FAENZE SILICEE AUTOSMALTANTI

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FAENZE SILICEE AUTOSMALTANTI
FAENZE SILICEE AUTOSMALTANTI
Un antico modo di fare ceramiche
di Massimo Piani
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Nelle ceramiche invetriate esiste una fase nella quale si procede all’applicazione del rivestimento,
questi in cottura, per effetto dell’azione combinata dei suoi componenti, si trasforma in un vetro
che determina al manufatto impermeabilità, resistenza e caratterizzazione estetica.
La smaltatura avviene solitamente con rivestimenti allo stato di sospensioni liquide, più raramente
a secco, e ancor più eccezionalmente per volatilizzazione (gres salati).
Esistono altre modalità ancora, derivate da antichissime produzioni dell’antico Medio Oriente, che
riescono a produrre uno strato vetrificato e impermeabile sulla superficie dell’oggetto senza che
questi venga sottoposto a particolari applicazioni. In un caso specifico, il processo di smaltatura si
risolve automaticamente durante l’essiccamento e grazie alle materie prime che compongono
l’impasto.
Questo modo di fare ceramica deriva dall’antico Egitto dove ci fu una produzione di faenze silicee
assai raffinata, risalente dal 4000 al 1000 a.C. L’impasto cotto evocava fedelmente il lapislazzuli,
una pietra preziosa di colore turchese con la quale si fabbricavano monili, statuette, contenitori
per cosmetici. Gli oggetti prodotti in faenza silicea erano particolarmente legati alle pratiche
funerarie e grandi quantità ne sono state rinvenute, a volte centinaia anche in unici sepolcri, indice
di una produzione perfezionata e seriale.
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“la Ceramica Moderna & Antica” n.274
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Esiste ancora oggi molto mistero su
come venissero realizzati questi
manufatti.
Dalle analisi chimiche effettuate è
chiaro che l’impasto fosse costituito
prevalentemente da silice e una
percentuale spesso inferiore all’1%
di allumina che corrisponde a meno
del 2% di argilla. Chi ha esperienza di
tecnologica ceramica si chiede
immediatamente come si potesse
foggiare manufatti con composizioni
così scarsamente plastiche. Molte ipotesi sono state fatte ed alcune di queste anche sperimentate
nei laboratori dell’Istituto d’Arte, ora Liceo Artistico “Ballardini” di Faenza.
Ci pare significativo documentare in particolare le esperienze di faenze silicee auto smaltanti, vuoi
per i risultati raggiunti vuoi per la possibilità che ancora c’è di sperimentare nella speranza che
queste possano servire da volano per ulteriori approfondimenti.
Nelle composizioni di faenze silicee auto smaltanti è da prevedere l’inserimento di quantità
significative di sali solubili che nella fase di essiccamento formano corpose efflorescenze. Queste,
in cottura, fondono formando una pellicola vetrificata trasparente che in presenza di ossidi
cromofori e per la natura alcalina dell’impasto possono generare tonalità insolite. La fase di
vetrificazione si sviluppa contestualmente anche all’interno del corpo ceramico e ne permette una
discreta compattazione. Se nelle parti più in profondità la formazione di vetro è quasi assente,
questa aumenta progressivamente man mano che si avvicina all’esterno per effetto appunto della
trasmigrazione dei sali solubili verso le superfici esterne e in particolare verso quelle aree dove
l’evaporazione è più intensa.
Le composizioni sperimentate non sono complesse: sabbia silicea, quarzo macinato, limitate
quantità di argille plastiche, calcio carbonato, sodio come carbonato e bicarbonato e in aggiunta
ossidi coloranti naturali.
Nel momento in cui è preferibile perseguire una colorazione turchese è consigliabile preparare
impasti prevalentemente silicei, dovendo però concedere qualcosa in termine di plasticità;
l’impasto sarà meno lavorabile e quindi adatto a foggiare forme semplici.
Quando la colorazione turchese non fosse elemento prioritario si può ricercare un impasto più
plastico, con un apporto maggiore di argille e quindi con la possibilità di realizzare forme
complesse.
Le percentuali di sali di sodio, inserite negli impasti sperimentati, sono state mediamente del 4-8%.
Queste sono direttamente correlate alla formazione del rivestimento che, se raggiunge grosso
spessore, evidenzia un cavillo intenso.
Le tonalità che si riescono ad ottenere con questi impasti sono assolutamente uniche e
caratterizzanti. Il vetro che si forma per reazione tra la silice e i composti alcalini, se presente il
rame, diventa blu turchese “egizio”; con l’ossido di cromo si passa ad un inedito verde acido e con
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l’ossido di manganese ad un viola squillante
che può divenire metallico se usato a
pennello per decorare in superficie.
Se le composizioni sono semplici, complessi
sono invece il sistema di preparazione
dell’impasto, la foggiatura e la fase di
essiccamento.
Qualora si volesse migliorare la plasticità
senza dover cambiare la composizione può
essere utile sperimentare additivi organici
che in cottura bruciano. Sono state testate
farine di vario genere, colle a base di
cellulosa e amido senza però aver raggiunto
risultati particolarmente significativi. Gli
impasti vanno lavorati con una quantità
d’acqua leggermente superiore alla norma
e qualora si faccia uso di stampi in gesso è
bene ridurre al minimo la permanenza dei
manufatti al loro interno per non
disperdere i sali con la trasmigrazione
dell’acqua di impasto.
Quando l’oggetto essicca comincia a
mostrare un accumulo progressivo di
efflorescenze formate dai sali solubili giunti
in superficie. Le zone dove c’è una maggior
formazione sono quelle esposte ad un
essiccamento più repentino e dalle prove
effettuate si è rilevato che un’evaporazione
rapida accentua la produzione di
efflorescenze e quindi successiva
formazione di vetro. Queste sostanze, se
migrano troppo verso l’esterno, rischiano di
non permettere una adeguata
compattazione dopo cottura del supporto
ed è anche per questo che sono state sperimentate, con successo, composizioni a base di fritte
macinate.
Nelle zone dove gli oggetti sono a contatto con superfici l’evaporazione è rallentata e lì non si
forma uno stato vetroso, risolvendo il problema di eventuali coesioni con i supporti per la cottura.
Per il ceramista che si occupa di archeologia sperimentale le faenze silicee sono un argomento
vasto e di grande interesse alla pari delle ceramiche invetriate per cementazione e delle ceramiche
persiane e turche. Tutte hanno in comune impasti prevalentemente silicei con rivestimenti spesso
sorprendenti e conseguiti con processi tecnologicamente non ancora del tutto chiari.