Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
LA COORDINAZIONE TRA COMUNICAZIONE VERBALE E GESTUALITÀ DELLE
MANI NELLA COMUNICAZIONE PERSUASIVA
FRIDANNA MARICCHIOLO
DOTTORATO DI RICERCA IN PSICOLOGIA SOCIALE, DIPARTIMENTO DI
PSICOLOGIA DEI PROCESSI DI SVILUPPO E SOCIALIZZAZIONE, UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
COORDINATORE: PROF. LUCIA MANNETTI;
TUTORS: PROF. MARINO BONAIUTO (UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”),
PROF. LUCIA MANNETTI (UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”) E PROF.
AUGUSTO GNISCI (SECONDA UNIVERSITÀ DI NAPOLI);
ESAMINATORI: PROF. CRISTINA STEFANILE (UNIVERSITÀ DI FIRENZE), PROF.
ANNAMARIA MANGANELLI (UNIVERSITÀ DI PADOVA), PROF. PATRIZIA
CATELLANI (UNIVERSITÀ CATTOLICADI MILANO).
Abstract: Gli ambiti di ricerca della tesi articolata in tre studi sono la categorizzazione della
comunicazione gestuale, la costruzione e l’attendibilità di strumenti di codifica dei gesti delle
mani, le funzioni dei gesti nell’interazione comunicativa, gli effetti della coordinazione verbalegestuale sulla valutazione della comunicazione persuasiva. Nel primo studio, il sistema di
codifica presentato attendibile in diversi contesti d’interazione e il supporto in cd-rom interattivo
aggiunge al testo del manuale di codifica importanti informazioni in forma di immagini video e
foto, permettendo una comprensione completa del sistema di codifica della gestualità e una
migliore condivisione dello stesso. Le associazioni risultate significative nel secondo studio
offrono alcune indicazioni in merito alle possibili funzioni delle diverse categorie di gesti usati
nella comunicazione orale: strutturazione e coesione del discorso per i gesti coesivi e ritmici;
illustrazione del contenuto del discorso nelle diverse forme argomentative per i gesti ideativi. I
risultati del terzo studio offrono indicazioni circa l’esistenza di specifiche espressioni gestuali,
riguardanti solo alcune categorie di gesti, le quali, in interazione con aspetti retorico-discorsivi
della comunicazione verbale, concorrerebbero alla realizzazione di uno stile comunicativo che
faccia risultare un’esposizione orale maggiormente efficace e persuasiva.
INDICE
Prefazione
1. INTRODUZIONE GENERALE
1.1 Approcci psicologico-sociali alla comunicazione non verbale
1.1.1 Modelli psicologico-sociali della comunicazione
1.1.2 Struttura e funzioni della comunicazione non verbale
1.2 Coordinazione tra i gesti delle mani e la comunicazione verbale
1.2.1 Classificazioni dei gesti delle mani: la struttura
1.2.2 La coordinazione tra comunicazione verbale e gesti delle mani:
le funzioni
1.3 I gesti delle mani nella comunicazione persuasiva e nella dominanza
interattiva
1.4 Conclusioni
pag. 4
pag. 22
pag. 26
2. OBIETTIVO GENERALE DELLA RICERCA
pag. 28
pag. 5
pag. 6
pag. 9
pag. 11
pag. 13
pag. 17
3. STUDIO 1: ATTENDIBILITÀ DI UNA TASSONOMIA DEI GESTI DELLE MANI E
COSTRUZIONE DI UN MANUALE DIGITALE DI CODIFICA
3.1 Introduzione
pag. 29
3.2 Obiettivi dello studio
pag. 33
3.3 Metodo
pag. 33
3.4 Analisi dei dati
pag. 41
3.5 Risultati
pag. 41
3.6 Il manuale di codifica
pag. 50
3.7 Discussione
pag. 59
4. STUDIO 2: COORDINAZIONE E CO-OCCORRENZA VERBALE-GESTUALE
IN DIVERSI CONTESTI INTERATTIVI
4.1 Introduzione
pag. 61
4.1.1 Classificazioni dei marcatori discorsivi
pag. 61
4.1.2 Gesti e co-occorrenza con aspetti verbali
pag. 65
4.2 Obiettivi
pag. 68
4.3 Metodo
pag. 69
4.4 Variabili
pag. 72
4.5 Analisi dei dati
pag. 72
4.6 Risultati
pag. 72
4.7 Discussione
pag. 77
5. STUDIO 3: EFFETTI DELLA COORDINAZIONE VERBALE-GESTUALE SU
CREDIBILITÀ, PERSUASIVITÀ E ATTEGGIAMENTO
5.1 Introduzione
pag. 83
5.2 Obiettivi e ipotesi dello studio
pag. 86
5.3 Metodo
pag. 87
5.3.1 Studi preliminari
pag. 88
5.3.2 Variabili sperimentali
pag. 91
5.3.3 Realizzazione dei video-messaggi
pag. 92
5.3.4 Misure di controllo delle manipolazioni
pag. 95
5.3.5 Esperimento
pag. 98
2
5.4 Misure
5.5 Analisi dei dati
5.6 Risultati
5.7 Discussione
pag. 104
pag. 106
pag. 107
pag. 114
6. CONCLUSIONI
Bibliografia
APPENDICI
pag. 120
pag. 121
pag. 130
3
Prefazione
Perché quando parliamo spesso muoviamo le braccia e le mani? Quale tipo di forma e
significato assumono questi movimenti? A quale scopo vengono utilizzati dai parlanti? E dagli
interlocutori? Hanno funzioni specifiche all’interno del discorso? E dell’interazione? Quale ruolo
hanno nella comunicazione a scopo persuasivo?
Nella comunità scientifica, l’interesse per i gesti delle mani è molto antico, tuttavia la
rilevanza dello studio scientifico per questo aspetto della comunicazione è piuttosto recente (cfr.
Kendon, 1995, per una rassegna storica), facendo emergere una quantità di questioni teoriche.
Molti studi hanno indicato che i gesti, prodotti durante il parlato, giocherebbero un importante
ruolo nella trasmissione e comunicazione d’informazioni semantiche a chi ascolta (cfr., tra gli
altri, Alibali, Flevares, Goldin-Meadow, 1997; Beattie, Shovelton, 2002a; Graham, Argyle, 1975;
Kelly, Church, 1998). Altri studi hanno suggerito che i gesti potrebbero essere utili anche per
alcuni scopi del parlante: come, ad esempio, per facilitare la produzione linguistica e sintattica
del parlato (cfr., Krauss, Chen, Chawla, 1996; Rimé, Shiaratura, 1991) o per influenzare,
persuadere e procurarsi consensi (Burgoon, Birk, Pfau, 1990; Carli, LaFleur, Loeber, 1995).
Ispirandosi ai risultati non del tutto definitivi di tali studi, il lavoro di tesi qui presentato,
svolto nell'arco dei tre anni del corso di dottorato di ricerca in psicologia sociale, ha come intento
principale quello di rispondere ai quesiti posti all’inizio, attraverso studi osservativi,
correlazionali e sperimentali.
Il punto di partenza è stato l’interesse per l’interazione comunicativa nei suoi aspetti verbali
e non verbali. In particolare l’interesse si basa sul legame di coordinazione tra aspetti verbali e
aspetti gestuali della comunicazione orale.
Allo scopo di pervenire a tali obiettivi, la tesi si è articolata in tre studi: il primo
approfondisce le tecniche della metodologia osservativa per la codifica dei gesti delle mani
durante l’interazione, il secondo la relazione tra i gesti e alcuni aspetti linguistico-discorsivi della
comunicazione orale e il terzo l’efficacia persuasiva di tale relazione. La stesura della tesi è
strutturata nel modo seguente:
Il primo capitolo presenta una rassegna degli studi presenti in letteratura psicologico-sociale
comprensiva dei principali paradigmi teorici attualmente di riferimento nel settore della
comunicazione non verbale in generale e dei gesti delle mani in particolare, privilegiando quelli
di matrice psicologico-sociale, senza però trascurare quelli a matrice psicolinguistica spesso
utilizzati in tale ambito.
Il secondo capitolo illustra gli obiettivi che hanno guidato il lavoro di ricerca in generale e i tre
studi in particolare.
Il terzo capitolo presenta il primo studio che ha come obiettivo la descrizione strutturale dei gesti
e l’approfondimento delle problematiche metodologiche legate allo studio dei gesti delle mani in
contesti d’interazione sociale.
Il quarto capitolo illustra dettagliatamente il secondo studio, partendo da un’introduzione teorica
sulle ricerche empiriche, per lo più qualitative, svolte sul legame tra gesti delle mani e aspetti
verbali della comunicazione: la comprensione di tale legame è infatti lo scopo delle indagini
quantitative correlazionali di questo studio.
Il quinto capitolo presenta il terzo studio sperimentale, il quale, rifacendosi ad altre ricerche che
hanno associato alcuni aspetti verbali e non verbali della comunicazione alla persuasione, ha
come obiettivo quello di dimostrare l’efficacia persuasiva della coordinazione tra gesti delle mani
e aspetti retorico-discorsivi del linguaggio.
Il sesto capitolo intende essere una sorta di conclusione non definitiva a cui si è arrivati con i
risultati di questa ricerca.
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La coordinazione tra comunicazione verbale e gestualità delle mani
nella comunicazione persuasiva
1. INTRODUZIONE GENERALE
1.1
Approcci psicologico-sociali alla comunicazione non verbale
Il quadro teorico generale sul quale si fonda la presente ricerca riguarda il linguaggio,
sicuramente il sistema umano più familiare e più studiato, ma che non si esaurisce
nell’interazione faccia a faccia tra due individui, in quanto inserito in un ampio contesto di
interazioni sociali.
Sebbene date dimensioni psicologico-sociali della comunicazione fossero già considerate
dalla filosofia, con la retorica (cfr. ad esempio, Billig, 1987/96), un approccio empirico in termini
di psicologia sociale della comunicazione è emerso almeno da Bales (1950) e si è consolidato
nell’ultimo decennio (cfr., ad esempio, Giles, Coupland, 1991; Giles, Robinson, 1990). Questo è
sorprendente se si considera che la maggior parte del nostro comportamento coinvolge
essenzialmente la comunicazione e si manifesta nell’uso tanto del linguaggio verbale quanto di
quello non verbale. È pur vero che la maggior parte dell’attenzione è stata dedicata al linguaggio
verbale (linguaggio tout court): esso è il mezzo, non solo attraverso cui le persone entrano in
relazione tra loro, ma anche attraverso cui è generata, articolata e comunicata la conoscenza del
mondo e della realtà sociale, in generale, e la conoscenza circa le relazioni interpersonali, in
particolare (Semin, Fiedler, 1992).
La comunicazione può essere definita come un interscambio dinamico, un inviare e ricevere
informazioni, pensieri e sentimenti, una trasmissione e condivisione di contenuti di diversa
natura, con l’ausilio delle parole – cioè del linguaggio verbale, il quale viene considerato come il
mezzo più raffinato ed evoluto attraverso cui gli uomini si mettono in relazione – e di altri segnali
di natura non verbale.
Secondo una recente definizione di Anolli (2002) la comunicazione è uno scambio
interattivo tra due o più persone, intenzionale e con un certo livello di consapevolezza, “in grado
di far condividere un certo significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di
significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento” (Anolli, 2002, p. 26).
Per parlare realmente di studio della comunicazione bisogna innanzitutto fare riferimento ed
illustrare brevemente i diversi modelli adottati in psicologia sociale allo scopo di spiegare il
fenomeno della comunicazione umana. In questa sede si farà riferimento ai modelli psicologicosociali della comunicazione descritti da Krauss e Fussell (1996): modello encoder/decoder (o
modello lineare di trasmissione dell’informazione); modello intenzionale; modelli di assunzione
di prospettiva (perspective-taking); modello dialogico. Questi modelli forniscono
caratterizzazioni diverse del processo attraverso cui le rappresentazioni sono trasferite tra entità
sociali.
1.1.1 Modelli psicologico-sociali della comunicazione
Uno fra i primi modelli formulati per definire la comunicazione (cfr. Shannon, Weaver,
1949; Wiener, 1948) è il modello di trasmissione di informazione, in cui è descritto il passaggio
di un segnale (messaggio), cifrato secondo un codice, da un emittente (fonte), attraverso un
trasmettitore (per esempio, la voce), ad un ricevente (destinatario), lungo un canale (mezzo di
comunicazione, come, ad esempio, il telefono).
Questo modello è detto anche “encoder/decoder”, (Krauss, Fussell, 1996) ed è basato sui
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concetti di codice, utilizzati dai linguisti, dai sociolinguisti e da altri studiosi del linguaggio (cfr.
Bernstein, 1962, 1975; Ellis, 1992; Ellis, Hamilton, 1988). Secondo tale modello, la
rappresentazione mentale del parlante è trasformata in una rappresentazione linguistica, grazie al
codice linguistico del parlante, e viene trasmessa attraverso il parlato. Attraverso la decodifica
della rappresentazione linguistica, il ricevente può crearsi una rappresentazione mentale che
corrisponde, in qualche modo, alla rappresentazione mentale del parlante. Le rappresentazioni
mentali del parlante e dell’interlocutore possono, eventualmente, differire. Questo vale ancora di
più, come si vedrà più avanti, per la comunicazione non verbale. Molti autori hanno studiato le
possibili fonti di incomprensioni tra chi parla e chi ascolta, spiegandole con il concetto di
“rumore”, il quale si può inserire nel processo di trasmissione (cfr. ad esempio, secondo una
prospettiva individuale, Bartlett, 1932; Bransford, Franks, 1971; Schank, Abelson, 1977; secondo
una prospettiva interindividuale, Bell, 1980; Dascal, 1989; Gibbs, 1982, 1984; Krauss, Fussell,
1991).
Questo modello, se da un lato può essere utile per spiegare la trasmissione
dell’informazione, dall’altro è troppo restrittivo nella definizione del concetto di comunicazione.
Secondo tale modello, l’unica funzione riconosciuta alla comunicazione è quella “strumentale”:
tuttavia, la comunicazione non può ridursi a un mero passaggio d’informazioni, per di più a senso
unico, che farebbe perdere l’importanza che l’interazione sociale assume nella co-costruzione dei
significati. Secondo questi modelli, infatti, il significato è una proprietà dei messaggi, essendo
iscritto nel messaggio stesso dalla codifica fattane dall’emittente nel momento in cui egli/ella
tradurrebbe la propria rappresentazione mentale in un codice condiviso. Il destinatario, pertanto,
altro non farebbe se non “ri-costruire”, individualmente, detta rappresentazione mentale grazie al
codice condiviso.
Un modello alternativo sostiene che una comunicazione valida riguarda lo scambio di
intenzioni comunicative, e i messaggi sono semplicemente i veicoli che conducono tali scambi. Si
tratta del modello cosiddetto “intenzionalista”. Nella comunicazione l’intenzionalità è considerata
non soltanto come la proprietà di un’azione compiuta in modo deliberato, volontario e “di
proposito” per raggiungere un certo scopo, ma anche come la capacità di manifestare in modo
consapevole le proprie intenzioni, nonché l’abilità di percepire le azioni intenzionali degli
interlocutori, distinguendole da quelle accidentali o involontarie (proprietà essenziale della
coscienza umana). I parlanti, dunque, tra una varietà di possibili formulazioni alternative,
selezionano quella che esprime più fedelmente una particolare intenzione. Nel processo di
ricezione e di decodifica, dunque, è richiesto un ulteriore processo, e quindi un’abilità, di
inferenza dell’intenzione comunicativa che sottende al messaggio. Secondo questo modello, la
costruzione sociale del significato è resa possibile dalle capacità inferenziali che il parlante
impiega per formulare il messaggio che trasferisce la sua intenzione comunicativa, e che
l’ascoltatore utilizza per identificare e interpretare questa intenzione dal messaggio (Gibbs, 1982,
1994).
Secondo i modelli di perspective-taking (assunzione di prospettiva), gli individui
esperiscono il mondo secondo punti di vista diversi e ogni esperienza dipende, in qualche modo,
dagli scopi individuali. I comunicanti devono individuare o creare un contesto, costruito
attraverso un processo di reciproca assunzione di prospettiva, per produrre o comprendere i
messaggi. Sia i parlanti sia gli interlocutori devono assumere il punto di vista dell’altro: ognuno
deve tentare di esperire la situazione comunicativa allo stesso modo in cui è esperita dagli altri
partecipanti (Clark, Marshall, 1981; Krauss, Fussell, 1991, 1996).
Infine i modelli dialogici considerano il dialogo conversazionale come il modello della
comunicazione. Uno scambio comunicativo è una coordinazione tra i partecipanti che
collaborano insieme per raggiungere gli obiettivi comunicativi. Lo scopo dei partecipanti nella
comunicazione non è il trasferimento di informazioni (concezione prevalente nei modelli
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precedentemente discussi), ma piuttosto la ricerca di uno stato di “intersoggettività”
(Rommetveit, 1980), cioè il processo attraverso cui i parlanti e i destinatari si accordano sulla
comprensione dei messaggi; anche gli atti comunicativi più semplici risiedono nell’impegno
reciproco dei partecipanti. Secondo la prospettiva dialogica, il significato è “socialmente situato”
(cfr. Clark, Wilkes-Gibbs, 1986; Fussell, Krauss, 1992; Schober, 1993), deriva da circostanze
particolari dell’interazione e può essere compreso soltanto nel contesto di queste circostanze
(Krauss, Fussell, 1996).
In questa prospettiva si potrebbe situare l’approccio conversazionale e discorsivo (cfr., per
quanto riguarda l’analisi della conversazione, Atkinson, Heritage, 1984; Jefferson, 1985;
Scegloff, 1972; per quanto riguarda l’analisi del discorso, Antaki, 1994; Billig, 1987/1996;
Potter, 1996), secondo il quale il linguaggio diviene oggetto di studio non solo perché è
l’evidenza di processi cognitivi individuali, ma in quanto costituisce una precisa forma di azione
sociale - utilizzata per scopi, secondo alcuni approcci, microsociali (interazionali) o, secondo altri
approcci, macrosociali (ideologici) - che può essere descritta e analizzata in maniera sistematica
(Bonaiuto, Fasulo, 1998; De Grada, Bonaiuto, 2002). Le stesse attività mentali, come, ad
esempio, processi cognitivi quali l’attribuzione, la categorizzazione, la formazione degli
atteggiamenti, vengono realizzate attraverso il linguaggio ordinario e avvengono entro contesti
socialmente significativi: esse, quindi, rispondono a logiche retoriche e vengono costruite
socialmente e discorsivamente (Potter, Wetherell, 1987; Edwards, Potter, 1992). I processi
cognitivi vanno visti come inestricabilmente connessi ad aspetti e processi comunicativi ed
interattivi, come la persuasione, la cooperazione e la creazione di consenso (Fraser, 1978).
I modelli fin qui presentati valgono per la comunicazione in generale, anche se i teorici
hanno dato maggior considerazione alla comunicazione verbale rispetto a quella non verbale.
Infatti, data l’importanza attribuita dalla ricerca psicologico-sociale al linguaggio parlato,
l’interesse per la comunicazione non verbale è stato per anni trascurato. Tra i modelli descritti,
come sostengono Krauss e Fussell (1996), il modello encoder/decoder è stato quello dominante
nella ricerca sulla comunicazione non verbale. Infatti, se tale modello non è stato più molto
impiegato nella spiegazione degli aspetti verbali della comunicazione, molti ricercatori ne hanno
fatto riferimento per lo studio degli aspetti non verbali (cfr. DePaulo, Rosendal, Eisenstat,
Rogers, Finkelstein, 1978; Ekman, Friesen, 1969; Meherabian, Wiener, 1967; Morency, Krauss,
1982). Ciò deriva dall’idea che i comportamenti non verbali sono codifiche di messaggi, in
particolare sullo stato interno del comunicante e, di conseguenza, come tali sono decodificati dal
ricevente. Tale idea discende probabilmente da quanto proposto da Darwin (1872) sulle origini
delle espressioni del viso, le quali sarebbero vestigia di comportamenti adattivi, funzionali alla
storia evolutiva dell’uomo. Anche se non perseguono più lo scopo adattivo d’origine, questi
comportamenti sono persistiti emancipandosi dalla loro funzione biologica originale e acquisendo
un valore comunicativo: essi forniscono all’interlocutore una prova evidente di ciò che si sta
provando.
Il fatto che per molto tempo, per l’analisi dei comportamenti non verbali, si sia fatto
riferimento a un modello della comunicazione (encoder/decoder) che non funzionava più molto
per la spiegazione del verbale dimostra che lo studio della comunicazione non verbale è rimasto
per molto tempo isolato da quello della comunicazione verbale (per una rassegna rappresentativa
degli studi sulla comunicazione non verbale in riferimento al modello encoder/decoder, cfr. tra
gli altri, DePaulo, 1992; Ekman, Friesen, 1969; Feldman, Rimé, 1991; Hinde, 1972; Krauss,
Fussell, 1996). Studi più recenti, come vedremo più avanti, stanno cercando invece di considerare
la comunicazione come un processo coordinato di aspetti verbali e non verbali.
La letteratura psicologica e non, sul comportamento comunicativo umano, infatti, si è
concentrata soprattutto sugli aspetti verbali. Inoltre, le ricerche che si sono occupate degli aspetti
non verbali hanno teso a privilegiare quelli vocali (intonazionali e paralinguistici), i quali, anche
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se di natura non verbale, riguardano pur sempre direttamente il modo in cui la comunicazione
verbale viene concretamente realizzata dalle persone quotidianamente (cfr. ad esempio, Trager,
1958, che per primo definì e classificò questi fenomeni coniando il termine “paralinguistica”;
Laver, Trudgill, 1982; in italiano cfr. Scherer, 1983; Anolli, Ciceri, 1997, sul contenuto emotivo
dei segni vocali non verbali).
I modelli teorici dello studio della comunicazione non verbale nell’ambito della psicologia
sociale si sono dedicati principalmente alla spiegazione degli schemi interazionali della
comunicazione non verbale tra le persone nei contesti sociali, in particolare hanno cercato di
spiegare come le persone compiono aggiustamenti interattivi nei loro comportamenti non verbali.
Per esempio, Argyle e Dean (1965) hanno proposto la teoria dell’equilibrio, secondo la quale gli
interagenti cercano di mantenere, per mezzo di modalità comunicative non verbali, un livello di
coinvolgimento coerente con il livello d’intimità della loro relazione. Questi aggiustamenti
compensatori avrebbero lo scopo di mantenere o ristabilire un giusto e adeguato livello di
coinvolgimento non verbale: ad esempio, se un approccio molto intimo disturba l’equilibrio
d’intimità tra gli interagenti, l’interlocutore può compensare voltando lo sguardo o diminuendo il
numero di sorrisi e sguardi rivolti all’altro. Altre volte, invece, proprio allo scopo di comunicare
un proprio stato interno o un sentimento verso l’altro, le persone possono fare l’opposto, cioè
ricambiare il livello d’intimità non verbale proposto dal proprio interlocutore. Alcuni modelli
teorici successivi alla teoria dell’equilibrio (proposti intorno agli anni ’80, ad esempio,
“expectancy violations theory”, Burgoon, 1978; “discrepancy arousal model”, Cappella, Greene,
1982) hanno tentato di spiegare come le persone possono compensare, ricambiare o aggiustare un
cambiamento nel coinvolgimento non verbale dell’interlocutore. Una determinante critica di
queste teorie è la risposta affettiva al comportamento dell’altro: nello specifico, se l’aumento
d’intimità e del coinvolgimento non verbale del proprio interlocutore produce, in chi lo riceve,
un’emozione positiva (ad esempio, piacere, amore) è molto più probabile che sia ricambiato; in
caso, invece, in cui sia provocata un’emozione negativa (ad esempio, paura, ansia) ci si aspetta
una compensazione.
Patterson (1982, 1983) critica questi modelli, definendoli modelli reattivi, in quanto non
terrebbero conto del fatto che nella realtà dei rapporti sociali, spesso, le reazioni comportamentali
non verbali delle persone non sono dettate o influenzate sempre dai sentimenti nei confronti degli
altri ma, più frequentemente, da regole sociali e culturali che si applicano a determinati contesti e
situazioni interattive: risulta, infatti, difficile, ad esempio, reagire non verbalmente seguendo i
propri stati affettivi a un approccio intimo, accompagnato da un largo sorriso da parte del proprio
capo mentre ci chiede di lavorare nel fine settimana; in questo caso, entrano in gioco norme
sociali e interazionali che ci portano a ricambiare con altrettante espressioni benevoli le
manifestazioni non verbali positive del capo. A partire da queste critiche, Patterson (1982, 1983)
sviluppa un modello funzionale della comunicazione non verbale, secondo il quale il
comportamento non verbale delle persone come risposta ai comportamenti non verbali dei propri
interlocutori non è una semplice reazione all’altro, ma diventa funzionale al perseguimento di
particolari scopi sociali, come, ad esempio, la persuasione o l’influenza sociale. Inoltre, il
perseguimento di specifici obiettivi nell’interazione può richiedere alle persone di comportarsi
non verbalmente in un modo che non è coerente con i loro sentimenti sottostanti. Per esempio,
durante un colloquio di assunzione, allo scopo di dare una buona impressione al selezionatore, un
candidato intervistato cerca di mostrare un contegno piacevole ed espressivo, anche se non prova
particolari sentimenti nei riguardi dell’interlocutore.
Il limite di questi modelli è che hanno posto l’attenzione principalmente sulla trasmissione
(emissione) o parte comportamentale della comunicazione non verbale. L’attenzione alla
ricezione o percezione della comunicazione non verbale è stata piuttosto bassa ed è stata
perseguita soltanto quando si è trattato di spiegare gli aggiustamenti comportamentali successivi
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a una trasmissione comportamentale non verbale.
Più recentemente si è tentato, dunque, di orientarsi verso una spiegazione teorica
comprensiva della comunicazione non verbale, in grado d’integrare codifica e decodifica della
comunicazione non verbale in un unico modello. Un esempio è il modello del processo parallelo
(“parallel process model”) di Patterson (2001), il quale, partendo da teorie sui giudizi e sulle
percezioni sociali (Fiske, 1992; Gilbert, Krull, 1988; McArthur, Baron, 1983; Swann, 1984;
Wright, Dawson, 1988) e teorie sul comportamento sociale (Abelson, 1981; Bargh, 1997;
Vallacher, Wegner, 1987), teorizza che all’interno di situazioni sociali i comunicatori sono
contemporaneamente mittenti e destinatari di messaggi non verbali; questi messaggi non sono
arbitrari, ma tesi, più o meno consapevolmente, a specifici scopi e propositi di tipo sociale. Il
modello dei processi paralleli mette insieme i processi di codifica e decodifica della
comunicazione non verbale in un unico sistema guidato da un set comune di determinanti e
processi di mediazione.
Un altro limite di questo tipo di modelli e di una parte della ricerca empirica che si è
dedicata principalmente allo studio degli aspetti non verbali non vocali (cinesici), è che essa, fino
a qualche decennio fa, ha tipicamente studiato gli aspetti del comportamento non verbale
(postura, gesti, espressioni, ecc.) separatamente dal comportamento verbale. Oppure, la ricerca si
è occupata della coordinazione tra diversi aspetti della comunicazione non verbale. Spesso,
inoltre, il comportamento non verbale è stato considerato come espressione autonoma
dell'affettività, delle emozioni o di atteggiamenti interpersonali (Hinde, 1972) nonché come
un’evidenza esterna di uno stato interno; è stato trascurato però il messaggio verbale che invece,
nella stragrande maggioranza delle volte, il comportamento non verbale accompagna.
1.1.2 Struttura e funzioni della comunicazione non verbale
Nell’esperienza quotidiana, le due componenti della comunicazione umana, quella verbale e
quella non verbale, sono per lo più compresenti: esse possono semmai essere, o meno, in sintonia
fra di loro, l’una può cioè confermare o contraddire l'altra; mentre, in alcuni casi, forse una
minoranza rispetto alla totalità delle situazioni comunicative ordinarie, l’una può sostituirsi
all’altra (sulle funzioni della comunicazione non verbale, cfr. Argyle, 1972). In ogni caso, è
oramai accettata una concezione che vede le due componenti, quella verbale e quella non verbale,
per lo più parte dello stesso episodio comunicativo (McNeill, 1985).
Nello studio della comunicazione non verbale, come nella ricerca in qualsiasi area di studio,
il primo passo importante da affrontare è la definizione delle categorie o delle dimensioni di base,
dunque la determinazione della struttura del fenomeno in esame. Nello studio della
comunicazione non verbale questa scelta è legata anche ai diversi ambiti, agli scopi o alle diverse
funzioni che si vogliono approfondire (Mehrabian, 1970). Così, il bisogno di classificare una
serie ragionevolmente generale di categorie per caratterizzare la comunicazione viene dagli autori
facilmente dimostrata sulla base dei propri interessi teorici. Seguendo questi principi, molti autori
hanno isolato in maniera legittimata e non arbitraria elementi della comunicazione non verbale,
per studiarne caratteristiche e potenzialità particolari. Tali elementi sono stati studiati
empiricamente e riguardano l’aspetto esteriore (conformazione fisica, abiti, trucco; cfr. per
esempio, Bonaiuto, Bonaiuto, 1994; Cook, 1971; Wells, Siegel, 1961); la mimica facciale
(Bartlett, Hager, Ekman, Sejnowki, 1999; Ekman, 1972; Ekman, Friesen, 1986; FernandezDols,1999; Fridlund, 1994, 1997; Russell, 1994); lo sguardo (Arglye, Williams, 1969; Argyle,
Cook, 1976; Exline, 1972); la voce e gli aspetti non verbali del parlato (tono, volume, ritmo;
Anolli, Ciceri, 1997: Argyle 1977/90; Cappella, 1997; Lyons, 1972; Scherer 1981, 1986); il
comportamento spaziale (Bowlby 1969; Hall 1966; Hewes 1957; Maxwell, Cook 1985;
Mehrabian 1969, 1970, 1972); i movimenti del corpo e i gesti (Amietta, Magnani, 1998; Efron,
1941; Ekman, Friesen 1969; Kendon, 1983; Krauss, Chiu, 1998; McClave, 2000; Rosenfeld,
9
1966).
Oltre alla struttura, gli studi condotti negli ultimi anni hanno evidenziato anche le molteplici
funzioni svolte dalla comunicazione non verbale: essa può essere considerata un “linguaggio di
relazione” (Bavelas, Chovil, Latrie, Wade, 1992), mezzo primario per segnalare i mutamenti di
qualità nello svolgimento delle relazioni interpersonali (atteggiamenti interpersonali: cfr., tra gli
altri, Mehrabian, 1969; Kendon, 1985); può essere considerata come mezzo principale per
esprimere e comunicare le emozioni (Anolli, Ciceri, 1997; Ekman, 1984, 1994; Fernandez-Dols,
1999); ha uno speciale valore simbolico che esprime, tramite il linguaggio del corpo,
atteggiamenti circa l’immagine di sé e del proprio corpo e partecipa alla presentazione di sé agli
altri (Goffman, 1959; 1963); sostiene e completa la comunicazione verbale e svolge una funzione
metacomunicativa, in quanto fornisce elementi per interpretare il significato delle espressioni
verbali, cioè dà senso all’“aspetto di contenuto” e lo ricontestualizza (Bateson, 1972,
Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967); funge da “canale di dispersione” in quanto, essendo meno
sottoposta del linguaggio al controllo consapevole o a censura inconscia, lascia filtrare più
facilmente contenuti profondi dell’esperienza dell’individuo (cfr. Mastronardi, 1998); svolge una
funzione di regolazione dell’interazione, partecipando a sincronizzare i turni e le sequenze, a
fornire informazioni di ritorno, a inviare segnali di attenzione (Ekman, Friesen, 1969; Langton,
2000); assume infine funzione di sostituzione della comunicazione verbale in situazioni che non
consentono l’uso del linguaggio, per esempio nel linguaggio dei segni (Argyle, 1977/90).
Secondo Krauss, et al. (1996) la comunicazione non verbale in relazione alla
comunicazione verbale non assolve solo funzioni interpersonali, ma anche funzioni
intrapersonali. Le prime, come abbiamo visto, riguardano le informazioni che i comportamenti
non verbali trasmettono agli e/o sono percepiti dagli altri; le funzioni intrapersonali riguardano
invece gli scopi non comunicativi dei comportamenti non verbali. Un esempio di questo secondo
caso è lo sguardo rivolto all’ascoltatore mentre si parla: il parlante, infatti, tenderebbe a
distogliere lo sguardo dal proprio interlocutore non per motivi comunicativi (ad esempio,
trasmettere uno stato emotivo di paura e disagio per non essere scoperto di mentire), bensì per
gestire il carico cognitivo che la pianificazione dell’espressione linguistica comporta, soprattutto
in quei passaggi dove vi è maggiore difficoltà nell’organizzazione sintattica delle frasi
(Butterworth, 1978; Duncan, Brunner, Fiske, 1979). Secondo gli autori anche alcuni gesti delle
mani, ad esempio quelli che essi chiamano gesti conversazionali, hanno una funzione
intrapersonale poiché aiuterebbero il parlante nel richiamo lessicale delle parole.
Tuttavia i comportamenti non verbali con funzioni non comunicative, come gli esempi
appena accennati, possono fornire all’interlocutore informazioni circa la loro stessa funzione
intrapersonale: per esempio, una eccessiva quantità di allontanamenti dello sguardo o di gesti
conversazionali potrebbero condurre un ascoltatore ad attribuire al parlante una difficoltà nella
formulazione del messaggio verbale; o, al contrario, un mancato uso di questi segnali in
corrispondenza di un parlato fluido può portare l’ascoltatore a ritenere che il discorso non sia
spontaneo (Krauss, et al., 1996). I comportamenti non verbali con funzione intrapersonale,
dunque, non sempre sono privi di funzioni interpersonali. Si ritorna quindi al modello postulato
da Patterson (2001) dei processi paralleli, secondo cui, in un contesto d’interazione sociale, i
comunicatori sono simultaneamente emittenti/codificatori e riceventi/decodificatori dei messaggi
non verbali; ed inoltre sussiste un’interdipendenza dinamica tra giudizi sociali e processi
comportamentali paralleli. È necessario dunque utilizzare un approccio dialogico anche nello
studio della comunicazione non verbale.
La tendenza a privilegiare, nell’ambito della comunicazione non verbale, gli aspetti vocali
non verbali e a studiare separatamente aspetti verbali e non verbali della comunicazione è
confermata anche nelle recenti rassegne sul comportamento non verbale e sugli aspetti non
verbali della comunicazione presenti nei manuali di psicologia sociale statunitensi (cfr. ad
10
esempio, De Paulo, Friedman, 1998). Anche se c’è ancora molto da capire riguardo la natura dei
rapporti tra verbale e non verbale, alcune loro funzioni sono comunque state chiarite o
quantomeno affrontate (coordinazione, illustrazione, ecc.). Da tempo è stata riconosciuta, infatti,
la rilevanza di alcuni aspetti non verbali per la comunicazione verbale: ad esempio, il ruolo dello
sguardo nella regolazione del flusso conversazionale (cfr. Anolli, Lambiase, 1990; Argyle, Cook,
1976; Butterworth, 1978; Brunner, 1979; Kendon, 1990; Merten, 1997). Vi sono altri
comportamenti non verbali, quali i gesti delle mani, che solo più di recente sono stati considerati
nei termini della loro coordinazione col comportamento verbale (per esempio, Contento, 1999a,
1999b; Kendon, 1975, 1980, 1983, 1995; McNeill, 1985, 1992, 2000; Rimè, Schiaratura, 1991).
In realtà, è ormai da tempo evidente quanto gli aspetti verbali e non verbali siano
strettamente interconnessi tra loro e che il solo messaggio verbale non è sufficiente a spiegare
l’insieme di significati e atteggiamenti che caratterizza il comportamento sociale (David, 1994).
Nello studio della comunicazione oggi prevale infatti una concezione integrata fra gli aspetti
verbali e quelli non verbali nella definizione del significato di un atto comunicativo (Anolli,
2002).
Secondo questa prospettiva, che considera la comunicazione come un fenomeno
multimodale (cfr. Poggi, Magno Caldognetto, 1997; Contento, 1999b), lo studio della
comunicazione, delle sue modalità e delle sue funzioni deve tenere conto di indici verbali e non
verbali che caratterizzano lo scambio, in quanto entrambi partecipano alla costruzione di
significato nel processo comunicativo. Le diverse componenti, linguistiche ed extra-linguistiche,
di un atto comunicativo, infatti, sono trasmesse attraverso diversi sistemi di significazione, ma
anche di segnalazione, verbale e non verbale, ognuno dei quali ha relativa autonomia, in quanto
concorre in un suo modo specifico a generare il significato finale dell’atto comunicativo (Anolli,
2002). Per esempio, ciò che è comunicato con gli occhi è diverso da ciò che è comunicato con il
tono di voce, con la gestualità o con le parole, ma ciò non vuol dire che i segnali sono
indipendenti; anzi, i contributi dei diversi sistemi comunicativi, convogliati con una certa
sincronia nella produzione di un messaggio, attivano un processo di interdipendenza semantica,
la quale garantisce l’unitarietà e la coerenza del significato, ma anche la flessibilità di
attribuzione di importanza diversa alle singole componenti comunicative, anche in relazione al
contesto (Anolli, 2002).
1.2
Coordinazione tra i gesti delle mani e la comunicazione verbale
Tra i comportamenti non verbali, sono stati scelti come oggetto d'analisi, in questa sede, i
gesti delle mani, in quanto, tra tutti i vari parametri possibili, sono quelli più intimamente
connessi con il - anche perché spesso co-occorrenti al - linguaggio parlato, accompagnando il
discorso in modo evidente (cfr. tra gli altri, Argyle, 1972; Beattie, Shovelton, 2000, 2002a,
2002b; Feyereisen, de Lannoy, 1991; Kendon, 1983; Rimè, Schiaratura, 1991). Su di essi sono
state condotte indagini che hanno tentato in prevalenza di collegarli a stati emotivi, di attribuire
loro un particolare significato simbolico o di individuare le loro funzioni in rapporto al
comportamento verbale (Cohen, 1977; Cohen, Harrison, 1972). Secondo Bull (2001), le parole e i
gesti lavorano insieme nella creazione delle frasi.
L’importanza dei gesti delle mani per la comunicazione verbale è certamente stata colta già
in epoca prescientifica da coloro che si occupavano di oratoria e retorica (cfr. in proposito gli
esempi, tratti da testi classici, citati da Billig, 1987/1996, trad. it., p. 133-134). Nell’agorà greca,
era ai retori che spettava il compito di istruire “nell’arte del parlar bene”; essi attribuivano una
grande rilevanza alla componente non verbale della comunicazione umana, della quale
11
sottolineavano i nessi con i contenuti verbali, senza considerarla una forma di comunicazione di
secondo livello.
Sebbene vi siano già evidenze empiriche a carattere scientifico nella seconda metà
dell’Ottocento (cfr., ad esempio, De Jorio, 1832, sul “gesticolare” dei napoletani), uno dei primi
studiosi che si è occupato di studiare il comportamento gestuale in culture diverse e a fornire una
prima classificazione dei gesti fu David Efron (1941), il quale pubblicò una ricerca in cui
verificava l’esistenza di differenze comportamentali, oltre che linguistiche, in due gruppi culturali
diversi: ebrei e italiani immigrati a New York. Egli notò che gli italiani utilizzavano il linguaggio
non verbale allo stesso modo dei popoli d’origine, dimostrando così l’influenza culturale di tali
espressioni; e che gli Ebrei americani diminuivano il numero di gesti prodotti durante il parlato
quando parlavano in lingua inglese. Questi risultati dimostrano non solo la specificità culturale di
aspetti della comunicazione non verbale (CNV), al pari del linguaggio verbale, ma anche che
molti elementi chiave della stessa lingua sono universali e che molti aspetti chiave
dell’espressione possono essere modificati attraverso la cultura (DePaulo, Friedman, 1998).
Ben presto però le definizioni di “gesto” fornite dalla letteratura hanno preso a
differenziarsi tra loro. Alcuni autori evidenziano l’aspetto di intenzionalità comunicativa del
gesto: Morris (1977) per esempio, considerando tutti i gesti, non solo quelli delle mani, definisce
come gesto qualunque azione che invia un segnale visivo a uno spettatore e che è rivolta a
trasmettere un’informazione.
Kendon (1980) adotta una prospettiva più restrittiva e considera gesto un movimento
corporeo considerato dagli interlocutori come direttamente coinvolto nel processo di espressione
intenzionale; in tal modo vengono considerate solo quelle azioni visibili che hanno primariamente
una funzione intenzionalmente comunicativa. Il tipo di gesto considerato da Kendon (1983),
quindi, deve possedere almeno due caratteristiche: essere prodotto intenzionalmente ed essere
intelligibile in se stesso (in modo da essere interpretato e identificato agevolmente da un membro
della stessa comunità linguistica dell’emittente).
Vi sono invece autori che non sono d’accordo nel ritenere l’intenzionalità un elemento
discriminante del gesto poiché nell’interazione l’emittente può produrre un comportamento non
verbale significativo indipendentemente dalla sua consapevolezza o intenzione (Ekman, Friesen,
1969; Poggi, Magno Caldognetto, 1997).
In Poggi e Magno Caldognetto (1997) viene adottata una nozione di gesto che assume come
rilevanti due dimensioni, una percettiva e una mentale: da un lato gli aspetti fisici relativi alla
produzione e alla percezione del segnale, dall’altro il fatto che la sua produzione sia determinata
da qualche tipo di scopo comunicativo. Con l’esplicito intento di dare una definizione ancora più
restrittiva, la nozione di gesto è circoscritta a un movimento (escludendo così caratteri somatici
permanenti o transitori) fatto con le mani, o al massimo con le braccia o le spalle, percettibile
visivamente: esso deve essere in se stesso un segnale, cioè portatore di significati prodotto allo
scopo di comunicare (quindi un segnale comunicativo). Tuttavia, lo scopo non deve
necessariamente essere deliberato e cosciente.
Come nella tradizione dello studio della comunicazione umana, rispetto all’intenzionalità del
gesto, dunque, non c’è accordo unanime nel considerarlo fattore discriminante ai fini del prodotto
comunicativo. L’emittente, d’altronde, può essere consapevole o meno, può o non può avere
intenzione di comunicare, ma il suo comportamento non verbale assume significatività in maniera
indipendente. Parisi (1974, cit. in Ricci Bitti, 1987), rifacendosi a Darwin, risolve la questione
sottolineando come non necessariamente lo scopo comunicativo sia uno scopo dell’emittente, ma
sia a volte soltanto una funzione adattativa della specie, come avviene già per altri segnali non
verbali (ad esempio, il sorriso, l’espressione di disgusto, di rabbia, ecc.). In quest’ottica dunque,
se si considerano anche i comportamenti regolati da scopi della specie, tutta la gestualità può
essere considerata come parte del comportamento comunicativo. Ricci Bitti (1987) considera più
12
indicato non parlare di separazione tra comportamento comunicativo e non, ma accettare la
proposta di una sorta di continuum, detto scala di specificità comunicativa, a un estremo del
quale troviamo i comportamenti strettamente comunicativi e all’altro estremo i comportamenti
puramente espressivi.
1.2.1
Classificazioni dei gesti delle mani: la struttura
Le indagini che sono state condotte sui gesti delle mani hanno permesso a numerosi
ricercatori di delineare differenti classificazioni (Argyle, 1972; Ekman, Friesen, 1969; Freedman,
Hoffman, 1967; Kendon, 1983; McNeill, 1992; Rosenfeld, 1966): in questo campo di studi sono
quindi venute a essere compresenti classificazioni diverse, sia per gli ambiti disciplinari cui si
rivolgono e per le finalità che perseguono, che solo in parte si sovrappongono, sia per i criteri
classificatori utilizzati per distinguere i diversi tipi di gesti. Tale situazione è in buona parte il
riflesso di diversi orientamenti teorici, che talvolta possono essere non chiaramente espliciti,
quando non addirittura di diversi approcci epistemologici alla conoscenza scientifica (per
esempio, naturalismo vs. costruzionismo).
Storicamente una delle più note classificazioni è quella di Ekman e Friesen (1969, pp. 5458). Essi utilizzano tre criteri di classificazione: l’uso, l’origine e la codificazione del gesto. 1) Il
tipo di “uso” (“usage”) dell’atto non verbale si riferisce alle circostanze esterne che possono
coincidere col gesto, inibirlo, causarlo o qualificarne il significato, ma anche al tipo di relazione
col parlato, al grado di consapevolezza di chi compie il gesto, all’intenzionalità di comunicare, al
feedback esterno che il gesto può ricevere, al tipo d’informazione convogliata dal gesto
(informativo, comunicativo o interattivo). 2) L’”origine” (“origin”) del gesto si riferisce a come il
gesto è diventato parte del repertorio non verbale della persona, cioè se il gesto è specie-specifico
della umana a stimoli esterni o appreso perché comune a tutti i membri della specie o, infine, è
appreso all’interno di specifiche culture, comunità, gruppi, ecc. 3) La “codificazione” (“coding”)
del gesto è la corrispondenza del segno o di una serie di segni gestuali con il proprio significato:
può essere di natura estrinseca, quando il gesto sta per qualcos’altro, o intrinseca, quando la
forma del gesto coincide con il suo stesso significato.
In base a tali criteri Ekman e Friesen hanno proposto cinque principali categorie di gesti.
a) Gesti emblematici. Per esempio, scuotere la mano per salutare; facilmente comprensibili
da parte di spettatori appartenenti a culture vicine. Gli emblemi sono indipendenti dal discorso e
possono funzionare come espressione comunicativa completa ed efficace per ripetere o sostituire
il contenuto della comunicazione verbale nel corso di una conversazione: possono quindi essere
usati anche quando la comunicazione verbale è ostacolata o diventa difficoltosa, ad esempio a
causa della distanza o del rumore. Per questa loro caratteristica Kendon (1983) li chiama
“autonomous”, mentre Ricci Bitti (1987) li definisce “simbolici”.
b) Gesti illustratori. Per esempio, riprodurre, con le mani, la forma dell'oggetto di cui si sta
parlando. Sono direttamente legati al discorso e ne chiariscono il contenuto: possono ripetere,
sostituire, contraddire o accrescere l’informazione fornita verbalmente (questi gesti sono anche
chiamati representational gestures da McNeill, 1992; e lexical movements da Krauss, Chiu,
1998).
c) Segni regolatori. Questi, più che gesti delle mani, sono soprattutto cenni del capo,
espressioni del volto, sguardi e micro-movimenti del corpo. Rappresentano tutte quelle azioni che
controllano il flusso della conversazione, regolandone o modificandone l’andamento (segnali di
attenzione o di feedback).
d) Espressioni dell’emozione. Anche questi più che gesti delle mani sono espressioni del
volto che esprimono emozioni primarie.
e) Gesti adattatori. Sono per lo più inconsapevoli e sarebbero appresi nell’infanzia per
soddisfare bisogni o mantenere contatti interpersonali. Si distinguono in tre tipologie. a) Gesti che
13
riguardano il contatto di una parte del corpo con un'altra (grattare, strofinare, toccarsi i capelli);
b) Gesti che riguardano lo scambiare oggetti o avere contatti fisici con un'altra persona; c) Gesti
che riguardano il diretto contatto con altri oggetti (per esempio, giocare con la penna). I gesti
adattatori, nonostante possano essere prodotti durante una conversazione, sia da parte del
parlante, sia da parte dell'ascoltatore, non sono direttamente connessi al discorso; secondo alcuni
autori, tali gesti possono rivelare stati d'animo, come ansia, agitazione o atteggiamenti negativi,
quali disagio, fastidio, noia di chi li emette (Mastronardi, 1998). Questi gesti sono anche percepiti
come segnale di menzogna perché, secondo credenze comuni, la menzogna è associata ad un
comportamento di nervosismo (Vrij, Semin, 1996). Tuttavia alcuni ricercatori (cfr. tra gli altri
Vrij, 2000) hanno trovato che mentre mentono i soggetti non compiono un numero
significativamente maggiore di gesti di auto-manipolazione; mentre invece compirebbero meno
gesti illustratori rispetto a quando dicono la verità (Vrij, 2000).
Ekman e Friesen ammettono che queste categorie non hanno carattere di esclusività, nel
senso che un gesto può appartenere a più di una categoria. E’ plausibile che ciò sia dovuto a una
intrinseca multifunzionalità dei gesti ma anche alla complessità dei criteri di classificazione che
sembrano formati a loro volta da più criteri di base indistinti. Si veda, per esempio, i molti
elementi che compongono il criterio dell’“uso”. Introdurre dei criteri di base che di fatto ne
includono molti altri può portare dei problemi, poiché le combinazioni dei sotto-criteri impliciti,
in ogni criterio, rendono assai complicata l’univoca identificazione del gesto: per esempio,
sarebbe molto difficoltoso classificare, sulla base dell’“uso”, tenendo conto contemporaneamente
della lista di tutti gli elementi indicati in tale criterio da Ekman e Friesen (1969). È inoltre
abbastanza problematica anche la scelta di questi criteri, sia per la loro complessità, sia per la
difficoltà a operazionalizzarli. E’, infatti, difficile, per esempio, operazionalizzare la
consapevolezza di esecuzione di un gesto; o la sua origine, cioè il come e quando questo sia stato
appreso dal soggetto; o la potenzialità d’influenza del gesto sul comportamento degli altri. Anche
la questione stessa dell'intenzionalità è ampiamente dibattuta, a cominciare dalla diatriba se essa
sia fenomeno “naturale” ovvero “socialmente costruito” (cfr., ad esempio, rispettivamente,
Searle, 1998 ovvero Anscombe, 1960); o se si debba parlare di comunicazione solo quando c’è
intenzionalità o anche quando quest’ultima non appare in modo del tutto esplicito.
Un’altra classificazione di gesti delle mani è quella di McNeill (1992). Egli considera la
componente gestuale come un canale espressivo interdipendente con quello verbale: di
conseguenza i due canali non possono essere analizzati separatamente. La classificazione
proposta da McNeill (1985; 1992), infatti, considera quei movimenti delle mani e delle braccia
che accompagnano l’esposizione linguistica, quei gesti cioè che sono sincronizzati con le unità
linguistiche in corrispondenza delle quali vengono prodotti e rispetto alle quali presentano un
parallelismo semantico e pragmatico. Sono quindi gesti spontanei, non regolati da una particolare
codifica sociale e non interpretabili in assenza di parlato.
