M. Nostro - Diritto alla vita, consenso informato e accanimento

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M. Nostro - Diritto alla vita, consenso informato e accanimento
Dott.ssa NOSTRO MANUELA
DIRITTO ALLA VITA, CONSENSO INFORMATO E ACCANIMENTO TERAPEUTICO: UNA
RIFLESSIONE ALLA LUCE DELL’ATTUALE PANORAMA NORMATIVO.
sommario :
Rilievi introduttivi sulla nozione di “diritto alla vita”; 2. Alcune riflessioni intorno al
significato ed all’uso delle locuzioni “consenso informato”, “accanimento terapeutico” e
“testamento biologico”; 3. L’attuale panorama normativo in Italia e quello che sta
intervenendo; 4. La legislazione europea ed internazionale sull’argomento; 5. Conclusioni
“di fronte alla vita il pensiero (…) si dissolve”.
F. HEGEL – Logica e metafisica - Jena
1
Rilievi introduttivi sulla nozione di “diritto alla vita”;
L’uomo ogni qual volta è chiamato a definire e cercare di dare un contenuto oggettivo al bene ed al conseguente diritto
alla “vita”, riscopre la propria piccolezza, la limitatezza dei mezzi razionali o giuridici su cui poter contare e, pure, non
ultimo, esprime un certo impaccio a motivo del fatto che l’argomento, spesso ovviamente simultaneo a quello della
morte, è sempre stato appannaggio della cultura religiosa e metafisica, non ritrovandosi tradizionalmente in quella
giuridica.
Regolarmente, poi, nell’approccio all’argomento, tale tipo d’atteggiamento porta ciascuno di noi ad introdurre nelle
riflessioni e valutazioni personali intrise di fattori etici, piuttosto che religiosi, sociali o addirittura politici così
trasformando la analisi in una sorta di traduzione simultanea e di mescolanza, non voluta, tra concetti e nozioni sussunte
da diverse discipline o materie, razionali ed irrazionali insieme.
Il tema, appunto, assai delicato, è però diventato decisamente attuale, specialmente in Italia, a seguito del clamore di
alcuni casi di coscienza ed del contemporaneo intervento della magistratura, che hanno posto alla attenzione della
cronaca, per lungo tempo, la problematica del diritto alla vita e la possibilità della sua interruzione in concomitanza con
stati vegetativi di livello irreversibile.
Tali eventi hanno fatto emergere, come, nel nostro ordinamento, al contrario di quello che avviene negli ordinamenti di
molti altri paesi europei: sono, al momento, assenti disposizioni che disciplinino tali circostanze e comunque affrontino
la fase di “fine vita” con norme che conducano ad un livello di moderna regolamentazione della fase del trapasso1.
Tale assenza però appare motivata dalla circostanza che anche a livello costituzionale non esiste una puntuale ed
esplicita enucleazione del diritto alla vita sia quale diritto autonomo, che quale diritto facilmente enucleabile di per sé
da dettami o principi preliminari o preminenti; tale manchevolezza non facilita il travaglio verso una normativa per la
regolamentazione completa di tutte le contingenze e le casistiche in cui può ritrovarsi l’esigenza di salvaguardia di quel
diritto.
Né, invero, può rinvenirsi conforto nel panorama europeo ed internazionale ove le enunciazioni normative risultano
decisamente differenziate, ed in alcuni casi abbastanza ondivaghe, e comunque sicuramente, manchevoli di un quadro
nitido e comune2.
1
In Italia il diritto alla vita può facilmente ritrovarsi nel risalto che la normativa penale pone, per esempio, nel regolare come fatto
illecito il suicidio; il proposito suicida non è riscontrabile nel caso della eutanasia e, quindi, in quest’ultimo caso si avrebbe quel
raffronto tra diritto alla vita e diritto ad una morte dignitosa che in sostanza verrebbe a giustificare secondo i fautori della eutanasia la
necessità di regolamentarne l’occorrenza.
2
E’ opportuno qui, in fase introduttiva, riservandoci di farne argomento di trattazione approfondita nel successivo par. 4, dare una
breve sintesi della situazione legislativa che si ritrova in alcuni Paesi Europei :
REGNO UNITO: la materia è disciplinata dal Mental Capacity Act, approvato nell’aprile del 2005. Tale documento regolamenta
l’istituto delle dichiarazioni anticipate di volontà e le situazioni relative ai trattamenti sanitari per i soggetti incapaci di prendere
decisioni in modo autonomo.
