T13 Pietrificazioni. - Liceo Classico V. Emanuele II di Jesi
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T13 Pietrificazioni. - Liceo Classico V. Emanuele II di Jesi
T13 Pietrificazioni. 1) Pseudo-Aristotele, De mirabilibus auscultationibus, 834a 23-30. 52. )En toi=j peri\ Ludi/an meta/lloij toi=j peri\ Pe/rgamon, e(/ dh\ kai\ Kroi=soj ei) rga/sato, pole/mou tino\j genome/nou 25 kate/fugon oi( e)rgazo/menoi ep¡ au)ta/, tou= de\ stomi/ou e)poikodomhqe/ntoj a)pepni/ghsan: kai\ u(/steron xro/n% poll%= tw=n meta/llwn a)nakaqarqe/ntwn eu(re/qh oiÒj e)xrw=nto a)ggei/oij pro\j ta\j u(po\ xei=ra xrei/aj a) poleliqwme/na, oiÒon a)mforei=j kai\ ta\ toiouto/tropa. tau=ta dh\ peplhrwme/na ouÒ tino\j 30 e)/tuxon u(grou= e)leli/qwto, kai\ prose/ti ta\ o)sta= tw=n a)nqrw/pwn. “Quando scoppiò una guerra, alcuni minatori si rifugiarono nelle miniere di Lidia, presso Pergamo, che erano già state sfruttate da Creso; ma, poiché se ne ostruì l’apertura, essi morirono soffocati e dopo molto tempo, quando le cave furono ripulite, vennero trovati i recipienti di cui i minatori si erano serviti per le necessità quotidiane completamente pietrificati, quali anfore e altro vasellame simile. Erano pietrificati anche i recipienti contenenti qualunque tipo di liquido, e così pure le ossa degli uomini”. (Testo e traduzione da: Aristotele, Racconti meravigliosi, a cura di Gabriella Vanotti, Milano 2007). 2) Teofrasto, De lapidibus, 4. e)/nioi de\ toi=j xrw/masin e)comoiou=sqai du/nantai to\ u(/dwr w(/sper h( sma/ragdoj, oi( d’ o(/lwj a)poliqou=n ta\ tiqe/mena ei)j e(autou/j. “Alcune (pietre) hanno il potere di comunicare il loro colore all’acqua, come lo smeraldo, altre di pietrificare completamente ciò che è posto in esse”. (Testo da Theophrastus. De lapidibus, edited with introduction, translation and commentary by D.E. Eichholz, Clarendon Press, Oxford 1965. Trad. P. Zampini). 3) Teofrasto, De lapidibus, 37. ei)si\ de\ kai\ a)/llai tine/j, oiÒon o(/ te e)le/faj o( o)rukto\j poiki/loj me/lani kai\ leuk%= kai\ e(/n kalou=si sa/pfeiron: au(/th ga\r me/laina ou)k a)/gan po/rrw tou= kua/nou tou= a)/ rrenoj. kai\ <h(> prasi=tij: au(/th de\ i)w/d/hj t$= xro/#. puknh\ de\ kai\ <h(> ai(mati=tij: au (/th d’ au)xmw/dhj kai\ kata\ tou)/noma w(j ai(/matoj chrou= pephgo/toj. a)/llh d’ h ( kaloume/nh canqh\ me\n th\n xro/an, e)/kleukoj de\ ma=llon, o(/ kalou=si xrw=ma oi ( Dwriei=j xanqo/n. to\ ga\r koura/lion, kai\ ga\r tou=q’ w(/sper li/qoj, t$= xro/# me\n e) ruqro/n, perifere\j d’ w(j a)/n r(i/za: fu/etai d’ e)n t$= qala/tt$. tro/pon de/ tin’ ou) po/rrw tou/tou t$= fu/sei kai\ o( )Indiko\j ka/lamoj a)poleliqwme/noj. tau=ta me\n ouÅn a)/llhj ske/yewj. “Ci sono anche altre pietre (con insolite caratteristiche), come l’avorio fossile, screziato di nero e bianco, e quella che chiamano sapphiron; essa è scura e non molto diversa dal genere maschile del cyanos; poi la prasitis: essa è di colore verdastro. L’hematitis è compatta: essa è arida e, come il nome dice, simile al sangue secco rappreso. Un’altra è quella chiamata xante, non gialla di colore, 147 ma piuttosto candida, quello colore appunto che i Dorici chiamano “xanto”. Il corallo poi, giacché è anch’esso come una pietra, è di colore rosso, e tornito come una radice; cresce nel mare. In qualche modo non lontano da questo per natura è anche il giunco indiano (bambù) pietrificato. Ma di ciò in un’altra trattazione”. (Testo da Theophrastus. De lapidibus, edited with introduction, translation and commentary by D.E. Eichholz, Clarendon Press, Oxford 1965. Trad. P. Zampini). 