Il criterio di classificazione utilizzato da McNeill riguarda la diversa collocazione del gesto
all'interno del discorso. Egli infatti distingue i gesti in: “gesti appartenenti al processo di
ideazione” e “gesti caratterizzanti l'attività discorsiva”; e chiama questi due gruppi
rispettivamente gesti proposizionali e gesti non proposizionali.
Del primo gruppo, gesti che appartengono al processo d’ideazione, fanno parte quei gesti
caratterizzati dal fatto di rappresentare diversi tipi di referenti linguistici, appartenenti al mondo
concreto (per esempio, oggetti), a quello astratto (per esempio, idee) o a elementi della
circostanza in cui il soggetto si esprime. Questi costituiscono tre categorie di gesti delle mani:
iconici, metaforici e deittici.
Un gesto iconico assomiglia, nella forma o movimento o in entrambi, a qualche aspetto
concreto del contenuto semantico del parlato (per esempio creare la forma di un oggetto,
contenuto nel discorso, attraverso la forma o il movimento della/e mano/i). Anche altri autori
14
hanno descritto e studiato questo tipo di gesti in coordinazione con l’espressione verbale (cfr. tra
gli altri, Butterworth, Hadar, 1989; Beattie, Shovelton, 2000, 2002a, 2002b).
I gesti metaforici sono simili agli iconici per quanto riguarda il riferimento a qualche
aspetto di un dato referente, ma diversi da essi per la tipologia di referenti: si tratta di concetti
astratti che vengono concretizzati con una specifica forma fisica. Essi, attraverso la forma o il
movimento della/e mano/i, rappresentano una metafora del concetto, contenuto nel discorso, cui
si stanno riferendo.
Fanno parte dei gesti proposizionali anche i deittici. Essi sono gesti puntatori (cfr., anche
Haviland, 2002), fatti con una varietà di forme della mano. Sono segnali che attirano l’attenzione
di un ricevente su un particolare oggetto della situazione dell’emissione. I deittici (dal greco
deìknymi, “mostrare”) possono indicare un'entità che è presente realmente, nell’ambiente fisico in
cui si trova chi compie il gesto (per esempio, indicare oggetti che si trovano nella stanza), o
idealmente (per esempio, puntare la mano o il dito verso l’alto quando si sta parlando di una
località del nord).
Nella classificazione di McNeill il secondo gruppo di gesti, i gesti non proposizionali, sono
quelli che caratterizzano l'attività discorsiva in senso stretto: di essi fanno parte i beats e i gesti
coesivi. I beats sono tipicamente piccoli colpetti in su e in giù, o indietro e avanti, di una o
entrambe le mani, che si usano per enfatizzare parti del discorso (cfr. anche Efron, 1941, che li
chiama batons, e più recentemente Schegloff, 1984) o per conferire ritmo a esso (McClave,
1994), creando un’interazione ritmica gestuale tra i parlanti.
I gesti coesivi partecipano, insieme alle parole, all’espressione del contenuto del discorso,
fornendo continuità a esso. Per meglio spiegare la funzione dei gesti coesivi si può fare
un’analogia con il linguaggio parlato. Secondo la linguistica, la rappresentazione globale del
discorso è marcata linguisticamente attraverso degli elementi: particelle pragmatiche, ripetizioni,
coreferenzialità, ecc. Essi agiscono in qualità di marcatori di coesione e di coerenza del discorso
(Contento, 1998). Analogamente, anche nell’espressione gestuale è possibile identificare segnali
che hanno la funzione di cooperare alla costruzione della coesione discorsiva: un tipo di coesione
che porta a una sorta di “dinamismo comunicativo” (concetto studiato da Firbas, 1971, e ripreso
da Levy, McNeill, 1992) che esprime la novità di un’informazione in rapporto a un’informazione
data e mette in evidenza ciò che è importante per lo sviluppo del discorso (Contento, 1998).
Contento (1998) ha osservato che tipicamente i gesti coesivi sono ripetitivi (ripetuti più
volte in sequenza, con la stessa forma) e collocati nello stesso spazio gestuale; sono, cioè,
realizzati all’interno della semisfera che si trova di fronte al parlante, costituita dall’incrocio di tre
coordinate, l’origine delle quali si colloca indicativamente al centro del petto: a) parlante-esterno,
b) destro-sinistro, c) alto-basso. Questo spazio diventa per il parlante, metaforicamente, lo spazio
del discorso.
Contento (1999a), sulla base di osservazioni condotte su soggetti che raccontavano, a un
interlocutore, un brano subito dopo averlo letto, ha sviluppato un sistema di sotto-categorie
incluse nella categoria dei gesti coesivi. In questo caso il criterio di classificazione fa riferimento
alla forma e al movimento del gesto: chele (le mani vengono congiunte, assumendo la forma di
pinza), matassa (le mani fanno dei movimenti a spirale, come ad avvolgere una matassa), telaio
(le mani si muovono orizzontalmente, come se stessero tessendo), stella (movimenti della mano
che riproducono la forma di stella), mulinello (movimenti a spirale, come un vortice, anche con
una o più dita), pennello (movimenti orizzontali destra-sinistra, come una pennellata), pinza (le
dita della mano si chiudono a pinza).
Altri autori hanno formulato tassonomie basandosi sulla stretta connessione dei gesti con il
linguaggio parlato. Bavelas et al. (1992) analizzano la funzione dei gesti in differenti contesti di
interazione. Sulla base di un criterio che ipotizza una diversa "destinazione" (o, potremmo dire in
termini più generali, funzione) della gestualità verbale, gli autori individuano gesti "topic" di
15
carattere referenziale, per lo più semantico, che rappresentano idee, o sintattico e gesti
"interactive" di carattere prevalentemente interpersonale, prodotti in presenza di un interlocutore,
volti a riferirsi a temi o argomenti precedentemente citati, a mostrare/richiedere atteggiamenti di
accordo/disaccordo, o aiuto per il ricordo di una parola, a prendere/cedere il turno, a introdurre un
nuovo tema, ecc. Essi infatti all’interno di questa categoria distinguono: i gesti di delivery con cui
il parlante rimanda a informazioni precedentemente comunicate; i gesti citing con cui si fa
riferimento a un precedente contributo dell’interlocutore; i gesti seeking con cui il parlante
richiede una feedback all’interlocutore; e i gesti turn con i quali il parlante cede il turno al proprio
interlocutore.
L’utilizzo
di
tali
gesti
necessita,
dunque,
della
presenza
dell’interlocutore/destinatario cui sono rivolti; molto spesso, il parlante può nel corso del parlato
avere occasione di puntare al destinatario, che non è possibile quando non c'è un'altra persona o
non può essere vista. Se ciò fosse vero, i gesti “interactive” potrebbero essere identificati come
puntamenti al destinatario (qualche volta chiamati gesti deittici, ad esempio da McNeill, 1992).
La distinzione operata da Bavelas et al. (1992) è stata ripresa da Contento (1996) sui diversi
tipi di conversazione. L'autrice afferma che lo scambio comunicativo è regolato sostanzialmente
da due tipi di gesti che si integrano al parlato nel processo di enunciazione e che possono essere
definiti come:
a) gesti “ideazionali”: in stretto riferimento con il contenuto intradiscorsivo e che illustrano
o enfatizzano l'oggetto del discorso;
b) gesti “relazionali”: che regolano il flusso verbale con l'interlocutore e hanno spesso
valore metacomunicativo e pragmatico in quanto bilanciano o moderano gli aspetti interdiscorsivi
del messaggio comunicativo.
Krauss et al. (1996) distinguono i movimenti delle mani su un continuum di
“lessicalizzazione” (grado in cui essi somigliano più alle parole): dai gesti simbolici con alto
grado di lessicalizzazione, ai gesti conversazionali, tra cui distinguono gesti lessicali e movimenti
motori, con grado medio, fino ai gesti adattatori con basso grado i lessicalizzazione. I primi sono
gli emblemi descritti, tra gli altri, da Efron (1941) e da Ekman e Friesen (1969); i movimenti
lessicali sono quei gesti connessi con il contenuto semantico del parlato che accompagnano,
come gli illustratori descritti da Ekman e Friesen (1969); i movimenti motori sono semplici
movimenti ritmici e ripetitivi, come i gesti non proposizionali descritti da McNeill (1985), i quali
sembrano essere coordinati con la prosodia del parlato più che con il suo contenuto semantico e
occorrono in prossimità di sillabe accentate; secondo gli autori la funzione primaria dei gesti
conversazionali (movimenti lessicali e motori articolati ma non pianificati che accompagnano il
parlato spontaneo) non è comunicativa, ma piuttosto di aiutare la formulazione del discorso;
dunque, l’informazione che essi possono trasmettere a un ricevente deriverebbe da questa
funzione primaria.
Una tassonomia dei gesti delle mani, che prende spunto e riassume le classificazioni sopra
descritte, è quella elaborata e verificata in un contesto di discussioni di gruppo da Bonaiuto,
Gnisci e Maricchiolo (2002). Questa tassonomia si differenzia da quelle appena descritte per
quanto riguarda il criterio di classificazione: in tale tassonomia, infatti, il criterio di distinzione è
il legame che i gesti hanno con il discorso. Sono state individuate perciò due macrocategorie di
gesti: “connessi al discorso” e “non connessi al discorso”.
Per “gesti connessi al discorso” si sono intesi quei gesti che vengono eseguiti durante
l’esposizione di un discorso (probabilmente per aumentarne l’evidenza e l’espressività, o almeno
risultanti avere tale fine). In altre parole, se non ci fosse un parlante che fa un discorso tali gesti
non potrebbero esistere. La presenza di un discorso è, quindi, una condizione necessaria ma non
sufficiente affinché siano messi in atto questi gesti. Un’altra condizione è che essi siano
coordinati temporalmente al parlato.
I “gesti non connessi al discorso” si riferiscono ai segni non intenzionali di Ekman e Friesen
16
(1969); ma qui intesi come quei gesti che, sebbene possano essere eseguiti anche durante il
parlato, non hanno nessuna apparente relazione con questo, né strutturale, né di contenuto.
Quest’ultima distinzione, relazione strutturale e di contenuto tra parlato e gesti delle mani, come
vedremo nella prossima sezione, risulta rilevante per la comprensione delle funzioni che
assumono i gesti nel contesto della comunicazione verbale e del linguaggio parlato.
1.2.2
La coordinazione tra comunicazione verbale e gesti delle mani: le funzioni
Bateson (1972), allo scopo di mostrare che nell’interazione comunicativa non sono rilevanti
solo gli interventi dei partecipanti con le informazioni che essi si scambiano, ma anche la
struttura degli scambi, utilizza alcune forme di dibattito chiamate “metaloghi”. In uno di questi
egli affronta, in modo originale, la questione del legame tra gesti e parole, tentando di rispondere
alla domanda: sono utili i gesti alla comunicazione verbale? Si tratta di un “metalogo” (“Perché i
francesi…?”; pp 39-45) tra padre e figlia, la quale interroga il padre sulla curiosa e
incomprensibile necessità dei francesi di muovere le mani “…quando parlano. Perché agitano le
braccia, fanno gesti…?”. Il padre, dopo aver fatto ragionare la figlia sulla molteplicità di
informazioni che si possono trasmettere durante le conversazioni, oltre a ciò che realmente ci si
sta dicendo, le risponde che “… i messaggi che ci scambiamo coi gesti sono in realtà una cosa
diversa da qualunque traduzione in parole che possiamo dare di quei gesti” e che “…<parole pure
e semplici> non possono mai portare lo stesso messaggio dei gesti” dato che “… non esistono
parole pure e semplici. Vi sono soltanto parole con gesti o con tono di voce o con qualcosa del
genere”. A questo punto la figlia si chiede come mai insieme alla lingua francese non
“…insegnano ad agitare le mani?”. Il padre risponde che, effettivamente, dovrebbe essere così
(“Questo è forse uno dei motivi per cui è spesso difficile imparare le lingue”) e che bisognerebbe
“…supporre che una lingua sia prima di tutto un sistema di gesti. Dopo tutto gli animali hanno
solo gesti e tono di voce… e le parole furono inventate più tardi”, ma aggiunge che sarebbe
impossibile lasciar “…perdere le parole e … usare soltanto i gesti”, ma “… potrebbe essere
divertente… la vita sarebbe come una specie di balletto… dove i ballerini si farebbero la musica
da sé”.
Questo brano evidenzia diverse questioni importanti riguardanti l’associazione gesti-parole:
una di queste è che non ci sono parole senza gesti, ma neanche gesti senza parole. Inoltre è
evidenziato che anche se il linguaggio verbale è stato, in qualche modo, un sostituto evolutivo dei
segnali vocali e gestuali, questo sistema iconico-gestuale della comunicazione non è del tutto
decaduto, ma al contrario è diventato più ricco e complesso: le sottigliezze della comunicazione
gestuale superano di gran lunga ciò che possa fare non verbalmente qualsiasi altra specie animale
(Bateson, 1972). Questa osservazione suggerisce che i gesti non dovrebbero certamente essere
considerati come un mero segnale non verbale, dato che diventano più sofisticati ed elaborati man
mano che la capacità di articolazione del linguaggio verbale si raffina. Ciò è avvalorato anche dai
risultati di ricerche sui gesti nell’età evolutiva, secondo i qual i gesti del bambino si sviluppano in
modo parallelo al suo sviluppo linguistico. Le prime intenzioni comunicative sono espresse
attraverso gesti deittici (a partire dai nove mesi circa), il referente dei quali è dato da elementi del
contesto extralinguistico (Volterra, Ertine, 1994). Dai 12 mesi circa compaiono i gesti referenziali
(illustratori), i quali non solo esprimono un’intenzione comunicativa, ma rappresentano anche un
referente (Acredolo, Goodwin, 1988).
D’altra parte, la gestualità aggiunge al linguaggio verbale quella punta di ambiguità che da un
lato rende la comunicazione più difficile e incomprensibile, rispetto a una comunicazione
costituita soltanto da parole, dall’altro la arricchisce e impreziosisce, fornendole la possibilità di
adempiere più funzioni, alcune delle quali il solo linguaggio verbale non sarebbe adatto a
svolgere.
Sono numerose le ricerche svolte con l’intento di provare l’esistenza (o meno) di un qualche
17
tipo di legame esistente tra la gestualità e il parlato. Innanzitutto non si deve confondere lo studio
della gestualità coverbale con quello delle lingue dei segni, vale a dire quei veri e propri sistemi
di comunicazione adottati prevalentemente dai sordomuti in cui le unità linguistiche sono
costituite prevalentemente da movimenti e configurazioni delle mani (per esempio la LIS, Lingua
Italiana dei Segni). Questo tipo di sistemi, infatti, è una lingua vera e propria con le sue regole
sintattico-grammaticali, approvate e riconosciute, dunque condivise, all’interno della stessa
cultura: ogni comunità linguistica ha sviluppato un proprio linguaggio dei segni, il quale,
basandosi su elementi figurativi, rappresentanti concetti linguistici, risulta abbastanza
comprensibile anche da persone di “lingua” diversa. Lo studio e la comprensione dei linguaggi
dei segni, già di per sé rende chiaro lo stretto legame che può intercorrere tra segnali gestuali e
lingua verbale. Tuttavia i gesti delle mani prodotti dalle persone, generalmente mentre si sta
parlando, non hanno un codice sintattico-grammaticale né una corrispondenza perfetta con
l’espressione linguistica che si sta trasmettendo; dunque, non sono né facilmente riconoscibili, né
comprensibili, quindi neanche condivisibili.
Uno degli obiettivi principali per chi studia i gesti delle mani, allora, è comprendere quale
sia il legame tra questi e l’espressione verbale che essi accompagnano, seguono, anticipano o
tentano di sostituire.
Numerose ricerche hanno messo in evidenza che la gestualità delle mani facilita l’espressione
verbale. Infatti una persona, per essere in grado di evocare e di descrivere le proprie esperienze,
nonché per condividerle, deve disporre di rappresentazioni concernenti queste ultime. Tali
rappresentazioni sono costituite da una matrice concettuale e da una matrice dinamica: per poter
essere comunicata la rappresentazione deve essere ravvivata non solo nei suoi aspetti concettuali,
ma anche nei suoi aspetti dinamici, che sono costituiti dall’attività emotiva, posturale e motoria
(Rimè, 1984, 1987). La teoria sviluppata da Rimè (1987) in un’ottica cognitivo-motoria, afferma
che l’espressione verbale implica o comprende dei fenomeni motori, e la gestualità non sarebbe
altro che una parte apparente dell’operazione di rappresentazione in corso da parte del locatore.
Questo implica che non ci sia attività espressiva senza un certo livello di attività motoria
Un contributo importante per provare che i movimenti del corpo sono organizzati in
relazione al discorso concomitante è stato dato da Condon e Orgston (1966). Gli autori hanno
svolto analisi dettagliate di conversazioni filmate, descrivendo l’andamento dei movimenti e la
loro relazione con il flusso del parlato. Essi hanno dimostrato che il corpo si muove in maniera
sincronica con il parlato e che il movimento ha una struttura gerarchica, proprio come il parlato,
la quale riflette la struttura delle unità del discorso: in particolare, il fluire dell’attività
gesticolatoria durante la conversazione può essere suddiviso in unità gestuali, le quali si
aggregano fra loro a costruire “frasi gestuali” in analogia alle frasi del discorso. Gli autori hanno
inoltre distinto nella gesticolazione una parte considerata “movimento preparatorio” alle unità del
discorso che seguiranno e una parte che accompagna il discorso. I gesti preparatori
rappresenterebbero una modalità anticipatoria di esteriorizzazione dei processi cognitivi coinvolti
nella preparazione del discorso. Essi si realizzerebbero mentre il parlante cerca i mezzi linguistici
più adeguati per esprimere le sue idee e in questo senso il gesto costituisce quindi un elemento di
passaggio. Esprimere le idee anche attraverso il movimento faciliterebbe proprio il processo di
trasporle in parole.
Kendon (1980) rifacendosi ai lavori di Condon e Ogston, sostiene che gesto e discorso sono
disponibili come due modi diversi di rappresentazione ma fra loro coordinati, e non subordinati
l’uno rispetto all’altro, in quanto guidati dallo stesso scopo comunicativo. Egli rileva in prima
istanza l’immediatezza espressiva dei gesti; attraverso un singolo movimento è possibile inviare
una quantità di informazioni che richiederebbe un numero elevato di parole; un’altra ragione
dell’incisività espressiva del gesto è legata al fatto che il gesto richiederebbe un tempo inferiore
per essere pianificato rispetto a una corrispondente espressione verbale.
18
Alcune recenti ricerche sui gesti illustratori-iconici (Beattie, Shovelton, 2002a; Hadar
Butterworth, 1997; Morrel-Samuel, Krauss, 1992) associano la produzione di tali gesti con alcune
proprietà del linguaggio: l’“immaginabilità”, che si riferisce alla facilità con cui il parlato attiva
immagini mentali e la “familiarità” dei contenuti verbali. Da questi studi sperimentali risulta che i
gesti iconici accompagnano con più probabilità il discorso nelle condizioni di elevata
“immaginabilità” e di non “familiarità”: in queste condizioni, infatti, sarebbe facilitato quel
percorso ideativo al quale i gesti iconici sono preposti.
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che l’attività gestuale, nella produzione linguistica, giochi
un ruolo di facilitazione nel richiamo delle parole dalla memoria lessicale (Butterworth, Beattie,
1978; Moscovici, 1967), ipotesi confermata in diverse ricerche empiriche (cfr. Chawla, Krauss,
1994; Krauss et al., 1996; Morrel-Samuels, Krauss, 1992; Rauscher, Krauss, Chen, 1996).
Secondo questi studi, i gesti iconici, ma ancora di più i gesti metaforici, faciliterebbero il
recupero lessicale dalla memoria, anticipando l’espressione delle parole cui corrispondono e
comparirebbero durante l’espressione di un discorso spontaneo più che di uno preparato,
probabilmente aiutando quindi il parlante a “trovare le parole”. Diversi studi (Poggi, Magno
Caldognetto, 1997; Argentin, 1987) hanno trovato che un impiego imperfetto del linguaggio o
una scarsa capacità hanno come conseguenza un maggior uso di gesti illustratori; in particolare,
negli studi su soggetti afasici, quindi con capacità comunicative compromesse, si è visto come
questo tipo di gesti compenserebbe l’insufficienza dell’attività verbale (secondo l’ipotesi
compensatoria, Hadar, Butterworth, 1997; Hadar, Wenkert-Olenik, Kruass, Soroker, 1998). In
generale, i gesti illustratori, in particolare i metaforici, vengono utilizzati maggiormente nelle
situazioni comunicative che comportano compiti cognitivi molto complessi (soluzione dei
problemi, richiamo lessicale, ricordo di esperienze, eccetera).
L’ipotesi della funzione dei gesti nel richiamo lessicale per la rappresentazione mentale
del discorso è stata inoltre verificata da uno studio condotto variando la condizione di
mobilità/immobilità delle braccia e delle mani dei parlanti (Rimè, Schiaratura, Hupet,
Ghysselinck, 1984): nella condizione di immobilizzazione delle braccia e delle mani del parlante
è emersa una diminuzione dell’uso da parte di questo di immagini mentali rispetto alla
condizione di mobilità delle braccia e delle mani: in altre parole, il suo processo di
rappresentazione sembrava venirsi a modificare in relazione al maggiore o minore uso dei gesti
delle mani.
Ricerche recenti si sono concentrate più specificatamente sulla co-occorrenza tra
comunicazione verbale e gesti delle mani. Bull (2001) afferma che le parole e i gesti lavorano
insieme per creare le frasi.
Ma è soprattutto McNeill (1992) che ha considerato il gesto come parte vera e propria del
linguaggio, anziché come sottosistema: esso costituisce la parte “immaginativa” del linguaggio
ed è prodotto insieme con la parte “conosciuta” e “linguistica” di esso (McNeill, Levy, 1993).
Egli, infatti, sostiene che la produzione discorsiva è il frutto di un processo dinamico
caratterizzato dalla coordinazione di due tipi di attività mentali: pensiero per immagine
(imagistic) e pensiero sintattico (syntactic). Il pensiero sintattico costituisce la parte linguistica, è
lineare e segmentato; il pensiero per immagine costituisce la parte gestuale del linguaggio. Questi
due aspetti cooperano alla costruzione del senso e della struttura complessivi del discorso. I gesti
e il parlato possono quindi essere considerati come due canali diversi da cui poter osservare lo
stesso fenomeno discorsivo, in quanto i gesti partecipano, insieme alle parole, alla realizzazione
della pianificazione linguistica (McNeill, Levy, 1993).
Questa idea è per esempio avvalorata, dal fatto che un qualche rapporto tra gesti delle mani
e linguaggio parlato è dimostrata anche da ricerche in ambito di psicologia dello sviluppo, per
esempio riguardo alcuni gesti delle mani considerati come precursori della comunicazione
verbale (cfr. tra gli altri, Butcher, Goldin-Meadow, 2000; Capirci, Iverson, Pizzuto, Volterra,
19
1996; Morford, Goldin-Meadow, 1992; Nicoladis, Mayberry, Genesee, 1999; Perucchini, 1997;
Perucchini, Camaioni, 1999).
È chiaro che i gesti non servono solo al parlante, ma anche al suo interlocutore. Le ricerche
hanno dimostrato che l’accuratezza con cui il destinatario comprende ed è in grado di riprodurre
un messaggio alla cui formulazione hanno contribuito anche i gesti dell’emittente, è di gran lunga
superiore rispetto ai casi in cui lo stesso messaggio è prodotto dall’emittente senza la possibilità
di ricorrere ai gesti (Berger, Popelka, 1971; Graham, Argyle, 1975); anche compiti di
riconoscimento e di memoria di oggetti descritti da un emittente, risultano facilitati nel caso
quest’ultimo abbia fatto uso dei gesti durante la descrizione (Riseborough, 1981).
Occorre ricordare inoltre che i gesti del parlante possono essere utilizzati dal destinatario,
seppure in misura meno consistente rispetto ad altri indici verbali, allo scopo di inferire elementi
utili alla categorizzazione dell’interlocutore in termini di status e di personalità e di trarre
informazioni utili alla comprensione e alla interpretazione dell’interazione in atto (Ricci Bitti,
1987). I gesti, dunque, costituirebbero una sorta di sintassi mista, la quale offrirebbe una quantità
elevata di informazioni che non potrebbero essere veicolate esclusivamente con le parole.
Inoltre, l’utilizzo dei gesti delle mani serve anche all’interazione tra i comunicatori. Tra i
primi esperimenti, che hanno tentato di spiegare l’importanza dei gesti nell’interazione verbale, ci
sono quelli condotti variando la presenza/assenza di visibilità tra gli interlocutori (Rimè, 1982). È
risultato che in assenza di visibilità tra gli interlocutori veniva compromessa la sincronizzazione
dell’interazione, vale a dire si registrava un maggior numero di sovrapposizioni e di pause
rispetto alla condizione di visibilità tra gli interlocutori.
Il gesto permette inoltre di risolvere l’eventuale ambiguità dell’espressione verbale
concomitante, la quale, pur se completa sul piano grammaticale, non è sufficiente a specificare
ciò cui vuol fare riferimento durante lo scambio verbale; gesti più utili a questo riguardo sono i
gesti direzionali o indicazionali che servono appunto a chiarire l’oggetto cui si fa riferimento. Il
gesto viene usato soprattutto, ma non solo, quando le circostanze rendono impossibile lo scambio
verbale; in questo caso esso costituisce un sostituto, un’alternativa rispetto alle parole.
I gesti delle mani sono usualmente considerati canali comunicativi la cui funzione può
essere quella di amplificare o sottolineare l’informazione comunicata nel parlato che essi
accompagnano (Krauss, Chiu, 1998). I gesti che accompagnano il discorso si realizzerebbero
sotto la guida dello stesso meccanismo di controllo che organizza il discorso e svolgerebbero una
funzione strettamente comunicativa, arricchendo, completando, sistemando le informazioni
fornite attraverso il parlato; essi, dunque, facilitano l’attenzione e la comprensione nel ricevente.
Si tratta in particolare di quei gesti delle mani la forma dei quali appare correlata al contenuto
semantico del parlato.
Diverse ricerche condotte su materiali videoregistrati negli ultimi anni (Contento, Stame,
1997; Contento 1996, 1998) mostrano che la rappresentazione dei significati, elaborata in termini
ideativi dal parlante, viene espressa dalle parole ma è soprattutto integrata e specificata attraverso
un segno non verbale.
Una conversazione, infatti, privata degli aspetti non verbali, perderebbe in parte la portata
comunicativa del messaggio: questa risiederebbe quindi, non solo negli elementi linguistici, ma
anche negli aspetti paralinguistici, intonazionali e, soprattutto, gestuali. Contento (1998) ha
osservato come i gesti che accompagnano un discorso sono in grado di modificarne
profondamente il senso, accompagnando, enfatizzando e sottolineandone alcuni aspetti.
Feyereisen e Havard (1999) hanno trovato che le persone utilizzano un maggior numero di
gesti, e fra questi più gesti legati al contenuto verbale (appena descritti), quando comunicano
contenuti di movimento (descrizioni di azioni) rispetto a quando comunicano contenuti visivi
(descrizione di luoghi o di oggetti), mentre utilizzano un minor numero di gesti quando
comunicano contenuti astratti.
20
Molti ricercatori (Birdwhistell, 1970; Graham, Argyle, 1975; Kendon, 1983), come è stato
sottolineato fino a ora, concordano sulla funzione comunicativa di quei gesti delle mani la cui
forma o movimento sono legati al contenuto semantico del parlato, mentre altri autori
(Feyereisen, Van de Wiele, Dubois, 1988; Krauss, Morrel-Samuel, Colasante, 1991; Krauss,
Dushay, Chen, Bilous, 1995) hanno trovato nei loro studi che ci sono pochi o nessun effetto
facilitante dei gesti sulla comunicazione. Krauss e Chiu (1998) sostengono che, in questo caso,
cioè quando i gesti non hanno una funzione comunicativa insieme al parlato che accompagnano,
essi possono svolgere una “funzione psicologica” (Kendon, 1983; Ricci Bitti, 1987): servono cioè
a esteriorizzare uno stato interno o un atteggiamento e, durante l’esposizione linguistica, a
dissipare la tensione che si accumula per la ricerca lessicale (Dittmann, Llewelyn, 1969).
Il rapporto tra linguaggio verbale e gestualità (come tra comunicazione verbale e non
verbale in generale) è stato anche sostenuto dalla Scuola di Palo Alto, secondo la quale, in ogni
forma di comunicazione, la gestualità è uno degli aspetti che caratterizzano il cosiddetto “aspetto
di relazione” che dà senso e ricontestualizza l’“aspetto di contenuto” (Bateson, 1972, Watzlawick
et al., 1967). In questo senso, la funzione della gestualità sarebbe metacomunicativa.
I movimenti delle mani possono essere strettamente coordinati col parlato, in quanto
indicano la struttura interna delle emissioni linguistiche e ne controllano la sincronizzazione
(Contento, 1998). Ancora, secondo Fox (1999) la sintassi, la prosodica e la gestualità lavorano
insieme per la progettazione delle espressioni linguistiche e per il completamento dei turni di
parola.
Levy e McNeill (1992) hanno trovato che i gesti partecipano al processo di introduzione di
nuovi temi del discorso: dati statistici suggeriscono che gesticolare nella posizione iniziale
dell’episodio comunicativo aiuta a portare avanti la comunicazione. Gesti e parlato sono
manifestazioni non-ridondanti di un solo processo di espressione e formazione del discorso,
insieme cooperano nel creare nuovi temi del discorso o nel continuare i vecchi. In quest’ottica i
gesti sono realmente parte del discorso e non un sistema distinto, o sovrapposto, oppure un
sottosistema (Levy, McNeill, 1992). Mentre McNeill ritiene artificiale una segmentazione simile
a quella verbale per cercare di riferire i gesti a punti specifici della frase, Butterworth sostiene
l’associazione del gesto con singoli item lessicali (nomi, verbi, aggettivi) in base alle analisi delle
asincronie tra gesto e parola associata.
Contento (1996) concorda con McNeill nell’ottica interattiva e considera il gesto non
interpretabile in assenza della parola. Contrariamente alle parole, sostiene anche, i gesti non sono
autonomi di significato, ma partecipano con le parole al processo di enunciazione e lo realizzano.
Come dall’analisi del discorso si possono individuare dei dispositivi linguistici coesivi, deputati a
strutturare ciò che si sta dicendo, così pure si può notare che i gesti cooperano a quest’attività di
coesione in funzione di un “dinamismo comunicativo” (come lo definiscono Levy, McNeill,
1992).
Si possono individuare quattro diversi tipi di funzioni (Poggi, Magno Caldognetto, 1997):
funzione ripetitiva, quando il gesto porta lo stesso significato delle parole; funzione
complementare, quando il significato gestuale aggiunge informazioni a quello verbale cooccorrente; funzione sostitutiva, quando il gesto porta un significato che il parlante ha previsto
nella pianificazione del parlato, e che, a causa di un lapsus, di una dimenticanza o di una
reticenza intenzionale, non viene prodotto nella modalità verbale; funzione contraddittoria,
quando il significato del gesto contraddice quello delle parole. In tutti questi casi ciò che assicura
il raggiungimento del sovrascopo comunicativo è comunque la coerenza tra messaggio verbale e
gestuale, i quali, comunque, di solito sono sincronizzati o coordinati temporalmente.
Possiamo affermare che l’organizzazione della maggior parte dei movimenti del corpo
durante una conversazione è determinata dal discorso concomitante. In sostanza, dunque, gesto e
discorso funzionano in modo interdipendente ma non dispongono di modalità di codificazioni
21
simili: mentre nel parlato le forme convenzionali sono utilizzate e organizzate sequenzialmente
secondo modalità prestabilite, nell’attività gestuale l’espressione è più libera di creare
continuamente nuove regole che non sempre rispondono a regole stabilite.
La comunicazione nell’interazione sociale ha di per sé una funzione di tipo persuasivo: è
attraverso il discorso che si tenta, in qualche modo, di convincere e/o influenzare i propri
interlocutori. L’interesse si concentra dunque sul ruolo della comunicazione non verbale e della
gestualità delle mani in particolare nelle proprietà persuasorie della comunicazione.
1.3
I gesti delle mani nella comunicazione persuasiva e nella dominanza interattiva
In psicologia sociale, lo studio della persuasione riguarda le variabili e i processi che
governano la formazione e il cambiamento di atteggiamenti (Chaiken, Wood, Eagly, 1996). Nel
trattare il tema della persuasione, oltre alla persuasione basata sul messaggio comunicativo,
spesso sono presi in considerazione anche altri ambiti di ricerca come, ad esempio, l’influenza
dei comportamenti individuali e dei messaggi sugli atteggiamenti, gli effetti dell’influenza sociale
in contesti di gruppo, gli effetti sull’atteggiamento dell’esposizione all’oggetto
dell’atteggiamento, nonché gli effetti selettivi degli atteggiamenti sull’elaborazione delle
informazioni. Nella maggior parte delle interazioni sociali, in quanto situazione di comunicazione
fra persone e fra gruppi, sono presenti intenzioni ed effetti persuasivi impliciti o espliciti.
Tipicamente la comunicazione di tipo persuasivo è considerata lo strumento privilegiato per
esercitare influenza sulle opinioni e sulle scelte comportamentali dei propri interlocutori.
Nella ricerca psicologico-sociale, la comunicazione persuasiva è stata spesso analizzata
dal punto di vista del suo aspetto contestuale e del suo aspetto verbale, sia orale sia scritto. Infatti,
i primi studi, condotti allo scopo di comprendere il potere della propaganda (sia pubblicitaria, sia
politica) sui cambiamenti di atteggiamento del pubblico, si sono dedicati all’analisi sistematica
delle caratteristiche dell’emittente, dei canali che trasmettono il messaggio, del destinatario e del
contesto entro cui avviene la ricezione (cfr. Hovland, Janis, Kelley, 1953).
Altre ricerche hanno preso in considerazione l’aspetto cognitivo dell’elaborazione,
decodifica ed interpretazione delle informazioni dei messaggi persuasivi, come quelle condotte
da McGuire (1972), il quale sottolinea il carattere attivo di tali processi cognitivi. Petty e
Cacioppo (1986) focalizzano l’attenzione su due fattori della persuasione, le risposte cognitive,
fonte di mediazione tra il messaggio e la sua accettazione, e il coinvolgimento motivazionale
personale nel processo di scambio di comunicazioni. Solo poche ricerche hanno invece tentato di
analizzare il fenomeno della comunicazione persuasiva tenendo conto anche di aspetti non
verbali: alcuni studi sono stati condotti, di recente, sul ruolo del tono dell’umore sui processi di
persuasione, o su fenomeni di giudizio (Petty, Wegener, White, 1998; Petty, Wegener, 1995,
1998).
Se parlare è fare o agire, come i più recenti modelli psicologico-sociali sostengono (cfr.
De Grada, Bonaiuto, 2002), la comunicazione persuasiva diviene sicuramente il prototipo della
comunicazione (Amerio, 1995).
Un esempio di situazione ove si manifesta un processo di persuasione si ha quando si
verifica un fenomeno di influenza sociale. L’influenza sociale è un fenomeno che si manifesta
secondo modalità le più diverse e che può produrre effetti estremamente differenziati, ma in
generale è un fenomeno pervasivo sotteso a qualsiasi tipo di relazione o comunicazione. Anche
Moscovici (1987), che ha trattato estesamente questo tema, sostiene che tale fenomeno è molto
potente quanto variegato. Lo studio di tale fenomeno affronta l’articolarsi dei legami sociali e
riguarda le procedure attraverso le quali i processi mentali e sociali, i comportamenti e le
emozioni individuali o di gruppi vengono modificati da azioni reali o simboliche di altri individui
22
o gruppi, pervenendo così alla condivisione di credenze e di idee.
Anche se la stragrande maggioranza delle ricerche hanno evidenziato come la
comunicazione verbale sia lo strumento principale per influenzare gli altri (cfr. fra gli altri ad
esempio Hollander, 1985; Mannetti, Battantier, Pierro, 1996; Ng, Bell, Brooke, 1993), non
bisogna trascurare che le caratteristiche non verbali della comunicazione possono assumere
analoga importanza, o perlomeno concorrere nel determinare l’efficacia persuasiva di una
comunicazione, dato che comunicazione verbale e comunicazione non verbale sono spesso
coordinate e co-occorrenti.
Classicamente, nell’analisi degli studi sulla comunicazione persuasiva, alcuni parametri non
verbali (postura, espressioni del volto, direzione dello sguardo, aspetto esteriore, ecc.) sono stati
studiati in quanto fattori importanti di persuasione (Aguinis, Simonsen, Pierce, 1998; Burgoon et
al., 1990; Leigh, Summers, 2002). Per quanto riguarda i gesti delle mani, nonostante più di
recente, come già detto, essi siano stati considerati sistematicamente nei termini della loro
coordinazione col comportamento verbale (per esempio, Contento, 1999a, 1999b; Kendon, 1995;
McNeill, 1985, 2000; Rimè, Schiaratura, 1991), rimangono ancora scarsi gli studi che si sono
dedicati ad approfondire il carattere persuasivo della coordinazione tra parole e gesti delle mani
(cfr. Argentin, Ghiglione, Dorna, 1990; Atkinson, 1984; Bull, 1986). In particolare, nessuno
studio ha dimostrato sperimentalmente l’efficacia persuasiva della coordinazione verbalegestuale, se non considerando le variabili verbali e gestuali separatamente (cfr. Burgoon et al.,
1990; Dorna, Argentin, 1993; Leigh, Summers, 2002; Schultheiss, Brunstein, 2002).
Gli studi che si sono specificamente occupati di approfondire i nessi tra produzione gestuale
e verbale da parte di una stessa persona nell’ambito della comunicazione persuasiva sono stati
condotti su una varietà di contesti comunicativi. Il ruolo del gesto nel processo comunicativo
verbale persuasivo è stato per esempio oggetto di studi ormai classici, quali quelli condotti
sull’oratoria politica (cfr., ad esempio, Atkinson, 1984). L’importanza dell’uso dei gesti delle
mani durante i discorsi politici in pubblico, enfatizzata anche da Atkinson (1984), il quale
consigliava di accompagnare i dispositivi retorici con gesti energici delle mani e delle braccia, era
già stato considerato fondamentale dai retori greci ai quali spettava il compito di istruire
“nell’arte del parlar bene”, da un lato, e in quella della persuasione del pubblico, dall’altro; essi
attribuivano una grande rilevanza alla componente non verbale della comunicazione umana, della
quale sottolineavano i nessi con i contenuti verbali, senza considerarla una forma di
comunicazione di secondo livello (cfr. Billig, 1987/1996). A chiunque gli chiedesse quale fosse
la branca più importante della retorica, Demostene rispondeva: “al primo posto la declamazione,
al secondo la declamazione e al terzo la declamazione” (Istituzione oratoria, XI, III, 6),
intendendo per declamazione, non solo le modalità verbali di presentazione dei contenuti, ma
anche e soprattutto quelle non verbali. Ancora, Cicerone definisce l’Actio come una “armonica
commisurazione della voce e dei movimenti del corpo” (L’invenzione retorica, I, VII).
Sempre in epoca prescientifica, nell’ambito della retorica, Abraham Fraunce gia nel ’500
raccomandava gesti rigidi per accompagnare i dispositivi retorici, sottolineando però che i
movimenti prodotti con la mano sinistra esprimevano incertezze e dubbi (cit. in Argyle, 1977/90).
John Mason (XVIII secolo), più puntuale, affermava che in una deliberata verifica di
argomentazione, l’azione più appropriata per accompagnare le argomentazioni era appoggiare il
primo dito della mano destra sul palmo della mano sinistra (Argyle, 1977/90). Ovviamente si
tratta di regole irrealisticamente rigide, che non possono più essere accettate in modo così
inflessibile; la maggior parte dei teorici, del resto, era concorde nell’affermare che regole così
rigide da sole potessero rivelarsi assurde, inutili o fatali se applicate pedissequamente. Ma
l’illustrazione di esse permette di sottolineare come personaggi noti, seppur su basi
prevalentemente anedottiche e speculative e tramite osservazioni non sistematiche, abbiano dato
grande rilievo alla componente gestuale della comunicazione, ne abbiano evidenziato i nessi con
23
le componenti verbali, senza considerarla una forma di comunicazione di secondaria importanza.
Studi recenti si sono occupati di analizzare l’importanza del non verbale nella
comunicazione politica. Leathers (1986, in Argyle, 1977/90) si occupò ad esempio
dell’addestramento di Carter in vista dei dibattiti televisivi con Ford. L’alta frequenza di sguardi,
i gesti energici, il mantenimento di una postura di auto-affermazione (braccia e piedi larghi), un
tono di voce più alto, contribuirono a produrre, nel primo dibattito faccia a faccia, un’immagine
di Ford più credibile rispetto a quella prodotta da Carter. Quest’ultimo, d’altronde, manifestò
evidenti e frequenti cambi di direzione dello sguardo, molto spesso rivolto verso il basso, una
postura stretta e passiva, gesti deboli e di automanipolazione, un tono esageratamente discendente
alla fine delle frasi. Il suggerimento di Leathers, fu quello di modificare questi comportamenti
non verbali; Carter uscì vincitore dal secondo dibattito.
In Italia, ad esempio, Lamedica (1987) ha condotto una ricerca su varie forme di discorso
pubblico. L’autore ha osservato quattro tipi diversi di discorso in pubblico: il comizio, l’omelia,
la relazione congressuale, l’esortazione di un comandante militare. Dai risultati è emerso che,
all’interno del comizio e dell’omelia, vengono fatti più gesti in assoluto, e in particolare gesti
illustratori ed emblematici. Lamedica ricorda che lo scopo di questi due tipi di discorso è quello
di raccogliere consensi e convincere il pubblico su scelte comportamentali (mentre, ad esempio, il
comandante militare può ricorrere a strumenti coercitivi). Risultano, inoltre, molte interazioni
ritmiche dei gesti con il linguaggio; esse, analogamente a quanto offerto da altri autori già citati
(per esempio a proposito dei gesti coesivi), avrebbero la funzione di dare continuità logica al
discorso, unificandone le varie argomentazioni, ma renderebbero possibile anche una coerenza di
tono, tale da attirare l’attenzione del pubblico per garantirne il consenso.
Atkinson (1984) ha analizzato numerosi discorsi politici, notando che l’applauso spontaneo
spesso è provocato dall’utilizzo di alcuni dispositivi retorici, soprattutto le liste tripartite,
accuratamente enfatizzati e sottolineati dalle dovute pause e da particolari gesti. Egli ha osservato
un intervento di Heffer, membro del partito laburista, al convegno del suo partito nel 1980,
notando che, in coincidenza con l’enunciazione di una lista tripartita, i gesti del politico
diventavano progressivamente più ampi a ogni parte della lista e le mani tendevano, alla fine
(dopo la terza parte della lista), a incrociarsi davanti al corpo, posizione attraverso la quale il
politico comunica al pubblico la fine del messaggio, sollecitandone l’applauso.
Anche Heritage e Greatbatch (1986), dopo aver analizzato alcuni discorsi tenuti da politici
inglesi, riscontrarono che l’applauso che si verificava da parte dell’uditorio, al seguito
dell’utilizzo di alcuni dispositivi retorici, non era stimolato solo ed esclusivamente da questi
ultimi, ma anche dall’uso di alcuni accorgimenti non verbali, come lo sguardo terminale rivolto al
pubblico, le variazioni e l’aumento del tono della voce, il cambio del ritmo e dei gesti finalizzati
ad aumentare l’enfasi del discorso.
Bull (1986), infine, esaminando un discorso di Arthur Scargyll (Presidente del National
Union of Mineworkers) notò che le ovazioni più prolungate, erano prodotte da passaggi in cui
veniva fatto largo uso di dispositivi retorici (in particolare “liste tripartite”, “paragoni” e “titoli
energici”), i quali, a loro volta, erano accompagnati da “movimenti vigorosi delle mani”.
Uno studio su quali tra le categorie di gesti possano rendere maggiormente persuasivo un
discorso politico è quello di Argentin et al. (1990). Anche questi autori hanno basato il loro
studio su un singolo caso: un uomo politico durante la preparazione di un discorso in un
congresso in cui l’obiettivo era la conquista della presidenza del partito. Gli autori hanno
videoregistrato il discorso del politico così come gli veniva naturalmente; in seguito hanno
addestrato il politico a registrare lo stesso discorso politico, mantenendo lo stesso registro verbale
(parole e intonazione), ma cambiando la propria gestualità, con un aumento del numero di gesti
metaforici, un ridimensionamento dei gesti ritmici (chiamati dagli autori gesti di interpunzione) e
l’eliminazione dei gesti auto-adattatori. Dal punto di vista applicativo dell’intervento, il politico,
24
pronunciando il suo discorso così elaborato al congresso, ottenne la presidenza del partito; dal
punto di vista dello studio sperimentale, i due discorsi registrati furono entrambi fatti giudicare a
un esiguo campione (alcune studentesse di psicologia). L’ipotesi era che il discorso tenuto dal
politico nella seconda registrazione risultasse o fosse percepito come maggiormente persuasivo e
ricevesse maggiori consensi, rispetto al primo, più naturale, in cui non c’era stato un controllo
sulle categorie di gesti da utilizzare. Infatti, secondo gli autori, i gesti ritmici perdono parte del
loro potere d’impatto se troppo ripetuti, mentre i gesti adattatori danneggiano, quando troppo
numerosi e sistematici, specialmente in situazioni di discorso pubblico, la credibilità dell’oratore
e del discorso. L’aumento dei gesti metaforici porterebbe invece a una disambiaguazione del
contenuto del discorso; attraverso il gioco dell’accentuazione metaforica durante
un’argomentazione, infatti, verrebbe velato il carattere persuasivo perseguito dal messaggio
(rivelato invece dai gesti ritmici). I risultati mostrarono un effetto significativo del diverso
utilizzo dei gesti: il discorso elaborato (con la modifica dei tipi di gesti utilizzati) comportò un
aumento significativo della persusività attribuita al messaggio in generale e alla gestualità in
particolare.
Gli studi psicologico-sociali sulla relazione tra specifici tipi di gesti delle mani e linguaggio
influente hanno analizzato anche altri contesti interattivi: conversazioni spontanee (Beattie,
Shovelton, 2000; 2002; Carli et al., 1995), dialoghi in diade (Bavelas, Chovil, Coates, Roe, 1995;
Burgoon et al., 1990), interviste su temi personali (Feyereisen, Havard, 1999), discussioni di
gruppo (Bonaiuto, Gnisci, Maricchiolo, Livi, 2004); oltre le già citate funzioni intradiscorsive,
questi studi hanno trovato che gli stessi gesti hanno funzioni interazionali e metadiscorsive,
come, ad esempio, prendere o cedere il turno, coinvolgere gli interlocutori nella conversazione
(come visto nei gesti prodotti durante i discorsi politici e l’evocazione dell’applauso), attirare la
loro attenzione e la loro approvazione o convincerli. Nel dialogo, inoltre, i gesti avrebbero anche
la funzione di lasciare aperto il canale comunicativo per non perdere il turno nella conversazione
(Contento, Stame, 1997). Queste funzioni aumenterebbero la capacità persuasiva dell’espressione
comunicativa.
Nello studio sulle discussioni in piccoli gruppi (Bonaiuto, et al., 2004) è risultato, infatti,
che, all’interno di contesti gruppali più “competitivi”, cioè composti da un maggior numero di
membri (8 vs. 4), i gesti connessi al discorso hanno un effetto positivo, in interazione con la
dominanza verbale, sull’influenza percepita (per i membri verbalmente poco dominanti); mentre
gli altri tipi di gesti, i gesti adattatori, non avrebbero nessun effetto su questa misura. Sempre nel
contesto gruppale, Moore e Porter (1988) hanno trovato che punteggi di leadership sono
significativamente correlati in modo positivo con la quantità di tempo del parlato, con la quantità
di movimenti orizzontali, di gesti oggetto-adattatori e di "intrusioni" fisiche; e in modo negativo
con i gesti di auto-manipolazione. Questi risultati confermano buona parte dei risultati di ricerche
precedenti condotte su soggetti adulti: per esempio, Meherabian (1972) trovò che gli individui di
alto status usano più spazio personale (sul piano orizzontale); secondo Henley (1973) questi
soggetti toccano di più gli altri e invadono più volte lo spazio personale degli altri; la stessa
Henley (1977) aveva trovato che la quantità di comportamenti autoadattatori era correlata
negativamente con la percezione di leadership. Infine, Leffler, Gillespie, Conaty (1982)
dimostrarono che i soggetti che in alcune simulazioni assumevano ruoli di maggiore dominanza
(insegnanti), non solo parlavano di più e facevano più interruzioni, ma utilizzavano più spazio
con il proprio corpo, toccavano e indicavano maggiormente sia i soggetti con ruoli meno
dominanti (studenti) sia le loro cose.
Tali risultati offrono alcune indicazioni preliminari circa l’esistenza di specifiche
espressioni gestuali, riguardanti solo alcune categorie di gesti (gesti illustratori e ritmici), le quali,
in interazione con aspetti della comunicazione verbale (dispositivi retorici), concorrerebbero alla
realizzazione di uno stile persuasivo che faccia risultare un’esposizione orale maggiormente
25
influente ed efficace.
Vi sono dunque già alcuni studi che danno rilevanza al legame generale tra i gesti e il
linguaggio parlato, anche se non in maniera del tutto sistematica. Sono invece rari gli studi che
hanno tentato di chiarire la relazione più specifica tra gesti delle mani e comunicazione verbale
nei fenomeni di persuasione. E praticamente assenti quelli che hanno dimostrato
sperimentalmente gli effetti del legame verbale-gestuale sulla persuasività della comunicazione.
Rimane dunque da chiarire quanto questi gesti, e soprattutto quali fra essi e in coordinazione con
quali caratteristiche verbali della comunicazione, siano efficaci per raccogliere consensi,
convincere il proprio interlocutore o far accettare la propria idea all’uditorio.
