La carne di risulta così in Sicilia divenne ghiottoneria

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La carne di risulta così in Sicilia divenne ghiottoneria
LA SICILIA
18.
ggi
MARTEDÌ 5 NOVEMBRE 2013
Cultura
MOSTRA DI MONET A PAVIA
SCAFFALE
Il più amato dei pittori moderni
La scomparsa dell’agente La Mantia
Monet è sempre Monet. Insieme a Modigliani e Van Gogh, il pittore moderno più amato
dagli italiani. E il più amato in assoluto, secondo un recente sondaggio, negli USA, in
Giappone e ovviamente in Francia, dove visse fino a 86 anni. Le mostre dedicate al «più
impressionista degli impressionisti» punteggiano il nostro Paese con piacevole regolarità.
Oggi è la volta di Pavia, dove al Castello Visconteo, polo museale ed espositivo in
progressiva crescita di livello, è aperta fino al 15 dicembre «Monet – Au coeur de la vie».
Riuscita nell’innovativo allestimento, anche se con pochi capolavori e la grave lacuna di
nessuna opera del maestro (solo due belle tele inedite della figlia acquisita e molto
amata Blanche) raffigurante il giardino di Giverny, l’esposizione ci propone un percorso
di vita in forma multidimensionale. Oltre alle opere di Monet, ve ne sono del suo
insegnante Eugène Boudin e del «riferimento» Johan Jongkind, dei suoi discepoli Alfred
Roll e l’americano John Singer Sargent, vi sono lettere autografe e xilografie giapponesi e
la doppia pagina del periodico satirico «Le Charivari» in cui il critico Louis Leroy coniò il
termine spregiativo di impressionisti, descrivendo «Impressione, sole nascente» di Monet
come una carta da parati. Scandiscono il percorso le letture e i video di sei attori che
propongono scritti di amici e parenti del maestro, raccontandone il «destino», quasi una
morale d’antan per la fiaba artistica di uno dei padri dell’universo visivo contemporaneo.
S’intitola «L’ultima indagine del Commissario» il romanzo del giornalista Davide
Camarrone (Sellerio). Siamo nel 1911. La Belle Époque è al tramonto. Una classe
nuova, ricca e viziosa, ha messo radici a Palermo, trasfigurandone la storia,
mortificandone i lustri. Ed è in questa ferita che il Commissario di polizia Garbo vive i
suoi giorni, mediocri. Una separazione alle spalle, un presente che sa di vino e
solitudine. Una mattina, un imprevisto. Sulla scrivania un fascicolo. Si ordinano
indagini sulla scomparsa dell’agente scelto Federico La Mantia, infiltrato nelle
cosche mafiose monrealesi. Sullo sfondo la correlazione tra mafia e Società di Mutuo
Soccorso – che si scoprirà in seguito essere controllate da uomini vicino alle
Istituzioni. Il Commissario si trova così invischiato in una vicenda dai contorni oscuri,
dove suicidi e ricatti hanno sempre più il sapore di assassinii e affari sotto banco, in
cui il «puzzo di marcio, di tradimento» si confonde all’odore d’inchiostro di qualche
penna autorevole pronta a sigillare nuovi accordi. E questo il Cavalier Garbo lo
impara sulla sua pelle: la Giustizia degli uomini lascia il posto al tormento.
Camarrone tesse una fitta tela di intrighi, affari sporchi, rapporti Stato-mafia,
insabbiamenti, in una Palermo dei primi del ‘900 che ricorda quella delle stragi,
quando si bisbigliava, in cui la verità rimane celata, al sicuro, ben protetta dal potere.
RAFFAELLO CARABINI
ALESSANDRO GIULIANA
LA CENA ECUMENICA
Dall’altare di Zeus agli Ebrei: il caso
esemplare della città di Siracusa
nelle pagine del volume «La cucina
delle carni da non dimenticare»
La copertina del
volume «La
cucina delle carni
da non
dimenticare»
presentato in
occasione del
Convivio della
Cena ecumenica
CETTINA VOZA
e un amico di famiglia ha insistito in maniera fastidiosa per incontrare vostra nonna, se l’amabile intellettuale frequentatrice
di conferenze e cineforum vi ha chiesto
più volte ragguagli sulle carte di famiglia
e su quaderni di appunti riservati, o, come rintracciare la tata che per anni è
stata con voi, ecco sicuramente siete di
fronte a un accademico della cucina in
azione.
