ma dato per scontato. Sono gli Epicurei che, individuando un
problema, hanno trasformato l'esempio del pulviscolo da una prova dell'esistenza dell'atomo ad una analogia con l'atomo57.
Anche queste rappresentazioni del pulviscolo rimandano ad un quadro dell'atomismo meno rigido dal punto di vista teorico e più vicino alla
realtà dei fenomeni: il pulviscolo apre, a chi sa guardarlo con l'occhio
acuto della gnwvmh, la vista sull'invisibile e conferma appunto che i corpi
sono fatti di piccolissime particelle. Non bisogna dimenticare che questo
fenomeno veniva una utilizzato come "prova-tipo" anche per altre ipotesi.
Anassagora se ne serviva per spiegare come mai di notte i suoni si sentissero meglio che di giorno: di giorno infatti l'aria, riscaldata dal sole, è
scossa da tremiti e sussulti come si può vedere dal pulviscolo che appare
55
56
57
Ibn al-Matran [12. sec. d.C.] (Strohmaier 1968, 2 [1996, 4]) Feststellung des Demokrates—
das ist der Mann mit dem Staub und den Teilen, die nicht geteilt werden, er sagt: "Die
Zusammensetzung der Körper ist aus dem ganz feinen Staub, der in der Luft verteilt ist
und der im Sonnenstrahl sichtbar wird. Ein Beweis dafür ist: Wenn man sich in ihn hineinstellt und seinen Körper kratzt, steigt von ihm solcher Staub auf und nimmt von der Haut
ab, so dass die Haut abgeschält wird, wenn das Kratzen andauert. Er sagte: und dieses
Abgeschältwerden ist wegen der Verminderung dessen, was von dem Bau des Körpers aus
jenen Teilen, die nicht geteilt werden, zerstört ist".
Cf. Thomas 2000, 190-200.
Per una trattazione dettagliata delle possibili difficoltà e della loro soluzione rimando a
Strohmaier 1968 [1996].
296
Atomismo antico e contesto culturale
attraverso la luce. Sono queste particelle che, sibilando e strepitando, sono
di ostacolo al propagarsi del suono58.
6. Il "metodo"
6. 1. Il sostrato "tecnico" del "metodo" democriteo: caso e causalità
Quanto detto nei paragrafi precedenti introduce il discorso sul metodo
democriteo, un discorso importante, perché costituisce la guida per l'interpretazione delle testimonianze e dei frammenti al di là delle opinioni
antiche e moderne sulle sue dottrine. Sopra si è accennato alla famosa
massima secondo cui nulla avviene per caso, ma per una ragione e sotto la
spinta di una ajnavgkh. Se si individuano ogni volta l'ajnavgkh e le condizioni che ne hanno reso possibile l'azione (si fornisce cioè un logos di
quanto avviene), non solo si può comprendere un fenomeno, ma si possono prevenirne o limitarne gli effetti e riprodurre altre condizioni simili
quando ci sia necessità di provocarlo. L'esasperata ricerca democritea delle
cause59 si inserisce in un discorso più ampio che si sviluppa negli ultimi
decenni del V sec. a.C. sul sapere e la capacità tecnica e il loro rapporto
con gli effetti della fortuna e del caso. La medicina è appunto una techne in
quanto ha trovato cause e rimedi e sa come scoprire dove la malattia si
nasconde interpretandone i segni e provocandoli ad arte. Il caso è il
grande assente nell'arte come afferma l'autore dello scritto ippocratico De
arte. Non si può guarire "da sé", spontaneamente e casualmente e, anche
quando sembra che così avvenga, è perché coloro che guariscono hanno
applicato senza saperlo le regole della medicina e quei rimedi naturali o
artificiali che rientrano nel suo dominio.
Il "da sé" infatti rivela la sua inesistenza alla prova dei fatti: infatti si troverebbe
che tutto ciò che si verifica, si verifica per una causa e, nel fatto che c'è una causa,
il "da sé" rivela che non ha un'esistenza se non in quanto nome; la medicina, invece, sia nel fatto che riconosce le cause che nel fatto che fa delle previsioni, rivela e rivelerà sempre la sua esistenza. Queste sono le cose che si possono dire a
coloro che attribuiscono la salute al caso e la sottraggono all'arte.60
58
59
60
59 A 74 DK (Plut. Quaest. conv. 722 A; [Arist.] Probl. 903a 7).
Dionys. ap. Eus. Praep. ev. 14,27,4 (68 B 118 DK; LVIII, 29 L.).
De arte 6,4 (230,15 Jouanna = VI,10 Littré) to; me;n ga;r aujtovmaton oujde;n faivnetai ejo;n
ejlegcovmenon: pa'n ga;r to; ginovmenon diav ti euJrivskoit a] n ginovmenon, kai; ejn tw'i diav ti to;
aujtovmaton ouj faivnetai oujsivhn e[con oujdemivan ajll h] o[ noma: hJ de; ijhtrikh; kai; ej n toi'si diav
ti kai; ej n toi'si pronoeumev noisi faivnetaiv te kai; fanei'tai aijei; oujsivh n e[ cousa. toi'si me; n
ou\n th'i tuvchi th;n uJ gieivhn prostiqei'si, th;n de; tevc nhn ajf airevousi, toiauv t a[ n ti" levgoi. Il
passo è già stato messo in relazione con il frammento democriteo da Diller 1975, 87. Cf.
anche Loc. in hom. 46 (76,6-77,4 Joly = VI,342-344 Littré). Sul fatto che le scoperte della
Capitolo settimo
297
Il discorso sulla casualità e la causalità espresso nel passo ippocratico si
inserisce nella discussione specifica sull'esistenza delle arti scatenata dai
Sofisti stessi i quali, invadendo il campo degli specialisti, cercavano di
dimostrare che non esiste un sapere tecnico limitato ad un gruppo ristretto, ma che la techne è alla portata di tutti perché dipende in larga parte
dalla fortuna e dal caso. Un'eco di queste concezioni, si ritrova in alcuni
autori dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Ione di Chio, secondo Plutarco,
diceva che la fortuna, sebbene sia così differente dall'abilità tecnica (sofiva), produce effetti molto simili a quest'ultima61. Il poeta Agatone,
anch'egli come Ione contemporaneo di Euripide, affermava che "l'arte
ama il caso e il caso l'arte"62. In questo contesto va inquadrata anche
l'affermazione di Democrito secondo cui
gli uomini si sono inventati il fantasma del caso per giustificare la propria sconsideratezza. Raramente infatti il caso si oppone all'intelligenza e una vista acuta e
perspicace guida la maggior parte delle azioni nella vita63.
Democrito estende all'"arte di vivere" quella concezione che i medici applicavano all'arte medica. La vista acuta e perspicace è quell'occhio esperto
che l'autore del De arte attribuisce allo specialista e che permette di
scoprire al di là del "caso" la vere ragioni del fenomeno. Eudemo collegava la concezione democritea della casualità e della causalità nell'ambito
della fisica proprio al discorso presente nel De arte e nei frammenti degli
autori succitati. Egli infatti, sulla scia di Aristotele, attribuiva a Democrito
una casualità nella spiegazione della formazione del cosmo, ma una rigida
causalità in quella di altri fenomeni.
Ma anche Democrito laddove dice "un vortice di forme di ogni genere si staccò
dal tutto (come e per quale causa non lo dice) sembra che abbia fatto generare il
mondo da sé e per caso. E Anassagora compone la pluralità delle cose lasciando
da parte il Nous, come dice Eudemo, e facendole nascere spontaneamente. E alcuni fra i poeti riconducono al caso quasi tutto facendolo diventare una prerogativa dell'arte dicendo "l'arte ama il caso e il caso l'arte". E dicono che il fortunato
ha senno. Inoltre vediamo che alcune cose che si verificano in virtù dell'arte, si
61
62
63
medicina sono avvenute perché si è usato il logismov" e non ajpo; tuvch", cf. anche VM 12,2
(132,18 Jouanna = I,596 Littré).
Plut. De fort. Rom. 316 D; Quaest. conv. 717 A (36 B 3 DK).
Fr. 6 Snell-Kannicht tevcnh tuvchn e[sterxe kai; tuvch tevc nhn.
Stob. 2,8,16 (68 B 119 DK; 32 L.) a[nqrwpoi tuvch" ei[dwlon ejplavsanto, provfasin ijdivh"
ajboulivh". baia; ga;r fronhvsei tuvch mavc etai, ta; de; plei'sta ej n bivwi eujxuv neto" ojxuderkeivh
katiquv nei. ojxuderkeivh è una correzione di Diels per ojxuderkei'n di F e P. Cf. anche
[Hippocr.] Loc. hom. 46,3 (76,26 Joly = VI,342 Littré) o{sti" de; th;n tuchn h] a[llou tino;"
ejxelav sei, favmeno" ouj tou; " kalw'" ti prh' gma ejpistamevnou" crh'sqai tuvchi, to; uJp enantivon
dokei' moi ginwvskein: ej moi; ga;r dokevousi mou'noi kai; ejpitugcavnein kai; aj tucei' n oiJ kalw'"
ti kai; kakw'" prh'xai ejpistav menoi: ejpitugcav nein te ga;r tou't ejsti; to; kalw'" poiei'n, tou'to
de; oiJ ejpistavmenoi poievousin: ajtucei'n dev, tou' t ejsti; n o} a[ n ti" mh; ejpiv sthtai, tou'to mh;
kalw'" poiei' n: aj maqh;" de; ejwvn, pw' " a]n ejpituvcoi…
298
Atomismo antico e contesto culturale
verificano anche in virtù del caso; e infatti la salute sembra prodursi in virtù del
caso come in virtù dell'arte. Infatti un tale, avendo sete e bevendo acqua fredda,
ha riacquistato la salute. Ma forse, come dice Democrito, non è il caso la causa,
ma l'aver sete64.
L'aver sete, l'ananke che spinge a bere acqua fredda, è un processo che
cade sotto il dominio della medicina. L'autore del De arte cita il bere o
l'astenersi dal bere, così come il mangiare e il suo contrario come applicazioni inconsapevoli di rimedi che hanno insegnato ciò che aiuta o danneggia e che rientrano nell'ambito dell'arte medica, non del caso65. L'eziologia
democritea, dunque, lungi dall'essere un'escrescenza paradossale in una
cosmogonia dominata dal caso come Aristotele la presenta, è un metodo
perfettamente integrato in una visione "tecnica" dell'indagine sulla natura:
nulla deve sfuggire all'occhio esperto di chi si spinge alla ricerca delle
ajnavgkai. Anche il "da sé" all'origine del cosmo democriteo è solo apparente; in realtà è l'ajnavgkh fuvsew", la "costrizione naturale", che fa scontrare e incontrare gli atomi in modo tale da creare le condizioni per la
generazione del cosmo, ma che non ha bisogno di essere spiegata perché è
riconosciuta da tutti come il motore dell'universo.