1.4 Conclusioni
Dagli studi succitati emergono diverse evidenze: in particolare quali sono gli ambiti, in
questo settore di ricerca, ove si è giunti a dei risultati pressoché definitivi o, almeno, ampiamente
condivisi, e in quali, invece, bisogna ancora approfondire gli studi per verificare le diverse
ipotesi, suggerite ma non ancora adeguatamente dimostrate.
Il punto su cui vi è maggiore accordo tra gli studiosi è la struttura dei gesti delle mani, e
quindi la suddivisione in categorie diverse sulla base delle differenti forme gestuali. Le
tassonomie e classificazioni presentate e descritte dettagliatamente nei precedenti paragrafi,
infatti, anche basandosi su criteri classificatori differenti, suggeriscono una differenziazione dei
gesti che può essere condivisa dalla maggioranza dei ricercatori. Ciò grazie anche alle verifiche
di tali tassonomie condotte in ambiti, contesti sociali e culture differenti. Molti studiosi, infatti,
utilizzano attualmente metodi di osservazione sistematica considerando, per esempio, le categorie
di gesti della classificazione di Ekman e Friesen (1969), o di McNeill (1985), o di entrambe
integrate in un unico sistema di codifica (cfr. per esempio, Beattie et al., 2002a; Bonaiuto et al.,
2002).
Un altro fenomeno della gestualità delle mani, su cui si trova in qualche modo d’accordo
una parte degli studiosi di questo campo di ricerca, è la co-occorrenza, e in qualche modo la
corrispondenza, tra gesti delle mani e comunicazione verbale, durante i diversi tipi di interazione
comunicativa.
In una rassegna bibliografica sull’efficacia comunicativa dei gesti, Kendon (1994) ha
concluso che questi giocano un ruolo importante nella comunicazione e forniscono informazioni,
ai “co-partecipanti” all’interazione comunicativa, sul contenuto semantico delle espressioni
(sebbene in modi diversi e non ancora del tutto chiariti). Altri autori (cfr. Feyereisen, de Lannoy,
1991; Krauss et al., 1996; Rimé, Schiaratura, 1991), rivisitando la stessa letteratura, sono arrivati
a conclusioni differenti, e cioè che la partecipazione non avviene solo sul piano
dell’informazione, ma anche della produzione lessicale e strutturale delle espressioni verbali.
Nella presente rassegna bibliografica, la conclusione alla quale si può arrivare è che il legame tra
gesti e parlato può risultare di diversa natura e poggiare su diverse basi o adempiere a diverse
funzioni (sia semantiche, sia strutturali).
Ma le domande più importanti alle quali bisogna ancora rispondere non riguardano il fatto
se i gesti possano essere usati in coordinazione con la comunicazione verbale, ma piuttosto se
essi siano usati regolarmente in tal guisa e, se così fosse, in quale circostanza essi siano utilizzati,
per fornire quale tipo di informazione, e come effettivamente essi possano fornirla.
Gli studi presenti in letteratura forniscono poi spunti per ulteriori sviluppi di ricerca,
soprattutto per quanto riguarda la coordinazione tra verbale e gesti delle mani. Rimane, infatti,
ancora da verificare empiricamente ma soprattutto statisticamente se esista una co-occorrenza più
o meno stabile tra i gesti delle mani ed alcuni specifici aspetti della comunicazione verbale in
26
diversi contesti sociali. In particolare, rimane da verificare statisticamente quanto è stato
suggerito, sino a ora solo con evidenze meramente qualitative, circa quale sia il tipo di tale
corrispondenza, cioè quali categorie di gesti corrispondono a quali aspetti del verbale: ad
esempio, marcatori o funzioni discorsive, per quanto riguarda la struttura del discorso; dispositivi
verbali o retorici, per quanto riguarda la presentazione del contenuto verbale; caratteristiche del
turno di parlato, in funzione della gestione dell’interazione. Una volta verificato quale tipo di
corrispondenza ci sia tra i diversi tipi di gesti delle mani e i diversi aspetti verbali della
comunicazione, rimarrebbe da verificare quanto spesso è stato illustrato sulla base di risultati di
ricerche, di tipo qualitativo e/o su casi singoli, nell’ambito della comunicazione politica: vale a
dire, l’efficacia persuasiva dei gesti co-occorrenti e coordinati con il parlato.
Le tre ricerche presentate nei capitoli successivi perseguono appunto questi tre obiettivi:
creare una tassonomia e un sistema di codifica attendibile che consenta di descrivere la struttura
dei gesti delle mani durante la conversazione; dimostrare statisticamente la co-occorrenza tra
specifici gesti e specifici aspetti della comunicazione verbale per chiarire le funzioni che i diversi
gesti assolvono durante la conversazione; dimostrare sperimentalmente la funzione persuasiva
svolta dai gesti delle mani prodotti in co-occorrenza col parlato.
27
2. OBIETTIVO GENERALE DELLA RICERCA
L’obiettivo principale della ricerca è - dopo aver descritto la gestualità delle mani e
individuato le funzioni di questa tramite le co-occorrenze significative di essa con specifici
aspetti della comunicazione verbale, attraverso indagini osservative e correlazionali e in base alle
ipotesi suggerite dalla letteratura - dimostrare che tale coordinazione abbia degli effetti
significativi sulla credibilità e persuasività del parlante e del messaggio comunicato.
Più in generale, bisogna inoltre tener presente che nello studio della CNV è importante
tener conto di due aspetti di questo fenomeno psicologico-sociale: la codificazione (da parte
dell’emittente) e la decodificazione (da parte del ricevente; Argyle, 1977/90; Gifford, 1994;
Hecht, Guerriero, 1999; cfr. anche la teoria dei processi paralleli, Patterson, 2001). Entrambi gli
aspetti possono aiutare a comprendere come le persone utilizzino più o meno consapevolmente i
segnali non verbali (nell’invio e nella ricezione), in diverse situazioni.
Tenendo presenti queste considerazioni, i tre quesiti generali che hanno dato origine a
questo lavoro, l’uno propedeutico all’altro, possono essere riassunti come segue.
Dapprima, per poter capire come sono codificati i segnali non verbali, nella fattispecie i
gesti delle mani, si ha bisogno di strumenti di osservazione e categorizzazione, cioè di un sistema
di codifica. Può un sistema di codifica permettere di osservare e riconoscere in maniera esaustiva
e attendibile i diversi modi nei quali gli emittenti utilizzano i gesti delle mani che accompagnano
il parlato?
Successivamente, al fine di capire cosa l’emittente sta codificando con i gesti delle mani in
una data situazione sociale, nella fattispecie durante un’interazione comunicativa di tipo
persuasivo, è necessario individuare e spiegare le relazioni che questi segnali gestuali hanno con
altri aspetti della situazione, quali gli aspetti verbali.
Infine, interessa capire come queste codificazioni vengono percepite, dunque decodificate,
più o meno consapevolmente, dal ricevente in riferimento alla particolare situazione interattiva,
vale a dire durante una comunicazione di tipo persuasivo. I gesti delle mani, prodotti in
coordinazione col verbale, influenzano la percezione di credibilità e di persuasività? Possono
contribuire alla persuasione stessa?
Per rispondere a queste domande di ricerca sono stati pianificati e realizzati tre studi, volti
rispettivamente:
1. al riconoscimento della struttura dei gesti delle mani in coordinazione con il linguaggio
verbale (I studio, sui problemi tassonomici e metodologici di riconoscimento e di
attendibilità della codifica e sulla creazione di un manuale multimediale per la codifica);
2. alla comprensione delle funzioni dei gesti delle mani nella conversazione (II studio,
osservativo e correlazionale);
3. alla comprensione degli effetti dell’utilizzo di diversi gesti delle mani in coordinazione con il
verbale, nella comunicazione oratoria, sulla percezione di credibilità, sulla valutazione di
persuasività del messaggio e dell’oratore, sul cambiamento di atteggiamento e sulla
persuasione (III studio, sperimentale).
28
3. STUDIO 1: ATTENDIBILITÀ DI UNA TASSONOMIA DEI GESTI DELLE MANI E
COSTRUZIONE DI UN MANUALE DIGITALE DI CODIFICA.
3.1
Introduzione
Tipicamente, nello studio della comunicazione non verbale, è particolarmente cruciale la
definizione delle categorie e delle dimensioni rispetto alle quali descrivere e studiare la struttura
del fenomeno in esame, anche in ragione dei diversi ambiti o delle diverse funzioni che si
vogliono approfondire (Meherabian, 1970). Ovviamente il sistema di categorie impiegato
dipende dagli interessi teorici. Seguendo questi principi, nel passato, molti autori hanno isolato
singoli parametri della comunicazione non verbale, per studiarne le caratteristiche intrinseche;
tuttavia, come si è detto, approcci più recenti tendono a elaborare sistemi di classificazione dei
fenomeni non verbali che non prescindano dalle coordinazioni tra verbale e non verbale, al fine di
comprendere come gli uni si integrino con gli altri.
Nel caso dei gesti delle mani, il fenomeno oggetto di questo progetto, le indagini che sono
state condotte hanno permesso a numerosi ricercatori, come si è già visto, di delineare differenti
classificazioni (Argyle, 1972; Ekman, Friesen, 1969; Freedman, Hoffman, 1967; Kendon, 1983;
McNeill, 1992; Rosenfeld, 1966): in questo campo di studi, sono quindi venute a coesistere
classificazioni diverse, le quali non solo si rivolgono ad ambiti disciplinari e finalità diversi, che
solo in parte si sovrappongono, ma hanno anche differenti criteri classificatori. Tale situazione è
probabilmente il riflesso di diversi orientamenti teorici, che talvolta possono essere non
chiaramente espliciti, o addirittura di diversi approcci epistemologici alla conoscenza scientifica
(per esempio, naturalismo vs costruzionismo). Molto spesso ciò è anche stato il risultato di
ricerche condotte specificatamente su uno solo o su pochi tipi di gesti, studiati separandoli dagli
altri (cfr. per esempio, Beattie, Shovelton, 2002, sui gesti iconici; Contento, 1999a, sui gesti
coesivi).
Classificare un fenomeno comportamentale, come la gestualità delle mani, in un sistema
di categorie mutuamente esclusive ed esaustive riveste un’utilità sia teorica sia metodologica.,
poiché esso non solo aiuta a rendere concettualmente più chiaro il fenomeno in esame, ma lo
rende anche operativamente meglio osservabile e soprattutto codificabile, nel momento in cui si
passa alla procedura empirica di raccolta dei dati comportamentali e alle successive analisi
statistiche. Infatti, i sistemi di codifica comportamentale e i codici che li compongono sono gli
strumenti elettivi della ricerca osservativa (Gnisci, Bakeman, 2000).
Come già detto, la maggior parte dei ricercatori ha di volta in volta costruito un sistema di
classificazione ad hoc per le proprie ricerche. Sono quindi presenti in letteratura diverse
classificazioni e tassonomie dei gesti. Eppure, in generale, è noto che l’uso di sistemi di codifica
comuni da parte di più ricercatori risulta utile in quanto rende meglio comparabili i risultati di
studi differenti, il che permette l’accumulazione dei risultati, in modo da rafforzare il filone di
ricerca. È auspicabile, dunque, che quando ci si avvicini a un campo di studi di tipo
osservazionale, come quello dei gesti delle mani, si “adottino” o si “adattino”, per le proprie
ricerche, sistemi di codifica condivisi in letteratura, oltre che, ovviamente, attendibili e validi
(Gnisci, Bakeman, 2000).
In questa sede, dato l’obiettivo della ricerca qui presentato, e cioè lo studio della gestualità
delle mani in coordinazione con la comunicazione verbale nel fenomeno della persuasione e
dell’influenza sociale, il primo passo consiste dunque nel creare e validare il sistema di codifica
del comportamento gestuale. Tale sistema di codifica si basa su una tassonomia dei gesti delle
mani recentemente elaborata e verificata in un contesto di discussioni di gruppo da Bonaiuto et
al. (2002), la quale prende spunto e riassume alcune delle principali classificazioni presenti in
letteratura (in particolare, quelle di: Contento, 1999a; Ekman, Friesen, 1969; McNeill, 1985).
29
Tuttavia, affinché un sistema di codifica possa essere utilizzato come strumento per ricerche
empiriche e sperimentali, è necessario verificarne l'affidabilità in diversi contesti (Gnisci,
Bakeman, 2000). Senza dubbio l'approccio più diffuso per stimare l'attendibilità delle misure
nella ricerca osservativa è il calcolo dell'accordo tra osservatori indipendenti (Pedhazur,
Schmelkin, 1991). Nell’osservazione sistematica del comportamento sono centrali il concetto di
attendibilità e di accordo tra osservatori. Nelle rilevazioni di tipo osservativo lo “strumento” che
raccoglie i dati è un essere umano, che esprime un giudizio “soggettivo” secondo lo schema di
codifica utilizzato. È necessario sapere quanto lo strumento sia affidabile, cioè quanto i dati
raccolti costituiscano effettivamente una misura oggettiva, o per lo meno consensuale, di ciò che
si voleva osservare e non il risultato di particolari desideri o caratteristiche dell’osservatore. Se
due osservatori, infatti, concordano nella codifica, si presume che le loro codifiche siano
accurate, anche se possono essere presenti altre fonti di errore. L’accordo interosservatori,
sebbene non sia necessariamente indice di attendibilità o validità, può essere considerato una
condizione necessaria per la ricerca osservativa (Pedhazur, Schmelkin, 1991): in assenza di
accordo i dati sono sicuramente inattendibili (la codifica diventa una visione soggettiva di un
fenomeno da parte di un osservatore). La ricerca osservativa, data la natura relativamente
soggettiva della codifica, pone quindi enfasi sull’accordo tra osservatori, come passo necessario
per la dimostrazione di attendibilità della ricerca stessa (Gnisci, Bakeman, 2000).
L’attendibilità costituisce un requisito preliminare indispensabile di ogni strumento di
misura; se uno strumento non è fedele non ha senso domandarsi se è valido oppure no (Mannetti,
1998). La validità rappresenta il grado in cui uno strumento misura effettivamente quello che
dovrebbe misurare. L’attendibilità è dunque una condizione necessaria ma non sufficiente per la
validità: una misura non può essere valida se non è attendibile, ma se è attendibile non
necessariamente è valida (Pedhazur, Schmelkin, 1991).
È possibile definire l’attendibilità (reliability) in tre modi (Kerlinger, 1986):
1)
l’attendibilità come stabilità, coerenza, in termini predittivi, si riassume nella
domanda: se misuriamo la stessa serie di oggetti più volte con lo stesso strumento
avremo lo stesso risultato?
2)
l’attendibilità spiegata in termini di accuratezza della misurazione, o precisione, si
riassume nella domanda: i risultati ottenuti con lo strumento di misura sono il
“valore vero” dell’oggetto misurato?
3)
il terzo approccio indaga l’errore di misura che comporta un qualsiasi strumento di
misura: l’attendibilità può essere così descritta come l’assenza di errore di misura
di uno strumento.
La teoria degli errori di misura ci dice che tutte le misure che possiamo ottenere, non solo in
campo psicologico, sono affette da errori di misura dovuti al caso (Ercolani, Areni, 1995): il dato
osservato ha due componenti, una parte “vera” e una parte di errore casuale. Concettualmente, la
parte vera può essere immaginata come il punteggio ottenuto in condizioni di misura ideali e
perfette; poiché queste condizioni non esistono, il punteggio osservato contiene sempre una parte
di errore.
L’equazione è:
Xt = X∞ + Xe
dove Xt è il punteggio totale osservato, X∞ è il punteggio vero, Xe è l’errore casuale.
L’attendibilità viene definita, in tal modo, attraverso l’errore. Maggiore è l’errore, più
elevata sarà l’inattendibilità; minore è l’errore, più elevata sarà l’attendibilità (Kerlinger, 1986).
“L’attendibilità si riferisce al grado in cui i punteggi sono liberi dall’errore di misura” (American
Psychological Association, 1985, in Pedhazur, Schmelkin, 1991).
Tutte le misure hanno una varianza totale, dovuta a tre componenti: al costrutto che
vogliamo misurare, all’errore sistematico e all’errore casuale (Gnisci, Bakeman, 2000). L’errore
30
casuale dipende da fattori non controllati nel contesto sperimentale. La media degli errori casuali
tende a essere nulla, vuol dire che gli errori casuali tendono a compensarsi reciprocamente se
l’ampiezza del campione è sufficientemente grande. Gli errori casuali possono essere tollerati
dato che avranno effetti trascurabili o nulli sul risultato finale. Gli errori sistematici, invece,
presentano una qualche forma di regolarità, e hanno così lo svantaggio di non compensarsi
reciprocamente. Tuttavia, proprio perché non si manifestano in modo casuale, a volte possono
essere individuati ed eliminati.
L’accordo tra osservatori è insensibile all’errore sistematico. Infatti, due osservatori
potrebbero essere precisi (nella stessa direzione) ma non accurati, nel senso che di fronte al
ripetersi dell’evento categorizzabile come A, entrambi potrebbero indicare sistematicamente la
categoria B. L’accuratezza (accuracy) dell’osservatore si riferisce al grado di corrispondenza tra
la realtà e la codifica. La precisione (precision) si riferisce al grado di sistematicità
nell’assegnazione di un codice a una determinata categoria di eventi. Bakeman e Gottman (1997)
affermano che l’accordo non ci dice quanto è accurata una misura (e quindi quanto è attendibile),
cioè non ci dice quanto quella misura è vicina alla “realtà”, ma ci dice quanto due osservatori
vanno d’accordo. Comunque, quando l’accordo tra due osservatori è alto è più probabile che la
misurazione dei due osservatori sia anche attendibile, rispetto a quando l’accordo risulta basso.
E’ possibile parlare di quattro tipi diversi di attendibilità di un sistema di osservazione
sistematica (Weick, 1968) secondo il criterio di riferimento tramite cui valutiamo la precisione e
l’accuratezza di un osservatore: 1) concordanza fra osservatori diversi che osservano e codificano
gli stessi eventi (accordo tra osservatori); 2) concordanza fra osservazioni e codifiche dello
stesso osservatore in momenti diversi (stabilità nel tempo dell’osservatore); 3) concordanza fra le
codifiche prodotte da osservatori diversi che osservano eventi simili in momenti diversi, ma è
difficile individuare la fonte di un’eventuale discordanza fra le codifiche; 4) consistenza interna
di un singolo osservatore, prendendo come criterio di riferimento un protocollo standard (P)
considerato “vero” o “obiettivo” o “reale” (attendibilità dell’osservatore).
Senza dubbio, come già ricordato prima, l’approccio più diffuso, anche se non il più esatto,
per stimare l’attendibilità delle misure nella ricerca osservativa è il calcolo dell’accordo tra gli
osservatori (interrater agreement), ossia il grado di concordanza tra due o più osservatori
indipendenti sulle loro codifiche, stime, categorizzazioni, eccetera (Pedhazur, Schmelkin, 1991).
Le statistiche per l’accordo tra osservatori sono utili sia come feedback agli osservatori durante
l’addestramento all’utilizzo del sistema di codifica, sia come modalità per indicare la veridicità
dei dati alla comunità scientifica (colleghi, riviste, editori, ecc.).
La strategia di rilevazione dei dati influenza il tipo di calcolo di accordo che può essere
effettuato: la rilevazione per eventi e la rilevazione per intervalli temporali richiedono, infatti,
modalità diverse di calcolo (D’Odorico, 1990). Il formato per rappresentare i dati osservativi si
differenzia sulla base dell’unità di misura: eventi (quando si conta il semplice accadimento di
eventi in sequenza), stati (quando si conta anche la durata di questi eventi) o intervalli (se si
conta cosa succede a intervalli di tempo).
Alcune statistiche per l’accordo si basano sull’accadimento ma non sulla scansione
sequenziale degli eventi. Per esempio, un tempo le ricerche riportavano solo la percentuale di
accordo (Pa), calcolata come rapporto tra gli accordi (Na) e la somma di accordi e disaccordi (N)
moltiplicata per 100:
Pa = (Na/N) x 100
Tuttavia, l’accordo percentuale può generare una sovrastima dell’accordo in quanto risulta
artificialmente incrementato dagli accordi dovuti puramente al caso. L’indice viene a dipendere
dalla frequenza relativa di ciascuna categoria (più sono le frequenze più è l’accordo dovuto al
caso) e dal numero di categorie usate (più categorie ci sono più è probabile che non si raggiunga
l’accordo). Per questo molti ricercatori considerano ormai inutili gli accordi basati su percentuali.
31
L’indice, dunque, più comunemente usato per l’accordo è il kappa di Cohen (1960), il quale
tiene conto della probabilità di accordo dovuta al caso. Il kappa è un indice che caratterizza
l’accordo tra le applicazioni di uno schema di codifica da parte di due osservatori. Varia da 0
(nessun accordo) a 1 (accordo perfetto). L’espressione con cui viene calcolato K è:
K = (Pobs – Pexp) / (1 – Pexp)
nella quale Pobs è la proporzione di accordo realmente osservata e Pexp è la proporzione di
accordo dovuta al caso. La probabilità di accordo per caso si ricava dalla probabilità di
occorrenza congiunta di due eventi indipendenti, che è data dal prodotto delle probabilità
semplici. In sostanza K esprime la proporzione di varianza vera rispetto a quella totale,
correggendo per il caso. Questo indice è particolarmente adatto quando si vogliono confrontare
tra loro le rilevazioni effettuate da due osservatori utilizzando uno schema di codifica
multicategoriale.
Per l’accordo tra osservatori la pura significatività (K = 1) è quasi sempre uno standard
troppo alto; bisogna, piuttosto, fare riferimento alla grandezza assoluta. Una volta ottenuto il
valore di K, secondo Fleiss (1981) si considera un K tra .40 e .60 come medio, tra .60 e .75 buono
e superiore a .75 eccellente, mentre Bakeman e Gottman (1997) suggeriscono la regola di
considerare un valore di K < .75 in qualche modo problematico.
Poiché la presenza di accordo non indica necessariamente attendibilità, oltre ai calcoli del
kappa è possibile approfondire le analisi delle misure sull’attendibilità, analizzando più
formalmente l’attendibilità delle misure riassuntive. Un approccio standard è quello basato sulla
teoria della generalizzabilità (Cronbach, et al., 1972).
Diversi approcci alla stima dell’attendibilità inter-osservatori condividono il comune difetto
di produrre un solo indice, ignorando così la molteplicità delle potenziali fonti di errore delle
misure dell’osservazione (Pedhazur e Schmelkin, 1991), come ad esempio l’errore sistematico.
Spesso i dati osservati, essendo troppo numerosi, vengono presentati in maniera ridotta con
statistiche riassuntive. Di conseguenza i metodi che valutano l’attendibilità delle misure
riassuntive, le quali sono gli indici utilizzati di fatto nella ricerca, sono la base migliore per
valutare l’accuratezza delle misure.
La teoria della generalizzabilità può essere intesa come un’estensione e un miglioramento
del modello dell’errore casuale (Ercolani, Perugini, 1997). Mentre nella teoria classica c’è un
unico errore indifferenziato, per la teoria della generalizzabilità ci sono tanti errori quante sono le
sfaccettature (facets) implicate nell’operazione specifica di misurazione; nel caso della ricerca
osservativa, queste dimensioni (facets) sono gli osservatori. La variabilità complessiva di un
punteggio viene pertanto scomposta in tante fonti distinte quanti sono i fattori implicati.
Riprendendo la formula di base della teoria classica, Xt = X∞ + Xe, considerando per
esempio tre sfaccettature A, B e C, possiamo riscrivere la formula come:
Xt= VA + VB +VC + Xe
Non c’è un solo punteggio vero, ma tanti punteggi veri quante sono le sfaccettature. La
porzione di errore perciò sarà minore della porzione di errore che si ottiene con il modello
classico, perché le altre porzioni di punteggio vero in parte sono una suddivisione del punteggio
vero, in parte catturano l’errore del modello classico.
E’ stato dimostrato (Pedhazur, Schmelkin, 1991) che la teoria della generalizzabilità, con la
sua capacità di distinguere tra le differenti fonti di variabilità (per esempio osservatori, soggetti,
occasioni) è altamente appropriata per stimare l’attendibilità interosservatori; per quanto riguarda
l’attendibilità di un sistema di categorie, l’analisi di generalizzabilità sulle misure riassuntive
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(probabilità, indici come il Q di Yule), infatti, permette di valutare se un sistema di categorie
discrimina tra i soggetti o i contesti osservati (variabilità between) e tra le categorie, piuttosto che
tra gli osservatori (variabilità within).
Tutte queste considerazioni sull’attendibilità dei sistemi di categoria valgono naturalmente
anche per i sistemi di categorie per la codifica dei gesti delle mani. Prima di poter arrivare a dei
risultati attendibili con gli studi sui gesti delle mani, è opportuno misurare l’attendibilità degli
strumenti di codifica. Tuttavia, raramente gli autori di studi sulla comunicazione non verbale si
occupano di dimostrare l’attendibilità dei sistemi di categorie che utilizzano per l’osservazione e
la codifica dei comportamenti che studiano. Il punto di partenza di questo studio è dimostrare
l’attendibilità del sistema di categorie utilizzato per la codifica dei comportamenti studiati (i gesti
delle mani) in diversi contesti interattivi. Il sistema di codifica di riferimento è una tassonomia
dei gesti delle mani (Bonaiuto et al., 2002) già verificata in contesto di discussione di gruppo e
descritta precedentemente. Inoltre, come già sottolineato in precedenza, è utile che i sistemi di
categorie siano condivisi nella comunità scientifica per il confronto dei risultati raggiunti. Perché
un sistema di codifica sia condivisibile opportuno che le categorie che lo compongono siano
descritte dettagliatamente e mostrate chiaramente. Questi sono gli obiettivi dello studio
presentato di seguito.
3.2
Obiettivi dello studio
In riferimento a quanto sopra esposto, gli obiettivi della ricerca sono così articolati:
1) verificare, tramite accordo tra osservatori, l’attendibilità di un sistema di codifica dei
gesti (cfr. Bonaiuto, et al., 2002), che sintetizza, aggregandole e combinandole, diverse
classificazioni presenti in letteratura, secondo il criterio del legame con il discorso
verbale, ponendo particolare attenzione alla sua generalizzazione a diversi contesti
d’interazione sociale;
2) sviluppare un manuale digitale interattivo, in grado di offrire un supporto audiovisivo
per lo studio della gestualità in generale e in particolare per l'utilizzo e l’apprendimento
del sistema di categorie dei gesti, in modo da rendere tale tassonomia più facilmente
consultabile e condivisibile.
Riguardo alla verifica dell’attendibilità del sistema di categorie (obiettivo 1)
1) la valutazione dell’affidabilità dei dati raccolti deve corrispondere ai due compiti
fondamentali in cui è impegnato l’osservatore, e cioè:
a. rilevazione dell’evento codificabile, ovvero il gesto (unità di codifica), e
b. codifica appropriata dell’evento, secondo il sistema di categorie.
c. Inoltre la valutazione dell’accordo tra osservatori dovrà riguardare il
funzionamento di ciascuna categoria e sovra-categoria della tassonomia.
d. Infine, la valutazione dell’accordo tra osservatori dovrà riguardare il
funzionamento del sistema di categoria in ognuno dei contesti interattivi
studiati.
3.3
Metodo
Contesti e campione
Il corpus dati della ricerca è costituito da videoregistrazioni. Il campione è stato selezionato
tra il materiale videoregistrato già raccolto e presente nel laboratorio di Psicologia Sociale del
33
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università degli Studi
di Roma “La Sapienza” e disponibile per le ricerche scientifiche. Dato l’obiettivo generale della
presente ricerca, vale a dire la valutazione del funzionamento della tassonomia dei gesti delle
mani, si è optato per la scelta di cinque contesti – due “naturali” e tre “di laboratorio” –ove
l’interazione fosse caratterizzata dalla rilevanza della dimensione persuasiva.
Sono stati presi in considerazione i seguenti contesti “naturali”:
1) interviste politiche televisive: due leader politici di due schieramenti opposti
(Berlusconi e Rutelli), intervistati separatamente nel corso del TG5 durante il periodo
ufficiale della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2001;
2) interrogatori giudiziari: una deposizione di una testimone di parte civile nel processo
legale per l’omicidio del figlio (tratta dalla trasmissione televisiva “Un giorno in
pretura”, andata in onda nel marzo 1998 su RAI3), ove l’interrogata risponde alle
domande del Pubblico Ministero e successivamente alle domande della Difesa.
Sono stati presi in considerazioni i seguenti contesti di laboratorio:
3) simulazioni di discussioni in piccoli gruppi: quattro soggetti simulavano di essere
membri di un gruppo di consulenti e dovevano discutere due “casi aziendali” per poter
successivamente trovare una soluzione in forma scritta riguardo i provvedimenti da
prendere per ciascun caso.
4) simulazioni di discussioni in diadi: due soggetti dovevano discutere nell’ambito del
medesimo compito impiegato per le simulazioni in gruppo;
5) simulazioni di interrogatori: alcuni soggetti vengono “interrogati” singolarmente da un
confederato dello sperimentatore entro un contesto simulato ove hanno la consegna
sperimentale di dire in una parte la verità e in un’altra parte una menzogna.
Tutti i soggetti che hanno partecipato a questi contesti simulati erano ciechi agli obiettivi
della presente ricerca.
I contesti studiati rappresentano tipi di interazione sociale diversi fra loro ma tutti sono
accomunati dal fatto che in ciascuno di essi fosse particolarmente rilevante persuadere l’uditorio.
Questo punto è particolarmente importante perché, dato l’obiettivo generale di tutta la ricerca, si
è voluto privilegiare, come oggetto di studio, lo stile comunicativo sia verbale sia gestuale tipico
di situazioni sociali in cui il parlante si trova a dover cercare di, da una parte, apparire sincero e
credibile e, dall’altra, risultare convincente e persuasivo. La caratteristica persuasiva del contesto
è fondamentale soprattutto per lo studio successivo (Studio 2), in cui si tenterà di rivelare quali
siano le funzioni dei gesti delle mani nella comunicazione persuasiva attraverso un’analisi
differente degli stessi contesti di questo studio.
Le videoregistrazioni del contesto politico e del contesto legale possono essere considerate
condizioni “naturali” in quanto verificatesi indipendentemente da volontà e operato dei
ricercatori. Tenendo conto della tendenza alla spettacolarizzazione della comunicazione politica
nelle trasmissioni televisive, il “TG5”, la trasmissione condotta da E. Mentana da cui sono state
estratte le interviste utilizzate per questo studio, ne rappresenta comunque un’eccezione poiché si
svolge secondo lo schema classico e formale dell’intervista tradizionale. Il carattere persuasivo di
tali contesti è evidente: nel caso delle interviste politiche i due leader hanno come obiettivo
quello di risultare affidabili e persuasivi per conquistare consenso da parte del pubblico e,
naturalmente, voti elettorali. Nell’altro contesto “naturale”, durante l’interrogatorio giudiziario è
esplicitamente cruciale, per definizione, l’obiettivo di dimostrarsi credibile e quindi di convincere
gli interlocutori della propria sincerità.
Al contrario la simulazione con diade, la simulazione con piccolo gruppo e il racconto
verità/bugia durante l’interrogatorio simulato sono osservazioni condotte in laboratorio e possono
34
essere definite situazioni “di laboratorio” o “artificiali” per le condizioni in qualche modo
costruite ad hoc dai ricercatori.
Per quanto riguarda le discussioni in gruppo e in diade, la simulazione utilizzata in questa
ricerca ricrea una situazione, senza leader preordinato, di tipo cooperativo piuttosto che
competitivo, in cui possono comunque nascere dei conflitti e in cui i partecipanti tendono a essere
persuasivi per convincere gli altri delle proprie idee, per emergere come leader e per influenzare
la decisione finale.
Nella simulazione di interrogatorio, come negli interrogatori reali, l’esigenza
dell’interrogato di risultare credibile è abbastanza evidente, sia che stia mentendo sia che dica la
verità; in questo caso, tale esigenza è resa ancora più forte dal fatto che l’intervistatore (complice
dello sperimentatore) dichiara (in entrambe le condizioni verità/menzogna) di non credere a
quanto l’interrogato sta affermando.
Procedura
Al fine di avere dati tra loro confrontabili si è stabilito di selezionare per ogni contesto
preso in considerazione intervalli di registrazione della durata di 20 minuti ciascuno. I gesti delle
mani prodotti dai soggetti interagenti nei diversi contesti sono stati osservati e codificati da parte
di due osservatori indipendenti, ciechi agli obiettivi della ricerca e addestrati all’utilizzo del
sistema di codifica basato sulla tassonomia dei gesti delle mani. I due codificatori sono stati
preventivamente addestrati in modo del tutto indipendente da un codificatore esperto. Sotto la
supervisione di quest’ultimo, i due osservatori hanno visionato diverse videoregistrazioni
(differenti dal campione dello studio) e riconosciuto le diverse categorie del sistema di codifica.
Non appena i codificatori hanno dimostrato di saper codificare i gesti delle mani secondo il
sistema si è proceduto alla codifica del materiale selezionato per la misura dell’attendibilità.
Per la codifica si è ricorso sia alle trascrizioni della conversazione eseguite secondo il
metodo jeffersoniano (Jefferson, 1985) sia a una griglia per l’osservazione sistematica (Bonaiuto
et al., 2002): nella prima modalità ogni gesto codificato è legato alla parola o alla frase insieme
alla quale occorre, nella seconda è legato al tempo di occorrenza indicato dal timer nella
registrazione. Il sistema di codifica dei gesti all’interno del trascritto jeffersoniano del verbale è
ampiamente descritto nel prossicomo capitolo (paragrafo 4.3).
Sistema di codifica
I gesti delle mani prodotti dai soggetti sono stati codificati in base a un sistema di categorie
(cfr. Figura 1) ispirato a una tassonomia dei gesti precedentemente sviluppata a partire da
classificazioni presenti nella letteratura sul campo e sino a ora preliminarmente verificata solo in
contesti di discussione di piccolo gruppo (Bonaiuto et al., 2002).
In tale sistema di codifica i gesti sono distinti in due macrocategorie: “gesti connessi al
discorso” e “gesti non connessi al discorso”.
Per “gesti connessi al discorso” si sono intesi quei gesti che vengono eseguiti durante
l’esposizione di un discorso. In altre parole, se non ci fosse un parlante che fa un discorso tali
gesti non potrebbero esistere. La presenza di un discorso è, quindi, una condizione necessaria ma
non sufficiente affinché siano messi in atto questi gesti. Tali gesti sono in relazione col discorso
perché sono a esso coordinati sul piano o del contenuto verbale o della struttura discorsiva.
I “gesti non connessi al discorso” si riferiscono ai segni non intenzionali di adattamento di
Ekman e Friesen (1969); ma qui intesi come quei gesti che, sebbene possano essere eseguiti
anche durante il parlato, non hanno alcuna apparente relazione con questo (né strutturale-coesiva,
né di contenuto).
All’interno della prima macrocategoria sono inclusi i gesti “coesivi” e “ritmici” (chiamati
da McNeill, 1985, nonpropositional gestures) e i gesti qui chiamati “ideativi”. I gesti “coesivi”
35
sono movimenti ripetitivi delle mani e/o delle dita che accompagnano lo sviluppo del discorso,
conferendogli continuità, coerenza e coesione; si tratta di movimenti ripetuti più volte nel tempo
e nello stesso spazio gestuale. All’interno di questa categoria, i gesti sono stati distinti in
sottocategorie e nominati, non avendo essi nessun referente semantico, a seconda della loro forma
e del loro movimento (Figura 2): chele, matassa, telaio, eccetera (coerentemente con la
letteratura; cfr. Contento, 1999a).
Figura 1. Sistema di categorie dei gesti delle mani utilizzato in questo studio (Fonte: adattato da Bonaiuto et
al., 2002).
Figura 2. Esempio di gesto coesivo (categoria di gesto “telaio”).
I gesti ritmici (beats, secondo McNeill, 1985) sono colpetti in su e in giù delle mani (Figura
3), i quali accompagnano l'eloquio conferendogli enfasi e seguendo il ritmo dell'espressione
vocale del parlato (McClave, 1994).
36
Figura 3. Esempio di gesto ritmico.
I gesti “ideativi” si riferiscono invece al contenuto del discorso e includono gli emblemi e i
gesti illustratori (Ekman, Friesen, 1969). La categoria degli emblemi comprende tutti quei gesti
simbolici che hanno una diretta traduzione nella lingua parlata e sono quindi facilmente
comprensibili, specie da membri della stessa cultura (vedi Figura 4).
Figura 4. Esempio di gesto emblematico (gesto “a borsa”).
La categoria degli illustratori comprende gli iconici, i metaforici e i deittici (McNeill,
1992): gli iconici (Figura 5) sono gesti che riproducono la forma dell’oggetto di cui si sta
parlando, il quale è appunto il referente del parlato e del gesto stesso; i metaforici (Figura 6) si
riferiscono a concetti astratti; i deittici (Figura 7) sono gesti puntatori che indicano un oggetto
presente, sia nell’ambiente fisico in cui si trova il parlante, sia nell’ambiente del contenuto del
discorso. Questi gesti, in pratica, sono caratterizzati dal fatto di rappresentare diversi tipi di
referenti linguistici, appartenenti al mondo concreto (oggetti) nel caso degli iconici, a quello
astratto (idee) nel caso dei metaforici o a elementi della circostanza nella quale il soggetto si
esprime nel caso dei deittici.
Figura 5. Esempio di gesto “iconico” (le mani riproducono la forma di una scatola, menzionata nel verbale cooccorrente).
37
Figura 6. Esempio di gesto “metaforico” (il pugno chiuso è una metafora della forza, alla quale si fa
riferimento nel verbale co-occorrente).
Figura 7. Esempio di gesto deittico”.
Dei gesti “non connessi al discorso” fanno parte i gesti “adattatori” (Ekman, Friesen, 1969):
sono gesti di contatto, ai quali si attribuisce tradizionalmente lo scopo di soddisfare bisogni o
mantenere contatti interpersonali. Essi si distinguono in gesti “etero-adattatori”, vale a dire di
contatto con ciò che è esterno al soggetto (“oggetto-adattatori” in Figura 8 e “persona-adattatori”
in Figura 9), e gesti “auto-adattatori”, vale a dire di contatto tra due parti del proprio corpo
(Figura 10).
Figura 8. esempio di gesto “oggetto-adattatore”.
Figura 9. Esempio di gesto “persona-adattatore”.
38
Figura 10. Esempio di gesto “auto-adattatore”.
Costruzione del manuale di codifica
Il manuale di codifica è stato creato avvalendosi del supporto di un CD-ROM interattivo e
multimediale. Ciò consente al normale testo del manuale di essere corredato di importanti
informazioni sotto forma di immagini fotografiche, nonché di video e di audio riproducenti i
parlanti autori dei gesti; vale a dire di tutte quelle informazioni ritenute fondamentali per arrivare
a una comprensione completa e approfondita del sistema di codifica della gestualità della mani e
poter poi categorizzare correttamente ogni singola unità gestuale.
Con una breve introduzione sono riassunti i punti salienti del principio teorico di base da
cui è stata elaborata la tassonomia dei gesti e viene spiegato come si articola il manuale di
codifica.
La struttura del manuale di codifica digitale multimediale può essere schematizzata con il
diagramma di flusso (Schema A).
Le definizioni sono state estratte dalla letteratura e adattate al manuale con l’obiettivo di
distinguere le informazioni prettamente teoriche, per ottenere le definizioni concettuali, e gli
elementi osservabili utili all’individuazione di un gesto specifico, per ottenere le definizioni
operative.
Negli esempi vengono mostrati tre video per ciascuna categoria: uno di essi è selezionato
da filmati realizzati ad hoc in laboratorio e consente di illustrare l’esempio “ideale” di ciascuna
categoria di gesto; gli altri due sono invece tratti dai contesti reali osservati (politico, giudiziario e
o di simulazione) e consente di illustrare, per ogni categoria gestuale, un esempio “tipico” e un
esempio “problematico”. L’esempio ideale e l’esempio tipico permettono l’osservazione di gesti
considerati come univoci e quindi apprezzabili dall’osservatore in modo chiaro come esempi
“prototipici” di quella categoria (dunque gesti potenzialmente facili da categorizzare come
esemplari di quella categoria); l’esempio problematico riproduce invece un gesto potenzialmente
ambiguo che potrebbe portare a problemi di codificazione (dunque un gesto potenzialmente
difficile da categorizzare come esemplare di quella categoria). Per ogni categoria, quindi, i primi
due esempi chiariscono al meglio la descrizione di quella categoria, mentre il terzo esempio
fornisce un esempio di quegli esemplari che, pur discostandosi lievemente dalla definizione
operativa data, rientrano pur sempre nella categoria in questione e possono anzi risultare
frequenti nel reale svolgimento della gesticolazione.
Le foto riportate come esempio per illustrare ciascuna categoria sono state realizzate ad hoc
in laboratorio: esse sono tre o quattro per categoria e riproducono una sequenza prototipica della
categoria gestuale in questione.
La scelta degli estratti video rappresentanti le categorie di gesti da inserire nel cd rom è
stata operata in seguito al lavoro di codifica effettuato tramite osservazione sistematica. La
codifica ha, infatti, dato luogo a un gruppo di gesti individuati e codificati in accordo dagli
osservatori e a un gruppo di gesti codificati in disaccordo o non individuati da entrambi;
quest’ultimo insieme di gesti non è stato preso in considerazione per rappresentare le categorie
39
nel manuale digitale.
40
Schema A. Diagramma di flusso della struttura del manuale di codifica digitale multimediale.
HOME
Introduzione
o Introduzione teorica
o Strutturazione del manuale
Albero di codifica
o Gesti connessi al discorso:
definizione concettuale
definizione operativa
•
Gesti coesivi:
definizione concettuale
definizione operativa
Ciascuna sotto-categoria: esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
•
Gesti ritmici:
definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
•
Gesti ideativi: definizione concettuale
definizione operativa
Gesti emblematici: definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
Gesti illustratori:
definizione concettuale
definizione operativa
Gesti iconici:
definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
Gesti metaforici: definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
Gesti deittici:
definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
o
Gesti non connessi al discorso:
definizione concettuale
definizione operativa
•
Gesti auto-adattatori:
definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
•
Gesti etero-adattatori:
definizione concettuale
definizione operativa
Gesti oggetto-adattatori: definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in immagini video
esempi dei gesti in sequenze di foto
Gesti persona-adattatori:
definizione concettuale
definizione operativa
esempi dei gesti in video
esempi dei gesti in foto
Note di codifica
Bibliografia
Crediti
41
Successivamente si è proceduto alla trasposizione dei dati tratti dalle videocassette in
formato VHS a un supporto in formato QuickTime. Il testo e i filmati sono stati assemblati per la
progettazione e realizzazione del cd rom interattivo per mezzo del software di programmazione
Macromedia Flash MX.
3.4 Analisi dei dati
Sono state effettuate delle analisi statistiche dei dati per valutare l’attendibilità misurando
l’accordo tra osservatori nei diversi contesti. L’accordo tra osservatori sull’unità di codifica
(occorrenza del gesto, obiettivo 1a) è stato calcolato con la percentuale di accordo. L’accordo tra
osservatori sul sistema di codifica (la tassonomia dei gesti, obiettivo 1b), su ogni singola
categoria (obiettivo 2) e per ciascun contesto interattivo (obiettivo 3) è stato calcolato con il K di
Cohen (1960) che, come già ricordato, è il miglior indice d’accordo perché corregge per
l’accordo dovuto al caso (Gnisci, Bakeman, 2000). Dopo aver costruito le tabelle di confusione
per l’intero sistema di categorie, per ciascuna categoria e per ciascun contesto, l’indice K di
Cohen è stato calcolato mediante il programma per Windows ComKappa (Robinson, Bakeman,
1998).
3.5 Risultati
Il primo dato importante che emerge è l’elevata percentuale di accordo per unità di codifica
sul totale del materiale codificato, pari a 91.6%. Secondo la scala di valutazione di Fleiss (1981)
questo valore può essere considerato “eccellente”. L’obiettivo 1a dello studio è stato così
raggiunto. Questo risultato riflette un accordo soddisfacente tra gli osservatori circa la
presenza/assenza dei gesti e rappresenta un importante elemento di supporto per l’unità d’analisi
della tassonomia.
Nella Tabella I viene presentata la matrice di confusione, nella quale sono indicati i dati
rilevati dai due osservatori (O1 e O2), vale a dire i gesti codificati da entrambi gli osservatori (x)
in relazione ai gesti non codificati da uno dei due osservatori (non-x).
Tabella I. Matrice di confusione di tutti i gesti osservati nei cinque contesti dai due osservatori indipendenti
(O1 e O2): numero di frequenze e di frequenze percentuali della comparsa del gesto rilevata dai due
osservatori indipendenti O1 e O2 (“x” = gesto; “non-x” = nessun gesto).
O1
O2
O1
x
non-x
x
3462
150
3612
non-x
167
0
167
150
3779
3629
O2
x
non-x
x
91,60%
4,00%
95,60%
non-x
4,40%
0
4,40%
96,00%
4,00%
100%
42
Come si può notare, sono presenti un’alta frequenza all’interno della matrice di confusione
nella cella O1 x /O2 x, a indicare accordo tra gli osservatori nell’individuazione dell’unità di
codifica (il gesto), e basse frequenze nelle celle di disaccordo.
Il numero dei casi nei quali il gesto è stato percepito da un solo osservatore è pari circa
all’8,4% del totale dei gesti percepiti. Tale valore indica un livello di disaccordo
nell’identificazione del gesto da non trascurare, ma che non va a interferire con un generale
accordo sui gesti. A tale dato corrisponde infatti un generale accordo soddisfacente sui gesti
(91,6%) quando questi sono codificati da entrambi.
La Tabella II mostra la matrice di confusione delle codifiche dei due osservatori (O1 e O2),
composta da tutte le categorie specifiche della classificazione adottata compresa la categoria “0”
(“zero”), la quale indica quando il gesto è codificato da un solo osservatore. Nella diagonale della
matrice è possibile individuare gli accordi su ciascuna categoria.
L’ accordo totale su tutte le categorie del sistema di classificazione è stato calcolato con il
K di Cohen. Vengono presentati due indici di accordo: un indice K calcolato considerando tutte le
categorie inclusa la categoria “zero” e un indice K calcolato non considerando la categoria zero
(d’ora in poi chiamato “senza zero”). La categoria “zero” corrisponde alla categoria “nessun
gesto” ed è stata introdotta per descrivere quei casi ove un osservatore codifica un gesto in una
specifica categoria mentre l’altro osservatore non rileva alcun gesto (e quindi non effettua alcuna
codifica in corrispondenza di tale unità). L’accordo su categorie specifiche con lo zero è di K=
.71, mentre l’accordo senza lo zero è di K= .78.
O2
Tabella II. Matrice di confusione, composta dal numero totale delle categorie inclusa la categoria “zero”, nella
quale sono indicati i dati rilevati dai due osservatori (O1 e O2).
O1
ch ma te s mu pe p va1 va2 r
e
ic
mt
d
dc
oa
au
0
ch 13 0
2
0
0
0
0
0
0
1
2
0
0
0
0
0
0
3
ma 1 13 21 0
1
1
0
0
4
1
0
0
6
1
0
0
0
0
te 11 0 17 0
0
1
0
0
0
1
1
1
1
0
0
0
0
1
s
0
0
0 19 0
1
1
0
0
1
0
0
2
0
0
0
1
3
mu 4
0
0
2 126 25 0
4
0
6
1
0
11 11
0
0
0
7
pe 0
0
0
0
1 49 0
0
0
3
0
0
2
1
0
0
0
2
p
0
0
0
0
0
1 28 0
0
2
3
0
7
2
0
0
0
6
va1 0
0
0
0
0
6
0 62 0
1
9
0
1
9
2
0
0
6
va2 0
0
0
0
0
3
0
0 11 0
3
0
1
4
0
0
2
1
r
5
0
3
9
3
6
5
3
0 288 12
3
8
31
6
2
1
44
e
2
1
0
0
0
0
0
3
0
4 227 0
11
3
0
2
2
7
ic 0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
60
3
0
0
0
0
0
mt 0
1
3
4 11 6
1
5
0 11 29
1 423 26
5
1
3
16
d
0
0
0
1
3
5
2
3
0
9
4
0
34 576 26
1
1
20
dc 0
0
1
2
7
8
2
2
0 27
2
0
7
33 115
0
0
10
oa 0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
242
7
19
au 1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
1
0
0
1
0
4
476 19
0
2
0
5
3
4 12 2
1
0 19
8
0
14 32
3
19
26
0
Pur tenendo conto del primo valore di accordo ottenuto (K= .71), si può tuttavia tenere in
maggior considerazione il secondo (K= .78), poiché prendere in esame l’accordo senza la
categoria zero vuol dire non considerare i casi in cui un gesto è codificato da un solo osservatore.
43
Tuttavia, come mostra la Tabella I, la percentuale di questi casi è piuttosto bassa (8,4%) rispetto
ai casi in cui entrambi gli osservatori codificano un gesto (91,6%); dunque il secondo indice di
accordo risulta abbastanza rappresentativo dell’accordo interosservatori sul sistema di categorie.
L’obiettivo 1b dello studio è stato dunque raggiunto.
Di seguito vengono discussi i risultati per le categorie specifiche (sottocategorie). Nella
Tabella III (a-q) sono riportate le matrici di confusione con le frequenze per ciascuna categoria e i
relativi valori di accordo calcolati “con zero” e “senza zero”.
Tabella III (a-q). Tabelle per l’accordo su ciascuna categoria specifica “con zero” e “senza zero” (“&” = altro gesto).