Un drappello di persone sguinzagliate fra archivi, biblioteche, strade e mercati, ainvestigare e ricercare, ma difficilmente identificabili quali accademici intenti a raccogliere quel contesto di informazioni destinato ad avere esito in cucina, in preparazioni ripescate dalla tradizione, o individuate nel loro specificoe
ricomposte per andare in tavola! E per
dare enfasi alla ricerca, ecco la Cena Ecumenica, da celebrare nello stesso giorno
in tutto il mondo, il che equivale al fondare una «liturgia» attorno alla quale far
convergere sia l’interesse dei celebranti
che quello delle società presso le quali
avviene, idealmente e concretamente
riuniti a Convivio, a evidenziare lo specifico dell’alimentazione «italiana». La Cena si accompagna alla presentazione del
volume che quelle ricerche racchiude:
«La cucina delle carni da non dimenticare», nella fattispecie della cena ottobrina.
Scorrendo il testo non ci sorprendiamo, a partire da Siracusa, di imbatterci in
un incipit che parte da lontano, nientemeno che dall’ecatombe sacrificale che
si consumava sull’ara di Ierone II, sulla
quale si sacrificavano a Zeus Eleutherios ben 450 tori, che squartati e divisi in
pezzi venivano posti ad arrostire sull’
altare, pingue sacrificio alla divinità, che,
supponiamo, accogliesse grata il fumo
opimo. Un uso «alto» dei quattro quarti,
carni per l’élite dei guerrieri e dei nobili, e gli altri pezzi, il quinto quarto? Pezzi contesi dai cani e dai miseri.
Ma oggi, quanto di uso delle carni povere è presente sulla nostra tavola, o è
possibile ordinare al ristorante?
Fatta eccezione per polpette e polpet-
S
Pieter Aertsen, La
Bottega del
macellaio e fuga
in Egitto (part.)
La carne di risulta
così in Sicilia
divenne ghiottoneria
toni, sappiamo tutti che per mangiare
trippe e rognoni dobbiamo santificare
qualche vecchia zia o affezionata domestica che sappia prepararne, mentre i
nomi dei ristoranti sono confidati in segreto come nella carboneria. Quindi, a
partire dalle definizioni note di quinto
quarto, come carne quasi di risulta, una
differenza sostanziale divide le rigaglie
dalle frattaglie: le prime derivano da
rigàglia nel senso di «bocconi da re» regalie; mentre le seconde, le frattaglie
appunto, da frango (spezzo) comprendono quanto risulta al di fuori dei pezzi
interi di carne. Le definizioni precisano
bene il contesto di appartenenza, indicando in rigaglie «dono di re», e non
scarti donati alla servitù, prerogative
ben esplicitate dal nome ove si pensi alla quantità di volatili necessari per formare quel piatto noto come «i fagioli di
Re Ferdinando», (tutto di testicoli di pollo) appartenente alla regale cucina netina, o quello del «cappello del prete», caro a un famoso abate.
Approdiamo nel tempo a più recenti
usi e consuetudini, facenti capo entrambi a due soggetti opposti per rango e
possibilità, le mense regali e dall’altro lato, la strada, affamata di cibo a basso costo ma buonissimo: un uso popolare del
quel quinto quarto, non compreso nella
bestia per l’appunto «squartata», alternativamente cibo di re e di poveracci.
Questa storia, in Sicilia, l’abbiamo visto, risale fino all’epoca omerica e rende
conto di tutto il patrimonio di consuetudini gastronomiche stratificatesi sul
fondo culturale, ma certamente sopravanzate dall’urgere delle istanze sociali. Come dimenticare, mangiando, che
qui hanno convissuto le religioni di Cristiani, Musulmani ed Ebrei, con i loro diversi apporti culturali? Sembra un gioco riportare i cibi a questa o quella dominazione: araba, normanna, sveva, ….
E ogni cultura ha lasciato un segno, un
uso particolare, parole nuove, e anche
sfottò linguistici.
Modi di consumare il cibo che si portano appresso la storia delle comunità
religiose che in città e nell’isola hanno
convissuto. Quanto pesi la storia sugli usi
alimentari lo si nota osservando una delle più antiche incisioni riguardanti la Siracusa medievale, quella di Foresti da
Bergamo del 1483, che presenta in uno
spazio fra le muraglie che si affacciano
sul mare, la inconsueta immagine di
quarti di carne appesi, bene in vista in un
posto preciso della città, quello della
«Turba», luogo riservato al macello e al
mercato della carne dei Giudei. La beccheria, cioè il macello della Giudecca
posto fuori le mura, vicino al mare nella
parte occidentale di Ortigia, non lontano
dalle concerie tra la porta Marina e la
fonte Aretusa. La comunità ebraica si era
concentrata in un’aggregazione nella zona che fu chiamata, Jurecca, Giudecca,
potendo così seguire più facilmente i
precetti religiosi, come la frequentazione della Sinagoga, i bagni rituali e la macellazione delle carni, tajura, espressione usata in Sicilia per la macellazione
Kasher. Il luogo era prima, in realtà, «fra
li cantunerifausi …et eratturpissimus
omnibus fetoribusplenus». La presenza
del macello era causa di fetore insopportabile, sicchè si fecero leggi «ad trasferendum» per allontanarlo dunque all’aria aperta, vicino al fossato e al mare. Ma
ci fu un giorno, quello dell’editto del
1492 di Ferdinando il Cattolico in cui fu
ordinata l’espulsione dal Regno. Abbandonarono la Sicilia per un esilio infinito
gli Ebrei, ma moltissimi dei loro usi rimasero. In primis quello divenuto tradizione del consumo delle frattaglie.