6. 2. La visione dell'invisibile
Il discorso sulla casualità e la causalità è dunque collegato ad un sapere
particolare, specialistico, che non è alla portata di tutti, ma solo di coloro
che riescono a scoprire, al di là di ciò che può sembrare casuale, le vere
cause del fenomeno, per lo più invisibili. "I fenomeni sono una vista delle
cose invisibili" è una famosa massima che sintetizza i procedimenti sia
64
Eud. Fr. 53 Wehrli (Simpl. In Phys. 195b 31, 327,24) (68 A 67; B 167 DK; 19, 288 L.) ajlla;
kai; Dhmovkrito" ej n oi|" fhsi Ædei'non ajpo; tou' panto; " ajpokriqh'nai pantoiv wn eijdevw nÆ (pw'"
de; kai; uJpo; tivno" aijtiv a" mh; lev gei) e[oiken ajpo; taujtomavtou kai; tuvch" genna'n aujtov n. kai;
Anaxagovr a" de; to; n nou' n ej avsa", w{" fhsin Eu[dhmo", kai; aujtomativzwn ta; polla;
sunivsthsi. kai; tw'n poihtw'n de; e[nioi pavnta scedo;n eij " th;n tuvchn a[ gousin, w{ste kai; th'"
tevcnh" oijkeiv an aujth;n poiei'n lev gonte" Ætevc nh tuvchn e[sterxe kai; tuvch tev cnhnÆ. to;n euj tucou'nta de; kai; fronei' n fasi. pro;" de; touvtoi" oJrw'men e[nia tw' n ajpo; tev cnh" ginomev nwn kai;
ajpo; tuvch" ginov mena: kai; ga;r uJ giveia kai; ajpo; tuvch" dokei' giv nesqai w{s per ajpo; tevc nh".
diyhvsa" ga;r kai; piwvn ti" yucro;n u{dwr gevgonen uJ gihv". ajllæ i[sw" ou[ fhsi Dhmovkrito" th; n
tuvchn aijtivan ei\nai ajlla; to; diyh'sai. Cf. anche il famoso discorso "che elimina il caso"
riportato ancora da Eudemo Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK;
24, 99 L.) to; de; kaqavper oJ palaio;" lovgo" oJ ajnairw'n th;n tuvchn pro;" Dhmovkriton e[oiken
eijrh'sqai: ejkei'no" ga;r ka]n ejn th'i kosmopoiivai ejdovkei th'i tuvchi kecrh's qai, ajllæ ejn toi'"
merikwtevroi" oujd enov " fhsin ei\ nai th; n tuvchn aijtiv an ajnafevrwn eij " a[lla" aijtiva", oi|on tou'
qhsauro;n euJrei'n to; skavptein h] th; n futeiv an th'" ejlaiv a", tou' de; katagh'nai tou' falakrou'
to; kranivon to;n ajeto; n rJivyanta th; n celwv nhn, o{pw" to; celwv nion rJagh'i. ou{tw" ga;r oJ
Eu[dhmo" iJstorei'.
65
De arte 5,4 (228,15-229,4 Jouanna = VI,8 Littré).
Capitolo settimo
299
delle arti, sia della ricerca sulla natura per tutta la seconda metà del V sec.
a.C. Anassagora sembra averla enunciata, Democrito l'ha approvata ed
applicata66 e così anche i polymatheis come Erodoto e i medici del Corpus
Hippocraticum. Il procedimento, al di là della sua teorizzazione conscia, è
naturalmente ben più antico e corrente nelle singole arti a cominciare dalla
divinazione tecnica, dalla medicina, dall'agricoltura, dalla navigazione e
così via. Dalla seconda metà del V sec. a.C. emerge tuttavia come presupposto conscio e come tale viene ripetutamente citato dai vari autori. Diller
negli anni '3067 aveva individuato due tipi di procedimento che conducono
dal visibile all'invisibile:
1. analogico, che presupporrebbe una identità di fondo fra i diversi ambiti del cosmo e fra le cose che lo popolano e chiarirebbe il fenomeno
nascosto istituendo un confronto con un fenomeno visibile,
2. semeiotico, che istituirebbe una relazione diretta di causa ed effetto
fra il visibile e l'invisibile. Il fenomeno è causato da un processo nascosto
che può essere intuito osservandone gli effetti.
Ambedue questi metodi si inseriscono in un discorso più ampio sull'interpretazione dei segni su cui si ritornerà più oltre. Qui vale la pena
soffermarsi su ciascuno di questi due punti in una prospettiva diversa
rispetto a quella di Diller e di altri dominata dai modelli epistemologici
moderni. La massima stessa o[yi" ajdhvl wn ta; fainovmena indirizza infatti
primariamente non verso un procedimento "scientifico" empirico-induttivo in senso moderno, ma piuttosto verso un procedimento "retorico" e
comunicativo, quello cioè della "visualizzazione dell'invisibile", che corrisponde in ultima analisi allo scopo dei discorsi e degli scritti di questo
periodo. Si tratta, come si vedrà, di un cardine non solo del "metodo"
democriteo, ma della fisica e della medicina del V sec. a.C. in generale.
6. 2. 1. Visualizzare l'invisibile: l'immagine analogica
Diller giudicava l'analogia un procedimento "arcaico"68 e riteneva perciò di
individuarne solo sporadici esempi in Democrito. In realtà questo procedimento non è né arcaico né rozzamente esplicativo, ma tende soprattutto, come hanno evidenziato alcuni studi sulle similitudini omeriche, a
rendere immediatamente "evidente" e "presente" a chi ascolta, il fenomeno che si sta descrivendo, è insomma un mezzo per "visualizzare" e
66
67
68
Sext. Emp. Adv. Math. 7,140 (59 B 21a DK; 68 A 111 DK; 81 L.).
Diller 1932, 17ss.
Diller 1932, 36s.; cf. anche Mau 1952-53, 6.
300
Atomismo antico e contesto culturale
suscitare emozioni corrispondenti nella memoria dell'ascoltatore69. In
questo senso l'uso dell'analogia va inquadrato nel contesto più ampio della
definizione della figura del meteorologos (così viene designato il filosofo della
natura) che si va delineando nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Gorgia attribuisce proprio ai Meteorologoi una particolare capacità di visualizzare l'invisibile. Sono loro infatti che, nei loro discorsi, "fanno apparire agli occhi
dell'opinione l'incredibile e l'invisibile"70. L'analogia, in quanto strumento
di "visualizzazione" e di "impatto" sul pubblico, lungi dall'essere un residuo "arcaico", è un procedimento fondamentale nella fisica dell'ultimo
terzo del V sec. a.C. e si armonizza perfettamente con quello che in questo periodo veniva visto come lo scopo della "ricerca" (iJstoriva), anche
quella sulla natura, cioè il qewrei'n. Nel suo uso originario questo verbo,
così come il corrispondente sostantivo qewriva non implica una egocentrica contemplazione, ma ha una forte connotazione sociale: è un "osservare per riferire". La theoria era infatti un incarico ufficiale affidato dalla
città a eminenti personaggi i quali avevano il compito di assistere a feste e
partecipare alle corrispondenti cerimonie religiose di altre città per poi
riferire al loro ritorno ai concittadini quanto avevano visto71. Sebbene
nell'ultimo quarto del V sec. a.C. il significato del termine si evolva sempre di più verso l'aspetto della contemplazione fine a se stessa, il filosofo
della natura che "osserva"72 con gli occhi della gnwvmh, ma comunica anche
ad un pubblico quanto ha visto, mantiene comunque in parte anche questo ruolo pratico del theoros, presentandosi come mediatore dell'invisibile:
egli visualizza attraverso immagini ciò che i profani non riescono a vedere
e "trasporta" il suo pubblico in un ambito che gli viene normalmente
precluso. In quanto tramite con gli ajfanh' egli si pone come figura di riferimento sullo stesso piano del mantis o del magos che vedono l'invisibile per
dono divino, prendendo però nel contempo le distanze da una certa am-
69
70
Questa funzione della similitudine omerica era già stata sottolineata da Fränkel nella sua
Habilitationsschrift sul tema (1921, 98s.) ed è stata ripresa in alcuni studi sull'epica omerica
dell'ultimo decennio, cf. in particolare Bakker 2005, 134s.; Minchin 2001, cap. IV. L'aspetto della visualizzazione in singoli termini tecnici democritei era già stato colto da von
Fritz 1938, 25-30. Per l'analogia in questa funzione nel Corpus Hippocraticum, cf. Langholf
1987 con bibliografia.
82 B 11,13 DK …tou;" tw'n metewrolovgwn lovgou", oi{tine" dovxan ajnti; dovxh" th;n me;n
ajfelovmenoi th;n d ejnergasavmenoi ta; a[pista kai; a[dhla faivnesqai toi'" th'" dovxh" o[mmasin
ejpoivhsan.
71
72
Sul significato di theoria e sull'evoluzione semantica del termine, cf. Rausch 1982;
Nightingale 2004 esplora soprattutto l'aspetto filosofico del termine dal IV sec. a.C. in poi.
Cf. Eur. Fr. 910,5s. Kannicht. ajllæ ajq anavtou kaqorw'n fuvs ew"/ kovsmon ajghvrwn, supra n. 2.
Questo frammento, insieme all'affermazione di Gorgia è un chiaro segno che la "visione"
è, contrariamente a quanto afferma Nightingale 2004, 32s., un elemento fondamentale
nella ricerca sulla natura già nel V sec. a.C.
Capitolo settimo
301
biguità insita in quelle figure. Il fisico si limita infatti a "contemplare" la
natura senza alcuna velleità di manipolarla73.
Nonostante Diller, dunque, l'uso dell'analogia si inserisce perfettamente nel quadro della ricerca sulla natura e soprattutto della mediazione
di questo sapere ad un pubblico di profani colti, non solo, ma è ampiamente documentato nei testi di e nelle testimonianze su Democrito che
Diller non conosceva o aveva sottovalutato. Egli citava solo due esempi
analogici: la formazione del vento, spiegata attraverso l'esempio dell'affollamento di molte persone in una strada stretta74, e l'attrazione dei simili
esemplificata attraverso l'aggregazione degli animali, dei semi setacciati e
dei ciottoli raggruppati dal movimento ondulatorio del mare75. Tuttavia
immagini analogiche che rimandano all'ambito socio-politico, medico,
tecnico, giocano, come si è già visto, un ruolo fondamentale nella descrizione delle caratteristiche dell'atomo e in generale in tutta la fisica democritea come del resto nei contemporanei scritti ippocratici76. Altre evidenziano in particolare la stretta relazione fra microcosmo e macrocosmo,
corpo umano e fenomeni meteorologici o parti del cosmo, confermando
testimonianze tarde e controverse secondo cui Democrito avrebbe affermato che "l'uomo è un piccolo cosmo"77. Le vene sono "cisterne"
(dexamenaiv)78, in una analogia che mette sullo stesso piano il "corpo"
terrestre e quello umano e che anticipa di gran lunga la concezione
stoica79. L'orecchio è un "serbatoio di discorsi" (ejkdocei'on muvqwn) in
quanto raccoglie e trattiene la voce come in un vaso80. Navigazione e
tempeste sono invece preponderanti nella rappresentazione dell'embrione:
il cordone ombelicale è un "un ancoraggio contro violenta burrasca e
vagare errabondo"81. Il feto nelle zone settentrionali, dove regna il gelo e
soffia Borea, si mantiene saldo nell'utero e "non viene scosso come da
73
74
75
76
77
78
79
80
81
Cf. su questo tema Gemelli Marciano 2006, 225-229.
Sen. Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.).
Sext. Emp. Adv. Math. 7,116 (68 B 164 DK; 11, 316 L.). Cfr. anche Ps.-Plut. 4,19, 902 CD; (68 A 128 DK; 11, 316, 491, 565 L.).
Sulle analogie esplicite ed "implicite", cioè sotto forma di immagini e metafore negli scritti
ippocratici, cf. Langholf 1989.
Gal. De usu Part. 3,10 (I,177,10 Helmreich = III,241 K.); David Prol. 38,14 (68 B 34 DK;
10 L.).
Hesych. s.v. dexamenaiv (68 B 135 DK; 828 L.) uJdavtwn docei'a, kai; ejn tw'i swvmati flevbe".
Dhmokrivtou. V. anche supra, V 4 n. 103.
Cf. Gemelli Marciano 2007, 234.
Porph. In Ptolem. Harm. 32,10 (68 A 126a DK; 480, 489 L.).
Plut. De am. prol. 495 E (68 B 148 DK; 537 L.), v. supra, n. 30.
302
Atomismo antico e contesto culturale
marosi" poiché rimane "al riparo dai flutti e in bonaccia"82. Non si deve
dimenticare che, nell'anatomia ippocratica, e in generale nella medicina
fino a Sorano, l'utero è un organo "vagante"83 e quindi, per definizione,
instabile e che la descrizione dell'embrione è perciò perfettamente in consonanza con l'immagine di una nave fluttuante sul mare in burrasca.