Tab. III a – accordo sulla categoria chele (ch)
O1
O2
ch
&
ch
13
28
41
&
8
3730 3738
21
3758 3779
K “con zero” = 0,4151
O1
O2
ch
&
ch
26
39
13
&
5
3418 3423
18
3444 3462
K “senza zero” = 0,4522
Tab. III b – accordo sulla categoria matassa (ma)
O1
O2
ma
&
ma
13
2
15
&
36
3728 3764
49
3730 3779
K “con zero” = 0,4026
O1
O2
ma
&
ma
2
15
13
&
36
3411 3447
49
3413 3462
K “senza zero” = 0,4023
Tab. III c – accordo sulla categoria telaio (te)
O1
O2
te
&
te
17
35
52
&
17
3710 3727
34
3745 3779
K “con zero” = 0,3887
O1
O2
te
&
te
35
52
17
&
16
3394 3410
33
3429 3462
K “senza zero” = 0,3929
Tab. III d – accordo sulla categoria stella (s)
O1
O2
S
&
s
19
21
40
&
9
3730 3739
28
3751 3779
K “con zero” = 0,5549
O1
O2
s
&
s
21
40
19
&
6
3416 3422
25
3437 3462
K “senza zero” = 0,5809
44
Tab. III e – accordo sulla categoria mulinello (mu)
O1
O2
mu
&
mu
126
33
159
&
71
3549 3620
197 3582 3779
K “con zero” = 0,6936
O1
O2
mu
&
mu
33
159
126
&
64
3239 3303
190 3272 3462
K “senza zero” = 0,7074
Tab. III f – accordo sulla categoria pennello (pe)
O1
O2
pe
&
pe
49
80
129
&
9
3641 3650
58
3721 3779
K “con zero” = 0,5138
O1
O2
pe
&
pe
80
129
49
&
7
3326 3333
56
3406 3462
K “senza zero” = 0,5189
Tab. III g – accordo sulla categoria pinza (p)
O1
O2
p
&
p
28
13
41
&
21
3717 3738
49
3730 3779
K “con zero” = 0,6177
O1
O2
p
&
p
13
41
28
&
15
3406 3421
43
3419 3462
K “senza zero” = 0,6626
Tab. III h – accordo sulla categoria vassoio a una mano (va1)
O1
O2
va1
&
va1
62
25
87
&
34
3658 3692
96
3683 3779
K “con zero” = 0,6696
O1
O2
va1
&
va1
62
25
87
&
28
3347 3375
90
3372 3462
K “senza zero” = 0,6927
Tab. III i – accordo sulla categoria vassoio a due mani (va2)
O1
O2
va2
&
va2
11
4
15
&
14
3750 3764
25
3754 3779
K “con zero” = 0,5478
O1
O2
va2
&
va2
4
15
11
&
13
3434 3447
24
3438 3462
K “senza zero” = 0,5618
45
Tab. III j – accordo sulla categoria deittici coesivi (dc)
O1
O2
dc
&
dc
42
157
115
&
101 3521 3622
216 3563 3779
K “con zero” = 0,5972
O1
O2
dc
&
dc
42
157
115
&
91
3214 3305
206 3256 3462
K “senza zero” = 0,6137
Tab. III k – accordo sulla categoria ritmici (r)
O1
O2
r
&
r
82
370
288
&
133 3276 3409
421 3358 3779
K “con zero” = 0,6966
O1
O2
r
&
r
288
82
370
&
91
3001 3092
379 3083 3462
K “senza zero” = 0,7410
Tab. III l – accordo sulla categoria emblematici (e)
O1
O2
e
&
e
76
303
277
&
34
3442 3476
261 3518 3779
K “con zero” = 0,7893
O1
O2
e
&
e
76
303
227
&
27
3132 3159
254 3208 3462
K “senza zero” = 0,7990
Tab. III m – accordo sulla categoria iconici (ic)
O1
O2
ic
&
ic
5
60
65
&
3
3711 3714
63
3716 3779
K “con zero” = 0,9364
O1
O2
ic
&
ic
5
65
60
&
3
3394 3397
63
3399 3462
K “senza zero” = 0,9363
Tab. III n – accordo sulla categoria metaforici (mt)
O1
O2
mt
&
mt
423
121
544
&
123 3112 3235
546 3233 3779
K “con zero” = 0,7384
O1
O2
mt
&
mt
121
544
423
&
107 2811 2918
530 2932 3462
K “senza zero” = 0,7487
46
Tab. III o – accordo sulla categoria deittici (d)
O1
O2
d
&
d
158
576
734
&
109 2936 3045
685 3094 3779
K “con zero” = 0,7684
O1
O2
d
&
d
158
734
576
&
89
2639 2728
665 2797 3462
K “senza zero” = 0,7789
Tab. III p – accordo sulla categoria oggetto-adattatori (oa)
O1
O2
oa
&
oa
271
242
29
&
27
3481 3508
269 3510 3779
K “con zero” = 0,8883
O1
O2
oa
&
oa
242
29
271
&
8
3183 3191
250 3212 3462
K “senza zero” = 0,9232
Tab. III q – accordo sulla categoria auto-adattatori (au)
O1
O2
au
&
au
476
44
520
&
27
3232 3259
503 3276 3779
K “con zero” = 0,9197
O1
O2
au
&
au
44
520
476
&
8
2934 2942
484 2978 3462
K “senza zero” = 0,9394
Se si fa riferimento solo ai gesti codificati da entrambi gli osservatori (91,6%, “senza
zero”), sintetizzando, gli indici di accordo K di Cohen sono quelli indicati dalla Tabella IV e
mostrati nel Grafico 1.
Tabella IV. Indici di K per ciascuna categoria.
gesto
K
chele
0,4522
matassa
0,4023
telaio
0,3929
stella
0,5809
mulinello
0,7074
pennello
0,5189
pinza
0,6626
vassoio 1
0,6927
vassoio 2
0,5618
ritmici
0,7410
emblematici
0,7990
iconici
0,9363
metaforici
0,7487
deittici
0,7789
deittici-coesivi
0,6137
oggettto-adattatori
0,9232
auto-adattatori
0,9394
K totale
0,7843
47
Grafico 1. Valori di accordo K senza zero calcolati per ciascuna categoria.
1
0,9
0,8
0,7
K
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
t
to
K
m
ch
el
e
at
as
sa
te
la
io
st
el
la
m
ul
in
el
pe l o
nn
el
lo
pi
nz
va
a
ss
oi
o
1
va
ss
de
oi
o
itt
2
ic
i -c
oe
si
vi
rit
em mic
i
bl
em
at
ic
i
ic
on
ic
m
i
et
af
or
ic
og
i
ge
de
ttt
i
t
ot
ad ici
at
au
ta
to
to
-a
da ri
tta
to
ri
0
Gesti
Come è possibile notare anche dalla Tabella IV e dal Grafico 1 gli indici di accordo
maggiormente problematici risultano essere quelli relativi alle sottocategorie dei gesti coesivi
(chete, matassa, telaio e pennello), le quali, ricordiamo, si distinguono fra loro soltanto per la
forma che assume la mano o il suo movimento durante il gesto stesso. Tale problematicità ha reso
essenziale un’analisi più approfondita soprattutto per quelle sotto-categorie specifiche ove K <
.60, mettendo a confronto le osservazione effettuate dai due osservatori (O1 e O2), come mostrato
in Tabella V.
Per le codifiche di chele, matassa e telaio si può notare che le frequenze distribuite sulla
diagonale non si discostano in modo molto evidente da alcune frequenze al di fuori di essa.
Poiché si tratta di tre gesti eseguiti con due mani, si può ipotizzare che questi vengano
difficilmente distinti dagli osservatori durante la codifica. Osservando la Tabella V e
confrontandola con la Tabella II (matrice di confusione generale) si può desumere che O2 tende a
codificare il gesto chele con il gesto telaio, mentre O1 la matassa con il telaio: in generale quindi
il gesto telaio viene “confuso” con chela e matassa. Per quanto riguarda la categoria pennello, le
frequenze nella matrice di confusione indicano per i due osservatori valori distanti tra loro: in
altre parole vi è uno scarto elevato nella quantità di gesti pennello rilevati dai due giudici Questo
significa che al verificarsi del gesto entrambi gli osservatori lo percepiscono ma lo codificano
sistematicamente in categorie differenti; inoltre, uno dei due osservatori (O1 = 129) percepisce
un numero maggiore di gesti pennello rispetto all’altro (O2 = 58).
Le sottocategorie dei gesti coesivi vengono quindi confuse fra loro dagli osservatori. A
dimostrazione di ciò è riportata la Tabella VI con la matrice di confusione e indice di accordo per
la sovracategoria gesti coesivi, il quale risulta accettabile (K = .76).
48
Tabella V. Valori di K: confronti fra le osservazioni di O1 e O2 per le categorie di gesti coesivi con indice di accordo
problematico.
gestoK con 0
K senza 0
O2
O1
O2 e non O1 O1 e non O2 solo O1 o O2
chele 0,4292
0,4524
21
39
8
26
34
matassa 0,4026
0,4024
49
15
36
2
38
telaio 0,3887
0,3932
34
52
17
35
52
pennello 0,5138
0,5193
58
129
7
80
87
Tabella VI– accordo sulla sovra-categoria coesivi (c)
O2
c
O1
c
&
428
120
548
&
100
2814
2914
528
2934
3462
K = 0,76
Per quanto riguarda tutte le altre categorie specifiche, come rivelano la Tabella IV e il
Grafico 1, i valori di K risultano accettabili (K > .75).
Va inoltre sottolineato il fatto che non si sia mai verificato il gesto persona-adattatore. Ciò
si può facilmente spiegare come conseguenza di fattori situazionali: i contesti studiati infatti non
favorivano questo tipo di gestualità sia per la mancanza di contiguità fisica tra gli interlocutori,
sia per l’assenza di un legame stretto tra i soggetti osservati nelle videoregistrazioni, limitandosi,
la loro interazione, per lo più solo al momento della discussione in corso. Ferme restando queste
precisazioni, e con le eccezioni summenzionate, in generale si possono ritenere adeguati gli indici
di accordo K nella individuazione e codifica delle categorie specifiche, portando così al
raggiungimento dell’obiettivo 1c del presente studio.
In secondo luogo, vanno fatte delle considerazioni a livello di categorie generali. Per
ottenere informazioni su categorie generali si sono ricavate, dalla matrice di confusione presentata
nella Tabella II, delle matrici con un numero di codici minore del totale, accorpando determinate
categorie nelle sovra-categorie descritte precedentemente (vedere la Figura 1 nel paragrafo della
procedura) sulle quali poter calcolare gli indici di accordo. La Tabella VII mostra la matrice di
confusione rispetto al sistema con le categorie accorpate dei gesti coesivi e il relativo indice K, il
quale risulta abbastanza alto (K= .82), anche rispetto all’indice di accordo sull’intero sistema di
categorie, con le categorie specifiche dei gesti coesivi (K = . 78).
O2
Tabella VII. Matrice di confusione e indice K con le categorie dei gesti coesivi accorpati in un’unica
categoria.
O1
coesivi
ritmici emblematici iconici metaforici deittici adattatori
totale
coesivi
428
18
19
1
31
28
3
528
ritmici
67
503
15
3
28
68
4
688
emblematici
6
3
227
0
11
3
4
254
iconici
0
0
0
60
3
0
0
63
metaforici
31
16
29
1
423
26
4
530
deittici
14
35
4
0
34
576
2
665
adattatori
2
1
1
0
0
1
729
734
totale
548
576
295
65
530
702
746
3462
K = . 82
49
Nella matrice di confusione mostrata in Tabella VIII sono stati accorpati i tre gesti illustratori
(iconici, metaforici e deittici), e il valore di accordo K risulta in questo caso pari a .85.
Tabella VIII. Matrice di confusione e indice K con le categorie dei gesti illustratori accorpati in un’unica
categoria.
O1
coesivi
ritmici
emblematici illustratori adattatori
O2
coesivi
428
18
19
60
3
528
ritmici
67
503
15
99
4
688
emblematici
6
3
227
14
4
254
illustratori
14
35
4
1123
2
1178
adattatori
2
1
1
1
729
734
517
560
266
1297
742
3462
K = . 85
Infine la Tabella IX mostra la matrice di confusione rispetto al sistema delle categorie
generali della tassonomia e l’indice K, in questo caso, risulta pari a .86.
Si può concludere, dunque, che il maggiore disaccordo tra gli osservatori è riscontrabile
all’interno delle categorie generali, vale a dire tra alcune delle rispettive sotto-categorie.
L’attendibilità del sistema di codifica migliora e risulta pienamente soddisfacente se si
considerano le categorie di gesti gerarchicamente sovraordinate.
Tabella IX. Matrice di confusione e indice K con le categorie dei generali della tassonomia.
O1
coesivi
ritmici
ideativi
adattatori
O2
coesivi
428
18
79
3
ritmici
67
503
114
4
ideativi
14
35
1368
2
adattatori
2
1
2
729
511
557
1297
738
K = . 86
528
688
1419
734
3462
Tenendo in considerazione la matrice di confusione come in Tabella VII, vale a dire con le
categorie di gesti coesivi accorpate in un’unica categoria a fianco delle altre categorie specifiche
dei gesti (ritmici, emblematici, iconici, metaforici, deittici, adattatori), sono stati calcolati gli
indici di accordo sul sistema di categorie per ogni contesto osservato. Tale livello di
categorizzazione può essere prescelto in quanto è quello che consente di perseguire il grado
massimo possibile di dettaglio delle categorie nelle quali i gesti vengono codificati preservando
un indice di attendibilità elevato. I risultati sono mostrati in Tabella X.
Osservando la Tabella X è possibile affermare che il sistema di categorie nel livello
proposto risulta attendibile (K > .75) in ciascuno dei cinque contesti (due “naturali”, tre
“simulati”) osservati. Tuttavia è possibile notare che per il contesto “Simulazione di
interrogatorio” l’indice K di accordo risulta più basso rispetto a quello rilevato negli altri contesti:
ciò nondimeno tale indice risulta accettabile, dunque non problematico, rispetto all’accezione,
considerata la più restrittiva, di Bakeman e Gottman (1997). Anche nel caso delle simulazioni in
gruppo l’indice risulta un po’ inferiore agli altri contesti: ciò può essere interpretato in relazione
al maggior numero di interagenti che venivano osservati, il quale comporta ovviamento un
aumento della difficoltà della codifica per l’osservatore. È dunque possibile affermare che anche
l’obiettivo 1d, relativo all’attendibilità del sistema di codifica nei diversi contesti interattivi
50
osservati, risulta raggiunto.
Tabella X. Indici di accordo tra osservatori sul sistema di categorie nei diversi contesti.
Contesto
K
Interviste politiche
0,88
Interrogatori giudiziari
0,86
Simulazioni in gruppo
0,78
Simulazioni in diade
0,85
Simulazioni di interrogatori
0,75
K totale
0,82
3.6 Il Manuale digitale di codifica
Il manuale digitale dei gesti delle mani è stato sviluppato su supporto cd-rom interattivo
multimediale ed è così costituito:
a) una breve introduzione, con ipertesto, che riassume i punti salienti dei principi teorici
di base da cui è stata elaborata la tassonomia, con riferimenti bibliografici della
letteratura in merito;
b) un conciso paragrafo-scheda per ogni categoria di gesti, includente una definizione
concettuale e una operativa nonché, per i gesti coesivi, la descrizione verbale del
movimento compiuto dalla/e mano/i;
c) tre esempi (“ideale”, “prototipico”, “problematico”, cfr. par. 3.3) dei gesti, sempre per
ciascuna categoria, sotto forma di immagini video tratte da filmati realizzati ad hoc e
dal campione di materiale analizzato;
d) esempio del gesto, per ciascuna categoria, tramite sequenza di tre o quattro foto,
realizzate ad hoc in laboratorio, atta a mostrare la forma e il movimento “prototipici”
del gesto;
e) note sulla codifica e sui possibili problemi che potrebbero sorgere durante la fase di
assegnazione di un codice a ciascun gesto.
Di seguito sono presentate delle figure illustranti le “videate” dell’interfaccia grafica
sviluppata (nelle quali ovviamente non è stato possibile rendere i movimenti e i suoni che
compaiono quando si utilizza il CD-ROM).
La Figura 11 mostra l’interfaccia della pagina d’apertura del manuale (Home).
51
Figura 11. Pagina d’apertura del manuale digitale di codifica.
Entrando nella sezione “introduzione” è possibile leggere i due paragrafi che la
compongono (Introduzione teorica e Strutturazione del manuale). La Figura 12 presenta una
pagina della sezione Introduzione. Da questa sezione è sempre possibile accedere, attraverso un
menù (a sinistra della pagina) alle altre sezioni del manuale.
Figura 12. La pagina della sezione “introduzione”
La sezione “albero di codifica” è la parte centrale del manuale poiché da qui si accede alla
presentazione dell’albero di codifica del sistema di categorie (Figura 13), il quale rappresenta le
relazioni gerarchiche tra le diverse categorie di gesti: dalle macrocategorie alle categorie generali
fino alle sotto-categorie. Anche da questa pagina è possibile spostarsi a una delle altre sezioni,
tramite il menù, questa volta posto in basso alla pagina.
52
Figura 13. Albero di codifica del sistema di categorie.
Selezionando ciascuna di queste categorie è possibile entrare nei relativi paragrafi in cui i
gesti sono presentati in maniera multimediale, vale a dire tramite diversi canali audio e video.
Nella Figura 14, ad esempio, è mostrata la pagina a cui si accede selezionando il link
“CONNESSI AL DISCORSO”. Questa pagina, come già anticipato nel paragrafo 3.3 inerente la
procedura di ricerca, presenta la definizione concettuale e la definizione operativa della macrocategoria selezionata (ovviamente lo stesso vale per “NON CONNESSI AL DISCORSO”). Da
questa pagina è possibile accedere, sempre tramite il menù a sinistra, a un’altra sezione del
manuale oppure tornare indietro all’albero di codifica, da cui è possibile accedere alle altre
categorie di gesti.
Figura 14. Definizioni della macrocategoria “Gesti connessi al discorso”.
53
Se, invece, dall’albero si seleziona una categoria più specifica, ad esempio “coesivi”, si
entra in una pagina ove sono presentate le definizioni, concettuale e operativa, della categoria, e
da ove è possibile, selezionando una delle sotto-categorie dei coesivi da un menù posto sulla
destra della pagina, andare alla relativa pagina di descrizione. La Figura 15, per esempio, illustra
la pagina dei “Coesivi”, nella quale è stato selezionato il gesto “matassa”. Come si può vedere
dalla figura, nella pagina è presente una sequenza di quattro fotografie che mostrano il
movimento delle mani durante l’esecuzione del gesto “matassa”, con accanto una breve
definizione del movimento. Come già anticipato, le fotografie sono state realizzate ad hoc in
laboratorio con l’obiettivo di mostrare il movimento ideale del gesto. Da questa pagina è
possibile, attraverso un apposito link rappresentato da una mano disegnata, tornare all’albero di
codifica. Vi è inoltre un link “video”, il quale, se selezionato, porta alla pagina dei video (Figure
16-18).
Figura 15. Definizione dei gesti coesivi e fotografia del gesto “matassa”
La Figura 16 presenta l’interfaccia durante la riproduzione del primo dei tre brevi filmati
che sono utilizzati a supporto dell’illustrazione di ciascuna categoria di gesto; inoltre, sopra alla
finestra nella quale appare ciascun filmato, viene riportato una trascrizione del contenuto verbale
pronunziato dal parlante durante l’esecuzione del gesto.
Per ogni categoria, il primo filmato è selezionato da alcuni video realizzati ad hoc in
laboratorio (si tratta di spezzoni dei medesimi video utilizzati poi come messaggi stimolo per lo
Studio 3 della presente ricerca; cfr. capitolo 5). Questi filmati, interpretati da un’attrice
professionista, rappresentano il movimento ideale del gesto di ciascuna categoria.
La Figura 17 presenta l’interfaccia durante la riproduzione del filmato relativo all’esempio
“reale” della categoria “matassa”. L’esempio “reale” utilizzato per ciascuna categoria rappresenta
un esempio prototipico della categoria di gesto tratto dai contesti interattivi osservati per la
validazione del sistema di categorie; nell’esempio della figura 17 si tratta delle interviste
televisive ai politici: il leader in questione è S. Berlusconi.
La Figura 18 presenta la riproduzione del terzo filmato, l’esempio “problematico” della
categoria in questione, il gesto “matassa”; questo filmato riguarda un esempio di gesto che rientra
nella categoria in questione, ma risulta un po’ ambiguo per la codifica. In questo specifico caso,
54
la difficoltà è dovuta alla velocità con la quale viene eseguito il gesto e alla brevità dello stesso.
Anche questo è tratto dal contesto delle interviste televisive al leader politico Berlusconi.
Figura 16. Riproduzione del filmato relativo all’esempio “ideale” della categoria “matassa”.
Figura 17. Riproduzione del filmato relativo all’esempio “reale” della categoria “matassa”.
55
Figura 18. Riproduzione del filmato relativo all’esempio “problematico” della categoria “matassa”.
A mo’ d’esempio (e in rispetto della par condicio) sono presentate di seguito le figure
rappresentanti lo stesso tipo di percorso interattivo (Figure 19-23) partendo questa volta,
nell’albero di codifica, dai gesti ideativi e in particolare dalla categoria gesti “illustratori”, fino
alla sotto-categoria gesti “deittici” con il consueto tipo di esempi (“ideale”, “reale”,
“problematico”) in formato audio-video e fotografico.
In questo caso, il contesto da cui sono tratti gli esempi “reale” e “problematico” sono le
interviste al leader politico F. Rutelli. In questo particolare esempio, la problematicità del terzo
filmato è data soltanto dal fatto che non è il dito a “puntare” il referente, come è tipico del gesto
deittico, ma l’intera mano del parlante.
Figura 19. Definizioni della categoria generale gesti “illustratori”.
56
Figura 20. Definizioni e fotografia della sotto-categoria gesti “deittici”.
Figura 21. Riproduzione del filmato relativo all’esempio “ideale” della categoria “deittici”.
57
Figura 22. Riproduzione del filmato relativo all’esempio “reale” della categoria “deittici”.
Figura 23. Riproduzione del filmato relativo all’esempio “problematico” della categoria “deittici”.
Tutta la sezione “albero di codifica” presenta gli esempi in formato multimediale di tutte le
categorie dei gesti del sistema di codifica secondo lo schema presentato negli esempi precedenti.
La distribuzione degli esempi video non risulta omogenea per tutti i contesti, poiché si è
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scelto di dare la priorità alla qualità delle immagini a disposizione, a favore di una migliore
visione e comprensione del gesto, piuttosto che alla uniformità del campione.
La Figura 24 mostra una parte della sezione “Note di codifica”, che tratta alcune
indicazioni pratiche e consigli di ausilio per la codifica, nonché problematiche, difficoltà e/o
ambiguità che si possono incontrare nell’osservazione e codifica dei gesti delle mani nelle
interazioni sociali.
Infine, la Figura 25 presenta l’interfaccia della prima pagina della sezione “Bibliografia”
con i riferimenti bibliografici degli autori citati nell’“Introduzione teorica”.
Il risultato prodotto è un cd rom interattivo con scopo divulgativo e didattico che offre, a
chi nutre interesse nel settore della comunicazione non verbale in generale e per la gestualità
delle mani in particolare, uno strumento per facilitare la comprensione e l’impiego della
tassonomia.
Figura 24. Prima pagina della sezione “note di codifica”.
Figura 25. Prima pagina della sezione “Bibliografia”.
59
3.7 Discussione
Il sistema di codifica dei gesti delle mani preso in considerazione in questo studio integra e
sintetizza diverse classificazioni di gesti presenti in letteratura (in particolare, Ekman, Friesen,
1969; McNeill, 1985; Contento, 1999b; cfr. Bonaiuto et al., 2002), con l’obiettivo di individuare
un sistema di categorie utile per la codifica dei gesti delle mani nella ricerca osservativa e per
l’analisi dei gesti nei contesti sociali di comunicazione.
Gli indici di accordo tra osservatori indipendenti calcolati per misurare l’attendibilità del
sistema di codifica utilizzato in questa ricerca risultano nella stragrande maggioranza
soddisfacenti (rispetto al criterio di Bakeman, Gottman, 1997, i quali consigliano di considerare
come appropriato un valore di K superiore o uguale a .75), in particolare se si prendono in
considerazione le categorie generali dei gesti (coesivi, illustratori, emblematici e adattatori)
presenti nel sistema.
I risultati sull’accordo tra gli osservatori, dunque, sia sulla presenza/assenza dei gesti, sia
sull'individuazione della categoria del gesto tra quelle presenti nel sistema di codifica, valutato in
ciascun contesto sociale studiato, dimostrano l'attendibilità della tassonomia dei gesti delle mani.
Questi risultati non solo permettono l’utilizzo di questa tassonomia dei gesti come strumento
elettivo per la codifica e lo studio dei gesti delle mani in diversi contesti sociali di
comunicazione, ma indicano anche l’esistenza di una struttura differenziata e gerarchicamente
articolata della gestualità delle mani, la quale si manifesta in diverse e numerose forme. È
plausibile ipotizzare che tale differenziazione nei gesti delle mani possa corrispondere a una
differenziazione funzionale degli stessi nell’interazione sociale e nella comunicazione. La
verifica di tale ipotesi rappresenta l’obiettivo principale del secondo studio di questa ricerca. Per
quanto riguarda il presente studio si può concludere che l’obiettivo della misura dell’attendibilità
della tassonomia dei gesti delle mani risulta completamente raggiunto a livello generale e
intermedio della tassonomia (a livello cioè di categorie e sovracategorie), mentre l’attendibilità di
alcune sottocategorie dei gesti coesivi richiede certamente di essere migliorata.
Infatti, “il concetto di base dell’attendibilità relativa ad un sistema di codifica è quello
dell’accordo: se due osservatori che osservano lo stesso materiale vanno d’accordo, allora il
sistema può dirsi attendibile, se due osservatori non vanno d’accordo, allora il sistema di
categorie non può dirsi attendibile” (Pedon, Gnisci, 2004, p. 214); e, sebbene alcuni autori non
concordino con questo approccio, sostenendo che le possibili fonti di errore negli studi
osservativi possono essere anche altre (Pedhazur, Pedhazur Schmelkin, 1991), tutti gli autori
convengono almeno sul fatto che l’accordo sia il sine qua non dell’attendibilità, cioè la
condizione necessaria anche se non sufficiente senza la quale non possa esistere attendibilità
(Bakeman, Gottman, 1997). Poiché gli indici di accordo tra osservatori non sono necessariamente
indici di attendibilità, dunque, è auspicabile in studi futuri la valutazione dell'attendibilità del
sistema di categorie dei gesti qui studiato tramite l’aggiunta di un protocollo standard al manuale
digitale di codifica (cfr. Bakeman, Gottman, 1997).
Un merito importante di questo studio è di aver verificato il funzionamento e l’attendibilità
del sistema di categorie dei gesti in cinque diversi contesti sociali, contrariamente agli studi nel
settore che vertono quasi esclusivamente su un solo contesto alla volta (per esempio, Beattie,
Shovelton, 2000; 2002a; Bavelas et al., 1995; Contento, Stame, 1997; Feyereisen, Havard, 1999).
Gli alti punteggi degli indici di accordo calcolati in tutti i contesti confermano non solo
l’attendibilità del sistema, ma la bontà di questo come strumento di osservazione e studio dei
gesti in diverse situazioni sociali di comunicazione, facendo supporre una certa stabilità nella
“qualità” di utilizzo della gestualità delle mani in diversi ambiti d’interazione sociale. Questo
60
aspetto, che conferisce una maggiore generalizzazione ai risultati ottenuti, dovrà essere poi
sottoposto a una verifica più completa tramite un'analisi della generalizzabilità (Cronbach et al.,
1972), già in progetto nello sviluppo dello studio, tramite la quale si potrà valutare se e quanto
questo sistema di categorie discrimina tra i soggetti o i contesti osservati (variabilità between) e
tra le categorie di gesti, piuttosto che tra gli osservatori (variabilità within).
Per quanto riguarda il manuale di codifica che fa riferimento al sistema di categorie dei
gesti verificato, questo è stato sviluppato in formato digitale, ma in ottemperanza ai criteri
metodologici tradizionali per la costruzione di un manuale (cfr. Gnisci, Bakeman, 2000): dunque,
con una descrizione del fenomeno studiato articolata nelle definizioni concettuali e operative
delle diverse categorie dei gesti e con esempi ideali, reali o tipici e problematici delle stesse; e
con il vantaggio che il supporto digitale in cd-rom interattivo permette di aggiungere al testo del
manuale di codifica importanti informazioni sotto forma di esempi fotografici e audiovisivi, i
quali sono fondamentali per arrivare a una comprensione completa e approfondita del sistema di
codifica della gestualità della mani e quindi a una migliore condivisione dello stesso. Alcuni
autori, infatti, sostengono che nella ricerca osservativa sarebbe auspicabile che la comunità
scientifica disponesse di strumenti condivisi per permettere ai ricercatori di confrontare i propri
dati e risultati con quelli altrui (Gnisci, Bakeman, 2000).
Una miglioria già in progetto per lo sviluppo del manuale informatico riguarda l’aggiunta
di una sezione esercitativa per l'utente, finalizzata all'addestramento all'utilizzo della tassonomia
per la codifica dei gesti delle mani nelle interazioni sociali, con calcolo dell'attendibilità in
riferimento a un protocollo standard di codifica. In questo modo sarà possibile confrontare
l’attendibilità della codifica di osservatori che si sono addestrati solo con il supporto del manuale
informatico, con l’attendibilità della codifica di osservatori addestrati con il metodo tradizionale
(manuale di codifica cartaceo e confronto diretto con i componenti del gruppo di ricerca). Questo
permetterà anche di attuare, prima dell’eventuale distribuzione del manuale digitale, una
sperimentazione dello stesso, con l’obiettivo di verificarne l’efficacia espositiva nonché didattica.
61
4. STUDIO 2: Coordinazione e co-occorrenza verbale-gestuale in diversi contesti interattivi
4.1 Introduzione
L’obiettivo del secondo studio del progetto di ricerca è di tipo descrittivo e correlazionale e
riguarda l’analisi del legame tra gesto e linguaggio parlato: ciò allo scopo di chiarire le funzioni
dei gesti sulla base delle loro associazioni con diversi aspetti verbali, le funzioni dei quali siano
già note in letteratura. Questo approccio poggia sul presupposto teorico, sostenuto da McNeill
(1992) secondo il quale, come già ricordato, la produzione discorsiva sarebbe il frutto di un
processo dinamico caratterizzato dalla coordinazione di due tipi di attività mentali: pensiero per
immagine (imagistic) e pensiero sintattico (syntactic). Il pensiero sintattico corrisponde alla parte
linguistica, è lineare e segmentato; il pensiero per immagine corrisponde alla parte gestuale del
linguaggio. Questi due aspetti cooperano alla costruzione del senso e della struttura complessivi
del discorso. I gesti e il parlato possono quindi essere considerati come due canali diversi dai
quali poter osservare lo stesso fenomeno discorsivo, in quanto i gesti partecipano, insieme alle
parole, alla realizzazione della pianificazione linguistica.
D’altro canto, è importante notare come alcune funzioni discorsive possano essere presenti
tanto sul piano verbale quanto su quello non verbale. Ad esempio, secondo la linguistica, la
rappresentazione globale del discorso è marcata linguisticamente attraverso degli elementi
(particelle pragmatiche, ripetizioni, coreferenzialità, ecc.) che agiscono in qualità di marcatori di
coesione e di coerenza del discorso (Contento, 1998). Analogamente, anche nell’espressione
gestuale è possibile identificare gesti che hanno la funzione di contribuire alla costruzione della
coesione discorsiva, che hanno cioè la funzione di “legare” assieme le espressioni verbali (come
ad esempio i gesti coesivi descritti da McNeill, 1992).
4.1.1 Classificazioni dei marcatori discorsivi
Per comprendere al meglio tale fenomeno è opportuno introdurre brevemente, prendendo
spunto dalla letteratura psicolinguistica sull’argomento, questi marcatori (particelle pragmatiche,
ripetizioni, ecc.) che secondo la linguistica assolverebbero funzioni discorsive all’interno della
conversazione verbale. Nel parlato, anche di tipo monologico, ma soprattutto nella conversazione
faccia a faccia, in situazione informale, poco controllata, sono ampiamente diffusi dei particolari
elementi linguistici “che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori
aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali,
interfrasali, extrafrasali e ad esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione
interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione” (Bazzanella 1994 p.
150). Esiste in letteratura una gran varietà di dizioni per questi dispositivi inizialmente furono
chiamati “connettivi pragmatici” (van Dijk, 1979), successivamente fu preferita la dizione di
“pragmatic connectors”, in quanto sottolineava la dimensione pragmatica dell’enunciazione,
rispetto a quella dell’enunciato, e il riferimento a questa dimensione consentiva di evidenziare la
stretta relazione tra gli aspetti testuali della conversazione e gli aspetti relazionali, enfatizzando
questi ultimi (Stame 1999). Dalla metà degli anni ’80 il crescente interesse da parte dell’analisi
del discorso e della conversazione per questi dispositivi, soprattutto nell’area anglosassone, ha
portato alla diffusione e alla stabilizzazione della dizione di “marker” accompagnata dagli
aggettivi “pragmatic” o “discursive” (Schiffrin, 1987).
Anche nei lavori di autori italiani non troviamo un grande accordo sulla denominazione dei
marcatori discorsivi, per esempio Bazzanella (1994) parla di “segnali discorsivi”. Contento
invece li chiama sia “marcatori pragmatici” (1997a) sia “marcatori discorsivi” (1994); Stame
(1999) invece propone di denominarli “marcatori conversazionali”. Data la gran varietà di
etichette, anche in questo lavoro, si è dovuta compiere una scelta e si è adottata la denominazione
62
di marcatori discorsivi, in quanto attualmente è la dizione più accreditata e riconosciuta nella
letteratura sull’argomento.
I marcatori discorsivi svolgono funzioni essenziali dal punto di vista discorsivo e
interazionale e sarebbero usati per lo più inconsapevolmente da parte del parlante.
Una delle principali caratteristiche dei marcatori discorsivi è che non contribuiscono al
significato proposizionale di un enunciato, cioè non aggiungono nulla a livello semantico; essi
potrebbero essere il più delle volte eliminati da una frase senza comprometterne il suo contenuto
proposizionale, tuttavia verrebbero così a mancare degli indizi lessicali preziosi per comprendere
il senso di un’espressione. La loro funzione principale è quella di essere degli indicatori di forza
illocutoria all’interno di un discorso, in quanto contribuiscono all’interpretazione di un enunciato,
insieme naturalmente ad altri indicatori verbali e non verbali (Bazzanella 1996).
Un’altra caratteristica dei marcatori discorsivi, è la loro variabilità di collocazione essi
infatti possono trovarsi sia in posizione iniziale, sia in posizione mediana, sia in posizione finale.
I marcatori discorsivi tendono poi a ripetersi più volte all’interno di uno scambio comunicativo e,
a volte, nello stesso enunciato; inoltre possono essere giustapposti linearmente, formando delle
“catene”. Questa possibilità di cumularsi deriva dalla parziale perdita di valore semantico.
Ciò che caratterizza l’uso di questi dispositivi è la rilevanza del contesto, sia linguistico sia
extralinguistico, che incide sul loro uso e sulla loro interpretazione: il loro significato primario
non varia fondamentalmente (anzi, è proprio il “nucleo semantico” a permettere la pluralità di
usi), ma si riveste di sfumature, dipendenti dal contesto linguistico e/o dal contesto situazionale,
le quali sottolineano l’interazione in corso e lo sviluppo stesso della conversazione. Anche se il
valore pragmatico che essi assumono varia a seconda del contesto linguistico ed extralinguistico,
essi mantengono sempre un vincolo con il loro nucleo semantico originario: per esempio, il
marcatore discorsivo “così” introduce una conclusione, una conseguenza di quanto affermato
precedentemente e, per quanto possa assumere sfumature di significato diverse, il suo nucleo
semantico originario è sempre presente.
Le classi grammaticali che costituiscono i marcatori discorsivi sono, per Bazzanella (1994,
1996), Stame (1999) e Contento (1994): congiunzioni (per es., e, ma), avverbi (per es., cioè,
insomma, comunque, praticamente, …), interiezioni (per es., eh, ah, be’…), sintagmi verbali
(per es., guarda), sintagmi proposizionali (per es., in qualche modo), espressioni frasali (per es.,
come dire).
Al contrario Fraser (1999) sostiene che appartengano alla classe dei marcatori discorsivi
solo: congiunzioni (and, but, or, ecc.), avverbi (consequelntly, equallly, then, ecc.), frasi
proposizionali (as a consequence, in particolar, after all, ecc.); mentre le interiezioni, i vocativi, i
marcatori di pausa (mhm, umh, ecc.), e particelle come “ even, only, just ”, non sono da
considerare marcatori del discorso.
Schiffrin (1987) ha analizzato le espressioni “and, because, but, I mean, now, oh, or, so,
then, well, e y’know”: il suo interesse principale era indagare come i marcatori discorsivi
contribuiscono alla costruzione della coerenza del discorso. L’Autrice sostiene che la coerenza si
costruisce mediante relazioni tra unità adiacenti nel discorso e propone un modello del discorso
che contiene cinque piani di analisi distinti, ognuno con il proprio tipo di coerenza. “Struttura
dello Scambio”: riguarda le regole strutturali del turn-taking. “Struttura dell’Azione”: riguarda le
intenzioni e gli scopi del parlante. “Struttura Ideazionale”: riguarda la semantica e la struttura del
discorso. “Schema della Partecipazione”: in cui sono descritti i ruoli del parlante e
dell’ascoltatore e il loro grado di coinvolgimento e responsabilità nell’interazione. “Stato
dell’Informazione”: che è relativo alle capacità cognitive e all’organizzazione delle conoscenze
dei partecipanti all’interazione.
Schiffrin (1987) sostiene che i marcatori discorsivi rappresenterebbero le coordinate
contestuali del discorso, le quali consentono il realizzarsi della conversazione e ne garantiscono
63
la coerenza, attraverso l’integrazione fra diversi piani.
Redeker (1991, in Stame 1999) propone di analizzare i marcatori in base a due tipi di
funzioni, ideazionale e pragmatica (che richiamano la distinzione più ampia tra struttura
ideazionale e struttura pragmatica utilizzata nello studio della conversazione), intesi come aspetti
complementari per la realizzazione della coerenza discorsiva. La funzione ideazionale si riferisce
al livello intradiscorsivo e intrasoggettivo, ha a che fare con l’elaborazione e la pianificazione del
discorso; mentre la funzione pragmatica si riferisce al livello intersoggettivo, relazionale. Tali
funzioni non sono nettamente separabili, poiché l’una compensa l’altra: il locutore nell’utilizzare
i marcatori non solo dimostra l’incertezza circa la pertinenza e la correttezza di quanto sta
dicendo, ma cerca anche di coinvolgere o avvicinare l’interlocutore alla propria posizione.
Secondo Fraser (1999) i marcatori discorsivi impongono una relazione tra alcuni aspetti di
un dato segmento (S2) del discorso e alcuni aspetti di un segmento precedente (S1) del discorso.
Egli individua due categorie principali: marcatori discorsivi collegati ai messaggi e marcatori
discorsivi collegati agli argomenti. La prima classe include alcuni aspetti dei messaggi portati dai
segmenti S2 e S1, e si suddivide in tre classi principali: marcatori discorsivi di contrasto,
marcatori discorsivi collaterali e marcatori discorsivi inferenziali. I marcatori discorsivi di
contrasto, evidenziano una relazione di contrasto tra due enunciati; i marcatori discorsivi
collaterali invece sottolineano una relazione parallela tra due enunciati, ossia il segmento S2
contiene un messaggio addizionale rispetto a S1; infine i marcatori discorsivi inferenziali
introducono una conclusione o una conseguenza dell’enunciato con cui sono messi in relazione.
La seconda classe di marcatori discorsivi invece riguarda solo il livello della gestione del
discorso, perciò in questa rientrano marcatori che o introducono delle digressioni, oppure un
cambio di argomento.
Un altro approccio è proposto da Contento, Licari, Mizzau e Stame (1990) le quali,
analizzando corpus di dialoghi autentici, si sono soffermate in particolare sulle funzioni
pragmatiche dei marcatori discorsivi. Secondo queste Autrici i marcatori assumono funzioni
diversificate in relazione al tipo di orientamento comunicativo in atto. Ciò significa che la
funzione pragmatica dei marcatori discorsivi, che non coincide con il loro valore semantico, varia
in relazione sia al tipo di scambio sia alle intenzioni di avvicinamento o allontanamento
relazionale che i locutori intendono esprimere. La dinamica del “doppio movimento” consente la
messa in rapporto, grazie a diversi dispositivi fra i quali i marcatori, di due piani distinti: quello
della relazione e quello, informativo o ideazionale, dei contenuti. Nella conversazione il rapporto
che si stabilisce tra questi due livelli rappresenta anche la realizzazione di una coerenza, che non
è solo intradiscorsiva ma anche interdiscorsiva.
Bazzanella (1994, 1996) propone un’interessante classificazione dei marcatori discorsivi
(l’autrice li chiama “segnali discorsivi”), nella quale descrive le diverse funzioni che essi
svolgono all’interno di una conversazione. La classificazione prevede due funzioni principali:
“funzioni interattive” e “funzioni metatestuali”. Le funzioni interattive sottolineano la comune
costruzione del messaggio da parte di partecipanti allo scambio comunicativo e quindi anche lo
sviluppo dell’interazione, mentre le funzioni metatestuali riguardano l’articolazione dei contenuti
da parte del parlante.
Si può subito notare che questa distinzione è simile a quella tra funzione ideazionale e
funzione pragmatica descritta da Redeker (1991, in Stame, 1999) e ripresa anche da Contento, et
al. (1990, cfr. anche Stame, 1999). Bazzanella tuttavia suddivide le suddette funzioni principali in
numerose funzioni specifiche.
Le funzioni interattive dei marcatori discorsivi da parte del parlante si suddividono in tre
categorie: a) “segnali relativi al turno”, b) “richiesta di attenzione”, “richiesta di accordo”,
“controllo della ricezione” , c) “fatismi” e “meccanismi di modulazione”.
La prima categoria, segnali relativi al turno, si differenzia ulteriormente in “presa di turno”,
64
“riempitivi e mantenimento del turno” e “cessione del turno”. Nella presa di turno vengono
utilizzati marcatori discorsivi come “allora, dunque, ecco” che servono per prendere la parola; si
possono trovare marcatori discorsivi sia isolati che in coppia (solitamente sono associati ad altri
marcatori discorsivi con funzione riempitiva oppure con fatismi). La seconda sottocategoria di
segnali relativi al turno è la funzione riempitiva e di mantenimento: in questo caso rientrano i
“cumuli” di marcatori discorsivi, ossia gruppi di due o più marcatori in sequenza. Spesso questi
sono accompagnati da pause piene, pause vuote, parole interrotte o prolungamenti della vocale
precedente. Questi marcatori discorsivi segnalano una difficoltà di pianificazione e di
formulazione da parte del parlante, in alcuni casi sono indicatori di uno stato di disagio
psicologico, per esempio stanchezza, ansia tensione; oppure possono segnalare una mancanza di
padronanza linguistica e concettuale che consenta una produzione fluente. Spesso l’uso dei
riempitivi ha lo scopo di mantenere il turno: per esempio se il parlante ha difficoltà a esprimere il
suo pensiero cerca di prendere tempo mediante questi dispositivi per non perdere il turno di
parola. L’ultima funzione relativa al turno è la cessione del turno: in questo caso vengono
utilizzati dei marcatori discorsivi in posizione finale rispetto a un enunciato con lo scopo di
selezionare un parlante, spesso chiedendo una conferma.
La seconda categoria delle funzioni interattive dei marcatori discorsivi, riguardante il
parlante, comprende: richiesta di attenzione, controllo della ricezione e richiesta di accordo. Sono
funzioni più di tipo relazionale che coinvolgono l’interlocutore alla conversazione.
Infine l’ultima categoria delle funzioni interattive dei marcatori, da parte del parlante,
prevede i fatismi e i meccanismi di modulazione. I fatismi sono marcatori discorsivi che
sottolineano l’aspetto di coesione sociale di una comunicazione: sono costituiti da vocativi
parentetici e allocutivi (come “caro mio, signorina, amico mio”) che sottolineano l’appartenenza
a un gruppo sociale, nonché da espressioni che rimandano alla conoscenza condivisa (come “sai,
come sai, come dici tu”).
I marcatori discorsivi con funzione di modulazione del contenuto proposizionale sono
frequentemente utilizzati per modulare il contenuto e le componenti dell’atto linguistico e
possono mitigare o rafforzare il contenuto di un enunciato con indicatori di incertezza (come “in
qualche modo, circa, in un certo senso, diciamo, per così dire”). Spesso sono usati per mitigare il
disaccordo, oppure quando non si è certi dell’adeguatezza di un’espressione. Invece quando
agiscono a livello delle componenti dell’atto linguistico, possono essere utilizzati per aumentare o
diminuire l’autorità del parlante, o per aumentare o diminuire il grado di impegno rispetto a un
enunciato (per esempio, certamente, naturalmente come tutti sanno), oppure per innalzare il
potere dell’interlocutore (per esempio, se mi consente, se mi permette). Rientrano in queste
funzioni anche le formule di cortesia che evitano il conflitto.
Per quanto riguarda le funzioni interattive dei marcatori discorsivi da parte
dell’interlocutore, Bazzanella le suddivide in: a) “meccanismi di interruzione”, b)“conferma di
attenzione”, c) “conferma di accordo”, d) “ricezione”, e) “richiesta di spiegazione”. Si tratta di
backchannaling (singole parole o segnali vocali) dell’ascoltatore come feedback al parlante
I marcatori discorsivi non svolgono solo funzioni sul piano interattivo ma anche sul piano
della strutturazione dei contenuti: Bazzanella li chiama marcatori con funzione metatestuale, e li
suddivide in tre categorie principali: “Demarcativi”, “Focalizzatori” e “Indicatori di
riformulazione”.
I Demarcativi sono utilizzati dal parlante per segnalare l’articolazione delle varie parti del
testo e il rapporto tra gli argomenti trattati (alcuni esempi sono insomma, comunque); essi
possono anche segnalare un cambio di argomento o una digressione. I Focalizzatori invece
segnalano i punti focali di un discorso (per esempio appunto, proprio, ecco); essi possono anche
indirizzare l’elaborazione dell’informazione a livello cognitivo utilizzando se nell’uso correlativo
e ma, sì).
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Infine gli Indicatori di riformulazione sono divisi in tre classi: parafrasi, correzione ed
esemplificazione. Si ha una parafrasi quando il soggetto mantiene la corrispondenza tra i due
elementi interessati (alcuni esempi di marcatori discorsivi con questa funzione sono cioè, voglio
dire, diciamo). Marcatori discorsivi indicatori di correzione si hanno quando il parlante effettua
delle auto-correzioni, o più semplicemente precisa meglio il suo enunciato (generalmente
vengono usati con questa funzione marcatori come diciamo, no, anzi). Infine quando il parlante fa
un esempio, per far comprendere meglio il suo enunciato, utilizza dei marcatori discorsivi
cosiddetti, appunto, di esemplificazione (come ad esempio mettiamo che, diciamo, prendiamo,
ecco, per esempio, metti il caso).
4.1.2 Gesti e co-occorrenza con aspetti verbali
Per quanto riguarda la relazione tra gesti e marcatori discorsivi, gli studi presenti in
letteratura sono pochi e hanno offerto evidenze di tipo meramente qualitativo. Un esempio è
rappresentato da uno studio di Contento (1997, 1999b).
In questa ricerca l’Autrice analizza i racconti di un campione di soggetti che avevano il
compito di narrare un brano a un interlocutore subito dopo averlo ascoltato. Partendo dall’ipotesi
che, analogamente al linguaggio parlato, in cui dei dispositivi coesivi strutturano ciò che viene
detto in rapporto ai propri scopi e a quelli dell’interlocutore, anche nell’espressione gestuale è
possibile identificare segnali che hanno la funzione di cooperare alla costruzione di coesione, lo
studio analizza l’attività bimodale verbale/gestuale, esaminando principalmente i gesti che
partecipano, insieme alle parole, all’espressione del contenuto del discorso, fornendo continuità a
esso. Le evidenze qualitative di questo studio sembrerebbero indicare che i gesti coesivi si
presentino spesso in prossimità di un marcatore discorsivo: in alcuni casi lo anticipano, in altri lo
seguono completandolo, in altri ancora coincidono con esso, nel senso che co-occorrono al
verbale. Un’altra interessante informazione emersa è che spesso i marcatori discorsivi vengono
utilizzati per introdurre un argomento e che, allo stesso modo, i gesti coesivi segnalano
(“demarcano”) il passaggio a un nuovo argomento. Tuttavia le evidenze del fenomeno emerse da
questo studio sono puramente qualitative e hanno puntato maggiormente agli aspetti linguistici e
gestuali che portano alla costruzione della coesione di un discorso, piuttosto che alla ricerca e
individuazione, attraverso l’analisi dei gesti che accompagnano i marcatori discorsivi, delle
diverse funzioni discorsive dei vari tipi di gesti.
A tutt’oggi, quindi, la co-occorrenza tra gesti delle mani e funzioni discorsive rimane
un’ipotesi ancora da verificare empiricamente su base quantitativa e statistica.
Per quanto riguarda il legame tra gesti e contenuto verbale del discorso, invece,
particolarmente interessanti sono le ricerche di Beattie e Shovelton (2000, 2002a) sul legame tra
gesti iconici e contenuto del linguaggio parlato, nella comunicazione quotidiana. Questi autori
hanno trovato non solo che i gesti iconici (McNeill, 1985) hanno maggiore potere comunicativo,
nel senso di trasferimento d’informazioni semantiche, rispetto agli altri gesti legati al discorso, e
che alcuni di essi perdono questo potere se separati dal verbale, ma anche che, tra gli stessi
iconici, ve ne sono alcuni che hanno maggiore efficacia comunicativa di altri. In una ricerca
(Beattie, Shovelton, 2002b), gli autori hanno trovato che vi sono alcune proprietà del parlato che
più frequentemente di altre possono dare origine a gesti iconici; essi si focalizzano su due di
queste proprietà che chiamano “familiarity” (familiarità) e “imageability” (immaginabilità)
dell’unità proposizionale che i gesti accompagnano. In particolare, i gesti iconici,
accompagnando le unità proposizionali variamente definite dalle due proprietà, differiscono nella
loro specificità e nel loro effetto comunicativo totale. Questa ricerca indica quindi come vi
possano essere relazioni, individuate sperimentalmente, molto ben distinte tra specifici gesti e
specifici aspetti del contenuto del messaggio verbale nel parlato spontaneo, con importanti
implicazioni per le teorie e ricerche empiriche future in quest’area.