4) Pseudo-Aristotele, De mirabilibus auscultationibus, 838a 11-14. eiÅnai de\ le/gousin e)n e)kein/oij toi=j to/poij peri\ th\n Ku/mhn potamo/n tina Keto\n o) nomazo/menon, ei)j o(/n fasi to\n plei/w xro/non to\ e)mblhqe\n prw=ton perifu/esqai kai1 te/loj a)poliqou=sqai. “Raccontano anche che in quei luoghi, vicino a Cuma, scorra un fiume chiamato Keton, nel quale, se si tiene immerso un oggetto per molto tempo, esso prima si ricopre di concrezioni e poi si trasforma in pietra”. (Testo e traduzione da: Aristotele, Racconti meravigliosi, a cura di Gabriella Vanotti, Milano 2007). 5) Strabone, Geografia, V, 4, 13. Dih/kousi d’ oi( Pi/kentej me/xri tou= Sila/ridoj potamou= tou= o(ri/zontoj a)po\ tau/thj th=j xw/raj th\n a)rxai/an Leukani/an, e)f’ ouÒ tou=t’ i)/dion i(storou=si peri\ tou= u(/datoj tou= o)/ntoj poti/mou, to\ kaqie/menon ei)j au)to\ futo\n a)poliqou=sqai fula/tton th\n xro/an kai\ th\n morfh/n. “Il territorio dei Picentini di estende fino al fiume Silaris, che separa da questa regione l’antica Lucania; a proposito di questo fiume raccontano che la sua acqua, pur essendo potabile, ha la proprietà particolare di pietrificare le piante che vi vengono immerse senza tuttavia che esse perdano il loro colore e la loro forma”. (Testo e traduzione da Strabone, Geografia, a cura di Anna Maria Biraschi, Milano 20015). 6) Plinio, Naturalis Historia, II, 226. 226 nihil in Asphaltite Iudeae lacu, qui bitumen gignit, mergi potest nec in Armeniae maioris Aretissa; is quidem nitrosus pisces alit. in Sallentino iuxta oppidum Manduriam lacus, ad margines plenus, neque exhaustis aquis minuitur neque infusis augetur. in Ciconum flumine et in Piceno lacu Velino lignum deiectum lapideo cortice obducitur et in Surio Colchidis flumine adeo, ut lapidem plerumque durans adhuc integat cortex. similiter in flumine Silero ultra Surrentum non virgulta modo inmersa, verum et folia lapidescunt, alias salubri potu eius aquae. in exitu paludis Reatinae saxum crescit. “Nel lago Asfaltide in Giudea, che produce bitume, non si può sommergere niente; lo stesso nell’Aretissa, in Armenia Maggiore: e quest’ultimo, pur ricco di nitro, contiene dei pesci! Nel Salento, presso la città di Manduria, c’è un lago, pieno fino ai bordi, che non cala ad attingervi, e non aumenta per acqua versata. In un fiume dei Ciconi e nel lago Velino, nel Piceno, un legno buttato in acqua si ricopre di una corteccia pietrosa; e nel Surio, fiume della Colchide, si arriva al 148 punto che per lo più la corteccia, indurendosi, copre anche un sasso. Similmente, nel fiume Silero, dopo Sorrento, non solo arboscelli tuffati dentro, ma anche foglie, si pietrificano, e nondimeno quell’acqua è sana e potabile; all’uscita della palude di Rieti si sviluppa una roccia”. (Traduzione di Alessandro Barchiesi, da Plinio, Storia Naturale, ed. diretta da G.B. Conte, Einaudi 1983, vol. I) Vedi anche Aristotele, Problemata 937a 11-19 (T10). 149