Anche il percorso analogico contrario, dai fenomeni del corpo a quelli
cosmici, veniva utilizzato da Democrito e da Leucippo. La cosmogonia
stessa, come si è già visto, è basata sull'analogia con la formazione dell'embrione, ma anche nell'eziologia dei terremoti compariva un'esplicita
analogia con la fisiologia umana: i terremoti che si verificano quando la
terra è molto secca sono dovuti al fatto che le parti più secche attirano
l'acqua che si trova nei rivoli sotterranei la quale, cadendo, fa tremare la
terra. Allo stesso modo il corpo è scosso da un tremito quando, nella
vescica vuota, affluiscono aria e liquido caldo84. L'autore del trattato ippocratico De morbis IV, che si serve ampiamente di esempi analogici, usa, al
contrario, un esperimento dal mondo inanimato, e cioè il procedimento di
estrazione del ferro attraverso successive combustioni, per spiegare lo
sviluppo dei calcoli nella vescica sottolineando che, in quel caso, ciò che
avviene "è ben visibile"(kai; o[yei oJra'tai to; ginovmenon)85.
L'analogia fra due ambiti zoologici sta invece alla base di un attributo
dell'osso frontale dei buoi, tenqrhniwvdh", un termine che Eliano qualifica
espressamente come democriteo spiegandolo poi come shraggw'de"86.
Tenqrhvnion è il favo, tenqrhniwvdh" significa dunque "pieno di cellette
come un favo" cioè poroso. In effetti i buoi senza corna hanno un osso
frontale "respingente" (ajntivtupo") il quale non può accogliere il "flusso
congiunto" (surroiva) degli umori che arrivano dall'interno del corpo e
farli passare all'esterno come avviene nel caso della normale crescita delle
corna.
Le analogie non si limitano però ai corpi viventi, ma si estendono anche agli oggetti inanimati. Democrito spiegava la sensazione della conti82
Ael. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.) eij de; ei[h pavgo" kai; borra'" katapnevoi, sumpevphge me; n to; e[mbruon, duskivnhton dev ejsti kai; ouj taravttetai wJ " uJpo; kluvdwno", a{ te de;
a[kluston kai; ej n galhvnhi o]n e[rrwtaiv te kai; e[sti suv ntonon.
83
Cf. e.g. Manuli 1983, 156-158; Hanson 1991, 81-87; Dean-Jones 1994, 69-77.
Olymp. ar. Meteor. (Strohmaier 1998, 363) "zur Zeit fehlenden Regens hingegen entstehen
die Erdbeben, weil dann, wenn die Erde trocken ist, sie die Feuchtigkeit mit dem ihr eigenen Verlangen zu sich zieht. Und wenn ebenso das, was sie von den Wasserläufen in ihr
anzieht, herabfällt, bewegt es sie wegen seiner Nähe zu ihr, und es entstehen Erdbeben, so
wie der Wind und die Warme Flüssigkeit ein Zittern im ganzen Körper verursachen, wenn
sie nach der Entleerung des Urins in die Blase eindringen". Questa teoria è nel testo
espressamente attribuita a Democrito.
Morb. IV 55,3 (118,3 Joly = VII,602 Littré).
Ael. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.), v. supra, III 4. 2. 2 n. 146.
84
85
86
Capitolo settimo
303
nuità della via lattea con l'esempio del sale: davanti ad un insieme fittissimo di minutissimi granelli di sale sparsi su una superficie, abbiamo la
sensazione di un corpo continuo87. Nel caso della via lattea, gioca anche la
distanza, ma il principio rimane lo stesso. Questo esempio è anche nel
contempo un indizio del fatto che i corpi apparentemente continui sono
invece composti di minutissimi corpuscoli. I terremoti che si verificano
dopo forti piogge venivano spiegati attraverso l'analogia con i vasi pieni di
mosto. I corsi d'acqua che scorrono nella terra, a causa di queste piogge,
vengono invasi da una quantità di acqua che essi non sono in grado di
contenere. Le acque che già vi scorrono si rivolgono su se stesse ed esercitano, con quelle che vi affluiscono, una reciproca pressione che scuote la
terra. Allo stesso modo i vasi che vengono riempiti di mosto più del dovuto si crepano e si rompono per effetto dei "venti" che vi si sviluppano88.
I vasi vengono ancora impiegati per instaurare un'altra analogia con fenomeni meteorologici come la formazione della neve: a differenza della
grandine, che è ghiaccio compatto, la neve si scioglie facilmente. Questo
perché si forma non a grandi altezze, ma nello strato di aria vicino alla
terra che trattiene, in quanto più compatto, il calore che ha ricevuto dal
sole. Per dimostrare questo fatto Democrito citava un'analogia: se si pongono al sole un vaso di bronzo e uno di vetro, il primo si riscalderà più
velocemente e conserverà il calore più a lungo perché i corpi più duri e
compatti hanno pori più piccoli e sentono prima il calore 89. L'analogia con
87
88
89
Achill. Isag. 24, 55,24 Maas (68 A 91 DK; 418 L.) a[lloi de; ejk mikrw'n pavnu kai; pepuknwmev nwn kai; hJmi' n dokouv ntwn hJnw'sqai dia; to; diavsthma to; ajpo; tou' oujranou' ejpi; th;n
gh'n ajstevrwn aujto;n ei\ naiv fasin, wJ" ei[ ti" aJlavsi leptoi'" kai; polloi'" katapav seiev ti.
Achille è l'unico a riportare l'analogia del sale. La concezione democritea della via lattea
compare senza l'esempio analogico anche in Aristotele (Meteor. A 8, 345a 25), e nella dossografia (Ps.-Plut. 3,1, 893 A; Stob. 1,27,1 = 68 A 91 DK; 418 L.). Cfr. anche Posid. F 130
E.-K. (Macr. In somn. Scip. 1,15,6 Democritus innumeras stellas brevesque omnes, quae spisso tractu in
unum coactae, spatiis quae angustissima interiacent opertis, vicinae sibi undique et ideo passim diffusae lucis aspergine continuum iuncti luminis corpus ostendunt). Un'ulteriore testimonianza anonima, ma
sicuramente relativa a teorie democritee in quanto la formulazione è del tutto simile a
quella di Macrobio, si ritrova in Sen. Nat. quaest. 7,12,1.
Olymp. ar. Meteor. (Strohmaier 1998, 363) In der Erde sind gefüllte Wasserläufe, und wenn
aus diesem Grunde in die Wasserläufe aus den Quellen zur Zeit des Regens viel andere
Gewässer eindringen und mehr als sie fassen können, wenden sich diese Gewässer zurück
und bedrängen sich gegenseitig auf eine Weise, dass es die Erde erschüttert, so wie die
Mostkrüge platzen und zerbrechen, wenn sie mehr als zulässig gefüllt werden, wegen der
Winde, die davon entstehen.
Sen. Nat. quaest. 4,8,1 Unam rem ad hoc adiciam et favere te ac plaudere iuvabit. Aiunt nivem in ea
parte aeris fieri quae prope terras est. Hanc enim plus habere caloris ex quattuor causis […] 9,1 Accedit
his ratio Democriti: «Omne corpus, quo solidius est, hoc calorem citius concipit, diutius servat. Itaque si in
sole posueris aeneum vas et vitreum, aeneo citius calor accedet, diutius haerebit». Adicit deinde quare hoc
existimet fieri. «His, inquit, corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse est minora foramina esse et
tenuiorem in singulis spiritum»; sequitur ut quemadmodum minora balnearia et minora miliaria citius
calefiunt, sic haec foramina occulta et oculos effugientia et celerius fervorem sentiant et propter easdem angu-
304
Atomismo antico e contesto culturale
la clessidra (usata dagli autori del V sec. a.C. in diversi contesti) veniva
impiegata per spiegare perché la terra sta immobile sopra l'aria90.
L'analogia pervade anche il dominio dell'atomo. Nastovn è un dolce o
un pane compatto usato talvolta come dolce sacrificale, il movimento
degli atomi viene descritto con un linguaggio della sfera politico-militare
come si è già visto. Qui si può aggiungere ancora qualche esempio. Democrito definiva la spinta dinamica degli atomi che vanno verso l'alto
sou'n, termine spartano per indicare la "carica", come risulta dal Cratilo
platonico91 ed equiparava l'azione degli atomi del caldo di tenere sospese
sull'acqua le lamine larghe e piatte ad un "tenere all'ancora", un termine
tecnico della navigazione 92. E' Aristotele a restituire questi due termini e a
parafrasare il contesto in cui essi erano contenuti
infatti si pone ora il problema del perché le lamine di ferro larghe e il piombo
galleggino sull'acqua93, altre, invece, più piccole e meno pesanti, quando siano di
forma rotonda o allungata come un'ago, siano trascinate verso il basso, e del
perché alcuni corpuscoli, come il pulviscolo e altri piccoli frammenti di terra e di
polvere, fluttuino per la piccolezza nell'aria. Il ritenere causa di tutti questi fenomeni quella che adduce Democrito, non è esatto. Quello infatti dice che gli atomi
del caldo che dall'acqua salgono in alto "tengono all'ancora" i corpi larghi fra
quelli pesanti, quelli stretti, invece precipitano; pochi sono infatti gli atomi che
fanno loro resistenza. Ma questo dovrebbe verificarsi a maggior ragione nell'aria,
una obiezione che lui stesso solleva. Ma, dopo averla sollevata, la risolve in maniera inadeguata: infatti dice che la "carica" non si dirige in una sola direzione,
chiamando "carica" il movimento dei corpi che vanno verso l'alto94.
90
91
stias, quicquid receperunt, tardius reddant. La conclusione (sequitur…) con la similitudine delle
serpentine dei bagni proviene da Seneca che la usa anche altrove (3,24,2).
Arist. De cael. B 13, 294b 13 (13 A 20 DK; 376 L.) che la attribuisce congiuntamente ad
Anassimene, Anassagora e Democrito.
Pl. Crat. 412b Lakwnikw'i de; ajndri; tw'n eujdokivmwn kai; o[noma h\n ÆSou'"Æ: th;n ga;r tacei'an
oJrmh;n oiJ Lakedaimovnioi tou'to kalou'sin.
92
93
94
Cf. Hdt. 6,116; 7,100, 168; 9,13.
L'esempio di foglie e lamine d'oro che galleggiano sull'acqua era stato utilizzato anche da
Anassagora secondo quanto riporta un frammento arabo del commentario ai Meteorologica
aristotelici di Olimpiodoro (perduto nella versione greca) per dimostrare che la terra, essendo larga, può stare sospesa sull'aria, cf. Strohmaier 1998, 362 Die Ansicht seiner (von
Anaximenes) Schüler Anaxagoras ist die, daß er sagt: "Die Luft trägt die Erde von Natur
aus wegen ihrer Ausdehnung in der Breite, so wie das Wasser Blätter und Goldplättchen
trägt".
Arist. De cael. D 6, 313a 16 (68 A 62 DK; 375 L.) ajporei'tai ga;r nu'n dia; tiv ta; plateva
sidhvria kai; movlibdo" ejpiplei' ejpi; tou' u{dato", a[lla de; ejlavttw kai; h|tton barev a, a] n h\i
strogguvla h] makra;, oi|on belovnh, kav tw fevretai, kai; o{ti e[ nia dia; mikrovthta ejpiplei',
oi|on to; yh'gma kai; a[lla gewvdh kai; koniortwvdh ejpi; tou' ajevro". peri; dh; touvtwn aJp avntwn
to; me; n nomivzein ai[tion ei\nai w{sper Dhmovkrito" oujk ojrqw'" e[cei. ejkei'no" gavr fhsi ta;
ajnaferovmena qerma; ej k tou' u{dato" aj nakwceuvein ta; platev a tw' n ejcov ntwn bavro", ta; de;
stena; diapivptein: ojlivga ga;r ei\nai ta; aj ntikrouvonta aujtoi'". e[d ei dæ ejn tw'i ajevri e[ti ma'l-
Capitolo settimo
305
Ancora al linguaggio militare (e specificamente al lessico dell'assedio)
riporta la descrizione della disposizione degli atomi che producono gli
oggetti bianchi scabri. Essi sono grandi e disposti in raggruppamenti non
tondeggianti, ma "a gradini" (prokrovssa") ed hanno ciascuno un aspetto
misto come i terrapieni innalzati davanti alle mura95. Un'analogia implicita
sta alla base della determinazione della dimensione degli atomi del salato.