66
Un altro aspetto linguistico interessante nella comunicazione riguarda le modalità di
presentazione dei contenuti e delle argomentazioni nell’ambito della comunicazione persuasiva,
anche per i fini più specifici della presente ricerca soprattutto in vista del terzo studio.
Le ricerche che studiano, ad esempio, l’orazione politica come forma di comunicazione
persuasiva, dal punto di vista dei parametri verbali, pongono tipicamente l’attenzione non tanto
sulle occorrenze di specifici temi politici, quanto soprattutto sui giochi linguistici che concorrono
alla costruzione di realtà politiche alternative, sugli stili linguistici che creano significati, a volte
ambigui, e sulle modalità con cui il linguaggio contribuisce a evocare e a costituire l’universo
politico (Amoretti, 1997). Gli argomenti di ricerca attuali hanno riguardato principalmente le
metafore politiche (De Landtsheer, 1998; Lakoff, Johnson, 1980; Wilson, 1990), la retorica
(Atkinson, 1984; Heritage, Greatbach, 1986; Tulis, 1987, tra gli altri), il modo in cui i politici si
riferiscono a loro stessi o ad altri e il conseguente utilizzo dei pronomi (Wilson, 1990). Questi
ultimi studi hanno dimostrato come la manipolazione del sistema pronominale, ad esempio l’uso
della prima persona plurale anziché singolare, si relazioni alla distribuzione della responsabilità
politica.
Una fetta consistente di questo tipo di studi si è occupata di retorica. L’importanza
fondamentale della retorica nella comunicazione politica è stata considerata sin dai tempi dei
retori greci: fin dalle origini della democrazia, infatti, i retori e i sofisti insegnavano ai loro
allievi, nell’agorà greca, l’arte del “parlar bene”, le “tecniche della parola”, le regole della
retorica, affinché potessero esprimersi adeguatamente per convincere l’uditorio.
Anche nell’epoca attuale la retorica è molto considerata nello studio del linguaggio
politico. Per esempio, le tecniche retoriche utilizzate dai politici nei discorsi pubblici per invitare
l’audience all’applauso sono state al centro della ricerca di Atkinson (1984). Egli studiò le
caratteristiche della costruzione del parlato atte a fornire al pubblico indicazioni su quando
applaudire. Uno dei fenomeni principali è la lista, di solito tripartita: si tratta di un dispositivo
retorico utilizzato dal parlante al fine di evidenziare e sostenere un punto del discorso,
strutturandolo con l’elenco di tre argomenti o motivi a favore di questo (e.g., Bonaiuto, Fasulo,
1998). La lista ha la funzione di segnalare da una parte la completezza ed esaustività del discorso,
dall’altra la sua articolazione e organizzazione, dando così maggiore autorevolezza al parlante
stesso. Ha anche la funzione di rafforzare un concetto, dare enfasi al proprio discorso e renderlo
retoricamente forte ripetendo per tre volte lo stesso termine: un esempio riportato da Bull (2002)
è una lista nel discorso dell’allora leader dell’opposizione Tony Blair durante il Congresso del
Partito Laburista nel 1996: “Ask me my three main priorities for government, and I tell you:
education, education and education” (“Chiedetemi quali sono le mie tre principali priorità per il
governo, e io vi dico: istruzione, istruzione e istruzione”).
Un altro dispositivo retorico studiato nei discorsi politici è il contrasto: si tratta di una
modalità retorica per strutturare un’espressione mettendo a contrasto due elementi allo scopo di
esaltarne uno dei due, suscitando applausi e apprezzamenti da parte dell’uditorio (Atkinson,
1984; Heritage, Greatbach, 1986). Un esempio portato da Bull (2002) è di John Major al
congresso del partito conservatore nel 1996: “We are in Europe to help shape it and not to be
shaped by it” (“Siamo in Europa per aiutare a formarla e non per essere formati da essa”). È un
dispositivo molto utilizzato dai politici, specialmente in campagna elettorale, poiché può
costituire un mezzo efficace per mettere da una parte in evidenza aspetti positivi delle proposte
presenti nel proprio discorso (a favore del proprio schieramento), e dall’altra in luce negativa
aspetti riferiti all’opposizione (attaccandola e criticandola).
Altri autori, analisti del discorso (ad esempio, Edwards, Potter, 1992), si sono occupati dello
studio dei dispositivi retorici, anche se non specificatamente nei discorsi politici, né come
evocatori di applausi da parte dell’uditorio. La formulazione estrema (Pomerantz, 1986), ad
esempio, è una modalità retorica di costruire un’espressione sottolineando il carattere estremo, al
67
positivo o al negativo, di ciò di cui si sta parlando. Un esempio è l’utilizzo di superlativi assoluti
o relativi; di aggettivi o avverbi quali “sempre”, “mai”, “perfettamente”; o di sostantivi
comprensivi, quali “tutto”, o esclusivi, come “nessuno”, o di combinazioni di essi. L’uso di
questo dispositivo può contribuire a rendere massimamente positiva la posizione presentata dal
parlante, o assolutamente negativa una posizione o un comportamento dell’outgroup.
Anche l'umorismo è considerato una modalità di presentazione dei contenuti con un
potenziale importante ruolo di influenza sociale nelle interazioni verbali. Esso viene considerato
indicatore di aggressività verbale, ma anche mezzo per attirare l’attenzione su ciò che il parlante
vuole comunicare, mezzo di intrattenimento, facilitatore e regolatore della comunicazione,
predittore dello sviluppo delle relazioni, posto in rapporto con l'intelligenza, con l'attitudine
scolastica e con la maturità emozionale (Graham, Papa, Brooks, 1992).
Atkinson (1984) ha, inoltre, notato come l’applauso possa essere evocato dall’intonazione
del parlante, dal ritmo, ma anche dai suoi gesti ciò significa che il modo in cui il messaggio è
trasmesso, grazie agli aspetti non verbali che lo accompagnano, può rinforzare la sua struttura
retorica.
Uno studio dettagliato sul modo in cui i gesti possono mettere in evidenza dispositivi
retorici in un discorso politico è quello di Bull (1986), basato però su un unico discorso di un
politico britannico: quello di Arthur Scargill (Presidente dell’Unione Nazionale dei Minatori) a
una riunione del Partito Laburista, durante la campagna elettorale per le elezioni generali del
1983. I due terzi degli applausi erano associati con i dispositivi descritti da Atkinson (contrasto,
lista tripartita), ma anche con l’uso di gesti delle mani. Nel caso dei contrasti, ad esempio, il
politico illustrava una parte del contrasto con una mano e l’altra parte del contrasto con l’altra
mano, spostando il movimento da una mano all’altra; in questo modo la gestualità serviva per
marcare, delimitandola, la struttura sintattica e retorica del discorso. Nel caso delle liste tripartite,
ognuna delle tre espressioni della lista era marcata da gesti attentamente sincronizzati. Se la lista
era formata da tre parole, ciascuna parola era enfatizzata localmente e accompagnata da un
singolo gesto delle mani; se, invece, le tre parti della lista erano frasi o proposizioni con più di
un’enfasi vocale, allora il politico preferiva impiegare un movimento della mano ripetuto, che
distinguesse due o più enfasi vocali e si concludesse al termine di una delle parti della lista, per
poi iniziarne uno nuovo in corrispondenza della parte successiva. Scargill, solitamente, non
utilizzava gesti di contatto (o adattatori), ma alcune volte, come descritto da Bull (1986; 2002),
batteva una mano sull’altra per marcare ognuna delle parole enfatizzate vocalmente nella lista.
I gesti delle mani, durante questo particolare discorso esaminato da Bull (1986),
assumevano diverse funzioni: distinguere la struttura dei dispositivi retorici, tenere separata la
coppia delle espressioni di un contrasto, identificare le diverse parti di una lista ed evidenziare il
culmine del discorso. Inoltre, dal punto di vista dell’interazione con l’uditorio, i gesti giocavano
un ruolo importante nel controllo delle risposte conversazionali di quest’ultimo, vale a dire degli
applausi: sia evocandoli, quando essi indicavano punti di possibile completamento di parti del
discorso politico, sia bloccandoli, tenendo alzata la mano o steso in alto il dito indice. I gesti,
dunque, non solo accompagnavano i dispositivi retorici che invitavano maggiormente agli
applausi, ma avevano la capacità di bloccarlo o ridurlo non appena era stato stimolato,
segnalando al pubblico quando era il momento in cui per lui sarebbe o non sarebbe stato
appropriato applaudire, cioè quando si intendeva invitare o non invitare all’applauso (Bull, Wells,
2001). In questo caso i gesti del politico avevano la funzione (si potrebbe dire il potere) di gestire
l’interazione conversazionale, ad esempio nell’avvicendamento dei turni conversazionali
(discorso-applauso) con il proprio uditorio-interlocutore.
Lo studio di Bull (1986), pur essendo molto dettagliato (egli stesso definisce il suo
metodo “microanalysis of communication”; Bull, 2002, p. 1), presenta comunque alcuni limiti
metodologici: oltre a trattare un singolo discorso, peraltro tenuto da un politico molto espressivo
68
dal punto di vista gestuale, come lo definisce lo stesso autore, propone una descrizione molto
sommaria dei gesti prodotti dall’oratore, senza riferimento a categorie specifiche analizzate e
descritte nella letteratura degli studi sulla comunicazione non verbale in generale e su quella
gestuale in particolare (presentati nell’introduzione generale del presente lavoro).
Uno studio su quali tra le varie categorie di gesti possano rendere maggiormente
persuasivo un discorso politico è quello di Argentin et al. (1990). Anche questi autori hanno
basato il loro studio su un singolo caso: un uomo politico durante la preparazione di un discorso
in un congresso ove l’obiettivo era la conquista della presidenza del partito, in Francia. Gli autori
hanno video-registrato il discorso del politico così come gli veniva naturalmente; in seguito
hanno addestrato il politico a registrare lo stesso discorso politico mantenendo immutato il
registro verbale (parole e intonazione), ma cambiando la propria gestualità con un aumento del
numero di gesti metaforici, un ridimensionamento dei gesti ritmici (chiamati dagli autori gesti di
interpunzione) e l’eliminazione dei gesti auto-adattatori. Dal punto di vista applicativo
dell’intervento, il politico, pronunciando il suo discorso così rielaborato al congresso, ottenne la
presidenza del partito; dal punto di vista dello studio sperimentale, i due discorsi registrati furono
entrambi fatti giudicare a un piccolo campione di studentesse di psicologia. L’ipotesi era che il
discorso tenuto dal politico nella seconda registrazione risultasse o fosse percepito come
maggiormente persuasivo e ricevesse maggiori consensi rispetto al primo, più naturale, in cui non
c’era stato un controllo sulle categorie di gesti da utilizzare. Infatti, secondo gli autori, i gesti
ritmici perdono parte del loro potere d’impatto se troppo ripetuti, mentre i gesti adattatori
danneggiano, quando troppo numerosi e sistematici, specialmente in situazioni di discorso
pubblico, la credibilità dell’oratore e del discorso. L’aumento dei gesti metaforici porterebbe
invece a una disambiaguazione del discorso: attraverso il gioco dell’accentuazione metaforica
durante un’argomentazione, infatti, verrebbe velato il carattere persuasivo perseguito dal
messaggio (rivelato invece dai gesti ritmici). I risultati mostrarono un effetto significativo del
diverso utilizzo dei gesti: il discorso rielaborato grazie alla modifica dei tipi di gesti utilizzati
comportò un aumento significativo della persusività attribuita al messaggio in generale e alla
gestualità in particolare.
Diverse ricerche hanno dunque sottolineato l’importanza del ruolo dei gesti delle mani nel
sostenere la retorica verbale, ma la quasi totalità di queste ricerche, tuttavia, si è basata su singoli
discorsi di politici, facendo riferimento solo a pochi tra i dispositivi retorici presenti in letteratura
e soltanto ad alcune categorie di gesti delle mani (e in particolare mai a una classificazione
esaustiva).
In letteratura, dunque, le funzioni discorsive e retoriche dei gesti sono state spiegate quasi
esclusivamente in maniera qualitativa. Solo recentemente, nella ricerca psicologico-sociale, i
gesti sono stati considerati in modo più sistematico nella loro coordinazione col comportamento
verbale (per esempio, Contento, 1999; Kendon, 1985; McNeill, 1985; Rimè, Schiaratura, 1991),
sebbene per lo più in situazioni di monologo in laboratorio più che di interazione diadica o di
gruppo.
4.2 Obiettivi
In riferimento a quanto esposto, l’obiettivo generale di questo secondo studio è quello di
individuare, descrivere e verificare statisticamente le co-occorrenze tra alcuni aspetti della
comunicazione verbale e la gestualità delle mani, al fine di comprendere le funzioni retoriche,
discorsive e d’interazione dei gesti usati durante l’eloquio.
Utilizzando gli stessi contesti d’interazione impiegati per lo studio precedente, sono stati
codificati, oltre ai gesti delle mani, anche i principali marcatori discorsivi (Bazzanella, 1994) –
69
con funzioni metatestuali, di coesione sociale, di gestione dell’interazione – e i dispositivi retorici
(Atkinson, 1984; Edwards, Potter, 1992) – con riferimento, ad esempio, a lista tripartita,
formulazione estrema, contrasto, metafora, ecc.
Nello specifico l’obiettivo è verificare se esiste una co-occorrenza statisticamente
significativa tra le diverse categorie di gesti delle mani e alcuni specifici aspetti discorsivi e
linguistici della comunicazione verbale in diversi contesti sociali.
Gli obiettivi, dunque, sono di verificare la significatività statistica delle corrispondenze:
1. tra le diverse categorie dei gesti e i marcatori con funzione discorsiva e, a livello
esplorativo, le eventuali differenze tra i contesti in tali corrispondenze.;
2. tra le diverse categorie dei gesti e dispositivi retorici e, a livello esplorativo tra singole
categorie e singoli dispositivi retorici, in diversi contesti di comunicazione persuasiva;
Le ipotesi sono le seguenti (formulate sulla base delle evidenze qualitative disponibili in
letteratura e citate in parentesi di volta in volta):
1. esistono corrispondenze significative tra diverse categorie di gesti e marcatori con
diverse funzioni discorsive, in particolare:
a. tra gesti coesivi e marcatori con funzione metatestuale di demarcazione del testo (cfr.
Contento, 1999b; McNeill, 1992);
b. tra gesti ritmici e marcatori con funzione metatestuale di focalizzazione
(cfr.Atkinson, 1984; Bull, 2002);
c. tra gesti adattatori e marcatori con funzione di gestione dell’interazione e di coesione
sociale e l’assenza di parlato (cfr. Bonaiuto et al., 2002; Ekman, Friesen, 1969);
d. tra gesti ideativi e parlato (contenuto proposizionale) in assenza di marcatori (cfr.
Ekman, Friesen, 1969).
2. esistono corrispondenze significative tra alcune categorie di gesti e dispositivi retorici
caratteristici della comunicazione oratoria, in particolare:
a. tra gesti ritmici e dispositivi retorici (cfr. Atkinson, 1984; Bull, 1986);
b. tra gesti illustratori e dispositivi retorici (cfr. Ekman, Friesen, 1969).
La verifica delle associazioni sopra ipotizzate consentirà, come conseguenza, di identificare
i profili comunicativi più frequentemente utilizzati dalle persone, sulla base delle caratteristiche
verbali e gestuali analizzate, nei diversi contesti presi in esame: dalle interazioni in cui bisogna
prendere decisioni, alle interviste politiche televisive, agli interrogatori “naturali” o simulati; tutti
contesti, cioè, ove si assume che uno degli scopi principali sia quello di risultare credibili e
persuasivi. L’individuazione di questi stili verbali-gestuali va intesa anche come tappa
preparatoria in vista della creazione dell’impianto sperimentale necessario alla conduzione dello
studio successivo.
4.3 Metodo
Contesti e soggetti
I contesti e i soggetti sono gli stessi dai quali, nello studio precedente, sono stati
selezionati i 20 minuti sui quali è stata effettuata l’analisi dell’attendibilità della tassonomia dei
gesti. Per semplificare il lavoro di codifica dei gesti in coordinazione e co-occorrenza al parlato
(vedi Procedura), non sono state considerate le simulazioni di discussione in gruppo, ipotizzando
che il tipo di coordinazione tra verbale e gestuale sia simile al contesto di simulazione di
discussione in diade, data la somiglianza degli stimoli (argomenti di discussione) e delle
situazioni sperimentali tra i due contesti (discussioni di tipo cooperativo senza leader
70
prestabilito). In questo studio, dunque, i contesti utilizzati sono quattro: due “naturali” e due
“simulati” (per la descrizione dei contesti si rimanda al capitolo precedente).
La durata totale delle interazioni comunicative in ciascun contesto è di circa 100 minuti
primi, per un totale di circa 400 minuti osservati codificati e analizzati (426 min.).
Procedura
L’interazione comunicativa è stata codificata attraverso un sistema di trascrizione che
integra il sistema jeffersoniano (Jefferson, 1985) della codifica del verbale e del vocale con un
sistema di trascrizione che consente di codificare il comportamento gestuale dei soggetti
parallelamente al parlato, utilizzando linee di trascrizione alternate.
Il sistema di trascrizione, messo a punto appositamente, consente di codificare il
comportamento gestuale dei soggetti parallelamente al parlato, perciò è possibile osservare e
codificare le categorie di gesti che vengono eseguite sia dal parlante che dall’interlocutore in
concomitanza al parlato. La logica alla base di tale sistema considera i gesti come un aspetto del
comportamento non verbale che si sovrappone al comportamento verbale, quindi per ogni riga di
parlato è inserita una riga, in cui sono trascritti i gesti eseguiti dal parlante e una riga (successiva
alla precedente), in cui sono trascritti i gesti eseguiti dall’interlocutore, in corrispondenza a quella
porzione di parlato. La sovrapposizione tra gesti e parole viene indicata con una parentesi quadra,
in linea con la simbologia utilizzata nelle trascrizioni per il comportamento verbale (Aiello,
Fasulo, 1994); per i gesti eseguiti dal parlante, la sovrapposizione ([) è indicata sia nella porzione
di parlato, sia nella riga del comportamento gestuale specificando in quest’ultima il tipo di gesto
identificato; mentre per i gesti eseguiti dall’interlocutore la sovrapposizione viene indicata, per
motivi di leggibilità del trascritto, solo nella riga del comportamento gestuale.
Nell’estratto 1 viene mostrato un esempio di tale sistema di trascrizione.
Estratto 1 (simulazione n. 10 s.t., righe 105-115).
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
B: [cioè, a parte che lui è più bravo][però se c’è uno stipendio fisso
[
mt
][
ic
A [
oa
]
[vuol dire che la giornata tu la devi lavo-cioè devi stare in
B [
r
ufficio. Per qualsiasi cosa tu devi stare lì] (.) [cioè lui non è che
r
]
[
mu
A [ oa ]
è: bra:vo][un giorno][e poi si va a fare le vacanze una settimana.]
B
mu
][
ic
][
mu
]
A [
au
Come si può vedere da questo esempio, in corrispondenza al parlato nella riga 105, sia il
parlante sia l’interlocutore compiono dei gesti (righe 106, 107); i gesti compiuti dal parlante sono
indicati nella prima riga (106) ove non è specificato il nome del soggetto che compie il gesto
(soggetto B) poiché è già indicato nella riga sovrastante (105); il parlante che prende il turno di
parola è contrassegnato con carattere in grassetto, per distinguerlo dai soggetti (interlocutori) che
effettuano i gesti durante il turno del parlante, i quali invece sono indicati con carattere normale.
Nell’estratto, il parlante, soggetto B, prende il turno e, in corrispondenza della prima parte del suo
turno (“cioè, a parte che lui è più bravo”) compie un gesto metaforico (mt), contemporaneamente
(la sovrapposizione è indicata con la parentesi quadra), l’interlocutore, il soggetto A, effettua un
gesto oggetto-adattatore (oa), indicato nella riga successiva (107) a quella del comportamento
gestuale del parlante.
Di seguito vengono riportati in modo schematico tutti i criteri messi a punto per utilizzare e
leggere tali trascritti.
71
1. La presa di turno di un parlante viene contrassegnata con il grassetto (A, B, …).
2. Il turno “gestuale” dell’interlocutore viene indicato semplicemente con la lettera maiuscola (A,
B), con carattere normale, al fine di poter distinguere facilmente righe con il comportamento
verbale da quelle con il comportamento non verbale.
3. A ogni riga di verbale corrispondono: una riga per il comportamento gestuale del parlante, solo
se tale comportamento è presente e eventuali righe per registrare il comportamento gestuale degli
interlocutori, se presente.
4. Per il parlante la sovrapposizione tra verbale e gestuale viene indicata su entrambe le righe con
la parentesi quadra, mantenendo l’allineamento fra esse.
5. Per i gesti effettuati dall’interlocutore, la sovrapposizione con il verbale viene indicata, con la
parentesi quadra, solo nella riga del gestuale.
6. In caso di sovrapposizione multipla, cioè casi ove a una sovrapposizione verbale-verbale, si
aggiunge anche una sovrapposizione verbale-gestuale, la porzione di parlato interessata sarà
contrassegnata con una doppia parentesi quadrata, una per il verbale e una per il gestuale.
7. Quando il parlante effettua dei gesti non viene specificato il soggetto del comportamento
gestuale, poiché questa sarebbe un’informazione ridondante, in quanto è lui stesso che detiene il
turno; mentre viene sempre indicato il soggetto quando è l’interlocutore a compiere dei gesti.
8. Le parentesi quadre, indicanti la presenza di un gesto contemporaneo al parlato, vengono
chiuse solo quando il gesto è terminato.
L’estratto 2 illustra alcuni casi di sovrapposizione multipla.
Estratto 2 (simulazione n. 10 s.t., righe 717-724).
717
718
719
720
721
722
723
724
A: si però [tu] non puoi scrivere [sopra: (.) quel [noi abbia-]
[d ]
[
d
]
B:
[[noi ALL’AZIENDA]
[
va1
dobbiamo dare] la soluzione all’azienda [[quindi ci possiamo scrivere]]
va1
]
[
d
]
A:
[ah ah ah è vero [ciai ragione]]
[
oa
]
Come si può notare nell’esempio dalla riga 717-719, c’è una sovrapposizione nel
comportamento verbale: mentre A sta dicendo “sopra: (.) noi abbia-” sta effettuando un gesto
deittico (d), su “noi abbia-” si sovrappone verbalmente B che dice “noi all’azienda” (il carattere
maiuscolo segnala che è pronunciato con un aumento di volume) e contemporaneamente compie
un gesto “vassoio” (va1). Come si può vedere dal trascritto nella riga 719 sono presenti due
parentesi quadre, la prima si riferisce alla sovrapposizione verbale-gestuale , la seconda invece si
riferisce alla sovrapposizione verbale-verbale.
Anche nelle righe 721-723 abbiamo un caso di sovrapposizione multipla: in questo caso è B
che detiene il turno e A si sovrappone inizialmente solo verbalmente e successivamente
effettuando anche un gesto. Nella riga 721 le due sovrapposizioni, verbale-verbale e verbalegestuale, coincidono perfettamente, cioè nella porzione di parlato in cui si sovrappone
verbalmente A, c’è una sovrapposizione del verbale-gestuale di B, e anche una sovrapposizione
verbale–gestuale di A.
In tal modo è stato possibile trascrivere dettagliatamente le categorie dei gesti che vengono
eseguite sia dal parlante sia dall’interlocutore in co-occorenza al parlato e, quindi, individuare le
co-occorrenze stesse tra le diverse categorie dei gesti e i diversi marcatori discorsivi , nonché tra
gesti e dispositivi retorici.
72
4.4 Variabili
In questo studio di tipo correlazionale, per variabili si intendono i diversi aspetti verbali e le
categorie gestuali che sono state codificate a partire dai trascritti appena descritti e di cui sono
state individuate le co-occorrenze.
Variabili gestuali
La gestualità delle mani è stata codificata conformemente al sistema di categorie basato
sulla tassonomia dei gesti verificata nel precedente studio. A ogni gesto osservato, dunque, è stato
assegnato un codice corrispondente alla categoria di riferimento che è poi stato impiegato
all’interno del trascritto dell’interazione verbale (cfr. Estratti 1 e 2).
Variabili verbali
In riferimento alle ricerche presenti in letteratura – che hanno studiato la coordinazione tra
il linguaggio parlato e la gestualità delle mani prendendo in considerazione i marcatori discorsivi
(Contento, 1999b), o i dispositivi retorici (Atkinson, 1984; Bull, 1986) – e allo scopo di
approfondire la conoscenza delle funzioni comunicative dei gesti, sono state codificate, sempre
all’interno del trascritto, le variabili verbali elencate di seguito.
1) Marcatori discorsivi, come descritti da Bazzanella (1994) e presentati dettagliatamente
nella parte introduttiva, per quanto riguarda la struttura del discorso:
a. funzioni interattive, relative alla gestione del turno (turn-taking, mantenimento,
cessione), e dei feedback (richiesta e conferma);
b. funzioni di coesione sociale, relative ai fatismi e ai meccanismi di modulazione;
c. funzioni metadiscorsive di demarcazione, di focalizzazione, di riformulazione.
Si è deciso di scegliere la classificazione di Bazzanella (1994), rispetto ad altre citate e
descritte precedentemente, poiché, essendo in lingua italiana, rende più semplice la
codifica su materiale conversazionale nella stessa lingua; inoltre è sembrata, tra le
classificazioni italiane, la più completa poiché considera sia gli aspetti discorsivi sia
quelli interazionali e sociali.
2) Dispositivi retorici (Atkinson, 1984; Edwards, Potter, 1992) che riguardano la modalità
di presentazione del contenuto verbale, descritte nella parte introduttiva del capitolo, con
riferimento a: lista tripartita, formulazione estrema, contrasto, umorismo, metafora,
espressione proverbiale, uso di pronomi in prima persona plurale.
4.5 Analisi dei dati
I dati così codificati sono stati raccolti in tabelle a doppia entrata per ciascun contesto. Sono
state effettuate delle analisi delle corrispondenze tra le categorie di espressioni verbali e le
categorie dei gesti delle mani, tramite modelli log-lineari, test del chi-quadrato e analisi dei
residui standard e/o corretti, al fine di verificare l’esistenza di corrispondenze stabili e quindi
statisticamente significative.
4.6 Risultati
4.6.1 Obiettivo 1
Di seguito è riportata la tabella con le frequenze osservate e i residui standard delle cooccorrenze tra categorie di gesti e marcatori discorsivi in tutti i quattro contesti e il valore del X2
73
dell’associazione.
Come mostrato in Tabella XI, l’associazione tra gesti e marcatori discorsivi (ipotesi 1 dello
studio) risulta ampiamente dimostrata (X2(18)=1072,7, p<.001) in tutti i quattro contesti
d’interazione sociale analizzati.
Data l’alta frequenza di associazioni osservate in ciascuna cella, si è ritenuto opportuno
applicare il test di Bonferroni, che, ponendo il livello di significatività uguale a α/n.ro delle celle,
abbassa l’area di probabilità rendendo le interpretazioni meno soggette a errore. Se si considera α
= .05, i residui corretti significativi sono per z >⏐3.29⏐ p<.0018.
Tabella XI. Frequenze osservate (f) e residui standard (z) delle associazioni tra le categorie generali dei gesti e i
marcatori discorsivi in tutti i quattro contesti osservati.
pause
Marcatori interazione coesione sociale focalizzatori riformulatori demarcativi parlato
Gesti
Coesivi
f
167
229
221
148
532
2147
70
z
-1.67
1.81
1.07
-7.74
-7.75
7.98**
12.77**
Ritmici
f
94
159
340
92
431
2721
19
z
-8.85
-5.09
0.16
-13.2
8.52**
4.18** 5.63**
Ideativi
f
311
475
497
131
697
6844
109
z
-10.70
-3.35
-2.24
-7.58
-7.45 23.67**
-19.95
Adattatori f
536
356
169
118
296
2161
727
z
-6.39
1.73
-6.67
-27.08 44.03**
23.02**
7.27**
X2(18)= 3144.1**; * p<.05; ** p<.001 N = 20797
Dall’analisi dei residui standard è possibile individuare quali sono le associazioni
significative. Come mostrato in Tabella XI i gesti coesivi, coerentemente con l’ipotesi 1a,
risultano associati significativamente con i marcatori con funzione di demarcazione del testo
verbale (z = 12.77, p=.000), ma anche con i marcatori di riformulazione (z = 7.98, p=.000).
Confermando l’ipotesi 1b dello studio, i gesti ritmici sono risultati associati significativamente ai
marcatori di focalizzazione (z = 8.52, p=.000), i quali, all’interno del discorso hanno la funzione
di evidenziare i punti rilevanti del testo verbale, enfatizzandoli.
Diversamente da quanto ipotizzato, questi gesti risultano essere associati significativamente
anche ai marcatori di demarcazione (z = 4.18, p=.000) e al parlato in assenza di marcatori (z =
5.63, p=.000).
I gesti adattatori, come ipotizzato (ipotesi 1c) risultano essere associati significativamente
ai marcatori con funzione di gestione dell’interazione (z = 23.02, p=.000) e ai marcatori con
funzione di coesione sociale (z = 7.27, p=.000). Questi marcatori, come già ampiamente illustrato
nell’introduzione, denotano un particolare stato emotivo (ansia, tensione) che accompagna
l’instaurazione e il mantenimento della relazione con l’interlocutore, sia sul piano interattivoconversazionale (la gestione dei turni di parola), sia sul piano sociale (l’appartenenza a uno stesso
gruppo, le conoscenze condivise, nonché il mantenimento dei ruoli sociali). Dalle analisi i gesti
adattatori risultano inoltre associati con le pause (z = 44.03, p=.000). Ciò conferma il fatto che
questi gesti (aggiustarsi i capelli, giocare con una penna, ecc.) non sono connessi al discorso e
sono molto spesso eseguiti durante le pause del parlato.
Come si era ipotizzato all’inizio (ipotesi 1d) i gesti ideativi non risultano associati
significativamente ad alcun marcatore discorsivo, ma al parlato in assenza di marcatori (z =
23.67, p=.000), confermando che sono gesti utilizzati per illustrare i contenuti più che per
strutturare il discorso o gestire l’interazione con l’interlocutore.
Su questi dati sono state effettuate delle analisi tramite modelli log-lineari per verificare se
74
esiste una differenza tra i contesti nell’associazione gesti/marcatori. Dall’analisi si è reso
necessario eliminare il contesto delle simulazioni di interrogatori, il quale presentava un numero
di associazioni troppo basse e diverse celle con n=0.
Il miglior modello di fit è risultato quello saturo [MGC] (Marcatori x Gesti x Contesti)
(G2(0) = 0, n.s., N = 20514; per gli altri modelli subordinati gerarchicamente p<.05), il quale
spiega il 98% di variabilità (per il modello subordinato [PD PG DG] G2(36) = 128,3, p<.05, Q2 =
.98). Esiste, quindi, un effetto del contesto sull’associazione tra marcatori e gesti.
La Tabella XII riassume le associazioni risultate significative con questo modello, ricavate
dall’analisi dei residui corretti dell’associazione [MG] per ciascun contesto. Per quanto riguarda
gli interrogatori, l’associazione MG risulta significativa (X2(18)=75.6, p<.001); dall’analisi dei
residui standard, in questo contesto i ritmici si associano significativamente ai focalizzatori (z =
2.17, p<.05) e ai demarcativi (z = 2.48, p<.05), gli ideativi si associano al parlato non marcato (z
= 3.95, p=.001) e gli adattatori con le pause (z = 6.57, p<.001).
Per quanto riguarda le interviste politiche, l’associazione MG risulta significativa
2
(X (18)=234, p<.001); le associazioni significative sono tra coesivi e demarcativi (z = 7.13,
p<.001), tra coesivi e focalizzatori (z = 2.17, p<.05), tra ritmici e focalizzatori (z = 4.43, p<.001),
tra ideativi e parlato non marcato (z = 8.16, p<.001), tra adattatori e marcatori con funzione
d’interazione (z = 7.13, p<.001), tra adattatori e marcatori con funzione di coesione sociale (z =
5.48, p<.001) e tra adattatori e pause (z = 2.38, p<.05).
Per quanto riguarda le simulazioni di discussioni in diadi, l’associazione MG risulta
significativa (X2(18)=1387.7, p<.001); i coesivi risultano associati significativamente ai
demarcativi (z = 10.68, p<.001), ai focalizzatori (z = 2.90, p<.05), ai riformulatori (z = 5.77,
p<.001) e ai marcatori con funzioni di coesione sociale (z = 2.72, p<.05); i ritmici sono associati
significativamente ai demarcativi (z = 4.96, p<.001), ai focalizzatori (z = 2.90, p<.05) e ai
riformulatori (z = 3.66, p<.001); gli ideativi sono associati significativamente al parlato senza
marcatori (z = 19.18, p<.001) e gli adattatori ai marcatori con funzione d’interazione (z = 10.30,
p<.001) e alle pause (z = 30.55, p<.001).
Tabella XII. Associazioni significative tra gesti e marcatori discorsivi nei diversi contesti analizzati.
Contesti
Interrogatori
Gesti
Coesivi
Interviste
politiche
Focalizzatori
Demarcativi
Ritmici
Focalizzatori
Demarcativi
Focalizzatori
Ideativi
Parlato
Parlato
Adattatori
Pause
Interazione
Coesione sociale
Pause
Simulazioni
Focalizzatori
Demarcativi
Riformulazione
Coesione sociale
Focalizzatori
Demarcativi
Riformulazione
Parlato
Interazione
Pause
In generale le associazioni significative che si riscontrano per ciascun contesto riproducono
le associazioni emerse nell’analisi generale su tutti i contesti. Analizzando le associazioni che si
differenziano dai risultati generali, è possibile fare alcune considerazioni speculative ed
ipotetiche. Nel contesto Interrogatori i gesti coesivi non risultano associati ad alcun marcatore,
75
probabilmente perché è un conteso in cui la conversazione è già strutturata nella sequenza
domanda-risposta; inoltre gli adattatori, diversamente dai risultati generali e dalle ipotesi, non
risultano associati ai marcatori di interazione e coesione sociale, probabilmente perché la
relazione non è uno degli obiettvi generali dell’interrogatorio da parte di entrambi gli interagenti.
Si può notare, in più, l’associazione, non ipotizzata e differente dai risultati generali, tra coesivi e
marcatori di coesione sociale nei contesti di simulazione; probabilmente in questi contesti il
mantenimento della relazione è maggiormente funzionale rispetto all’obiettivo stesso
dell’interazione comunicativa (accordarsi per prendere una decisione) in confronto agli altri
contesti e i gesti coesivi si trovano ad avere, oltre che una funzione intra-discorsiva di coesione
del testo verbale, anche una funzione inter-discorsiva di coesione della relazione sociale.
Obiettivo 2.
Anche per lo studio delle corrispondenze tra gesti delle mani e retorica nei medesimi
contesti sono state effettuate delle anali del chi-quadrato e dei residui corretti. La Tabella XIII
mostra le frequenze grezze e i residui corretti delle associazioni tra le categorie generali dei gesti
e i dispositivi retorici in tutti i quattro contesti. L’associazione tra le due variabili (ipotesi 2 dello
studio) risulta significativa (X2(3)=89.5, p<.001).
Tabella XIII. Associazione tra categorie generali dei gesti e dispositivi retorici in tutti i contesti osservati:
frequenze grezze (f), residui corretti (z) e valore del X2.
coesivi
ritmici
ideativi
adattatori
Gesti
Retorica
presente
f
376
404
1257
318
z
1.14
-2.91*
7.71**
-7.84**
assente
f
2230
2918
6641
3018
z
-1.14
2.91
-7.71
7.84
X2(3)=89.5, p<.001 N=17162
Anche in questo caso, dato l’alto numero delle osservazioni si è reso necessario applicare il
test di Bonferroni che abbassa il livello di significatività a α/n.ro delle celle; dunque se si
considera α = .05, il livello di probabilità è p=.0062, dunque i residui corretti significativi sono
per z>⏐2.5⏐. Contrariamente all’ipotesi 2a, i ritmici risultano associati negativamente ai
dispositivi retorici (z = -2.91, p<.006); questo significa che nei quattro contesti i ritmici sono stati
osservati in misura maggiore nel parlato in assenza di dispositivi retorici. Come ipotizzato
(ipotesi 2b) gli ideativi si associano positivamente ai dispositivi retorici (z = 7.71, p<.001).
Un’altra associazione significativa non ipotizzata, ma facilmente spiegabile, è l’associazione
negativa tra gesti adattatori e dispositivi retorici (z = -7.84, p<.001).
Poiché nell’ipotesi 2b si ipotizzava specificatamente un’associazione positiva tra gesti
illustratori (categoria specifica dei gesti ideativi) e dispositivi retorici, è stata effettuata un’analisi
considerando le categorie specifiche dei gesti ideativi: illustratori ed emblematici. La Tabella
XIV mostra le associazioni (frequenze grezze e residui corretti) con le categorie specifiche dei
gesti ideativi e le altre categorie generali, sempre su tutti i contesti osservati. L’associazione
risulta significativa (X2(4)=103, p<.001).
76
Tabella XIV. Associazione tra gesti e retorica con le categorie specifiche dei gesti ideativi e le categorie generali
degli altri gesti, in tutti i contesti osservati: frequenze grezze, residui corretti e valore del X2.
coesivi
ritmici
illustratori
emblematici
adattatori
Gesti
Retorica
Presente
f
376
404
1194
63
318
z
1.14
-2.04
-2.91*
8.51**
-7.84**
Assente
f
2230
2918
6124
517
3018
z
-1.14
2.91
-8.51
2.04
7.84
X2(4)=103, p<.001 N=17162
Applicando il test di Bonferroni, p=.005 e i residui sono significativi per z>⏐2.58⏐. Oltre
alle associazioni già rilevate nella precedente Tabella XII (associazioni negative dei gesti ritmici
e adattatori con i dispositivi retorici), è possibile osservare, a ulteriore conferma dell’ipotesi 2b,
l’associazione positiva significativa dei gesti illustratori con i dispositivi retorici (z = 8.51,
p<.001) e l’assenza di associazione significativa tra emblematici e retorica (z = -2.04, n.s.).
Per una descrizione più analitica delle associazioni tra gesti e retorica, è stata effettuata
un’analisi delle corrispondenze tra le singole categorie dei gesti e i singoli dispositivi retorici. Per
comprendere al meglio il ruolo dei gesti illustratori nell’accompagnare il parlato caratterizzato da
dispositivi retorici, in questa analisi, tali gesti sono stati considerati nelle sotto-categorie
specifiche: iconici, deittici e metaforici. La Tabella XV mostra le associazioni tra dispositivi
retorici e gesti delle mani (frequenze grezze e residui corretti) in tutti i contesti studiati.
L’associazione risulta significativa (X2(36)=225.5, p<.001).
Tabella XV. Associazioni tra categorie dei
2
grezze, residui corretti e X .
Gesti
coesivi
ritmici
Dispositivi
prima persona f
56
89
z
-3.59
0.06
lista
f
193
140
z
-2.80
4.49
form. estrema f
43
36
z
1.56
-0.30
contrasto
f
43
85
z
-2.55
3.15
umorismo
f
7
2
z
-1.21
-3.09
proverbio
f
11
26
z
-1.19
2.70
metafora
f
23
26
z
0.85
1.20
X2(36)=225.5, p<.001 N1=2355
1
gesti e dispositivi retorici in tutti i contesti studiati: frequenze
iconici
deittici
15
-0.58
41
2.13
5
-0.89
6
-2.00
6
2.66
2
-0.67
3
-0.56
190
5.33
264
-0.13
23
-5.93
122
2.43
8
-2.85
20
-1.45
22
-2.47
metaforici emblematici
62
-5.04
208
1.79
58
2.59
67
-0.99
13
-0.03
21
0.57
38
3.16
14
0.06
19
-1.76
10
1.82
14
1.41
3
0.96
2
-0.35
1
-1.31
adattatori
90
2.96
98
-3.93
44
3.00
36
-2.37
27
6.61
13
0.05
10
-1.79
N di questa tabella è più basso rispetto alle precedenti in quanto sono state eliminate le associazioni tra gesti e parlato in assenza di dispositivi
retorici, le quali sono in numero maggiore rispetto a quelle tra gesti e retorica.
Dato l’alto numero di celle, le frequenze delle associazioni risultano ben distribuite e non si
è ritenuto necessario applicare il test di Bonferroni: il livello di significatività resta dunque α =
.05 e i residui corretti significativi z>⏐1.96⏐ per p<.05. I gesti coesivi risultano associati
significativamente alla lista (z = 4.49, p<.001), i gesti ritmici al contrasto (z = 3.15, p<.001) e
all’espressione proverbiale (z = 2.70, p<.05), gli iconici alla lista (z = 2.13, p<.05), i deittici
all’uso di pronomi in prima persona plurale (z = 5.33, p<.001) e al contrasto (z = 2.43, p<.05), i
77
metaforici alla formulazione estrema (z = 2.59, p<.05) e alla metafora (z = 3.16, p<.001), i gesti
adattatori all’uso della prima persona plurale (z = 2.96, p<.05), alla formulazione estrema (z =
3.00, p<.05) e all’umorismo (z = 6.61, p<.001).
4.7 Discussione
Per quanto riguarda la verifica del primo obiettivo, le co-occorrenze significative tra gesti
delle mani e marcatori discorsivi per l’individuazione delle funzioni discorsive delle categorie dei
gesti, i risultati confermano le ipotesi di ricerca formulate, pur differenziandosi lievemente tra i
contesti.
In generale, infatti, i gesti coesivi sono associati significativamente ai marcatori con
funzione metatestuale di demarcazione e riformulazione, i gesti ritmici ai marcatori metatestuali
di focalizzazione, i gesti adattatori ai marcatori discorsivi con funzione di coesione sociale e di
gestione dei turni conversazionali e con le pause, e i gesti ideativi con il parlato non marcato
(cioè in assenza di marcatori).
Le associazioni significative tra gesti coesivi e marcatori metatestuali (cfr., trascritto in
grassetto negli Estratti 3 e 4) dimostrano per la prima volta col conforto statistico che questi gesti
hanno una funzione intra-discorsiva di coesione del testo verbale: ciò si evidenzia in particolare
nell’associazione con i marcatori di demarcazione e di riformulazione, vale a dire con i passaggi
da una parte all’altra del discorso, con i riferimenti ad argomenti già citati, con la rielaborazione
del discorso, ecc. Come noto tale funzione dei gesti coesivi all’interno del discorso era già stata
ipotizzata e descritta precedentemente da alcuni autori (Contento, 1998, 1999b; McNeill, 1985,
1992; McNeill, Levy, 1993), ma solo sulla base di osservazioni di tipo qualitativo e/o su singole
conversazioni.
Estratto 3: TG 5 INTERVISTE a S. Berlusconi, 03/05/2001, righe 193-196 (mu: mulinello coesivo; mt: metaforico)
193
[.h e quindi quando io] [volevo fa:re: (.) in:] eh:
194
[
mu
] [
mt
]
195
prateri:e [desolate,] [addirittura]
196
[
mu
] [
mu
]
Estratto 4: TG 5 INTERVISTE a S. Berlusconi, 03/05/2001, righe 205-208 (mu: mulinello coesivo; va: vassoio
coesivo; d: deittico)
205
[fallito:,] [e poi invece ho fatto] [il centro di
206
[
va
] [
mu
] [
d
207
nord,] [milano due,] [.h milano tre,] [il girasole,]
208
] [
d
] [
d
] [
d
]
La forte associazione dei gesti ritmici con i marcatori metatestuali di focalizzazione (cfr.
Estratti 5 e 6) permette di confermare finalmente su base statistica anche la funzione già attribuita
in letteratura ai gesti ritmici sulla base di rilevazioni delle associazioni dei ritmici (beats) con i
picchi vocali (McClave, 1994) o di mere osservazioni qualitative (McNeill, 1985, 1992): cioè
quella di dar ritmo al discorso allo scopo di enfatizzarne i punti “focali” e salienti.
Estratto 5: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 04/05/2001, righe 187-190 (e: emblematico; r: ritmico)
187
[perché la destra?] [non ha votato,] il pacchetto sicurezza.
188
[
e
] [
e
]
189
<che permette pene [più certe>] [finalmente!]
190
[
r
] [
r
]
78
Estratto 6: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 04/05/2001, righe 404-407 (mt: metaforico, r: ritmico)
404
[non è giusto.] [ecco perché: bisogna] [separa:re.]
405
[
mt
] [
r
] [
mt
]
406
[MA NON per andare contro,] gli uni o gli=altri.
407
[
mt
]
I gesti adattatori sono risultati associati significativamente a marcatori discorsivi
d’interazione con funzione di gestione della conversazione e di coesione sociale, nonché
all’assenza di parlato.
A conferma del ruolo non discorsivo tradizionalmente ascritto ai gesti adattatori, in questo
studio è emersa la forte associazione significativa tra gesti adattatori e pause nel parlato (dunque
assenza di discorso; cfr., Estratto 7). Ciò, oltre a confermare il criterio tassonomico adottato
(adattatori come gesti non necessariamente connessi al discorso), consente anche di interpretare i
momenti di pausa, tra i parlanti o all’interno dei turni stessi, come momenti di imbarazzo
conversazionale (cfr., ad esempio, Sacks, Schegloff, Jefferson, 1974). Bisogna inoltre ricordare
che le pause intra-turno sono state anche considerate come momenti di elaborazione cognitiva
della costruzione lessicale del testo del discorso verbale (Goldman-Eisler, 1954) o ancora come
segnalatori di enfasi del discorso (Sacks et al., 1974; Tanner, 1985). Nel primo caso, si
confermerebbe la loro funzione classica, intrapersonale, in quanto “alleggerirebbero” la tensione
dovuta a tale sforzo cognitivo; nel secondo caso, invece, si potrebbe arrivare a ipotizzare una
funzione indirettamente discorsiva del gesto adattatore perché co-occorrente a una pausa intraturno finalizzata a dare maggiore enfasi al discorso complessivo in atto.
Evidenze di possibili funzioni discorsive dei gesti adattatori possono essere considerate
anche le altre due associazioni dei gesti adattatori (coi marcatori discorsivi d’interazione con
funzione di gestione della conversazione e di coesione sociale; cfr., Estratti 7 e 8): tale risultato
indicherebbe che durante l’interazione sociale i momenti di gestione di una relazione sociale e di
una conversazione probabilmente si accompagnano a particolari stati emotivi (ansia, tensione,
imbarazzo), se assumiamo dalla letteratura che i gesti adattatori hanno tipicamente questa
funzione (Ekman, Friesen, 1969). Tale tipo di gesto, usato in questi momenti particolari, con la
suddetta funzione “intrapersonale”, verrebbe a co-occorrere a una funzione interpersonale,
discorsiva, realizzata tramite dei marcatori verbali. In tal modo, quindi, aspetti o funzioni
intrapersonali potrebbero venire ad assumere anche funzioni interpersonali, ammesso che tale
segnale non verbale possa essere interpretato dall’interlocutore anche in funzione di gestione
dell’interazione e di coesione sociale in virtù delle sue co-occorrenze verbali. Risultati che
possono andare nella stessa direzione teorica sono stati ottenuti anche studiando gli aspetti verbali
e gestuali con ottica sequenziale, anziché di co-occorrenza, entro le dinamiche sequenziali
domanda-risposta (Gnisci, Maricchiolo, Bonaiuto, manoscritto non pubblicato). Tuttavia una più
corretta interpretazione di tali fenomeni a supporto di possibili funzioni discorsive e
interpersonali dei gesti adattatori richiederebbe una disamina più sofisticata che cogliesse, oltre al
processo di codifica, anche il processo di decodifica dell’interlocutore distinguendo il contributo
relativo degli aspetti verbali e di quelli non verbali. Tali riflessioni offrono comunque un
suggerimento all’approfondimento dello studio di questo tipo di gesti e alle sue funzioni,
soprattutto in campo psicologico-sociale e/o psicolinguistico: lo studio di tale tipo di gesti, in
quanto espressione di stati emotivi, infatti, era stato finora tenuto in maggiore considerazione, più
che altro, da campi della psicologia ad indirizzo individualista e/o evolutivo, i quali hanno poco
considerato la eventuale funzione interattiva dei gesti adattatori.
79
Estratto 7: TG 5 INTERVISTE a S. Berlusconi, 03/05/2001, righe 137-140 (oa: oggetto-adattatore; d: deittico; r:
ritmico; dc: deittico coesivo)
137
B:
[beh io] [ho avuto] m:odo di leggerlo: [(.)] [una
138
[ oa ] [
d ]
[ oa] [
d
139
notte,] [eh- ho fatto] [molte osservazioni:.]
140
] [
r
] [
dc
]
Estratto 8: TG 5 INTERVISTE a S. Berlusconi, 03/05/2001, righe 209-212 (oa: oggetto-adattatore; d: deittico)
209
[e tante altre cose.] [.h quando sono entrato] [nel
210
[
d
] [
d
] [ oa
211
mondo dello sport,] [lei] [lo deve ben ricordare:,
212
] [ d ] [
oa
L’associazione significativa tra gesti ideativi e parlato in assenza di marcatori conferma la
funzione principale di tali gesti, che consiste nell’illustrazione del contenuto verbale delle
espressioni comunicative (cfr. Ekman, Friesen, 1969; Kendon, 1983, 1995) e non nella
strutturazione del discorso, né nella gestione dell’interazione conversazionale o della relazione
sociale, le quali sono segnalate dai marcatori discorsivi analizzati nello studio. I gesti ideativi
avrebbero dunque la stessa funzione che nella comunicazione verbale hanno i verbi, cioè la
descrizione di stati o azioni, e i nomi, vale a dire la descrizione di oggetti, persone, concetti,
luoghi, eccetera, nonché alcuni avverbi di tempo (es. ieri, poi, ecc.) e di luogo (qui, sopra, ecc.), i
quali illustrano una posizione spazio-temporale descrivibile anche visivamente attraverso forme e
movimenti delle mani, dunque gesti.
