Abbia cura di sé
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Abbia cura di sé
Editoriale DOSSIER Abbia cura di sé Oltre i propri confini Maria Piacente La cura, il curare, il prendersi cura ci induce oltre i nostri propri confini corporei e psichici obbligandoci ad affrontare e riflettere, partendo da noi stessi, sul suo significato più profondo: come esseri umani non possiamo limitarci a vivere, ma dobbiamo anche prenderci cura di noi stessi, siamo perciò impegnati a dare forma alla nostra stessa vita attraverso la cura che ad essa riserviamo. L’idea di fondo potrebbe allora essere proprio quella di approfondire, mentre curiamo noi stessi, quali sono gli atteggiamenti, i gesti, le parole, le attese, i silenzi che la cura ed il prendersi cura implicano per noi e per gli altri vicini a noi. Quali aspetti, dal punto di vista relazionale, si manifestano nelle nostre imprese di cura. Stiamo, per esempio, sempre curando noi stessi mentre curiamo gli altri? E dunque nei gesti, nelle parole, nelle attese e nei silenzi siamo noi, noi con il nostro corpo ed il nostro spirito, a prenderci cura degli altri? Abbia cura di sé è il titolo che Sophie Calle, curatrice alla Biennale di Venezia della 52.a Esposizione d’Arte Contemporanea del Padiglione francese, ha dato ad una mostra, svoltasi nell’anno appena trascorso. Con le ultime parole Abbia cura di sé, si concludeva una e-mail di rottura di una relazione, inviata dal fidanzato alla stessa Sophie Calle. La Calle, che stava lavorando alla mostra, ha reso pubblica questa lettera poi inviata a 107 donne, professioniste di varie discipline, perché queste ultime ne interpretassero i contenuti dal loro specifico punto di vista professionale: la scelta che Sophie aveva fatto era stata proprio quella di prendersi cura di sé, prendendo alla lettera la raccomandazione e mettendo in atto una certa distanza temporale, prima di ripensare a ciò che aveva mosso l’autore del messaggio verso quell’atto. In seguito, la nota artista parigina, che da più di vent’anni sceglie la propria e altrui vita come soggetto della sua arte concettuale, ha pubblicato un libro con lo stesso titolo. Sempre alla cura è legato il testo, e il titolo, di una bella canzone d’amore di Franco Battiato. “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via. Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. Ti solleverò dai do- 6 lori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie,perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te (....). La cura di questo meraviglioso sentimento che è l’amore sembra una com-passione, diretta verso l’incontro con l’altro, in una dimensione così forte da farci dimenticare noi stessi e la realtà che ci circonda. In questo caso l’altro incarna per noi l’oggetto d’amore privilegiato che attraverso il riconoscimento di noi stessi dà senso al nostro essere e stare al mondo. Ma sempre, nei processi di cura, ci chiediamo: Chi è l’altro per me? Che sentimenti mi provoca ? Cosa sono io per voi, lui, lei, noi? Attraverso la cura diamo forma alla nostra vita e a quella dei nostri cari: figli, genitori, mariti, mogli, parenti, amici, persone che ci stanno a cuore, e anche no. Compiendo i gesti della cura, quando questi risignificano un corpo, non solo come luogo portatore di patologia, ma come luogo in carne ed ossa, dove emozione, sentimenti e pensieri si intrecciano continuamente, occorre prestare ascolto all’altro, con la consapevolezza che si tratta di una virtù difficile da praticare. A volte, quando avviene di accompagnare qualcuno verso l’ultima tappa della vita, i gesti della cura assumono delle connotazioni particolari che, in qualche modo, riassumono il tipo di rapporto che, attraverso il tempo, si era andato via via costruendo, facendo emergere tutto il significato della relazione viva tra gli interlocutori. Nel romanzo Patrimonio, un romanzo autobiografico di Philip Roth, l’Autore parla del padre Hermann Roth che, ormai ottantaseienne, vive in lotta con un tumore al cervello. Durante la malattia, un giorno, il padre, si sporca: “Ero terribilmente dispiaciuto per la lotta eroica e sfortunata che aveva sostenuto per ripulirsi (...). Si pulisce la merda del proprio padre perchè deve essere pulita, ma dopo averlo fatto tutto quello che resta da sentire lo senti come mai prima d’allora ( ...). E perché questo era giusto e come doveva essere non avrebbe potuto essermi più chiaro... Questo dunque, era il mio patrimonio...”. Pedagogika.it - Anno XII n. 1