Lamine larghe galleggiano sull'acqua, il salato sta in superficie, dunque gli
atomi che lo producono sono anch'essi grandi e larghi96.
Democrito, come i meteorologoi descritti da Gorgia, "visualizza" dunque
nei suoi discorsi una realtà nascosta attraverso immagini a tutti accessibili,
prese dalla vita quotidiana.
6. 2. 2. Riconoscere i segni: i mediatori dell'invisibile e l'esercizio della
gnwvmh
La stessa centralità dell'"osservazione" e della conseguente "visualizzazione" sta anche alla base anche dell'altro procedimento di interpretazione
dei segni che Diller definisce semeiotico. Dall'osservazione dei fenomeni
visibili si parte per stabilirne le cause nascoste, per aprire cioè una finestra
sull'invisibile. Questo non significa che i fisici del V sec. a.C. esaminassero
"obiettivamente" e accuratamente tutti i "dati" empirici e li sottoponessero alla prova di verifica per poi formulare le loro tesi. Questo sarebbe
del tutto anacronistico in un contesto come quello delineato or ora. Allora, ben più di oggi, l'osservazione era abbondantemente influenzata da
ipotesi e tesi precostituite97, ma il punto fondamentale non è questo, bensì
il fatto che essa fornisce comunque dei "segni" che devono essere ricono-
95
96
lon tou'to poiei'n, w{sper ej nivstatai kaj kei'no" aujtov". Allæ ejnsta; " luvei malakw'": fhsi; ga;r
oujk eij " e} n oJrma' n to; n sou' n, levgwn sou' n th; n kiv nhsin tw' n a[ nw feromev nwn swmavtwn.
Theophr. De sens. 79 (68 A 135 DK; 484 L.) ejk megavlwn ga;r ei\nai tau'ta (scil. ta; leuka;
tw'n tracevw n) kai; ta;" sundevs ei" ouj periferei'" ajlla; prokrovssa", kai; tw'n schmavtwn ta;"
morfa;" mignumev na" w{sper hJ aj nav basi" kai; ta; pro; tw'n teicw'n e[c ei cwvmata. La lezione dei
manoscritti, mignumevna", contrariamente a quanto sosteneva Diels, app. ad loc., cf. anche
Sassi 1978, 140 n. 107, ha un senso, se si considera che morfhv (la foggia, cioè l'aspetto della
superficie liscia, scabra etc.) è diverso da sch'ma (la figura rotonda, irregolare, aguzza etc.;
cf. De sens. 66 l'atomo che produce l'amaro è piccolo, liscio e rotondo). Ciascun atomo ha
infatti un aspetto "misto", vale a dire è in certi punti liscio, in altri ruvido come appunto un
terrapieno.
Theophr. De sens. 66 (68 A 135 DK; 496 L.). Una allusione agli atomi del salato di Democrito, è da vedersi anche in De caus. plant. 6,10,3 h{kistav te uJpo; tou' hJlivou ajnavgesqai (scil.
to; aJlmuro;n), kai; ejpipolavzein, pantacou' ga;r platev a kai; megavla toi'" uJgroi'" ejpifevr esqai, ajs uvmplekta de; kai; a[kolla dia; to; mhde; n e[cein skalhnev", ajlla; gwnoeidh' te ei\nai
kai; polukamph'. Cf. Mc. Diarmid 1959, 58.
97
Cf. Lloyd 1979, 155ss..
306
Atomismo antico e contesto culturale
sciuti come tali e interpretati per poter "vedere" oltre. E' nell'ottica dell'interpretazione dei segni e della visualizzazione di ciò che rimane nascosto, piuttosto che in quella del procedimento empirico moderno, che si
delinea il percorso "da ciò che appare all'invisibile". Questa via ha una
lunga tradizione dietro di sé che in ultima analisi risale alla mantica e accomuna indovini, medici, meteorologoi, insomma tutti coloro che hanno
sviluppato delle tecniche di osservazione e di visualizzazione in base a
determinati criteri. Non tutti i segni sono infatti significativi, come risulta
chiaramente dai trattati ippocratici e dal patrimonio di osservazioni comune ai cosiddetti presocratici. La capacità dello specialista sta appunto
nel saper riconoscere e interpretare i segni giusti nel modo giusto. Nei
trattati ippocratici emerge proprio su questo punto un confronto più o
meno esplicito con gli altri specialisti dei segni, gli indovini. Nella prospettiva dei medici costoro si differenziano proprio per la non univocità di
interpretazione: lo stesso segno sembra agli uni favorevole, agli altri funesto e ciò indica incertezza nella diagnosi e carenza di metodo, cose che un
medico non può permettersi98: la casistica dei segni da interpretare deve
essere ben determinata, le deduzioni che se ne possono trarre universalmente riconosciute e chiaramente codificate e, soprattutto, come sottolinea l'autore di Prorrhetikos II, accuratamente ponderate99.
Per risalire alle cause di un fenomeno, non c'è bisogno di tanti segni,
basta interpretarne correttamente anche uno solo. La speciale autorità
riconosciuta all'"esperto" in questo campo giustifica il fatto che non ci sia
quasi mai un grande accumulo di prove, di tekmhvria o shmei'a, negli
scritti ippocratici più teorici. Quando c'è, gli autori ippocratici si
giustificano per questo. L'autore dello scritto De Morbis IV adduce come
giustificazione la necessità di persuadere un vasto numero di persone che
sostengono un'opinione errata.
E io non avrei aggiunto queste prove al mio discorso, se tantissime persone non
credessero che ciò che si beve va al polmone; e necessariamente davanti ad opinioni così radicate si devono portare molte prove se si vuole, coi propri discorsi,
persuadere l'uditore a recedere dal suo precedente giudizio100 .
L'autore infatti ha citato ben sette prove per dimostrare che il liquido che
si beve non va al polmone, ma nel ventre.
98
99
100
Acut. 8,2 (39,12 Joly = II,242 Littré).
Prorrh. II 2-3 (221-227 Potter = IX,10-14 Littré).
Morb. IV 56,7 (121,16 Joly = VII,608 Littré) kai; tau'ta oujd a]n ejphgagovmhn e[gwge tw'i
lovgwi ªtou'to iJstovrionº oujdevn, eij mh; o{ti polloi; kavrta tw'n ajnqrwvpwn dokevousin ej" to;n
pleuvmona cwrei' n, kai; ajnavgkh ejsti; pro;" ta; ijscurw' " dokevonta ta; polla; iJstovria ejpav gesqai, ei[ ti" mevllei to;n ajkouvo nta ejk th'" pri;n gnwvmh" metastrevy ai toi'sin eJwutou' lovgoisi
peivsein.
Capitolo settimo
307
Nel processo che va dall'individuazione all'interpretazione dei segni è
importante l'uso corretto delle percezioni garantito dalla gnwvmh. La gnwvmh
è la capacità di discernimento che permette di scegliere, fra le informazioni che si offrono alla vista, all'udito e agli altri organi, quelle utili, di
interpretarle, di istituire collegamenti fra vari ambiti e in definitiva di ricostruire un quadro d'insieme per prevedere e dominare una certa situazione
critica. La gnwvmh non è solo una facoltà innata, ma anche una capacità di
"vedere oltre" che si sviluppa col tempo e con l'esercizio. E' quella di chi
valuta, come Erodoto, quali informazioni sono attendibili e quali no ed è
capace di fare considerazioni su ciò che non ha visto partendo da ciò che
conosce, quella del medico che diagnostica e prevede attraverso i segni le
malattie invisibili e le loro cause, quella del Meteorologos che, osservando i
fenomeni celesti, ne individua le cause e prevede terremoti ed eclissi. Essere capaci di interpretare i "segni" che si colgono con la vista, l'udito,
l'odorato, il tatto, non è dunque cosa di tutti, ma richiede una natura adeguata, un lungo esercizio pratico e una osservazione sul campo. Chi interpreta i segni deve avere l'autorità per farlo. I medici, per motivi corporativi, lo dichiarano apertamente. Secondo l'autore del De arte i profani che
soffrono di malattie invisibili non sono in grado neppure di descrivere
correttamente i loro mali perché si basano su loro opinioni e non sulla
conoscenza del corpo e delle malattie
Ed effettivamente anche le informazioni che i malati di malattie invisibili cercano
di fornire sulle loro malattie a coloro che li curano, sono basate sull'opinione,
piuttosto che su un vero sapere; se infatti avessero questo sapere, non sarebbero
caduti preda delle malattie; è infatti compito della stessa intelligenza conoscere le
cause delle malattie e saperle curare con tutti i rimedi che impediscono loro di
aggravarsi. Quando dunque a chi cura non è possibile trarre una infallibile e
chiara conoscenza dalle informazioni che gli vengono fornite, deve rivolgere la
propria attenzione anche ad altro101 .
Nel De flatibus viene allo stesso modo sottolineato come le cose più difficili della medicina (cioè le malattie nascoste) possano essere conosciute
solo ai medici e non ai profani perché "non sono fatti che cadono sotto il
dominio del corpo, ma della gnwvmh"102 . L'accumulo di osservazioni nei
101
102
De arte 11,4 (237,17 Jouanna = VI,20 Littré) kai; ga;r dhv, kai; a} peirw'ntai oiJ ta; ajfaneva
nosevo nte" ajpaggevllein peri; tw'n noshmavtwn toi'si qerapeuvousi, doxav zonte" ma'llon h]
eijdovte" ajp aggevllousin: eij ga;r hjpivstanto, oujk a] n perievpipton aujtoi's i: th'" ga;r aujth'"
sunevsiov" ejstin h|sper to; eijdevnai tw'n nouvswn ta; ai[tia, kai; to; qerapeuv ein aujta;" ejpivstasqai pavshisi th'isi qerapeivhisin, ai} kwluvo usi ta; noshvmata megaluv nesqai. o{te ou\n oujd
ejk tw' n ajpaggellomev nwn e[sti th;n aj namavrthton safhv neian ajkou'sai, prosoptevon ti kai;
a[llo tw'i qerapeuvo nti.
Flat. 1,3 (103,6 Jouanna = VI,90 Littré) kai; ta; me;n flau'r a (scil. th'" tevcnh") toi'sin
ijhtroi'sin mouv noisin e[ stin eijdevnai kai; ouj toi'si dhmovthisin: ouj ga;r swvmato" ajlla;
gnwvmh" ejsti;n e[rga.