Per quanto riguarda i gesti ideativi, infatti, dato il loro legame con il contenuto verbale della
comunicazione, era stata ipotizzata un’associazione significativa con i dispositivi retorici, in
quanto forma espressiva particolarmente efficace, ancorchè non esclusiva, per esporre dei
contenuti. Questa ipotesi è stata confermata dai risultati delle analisi che rivelano associazioni
significative tra gesti ideativi, in particolare gesti illustratori, e presentazione tramite dispositivi
retorici dei contenuti.
Per quanto riguarda l’associazione tra gesti e dispositivi retorici, infatti, le ipotesi che
hanno guidato il presente studio sono confermate solo in parte. Infatti, i dispositivi retorici sono
risultati associati positivamente ai gesti illustratori, come ipotizzato, e negativamente ai gesti
ritmici (contrariamente alle ipotesi suggerite dalla letteratura: Atkinson, 1984; Bull, 1986;
Heritage, Greatbatch, 1986, probabilmente perche questi gesti sono risultati essere associati alla
struttura del discorso più che al contenuto) e ai gesti adattatori.
Nello specifico, i gesti iconici vengono associati significativamente alla lista (cfr.,
Estratto9), dispositivo retorico che permette di elencare tre o più elementi argomentativi
(Atkinson, 1984): i gesti iconici aiuterebbero dunque l’illustrazione e la rappresentazione
iconografica di tali elementi (McNeill, Levy, 1993).
Estratto 9: PORTA A PORTA, intervista a S. Berlusconi 08/05/2001, righe 1230-1235 (nr: non ripreso; r: ritmico; ic:
iconico)
1230
che il presidente del consiglio in italia,] [non ha
1231
nr
] [
1232
nessun pote:re,] se non quello di redigere- eh=eh [il
1233
r
]
[
1234
prora:mma,] [l'ordine del gio:rno,] [del consiglio]
1235
ic
] [
ic
] [
mt
]
L’associazione tra gesti metaforici e l’uso di metafore (cfr., Estratto 10) dimostra la
funzione di questi gesti che come il dispositivo retorico in questione utilizza una analogia (in
80
questo caso figurativa) per rappresentare un concetto, allo scopo di disambiguare il contenuto
nell’espressione verbale (Argentin et al., 1990); lo stesso vale per l’associazione con la
formulazione estrema (Estratto 11), in cui possono presentarsi avverbi e aggettivi (spesso in
forma superlativa), illustrabili più facilmente attraverso metafore figurative che attraverso
immagini iconografiche delle parole stesse.
Estratto 10: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 10/05/2001, righe 143-407 (mt: metaforico; d: deittico)
143
interno [molto più grosse,] vedete, [cossiga che già
144
[
d
]
[
145
sbatte la porta,] [la lega] che non si capisce (.)
146
mt
] [
d
]
147
[se rema a favore] [o se remi co:ntro:,]
148
[
mt
] [
mt
]
Estratto 11: TG 5 INTERVISTE a S. Berlusconi, 11/05/2001, righe 42-45 (mt: metaforico; r: ritmico)
42
ma [la sinistra,] [ha messo in piedi,] [la campa:gna]
43
[
r
] [
mt
] [
r
]
44
elettora:le, [peggiore,] che si sia mai vista.
45
[
mt
]
I gesti deittici sono impiegati significativamente in associazione con l’uso dei pronomi in
prima persona plurale: come suggerito dalla letteratura, i pronomi in prima persona plurale
durante i discorsi segnalano una distribuzione della responsabilità (Wilson, 1990), l’impiego dei
deittici (che puntano a una localizzazione esterna al locatore o al locatore stesso) in associazione
a essi è dunque pienamente coerente con questa associazione e con la definizione stessa di questi
gesti: il termine “deissi” (dal greco deìknymi, “mostrare”), infatti, indica un procedimento
mediante il quale si mette in rapporto l’enunciato con la situazione spazio–temporale in cui si
inserisce, rinviando a referenti diversi che, di volta in volta, possono essere resi espliciti (Simone,
1995). L’utilizzo della “deissi gestuale” in associazione con pronomi in prima persona plurale
rivela la tendenza da parte del parlante al rinvio (spazio-temporale) a un referente preciso (se
stesso), probabilmente puntando il dito o la mano verso di sé (questo caso per esempio è stato
osservato qualitativamente in alcune interviste politiche, sebbene non sia stato fatto oggetto
d’analisi quantitativa in questa sede; cfr., Estratti 12 e 13).
Estratto 12: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 04/05/2001, righe 158-161 (d: deittico; r: ritmico)
158
[noi siamo] perché: non si vada [mai, mai, e poi mai,]
159
[
d
]
[
r
]
160
ad una [<privatizzazione>] della sanità. cioè a dire.
161
[
r
]
Estratto 13: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 04/05/2001, righe 286-289 (d: deittico; ch: chele-coesivo)
286
[siamo lì.] (…) [le elezio:ni] [le vinceremo] [noi
287
[
d
]
[
d
] [
d
] [
288
dell'ulivo,] [<nell'interesse,>] [dell'italia.]
289
d
] [
d
] [
ch
]
Allo stesso modo i gesti deittici sono impiegati in associazione significativa con il
contrasto, probabilmente allo scopo di localizzare, anche figurativamente oltre che
concettualmente, in posizioni (spazio-temporali) diverse i due elementi opposti del contrasto
(cfr., ad esempio, Estratti 14 e 15).
81
Estratto 14: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 04/05/2001, righe 182-185 (d: deittico; dc: deittico coesivo; te: telaiocoesivo; e: emblematico)
182
persone anziane.] [questa è una differenza,]
183
] [
dc
]
184
[grande,] [tra noi,] [e loro.] [sicurezza.] [basta!]
185
[
d
] [
d
] [
d
] [
te
] [ e
]
Estratto 15: TG 5 INTERVISTE a F. Rutelli, 04/05/2001, righe 384-387 (d: deittico; dc: deittico coesivo)
384
[vede ancora una volta.] [l'italia dei ta:nti,]
385
[
dc
] [
d
]
386
[o l'italia dei pochi,] e del privilegio.
387
[
d
]
L’associazione tra gesti ritmici e contrasto conferma parte dell’ipotesi di ricerca tratta da
alcuni studi precedenti, in contesto politico, sull’associazione tra alcuni gesti e i dispositivi
retorici (Atkinson, 1984; Bull, 1986; Maricchiolo, Bonaiuto, 2005): le due parti opposte del
contrasto sono dunque marcate ed enfatizzate non verbalmente oltre che verbalmente.
Un’altra associazione significativa, non ipotizzata in precedenza, ma emersa dalle analisi e
che si ritiene sia rilevante per il presente studio è quella tra gesti coesivi e utilizzo della lista:
secondo la letteratura sulla retorica nel discorso orale (e.g. Bonaiuto, Fasulo, 1998; Bull, 2002;
De Grada, Bonaiuto, 2002), la lista avrebbe la funzione di articolare strutturalmente, elencandole,
tre o più argomentazioni riguardo il tema di cui si sta parlando; in questo caso l’utilizzo dei gesti
coesivi, durante l’espressione verbale di una lista, confermerebbe la loro funzione nella
strutturazione del discorso e nel conferire continuità, coesione e coerenza ad esso (Contento,
1999b; McNeill, Levy, 1993): i gesti coesivi sosterrebbero quindi il legame strutturale, nonché
logico-contenutistico, delle tre o più parti della lista.
Anche per quanto riguarda le associazioni tra gesti e dispositivi retorici, analogamente a
quelle tra gesti e marcatori discorsivi, il risultato inatteso e, in qualche modo, sorprendente
riguarda le associazioni significative dei gesti adattatori con alcuni dispositivi retorici. Tra queste,
l’associazione significativa risultata più forte è quella con l’umorismo; questo espediente
linguistico ha una funzione simile a quella svolta dai marcatori d’interazione e di coesione
sociale, cioè quella di fungere da facilitatore e regolatore della comunicazione e da predittore
dello sviluppo di una buona relazione con il proprio interlocutore (Graham et al., 1992): anche in
questo caso possono essere dunque valide le considerazioni compiute in precedenza per spiegare
l’associazione tra gesti adattatori e marcatori d’interazione conversazionale e di relazione sociale,
vale a dire la possibile funzione degli adattatori nel regolare gli stati affettivi che
accompagnerebbero la gestione dell’intrerazione. Bisogna tener conto, comunque, che
nell’analisi delle associazioni tra le diverse categorie dei gesti e i diversi dispositivi retorici non
sono stati presi in considerazione i gesti in co-occorrenza con il parlato in assenza di dispositivi
retorici, i quali sono, per la maggior parte, gesti adattatori, data l’associazione negativa emersa,
dall’analisi preliminare tra gesti e retorica, tra questa categoria di gesti e l’espressione dei
contenuti per mezzo di dispositivi retorici.
I risultati dello studio sulle co-occorrenze tra gesti e dispositivi retorici arricchiscono la
letteratura precedente (Atkinson, 1984; Bull, 1986; Heritage, Greatbatch, 1986), la quale si è
basata su singoli discorsi e/o contesti, facendo riferimento solo a pochi tra i dispositivi retorici
presenti in letteratura e soltanto ad alcune categorie di gesti delle mani, tra l’altro descritti molto
sommariamente (per esempio, “synchronozed”, “bilateral”, “non-contact gestures”, in Bull, 2002,
82
p.111), e non a una classificazione esaustiva. Al contrario nel presente studio, oltre a essere stati
analizzati diversi contesti sociali, sono stati presi in considerazione molteplici dispositivi retorici
presenti in letteratura e una classificazione esaustiva dei gesti delle mani, oltre a descrivere le
associazioni tra aspetti verbali e gestualità delle mani attraverso uno studio di tipo quantitativo e
analisi statistiche dei dati: tutto ciò consente quindi di conferire maggiore validità e
generalizzabilità alle conoscenze in merito alle funzioni dei gesti nell’ambito dell’interazione
sociale.
In generale, le associazioni risultate significative in questo studio consentono quindi di
offrire indicazioni più certe e specifiche in merito alle possibili funzioni delle diverse categorie di
gesti usati nella comunicazione orale: strutturazione e coesione del discorso per i gesti coesivi e
ritmici; illustrazione del contenuto del discorso nelle diverse forme argomentative (dispositivi
retorici) per i gesti ideativi; canalizzazione di stati di tensione emotiva e/o gestione
dell’interazione discorsiva e delle relazione sociale per i gesti adattatori.
In base dunque alla co-occorrenza verbale-gestuale, si può attribuire a ciascuna categoria
gestuale una specifica funzione prevalente: tali associazioni gesto-funzione erano peraltro già
state affermate in letteratura ma, sino a ora, erano state illustrate solo qualitativamente oppure
quantitativamente ma limitatamente a singole categorie di gesti (Bavelas et al., 1992; Beattie,
Shovelton, 2000; Bull, 2001; Contento, 1999a; Kendon, 1985; McNeill, 1992, 2000).
D’altra parte è giusto ricordare che il presente studio è di tipo correlazionale, ne consegue
che i risultati da esso ottenuti possono solo fornire delle ipotesi funzionali della gestualità delle
mani che accompagna l’eloquio. Lungi dall’essere definitivi, tali risultati forniscono lo spunto e
la direzione dei percorsi di ricerca da intraprendere per lo studio sperimentale sulla funzione dei
gesti delle mani nell’interazione comunicativa. Il presente studio rappresenta, inoltre, uno dei
pochi tentativi di spiegare a livello quantitativo la relazione tra parametri verbali e gestuali al fine
di evidenziarne le funzioni, analizzando un’ampia mole di dati conversazionali (un totale di circa
400 minuti di interazioni comunicative osservate e codificate) tratti da contesti sociali
differenziati.
Lo studio qui presentato si inserisce in una ricerca nell’ambito disciplinare della psicologia
sociale; l’interesse è dunque rivolto in misura maggiore alle funzioni di tipo inter-personale
piuttosto che intra-personale dei gesti delle mani utilizzati in co-occorrenza con la comunicazione
verbale. Una delle funzioni della comunicazione maggiormente studiate in psicologia sociale è
certamente la funzione persuasiva, vale a dire la capacità della comunicazione di indurre un
cambiamento dell'opinione altrui per mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di
contenuti, una (co-)costruzione di significati sociali.
Il passo successivo di questa ricerca, e obiettivo principale dello studio presentato di
seguito, è chiarire sperimentalmente quale sia il ruolo dei diversi tipi di gesti, descritti e spiegati
sino a ora, nella funzione “principe” della comunicazione: la persuasione.
83
5. STUDIO 3: EFFETTI DELLA COORDINAZIONE VERBALE-GESTUALE SU
CREDIBILITÀ, PERSUASIVITÀ E ATTEGGIAMENTO
5.1 Introduzione
La relazione tra CNV e persuasione è stata oggetto d’indagine in ambito della
comunicazione politica e dell’oratoria, sin dall’epoca classica. Nell’antichità si distinguevano
cinque operazioni necessarie alla preparazione di un discorso: inventio, dispositio, elocutio,
memoria e actio. L’ultima riguardava le diverse tecniche d’esposizione del discorso, comprese le
figure retoriche e la gestualità (Pontiggia, Grandi, 1996).
Negli ultimi decenni, numerosi studi hanno cercato di porre l’accento sull’importanza che
la CNV in genere e quella gestuale in particolare hanno nel rendere più efficaci e più persuasivi i
discorsi in pubblico. Nel capitolo due sono già state ampiamente citate le ricerche svolte da
Atkinson (1984), Heritage e Greatbatch (1986) e Bull (1986) sull’uso dei gesti in associazione
con i dispositivi retorici nei discorsi politici.
Ghiglione (1989) ha trovato che, durante alcuni grandi dibattiti politici in Francia
(Mitterand/Giscard nel 1981; Fabius/Chirac nel 1985), i comportamenti non verbali utilizzati e
soprattutto la gestualità giocarono un ruolo essenziale nella costruzione del significato. Tali
ricerche mettono in evidenza l’importanza della gestualità della comunicazione nella produzione
e percezione del messaggio politico (Mouchon, 1983).
Argentin et al. (1990) hanno trovato che un politico, quando aumenta la produzione di gesti
di tipo metaforico (riferiti al contenuto), diminuisce o elimina i gesti adattatori (di automanipolazione) e ridimensiona il numero dei gesti di interpunzione, i quali hanno funzione di
evidenziare il discorso sulla base di un meccanismo di contiguità dei segni; egli, così facendo,
risulterebbe maggiormente credibile e persuasivo, pur mantenendo invariato il registro verbale.
Alcuni studi hanno permesso di affermare che la mancanza di fluenza di un messaggio mina
la persuasività e quindi il cambiamento d’atteggiamento (Erickson et al., 1978; Hollandsworth,
Kazelskis, Stevens, Dressel, 1979; McCroskey, Mehrley, 1969; Mehrabian, Williams, 1969); e
che una maggiore intensità vocale (maggiore volume, intonazione, fluenza e velocità) crea uno
stile discorsivo sicuro, che influenza il grado di persuasività (Edinger, Patterson, 1983; Erickson
et al., 1978; Mehrabian, Williams, 1969).
Mehrabian (1969) ha rilevato che gli oratori che cercano di essere persuasivi osservano più
spesso i loro ascoltatori, eseguono più gesti e cenni del capo, hanno movimenti del volto più
frequenti, parlano più velocemente, a voce più alta e con minore esitazione. D’altronde, come
afferma Mehrabian (1969), i segnali vocali e gestuali di solito sono usati insieme.
Altri studi sul comportamento non verbale (Argyle, Cook, 1976; Burgoon et al. 1990;
Kleinke, 1986; Mehrabian, Williams, 1969) hanno dimostrato che i parlanti sono più persuasivi
se usano un maggior contatto visivo con gli ascoltatori, adottano distanze minori, usano maggiori
cenni affermativi del capo, gesticolano di più e compiono più espressioni facciali e, infine, sono
abbastanza rilassati e fanno pochi movimenti o gesti adattatori.
Burgoon et al. (1990) hanno spostato il campo d’indagine nei contesti simulati ed hanno
dimostrato che l’utilizzo di alcuni gesti invece di altri ha un’influenza sulla persuasione e sulla
credibilità di un messaggio persuasivo. Gli autori esaminano la relazione tra il comportamento
non verbale, la credibilità della fonte e la persuasività del parlante, in una situazione di
comunicazione persuasiva. L’ipotesi generale è la seguente: dato che il comportamento non
verbale influisce sull’impressione che suscita il parlante, è possibile che gli stimoli non verbali
siano collegati direttamente ai giudizi di credibilità e solo indirettamente alla persuasione, tramite
la mediazione della credibilità. Tra i diversi risultati della ricerca, gli autori dimostrano che c’è
84
una relazione significativa tra la CNV e la persuasività e, inoltre, che l’utilizzo dei gesti
illustratori, insieme ad altri segnali non verbali di competenza, aumenta la persuasività e che,
viceversa, l’utilizzo di gesti adattatori, sempre insieme a segnali non verbali di sottomissione,
diminuisce la credibilità, che a sua volta influenza la persuasività del parlante.
In una ricerca pubblicata nel 1995, Carli, et al. fecero vedere a un campione, composto per
metà da uomini e per metà da donne, alcuni messaggi persuasivi videoregistrati, che presentavano
diversi stili di comportamento non verbale. Lo scopo della ricerca era quello di stabilire lo stile
maggiormente persuasivo e le eventuali differenze di genere. Il merito degli autori è stato quello
di aver definito diversi stili di comportamento non verbale, sulla base della letteratura precedente,
e di averne stimato la persuasività. I quattro stili usati dai ricercatori sono: stile dominante (gesti
“intrusivi” o deittici, volume alto della voce, contatto visivo costante durante il discorso, postura
tesa ed eretta ed espressione facciale tesa con le sopracciglia aggrottate); stile sottomesso (gesti
nervosi, voce tremante, poco contatto visivo, postura abbandonata e numerose esitazioni nel
discorso); stile competente (ritmo rapido nel discorso, postura ben eretta, contatto visivo
moderato durante il discorso, poche esitazioni e gesti calmi e trattenuti) e, infine, stile sociale
(postura rilassata e indirizzata verso l’altro, viso sorridente, contatto visivo alto ma non costante,
gestualità non intrusiva).
I risultati furono i seguenti: per entrambi i generi, lo stile sociale e lo stile competente sono
più persuasivi dello stile dominante e di quello sottomesso; allo stesso tempo, i soggetti
mostrarono di preferire i parlanti con uno stile sociale e competente, rispetto a quelli che
assumevano uno stile dominante e considerarono meno compente il parlante con lo stile
sottomesso. Per quanto riguarda le differenze di genere, sebbene sia la piacevolezza sia la
competenza siano predittori della persuasività, sembra che un pubblico di uomini sia più
influenzato da una donna piacevole, rispetto a una competente, quindi, per un pubblico maschile,
le donne che esibiscono uno stile competente sono meno influenti e piacevoli degli uomini che
esibiscono tale stile. Infine, gli autori non registrano differenze significative di genere rispetto
allo stile dominante. Uno dei limiti di questa ricerca è il fatto di non aver considerato il
comportamento verbale che dal non verbale è accompagnato: tra i due comportamenti, come
ormai ampiamente dimostrato dalla letteratura, esiste un legame molto forte anche per quanto
riguarda gli effetti sul ricevente dei messaggi comunicativi. Un altro limite può essere quello di
aver considerato degli stili comunicativi non verbali, mettendo insieme diversi segnali
comunicativi (postura, sguardo, espressione del viso, gesti, intonazione); sarebbe interessante
studiare anche singolarmente i diversi segnali per comprendere il contributo che ognuno di essi
apporta alla valutazione del parlante da parte di un ricevente ed eventualmente individuare quale/i
tra questi segnali contribuisca maggiormente alla valutazione di credibilità e persuasività del
comunicatore.
In linea generale questo è stato l’obiettivo di ricerca di uno studio di Leigh e Summers
(2002): essi hanno manipolato separatamente alcuni segnali non verbali (espressione del viso,
sguardo, postura, gesti e segnali vocali) allo scopo di dimostrarne l’efficacia persuasiva. Per
quanto riguarda i gesti, essi basavano le loro ipotesi su quanto più volte ribadito da diversi autori,
sino a ora solo su basi speculative e teoriche più che su dati sperimentali, e cioè che la
comunicazione gestuale, in termini di quantità, giochi un ruolo significativo nella comunicazione
interpersonale, in particolare determinando più alti livelli d’attendibilità, credibilità e persuasività
di una fonte e di un messaggio: un’elevata gestualità influirebbe positivamente sulla percezione
della piacevolezza e di status del parlante (Mehrabian, 1969) e sarebbe correlata con la
percezione di persuasività (Mehrabian, Williams, 1969); una gestualità enfatica accrescerebbe la
credibilità della fonte direttamente e la persuasività indirettamente (Leithers, 1992); infine, i
professionisti che gesticolano in maniera attiva sarebbero considerati più caldi, informali,
85
attraenti, energici, esperti, affidabili, amichevoli e persuasivi, mentre quelli che gesticolano di
meno, più freddi e logici (Argyle, 1975).
Leigh e Summers (2002), nella preparazione dei loro esperimenti volti a dimostrare tali
ipotesi, denunciano la difficoltà della manipolazione dei comportamenti gestuali (specialmente
sul versante della quantità) per la sperimentazione, come già affermato da Kendon (1970). I
ricercatori si sono mossi in questo modo: i gesti eseguiti durante le prove dall’attore, che avrebbe
interpretato i messaggi comunicativi stimolo degli esperimenti, venivano usati come livello di
gestualità alta, mentre il livello basso era raggiunto limitando i movimenti delle mani e delle
braccia solamente a quei punti del messaggio ove sembravano essenziali. I risultati hanno
mostrato che né i gesti né la postura hanno effetti significativi sulla persuasione. Gli autori
affermano, quindi, che gli effetti dei gesti possono essere studiati in modo più appropriato come
parte di un modello complessivo di stimoli non verbali. C’è da considerare però che la
manipolazione della gestualità, in questo studio, è stata eseguita solamente a livello quantitativo
(aggiungere ed eliminare i gesti) e non a livello qualitativo, cioè considerando diverse tipologie e
categorie di gesti. Si può ipotizzare che ciò sia, in parte, la causa della mancanza di effetto da
parte dei gesti sulla persuasione. Ma ciò potrebbe essere dovuto anche al fatto di non aver
considerato misure, quali le valutazioni che il ricevente fa sull’efficacia comunicativa o sulla
credibilità e persuasività del parlante, che possano in qualche modo mediare l’effetto dei gesti
sulla persuasione vera e propria.
Bonaiuto et al. (2002), in uno studio sulla dominanza e sull’influenza sociale nei gruppi,
trovano che la dominanza conversazionale (intesa come numero di turni mantenuti da una
persona) oltre ad avere effetti principali nel far aumentare la percezione d’influenza sociale dei
membri del gruppo, ha anche effetti d’interazione con i gesti connessi al discorso (coesivi e
ideativi), in particolare in gruppi più numerosi, nei quali, presumibilmente, vi è maggiore
competitività tra i partecipanti per gestire lo spazio conversazionale. Tale studio, sebbene di
natura correlazionale, sembra suggerire che l’influenza sociale che una persona esercita su un
gruppo non sia il risultato solamente di alcuni aspetti verbali, ma anche di alcuni aspetti non
verbali, come la gestualità.
La ricerca attuale, quindi, si deve muovere verso un ampliamento della gamma delle
componenti della comunicazione persuasiva, introducendo anche l’aspetto gestuale, considerato
sia come correlato dell’aspetto verbale, sia nelle sue diverse forme e funzioni. In particolare, sulla
base dello stato dell’arte della ricerca, sembra opportuno estendere la sperimentazione sui gesti
con studi che, includendo la manipolazione sperimentale della qualità della gestualità (vale a dire
delle diverse categorie dei gesti), siano volti a scoprire come particolari tipi di gesti agiscano
sull’efficacia comunicativa, sulla credibilità, sulla persuasività e sull’influenza sociale di una
persona.
Studi classici su i processi di persuasione suggeriscono che le variabili relative alla fonte
hanno ruoli molteplici in tali processi (es. credibilità della fonte, cfr., Hovland et al., 1953):
alcune caratterisitiche della fonte, come la percezione di esperienza e di affidabilità, la
piacevolezza e l’attrattiva, avrebbero infatti effetti positivi sulla formazione e il cambiamento di
atteggiamento (Hovland, Weis, 1951; Kelman, Hovland, 1953). È stato ampiamente dimostrato,
comunque, come tali effetti siano in qualche modo mefiati da stati affettivi e motivazionali, tra
cui, ad esempio, il coinvolgimento personale dei riceventi di un messaggio a scopo persuasivo
(Sherif, Hovland, 1961), inteso in termini di rilevanza personale delle conseguenze della
posizione sostenuta nel messaggio: in condizioni di basso coinvolgimento del destinatario, le
variabili relative alla fonte sono elaborate attraverso una via cosiddetta periferica o euristica, la
quale non implica un’elaborazione cognitiva sistematica e accurata del contenuto del messaggio.
Tra le variabili che agiscono come stimoli periferici le più studiate riguardano le caratteristiche
della fonte: così, in condizioni di basso coinvolgimento gli individui preferiscono essere
86
d’accordo con una fonte attraente o percepita come esperta e credibile. Quando la situazione di
persuasione coinvolge gli individui personalmente, essi tendono a seguire invece la via
sistematica o cosiddetta centrale, poiché hanno un maggior bisogno di conoscere e capire il
messaggio; in queste circostanze le variabili relative alla fonte possono avere un piccolo, seppur
diretto, impatto sulla persuasività del messaggio, sebbene le persone tendano poi a essere
persuase dalla forza degli argomenti usati (cfr. Modello della probabilità di elaborazione, ELM,
Petty, Cacioppo, 1981, 1986; Teoria dell’elaborazione euristico-sistematica, Chaiken, 1980;
1987).
Che ruolo giocano, dunque, le variabili relative alla fonte all’interno del processo
persuasivo? I risultati degli studi di DeBono e Harnish (1988) e di Heesacker, et al. (1983)
suggeriscono che per arrivare a dare una risposta soddisfacente a questa domanda bisogna porre
attenzione alle relazioni tra la fonte del messaggio e i riceventi. In particolare sembra che il gioco
tra i bisogni di chi riceve il messaggio e la potenziale ricompensa offerta dalla fonte, con la sua
esperienza e competenza, è una condizione necessaria ma non sufficiente affinché avvenga la
persuasione.
Naturalmente lo stile comunicativo adottato dalla fonte, durante un messaggio a scopo
persuasivo, può essere una importante fonte di informazioni circa la sua competenza e credibilità,
soprattutto in assenza di altre indicazioni sulle sue reali conoscenze ed esperienze come, ad
esempio, un curriculum vitae che accompagna il messaggio persuasivo scritto.
Nell'ambito dell'ampia letteratura sul rapporto tra linguaggio e potere alcuni studi si sono
occupati dello stile comunicativo verbale forte e debole (powerful and powerless speech; Ng,
Bradac, 1993). Lo stile comunicativo debole o powerless è caratterizzato dall'uso frequente di
forme evasive, forme di rafforzamento, di cortesia, domande con richieste di assenso, esitazioni,
che danno l'impressione di incertezza, passività, non efficacia. Al contrario, la loro assenza
accresce l'impressione di autorevolezza, efficacia, status, determinata da uno stile comunicativo
forte. Secondo Ng (1990) e Ng e Bradac (1993) i tratti comunicativi caratteristici di uno stile
comunicativo forte o powerful, fondamentali affinché la produzione discorsiva eserciti un
cambiamento di atteggiamento e/o un consenso, riguardano l’utilizzo frequente di espressioni
rafforzative ed enfatiche.
Gli stili comunicativi verbali e gestuali potrebbero avere dunque una certa influenza sulla
percezione di competenza e di esperienza del parlante da parte dell’ascoltatore; tale percezione
avrebbe a sua volta un effetto sulla persuasione e sul cambiamento di atteggiamento
dell’ascotatore, soprattutto in situazione di basso coinvolgimento di quest’ultimo al contenuto del
messaggio. Questa è l’ipotesi generale che guida lo studio qui presentato.
5.2 Obiettivi e ipotesi
L’obiettivo dello studio è verificare, attraverso uno studio sperimentale, gli effetti
persuasivi delle principali categorie di gesti delle mani in coordinazione con particolari
caratteristiche (quali dispositivi retorici e discorso marcato) della comunicazione verbale.
L’ipotesi generale è che, manipolando la gestualità dell’oratore e la modalità di presentazione
verbale di un messaggio persuasivo (riproducendo le principali modalità emerse dai risultati dello
studio precedente), sia possibile dimostrare l’esistenza di un effetto sia principale del tipo di gesti
sia d’interazione tra le categorie di gesti e i parametri verbali nell’influenzare sia la percezione,
da parte del destinatario, della credibilità e della persuasività del messaggio e dell’oratore, sia
l’atteggiamento nei confronti dell’oggetto del messaggio.
In questo studio sono state considerate le categorie generali del sistema di codifica dei
gesti (gesti coesivi e ritmici, gesti ideativi, gesti oggetto-adattatori e gesti auto-adattatori), perché
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nel loro insieme costituiscono un numero di livelli che è ragionevole manipolare e, nel contempo,
sono qualitativamente ben discriminabili e teoricamente ben differenziati in merito agli effetti che
possono avere. Per quanto riguarda le variabili verbali sono stati considerati la presenza/assenza
di marcatura e di dispositivi retorici nel discorso.
Nello specifico, dunque, le principali ipotesi generali che si sottopongono a verifica sono
le seguenti.
1. Le singole variabili verbali e gestuali hanno effetti principali sulla valutazione di
efficacia comunicativa, di credibilità e di persuasività, coerentemente con le
indicazioni della letteratura citate nell’introduzione. Nella fattispecie si ipotizzano due
effetti principali.
a) Effetto principale dei gesti: un oratore risulterà più credibile e persuasivo e il suo
stile comunicativo più efficace quando pronuncerà il suo discorso
accompagnandolo con gesti connessi al discorso (coesivi e ritmici, e ideativi)
piuttosto che con gesti (auto- e oggetto-) adattatori (Burgoon et al. 1990; Carli et
al., 1995; Henley, 1973).
b) Effetto principale del discorso: un oratore risulterà più credibile e persuasivo
quando pronuncerà il suo discorso secondo modalità powerful, ricche di
dispositivi retorici e marcatori metadiscorsivi, piuttosto che powerless, con
marcatori di modulazione e assenza di retorica (Atkinson, 1984; Heritage,
Greatbatch, 1986; Ng, Bradac, 1993).
2. Le variabili verbali e gestuali hanno effetto d’interazione sull’efficacia comunicativa,
sulla credibilità e persuasività, coerentemente con le indicazioni per lo più meramente
qualitative disponibili sino ad ora (Atkinson, 1984; Bull, 1986, 2002; Heritage,
Greatbatch, 1986). Nella fattispecie si ipotizza che la credibilità e persuasività
dell’oratore siano massime, rispetto a tutte le altre condizioni, quando lo stile verbale
powerful è supportato da modalità gestuali connesse al discorso.
3. L’effetto di interazione tra variabile verale e gesti è mediato dal coinvolgimento del
destinatario al contenuto del messaggio: in particolare tale effetto è maggiormente
evidente in caso di basso coinvolgimento del destinatario (Petty, Cacioppo, 1981,
1986).
4. Stile verbale e non verbale pur non avendo un effetto diretto su atteggiamento e
comportamento finali, li influenzano indirettamente tramite i loro effetti sulle
valutazioni di efficacia comunicativa, di credibilità e di persuasività (sia del parlante
sia del messaggio), le quali a loro volta sono predittori (come ampiamente noto, cfr.
Hovland, Weis, 1951; Kelman, Hovland, 1953) dell’atteggiamento nei confronti
dell’oggetto del messaggio.
5.3 Metodo
Per la costruzione dell’impianto sperimentale del presente studio si sono rese necessarie
due fasi preliminari di ricerca con i seguenti obiettivi:
1) scelta dell’oggetto del messaggio e delle argomentazioni (forti/deboli) da portare a
sostegno;
2) controllo della manipolazione delle variabili indipendenti avvenuta nei videomessaggi
(stimolo della ricerca sperimentale), tramite apposita valutazione da parte di giudici
“ciechi” alle ipotesi dello studio.
88
5.3.1 Studi preliminari
Nella prima fase della ricerca è stato svolto uno studio pilota su un campione
rappresentativo (50 soggetti) della popolazione di studenti di Psicologia del Nuovo Ordinamento
(N.O.), allo scopo di scegliere per il messaggio persuasivo un argomento che fosse saliente,
conosciuto e interessante per la popolazione target. Tale studio consisteva nella
somministrazione di tre domande aperte. L’obiettivo era quello di far emergere in maniera
spontanea gli argomenti, relativi all’istituzione universitaria in generale, nei confronti dei quali i
soggetti mostravano approvazione, disapprovazione e gli eventuali cambiamenti che avrebbero
voluto apportare. Dopo aver raccolto i dati dello studio pilota, tramite analisi del contenuto sono
state definite le categorie di argomenti emerse, con le rispettive frequenze (cfr. Tabella XVI).
Tabella XVI: frequenze delle categorie emerse nello studio pilota (N = 50).
Categoria di argomento
Approvo
Non approvo
Cambiamenti
Attività pratica e laboratori
3
8
Formazione teorica universitaria
5
3
Modalità d'esame
Modularizzazione
2
Numero degli iscritti
Numero docenti e rapporto
7
5
3
12
4
11
4
4
Obbligo di frequenza
5
6
Struttura fisico-architettonica
7
7
Programmi e lezioni
2
Preparazione dei docenti
1
Riforma
6
7
7
Servizi informativi e burocrazia
4
12
10
10
5
Tasse universitarie e costo dei testi
Tirocinio pre-laurea
9
9
2
In conformità a tali risultati è stato svolto un pre-test consistente nella somministrazione di
un questionario, contenente una lista di 18 questioni relative alle categorie di argomenti che
presentavano le frequenze più alte e in merito alle quali si voleva valutare l’opinione della
popolazione di riferimento: tirocinio pre-laurea, tasse universitarie, modalità d’esame,
organizzazione della struttura, modularizzazione, numero degli iscritti, formazione teorica e
servizi di informazione e burocrazia (per esempio: “Il tirocinio pre-laurea fornisce agli studenti
la possibilità di mettere in pratica le conoscenze teoriche apprese e di avere esperienze nel
mondo del lavoro”; “Per migliorare l’offerta didattica, le attrezzature e i servizi dell’Università
è necessario aumentare le tasse universitarie”; “L’assimilazione delle conoscenze è ostacolata
dalla distanza molto breve tra un esame e l’altro”). Tale pre-test è stato somministrato a 39
soggetti (13 maschi e 26 femmine), appartenenti alla popolazione di riferimento (Psicologia
N.O.). I soggetti erano invitati a rispondere a ciascuna domanda, indicando il loro grado di
conoscenza dell’argomento su una scala Likert che andava da 1 (Ignoro del tutto) a 7 (Conosco
89
perfettamente), il loro grado di interesse su una scala Likert da 1 (Non ho alcun interesse) a 7 (Ho
molto interesse) e il loro grado di accordo su una scala Likert da 1 (Sono in totale disaccordo) a 7
(Sono in totale accordo). Lo scopo del pre-test era quello di selezionare un argomento che
presentasse un alto grado di disaccordo e livelli abbastanza alti di interesse e di conoscenza,
seguendo il metodo utilizzato nello studio di Carli, et al., 1995. È stato identificato, dunque, un
argomento coinvolgente e nei confronti del quale i soggetti mostravano un atteggiamento di
partenza fortemente negativo. L’obiettivo generale della ricerca di cui questo studio fa parte è
quello di misurare il reale cambiamento d’atteggiamento della popolazione, consecutivo alla
somministrazione del messaggio registrato. La scelta finale si è diretta verso l’argomento
“Aumento delle tasse universitarie”, che mostrava, tra l’altro, il più basso grado di accordo (M =
1,77 per le femmine e M = 2,31 per i maschi) e livelli di interesse (M = 4,92 per le femmine e M
= 4,85 per i maschi) e di conoscenza (M = 4,23 per le femmine e M = 4,58 per i maschi)
abbastanza alti (cfr. Tabelle XVII e XVIII).
Un’ulteriore obiettivo era quello di scegliere le argomentazioni da utilizzare nel messaggio
a supporto dell’“aumento delle tasse”. Le argomentazioni utilizzate erano due forti e due deboli.
Come argomentazioni deboli sono stati scelti due motivi che non erano emersi nel precedente
studio pilota con domande aperte e che sono state quindi considerate come poco salienti per la
popolazione di riferimento: “lo sviluppo della ricerca scientifica italiana in campo internazionale”
e il fatto che “anche le altre facoltà scientifiche hanno già programmato un aumento delle tasse”.
Le argomentazioni forti riguardavano invece due questioni. La prima argomentazione forte
riguarda un motivo emerso dallo studio pilota con domande aperte: “il miglioramento della
formazione universitaria tramite migliore articolazione dei moduli didattici”. La seconda
argomentazione forte riguarda un motivo emerso dalle domande aperte e a cui nel pre-test sono
stati dati punteggi alti nelle scale di accordo (Tabelle XVI–XVIII): “rendere maggiormente
fruibile l’ambiente fisico-architettonico dell’università” (accordo: M = 5.46 per le femmine e M =
5.15 per i maschi).
90
Tabella XVII: statistiche descrittive relative al grado di conoscenza, interesse e accordo
(pre-test) per i soggetti donne (N = 26). In grassetto sono segnati questione,
media e d.s. degli argomenti scelti (*oggetto del messaggio,
**argomentazioni forti a sostegno).
Donne
CONOSCENZA
Questione
Media Dev. Std
Vantaggi del tirocinio
pre-laurea
Esame scritto consente
valutaz. Più obiettiva
Aumentare le tasse
universitarie*
Aumentare il numero di
moduli
Disagi degli studenti
lavoratori
Vantaggi degli esami
ravvicinati nel tempo
Ridurre il numero delle
immatricolazioni
Maggior approfondi_
mento teorico
Servizi universitari via
internet
Vantaggi della
modularizzazione
Rendere fruibile
l’ambiente**
Svantaggi degli esami
ravvicinati tempo**
Istituzione del numero
chiuso
Sostenere solo esami
orali
Utilizza solo servizi
inform nell’Università
Svantaggi del numero
chiuso
Integrazione esame
scritto con prova orale
Preferire le segreterie ai
servizi telematici
INTERESSE
Media
Dev. Std
ACCORDO
Media
Dev. Std
3,81
1,650
6,38
,941
5,73
1,458
5,92
1,383
5,31
1,463
3,65
2,058
4,23
1,861
4,92
1,875
1,77
,951
5,15
1,567
5,50
1,068
4,31
1,490
4,58
1,701
4,08
1,831
4,65
1,522
5,35
1,384
5,92
1,093
3,92
1,875
4,96
1,907
4,88
1,883
3,27
1,867
5,08
1,324
6,15
1,047
4,58
1,901
5,27
1,511
5,54
1,363
2,46
1,630
5,12
1,681
5,92
1,055
4,23
1,704
4,88
1,558
5,23
1,657
5,46
1,529
5,85
1,488
6,04
1,248
5,31
1,871
3,81
1,767
5,00
1,523
3,88
1,728
4,46
1,726
5,38
1,525
4,54
1,655
4,50
1,449
5,08
1,164
3,35
1,468
5,77
1,451
5,58
1,604
4,96
2,049
4,88
1,532
5,50
1,241
5,50
1,476
5,04
1,428
5,23
1,394
4,77
1,861
91
Tabella XVIII: statistiche descrittive relative al grado di conoscenza, interesse e accordo
(pre-test) per i soggetti maschi (N=13). In grassetto sono segnati questioni ,
media e d.s. degli argomenti scelti (*oggetto del messaggio,
**argomentazioni forti a sostegno).
Maschi
Questioni
Vantaggi del tirocinio
pre-laurea
Esame scritto consente
valutaz. più obiettiva
Aumentare le tasse
universitarie
Aumentare il numero di
moduli
Disagi degli studenti
lavoratori
Vantaggi degli esami
ravvicinati nel tempo
Ridurre il numero delle
immatricolazioni
Maggior approfondi_
mento teorico
Servizi universitari via
internet
Vantaggi della
modularizzazione
Rendere fruibile
l’ambiente**
Svantaggi degli esami
ravvicinati**
Istituzione del numero
chiuso
Sostenere solo esami
orali
Utilizza solo servizi
inform nell’Università
Svantaggi del numero
chiuso
Integrazione esame
scritto con prova orale
Preferire le segreterie ai
servizi telematici
CONOSCENZA
INTERESSE
Dev. Std
ACCORDO
Media
Dev. Std
Media
Media Dev. Std
3,31
1,702
4,92
1,382
4,08
1,553
4,69
2,057
4,69
1,932
3,85
2,115
4,58
2,021
4,85
2,115
2,31
1,377
4,23
1,536
5,00
1,080
3,85
,987
3,85
2,267
4,77
1,589
4,92
1,656
4,92
1,706
5,31
1,601
2,92
1,498
5,15
1,951
5,08
1,801
3,31
2,175
5,31
1,437
5,77
1,235
4,31
1,601
5,31
1,797
5,92
1,553
2,69
1,843
5,15
1,625
5,85
,899
3,23
1,691
5,00
1,958
5,00
1,915
5,15
1,345
5,15
2,075
5,23
1,833
4,85
1,864
4,15
1,994
5,15
1,144
4,00
1,633
4,46
2,025
5,23
1,641
3,38
1,502
3,38
1,710
4,92
1,320
3,54
1,391
5,31
1,653
4,69
1,494
5,23
1,423
5,08
1,754
4,92
1,754
4,46
1,854
4,46
1,854
4,46
1,713
2,62
1,609
5.3.2 Variabili sperimentali
I video-messaggi stimolo per lo studio sperimentale sono costruiti manipolando due variabili
indipendenti, coerentemente con quanto dimostrato negli studi precedenti: una variabile verbale
(dispositivi retorici e marcatura del discorso) e una variabile non verbale (gestualità delle mani).
L’obiettivo è dimostrare che i video-messaggi che abbiano alcune particolari caratteristiche
comunicative (verbali e gestuali sulla base dei risultati dello studio correlazionale e della
letteratura) siano percepiti (sia il messaggio sia il parlante) come più efficaci, credibili e
persuasivi rispetto agli altri video-messaggi.
Le variabili manipolate con i relativi livelli sono presentati di seguito.
92
I. Verbale, con due livelli: powerful e powerless.
Con stile comunicativo “powerful” s’intende (Ng, Bradac, 1993) uno stile che include una
certa quantità di dispositivi retorici e marcatori discorsivi con funzione demarcativa, i quali
concorrono a rendere il messaggio più forte, incisivo e orientato alla persuasione rispetto a uno
stile comunicativo “powerless”, che al contrario prevede un’assenza di dispositivi retorici e
marcatori metatestuali e una presenza di meccanismi di modulazione (uso del condizionale e di
forme verbali indirette) atti a rendere il messaggio più debole. È stato quindi elaborato un
messaggio “powerful”, con i seguenti dispositivi retorici: formulazione estrema, lista tripartita,
contrasto, uso della prima persona, uso dei verbi al modo indicativo, marcatori con funzione
demarcativa e di focalizzazione. E, di conseguenza, un messaggio “powerless”, in cui non è
presente alcun dispositivo retorico, c’è un uso della terza persona (impersonale) e meccanismi di
modulazione rappresentati da verbi al modo condizionale.
II. Gesti, con cinque livelli: gesti coesivi, gesti ideativi, gesti auto-adattatori, gesti
oggetto-adattatori, nessun gesto.
I gesti coesivi e i gesti ideativi appartengono alla categoria dei gesti connessi al discorso,
cioè quei gesti che si eseguono durante un discorso per aumentarne l’evidenza e l’espressività
(Bonaiuto et al., 2002). In particolare, i gesti coesivi, che comprendono all’interno anche la
categoria gesti ritmici, ma che per semplicità di esposizione vengono qui chiamati unicamente
gesti coesivi, hanno con il discorso un legame strutturale di co-occorrenza; mentre i gesti ideativi
(iconici, metaforici, deittici ed emblematici) sono direttamente riferiti al contenuto del discorso. I
gesti auto-adattatori e oggetto-adattatori non sono connessi al discorso: gli auto-adattatori
corrispondono a movimenti automatici, come il contatto di una parte del corpo con un’altra; gli
oggetto-adattatori rientrano nei gesti etero-adattatori e rappresentano un contatto da parte del
soggetto con l’esterno, in questo caso con oggetti. Questi ultimi sono caratteristici di uno stile
gestuale debole. È prevista una condizione di controllo con assenza di gesti.
III Coinvolgimento, con due livelli: alto, basso.
Il coinvolgimentodei destinatari al contenuto del messaggio non viene manipolato
all’interno del messaggio persuasivo (come le altre due variabili indipendenti) ma nella
presentazione che anticipa la somministrazione del messaggio persuasivo: nella condizione di
alto coinvolgimento ai soggetti viene detto che il provvedimento riguarderà tutti gli iscritti alla
Facoltà; nella condizione di basso coinvolgimento ai soggetti viene detto che il provvedimento
riguarderà gli studenti che si iscrivono al primo anno.
Il disegno di ricerca è dunque 2 (coinvolgimento alto/basso) X 2 (verbale
powerful/powerless) X 5 (gesti coesivi/ideativi/oggetto-adattatori/auto-adattatori/assenza gesti) in
tutto 20 condizioni sperimentali. Ciascuna condizione sperimentale prevede 10 soggetti.
5.3.3 Realizzazione dei video-messaggi
Una volta stabilito l’argomento (“aumento delle tasse universitarie”) e delle argomentazioni
forti e deboli a supporto, sulla base dei risultati dello studio pilota e del pre-test, si è passati alla
costruzione dei messaggi. Sono stati costruiti dei messaggi video nei quali una donna (attrice
professionista, età 25 anni), in un ambiente neutro, espone delle argomentazioni a favore
dell’aumento delle tasse universitarie del 20%. Per ambiente neutro s’intende una stanza con
pareti bianche in cui è presente un tavolino bianco e una sola sedia, alle spalle dell’attrice (stanza
n. 20 del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”; cfr. ad esempio Figure 26-30).
In base alla manipolazione delle variabili indipendenti considerate, sono stati registrati 10
messaggi, ottenuti dalla combinazione dei due livelli verbali e dei cinque livelli gestuali.
93
I testi dei due messaggi testuali (cfr. Appendice I) variano l’uno dall’altro solamente nella
modalità di presentazione delle argomentazioni, mentre sono identici per quanto riguarda il
contenuto. Per pareggiare il livello argomentativo, entrambi i messaggi presentano la stessa
sequenza di argomentazioni forti e argomentazioni deboli, definita sulla base degli interessi dei
soggetti emersi nello studio pilota e nel pre-test:
1) argomentazione forte, relativa al miglioramento della formazione universitaria
(problematica emersa spontaneamente e citata da molti studenti nello studio pilota);
2) argomentazione debole, relativa all’avanzamento della ricerca scientifica italiana
(problematica non citata dagli studenti);
3) argomentazione debole, relativa agli standard delle altre facoltà scientifiche
(problematica non citata dagli studenti);
4) argomentazione forte, relativa al miglioramento della struttura architettonica
universitaria (problematica che presentava uno dei più alti livelli di accordo nel pre-test).
Sono stati costruiti e videoregistrati dieci messaggi formati dalle combinazioni di cinque
categorie di gesti (coesivi, ideativi, auto-adattatori, oggetto-adattatori, nessun gesto) con i due
diversi livelli di parlato (presenza di dispositivi retorici e marcatori discorsivi metatestuali,
assenza di dispositivi retorici e marcatori discorsivi). Il risultato delle diverse combinazioni è il
seguente:
1)
Messaggio powerful con gesti coesivi (35 gesti).
2)
Messaggio powerful con gesti ideativi (42 gesti).
3)
Messaggio powerful con gesti oggetto-adattatori (34 gesti).
4)
Messaggio powerful con gesti auto-adattatori (38 gesti).
5)
Messaggio powerful con assenza di gesti.
6)
Messaggio powerless con gesti coesivi (34 gesti).
7)
Messaggio powerless con gesti ideativi (45 gesti).
8)
Messaggio powerless con gesti oggetto-adattatori (32 gesti).
9)
Messaggio powerless con gesti auto-adattatori (36 gesti).
10) Messaggio powerless con assenza di gesti.
Le Figure 26-30 mostrano un esempio per ciascun livello della gestualità.
Figura 26. Fotogramma tratto dal filmato
con livello di gestualità “gesti coesivi”.
Figura 27. Fotogramma tratto dal filmato
con livello di gestualità “gesti ideativi”.
94
Figura 28. Fotogramma tratto dal filmato
con livello di gestualità “gesti
oggetto-adattatori”.
Figura 29. Fotogramma tratto dal filmato
con livello di gestualità “gesti auto-adattatori”
Figura 30. Fotogramma tratto dal filmato
con livello di gestualità “assenza gesti”.
L’associazione tra gesti e parlato è stata stabilita sulla base delle caratteristiche delle
diverse categorie di gesti (in base ai risultati sulle funzioni ottenuti nel precedente studio, per
esempio, lista associata a gesto coesivo mulinello; contrasto associato a gesti deittici, ecc.).
I due messaggi (powerful e powerless) per ciascuna categoria presentano gesti identici (cfr.
Appendice II, per i testi dei messaggi e le co-occorrenze tra gestualità e aspetto verbale).
Si è cercato inoltre di mantenere costante il numero di gesti in ciascun video (per una media
di 36 gesti).
Poiché questo studio ha come obiettivo quello di misurare l’influenza della gestualità sulla
valutazione dei messaggi, sono stati controllati, mantenendoli costanti, gli altri parametri non
verbali (postura, movimenti del capo e delle gambe, espressioni del viso, sguardi, aspetto
esteriore).