Esse rappresentavano il «quinto quarto», fatto di cervello, animelle, trippa,
milza e fegato. Fondamentale era che
fossero senza alcuna traccia di sangue
per cui andavano arrostite sulla griglia
prima di essere cucinate. Dagli Archivi
della Comunità Ebraica annotiamo
«Animelle con i ceci, trippe con l’agliata,
lingue salmistrate, milze in padella con
la salvia e l’agresto, creste di pollo con
aceto e cannella». Il trionfo totale degli
esiti di questa cucina si celebra a Palermo, mentre nella Sicilia orientale si deve ricercare e scoprire in ricette quasi
scomparse.
VINCENZO PRESTIGIACOMO
«MORTE D’AUTORE A PALERMO» DI ANTONIO FIASCONARO
ersonaggio complesso, omosessuale, cesellatore di parole e frasi, appassionato
scacchista, con un fiume di denaro che
scorre nella sua famiglia, lo scrittore Raymond Roussel può permettersi tutti i capricci e le
stravaganze di questo mondo, ma è sempre attanagliato da ansie e da senso di soffocamento.
Compie un viaggio in India con la madre e quest’ultima per timore di morire porta con sé una
bara. Nel 1925 Raymond per i suoi spostamenti
si fa costruire a Parigi un camper dall’aspetto funereo, lungo nove metri con all’interno studio,
letto matrimoniale, salotto, cucina, riscaldamento, bagno; e c’è anche lo scompartimento per
mezza dozzina di valigie Louis Vuitton. Ha il
vezzo di indossare soltanto camicie di seta e dopo averle usate due volte le getta. Cammina molto spesso con un bastone animato, un vezzo da
flaneur. Spesso consuma pranzo e cena in un unico pasto: minestra, antipasto, pesce, verdura con
pollo, carni rosse o selvaggina, formaggi, frutta,
pasticceria, caffè, amaro. E chiude con una zuppa. Nell’ultimo viaggio a Palermo ha un portafogli stracolmo di banconote di grosso taglio, pari
a circa 35 mila franchi, e si accompagna a Charlotte Fredez, che riveste il ruolo di amministratrice e di amante. Maschera così la propria omoses-
L’ultima notte di Roussel
P
sualità. Al seguito anche un enigmatico chauffeur
ingaggiato a Parigi.
Ma perché Roussel sceglie Palermo? Le malelingue dicono che la Sicilia è lontana da occhi indiscreti e lo scrittore frequenta soprattutto cocchieri, marinai, giovani che vivono alla giornata
e che sanno ben tenere la bocca chiusa con l’aiuto di qualche banconota da cinquanta o cento lire. Raymond soddisfa i suoi piaceri senza rischiare di annegare nell’incomprensione altrui.
Il primo colpo di scena in «Morte d’autore a Palermo» (Nuova Ipsa Editore) del collega Antonio
Fiasconaro della redazione palermitana del nostro giornale, arriva con il facchino Antonio Kreuz
che rinviene, nella stanza n. 224 del Grand Hotel
et des Palmes di Palermo, il corpo senza vita di
Roussel. Sono le ore 10 di venerdì 14 luglio 1933.
Il cadavere è disteso supino su di un materasso
poggiato a terra, con accanto due guanciali e un
pitale con poca urina. Il direttore Leopoldo Serena avverte immediatamente la questura e sul posto si precipitano il vicecommissario Giuseppe La
IL LIBRO
A fianco la copertina
del volume «Morte
d’autore a Palermo»
e sopra Antonio
Fiasconaro, collega
della redazione
palermitana de
«La Sicilia»
Farina, il maresciallo Zingales e alcuni agenti.
Poco dopo arrivano il pretore Michele Margiotta
e il medico legale Federico Rabboni. Il decesso di
Roussel viene in fretta e furia archiviato nel giro
di alcune ore come «morte naturale, probabilmente legata all’uso dissennato di sonniferi».