308
Atomismo antico e contesto culturale
trattati clinici come le Epidemie, che forniscono uno strumento diagnostico
per gli autori stessi e per gli altri, e l'elenco dei segni da osservare nel
Prognosticon mostrano che la gnwvmh dello specialista si costituisce anche
attraverso l'esercizio al riconoscimento e all'interpretazione del segno
giusto. L'osservazione è dunque fondamentale, ma è focalizzata su determinati "segni", quelli giudicati "significativi" nel campo specifico. Nel
procedimento di osservazione è implicito dunque anche un criterio selettivo determinato dall'ambito in cui questa viene fatta e dal suo scopo. In
ogni caso l'importante è il principio secondo cui chi osserva i segni con
cognizione può "vedere" ciò che è invisibile: "quanto infatti sfugge alla
vista degli occhi, viene dominato dallo sguardo della gnwvmh"103 , come afferma l'autore del De arte parlando delle malattie interne invisibili104 . Lo
stesso medico fornisce un esempio di come e di che cosa si possa "vedere" partendo dai segni: egli afferma che tutte le parti del corpo, anche
quelle non carnose, possiedono dei vuoti, degli interstizi e delle cavità e
dimostra il suo assunto attraverso l'esempio del liquido sinoviale che si
sviluppa proprio in parti ossee e dure come le articolazioni: quando fuoriesce, "annuncia" (kataggevllei) che là si nascondono delle "camere"
(qalavma") che "si aprono"105 . Questa "prova" è anche interessante per il
contesto e il modo in cui viene enunciata. Essa infatti, in quanto tale,
viene portata a sostegno di una tesi precedentemente delineata, del fatto
cioè che i corpi contengono vuoti e cavità, un assunto derivato a sua volta
da una tradizione di osservazioni mediche. Inoltre la forza della prova e
l'autorità del medico vengono consolidate attraverso un'immagine di tipo
"politico" altamente evocativa, quella del "messaggero" (il liquido) che
annuncia ufficialmente al medico (per conto della natura stessa) che cosa
si nasconde all'interno delle parti ossee delle ginocchia: delle "camere" che
si sono "aperte". In una prospettiva "scientifica" moderna questo "segno"
103
104
105
De arte 11,1 (237,11 Jouanna = VI,18 Littré) o{sa ga;r th;n tw'n ojmmavtwn o[yin ejkfeuvgei,
tau'ta th'i th'" gnwv mh" o[yei kekrav thtai. kai;; o{sa d ejn tw'i mh; tacu; ojfqh'nai oiJ nosevonte"
pavscousin, oujc oiJ qerapeuvonte" auj tou;" ai[tioi, ajllæ hJ fuvsi" h{ te tou' nosevo nto", h{ te
tou'noshvmato". oJ me; n ga;r, ejpei; oujk h\ n aujtw'i o[yei ijdei'n to; mocqevon oujd ajkoh'i puqevsqai,
logismw'i methviei.
De arte 9,2 (234,13 Jouanna = VI,16 Littré) e[sti ga;r toi'si tauvthn th;n tevcnhn iJkanw'"
eijdovsi ta; me; n tw' n noshmavtwn oujk ej n dusovptwi keivmena kai; ouj polla;, ta; dæ oujk ejn
eujdhvlwi kai; pollav ejsti: ta; me; n ga;r pro; " ta; ejnto;" tetrammevna ejn dusov ptwi, ta; dæ ejxanqeu'nta ej " th;n croih;n h] croih'i h] oijdhvmasin ej n eujdhvlwi: parevcei ga;r eJw utw'n th'i te o[yei
tw'i te yau's ai th'" stereovthto" kai; th' " uJ grovthto" aijsqav nesqai. 11,6 (238,16 Jouanna =
VI,20 Littré) prolambavnei (scil. to; novshma th;n qerapeivhn) de; diav te th;n tw'n swmavtwn
stegnovthta, ejn h|i oujk ej n eujovptwi oijkevo usin aiJ nou'soi...
De arte 10,5 (236,15 Jouanna = VI,18 Littré) kai; aujta; ta; a[rqra ejn oi|sin aiJ sumbolai; tw'n
kineomevnwn ojstevw n ejgkuklevo ntai, kai; touvtwn oujde; n o| ti oujc u{pafrovn ejsti kai; e[con
peri; aujto; qalavma" a} " kataggevllei oJ ijcwvr, o{", ejkdioigomevnwn aujtevw n, pollov" te kai;
polla; luphvsa" ej xevrcetai.
Capitolo settimo
309
non dimostra naturalmente nulla, ma nel contesto di questo trattato ha un
enorme peso, non solo perché si appoggia sul bagaglio di conoscenze
tecniche dello specialista, ma anche perché sottolinea il fatto che la natura
stessa "collabora" col medico mandandogli dei "segni" che solo lui sa
decifrare. Il valore di verità delle sue affermazioni è dunque garantito dal
suo rapporto privilegiato con la natura.
Nel contesto del riconoscimento dei segni il rapporto vista, udito,
tatto/ gnwvmh è posto dall'autore del De arte, come da altri medici ippocratici, non sul terreno dell'antinomia, ma su quello della complementarietà.
La vista della gnwvmh arriva là dove la vista, l'udito, il tatto non possono
procedere, ma anche questi sono fondamentali per cogliere i "segni" perché vengono usati da chi "sa" dove e che cosa guardare, toccare, odorare.
L'autore del De officina medici, un trattato chirurgico redatto verso la fine
del V e l'inizio del IV sec. a.C. che illustra in maniera compendiaria come
si deve attrezzare lo studio del medico e in che modo si deve operare,
apre il suo scritto proprio con una considerazione sulla necessità di esaminare il paziente cominciando dai segni più evidenti e con tutte le facoltà
percettive, nelle quali è inclusa, sullo stesso piano delle altre, anche la
gnwvmh.
[Guardare] ciò che è simile o diverso [dal normale], cominciando da principio,
dai segni più evidenti, dai più facili ad individuarsi, da quelli che si possono riconoscere in ogni modo e completamente, quelli che si possono vedere, toccare e
sentire; quelli che si possono percepire con la vista, il tatto, l'udito, il naso e la lingua e il giudizio; quelli che possono essere conosciuti con tutte le nostre facoltà cognitive106 .
Questo sostrato è importante anche per comprendere il rapporto fra
gnwvmh skotivh e gnwvmh gnhsivh in Democrito, l'una, quella che percepisce i
segni, l'altra, quella che li seleziona e li interpreta. Sebbene la seconda sia
chiaramente superiore alla prima perché permette di penetrare nell'ambito
del "più sottile", esse sono in ogni caso complementari.
Egli dice letteralmente: "ci sono due specie di giudizio, l'uno è legittimo, l'altro è
bastardo; a quello bastardo appartengono tutte queste facoltà: la vista, l'udito, l'odorato, il gusto, il tatto, quello legittimo è invece distinto da questo". Poi, giudicando
quello legittimo superiore a quello bastardo aggiunge: "quando quello bastardo
non può più né penetrare con lo sguardo nel più piccolo, né udirlo, né odorarlo,
né gustarlo né percepirlo col tatto, ma verso il più sottile…"107
106
Off. 1 (I,30,1 Kühlewein = III,272 Littré) h] o{moia h] ajnovmoia, ejx ajrch'" ajp o; tw'n megivstwn,
107
ajpo; tw'n rJhivstwn, ajpo; tw'n pav nth pav ntw" gignwskomev nwn, a} kai; ijdei'n kai; qigei'n kai;
ajkou's ai e[stin, a} kai; th'i o[yei kai; th'i aJfh'i kai; th'i ajkoh'i kai; th'i rJini; kai; th'i glwvsshi
kai; th'i gnwvmhi e[stin aijsqevsqai, a{, oi|" ginwvskomen a{p asin, e[stin gnw' nai.
Sext. Emp. Adv. Math. 7,139 (68 B 11 DK; 83 L.) levgei de; kata; levxin: Ægnwvmh" de; duvo
eijsi;n ijdev ai, hJ me; n gnhsivh, hJ de; skotivh: kai; skotivh" me; n tavde suvmpanta, o[ yi", ajkohv, ojdmhv ,
geu'si", yau'si". hJ de; gnhsivh, ajpokekrimevnh de; tauvth".Æ ei\ta prokrivnwn th'" skotivh" th;n
gnhsivh n ejpifevrei lev gwn: Æo{tan hJ skotivh mhkevti duv nhtai mhvte oJrh'n ej pæ e[latton mhvte
310
Atomismo antico e contesto culturale
Galeno restituisce una citazione letterale in cui gli stessi organi rimproverano alla phren di rigettarli pur avendo tratto da loro le "prove" (pivstei")
Misera Phren, dopo aver preso da noi le prove, ci atterri? il nostro abbattimento
segna la tua caduta108 .
Mi sembra che qui si debba andare al di là della dibattuta questione, che si
trascina dall'antichità ad oggi109 , se Democrito sia un sensista convinto
solo della verità dei fenomeni (come sembra essere descritto in alcuni
passi di Aristotele), o un assertore della sola verità del pensiero (come in
Sesto Empirico) e vedere che cosa è convinto di fare Democrito stesso.
Nella massima suddetta egli considera ciò che viene offerto dai sensi
come delle pivstei", delle prove. La mente non può rifiutarle, pena il suo
fallimento, ma questo non significa che debba accettarle tutte. Infatti la
gnwvmh gnhsivh valuta e sceglie quelle che possono fornire indizi sicuri.
Così, se è vero che le sensazioni di uno stesso oggetto variano a seconda
degli individui e delle condizioni di chi percepisce, tuttavia una stessa
sensazione ha sempre caratteri costanti110 : l'acido, indipendentemente
dall'oggetto in cui viene percepito, viene avvertito da tutti e sempre come
pungente, ruvido e riscaldante. E' questa pivsti" sicura che permette di
"penetrare con lo sguardo nel più piccolo", di risalire alle forme degli
atomi che producono la sensazione corrispondente, atomi sinuosi, piccoli
e sottili che possono penetrare dovunque, e angolosi che contraggono e
astringono producendo vuoti e calore. Lo stesso avviene per la determinazione delle forme atomiche di altri sapori e dei colori. Si parte dalla
percezione che tutti costantemente hanno, indipendentemente dalla condizione individuale e dalla qualità dell'oggetto, per risalire alle forme che la
producono. La ricerca delle cause si inserisce dunque in questo discorso
sulla scelta e l'uso da parte della gnwvmh gnhsivh delle prove offerte dai
sensi per arrivare a "contemplare" l'invisibile. La differenza fra Democrito
e i medici ippocratici sta nel fatto che questi ultimi non gerarchizzano
percezione e gnwvmh. I dati forniti dai sensi non vengono da loro messi in
discussione, anche se, nel caso delle malattie invisibili, devono essere interpretati. Questo perché in primo luogo l'uso delle mani, degli occhi,
delle orecchie, dell'odorato costituisce un cardine della pratica medica che
non può essere messo in dubbio, pena il fallimento dell'arte stessa, in
secondo luogo perché la lunga pratica a fianco di un maestro insegna ad
esercitarli nella maniera corretta e ad orientarli verso il segno giusto. Dun-
108
109
110
ajkouv ein mhvte ojdma'sqai mhvte geuvesqai mhvte ejn th'i yauvsei aijsqav nesqai, ajllæ ejpi;
leptovteronã....Ã.
Galen. De exper. med. 15,7, 114,4 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.) tavl aina frhvn, paræ
hJmevwn labou's a ta;" pivstei" hJ mev a" katabavllei"… ptw'mav toi to; katav blhma.
Sulle linee generali di questi dibattiti, cf. Sassi 1978, 200-203.
Theophr. De sens. 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.).
Capitolo settimo
311
que i sensi sono, dal punto di vista strettamente professionale, un punto
di riferimento forte111 . Democrito, cui manca questo sottofondo di pratica
medica, è invece proiettato verso la theoria e dunque tende a ribadire la
centralità dello strumento che gli permette di arrivare all'invisibile, la
gnwvmh gnhsivh, quella che può vedere anche una realtà "più sottile", invisibile, relegando in secondo piano quello che coglie solo quanto appare
immediatamente.
Fuori dall'ambito medico e dai testi democritei il rapporto fra percezione e gnwvmh riemerge anche in altri autori di età sofistica, ma ridotto per
lo più al rango di tipologia retorica come negli Aforismi di Crizia il cui
titolo non può non far pensare all'omonima opera ippocratica
né quello che viene percepito col resto del corpo né quello che viene conosciuto
con la gnwvmh112 .
Qui sia l'ottica empirica del medico, sia quella più teorica di Democrito si
stemperano in un puro gioco stilistico: il grande tema perde la sua funzionalità per trasformarsi in una convenzionale antitesi.