Per quanto riguarda lo sguardo, l’attrice indossava degli occhiali da vista per nascondere il
più possibile la direzione dello sguardo. Inoltre, l’attrice ha ridotto al minimo i movimenti del
capo, mantenendoli costanti. Per quanto riguarda la postura, nel video l’attrice espone il
messaggio in piedi, dietro un tavolino di colore neutro, sul quale sono presenti una penna e un
porta-occhiali (usati nella registrazione dei messaggi con gesti oggetto-adattatori). L’idea di usare
il tavolino ha permesso di ridurre al massimo la visibilità dei movimenti degli arti inferiori, che
non sono considerati interessanti ai fini della ricerca e che, anzi, avrebbero potuto svolgere un
ruolo di disturbo. Per quanto riguarda l’abbigliamento dell’attrice, anch’esso è stato mantenuto
costante. Si è scelto un abbigliamento neutro, per non trasmettere dei segnali relativi allo status o
95
al ruolo sociale dell’attrice. Si è deciso di utilizzare l’illuminazione artificiale perché fosse
costante, indipendentemente dal variare delle condizioni atmosferiche esterne, ed evitando così il
formarsi di fasci di luce e di ombre eccessive. Inoltre, si è tenuta mediamente costante la
lunghezza dei messaggi (2’30’’ circa), per evitare un’eventuale influenza della lunghezza del
messaggio sulla valutazione.
Nel tentativo di controllare i diversi parametri summenzionati, sono state realizzate diverse
versioni preliminari di ciascun messaggio prima di giungere a quelle definitive.
5.3.4 Misure di controllo delle manipolazioni
Tutti i messaggi definitivi sono stati valutati per controllare l’efficacia della manipolazione
delle variabili indipendenti.
Sono stati distinti tre canali comunicativi, ognuno dei quali ha permesso la valutazione di
diversi aspetti della comunicazione: presentazione del messaggio attraverso il canale scritto, per il
controllo della manipolazione della modalità verbale di presentazione delle argomentazioni
(“powerful” e “powerless”); presentazione del messaggio attraverso il canale video, per il
controllo della manipolazione della gestualità (coesivi, ideativi, auto-adattatori, oggetto-adattatori
e no gesti); infine, presentazione del messaggio attraverso il canale audio, per il controllo della
costanza degli aspetti vocali dei messaggi. I tre livelli comunicativi (scritto, video e audio) sono
stati fatti valutare da 33 giudici “ciechi” agli obiettivi dello studio: i giudici sono stati suddivisi in
tre gruppi ai quali sono stati somministrati rispettivamente tutti i messaggi in modalità solamente
scritta, o solamente video o solamente audio.
Sono stati somministrati a 14 soggetti i messaggi esclusivamente nella forma scritta, al fine
di stabilire se emergevano differenze significative nella valutazione dei due livelli del verbale:
“powerful” e “powerless”. Dopo la lettura di ciascun messaggio ciascun soggetto era invitato a
rispondere al questionario di valutazione relativo. I due questionari di valutazione per la modalità
“solo scritto” erano identici e misuravano le seguenti variabili dipendenti: 1) caratteristiche legate
alla comprensibilità del messaggio; 2) caratteristiche legate allo stile comunicativo del
messaggio; 3) caratteristiche legate all’obiettività del messaggio; 4) caratteristiche legate alla
persuasività del messaggio. Per controllare l’eventuale effetto dell’“ordine di presentazione dei
messaggi”, 7 soggetti hanno letto e valutato prima il messaggio powerful, poi quello powerless
(ordine 1), e gli altri 7 prima il messaggio powerless, poi quello powerful (ordine 2).
Sono stati somministrati ad altri 8 soggetti tutti i messaggi nella forma video, con totale
assenza di audio e di supporto cartaceo, al fine di stabilire se emergevano differenze significative
in relazione alle diverse categorie di gesti. Il materiale era costituito da 5 video, ognuno per
ciascun livello di gesti, relativi al messaggio verbale “powerful”, ma opportunamente privi di
audio, e 5 video, ognuno per ciascun livello di gesti, relativi al messaggio verbale “powerless”,
ugualmente privi di audio. Ogni soggetto era invitato ad osservare i 10 video e, dopo ciascun
messaggio, era chiamato a rispondere al questionario di valutazione relativo. I 10 questionari di
valutazione erano identici e misuravano le seguenti variabili dipendenti: 1) caratteristiche legate
allo stile comunicativo del parlante; 2) caratteristiche personali del parlante (tra cui credibilità e
persuasività). Data la difficoltà di combinare le cinque categorie di gesto, l’ordine di
presentazione dei video è stato reso casuale.
Infine, ad altri 11 soggetti sono stati somministrati tutti i messaggi nella forma audio, con
totale assenza di immagini video e di supporto cartaceo, al fine di stabilire, anche in questo caso,
se emergevano differenze significative nella valutazione della voce registrata dell’attrice. Il
materiale era costituito da 5 registrazioni, relative a ciascun livello di gesti (coesivi, ideativi,
auto-adattatori, oggetto-adattatori e assenza gesti), nelle quali era possibile unicamente ascoltare
il messaggio “powerful”, perché opportunamente prive di immagine video, e 5 registrazioni,
96
relative a ciascun livello di gesti, nelle quali era possibile unicamente ascoltare il messaggio
“powerless”. Ogni soggetto era invitato ad ascoltare i 10 messaggi e, dopo ciascun messaggio, era
chiamato a rispondere al questionario di valutazione relativo. Anche in questo ultimo caso i
questionari di valutazione erano identici e misuravano le seguenti variabili dipendenti: 1)
caratteristiche legate alla comprensibilità del messaggio; 2) caratteristiche legate alla persuasività
del messaggio; 3) caratteristiche legate allo stile comunicativo del parlante; 4) caratteristiche
personali del parlante (tra cui credibilità e persuasività). Come nelle precedente somministrazione
relativa alla modalità “solo scritto”, anche per la modalità “solo audio” è stato diviso il gruppo in
due parti, ognuna delle quali ascoltava e valutava le registrazioni del messaggio “powerful” e
quelle del messaggio “powerless” in un ordine diverso (ordine 1 e ordine 2).
I questionari utilizzati per la valutazione dei messaggi (scritti, solo video e solo audio) sono
in Appendice III.
I dati raccolti sono stati analizzati tramite analisi della varianza a misure ripetute.
Per quanto riguarda la valutazione dei due livelli del verbale (canale di comunicazione
scritto) “powerful” e “powerless”, è stato definito come fattore Within il TESTO, con i
corrispettivi livelli 1 (powerful) e 2 (powerless) e ne è stato calcolato l’effetto su ogni variabile
dipendente. Inoltre, è stato calcolato l’effetto relativo all’ordine di presentazione dei messaggi
(fattore Between), sia come effetto principale, sia come interazione con i due livelli del verbale.
L’ANOVA a misure ripetute mostra che il fattore Within “TESTO” ha un effetto significativo
sulle seguenti misure, che si riferiscono allo stile comunicativo del messaggio.
1. ENFASI del messaggio, F(1)=25.485, p‹.001; in particolare, il testo powerful (M=5.429) è
valutato significativamente più enfatico del testo powerless (M=3.357).
2. ECCESSIVITA’ del messaggio, F(1)=18.672, p‹.001; in particolare, il testo powerful
(M=4.786) è valutato più eccessivo (meno sobrio) del testo powerless (M=3.429).
3. MARCATURA del messaggio, F(1)=17.647, p‹.005; in particolare, il testo powerful
(M=5.786) è valutato più marcato del testo powerless (M=4.357).
4. BONTA’ del messaggio, F(1)=5.172, p‹.05; in particolare, il testo powerless (M=4.643) è
valutato più buono del testo powerful (M=3.929).
Non si sono registrati effetti significativi legati all’interazione tra i due livelli verbali
(powerful e powerless) e l’ordine di presentazione dei messaggi.
In conclusione dunque lo stile comunicativo powerful viene effettivamente valutato come
piu’ marcato ed enfatico, come si voleva, ma queste caratteristiche per quella fonte in quel
contesto e con quella popolazione sembrano connotarsi negativamente (“eccessivo” e “meno
buono”) rispetto al powerless; e di ciò bisognerà tenere conto in sede d’interpretazione dei
risultati.
Per la valutazione dei messaggi con il solo video, ognuno dei quali ha un diverso livello di
gestualità (gesti coesivi, gesti ideativi, gesti auto-adattatori, gesti oggetto-adattatori e senza gesti),
sono stati assunti due fattori Within: il GESTO (5 livelli) e il VERBALE (2 livelli). È stato
misurato l’effetto principale sulle variabili dipendenti da parte di ciascun fattore e l’effetto
ottenuto dall’interazione tra i due fattori. L’ANOVA a misure ripetute mostra che il fattore
Within “GESTO” ha effetti significativi (tutti dell’ordine p=.000) sulle seguenti misure, che si
riferiscono sia allo stile comunicativo del parlante, sia alle sue caratteristiche personali:
1. Stile comunicativo VALIDO, F(4)=66.314, p<.001;
2. Stile comunicativo EFFICACE, F(4)=52.609, p<.001;
3. Stile comunicativo ADEGUATO, F(4)=27.685, p<.001;
4. Persona SERENA, F(4) = 17.849, p <.001;
5. Persona RILASSATA, F(4) = 12.984, p <.001;
6. Persona SICURA, F(4)=26.153, p<.001;
7. Persona INTERESSANTE, F(4)=7.694, p<.001;
97
Persona DOMINANTE, F(4)=24.424, p<.001;
Persona AFFIDABILE, F(4)=31.460, p<.001;
Persona ESPERTA, F(4)=39.382, p<.001;
Persona COMPETENTE, F(4)=47.591, p<.001;
Persona CREDIBILE, F(4)=43.962, p<.001;
Persona PERSUASIVA, F(4)=35.710, p<.001.
In linea generale, dalle analisi post-hoc (test di Duncan) tutte le misure che risultano
significative mostrano la formazione di due gruppi di gesti: il primo, formato dai gesti coesivi,
dagli ideativi e, per alcune misure, anche dalla totale assenza di gesti, con punteggi più alti nelle
misure rilevate; il secondo gruppo, formato dai gesti adattatori (auto- e oggetto-), con punteggi
più bassi. L’analisi dell’effetto principale del fattore Within “VERBALE” e dell’interazione tra
gestualità e verbale non mostra effetti significativi. Ciò dimostra che ascoltando i 10 messaggi, in
assenza di audio, si registrano differenze imputabili ai gesti che sono coerenti con le ipotesi e con
la letteratura e che sono costanti rispetto al variare del verbale co-occorrente.
Per la valutazione dei messaggi con il solo audio, sono stati assunti due fattori Within: il
GESTO (5 livelli) e il VERBALE (2 livelli). È stato misurato l’effetto principale sulle variabili
dipendenti da parte di ciascun fattore e l’effetto ottenuto dall’interazione tra i due fattori. È stato
assunto come fattore Between l’ordine di ascolto dei messaggi e sono stati misurati l’effetto
principale, quello ottenuto dall’interazione con il fattore gestualità, quello ottenuto
dall’interazione col fattore verbale e quello ottenuto dall’interazione con i due fattori Within
assunti contemporaneamente.
L’ANOVA a misure ripetute mostra una mancanza totale di effetti significativi legati al
fattore Within “GESTO”. Ciò dimostra che ascoltando i 10 messaggi, in assenza di video, non si
registra alcuna differenza e che quindi la voce dell’attrice viene valutata in modo costante. Si può
dunque concludere che, nella procedura costruita, non si evidenziano effetti della possibile
variabile interveniente “aspetti vocali non verbali”.
Si registrano, invece, effetti significativi del fattore Within “VERBALE” sulle seguenti
misure, relative alle caratteristiche personali del parlante:
1. Persona DOMINANTE: F(1)=10.557, p=.01, in particolare, con uno stile verbale powerful, la
persona è valutata più dominante (M=4.447) rispetto a quando espone il messaggio con uno
stile comunicativo powerless (M=3.987);
2. Persona ESPERTA: F(1)=5.247, p=.048, in particolare, con uno stile verbale powerful, la
persona è valutata più esperta (M=4.633) rispetto a quando espone il messaggio con uno stile
comunicativo powerless (M=3.997);
3. Persona OBIETTIVA: F(1)=11.243, p=.008, in particolare, con uno stile verbale powerful, la
persona è valutata meno obiettiva (M=3.113) rispetto a quando espone il messaggio con uno
stile comunicativo powerless (M=3.523).
Non si evidenziano effetti significativi legati all’interazione tra i due fattori Within
“GESTO” e “VERBALE” e il fattore Between “ordine di ascolto dei messaggi”
Nel complesso i risultati di queste analisi statistiche dimostrano che gli stimoli sperimentali
sono stati costruiti secondo gli obiettivi preposti. Essi, infatti, permettono di affermare che la
procedura costruita (i video-messaggi) mostra differenze significative solamente in relazione alle
variabili indipendenti manipolate: il verbale e il gestuale, mentre è costante per quanto riguarda la
variabile interveniente di possibile disturbo “aspetti vocali non verbali”.
Oltre a ciò, è rilevante il fatto che i due messaggi, pur avendo stili comunicativi differenti,
non mostrino alcuna disuguaglianza a livello di comprensibilità. Ciò potrebbe voler dire che, a
prescindere dall’uso o meno di dispositivi retorici o marcatori discorsivi, la comprensione del
contenuto di un messaggio resta inalterata (almeno nell’autopercezione cosciente del
destinatatio). Inoltre, in linea generale, i risultati, relativi alle misure che fanno riferimento alla
8.
9.
10.
11.
12.
13.
98
comprensibilità di entrambi i testi, mostrano valori superiori alla media: i messaggi sono valutati
generalmente come comprensibili, semplici, chiari e facili. Sebbene non fosse un’ipotesi
esplicita, ovviamente fare in modo che i testi dei messaggi fossero generalmente comprensibili
era un “obbligo” per la presente ricerca: il processo di persuasione, infatti, passa prima dalla fase
di comprensione del messaggio (McGuire, 1968).
Gli stimoli costruiti sono adatti allo studio sperimentale che ha come obiettivo quello di
misurare l’effetto dei gesti delle mani, coordinati con la comunicazione verbale, sulla efficacia
comunicativa, sulla persuasività e sulla credibilità di un messaggio e sul processo di
cambiamento d’atteggiamento. A livello metodologico, quindi, i risultati delle valutazioni svolte
confermano la significatività della manipolazione della variabile gestuale. I messaggi costruiti,
infatti, mostrano differenze significative in relazione alle categorie gestuali che presentano. Ciò
permetterà alla fase successiva della ricerca di misurare la reale influenza e la reale persuasività
delle diverse categorie gestuali all’interno di una situazione comunicativa integrale, in presenza,
questa volta, anche del canale audio, con maggiore garanzia di pulizia nell’interpretazione degli
eventuali effetti.
La manipolazione della variabile indipendente coinvolgimento al messaggio è stata
controllata attraverso un item del questionario somministrato dopo l’esperimento:
“coinvolgimento (alto/basso) all’argomento del messaggio” (Se l’aumento delle tasse verrà
introdotto, quanto è probabile che ti coinvolga personalmente? “0” del tutto improbabile, “10” del
tutto probabile). La manipolazione della variabile coinvolgimento è stata verificata tramite analisi
della varianza a una via dalla quale è risultato un effetto principale del coinvolgimento sulla
misura di controllo (F(1,198)=71.58, p=.000): i punteggi più alti si sono registrati in condizione di
alto coinvolgimento (M=8.02, DS=2.51) rispetto alla condizione di basso coinvolgimento
(M=4.22, DS=3.72). Ciò dimostra che la procedura adottata per manipolare il grado di
coinvolgimento è risultata efficace.
5.3.5 Esperimento
I video-messaggi così costruiti e valutati sono stati utilizzati come stimolo per la verifica
sperimentale delle ipotesi di ricerca.
Di seguito vengono descritti i soggetti, la procedura e lo scenario sperimentale.
Soggetti
I soggetti che hanno partecipato all’esperimento sono stati 200 (120 femmine e 80 maschi),
tutti studenti del Nuovo Ordinamento di Psicologia 1 e Psicologia 2 dell’Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”. I partecipanti sono stati reclutati da un collaboratore dello sperimentatore
“cieco” agli obiettivi della ricerca durante gli intervalli tra le lezioni dei primi anni di corso della
laurea triennale di primo livello.
Procedura
Nel momento del reclutamento a ciascun soggetto veniva chiesto di partecipare a una
ricerca per la Facoltà; una volta che accettava di partecipare veniva condotto al Laboratorio di
Psicologia sociale del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione,
dove incontrava la sperimentatrice, la quale lo faceva sistemare nella postazione per la visione del
messaggio. La Figura 31a-b mostra la piantina del laboratorio durante l’esperimento.
99
Figura 31a e Figura 31b. Pianta del laboratorio di Psicologia Sociale durante l’esperimento.
a
b
Il soggetto veniva fatto sedere su una poltroncina da riunione con orientamento ad angolo
retto rispetto allo sperimentatore, di fronte a un monitor da 15 pollici. Il monitor era collegato a
un pc portatile posto davanti allo sperimentatore. Quest’ultimo gestiva dal pc l’avvicendamento
delle interfacce che venivano proiettate sul monitor davanti al soggetto. Le Figure 32 e 33
mostrano la prima interfaccia che appariva al soggetto appena seduto davanti al monitor nelle due
condizioni sperimentali.
Lo sperimentatore chiedeva al soggetto di leggere attentamente la presentazione del
questionario, che nella condizione di coinvolgimento alto presentava il provvedimento (aumento
delle tasse universitarie) come esteso a “TUTTI GLI ISCRITTI a Psicologia” (Figure 32), mentre nella
condizione di coinvolgimento basso “SOLO PER CHI SI ISCRIVE AL PRIMO ANNO di Psicologia”
(Figura 33).
Figura 32. Pagina di apertura del questionario per la valutazione del video-messaggio nella condizione
“coinvolgimento alto”.
100
Figura 33. Pagina di apertura del questionario per la valutazione del video-messaggio nella condizione
“coinvolgimento basso”.
Di seguito è riportato il testo della prima pagina del questionario nella condizione di
coinvolgimento alto (per l’altra condizione il testo è identico varia solo per la parte finale della
prima frase, scritta a caratteri maiuscoli):
All'interno del Consiglio di Facoltà si sta discutendo sulla possibilità di far entrare in vigore un
regolamento istituzionale riguardante l'aumento delle tasse universitarie del 20% a partire
dal prossimo anno accademico (2004/2005), per TUTTI GLI ISCRITTI (/SOLO PER CHI SI
ISCRIVE AL PRIMO ANNO) a Psicologia.
La facoltà ha deciso di ascoltare più pareri prima di prendere una decisione. A tale scopo
sono stati costruiti dalle diverse rappresentanze universitarie dei video-messaggi per
presentare i propri punti di vista circa questo eventuale provvedimento.
Stiamo facendo valutare la qualità generale di questi video-messaggi prima di sottoporli alla
visione del Consiglio di Facoltà.
Ti chiediamo, quindi, di visionare ATTENTAMENTE uno dei filmati preparati a tale scopo e di
rispondere ad alcune domande per la valutazione generale dello stesso.
Dopodichè lo sperimentatore selezionava “Visualizza il filmato”, facendo così partire il
filmato del video-messaggio in full screen. A ciascun soggetto veniva sottoposto uno dei 10
video-messaggi costruiti manipolando l’aspetto verbale (powerful/powerless) e l’aspetto gestuale
(gesti coesivi/ideativi/oggetto-adattatori/auto-adattatori/assenza di gesti) come su descritto.
Alla fine del filmato sul monitor ricompariva la schermata iniziale (Figura 32-33), lo
sperimentatore selezionava “Avanti”, abbassava lo schermo del pc portatile (per tranquillizzare il
soggetto e farlo rispondere liberamente alle domande, garantendo la privacy nelle risposte) e
passava il mouse al soggetto, il quale proseguiva da solo la compilazione del questionario tramite
monitor e mouse. Le Figure 34, 35 e 36 mostrano le schermate successive.
101
Figura 34. Seconda schermata del questionario uguale per tutte le condizioni.
Figura 35. Questionario sulla valutazione del messaggio e del parlante (inizio).
102
Figura 36. Questionario sulla valutazione del messaggio e del parlante (seguito).
I soggetti potevano rispondere alle domande selezionando le risposte e spostandosi con la
barra di scorrimento posta sulla destra.
Alla fine di questa schermata, quando i soggetti selezionavano “Avanti”, si apriva una
pagina di presentazione di una seconda parte del questionario, volta a misurare l’atteggiamento
del soggetto nei confronti dell’”aumento delle tasse universitarie” (cfr., § 5.4). Le Figure 37 e 38
mostrano le schermate successive del questionario riguardanti le misure di atteggiamento. La
Figura 38 mostra l’ultima domanda volta a misurare il comportamento di voto del soggetto nei
confronti dell’“aumento delle tasse universitarie” (cfr., § 5.4), presentata sotto forma di
sondaggio “i cui risultati saranno presi in considerazione per l’approvazione del provvedimento” dal
Consiglio di Facoltà. La Figura 39 mostra la schermata di chiusura del questionario.
Figura 37. Schermata di presentazione delle domande sugli atteggiamenti.
103
Figura 38. Questionario di misura dell’atteggiamento.
Figura 39. Voto per sondaggio sull’aumento delle tasse universitarie.
104
Figura 40. Ultima schermata del questionario digitale.
Tutte le risposte dei soggetti venivano salvate su fogli excel (un foglio per ogni condizione
sperimentale), in modo da poter essere facilmente analizzati e/o trasferiti su altri software di
analisi dei dati.
Alla fine della compilazione del questionario al soggetto veniva spiegato che il messaggio
non riguardava un reale provvedimento della Facoltà, ma era solo un pretesto per verificare come
vengono valutati diversi aspetti della comunicazione verbale e non verbale di una persona durante
la presentazione di posizioni riguardanti temi salienti (aumento delle tasse) per la popolazione di
riferimento (in questo caso gli studenti di Psicologia). Infine, il soggetto veniva pregato, facendo
appello alla sua serietà scientifica, di non rivelare ad altri studenti il vero obiettivo della ricerca e
soprattutto la falsità dell’argomento presentato nel messaggio, allo scopo di non invalidare la
raccolta dati futura. La raccolta dati è durata circa quattro settimane e si è svolta nel periodo da
Maggio a Giugno 2004.
5.4 Misure
Le variabili, rilevate attraverso il questionario digitale compilato dai soggetti a fine
visione del video messaggio, sono state misurate utilizzando item a scala Likert o a scala bipolare
(Burgoon et al. 1990; Leigh, Summers, 2002) con punteggi da 0 a 10. Questi punteggi non
comparivano nel questionario, ma venivano assegnati automaticamente dal programma alla
risposta selezionata del soggetto: ad esempio, alla domanda “Come valuti la persona appena
ascoltata?”, per la risposta “abbastanza insicura” il programma registrava automaticamente sul
file di output il punteggio “3”, per la risposta “ parecchio sicura” il punteggio “9”, per la risposta
“né sicura né insicura” il punteggio “5”, ecc.
Come già detto, le variabili misurate attraverso il questionario riguardano la valutazione del
messaggio, dello stile comunicativo dell’oratore, dell’oratore, l’atteggiamento nei confronti del
provvedimento proposto nel messaggio, l’intenzione di voto rispetto al provvedimento, il
comportamento di voto. Di seguito sono riportati gli item per ciascuna misura:
105
1. Valutazione del messaggio:
- Il messaggio appena ascoltato è:
o '0' del tutto complesso, "10" del tutto semplice;
o '0' del tutto oscuro, "10" del tutto chiaro;
o '0' del tutto incomprensibile, "10" del tutto comprensibile;
o '0' del tutto incoerente, "10" del tutto coerente;
o '0' del tutto inefficace, "10" del tutto efficace;
o '0' del tutto inadeguato, "10" del tutto adeguato;
o '0' per niente informativo, "10" del tutto informativo;
o '0' per niente valido, "10" del tutto valido;
o '0' del tutto menzognero, "10" del tutto veritiero;
o '0' per niente plausibile, "10" del tutto plausibile;
o '0' per niente credibile, "10" del tutto credibile;
o '0' per niente persuasivo, "10" del tutto persuasivo;
o '0' per niente coinvolgente, "10" del tutto coinvolgente;
o '0' per niente interessante, "10" del tutto interessante.
- Quanto ritieni adeguate le modalità di presentazione delle argomentazioni nel messaggio?
o '0' del tutto inadeguate, "10" del tutto adeguate.
- Qual è la tua reazione complessiva al messaggio?
o '0' del tutto sfavorevole, "10" del tutto favorevole.
- In che misura ritieni che il messaggio ascoltato dovrebbe essere utilizzato come campagna
a sostegno dell’aumento delle tasse?
o '0' non dovrebbe assolutamente essere utilizzato, "10" dovrebbe assolutamente
essere utilizzato.
2. Valutazione dello stile comunicativo dell’oratore:
- Come valuti lo stile comunicativo della persona appena ascoltata?
o '0' per niente valido, "10" del tutto valido;
o '0' del tutto inefficace, "10" del tutto efficace;
o '0' del tutto inadeguato, "10" del tutto adeguato;
o '0' del tutto banale, "10" del tutto originale.
- Quanto ritieni fosse efficace ciascuno di questi aspetti dello stile comunicativo del
parlante?
o Parole: '0' del tutto inefficace, "10" del tutto efficace;
o Intonazione vocale: '0' del tutto inefficace, "10" del tutto efficace;
o Gesti delle mani: '0' del tutto inefficace, "10" del tutto efficace.
3. Valutazione dell’oratore:
- Come valuti la persona appena ascoltata?
o '0' per niente serena, "10" del tutto serena;
o '0' per niente rilassata, "10" del tutto rilassata;
o '0' del tutto insicura, "10" del tutto sicura;
o '0' del tutto antipatica, "10" del tutto simpatica;
o '0' per niente amichevole, "10" del tutto amichevole;
o '0' per niente interessante, "10" del tutto interessante;
o '0' del tutto sottomessa, "10" del tutto dominante;
o '0' del tutto inesperta, "10" del tutto esperta;
o '0' del tutto ininformata, "10" del tutto informata;
o '0' del tutto incompetente, "10" del tutto competente;
106
o
o
o
o
o
o
'0' per niente convinta, "10" del tutto convinta;
'0' del tutto interessata, "10" del tutto disinteressata;
'0' del tutto inaffidabile, "10" del tutto affidabile;
'0' per niente credibile, "10" del tutto credibile;
'0' per niente convincente, "10" del tutto convincente;
'0' per niente persuasiva, "10" del tutto persuasiva.
4. Atteggiamento:
- In che misura sei personalmente d’accordo o in disaccordo con l’aumento delle tasse
universitarie?
o '0' completamente in disaccordo, "10" completamente d’accordo.
- L’aumento delle tasse è:
o '0' del tutto dannoso, "10" del tutto benefico;
o '0' del tutto cattivo, "10" del tutto buono;
o '0' del tutto insensato, "10" del tutto sensato;
o '0' del tutto negativo, "10" del tutto positivo.
- Ritieni che l’approvazione del provvedimento proposto nel messaggio sia:
o '0' del tutto indesiderabile, "10" del tutto desiderabile.
5. Intenzione di voto:
- Se te ne fosse data la possibilità, voteresti a favore dell’approvazione del provvedimento
proposto (l’aumento delle tasse)?
o '0' no, "10" sì.
6. Comportamento di voto:
- Il Consiglio di Facoltà sta facendo un sondaggio, i cui risultati saranno seriamente presi in
considerazione per l’approvazione del provvedimento. Ti diamo dunque la possibilità, se
lo desideri, di dare un contributo importante per l’approvazione o meno dell’introduzione
del provvedimento proposto nel messaggio, rispondendo liberamente alla prossima
domanda selezionando la risposta prescelta. Anche questa parte del questionario rimarrà
del tutto anonima.
Formula ora il tuo voto per l’approvazione dell’aumento delle tasse universitarie:
o “0” no, “1” non so, “2” sì
5.5 Analisi dei dati
I dati così raccolti in fogli excel sono stati trasferiti nel software SPSS per Windows.
Sono state effettuate delle analisi delle componenti principali (metodo Varimax) sulle
scale di valutazione impiegate per la misura delle variabili dipendenti, vale a dire: del messaggio,
dello stile comunicativo, dell’oratore e dell’atteggiamento; ciò allo scopo di verificare la struttura
fattoriale delle scale stesse e quindi pervenire a dei punteggi sintetici di scala per ciascuna
misura.
Per la verifica delle ipotesi, sono state condotte delle analisi della varianza univariata su
ciascuna misura ponendo a fattori (5x2x2) i Gesti, il Verbale e il Coinvolgimento, al fine di
verificarne gli effetti principali (test di Duncan per i confronti post hoc) e d’interazione sulle
misure.
Infine sono state svolte delle analisi di regressione semplice per verificare quale variabile
107
indipendente e/o misura o combinazione di esse meglio predice il criterio ultimo costituito
dall’atteggiamento e/o dall’intenzione di voto e/o dal voto stesso.
5.6 Risultati
Struttura delle scale di misura
È stata svolta un’analisi fattoriale per ciascuna delle scale del questionario: valutazione del
messaggio, valutazione dello stile comunicativo del parlante, valutazione delle caratteristiche
personali del parlante, misura dell’atteggiamento nei confronti dell’oggetto del messaggio.
1.
Sono state estratte tre dimensioni per quanto riguarda la valutazione del messaggio (cfr.
Tabella XIX) che spiegano il 58,35% della varianza totale della scala:
1) Persuasività del messaggio (9 items, Alfa = .87, α st = .87; %var. = 26,83%).
2) Credibilità del messaggio (5 items, Alfa = .86, α st = .86; %var. = 21,05%).
3) Comprensibilità del messaggio (3 items, Alfa = .60, α st = .62; 10,47%).
Tabella XIX: Saturazione degli item sulle dimensioni estratte della scala di valutazione del messaggio
Saturazioni
Item
Messaggio coinvolgente
Messaggio persuasivo
Messaggio efficace
Messaggio interessante
Utilità messaggio
Favorevole messaggio
Argomentazioni adeguate
Messaggio adeguato
Messaggio informativo
Messaggio veritiero
Messaggio plausibile
Messaggio valido
Messaggio credibile
Messaggio coerente
Messaggio comprensibile
Messaggio chiaro
Messaggio semplice
2.
1
.838
.813
.701
.679
.645
.613
.544
.513
.452
2
3
.780
.710
.639
.632
.614
.801
.754
.685
È stata estratta un’unica dimensione sulla scala di valutazione dello stile comunicativo (cfr.
Tabella XX) che spiega il 51,74% della varianza totale della scala:
1) Efficacia dello stile comunicativo (6 items, Alpha = .83, α st. = .84).
Tabella XX: Saturazione degli item sulla dimensione estratta della scala di valutazione dello stile comunicativo
Item
Saturazioni
.861
Stile comunicativo adeguato
.855
Stile comunicativo valido
.825
Stile comunicativo efficace
.716
Parole efficaci
.555
Gesti efficaci
.538
Stile comunicativo originale
108
3.
Sono state estratte tre dimensioni per quanto riguarda la scala di valutazione dell’oratore (cfr.
Tabella XXI) che spiegano il 60.93% della varianza totale della scala:
1) Persuasività e credibilità dell’oratore (5 items, Alpha = .87, α st. = .87; %var = 26.45)
2) Competenza dell’oratore (4 items, Alpha = .73 α st. = .74; %var = 18.91).
3) Piacevolezza dell’oratore (3 items, Alpha = .57 α st. = .58; % var = 15.57).
Tabella XXI: Saturazione degli item sulle dimensioni estratte della scala di valutazione dell’oratore
Saturazioni
Item
Persona persuasiva
Persona convincente
Persona credibile
Persona convinta
Persona interessante
Persona informata
Persona esperta
Persona dominante
Persona sicura
Persona amichevole
Persona simpatica
Persona affidabile
4.
1
.878
.877
.810
.623
.556
2
3
.783
.711
.669
.452
.802
.684
.469
Come ipotizzato è emersa una sola dimensione nella scala di misura dell’atteggiamento (cfr.
Tabella XXII) che spiega il 68,41% della varianza totale della scala:
a. Atteggiamento (5 items, Alpha = .88 α st. = .88).
Tabella XXII: Saturazione degli item sulla dimensione estratta della scala di valutazione dello stile
comunicativo
Item
Saturazioni
.877
Provvedimento positivo
.847
Accordo verso provvedimento
.821
Provvedimento benefico
.819
Provvedimento buono
.768
Provvedimento desiderabile
Verifica della prima ipotesi: effetti principali.
Dall’analisi della varianza univariata sui punteggi fattoriali di ciascuna scala risultata
attendibile (coefficiente di attendibilità alfa >.70) sono emersi effetti principali dei gesti su alcune
delle dimensioni valutate.
I risultati significativi possono essere riassunti come segue.
1)
Effetto principale dei gesti sulla valutazione di efficacia dello stile comunicativo (F(4,
180)=2,61; p=.037). In particolare, secondo i risultati delle analisi post hoc (test di Duncan,
cfr. Tabella XXIII), lo stile comunicativo dei filmati con gesti coesivi (m= .168), con
109
assenza di gesti (m=.181) e con gesti ideativi (m=.187) è stato valutato come più efficace
rispetto al filmato con i gesti auto-adattatori (m=-.332).
Tabella XXIII. Medie dei punteggi fattoriali della valutazione di efficacia dello stile comunicativo nei
sotto-insiemi omogenei (test di Duncan; p<.05).
Gesti
Auto-adattatori
Oggetto-adattatori
Coesivi
Assenza gesti
Ideativi
2)
Sotto-insiemi
1
2
-.332
.-204
-204
.168
.181
.187
Effetto principale dei gesti sulla valutazione di competenza dell’oratore (F(4, 180)=2.56;
p=.040). Secondo i risultati delle analisi post hoc (cfr. Tabella XXIV) l’oratore è valutato
come più competente nel filmato con assenza di gesti (m=.317) rispetto al filmato con i
con gesti auto-adattatori (m= -.382).
Tabella XXIV. Medie dei punteggi fattoriali della valutazione di competenza dell’oratore nei sottoinsiemi omogenei (test di Duncan; p<.05).
Gesti
Auto-adattatori
Ideativi
Coesivi
Oggetto-adattatori
Assenza gesti
Sotto-insiemi
1
2
-.382
-.033
-.033
-.022
-.022
.024
.024
.317
Non è risultato alcun effetto principale significativo dei gesti sulle altre dimensioni
misurate: persuasività del messaggio (F(4, 180)=0.47, n.s.), credibilità del messaggio (F(4, 180)= 0.29,
n.s.), persuasività/credibilità dell’oratore (F(4, 180)=1.17, n.s.), atteggiamento (F(4, 180)= 1.62, n.s.).
Non è risultato alcun effetto principale significativo del verbale sulle dimensioni misurate:
persuasività del messaggio (F(1, 180)=0.003, n.s.), credibilità del messaggio (F(1, 180)= 0.39, n.s.),
efficacia dello stile comunicativo (F(1, 180)=0.01, n.s.), persuasività/credibilità dell’oratore (F(1,
180)=0.03, n.s.), competenza dell’oratore (F(1, 180)=0.26, n.s.), atteggiamento (F(1, 180)= 0.36, n.s.).
Verifica della seconda ipotesi: effetti d’interazione a due vie tra gesti e verbale
Sono emersi effetti d’interazione a due vie (gesti e verbale) su alcune dimensioni e un
effetto d’interazione a tre vie (gesti, verbale e coinvolgimento).
I risultati delle analisi della varianza per gli effetti d’interazione a due vie tra gesti e verbale
possono essere riassunti come segue.
1. Valutazione di efficacia dello stile comunicativo (F(4, 180)=2.76; p=.029; Tabella
XXV e Grafico 2): lo stile comunicativo è valutato più efficace nei video-messaggi
110
con stile verbale powerful e gesti coesivi (m=.53), assenza di gesti (m=.24) e gesti
ideativi (m=.21), ed è valutato come meno efficace nei filmati con stile verbale
powerful e gesti oggetto-adattatori (m= -.531) e gesti auto-adattatori (m= -.479),
nonché nelle condizioni di stile verbale powerless e gesti auto-adattatori (m= .186) e gesti coesivi (m= -.194).
Tabella XXV. Medie marginali stimate del punteggio fattoriale di valutazione di efficacia dello stile comunicativo
nelle interazioni tra gesti e verbale.
powerless powerful
coesivi
-0,194
0,530
ideativi
0,165
0,210
oggetto-adattatori
0,122
-0,531
auto-adattatori
-0,186
-0,479
assenza gesti
0,123
0,240
Grafico 2. Interazioni tra gesti e verbale nel punteggio di valutazione di efficacia dello stile
comunicativo.
0,6
coesivi
medie
0,4
ideativi
0,2
0
-0,2
powerless
powerful
oggettoadattatori
auto-adattatori
-0,4
-0,6
assenza gesti
verbale
2. Persuasività del messaggio (F(4, 180)= 2.46; p=.047; cfr. Tabella XXVI e Grafico 3):
i punteggi di persuasività del messaggio sono più alti nelle condizioni con stile
verbale powerful e gesti coesivi (m=.450) e con verbale powerless e oggettoadattatori (m=.373), mentre sono più bassi nelle condizioni con verbale powerful e
gesti oggetto-adattatori (m= -.347) e con verbale powerless e gesti coesivi (m= .217).
Tabella XXVI. Medie marginali stimate del punteggio fattoriale di persuasività del messaggio nelle interazioni tra
gesti e verbale.
powerless powerful
coesivi
-0,217
0,450
ideativi
0,061
0,117
oggetto-adattatori
0,373
-0,347
auto-adattatori
-0,115
-0,130
assenza gesti
-0,083
-0,110
111
Grafico 3. Interazioni tra gesti e verbale nel punteggio di persuasività al messaggio.
0,5
0,4
0,3
coesivi
medie
0,2
ideativi
0,1
oggetto-adattatori
0
-0,1
powerless
powerful
auto-adattatori
assenza gesti
-0,2
-0,3
-0,4
verbale
Non sono risultati effetti significativi di interazione a due vie tra gesti e verbale sulle altre
dimensioni misurate: credibilità del messaggio (F(4, 180)=0.83, n.s.), persuasività/credibilità
dell’oratore (F(4, 180)=1.95, n.s.), competenza dell’oratore (F(4, 180)=0.42, n.s.), atteggiamento(F(4,
180)=1.51, n.s.).
Verifica della terza ipotesi: effetti d’interazione a tre vie tra gesti , verbale e coinvolgimento
I risultati delle analisi della varianza per gli effetti d’interazione a tre vie tra gesti, verbale e
coinvolgimento possono essere riassunti come segue.
Valutazione di credibilità del messaggio (F(4, 180)=3.298; p=.012; Tabelle XXVII e
XXVIII, Grafici 4-10): a coinvolgimento alto, il messaggio risulta più credibile nelle
condizioni di verbale powerful con gesti auto-adattatori (m=.251) e con assenza di
gesti (m=.236) e verbale powerless con oggetto-adattatori (m=.319), meno credibile
nelle condizioni verbale powerful con gesti coesivi (m= -.499) e verbale powerless con
gesti ideativi (m= -.356); a basso coinvolgimento il messaggio risulta più credibile
nella condizione verbale powerful con gesti coesivi (m=.578) e con gesti ideativi
(m=.406) e verbale powerless con gesti ideativi (m=.413) e con assenza di gesti
(m=.356); il messaggio risulta meno credibile nelle condizioni verbale powerless con
gesti coesivi (m= -524), verbale powerful con gesti auto-adattatori (m= -.603) e
verbale powerful con assenza di gesti (m= -.391).
Tabelle XXVII e XVIII. Medie del punteggio fattoriale di valutazione della credibilità del messaggio nelle
interazioni tra gesti e verbale nelle condizioni di alto e di basso coinvolgimento dei
partecipanti rispetto all’oggetto del video-messaggio.
alto coinvolgimento
basso coinvolgimento
powerless powerful
powerless powerful
coesivi
.003
-0,499
coesivi
-0,524
0,578
ideativi
-0,356
-0,237
ideativi
0,413
0,406
oggetto-adattatori
0,319
-0,009
oggetto-adattatori
0,255
-0,009
auto-adattatori
0,004
0,251
auto-adattatori
0,252
-0,603
assenza gesti
-0,289
0,236
assenza gesti
0,356
-0,391
112
Grafico 4. Interazioni tra gesti e verbale in condizione di alto coinvolgimento.
Alto coinvolgimento
0,8
medie
0,6
0,4
coesivi
0,2
ideativi
0
-0,2
oggetto-adattatori
powerless
powerful
auto-adattatori
-0,4
assenza gesti
-0,6
-0,8
verbale
Grafico 5. Interazioni tra gesti e verbale in condizione di basso coinvolgimento.
medie
Basso coinvolgimento
0,8
0,6
0,4
0,2
0
-0,2
-0,4
-0,6
-0,8
coesivi
ideativi
oggetto-adattatori
powerless
powerful
auto-adattatori
assenza gesti
verbale
Grafici 6-10. Medie del punteggio di valutazione della credibilità del messaggio nelle interazioni tra verbale e
coinvolgimento dei soggetti rispetto all’oggetto del video-messaggio per ciascuna categoria di gesto.
Gesti ideativi
Gesti coesivi
0,8
0,7
0,6
medie
0,2
powerless
0
-0,2
basso
alto
powerful
medie
0,4
0,2
-0,3
powerless
basso
alto
powerful
-0,4
-0,6
-0,8
-0,8
Coinvolgimento
Coinvolgimento
113
Gesti oggetto-adattatori
Gesti auto-adattatori
0,8
0,2
-0,3
medie
medie
0,7
powerless
basso
powerful
alto
-0,8
0,3
-0,2
powerless
powerful
basso
alto
-0,7
Coinvolgimento
Coinvolgimento
Assenza di gesti
medie
0,7
0,2
-0,3
powerless
basso
alto
powerful
-0,8
Coinvolgimento
Non è emerso alcun effetto significativo d’interazione a tre vie tra gesti, verbale e
coinvolgimento sulle altre dimensioni misurate: persuasività del messaggio (F(4, 180)=1.55, n.s.),
efficacia dello stile comunicativo (F(4, 180)=0.77, n.s.), persuasività/credibilità dell’oratore (F(4,
180)=1.43, n.s.), competenza dell’oratore (F(4, 180)=1.56, n.s.), atteggiamento (0.54, n.s.).
Verifica della quarta ipotesi: predittori dell’atteggiamento verso l’oggetto del messaggio.
Per l’analisi di regressione sulla variabile criterio atteggiamento favorevole nei confronti
del provvedimento proposto nel messaggio (aumento delle tasse universitarie), sono state
considerate come predittori le dimensioni emerse dalle analisi fattoriali: efficacia dello stile
comunicativo, competenza dell’oratore, credibilità e persuasività dell’oratore, credibilità del
messaggio, persuasività del messaggio. Applicando il metodo di selezione dei predittori Stepwise,
sono entrate nell’equazione di regressione (F(3, 196)=56.68; p=.000) le dimensioni di valutazione di
persuasività del messaggio (t=5.276; p=.000), di credibilità del messaggio (t=4.053; p=.000) e di
efficacia comunicativa dell’oratore (t=-3.199; p=.002). Come mostrato in Tabella XIX le tre
dimensioni predicono il 46.5% della varianza totale dell’atteggiamento (R2= .465).
Tabella XIX. Sintesi dell’analisi di regressione delle dimensioni valutate del messaggio e del parlante
sull’atteggiamento.
Predittori in equazione
Persuasività del messaggio
Credibilità del messaggio
Efficacia comunicativa
β
.524
.347
-.240
t
5.276**
4.053**
-3.199*
R2
R corretto
F
2
.465
.456
56.68**
**p<.001 *p<.05
114
In un’analisi di regressione successiva, come mostrato dalle Tabelle XXX e XXXI,
l’atteggiamento(t=11.34; p=.000) risulta predire il 39.4% (R2= .394) della varianza
dell’intenzione di voto a favore del provvedimento esposto nel messaggio (F(1, 198)=128.5;
p=.000).
Tabella XXX. Sintesi dell’analisi di regressione dell’atteggiamento sull’intenzione di voto.
Predittori in equazione
Atteggiamento
β
.627
t
11.34**
R2
R corretto
F
2
. 394
.391
128.5**
**p<.001
L’intenzione di voto a favore del provvedimento (t=9.87; p=.000) a sua volta predice il
33% (R2= .330) della misura del comportamento di voto a favore del provvedimento proposto
dall’oratore nel video-messaggio (F(1, 198)=97.44; p=.000)
Tabella XXXI. Sintesi dell’analisi di regressione dell’intenzione di voto sul comportamento di voto.
Predittori in equazione
Intenzione di voto
β
.574
t
9.87**
R2
R corretto
F
2
.330
.326
97.44**
**p<.001
5.7 Discussione
I risultati di questo studio confermano che la gestualità delle mani può giocare un ruolo
significativo per la funzione persuasiva della comunicazione orale. Le ipotesi erano che i gesti
hanno effetti significativi sulle dimensioni emerse dalle scale, vale a dire la persuasività e la
credibilità del messaggio, l’efficacia comunicativa, la persuasività e credibilità e la competenza
dell’oratore. I gesti, infatti, sono risultati avere effetti significativi sulla valutazione di efficacia
dello stile comunicativo e di competenza dell’oratore: in particolare, come ipotizzato all’inizio, i
gesti adattatori (auto- e oggetto-) hanno effetti negativi, mentre i gesti ideativi, i coesivi, ma
anche l’assenza di gesti, hanno effetti positivi su queste valutazioni. Tali effetti sono
particolarmente rilevanti poiché a sua volta la valutazione di efficacia comunicativa dell’oratore è
risultata essere un buon predittore dell’atteggiamento nei confronti del procedimento proposto
dall’oratore nel video-messaggio. L’insieme di questi effetti e relazioni possono essere
rappresentati graficamente dal modello riportato in Figura 41.
Figura 41. Primo modello delle ruolo dei gesti delle mani nel processo di persuasione
gesti
Competenza
dell’oratore
Efficacia
comunicativa
atteggiamento
115
Contrariamente alle ipotesi, invece, non sono risultati effetti principali imputabili alla
struttura retorico-argomentativa del verbale (vale a dire allo stile verbale powerful/powerless) per
nessuna delle misure rilevate; probabilmente la struttura retorica dei contenuti per essere
considerata efficace richiede di essere rafforzata da segnali non verbali che ne evidenzino i
passaggi discorsivi e/o l’enfasi argomentativa, come già sostenuto da altri autori sulla base di
osservazioni qualitative (Atkinson, 1984; Bull, 1986, 2002; Heritage, Greatbatch, 1986). Bisogna
innanzitutto tenere presente che questo risultato è stato però ottenuto su una popolazione
studentesca, mentre tipicamente la letteratura sugli effetti degli aspetti verbali ha lavorato su un
uditorio rappresentato dal pubblico generico, maggiormente rappresentativo della popolazione
complessiva
Inoltre bisogna considerare che, da questo punto di vista, un risultato importante sono gli
effetti d’interazione tra gesti e aspetti retorici del verbale su alcune misure di valutazione del
messaggio e dell’oratore. In linea con la direzione teorica generale seguita in tutta la presente
ricerca, vale a dire la coordinazione e lo stretto legame tra gestualità delle mani ed espressione
verbale, questi effetti d’interazione indicano che l’efficacia comunicativa è data principalmente
da un utilizzo coerente di particolari gesti in co-occorrenza con particolari modalità discorsive e/o
argomentative. Infatti, coerentemente coi risultati del precedente studio correlazionale (cfr. cap. 4
del presente lavoro), da quest’ultimo studio sperimentale emergono alcune associazioni, tra gesti
e modalità discorsive e argomentative, che funzionano meglio e sono maggiormente significative
di altre nel rendere persuasiva la comunicazione dell’oratore. In questo studio sperimentale, come
ipotizzato, i soggetti hanno valutato come più efficaci stilisticamente i gesti coesivi e ideativi, ma
anche l’assenza di gesti, quando sono associati con un verbale ricco di dispositivi retorici e
marcato discorsivamente (marcatori con funzione metatestuale); sono stati valutati invece come
meno efficaci i gesti auto-adattatori associati a entrambi i profili verbali, i gesti oggetto-adattatori
associati a un verbale retorico e marcato, e i gesti coesivi se associati a un verbale
discorsivamente modulato (marcatori di modulazione, uso del condizionale e di forme verbali
indirette) e retoricamente debole (assenza di forme retorico-argomentative). Questi risultati
confermano l’ipotesi di partenza secondo cui uno stile verbale discorsivamente e retoricamente
forte è valutato come più efficace solo quando viene associato con una gestualità efficace (gesti
ideativi e coesivi) o quanto meno non controproducente (vale a dire a nessuna gestualità); mentre
se tale stile verbale è accompagnato con gesti adattatori (auto- e oggetto-) è valutato come meno
efficace addirittura anche rispetto a un verbale retoricamente e discorsivamente debole
accompagnato da qualsiasi tipo di gesto. Quest’ultimo stile, infatti, in generale è stato valutato
come poco efficace (con medie, nelle diverse condizioni di gesto, intorno al o sotto il punteggio
medio della misura).
Anche l’effetto d’interazione tra gesti e verbale sulla valutazione della persuasività del
messaggio, misura che è risultata essere un buon predittore dell’atteggiamento, indica lo stesso
tipo di direzione: il messaggio con un verbale retoricamente e discorsivamente forte è valutato
come più persuasivo quando è accompagnato da gesti coesivi, rispetto a quando è accompagnato
da gesti oggetto-adattatori, mentre un verbale retoricamente debole è valutato come più
persuasivo se accompagnato da gesti oggetto-adattatori. Da una parte i gesti ideativi rendono il
messaggio più persuasivo e i gesti adattatori o l’assenza di gesti meno persuasivo, dall’altra i
gesti coesivi e gli oggetto-adattatori hanno un effetto incrociato sulla persuasività del messaggio:
un verbale forte retoricamente e marcato discorsivamente accompagnato da gesti coesivi e/o un
verbale debole ma accompagnato da gesti oggetto-adattatori portano i soggetti a valutare il
messaggio come più persuasivo, probabilmente perché percepiscono quelle due associazioni
come più coerenti (verbale forte-gesti enfatici; verbale debole-gesti di manipolazione) rispetto
alle associazioni inverse (verbale forte-gesti di manipolazione; verbale debole-gesti enfatici), le
quali invece portano i soggetti a valutare il messaggio come meno persuasivo. Si potrebbe forse
116
speculare che le situazioni di coerenza verbale-gestuale, rispetto a quelle di incoerenza, risultano
più persuasive perchè comunicano al destinatario una impressione di trasparenza o sincerità
dell’oratore. Sarebbe questa un’ipotesi interessante da verificare in studi successivi se tali
associazioni hanno effetti significativi sulla valutazione di sincerità-menzogna dell’oratore.