Sotto il regime fascista occorre mettere in silenzio tutti i casi spinosi, con polizia e magistratura che alacremente sottostanno alla regola.
Nel lussuoso «Grand Hotel et des Palmes», dove
trovano ospitalità i nomi più famosi dell’arte,
della letteratura e della nobiltà internazionale,
regna lo scompiglio per quella misteriosa morte
che rischia di compromettere la reputazione del
famoso albergo e i già difficili rapporti diplomatici tra l’Italia fascista e la Francia democratica.
Tagliente e critica la scrittura di Antonio Fiasconaro. L’autore scava con pignoleria e conduce le ricerche in stile poliziesco. Mette tessera su
tessera e sin dalle prime pagine più che leggere
un libro sembra di assistere ad un documentario
di Cine Luce in cui il regista si sofferma con la
Ma la ricerca dell’Accademia consente una esperienza straordinaria che può
partire da squisiti tortelli di erbette, nel
contesto della cucina delle erbe, per arrivare nientemeno che a Goffredo di Buglione, agli splendidi affreschi del castello della Manta e alla prima Crociata.
Percorsi impensati e impensabili, per
segreti di monasteri e conventi, risonanti di laudi, come a Bingen, dove Ildegarda componeva mirabili cantie attendeva alla preparazione di salubri erbe, o rintracciabili in un silente refettorio, nel quale la rigidità della regola è
trasmessa in un parco piatto vegetariano, come negli austeri affreschi delle pareti della certosa di Calci, di severa
sobrietà consonante al digiuno anche
quando è la Regina a servire il pranzo ai
monaci, e, per converso, il convento dei
Benedettini dove in falsa astinenza,
monaci voraci digiunano banchettando
con «carizzi di ficatu».
Tutto il «ventre molle» della golosità
traspare da questa cucina degli scarti, e
non ci sorprendiamo della grandissima
popolarità e ancora largo consumo della «regina» di essi, la trippa. La popolare
trippa, viene cantata dal maggior poeta
erotico catanese Miciu Tempio, che fa
augurare al suo emblematico personaggio Mmetta, omumangiuni: «... tutta la
sciara ‘ntrà ‘na botta canciarisi si vulissi
in trippa cotta! ».
Invece perplessi rimaniamo di fronte
alla inusitata cena di Pirandello, nella
quale, proprio il metafisico autore di sofisticati drammi esistenziali, trema di
voluttuosa soddisfazione pregustativa,
al solo guardare la tavola imbandita per
il Natale: ”Ora il pranzo, era lì, pronto fin
dalla vigilia,.. una pallida porchetta illaurata, … sette lepri scojati, tordi, tacchini,
abbacchio; trippa e cute affettate; piedi
di bue in gelatina... ”
E chi direbbe ancora che dall’austera
solitudine del convento degli Olivetani
sia sortita quella preparazione di trippa
“all’olivetana”, tripudio di masticazione
tattile frammista a profumato, scorrevole unto? Ma proprio questo è il paradosso di questo tipo di cibo, “estàsi” fra
fame e voracità.
macchina da presa sui particolari della tragedia.
Il dramma si consuma mentre la città è in fermento per i festeggiamenti in onore di Santa
Rosalia, venerata dai palermitani per il miracoloso prodigio della sconfitta della peste, e mentre
si onora con orgoglio del tempo la “trasvolata
oceanica” di Italo Balbo. L’idillio del regime con
Palermo è cementato. I giovani seguono nelle parate fasciste i padri con fiammanti divise. Loro sono i figli della Lupa. E nei ragazzi l’idea del volo in
aeroplano si materializza mettendo in fila vecchie sedie a forma di croce. L’abitacolo di guida è
una cassa di legno. Ai giovani la fantasia non
manca. E stando rannicchiati sognano di emulare Italo Balbo. Nel passato scrittori (Leonardo
Sciascia) e giornalisti (Mauro De Mauro) hanno
provato a trovare la chiave giusta per dipanare le
trame di questo ennesimo mistero palermitano.
Con «Morte d’autore a Palermo», grazie a ricerche
capillari svolte in Italia e in Francia, si vuole ancora una volta entrare nel cuore di questa vicenda, portare alla luce le inadempienze, le omissioni e la superficialità con cui è stato archiviato il
caso, per arrivare finalmente a dare una verità il
più possibile vicina a quella della morte di Raymond Roussel, scrittore surrealista, personaggio
eccentrico, uomo ambiguo che ha lasciato dietro
di se una scia di affascinanti misteri. I dettagli
della sua fine si scoprono nella narrazione.