6. 2. 3. La difficoltà dell'impresa: dichiarazioni "scettiche" e ottimismo
corporativo. Per una revisione dello "scetticismo" democriteo
Il confronto con la tradizione medica sui metodi e sulla possibilità di conoscere l'invisibile permette un'altra considerazione importante riguardo
al presunto scetticismo di Democrito. C'è infatti da tener presente che
esso è dedotto da frasi estrapolate dal loro contesto e tramandate per lo
più attraverso la tradizione dell'accademia scettica e neopirroniana. Dall'altra parte, su testimonianze aristoteliche si è invece ricostruita un'immagine di un Democrito "protagoreo" che vede ciò che appare come l'unica
verità. Ambedue queste rappresentazioni hanno qualcosa di vero, ma non
111
112
Cf. e.g. Prorrh. II,3 (224-226 Potter = IX,12-14 Littré) e[xesti de; kai; tau'ta pavnta katabasanivzein kavllista kai; ta[lla toi'si dokimivoisin, oi|sin e[comev n te kai; creovmeqa eu\
pavnta. prw'ton me; n ga;r th'i gnwvmhi te kai; toi'sin ojfqalmoi'sin a[ nqrwpon katakeivmenon ej n
tw'i auj tw'i kai; ajtrekevw " diaitwvmenon rJ a'iovn ejsti gnw' nai, h[n ti ajpeiqhvshi, h]
periodoiporevonta kai; pavmpolla ejsqivonta: e[p eita th'isi cersi; yauvs anta th'" gastrov" te
kai; tw' n flebw'n h|ssovn ejstin ejxapata'sqai h] mh; yauvs anta. ai{ te rJi' ne" ejn me; n toi'si
puretaivnousi pollav te kai; kalw' " shmaivnousin: aiJ ga;r ojdmai; mevga diafevrousin: ej n de;
toi'sin ijscuvo usiv te kai; ojrqw'" diaitwmevnoisin ouj k oi\da tiv a]n crhsaivmhn, oujdæ ej n touvtwi
tw'i dokimivwi. e[peita toi'" wjsi; th'" fwnh' " aj kouvs anta kai; tou' pneuvmato", e[sti
diaginwvskein, a} ej n toi'sin ijscuvousin oujc oJmoivw" ejsti; dh'la.
Gal. In Hippocr. De Off. 1,1 (XVIII/2,656 K.) (88 B 39 DK) mhvte a} tw'i a[llwi swvmati
aijsqavnetai mhde; a} th'i gnwv mhi gignwvskei. Cf. anche Antiphon 87 B 1 DK riferito da Galeno nello stesso passo come esempio di impiego del termine gnwvmh. Si tratta in questo
caso di un testo estremamente corrotto e difficile da ricostruire, ma per lo meno le due
espressioni o[yei oJra'n (oJra'i Diels) e gnwvmh gignwvs kei si leggono distintamente.
312
Atomismo antico e contesto culturale
vanno assolutizzate. E' vero che Democrito sembra esprimersi in maniera
piuttosto pessimistica sulle possibilità di conoscenza, tuttavia, presso i
medici ippocratici, l'affermazione della difficoltà di conoscere quanto è
celato, si accoppia generalmente con un diffuso orgoglio corporativo che
sottolinea come, nonostante ciò, il buon medico sia in grado riconoscere e
interpretare i segni e di risalire alle cause anche delle malattie invisibili.
L'autore del De vetere medicina dichiara esplicitamente di lodare quel medico
che commette solo piccoli errori in quanto la perfezione è raramente osservabile, ma lo fa in un contesto che mette in luce sia la difficoltà dell'individuazione e dell'interpretazione esatta dei sintomi nei singoli individui113 , sia la portata dell'impresa del medico che deve arrivare a
riconoscerli senza sbagliare, a risalire alle cause e proporre conseguentemente il rimedio adeguato per ogni singolo caso. La prima massima degli
Aforismi ippocratici sottolinea ancora sia le insidie dell'esperienza diretta,
sia le difficoltà del giudizio114 , ma lo scopo della raccolta è proprio quello
di fornire gli strumenti per superarle. Anche nel De arte emerge il problema della conoscenza esatta delle malattie nascoste, ma anche qui, non
solo serve a giustificare le eventuali dilazioni di una diagnosi, ma si accoppia ad una assoluta fiducia nella capacità tecnica del medico di individuare
e di curare queste malattie115 o di riconoscere quale sia incurabile per poter
rifiutare la terapia. Si ha dunque l'impressione che il richiamo alla difficoltà di conoscenza faccia parte di una strategia tesa ad esaltare le capacità
del medico e a sottolinearne l'autorità116 . La stessa impressione si ha leggendo le testimonianze non dichiaratamente "scettiche" su Democrito.
Aristotele, nella Metafisica, riferisce che, di fronte alla relatività delle percezioni in base agli individui e alle loro condizioni fisiche, Democrito
113
114
115
116
VM 9,4 (128,15-17 Jouanna = I,590 Littré) diovti pollo;n poikilwvterav te kai; dia; plevono"
ajkribeivh" ejstiv. dei' ga;r mevtrou tino; " stocavsasqai: mevtron de; oujd e; ajr iqmo;n ou[te staqmo;n a[llon pro; " o} ajnafevrwn ei[shi to; ajkribe;", ouj k a] n eu{roi" a[llæ h] tou' swvmato" th;n
ai[sqhsin. dio; e[r gon ou{tw katamaqei'n ajkribw' ", w{ste smikra; aJmartav nein e[ nqa h] e[ nqa.
ka]n ejgw; tou' ton to;n ijhtro;n ijscurw'" ejp ainevoimi to;n smikra; ajmartavnonta, to; de; ajtreke; "
ojligavki" e[sti katidei'n. Il problema di interpretazione di hJ tou' swvmato" th;n ai[sqhsin (si
tratta della sensazione del paziente o di quella del medico? cf. Jouanna 1990, 174) va risolto
nel contesto generale del passo che riguarda la dieta per la pletora e per gli stati di vacuità.
Il medico deve infatti saper riconoscere se l'individuo in questione si trova in uno stato o
nell'altro per non prescrivere un regime troppo scarso che ne indebolisca ulteriormente il
fisico. Deve quindi avere come metro di valutazione i sintomi (cioè ciò che il paziente
sente) che egli infatti più oltre elenca per ogni singolo stato in relazione al regime abituale
del paziente, cf. 10,3-4 (130,9-131,10 Jouanna = I,592-94 Littré).
Aph. 1 (98,1 Jones = IV,458 Littré) ... hJ de; pei'ra sfalerhv, hJ de; krivsi" calephv.
De arte 11,1-4 (237,4-238,7 Jouanna = VI,18-20 Littré); 12 (240,1-241,11 Jouanna = VI,2226 Littré).
L'aspetto positivo delle presunte dichiarazioni scettiche è stato intravvisto anche, sebbene
in una prospettiva "filosofica", da Sassi 1978, 192s. in relazione a Senofane e Alcmeone.
Capitolo settimo
313
avrebbe dichiarato che o nulla è vero o la verità è invisibile117 , ma la massima già accennata secondo cui ciò che appare è una visione dell'invisibile
e l'altra rappresentazione aristotelica di Democrito come assertore della
verità dei fenomeni sono complementari a questa dichiarazione: se la vera
essenza dei fenomeni è invisibile, bisogna servirsi delle "pisteis" fornite
dalle apparenze e colte dalle sensazioni, per arrivare a conoscerla. Se si
considerano le dettagliate descrizioni delle cause invisibili delle sensazioni
e dei fenomeni riportate dalle testimonianze indirette, si può concludere
che, come gli Ippocratici, anche Democrito, sottolineando la difficoltà
dell'impresa di conoscere l'invisibile, mette tuttavia in rilievo la sua capacità di interpretare i segni e di penetrare nei minimi particolari in questo
ambito nascosto alla maggior parte degli altri uomini. Viste in questo
contesto e nella stessa ottica di quelle ippocratiche anche le presunte dichiarazioni scettiche di Democrito assumono dunque un'altra fisionomia:
esse sottolineano in realtà le difficoltà di un'impresa che egli ha comunque
brillantemente superato.
7. Democrito e il Corpus Hippocraticum
Il confronto con i trattati ippocratici non è utile solo per far luce sul metodo e sulla concezione integrata di percezione e capacità di penetrazione
nel dominio dell'invisibile e per inquadrare le testimonianze sulla conoscenza in generale, ma si rivela fondamentale anche per altri aspetti dell'interpretazione di Democrito. Nelle trattazioni esclusivamente "filosofiche", infatti, il suo carattere di autore di scritti tecnici, nei quali peraltro la
medicina ha una posizione preponderante118 , è stato completamente
emarginato. Il Corpus Hippocraticum, che offre in definitiva gli unici testi
integrali di carattere tecnico contemporanei o poco anteriori a Democrito,
costituisce infatti un buon filtro attraverso cui leggere anche determinate
testimonianze e frammenti democritei ed è anche sulla strada del confronto parallelo con dottrine contemporanee o comunque radicate in un
contesto culturale analogo che si deve procedere per inserire in una problematica più ampia e variegata di quella strettamente filosofica le dottrine
atomistiche. In una ricerca dominata dall'interpretazione eleatizzante di
Leucippo e Democrito, il confronto con i testi medici è stato limitato
117
118
Arist. Metaph. G 5, 1009b 7 (68 A 112 DK; 52, 80 L.).
Nel catalogo di Trasillo (68 A 33 DK; CXV L.) compaiono i seguenti titoli: Peri;
ajnqrwvpou fuvsio" o Peri; sarkov" (IV), Peri; diaivth" h] diaithtikovn, Provgnwsi", Ihtrikh;
gnwvmh (XII). Le analogie coi titoli ippocratici sono di palese evidenza, cf. Peri; fuvsio"
ajnqrwvpou, Peri; sarkw'n, definito dall'autore come un lovgo" peri; th'" tevc nh" th'" ijhtrikh'",
Peri; diaivth" e Peri; diaivth" ojxevwn, Prognwstikovn.
314
Atomismo antico e contesto culturale
soprattutto alla genetica e all'embriologia e, anche in questo ambito, si è
sempre ipotizzato un rapporto di dipendenza unilaterale dei testi ippocratici da Democrito119 . Un'importante e decisiva alternativa rispetto a questo
metodo di analisi, è stata proposta da Jouanna120 , il quale tenta di impostare il discorso generale dei rapporti fra i cosiddetti presocratici e i testi
ippocratici su basi diverse da quelle della pura e semplice dipendenza di
questi ultimi dagli altri. Egli si serve proprio di un esempio tratto da Democrito per dimostrare come sia ingiustificato parlare in termini generali
di una tale dipendenza121 . Jouanna propone piuttosto una relativizzazione
del metodo, ma soprattutto un abbandono degli schemi rigidi e un'apertura all'idea del sostrato metodologico e dell'esperienza comune a presocratici e medici ippocratici122 . Questo significa che, se alcuni autori
ippocratici potrebbero essere stati influenzati da Democrito, anche
quest'ultimo poteva attingere ad un patrimonio medico generalizzato o
che comunque due teorie simili, ma non uguali, in Democrito e negli Ippocratici, potevano avere origini comuni, ma indipendenti.
Alcuni raffronti fra temi analoghi trattati dagli ippocratici in modo
approfondito e in un ambito strettamente tecnico e da Democrito dal
punto di vista più "teorico" del Naturphilosoph confermano che quest'ultimo ha attinto ad un sostrato di conoscenze mediche. Democrito è il
primo fra i cosiddetti presocratici ad aver trattato diffusamente dei succhi
e delle loro proprietà. Anche questo non è un caso. Infatti le dunavmei" dei
succhi e dei cibi e il loro effetto sulle costituzioni individuali dei singoli
pazienti sono un tema tipico della dietetica, un soggetto emergente nella
medicina dell'ultimo quarto del V sec. a.C. e di cui, a giudicare dal titolo di
un'opera, Peri; diaivth", Democrito si è sicuramente occupato. L'autore
119
120
121
122
Anche Stückelberger 1984, che ha trattato comunque, oltre che l'aspetto empirico della
dottrina democritea, più sistematicamente il problema dei rapporti fra testimonianza democritee e testi ippocratici, parte sempre dal presupposto che gli autori ippocratici, più o
meno consciamente, utilizzino materiali e idee provenienti da Democrito, cf. anche Lonie
1981 e Salem 1996.
Jouanna 1992, 95ss.