Queste relazioni consentono di integrare il modello precedente nel modo illustrato nella Figura
42.
Figura 42. Secondo modello delle ruolo dei gesti delle mani in coordinazione con il verbale nel processo di
persuasione
Competenza
dell’oratore
gesti
gesti X verbale
Efficacia
comunicativa
atteggiamento
Persuasività
del
messaggio
Il fatto che, tra i gesti connessi al discorso, siano i gesti coesivi, e non gli ideativi, a essere
valutati diversamente se associati a un verbale diverso (sia sull’efficacia dello stile comunicativo
sia sulla persuasività del messaggio sia sulla competenza dell’oratore), oltre a sottolineare il
carattere persuasivo dell’associazione (gesti coesivi - verbale forte retoricamente e
discorsivamente) e non solo dei singoli parametri (verbale o gestuale), conferma l’ipotesi che la
funzione di questi gesti nel discorso sia una funzione di struttura (gesti coesivi) e di enfasi (gesti
ritmici) e non di illustrazione semantica dei contenuti del discorso: infatti, i due discorsi verbali
(powerful e powerless) si differenziano tra loro per la struttura retorico-discorsiva con la quale
sono stati costruiti e non per il contenuto, il quale rimane il medesimo nelle due versioni powerful
e powerless.
Gli effetti d’interazione tra le tre variabili manipolate (gesti, verbale e coinvolgimento) su
alcune misure di valutazione del messaggio confermano l’ipotesi che nel processo di valutazione
dei parametri verbali e non verbali di una comunicazione persuasiva intervengono, comunque,
variabili soggettive e contestuali, come può essere appunto il coinvolgimento maggiore (dato
dall’immediatezza del supposto provvedimento e quindi da un coinvolgimento diretto e
personale) o minore (dato dall’introduzione futura del provvedimento tale da non riguardare
immediatamente il soggetto) dei soggetti rispetto all’argomento contenuto nel messaggio. È
risultato infatti un effetto d’interazione delle tre variabili sulla valutazione di credibilità del
messaggio, la quale è risultata essere poi un buon predittore della misura di atteggiamento intesa
come grado di persuasione: l’alto coinvolgimento, infatti, porta i soggetti a valutare il messaggio
come meno credibile in entrambe le condizioni verbali accompagnate da gesti ideativi e nella
condizione di gesti coesivi associati con un verbale forte discorsivamente e retoricamente,
condizione quest’ultima che è stata valutata anche come più efficace stilisticamente, ma
probabilmente poco credibile, forse perché giudicata come troppo artefatta rispetto alle altre; ad
alto coinvolgimento, inoltre, il messaggio è valutato come più credibile nelle condizioni con gesti
oggetto-adattatori e verbale debole retoricamente, probabilmente perché, come detto prima, tale
associazione viene percepita come più coerente rispetto a quella inversa (oggetto-adattatori –
verbale forte) rendendo il messaggio più credibile anche nella condizione di coinvolgimento
basso. In caso di coinvolgimento basso, infatti, sembra che i soggetti, nel valutare la credibilità
del messaggio, diano maggior peso alla coerenza nelle associazioni tra gesti e verbale: le
condizioni che rendono il messaggio più credibile sono, infatti, oltre alle condizioni di gesti
ideativi associati a entrambi i livelli del verbale (in quanto tali gesti non sono legati alla struttura
117
discorsivo-retorica), anche le condizioni nelle quali l’associazione gesti-verbale risulti coerente,
vale a dire nelle condizioni di associazione tra gesti coesivi e verbale forte retoricamente e
discorsivamente e tra gesto oggetto-adattatori o auto-adattatori o assenza gesti e verbale debole.
C’è da sottolineare però che probabilmente la misura di credibilità del messaggio è stata intesa
più come veridicità, sincerità, autenticità del suo contenuto, che come affidabilità dello stesso: gli
item che hanno saturato in questa misura riguardano, infatti, la veridicità, la credibilità e la
plausibilità del messaggio. Questa misura indicherebbe dunque quanto i soggetti hanno ritenuto
“vero” e non “costruito ad hoc” il video-messaggio presentato loro. Altra considerazione che è
possibile fare sul ruolo dell’interazione tripla è che un grado basso di coinvolgimento sembra
lasciare maggior spazio d’azione al ruolo dello stile verbale-gestuale nel processo persuasivo: ciò
può essere interpretato alla luce delle conoscenze sulle vie centrali e periferiche (cfr. ad esempio,
Petty, Cacioppo, 1981, 1986). Probabilmente un soggetto poco coinvolto, rispetto a uno
maggiormente coinvolto nell’argomento oggetto della comunicazione e dell’atteggiamento, è più
sensibile all’effetto di fattori più periferici inerenti la fonte del messaggio, come appunto uno stile
verbale-gestuale dell’oratore che appare più efficace (almeno secondo gli standard correnti); e
dunque il suo atteggiamento può più probabilmente mutare anche seguendo tale via.
Infine, sono risultati più favorevoli al provvedimento proposto dall’oratore le persone che
erano hanno valutato come più persuasivo e più credibile il messaggi e hanno valutato lo stile
comunicativo dell’oratore come più efficace. Va ricordato che il messaggio era considerato più
persuasivo dalle persone che hanno visionato il filmato con gesti coesivi e verbale forte e con
gesti oggetto-adattatore e verbale debole; era considerato più credibile dalle persone molto
coinvolte che hanno visionato il filmato con verbale forte e assenza di gesti e con verbale debole
e gesti oggetto-adattatori e dalle persone poco coinvolte che hanno visionato il filmato con gesti
ideativi o coesivi e verbale forte e con verbale debole e assenza di gesti; infine, lo stile
comunicativo dell’oratore era valutato come più efficace dalle persone che hanno visionato i
filmati nei quali l’attrice utilizzava gesti ideativi, gesti coesivi o nessun gesto. Le persone
risultate più favorevoli al provvedimento avevano anche maggiore intenzione a votare a favore
dello stesso, anche se poi poche hanno effettivamente votato completamente a favore (hanno
votato “sì” al provvedimento solo 13 soggetti, 30 hanno votato “non so” e 157 hanno votato
“no”). Queste relazioni, integrandosi al modello proposto precedentemente, possono essere
rappresentate graficamente in Figura 43.
Figura 43. Modello finale delle ruolo dei gesti delle mani in coordinazione con il verbale e in interazione con
il coinvolgimento nel processo di persuasione
Competenza
dell’oratore
gesti
gesti X verbale
gesti X verbale
X
coinvolgimento
Efficacia
comunicativa
Persuasività
del
messaggio
Credibilità
del messaggio
atteggiamento
intenzione di voto
voto
118
Come già ampiamente affrontato dalla psicologia sociale della politica, infatti, è abbastanza
difficile predire il comportamento di voto a favore di un oggetto a partire dall’atteggiamento nei
confronti dello stesso (cfr., per una rassegna, Catellani, 1997), poiché entrano in gioco altri
fattori: dall’accessibilità dell’atteggiamento (Fazio, 1989) alla sicurezza e forza
dell’atteggiamento (Petty et al., 1998), dalle norme soggettive alla percezione di controllo sul
comportamento (Ajzen, 1988).
Tuttavia, l’obiettivo principale di questa ricerca non era certo quello di predire il
comportamento di voto (sebbene esso rappresenti certamente uno degli obiettivi ultimi di
qualunque analisi del processo persuasivo applicato al campo della politica). Il principale
obiettivo era invece capire quale fosse il ruolo della gestualità delle mani in coordinazione con la
struttura retorico-argomentativa dell’espressione verbale nella valutazione di una comunicazione
persuasiva. Inoltre in questo studio è stato misurato l’atteggiamento degli studenti partecipanti,
l’intenzione di voto e il voto nei confronti dell’aumento delle tasse universitarie e non riguardo
all’oratore del video-messaggio. Presumibilmente è per questo motivo che a influenzare
l’atteggiamento sono state più le misure di valutazione del messaggio (credibilità del messaggio e
persuasività dello stesso) che le misure di valutazione dell’oratore (efficacia dello stile
comunicativo e competenza dell’oratore). Probabilmente, se attraverso il questionario fossero
stati misurati l’atteggiamento nei confronti dell’oratore, intenzione di voto e voto a favore
dell’elezione dello stesso per esempio per una qualche carica in seno al Consiglio di Facoltà,
sarebbero state le valutazioni sulla persona a influenzare maggiormente tali misure.
La direzione di studi futuri sulle capacità persuasive dei gesti potrebbe essere appunto
quella di misurare quanto questi influenzino l’atteggiamento nei confronti di che li utilizza, con
l’obiettivo di capire se il ruolo dei gesti in coordinazione con le modalità retoriche del verbale
cambia a seconda che l’oggetto dell’atteggiamento misurato sia il contenuto del messaggio o
l’oratore del messaggio: misurando separatamente, ma nello stesso studio, i due atteggiamenti si
potrebbe chiarire se i gesti e la retorica influenzano allo stesso modo valutazioni sulla persona o
sull’oggetto del discorso tenuto dalla persona.
Il presente studio ha comunque il merito di aver studiato il fenomeno della persuasione e
della valutazione di efficacia di un messaggio persuasivo, utilizzando come stimolo un videomessaggio, il quale permette di comunicare, oltre che contenuti, anche informazioni sugli aspetti
non verbali, consentendo agli ascoltatori di “farsi un’idea” dell’oratore anche attraverso le sue
caratteristiche comunicative. La maggior parte degli studi precedenti nell’ambito della
persuasività di un messaggio (ad esempio, Petty et al., 1998, tra gli altri) hanno, infatti, utilizzato
dei messaggi scritti, accompagnandoli con una sorta di curriculum vitae dell’autore del
messaggio, presente nelle istruzioni per i soggetti partecipanti alla ricerca: questo tipo di scenario
sperimentale è più distante dalle situazioni reali di persuasione, poiché in esso le persone si
trovano di fatto a valutare due messaggi (il curriculum e il messaggio vero e proprio). Ciò
potrebbe comportare confusione sia su quale sia dei due il messaggio persuasivo sia su quale dei
due influenzi l’altro; e comunque ha scarsa validità ecologica.
Nel caso del presente studio, invece, non avendo alcun tipo di informazione sull’oratore
(preparazione, conoscenze, esperienze, competenze), le persone nel valutare sia il messaggio sia
la stessa fonte, hanno probabilmente fatto riferimento alle sue caratteristiche comunicative
verbali e, soprattutto, gestuali. Esse possono essere assimilate a ciò che gli studiosi della
persuasione (cfr., Chaiken, 1980; Petty, Cacioppo, 1986) chiamano “percorsi periferici” della
persuasione, i quali, in questo caso, hanno avuto effetti significativi anche in condizione di alto
coinvolgimento rispetto all’oggetto del messaggio.
Per quanto riguarda le caratteristiche comunicative considerate in questa ricerca, lo studio
fornisce dei suggerimenti per la conferma di alcune ricerche, presenti in letteratura, relative sia
alle differenze tra le categorie gestuali (McNeill, 1992, 2000), sia agli stili comunicativi verbali.
119
In particolare, i risultati relativi agli stili comunicativi “powerful” e “powerless” confermano gli
studi precedenti sulla modalità di presentazione degli argomenti e sulla valutazione di un
messaggio in presenza/assenza di dispositivi retorici e marcatori discorsivi (Fowler, Hodge,
Kress, Trew, 1979, cit. in Bradac, Ng, 1993; Atkinson, 1984). Inoltre i risultati danno dei
suggerimenti per l’approfondimento di alcuni studi relativi alla relazione tra stili comunicativi
“powerful” e “powerless” e leadership (Bradac, Mulac, 1984).
Per quanto riguarda la manipolazione della variabile gestuale, in questa sede sono stati
utilizzati dei livelli completamente definiti di gesti: solo gesti coesivi, solo gesti ideativi, solo
gesti auto-adattatori, solo gesti oggetto-adattatori, assenza di qualunque gesto. Si potrebbero
prospettare delle verifiche successive in cui presentare dei messaggi persuasivi caratterizzati non
solamente da una categoria gestuale, ma piuttosto da una prevalenza di essa rispetto alle altre.
Inoltre, ricerche successive potrebbero utilizzare un attore oltre che un’attrice, per
verificare la possibile influenza della variabile “genere” sulla valutazione del messaggio.
In conclusione, il contributo fondamentale di tale studio, oltre a quello di fornire dei
suggerimenti teorici e di approfondimento metodologico, allo studio della gestualità delle mani in
coordinazione ad alcuni parametri discorsivi e argomentativi della comunicazione, è quello di
offrire alla ricerca psicologico-sociale degli stimoli all’approfondimento dello studio
sperimentale della persuasione tenendo conto delle caratteristiche comunicative verbali e gestuali
sulla valutazione dell’oratore e dei messaggi persuasivi e sul processo di cambiamento
d’atteggiamento.
120
6. CONCLUSIONI
I risultati sostanzialmente confermano le ipotesi di ricerca e forniscono quindi una serie di
evidenze empiriche e sperimentali in merito all'importanza dei gesti delle mani nell’interazione
comunicativa, per il parlante, per il destinatario e per la relazione stessa.
Si può concludere, infatti, che il sistema di codifica presentato risulti attendibile in diversi
contesti d’interazione. Il supporto in cd-rom interattivo aggiunge al testo del manuale importanti
informazioni in forma di immagini video e foto, fondamentali per arrivare a una comprensione
completa e approfondita del sistema di codifica della gestualità e quindi a una migliore
condivisione dello stesso. Nel complesso il primo studio approfondisce gli aspetti metodologici
che vanno presi in considerazione nell'osservazione sistematica dei gesti, nella verifica
dell'attendibilità in una ricerca di tipo osservativa, con il merito aver studiato lo stesso fenomeno
non verbale in contesti diversificati; aspetto, questo, che conferisce una maggiore
generalizzabilità ai risultati ottenuti da precedenti studi (Ekman, Friesen, 1969; Bavelas et al.,
1992; Contento, 1999; McNeill, 1992; Bonaiuto et al., 2002).
Le associazioni risultate significative nel secondo studio offrono indicazioni statistiche in
merito alle possibili funzioni delle diverse categorie di gesti usati nella comunicazione orale:
strutturazione e coesione del discorso per i gesti coesivi e ritmici; illustrazione del contenuto del
discorso nelle diverse forme argomentative per i gesti ideativi e, in parte sorprendentemente,
gestione della relazione sociale o degli stati emotivi prodotti da questa, per i gesti adattatori. In
base, dunque, alla co-occorrenza verbale-gestuale, si può attribuire a ciascuna categoria gestuale
una specifica funzione prevalente: tali funzioni dei gesti erano peraltro già state affermate in
letteratura ma, sino a ora, erano state illustrate solo qualitativamente oppure quantitativamente
ma limitatamente a singole categorie di gesti (Bavelas et al., 1992; Beattie & Shovelton, 2000;
Bull, 2001; Contento, 1999b; Kendon, 1985; McNeill, 1992, 2000).
I risultati del terzo studio offrono indicazioni circa l’esistenza di specifiche espressioni
gestuali, riguardanti solo alcune categorie di gesti, le quali, in interazione con particolari aspetti
retorico-discorsivi propri della comunicazione verbale, concorrerebbero alla realizzazione di uno
stile comunicativo che faccia risultare un’esposizione orale maggiormente efficace e persuasiva.
In particolare, i gesti connessi al discorso fanno percepire l’oratore come più competente;
inoltre gli stessi quando associati a uno stile verbale marcato e retoricamente strutturato fanno
percepire lo stile comunicativo del parlante come più efficace in quanto induce nell’ascoltatore
maggiore favorevolezza verso il messaggio. Quest’ultimo risultato è ottenibile anche associando
uno stile verbale più moderato a gesti oggetto-adattatori, dimostrando che ciò che può essere
cruciale, almeno entro un certo contesto, è anche e soprattutto la coerenza tra stile verbale e stile
gestuale. Tali suddette relazioni valgono indipendentemente dal grado di coinvolgimento del
soggetto e hanno quindi valore generale. Infine l’efficacia di tali soluzioni di coordinazione
verbale-gestuale dipende dal coinvolgimento del soggetto ma limitatamente alla valutazione di
credibilità del messaggio.
Tali evidenze possono avere ripercussioni applicative alla luce della progettazione di una
comunicazione efficace e persuasiva.
121
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130
APPENDICE I: Testi dei messaggi
MESSAGGIO POWERFUL
La prima cosa che per me è importante sottolineare è che sono del tutto favorevole a questo
provvedimento.
A mio parere ci sono molteplici ragioni per essere favorevoli all’aumento del 20% delle tasse
universitarie.
Prima di tutto questo provvedimento è essenziale per migliorare tanto la qualità
dell’insegnamento universitario quanto l’articolazione didattica dei moduli teorici, dei laboratori
e degli esami di valutazione; inoltre, è necessario per incrementare la preparazione teorica e le
competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia. Sono pienamente convinta, infatti, che ciò
consentirà a tutti i futuri psicologi di collocarsi meglio nel mondo del lavoro.
In secondo luogo, questo provvedimento è indispensabile per lo sviluppo e l’avanzamento della
ricerca scientifica italiana, in campo psicologico. È solo in questo modo che si potrà essere al
passo con le comunità scientifiche internazionali, tanto nelle conoscenze, quanto nei risultati. E
ciò non potrà che essere un vanto per la nostra facoltà e per il nostro Paese.
Terzo, sono convinta che grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia potranno inoltre
adeguarsi ai nuovi standard delle altre facoltà scientifiche, … come le facoltà di Chimica,
Biologia, Medicina, eccetera, che, non a caso, stanno già considerando questa possibilità di
maggiorare le tasse universitarie del 20%.
Il quarto motivo per cui sono favorevole si basa su risultati di analisi economiche, e quindi su dati
oggettivi. Risulta che una minima maggiorazione delle tasse come questa permetterà alle facoltà
di migliorare anche tutti gli aspetti fisico-architettonici della struttura e si potranno rendere più
vivibili gli ambienti. Le aule e le sale lettura saranno molto più agibili, (e così anche i percorsi,
gli spazi d’incontro e di socializzazione); i laboratori saranno decisamente più attrezzati, le
biblioteche saranno più fornite; le bacheche informative di gran lunga più accessibili, e vi
assicuro che saranno molto più efficienti sia i servizi di segreteria sia quelli d’informazione via
Internet.
Vi invito, dunque, a riflettere sull’irrinunciabilità di questo provvedimento, perché sono del tutto
sicura che può essere un primo ma importantissimo passo primo per lo sviluppo della facoltà,
secondo per lo sviluppo delle discipline psicologiche e terzo dell’istituzione universitaria in
generale.
131
MESSAGGIO POWERLESS
Vorrei cominciare questo intervento comunicando che mi trovo ad essere favorevole a questo
provvedimento.
Penso che ci siano diversi motivi per cui si potrebbe essere favorevoli all’aumento delle tasse
universitarie del 20%.
Intanto, questo provvedimento potrebbe essere utile a migliorare l’insegnamento universitario e
l’articolazione didattica dei moduli teorici, dei laboratori e degli esami di valutazione; inoltre,
potrebbe incrementare la preparazione teorica e le competenze pratiche dei futuri laureati in
Psicologia. Infatti, credo che questo miglioramento in qualche modo potrebbe consentire ad una
buona parte dei i futuri psicologi di collocarsi meglio nel mondo del lavoro.
Inoltre, questo provvedimento potrebbe servire in un certo senso allo sviluppo e all’avanzamento
della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. Questo potrebbe essere probabilmente un
modo per essere al passo con le comunità scientifiche internazionali nelle conoscenze e anche nei
risultati. Ciò potrebbe dare un’immagine positiva a questa facoltà e di riflesso anche a questo
Paese.
Poi, penso che grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia potrebbero anche
adeguarsi ai nuovi standard delle altre facoltà scientifiche, … come, le facoltà di Chimica,
Biologia, Medicina, eccetera, che non a caso stanno già considerando questa possibilità di
maggiorare le tasse universitarie del 20%.
Infine, un possibile motivo per cui si potrebbe essere favorevoli riguarda gli esiti di alcune
analisi economiche, dalle quali risulterebbe che questa maggiorazione delle tasse universitarie
potrebbe permettere alle facoltà di migliorare anche alcuni degli aspetti fisico-architettonici della
struttura e si potrebbero rendere più vivibili gli ambienti. Si potrebbero avere aule e sale lettura
un po’ più agibili (come anche i percorsi, gli spazi di incontro e di socializzazioni); i laboratori
semmai potrebbero essere più attrezzati, le biblioteche più fornite; le bacheche informative un po’
più accessibili, e penso che potrebbero diventare più efficienti sia i servizi di segreteria sia quelli
d’informazione su Internet.
Penso dunque che sarebbe utile riflettere sulla necessità di questo provvedimento, perché
eventualmente potrebbe essere uno dei primi passi verso un possibile sviluppo della facoltà, ma
anche verso una crescita delle discipline psicologiche e dell’istituzione universitaria in generale.
132
APPENDICE II: Co-occorrenze verbale-gestuali
1. Messaggio powerful con gesti coesivi e ritmici
La prima cosa che per me è importante sottolineare è che sono del tutto
(vassoio coesivo)
favorevole a questo provvedimento.
A mio parere ci sono moltissime ragioni per essere favorevoli all’aumento del 20%
(stella coesivo)
(stella)
delle tasse universitarie.
Prima di tutto questo provvedimento è essenziale per migliorare tanto la qualità
(vassoio)
coesivo)
(pennello
dell’insegnamento universitario quanto l’articolazione didattica dei moduli teorici,
(mulinello coesivo)
dei laboratori e degli esami di valutazione; inoltre, è necessario per incrementare
(stella)
la preparazione teorica e le competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia.
(telaio coesivo)
Sono pienamente convinta, infatti, che ciò consentirà a tutti i futuri psicologi di
(pinza coesivo)
collocarsi in modo assolutamente migliore nel mondo del lavoro.
(ritmico, con un dito)
In secondo luogo, questo provvedimento è indispensabile per lo sviluppo e
(chele coesivo)
(chele)
l’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. È solo in
(ritmico)
questo modo che si potrà essere al passo con le comunità scientifiche
(vassoio)
internazionali, tanto nelle conoscenze, quanto nei risultati. E ciò non potrà che
(telaio)
essere un vanto eccezionale per la nostra facoltà e per il nostro Paese.
(pinza)
Terzo, sono convinta che grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia
(vassoio)
potranno inoltre adeguarsi perfettamente ai nuovi standard delle altre facoltà
(vassoio)
scientifiche, come, ad esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina,
(mulinello)
eccetera, che, non a caso, stanno già considerando questa possibilità di
(vassoio)
maggiorare le tasse universitarie del 20%.
Il quarto motivo, per cui sono favorevole, si basa su risultati di analisi economiche,
(stella)
133
e quindi su dati oggettivi. Appare chiaro che una minima maggiorazione delle
(stella)
tasse come questa permetterà alle facoltà di migliorare anche tutti gli aspetti fisico(matassa coesivo)
architettonici della struttura e, allo stesso modo, si potranno rendere più vivibili gli
(pinza)
ambienti. Le aule e le sale lettura saranno molto più agibili, (e così anche i
(mulinello)
(mulinello)
percorsi, gli spazi d’incontro e di socializzazione);i laboratori saranno decisamente
(mulinello)
più attrezzati, le biblioteche saranno più fornite;le bacheche informative di gran
(mulinello)
(mulinello)
lunga più accessibili, e vi assicuro che saranno molto più efficienti sia i servizi di
(telaio)
segreteria sia quelli d’informazione via Internet.
Vi invito, dunque, a riflettere sull’irrinunciabilità di questo provvedimento, perché
(stella)
(ritmico)
sono del tutto sicura che può essere un primo ma importantissimo passo, primo,
(vassoio)
per lo sviluppo della facoltà, secondo, per lo sviluppo delle discipline psicologiche
(vassoio)
e, terzo, per il miglioramento dell’istituzione universitaria in generale.
(continua vassoio)
134
2. Messaggio powerful con gesti ideativi
La prima cosa che per me è importante sottolineare è che sono del tutto
(uno)
favorevole a questo provvedimento.
(deittico: indica il tavolo)
A mio parere ci sono moltissime ragioni per essere favorevoli all’aumento del 20%
(deittico: me)
(ideativo)
delle tasse universitarie.
Prima di tutto questo provvedimento è essenziale per migliorare tanto la qualità
(Uno)
(deittico)
(metaforico)
dell’insegnamento universitario quanto l’articolazione didattica dei moduli teorici,
(metaforico)
(Contare: 1, 2,3)
dei laboratori e degli esami di valutazione; inoltre, è necessario per incrementare
(Ideativo metaforico: gesto di incremento)
la preparazione teorica e le competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia.
(deittico: indica facoltà di psicologia)
Sono pienamente convinta, infatti, che ciò consentirà a tutti i futuri psicologi di
(deittico)
(deittico)
collocarsi in modo assolutamente migliore nel mondo del lavoro.
(metaforico)
In secondo luogo, questo provvedimento è indispensabile per lo sviluppo e
(deittico)
(Due)
(ideativo con 2 mani, idea di avanzamento)
l’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. È solo in
questo modo che si potrà essere al passo con le comunità scientifiche
(Ideativo metaforico: idea di stare al passo)
internazionali, tanto nelle conoscenze, quanto nei risultati. E ciò non potrà che
(metaforico)
essere un vanto eccezionale per la nostra facoltà e per il nostro Paese.
(metaforico)
(deittico in crescendo)
Terzo, sono convinta che grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia
(tre)
(deittico)
potranno inoltre adeguarsi perfettamente ai nuovi standard delle altre facoltà
(metaforico)
(deittico)
scientifiche, come, ad esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera,
(contare)
che, non a caso, stanno già considerando questa possibilità di maggiorare le tasse
(emblematico: no)
(deittico)
(metaforico con 2 mani)
universitarie del 20%.
Il quarto motivo, per cui sono favorevole, si basa su risultati di analisi economiche,
(Quattro)
(deittico)
(metaforico)
e quindi su dati oggettivi. Appare chiaro che una minima maggiorazione delle
(emblematico: batti 2 mani)
(Ideativo: poco)
135
tasse come questa permetterà alle facoltà di migliorare anche tutti gli aspetti fisico(deittico)
architettonici della struttura e, allo stesso modo, si potranno rendere più vivibili gli
(deittico: indica la struttura + sguardo)
ambienti. Le aule e le sale lettura saranno molto più agibili, (e così anche i
(deittico)
percorsi, gli spazi d’incontro e di socializzazione); i laboratori saranno
(metaforici)
decisamente più attrezzati, le biblioteche saranno più fornite;
(ideativo)
(ideativo)
le bacheche informative di gran lunga più accessibili, e vi assicuro che saranno
(ideativo)
molto più efficienti sia i servizi di segreteria sia quelli d’informazione via Internet.
Vi invito, dunque, a riflettere sull’irrinunciabilità di questo provvedimento, perché
(metaforico)
sono del tutto sicura che può essere un primo ma importantissimo passo, primo,
(Uno)
(gesto orizzontale metaforico)
(1)
per lo sviluppo della facoltà, secondo, per lo sviluppo delle discipline psicologiche
(2)
e, terzo, per il miglioramento dell’istituzione universitaria in generale.
(3)
(metaforico)
136
3. Messaggio powerful con gesti auto-adattatori
La prima cosa che per me è importante sottolineare è che sono del tutto
(sistema capelli dietro orecchio)
favorevole a questo provvedimento.
(sistema occhiali con una mano)
A mio parere ci sono moltissime ragioni per essere favorevoli all’aumento del 20%
(gratta naso da sopra)
(sistema pantaloni)
delle tasse universitarie.
Prima di tutto questo provvedimento è essenziale per migliorare tanto la qualità
(gratta mano)
dell’insegnamento universitario quanto l’articolazione didattica dei moduli teorici,
(gioca con anello)
dei laboratori e degli esami di valutazione; inoltre, è necessario per incrementare
(gratta collo dietro)
la preparazione teorica e le competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia.
Sono pienamente convinta, infatti, che ciò consentirà a tutti i futuri psicologi di
(sistema capelli)
collocarsi in modo assolutamente migliore nel mondo del lavoro.
(maglioncino guardando in basso)
In secondo luogo, questo provvedimento è indispensabile per lo sviluppo e
(Nuca)
(capelli)
l’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. È solo in
(capelli altro)
questo modo che si potrà essere al passo con le comunità scientifiche
(capelli avanti)
internazionali, tanto nelle conoscenze, quanto nei risultati. E ciò non potrà che
(naso)
(vestiti)
essere un vanto eccezionale per la nostra facoltà e per il nostro Paese.
(maglietta collo alto)
Terzo, sono convinta che grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia
(occhiali)
(orologio)
potranno inoltre adeguarsi perfettamente ai nuovi standard delle altre facoltà
(sistema orologio)
scientifiche, come, ad esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera,
(mani)
che, non a caso, stanno già considerando questa possibilità di maggiorare le tasse
(vestiti)
universitarie del 20%.
Il quarto motivo, per cui sono favorevole, si basa su risultati di
(sopracciglia)
(occhio)
analisi economiche, e quindi su dati oggettivi. Appare chiaro che una
(collana)
minima maggiorazione delle tasse come questa permetterà alle facoltà di
137
migliorare anche tutti gli aspetti fisico-architettonici della struttura e, allo stesso
(sistema capelli con mano sn voltando viso verso dx)
modo, si potranno rendere più vivibili gli ambienti. Le aule e le sale lettura saranno
(naso)
molto più agibili, (e così anche i percorsi, gli spazi d’incontro e di socializzazione); i
(mani)
(capelli)
laboratori saranno decisamente più attrezzati, le biblioteche saranno più fornite; le
(capelli)
bacheche informative di gran lunga più accessibili, e vi assicuro che saranno
(vestiti sotto spostando il busto un po’ in avanti)
molto più efficienti sia i servizi di segreteria sia quelli d’informazione via Internet.
(braccio)
(polso)
Vi invito, dunque, a riflettere sull’irrinunciabilità di questo provvedimento, perché
(occhiali con 2 mani)
sono del tutto sicura che può essere un primo ma importantissimo passo, primo,
(orologio)
(2 mani)
per lo sviluppo della facoltà, secondo, per lo sviluppo delle discipline psicologiche
(capelli)
e, terzo, per il miglioramento dell’istituzione universitaria in generale.
138
4. Messaggio powerful con gesti oggetto-adattatori
La prima cosa che per me è importante sottolineare è che sono del tutto
(penna con mano dx e passa a sn)
favorevole a questo provvedimento.
(movimento con penna piano)
A mio parere ci sono moltissime ragioni per essere favorevoli all’aumento del 20%
(movimento forte con penna)
(linguetta penna)
delle tasse universitarie.
Prima di tutto questo provvedimento è essenziale per migliorare tanto la qualità
(grattare tavolo in verticale davanti con sn)
dell’insegnamento universitario quanto l’articolazione didattica dei moduli teorici,
(ruotare porta-occhiali)
dei laboratori e degli esami di valutazione; inoltre, è necessario per incrementare
(tamburellare su tavolo)
la preparazione teorica e le competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia.
(continua tamburellare)
Sono pienamente convinta, infatti, che ciò consentirà a tutti i futuri psicologi di
(passare piano penna tra le mani)
collocarsi in modo assolutamente migliore nel mondo del lavoro.
(svitare-avvitare penna)
In secondo luogo, questo provvedimento è indispensabile per lo sviluppo e
(giocare forte con penna)
l’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. È solo in
(apri-chiudi)
questo modo che si potrà essere al passo con le comunità scientifiche
(tenere penna in verticale e giocare poco)
internazionali, tanto nelle conoscenze, quanto nei risultati. E ciò non potrà che
(passare penna tra le mani)
essere un vanto eccezionale per la nostra facoltà e per il nostro Paese.
(ruotare penna sul tavolo)
Terzo, sono convinta che grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia
(tamburella)
potranno inoltre adeguarsi perfettamente ai nuovi standard delle altre facoltà
(apri-chiudi porta-occhiali)
scientifiche, come, ad esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera,
(continua apri-chiudi)
che, non a caso, stanno (già considerando questa possibilità di maggiorare le
(ruota tra le mani porta-occhiali)
tasse universitarie del 20%.
Il quarto motivo, per cui sono favorevole, si basa su risultati di analisi economiche,
(pollice su tavolo)
e quindi su dati oggettivi. Appare chiaro che una minima maggiorazione delle
(continua pollice)
(giocare su e giù con penna sul tavolo con mano dx)
tasse come questa permetterà alle facoltà di migliorare anche tutti gli aspetti fisico139
(svita-avvita penna)
architettonici della struttura e, allo stesso modo, si potranno rendere più vivibili gli
(giocare forte con penna)
ambienti. Le aule e le sale lettura saranno molto più agibili, (e così anche i
(grattare tavolo)
percorsi, gli spazi d’incontro e di socializzazione);i laboratori saranno decisamente
(ruotare porta-occhiali sul tavolo)
più attrezzati, le biblioteche saranno più fornite;le bacheche informative di gran
(prendere con mani porta-occhiali)
lunga più accessibili, e vi assicuro che saranno molto più efficienti sia i servizi di
(su e giù porta-occhiali sul tavolo)
segreteria sia quelli d’informazione via Internet.
Vi invito, dunque, a riflettere sull’irrinunciabilità di questo provvedimento, perché
(grattare tavolo in verticale con sn)
sono del tutto sicura che può essere un primo ma importantissimo passo, primo,
(tamburellare)
(passare penna tra le mani)
per lo sviluppo della facoltà, secondo, per lo sviluppo delle discipline psicologiche
(passare penna tra le mani)
e, terzo, per il miglioramento dell’istituzione universitaria in generale.
(giocare veloce con penna)
140
5. Messaggio powerless con gesti coesivi
Vorrei cominciare questo intervento comunicando che mi trovo ad essere
(vassoio)
favorevole a questo provvedimento.
Penso che ci siano diversi motivi per cui si potrebbe essere favorevoli all’aumento
(stella)
(stella)
delle tasse universitarie del 20%.
Intanto, questo provvedimento potrebbe essere utile a migliorare l’insegnamento
(vassoio)
(pennello)
universitario e l’articolazione didattica dei moduli teorici, dei laboratori e degli
(mulinello)
esami di valutazione; inoltre, potrebbe incrementare la preparazione teorica e le
(stella)
competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia. Infatti, credo che questo
(pinza)
miglioramento in qualche modo potrebbe consentire ad una buona parte dei i futuri
(ritmico, con un dito)
psicologi di collocarsi meglio nel mondo del lavoro.
Inoltre, questo provvedimento potrebbe servire in un certo senso allo sviluppo e
(chele)
(chele)
all’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. Questo
(Ritmico)
potrebbe essere probabilmente un modo per stare al passo con le comunità
scientifiche internazionali nelle conoscenze e anche nei risultati. E ciò potrebbe
(telaio)
(pinza)
dare un’immagine positiva questa facoltà e di riflesso anche a questo Paese.
(vassoio)
Poi, penso che, grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia potrebbero
(vassoio)
anche adeguarsi ai nuovi standard delle altre facoltà scientifiche, come, ad
(continua vassoio)
esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera, che non a caso,
(mulinello)
stanno già considerando questa possibilità di maggiorare le tasse universitarie del
(vassoio)
20%.
Infine, un possibile motivo per cui si potrebbe essere favorevoli riguarda gli esiti di
(stella)
alcune analisi economiche, dalle quali risulterebbe che questa maggiorazione
(stella)
delle tasse universitarie potrebbe permettere alle facoltà di migliorare anche alcuni
(matassa)
141
degli aspetti fisico-architettonici della struttura e si potrebbero rendere più vivibili
(pinza)
gli ambienti. Si potrebbero avere aule e sale lettura un po’ più agibili (come anche i
(mulinello)
(mulinello)
percorsi, gli spazi di incontro e di socializzazione); i laboratori potrebbero semmai
(mulinello)
essere più attrezzati, le biblioteche più fornite; le bacheche informative un po’ più
(mulinello)
(mulinello)
accessibili, e potrebbero diventare più efficienti sia i servizi di segreteria sia quelli
(telaio)
d’informazione su Internet.
Penso dunque che sarebbe utile riflettere sulla necessità di questo provvedimento,
(stella)
perché eventualmente potrebbe essere uno dei primi passi verso un possibile
(ritmico)
(vassoio)
sviluppo della facoltà, ma anche verso una crescita delle discipline psicologiche e
(vassoio)
dell’istituzione universitaria in generale.
(vassoio)
142
6. Messaggio powerless con gesti ideativi
Vorrei cominciare questo intervento comunicando che mi trovo ad essere
(uno)
favorevole a questo provvedimento.
(deittico: indica il tavolo)
Penso che ci siano diversi motivi per cui si potrebbe essere favorevoli all’aumento
(deittico: me)
(ideativo)
delle tasse universitarie del 20%.
Intanto, questo provvedimento potrebbe essere utile a migliorare l’insegnamento
(uno)
(deittico)
(ideativo)
universitario e l’articolazione didattica dei moduli teorici, dei laboratori e degli
(metaforico)
(contare: 1,2,3)
esami di valutazione; inoltre, potrebbe incrementare la preparazione teorica e le
(mt: idea di aumento)
competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia. Infatti, credo che questo
(indica facoltà di psicologia)
(deittico: me)(deittico)
miglioramento in qualche modo potrebbe consentire ad una buona parte dei i futuri
psicologi di collocarsi meglio nel mondo del lavoro.
(metaforico)
Inoltre, questo provvedimento potrebbe servire in un certo senso allo sviluppo e
(ideativi, mano)
(deittico)
(ideativo 2 mani, idea di avanzamento)
all’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. Questo
potrebbe essere probabilmente un modo per stare al passo con le comunità
(mt: stare al passo)
scientifiche internazionali nelle conoscenze e anche nei risultati. E ciò potrebbe
(ideativo)
(metafor)
dare un’immagine positiva a questa facoltà e di riflesso anche a questo Paese.
(Deittico in crescendo)
Poi, penso che, grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia potrebbero
(ideativo, dito) (deitt: me)
anche adeguarsi ai nuovi standard delle altre facoltà scientifiche, come, ad
(metaforico)
(deittico)
esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera, che non a caso,
(contare: 1, 2, 3)
(e: no)
stanno già considerando questa possibilità di maggiorare le tasse universitarie del
(deittico)
(metaforico)
20%.
Infine, un possibile motivo per cui si potrebbe essere favorevoli riguarda gli esiti di
(ideativo)
(deittico: me)
(metafor)
alcune analisi economiche, dalle quali risulterebbe che questa maggiorazione
(emblematico: batti 2 mani)
(deittico) (metaforico: poco)
delle tasse universitarie potrebbe permettere alle facoltà di migliorare anche alcuni
143
degli aspetti fisico-architettonici della struttura e si potrebbero rendere più vivibili
(deittico: indica la struttura + sguardo)
gli ambienti. Si potrebbero avere aule e sale lettura un po’ più agibili (come anche i
(deittico)
percorsi, gli spazi di incontro e di socializzazione); i laboratori potrebbero semmai
(metaforici)
(ideativo)
essere più attrezzati, le biblioteche più fornite; le bacheche informative un po’ più
(ideativo)
(ideativo)
accessibili, e penso che potrebbero diventare più efficienti sia i servizi di segreteria
sia quelli d’informazione su Internet.
Penso dunque che sarebbe utile riflettere sulla necessità di questo provvedimento,
(metaforico: testa)
perché eventualmente potrebbe essere uno dei primi passi verso un possibile
(gesto orizzontale metaforico)
(uno)
(1)
sviluppo della facoltà, ma anche verso una crescita delle discipline psicologiche e
(2)
dell’istituzione universitaria in generale.
(3)
(metaforico)
144
7. Messaggio powerless con gesti auto-adattatori
Vorrei cominciare questo intervento comunicando che mi trovo ad essere
(sistema capelli dietro orecchio)
favorevole a questo provvedimento.
(occhiali)
Penso che ci siano diversi motivi per cui si potrebbe essere favorevoli all’aumento
(naso)
(vestiti)
delle tasse universitarie del 20%.
Intanto, questo provvedimento potrebbe essere utile a migliorare l’insegnamento
(mani)
universitario e l’articolazione didattica dei moduli teorici, dei laboratori e degli
(gioca con anello)
esami di valutazione; inoltre, potrebbe incrementare la preparazione teorica e le
(collo dietro)
competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia. Infatti, credo che questo
(capelli)
miglioramento in qualche modo potrebbe consentire ad una buona parte dei i futuri
psicologi di collocarsi meglio nel mondo del lavoro.
(maglione guardando in basso)
Inoltre, questo provvedimento potrebbe servire in un certo senso allo sviluppo e
(nuca)
(capelli)
all’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. Questo
(capelli avanti)
potrebbe essere probabilmente un modo per stare al passo con le comunità
(naso)
scientifiche internazionali nelle conoscenze e anche nei risultati.
(vestiti)
E ciò potrebbe dare un’immagine positiva a questa facoltà e di riflesso anche a
(collo alto)
questo Paese.
Poi, penso che, grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia potrebbero
(occhiali)
(orologio)
anche adeguarsi ai nuovi standard delle altre facoltà scientifiche, come, ad
(continua orologio)
esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera, che non a caso,
(mani)
stanno già considerando questa possibilità di maggiorare le tasse universitarie del
(vestiti)
20%.
Infine, un possibile motivo per cui si potrebbe essere favorevoli riguarda gli esiti di
(sopracciglia)
(occhio)
alcune analisi economiche, dalle quali risulterebbe che questa maggiorazione
145
(collana)
delle tasse universitarie potrebbe permettere alle facoltà di migliorare anche alcuni
(sistema capelli guardando a dx)
degli aspetti fisico-architettonici della struttura e si potrebbero rendere più vivibili
(capelli)
gli ambienti. Si potrebbero avere aule e sale lettura un po’ più agibili (come anche i
(naso)
(mani)
percorsi, gli spazi di incontro e di socializzazione); i laboratori semmai potrebbero
(capelli guardando a sn)
essere più attrezzati, le biblioteche più fornite; le bacheche informative un po’ più
(capelli)
(vestiti)
accessibili, e penso che potrebbero diventare più efficienti sia i servizi di segreteria
(braccio)
sia quelli d’informazione su Internet.
(polso)
Penso dunque che sarebbe utile riflettere sulla necessità di questo provvedimento,
(occhiali)
perché eventualmente potrebbe essere uno dei primi passi verso un possibile
(orologio)
(mani)
sviluppo della facoltà, ma anche verso una crescita delle discipline psicologiche e
(capelli)
dell’istituzione universitaria in generale.
146
8. Messaggio powerless con gesti oggetto-adattatori
Vorrei cominciare questo intervento comunicando che mi trovo ad essere
(prendere penna con mano dx e passare a sn)
favorevole a questo provvedimento.
(giocare piano con penna)
Penso che ci siano diversi motivi per cui si potrebbe essere favorevoli all’aumento
(giocare forte con penna)
(linguetta penna)
delle tasse universitarie del 20%.
Intanto, questo provvedimento potrebbe essere utile a migliorare l’insegnamento
(grattare tavolo in verticale davanti con sn)
universitario e l’articolazione didattica dei moduli teorici, dei laboratori e degli
(ruota porta-occhiali)
esami di valutazione; inoltre, potrebbe incrementare la preparazione teorica e le
(tamburellare su tavolo)
competenze pratiche dei futuri laureati in Psicologia. Infatti, credo che questo
(tamburellare)
miglioramento in qualche modo potrebbe consentire ad una buona parte dei i futuri
(giocare piano con penna passandola tra le mani)
psicologi di collocarsi meglio nel mondo del lavoro.
(svita-avvita penna)
Inoltre, questo provvedimento potrebbe servire in un certo senso allo sviluppo e
(giocare forte con penna)
all’avanzamento della ricerca scientifica italiana in campo psicologico. Questo
(apri-chiudi penna)
potrebbe essere probabilmente un modo per stare al passo con le comunità
(tenere penna in verticale e giocare poco)
scientifiche internazionali nelle conoscenze e anche nei risultati.
E ciò potrebbe dare un’immagine positiva a questa facoltà e di riflesso anche a
(ruotare penna sul tavolo)
questo Paese.
Poi, penso che, grazie a questo provvedimento, le facoltà di Psicologia potrebbero
(tamburellare su tavolo)
anche adeguarsi ai nuovi standard delle altre facoltà scientifiche, come, ad
(apri-chiudi porta-occhiali)
esempio, le facoltà di Chimica, Biologia, Medicina, eccetera, che non a caso,
(continuare apri-chiudi)
stanno già considerando questa possibilità di maggiorare le tasse universitarie del
(ruotare tra le mani porta-occhiali)
20%.
Infine, un possibile motivo per cui si potrebbe essere favorevoli riguarda gli esiti di
(pollice su tavolo)
alcune analisi economiche, dalle quali risulterebbe che questa maggiorazione
(pollice)
delle tasse universitarie potrebbe permettere alle facoltà di migliorare anche alcuni
147
(giocare su e giù con penna su tavolo con mano dx)
degli aspetti fisico-architettonici della struttura e si potrebbero rendere più vivibili
(svita-avvita penna)
(giocare forte con penna)
gli ambienti. Si potrebbero avere aule e sale lettura un po’ più agibili (come anche i
(grattare tavolo)
percorsi, gli spazi di incontro e di socializzazione); i laboratori semmai potrebbero
(ruotare porta-occhiali su tavolo)
essere più attrezzati, le biblioteche più fornite; le bacheche informative un po’ più
(prendere con mani porta-occhiali)
accessibili, e penso che potrebbero diventare più efficienti sia i servizi di segreteria
(su e giù porta-occhiali sul tavolo)
sia quelli d’informazione su Internet.
Penso dunque che sarebbe utile riflettere sulla necessità di questo provvedimento,
(grattare tavolo in verticale con sn)
perché eventualmente potrebbe essere uno dei primi passi verso un possibile
(tamburellare)
(passare penna tra le mani)
sviluppo della facoltà, ma anche verso una crescita delle discipline psicologiche e
(passare penna tra le mani)
dell’istituzione universitaria in generale.
(giocare forte con penna)
148
APPENDICE III: Questionari di valutazione dei messaggi per il controllo della
manipolazione delle variabili verbale e gestuale
Appendice IIIa:
Questionario valutazione testo scritto
Come valuti il messaggio appena letto?
complesso
difficile
oscuro
noioso
inefficace
debole
cattivo
veloce
moderato
sobrio
naturale
improvvisato
attenuato
stupido
disimpegnato
non argomentato
parziale
interessato
di sinistra
non persuasivo
non coinvolgente
non convincente
falso
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-3
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-2
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
-1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
semplice
facile
chiaro
interessante
efficace
forte
buono
lento
enfatico
eccessivo
formale
articolato
marcato
intelligente
disimpegnato
argomentato
obiettivo
disinteressato
di destra
persuasivo
coinvolgente
convincente
vero
NOTE………………………………………………………………………
149
Appendice IIIb: Questionario valutazione dei messaggi in video
Come valuti lo stile comunicativo della persona appena visionata?
per niente valido
-3 -2 -1 0 1 2 3
valido
inefficace
-3 -2 -1 0 1 2 3
efficace
inadeguato
-3 -2 -1 0 1 2 3
adeguato
banale
-3 -2 -1 0 1 2 3
originale
Come valuti la persona appena visionata?
ansiosa
-3 -2 -1 0
tesa
-3 -2 -1 0
insicura
-3 -2 -1 0
antipatica
-3 -2 -1 0
ostile
-3 -2 -1 0
spiacevole
-3 -2 -1 0
noiosa
-3 -2 -1 0
sottomessa
-3 -2 -1 0
inaffidabile
-3 -2 -1 0
inesperta
-3 -2 -1 0
incompetente
-3 -2 -1 0
per niente credibile
-3 -2 -1 0
per niente persuasiva
-3 -2 -1 0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
serena
rilassata
sicura
simpatica
amichevole
piacevole
interessante
dominante
affidabile
esperta
competente
del tutto credibile
del tutto persuasiva
Quanta attenzione hai prestato a ciascuno di questi aspetti del parlante durante la
visione di tutti i messaggi?
Espressione
del viso:
per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
Postura:
per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
Gesti delle mani: per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
Aspetto fisico:
per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
Abbigliamento: per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
Sguardo:
per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
Altro (specificare)_________________________________________________
per niente -3 -2 -1 0 1 2 3
molta
NOTE………………………………………………………………………
150
Appendice IIIc: Questionario valutazione messaggi in audio
Come valuti il messaggio appena ascoltato?
complesso
-3 -2 -1 0
difficile
-3 -2 -1 0
oscuro
-3 -2 -1 0
non interessante
-3 -2 -1 0
non persuasivo
-3 -2 -1 0
non coinvolgente
-3 -2 -1 0
non convincente
-3 -2 -1 0
falso
-3 -2 -1 0
inefficace
-3 -2 -1 0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
semplice
facile
chiaro
interessante
persuasivo
coinvolgente
convincente
vero
efficace
Come valuti lo stile comunicativo della persona appena ascoltata?
per niente valido
-3 -2 -1 0 1 2 3
valido
inefficace
-3 -2 -1 0 1 2 3
efficace
inadeguato
-3 -2 -1 0 1 2 3
adeguato
banale
-3 -2 -1 0 1 2 3
originale
Come valuti la persona appena ascoltata?
ansiosa
-3 -2 -1 0
tesa
-3 -2 -1 0
insicura
-3 -2 -1 0
antipatico
-3 -2 -1 0
ostile
-3 -2 -1 0
spiacevole
-3 -2 -1 0
noioso
-3 -2 -1 0
sottomesso
-3 -2 -1 0
inaffidabile
-3 -2 -1 0
inesperto
-3 -2 -1 0
disinformato
-3 -2 -1 0
incompetente
-3 -2 -1 0
parziale
-3 -2 -1 0
per niente credibile
-3 -2 -1 0
per niente persuasivo
-3 -2 -1 0
interessato
-3 -2 -1 0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
serena
rilassata
sicura
simpatico
amichevole
piacevole
interessante
dominante
affidabile
esperto
informato
competente
obiettivo
del tutto credibile
del tutto persuasivo
disinteressato
NOTE………………………………………………………………………
151