Nella fattispecie la relazione fra Ael. Hist. nat. 12,16 (68 A 151 DK; 545 L.) e Nat. puer. 31,2
(83,8 Joly = VII,540 Littré) dove ritorna l'esempio della maniera di generare del maiale e
del cane. L'interpretazione corrente sottolinea una stretta analogia innazitutto nella scelta
degli animali, in secondo luogo nel fatto che, in ambedue i testi, compare una stessa descrizione della conformazione dell'utero come fatto di più "tasche" atte a ricevere il seme.
In realtà, secondo Jouanna (102-104), la scelta dell'esempio non dimostra nulla in quanto il
maiale e il cane, essendo gli animali domestici più comuni, facevano parte di una tipologia
corrente. Per quanto riguarda invece il resto, c'è una differenza fondamentale fra i due testi
proprio nella concezione di fondo del concepimento di questi animali. Nel De natura pueri
l'esempio del cane e del maiale serve a spiegare come i gemelli nascano da un solo coito;
Democrito, invece, specificava chiaramente che il concepimento avviene in seguito a più
coiti, una divergenza sostanziale.
Si tratta di un principio che guida anche il lavoro di Orelli 1996. Cf. ora anche Perilli 2007.
Capitolo settimo
315
del De vetere medicina critica le tesi assolutizzanti sulla composizione dell'uomo e sulle proprietà dei cibi proprio basandosi sulla relatività degli
effetti dei succhi sulle varie costituzioni e regimi alimentari:
ci sono infatti nell'uomo salato, amaro, dolce, acido, astringente, insipido e altri
innumerevoli [succhi] con svariate proprietà sia rispetto alla quantità che alla
forza. Queste, finché esse sono mescolate e temperate l'una con l'altra non sono
né manifeste né provocano sofferenza all'uomo, quando però qualcuna di loro si
separa e si isola, allora diventa manifesta e provoca sofferenze all'uomo 123 .
A questi succhi interni si mescolano quelli provenienti dai cibi che non
provocano grandi danni se ingeriti abitualmente, ma sono fonte di disturbi
se penetrano in una costituzione non abituata ad un determinato regime.
Nei frammenti democritei e nelle testimonianze del De sensibus di Teofrasto vengono ribaditi gli stessi principi a livello di forme atomiche e di
sensazioni le quali, come la malattia, vengono percepite come un'alterazione dell'equilibrio corporeo. La prevalenza di una forma produce la
sensazione del rispettivo succo, ma anche la relazione fra le forme che
penetrano nei corpi e le strutture individuali gioca un ruolo nella percezione
Nessuna figura si trova allo stato puro e non mescolata con le altre, ma in ogni
cosa ce ne sono molte e la stessa cosa contiene il liscio e lo scabro, il rotondo e
l'acuto e le rimanenti forme. La forma preponderante è quella che massimamente
prevale ai fini della sensazione e della [relativa] proprietà [dell'oggetto], e inoltre
[è importante] in quale costituzione le forme si introducano; infatti anche questo
è di non poca importanza perché talvolta la stessa proprietà produce sensazioni
contrarie e proprietà contrarie producono la stessa sensazione124 .
Democrito applica dunque alle sensazioni il modello che l'ippocratico
applica alla malattia. C'è però un campo specifico in cui la teoria democritea dei succhi mostra analogie ancora più strette con un un testo ippocratico: quello della determinazione delle proprietà degli atomi di determinati succhi. La descrizione delle forme atomiche delle sostanze piccanti e
dolci e dei loro effetti sul corpo nella testimonianza di Teofrasto ricorda
infatti il resoconto sugli alimenti dello stesso tipo nel De victu che dedica
123
124
VM 14,4 (136,10 Jouanna = I,602 Littré) e[ni ga;r ejn ajnqrwvpwi kai; aJlmuro;n kai; pikro;n
kai; gluku; kai; ojxu; kai; strufno;n kai; pladaro; n kai; a[lla muriva pantoiva" dunav mia"
e[conta plh'qov" te kai; ijscuvn: tau'ta me; n memigmev na kai; kekrhmev na ajllhvloisin ou[te fanerav ejstin ou[ te lupei' to;n a[nqrwpon, o{tan dev ti touvtwn ajpokriqh'i kai; aujto; ejfæ eJw utou'
gev nhtai, tovte kai; fanerov n ejs ti kai; lupei' to; n a[nqrwpon.
Theophr. De sens. 67 (68 A 135 DK; 496 L.) aJp avntwn de; tw'n schmavtwn oujde;n ajkevraion
ei\nai kai; ajmige;" toi'" a[lloi", ajllæ ejn eJkavstwi polla; ei\ nai kai; to; n auj to;n e[ cein leivou
kai; tracevo" kai; periferou' " kai; ojxevo" kai; tw'n loipw'n. ou| dæ a] n ejnh'i plei'ston, tou'to
mavlista ej niscuv ein prov" te th; n ai[sqhsin kai; th;n duv namin, e[ti de; eij" oJpoivan e{ xin a] n
eijsevlqhi: diafevrein ga;r oujk ojlivgon kai; tou' to dia; to; aujto; taj nantiva, kai; taj nantiv a to;
aujto; pavqo" poiei'n ejnivote. Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,136 (68 B 9 DK; 55 L.), supra,
n. 16.
316
Atomismo antico e contesto culturale
alle proprietà dei cibi una parte considerevole del secondo libro. Così si
esprime il medico sulle sostanze dolci, aspre, acide e simili
Le sostanze dolci, grasse e oleose provocano pienezza in quanto, partendo da un
piccolo volume, si espandono molto; scaldandosi e diffondendosi, integrano il
calore del corpo ed hanno un effetto calmante. Le sostanze acide, aspre, agre,
astringenti, grezze e secche non riempiono perché aprono gli orifizi delle vene e
li purificano; e disseccando una parte, pungendo e contraendo l'altra, fanno fremere e contrarre in una piccola massa l'umido nella carne; e nel corpo si crea
molto vuoto. Quando dunque si voglia riempire partendo da pochi cibi o vuotare
partendo da una maggior quantità, si usino queste sostanze125 .
Secondo Teofrasto, Democrito descriveva in maniera analoga gli effetti
delle forme dell'acido e del dolce:
L'acido è, in quanto alla sua forma, angoloso e sinuoso, piccolo e sottile. Infatti
per la sua acidità penetra velocemente e dovunque, d'altra parte, essendo ruvido e
angoloso, astringe e contrae; per questo riscalda il corpo creando dei vuoti; infatti
ciò che contiene più vuoto si riscalda massimamente. Il dolce è composto di figure tondeggianti non troppo piccole; perciò si diffonde per tutto il corpo e lo
attraversa tutto senza violenza e non a gran velocità; provoca però sconvolgimento negli altri [succhi] perché, penetrando attraverso le altre forme, le fa spostare e le umidifica; queste, umidificate e smosse dal loro assetto abituale, si riversano nel ventre; infatti questo è il luogo più facilmente accessibile perché qui c'è
la maggior quantità di vuoto126 .
Sia per Democrito che per il medico l'acido ha la proprietà di contrarre e
di creare vuoto, il dolce di diffondersi nel corpo e di riempire il ventre.
L'autore del De victu è più interessato agli effetti e soprattutto all'impiego
terapeutico di queste sostanze. Democrito è invece concentrato sulla descrizione delle forme e dei meccanismi che producono questi effetti. I due
approcci, pur nella loro somiglianza, divergono anche nei dettagli e non
possono essere considerati l'uno la fonte dell'altro. Il medico è uno spe125
126
De vict. II,56,6 (180,14 Joly = VI,568 Littré) ta; glukeva kai; ta; pivona kai; ta; lipara;
plhrwtikav ejsti, diovti ejx ojlivgou o[gkou poluv coav ejsti: qermainovmena de; kai; diaceovmena
plhroi' to; qermo;n ejn tw'i swvmati kai; galhnivzein poiei'. ta; de; ojxev a kai; drimeva kai;
aujsthra; kai; strufna; kai; sugkomista; kai; xhra; ouj plhroi', diovti ta; stovmata tw'n flebw' n
ajnevwixev te kai; diekavqhre: kai; ta; me;n xhraiv nonta, ta; de; davknonta kai; stuvfonta fri'xai
kai; susth' nai ej " ojlivgon o[gkon ejpoivhse to; uJgro;n to; ejn th'i sarkiv: kai; to; keneo;n polu;
ejgev neto ej n tw'i swvmati. o{tan ou\ n bouvlhi ajp ojlivgwn plhrw'sai h] ajpo; pleiovnwn kenw's ai,
touvtoisi crh'sqai.
Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) to;n me;n ou\n ojxu;n ei\nai tw'i schvmati gwnoeidh'
te kai; polukamph' kai; mikro; n kai; leptovn. dia; ga;r th; n drimuvthta tacu; kai; pavnthi
diaduvesqai: tracu;n dæ o[nta kai; gwnoeidh' sunav gein kai; suspa' n: dio; kai; qermaivnein to;
sw'ma kenovthta" ejmpoiou'nta: mavlista ga;r qermaiv nesqai to; plei'ston e[c on kenovn. to; n de;
gluku;n ejk periferw' n sugkei'sqai schmavtwn oujk a[gan mikrw'n: dio; kai; diacei'n o{lw" to;
sw'ma kai; ouj biaivw" kai; ouj tacu; pavnta peraivnein: tou;" ãdæà a[llou" taravttein, o{ti
diaduvnwn plana'i ta; a[lla kai; uJ graiv nei: uJ grainovmena de; kai; ejk th'" tav xew" kinouv mena
surrei'n eij" th; n koilivan: tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\nai
kenov n.
Capitolo settimo
317
cialista di dietetica e conosce da fonti mediche e dalla sua stessa pratica le
proprietà dei succhi, Democrito attinge al patrimonio della dietetica del
tempo rimaneggiandolo in direzione di un'eziologia atomista. Non sono
rimaste testimonianze certe sulle sue opere mediche127 come il Peri;
diaivth", la Ihtrikh; gnwvmh e la Provgnwsi", ma sicuramente esse erano
conosciute ancora nel III sec. a.C. A questo proposito è indicativo, pur
con tutte le riserve del caso, un passo della commedia di mezzo inserito
dal Diels sotto la voce "imitazioni". Si tratta della rappresentazione del
famoso cuoco di Damosseno (III sec. a.C.) che si dichiara epicureo, ma
afferma che un cuoco che non abbia letto, oltre al canone di Epicuro,
anche tutte le opere di Democrito è assolutamente da disprezzare (Fr.
2,13 K.-A.). Nelle teorie sulla distribuzione e sull'effetto dei succhi egli si
richiama espressamente a quest'ultimo utilizzando una terminologia del
tutto democritea. Dopo aver puntualizzato che un buon cuoco deve innanzitutto saper distinguere quale periodo dell'anno sia il migliore per
pescare e cucinare determinati pesci, in quanto i mutamenti e i movimenti
producono alterazioni nei cibi e conseguentemente in chi se ne ciba, il
cuoco epicureo promette di somministrare cibi nutrienti che non provochino esalazioni sgradite e nocive e spiega gli effetti dei succhi da questi
prodotti "secondo Democrito":
(A.).... Pertanto il succo si dispone dovunque nei pori in maniera omogenea—
(B.) Succo? (A.) Lo dice Democrito— e non si producono ostruzioni che rendono artritico colui che se ne ciba 128 .
La terminologia della distribuzione omogenea e dell'ostruzione è democritea129 . Anche l'immagine che il cuoco successivamente fornisce di sé,
quella di un teorico, esperto di medicina e di scienza della natura in generale, che non si abbassa a cucinare lui stesso, ma osserva (qewrw') quello
che fanno gli altri, stando loro vicino e soprattutto spiegando loro le cause
e gli effetti di quello che fanno, richiama l'immagine, circolante già nel V
sec. a.C., degli autori di trattati tecnici teorici, profani e medici che ne
127
128
129
Forse qualche sparsa notizia potrebbe trovarsi fra quelle testimonianze che Wellmann e
Diels, seguiti dagli interpreti moderni, hanno qualificato senza appello come spurie, cf. su
questo Gemelli Marciano 2007.
Damox. Fr. 2,29 K.-A. (A.)... toigarou'n eij" tou;" povrou"/ oJ cumo;" oJmalw'" pantacou'
sunivstatai—/(B.) cumov"; (A.) lev gei Dhmovkrito"— oujd ej mfrav gmata/ ginovmena poiei' to;n
fagov nt ajrqritikovn. Per il testo mi attengo all'edizione di Kassel-Austin.
Sulla "disposizione omogenea", cf. Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) to;n de;
movlubdon e[latton e[conta keno;n oJ malw'" sugkei'sqai kata; pa' n oJmoivw". Cf. Ibid. 55 (68 A
135 DK; 488 L.), sulla distribuzione della voce nel corpo tacu; skivdnasqai kai; oJmalw'"
kata; to; sw'ma. Sulle "ostruzioni" dei pori, cf. Ibid. 66 (68 A 135 DK; 496 L.) to;n de; strufno;n ejk megavlwn schmavtwn kai; polugwnivw n kai; perifere; " h{kistæ ejcov ntwn: tau' ta ga;r
o{tan eij" ta; swvmata e[lqhi, ejpituflou'n ejmplav ttonta ta; flebiv a kai; kwluv ein surrei'n: dio;
kai; ta;" koiliva" iJstavnai.
318
Atomismo antico e contesto culturale
seguono le orme, e di sofisti che insegnano la techne: si tratta di sapienti
che fanno della teoria, ma sono assai poco esperti nella pratica dell'arte 130 .
Il testo di Damosseno, dunque, pur nella sua esagerazione comica,
rimanda ad una ricezione di Democrito quale autore di trattati teorici di
medicina, che ancora al suo tempo doveva essere abbastanza diffusa per
poter avere un impatto sul pubblico131 . Questa immagine corrisponde a
quella degli "esperti" profani con cui nell'ultimo quarto del V sec. a.C. i
medici ippocratici di tendenze empiriche avevano un rapporto piuttosto
conflittuale. Essi vengono descritti in trattati quali il De vetere medicina o il
De victu acutorum come degli "intrusi" senza alcuna esperienza che si
appropriano in modo superficiale di conoscenze mediche minacciando il
buon nome dell'arte e criticati in particolare per il loro approccio
"teorico"132 . Democrito si avvicina molto alla tipologia di questi "sapienti"
profani.
Una delle obiezioni ricorrenti nei testi ippocratici contro i "teorici" è
rivolta alla definizione di "uomo" in generale. Sembra infatti che i profani
autori di trattati tecnici, ma anche alcuni professionisti ritenessero compito primario definire innanzitutto la natura dell'uomo o dei singoli oggetti
dell'arte che essi volevano trattare. L'autore del De vetere medicina polemizza
proprio con i medici e i "sapienti" che vogliono definire la natura dell'uomo in generale senza invece riportarla alle costituzioni particolari e al
loro rapporto con i vari alimenti e i regimi di vita specifici.
Poiché questo mi sembra necessario che sappia il medico sulla natura [dell'uomo] 133 e che si adoperi in ogni modo di sapere, se vorrà fare il suo dovere:
che cosa è l'uomo in rapporto ai cibi e alle bevande e che cos'è in rapporto alle
altre sue abitudini e che cosa da ciascuno di questi fattori deriverà a ciascuno134 .
L'autore del De natura hominis si scaglia a sua volta contro coloro che definiscono l'uomo come composto da un solo elemento (aria o acqua o
130
131
132
133
134
Cf. supra, Introduzione 2. 3 n. 45.
Cf. Gemelli Marciano 2007.
Cf. Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238 Littré); VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré).
Come ha già rilevato Jouanna 1990, 208 (cf. anche Ducatillon 1977, 96 e la traduzione di
Littré ad loc.) quando l'autore del De vetere medicina parla della "natura" o di "quelli che
hanno scritto sulla natura", si riferisce non alla natura in generale e agli scritti che la riguardano, bensì alla natura dell'uomo e agli scritti specifici su questo tema come suggerisce la
specificazione successiva "che cosa è l'uomo …" in ambedue i casi. V. infra, nel testo e VM
20,1 (146,5 Jouanna = I,620 Littré) oi} peri; fuvsio" gegravf asin ejx ajrch'" o{ ti ejsti;n
a[nqrwpo" ...) .
VM 20,3 (146,15 Jouanna = I,622 Littré) ejpeiv tou'tov gev moi dokei' ajnagkai'on ei\nai ijhtrw'i
peri; fuvsio" eijdev nai kai; pavnu spoudavsai wJ" ei[setai, ei[per ti mevllei tw'n deov ntwn
poihvsein, o{ ti tev ejstin a[ nqrwpo" pro;" ta; ejsqiovmenav te kai; pinovmena kai; o{ ti pro;" ta;
a[lla ejpithdeuvmata kai; o{ ti ajfæ eJkav stou eJkavstwi sumbhv setai.
Capitolo settimo
319
fuoco o terra)135 . Possiamo ora ricordare che Democrito aveva fornito in
una breve e sibillina frase proprio la definizione di uomo: "l'uomo è quello
che tutti conosciamo"136 . La frase è stata tramandata fuori da un contesto
e variamente interpretata nell'antichità, ma doveva essere una affermazione ad effetto che non stupirebbe all'inizio di un trattato Peri; fuvsio"
ajnqrwvpou che, in base alle "regole" dei trattati di questo genere, doveva
appunto cominciare con una definizione dell'oggetto. In perfetta consonanza con queste esigenze definitorie e contro le tesi rappresentate in De
vetere medicina e De natura hominis l'autore del De victu dichiarava infatti che
la cura del corpo si inserisce in un ambito molto più vasto che comprende
la conoscenza della natura dell'uomo e dell'universo. Per scrivere del regime bisogna conoscere prima la natura dell'uomo in generale, da che cosa
è stato composto dall'inizio e quali elementi vi predominano. Senza questi
presupposti è impossibile non solo stabilire l'origine delle malattie, ma
anche somministrare i rimedi utili137 . Su questo sfondo di trattati specialistici la frase democritea assume contorni più definiti per lo meno per
quanto riguarda la sua funzione, quella di incipit di un trattato sulla natura
dell'uomo. In questa tensione fra il dare e l'avere fra medici e autori profani di trattati di medicina va situato dunque il complesso rapporto di
Democrito con la medicina ippocratica e con la medicina in generale.
Un esame dettagliato del sostrato culturale comune alle dottrine atomistiche e alla medicina ippocratica, esula dai limiti del presente studio ed
è in parte già stato fatto, sebbene principalmente nell'ottica di un rapporto
di dipendenza dei medici da Democrito stesso, ma questi aspetti fondamentali del problema devono essere comunque segnalati, in quanto, a mio
avviso è sul terreno del confronto non solo con i trattati ippocratici, ma
anche con le testimonianze sulle technai in generale che si deve ancora
lavorare per comprendere meglio quell'atomismo democriteo che ha
creato tanti problemi di interpretazione. Queste indicazioni di metodo, e
un esame puntuale della tradizione dossografica, costituiscono due aspetti
complementari imprescindibili per una reinterpretazione globale dell'atomismo antico.
135
Nat. hom. 1 (165,1 Jouanna = VI,32 Littré) o{sti" me;n ei[wqen ajkouvein legovntwn ajmfi; th'"
fuvsio" th' " aj nqrwpivnh" proswtevrw h] o{son aujth' " ej" ijhtrikh; n ajfhvkei, touvtwi me; n oujk
ejpithvdeio" o{de oJ lovgo" ajkouv ein: ou[te ga;r to; pavmpan hj evra levgw to;n a[nqrwpon ei\nai,
ou[te pu'r, ou[te u{dwr, ou[te gh'n, ou[te a[llo oujde;n o{ ti mh; fanerovn ejstin ejneo; n ej n tw'i
ajnqrwvpwi: ajlla; toi'si boulomevnoisi tau' ta levgein parivhmi.
136
137
Sext. Emp. Adv. Math. 7,265 (68 B 165 DK; 65 L.); Pyrrh. Hyp. 2,23 (65 L.), cf. Arist. De
part. anim. A 1, 640b 29 (68 B 165 DK; 65 L.).
Vict. I,2 (122,22 Joly = VI,466 L.).
320
Atomismo antico e contesto culturale
8. Sintesi
Se si abbandonano per un momento le interpretazioni filosofiche dell'atomo e ci si rivolge alle immagini veicolate dai frammenti e dalle testimonianze decrittive e al confronto coi testi contemporanei a Democrito, si
può ricostruire un quadro alternativo dell'atomismo e delle sue "origini"
molto meno "filosofico", ma probabilmente più vicino alla realtà. Come
già aveva visto Epicuro, balza in primo piano innanzitutto l'immagine di
un mondo governato dall'ajnavgkh, la "costrizione" cosmica che fa impigliare gli atomi originari, e dalle ajnavgkai, le singole pressioni che in ogni
momento si esercitano su tutti i corpi fenomenici. Questa è una concezione-guida dei meteorologoi e dei medici del V sec. a.C., oltre che dei magoi.
La ricerca delle cause è in fondo la ricerca delle ajnavgkai che producono e
condizionano i corpi e i fenomeni. Su questo sfondo si delinea anche
un'altra concezione dell'atomo, meno matematizzante e astratta: esso si
configura come il corpuscolo resistente a qualsiasi ajnavgkh che garantisce
perciò la persistenza stessa dell'universo al di là del continuo dissolversi di
corpi e di mondi. L'atomo è un "individuo" invulnerabile, ma, come l'homo
naturalis dei Sofisti, poco sociale e poco incline all'aggregazione. Le immagini della stasis precosmica fra corpuscoli di forme e tendenze differenti
presenti nel resoconto aristotelico su Democrito sono parallele a quelle
dei primi uomini vaganti in solitudine nella vulgata della Kulturentstehung, ma
richiamano anche la situazione politica conflittuale della Grecia nell'ultimo
terzo del V sec. a.C. Le aggregazioni si creano solo per effetto di ajnavgkai
che fanno impigliare i corpuscoli gli uni con gli altri. A questo punto entra
in scena il grande vuoto reminiscenza di cosmogonie orfiche, che, lungi
dall'avere la funzione di dividere, produce invece una maggiore aggregazione e favorisce in definitiva il crearsi di un'altra ajnavgkh, il vortice cosmico. All'interno di questo vortice si sviluppa il gioco di costrizioni che
genera e dissolve. I vuoti, con le loro forme e posizioni, sono altrettanto
determinanti quanto gli atomi per il grado di persistenza, di resistenza e di
interazione reciproca dei vari corpi. Su questi presupposti si comprende
perché Democrito e Leucippo ponessero il vuoto e il rado sullo stesso
piano del corpo e del solido. Il mondo è così un insieme di aggregati porosi, instabili, esposti a continue costrizioni, a continui flussi e influssi.
Dietro a questa visione fondamentalmente ansiogena dei corpi stanno
concezioni mediche e magiche: l'instabilità dei corpi e la loro predisposizione alla malattia costituiscono i presupposti basilari della medicina e la
loro influenzabilità e alterabilità è un motivo-guida delle operazioni cosiddette magiche. Vista su questo sfondo la dottrina atomistica assume un
nuovo aspetto e l'atomo si configura non più come la grandezza ultima
derivata da una teorica divisione all'infinito, ma come il corpuscolo per-
Capitolo settimo
321
fetto che si sottrae alle regole che governano gli altri corpi, immune all'alterazione, alla malattia, a qualsiasi influsso esterno o squilibrio interno. Un
corpo di tal genere, che non assomiglia a nessuno di quelli che vediamo è
per lo più invisibile, ma non necessariamente sempre. Come i simulacri
che generalmente si aggirano per l'aria invisibili, ma talvolta si manifestano, così masse di atomi che si muovono spasmodicamente divengono
visibili agli occhi di chi sa osservare se illuminate da un raggio di sole. Il
dogma dell'invisibilità dell'atomo stabilito dalla tradizione filosofica e la
ferrea logica in cui è stata imprigionata la dottrina atomistica ha impedito
un'interpretazione consegu