SPAGNA: la disciplina è regolamentata dalla ley 41 del 2002 entrata in vigore il 2003: “Legge sui diritti dei pazienti”. Essendo la
materia già disciplinata dalla legislazione locale in diverse Comunità Autonome, la legge statale si limita a definire una norma quadro
a livello nazionale. In particolare vengono regolamentati i temi relativi al consenso informato, al diritto ad accettare o rifiutare un
trattamento, ma anche alla possibilità di definire in anticipo la decisione rispetto a un trattamento sanitario futuro (le istruzioni
preventive).
DANIMARCA: con una legge sul “living will” è stata istituita un'apposita “Banca dati elettronica”, che custodisce le direttive
anticipate presentate dai cittadini.
Tale insufficienza è, parimenti, dovuta anche alla costante e rapida evoluzione medico-scientifica degli ultimi decenni;
l’evidente procedere, assai dinamico ed innovativo, della scienza pone, giorno dopo giorno, l’opinione pubblica, i
professionisti, il legislatore, nonché la dottrina, innanzi ad un inarrestabile susseguirsi di fattispecie e di ipotesi assai
diverse da analizzare, studiare e da disciplinare.
Di modo ché, mentre la dottrina e la giurisprudenza rinvengono il diritto alla vita come cristallizzato ed enucleabile dal
dettato dell’art. 2 della Costituzione3, oggi, esso evolvendosi nel dinamismo delle situazioni, sembra prestarsi a
molteplici specificazioni ed, a volte, a contrastanti interpretazioni e significati.
Così, pur collocato dalla dottrina, all’apice della gerarchia dei valori costituzionali, tale diritto viene semplicemente
anteposto ed addirittura sottinteso: come conditio sine qua non per l’esercizio di ogni altro diritto e libertà, fondamentali
o costituzionalmente garantiti4, non potendo comunque fare assegnamento su un proprio corpus di norme apposite.
Invero di primo acchito, proprio per le ragioni anteposte alla nostra disamina, sembrerebbe che i nostri giuristi abbiano
preferito riconoscere alla locuzione “diritto alla vita” una essenza ed un significato di tipo empirico o socioprogrammatico nel senso che è diritto alla vita quel diritto personale a poter decidere di proseguire la propria esistenza
sin tanto che ognuno lo voglia5.
Perciò, secondo alcuni, tra le prerogative del diritto alla vita, si potrebbe riconoscere, persino, il libero arbitrio di
scegliere se vivere la propria esistenza o se non viverla, anche al di là ed indifferentemente se essa sia o meno
caratterizzata dal dolore e dalla sofferenza.
Invero, il tutto dovrebbe leggersi all’interno della innegabile correlazione esistente tra il concetto di “diritto alla vita” e
quello di “dovere alla vita”. Mentre il primo porterebbe il soggetto singolo a poter disporre della propria possibilità
d’esistere e conseguentemente di poter disporre del momento della propria morte, l’altra locuzione serve a
ridimensionare il primo perché oppone l’interesse chiaro della società a mantenere fino in ultimo l’esistenza di tutti i
suoi componenti e degli esseri viventi che la compongano per non disperdere il patrimonio genetico di ognuno ed
ancora maggiormente per non distruggere l’energia che ogni membro della società porta con sé.
In altri termini, la lettura dell’art. 2 Cost., e l’interpretazione esaustiva del suo dettato, sancirebbe esclusivamente e
pienamente il rispetto della persona umana, nella sua essenza ed esistenza, e ciò contro ogni e qualsiasi volontà e,
quindi, pur anche contro il medesimo soggetto nell’interesse del quale essa è rivolta che, eventualmente, ne volesse
scalfire la portata e la intangibilità6.
Il tutto deve essere integrato e letto con la convinzione che, il legislatore costituzionale, non ha dimenticato di integrare
il proprio dettato completando la disciplina predestinata al diritto alla vita proprio a mezzo dell’art. 32 che norma
intorno al diritto alla salute limitando comunque l’invasività delle cure alla riserva di legge.
Ma la Costituzione non si limita a riservare alla legge ogni incisione alla integrità e volontà della persona umana, avuto
riguardo ai trattamenti sanitari, d’ogni sorta e quindi anche quelli di sicura valenza favorevole al destinatario, ma pone
in interrelazione ed opposizione il diritto alla salute con i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il dettato
intende qui, limitare e disegnare la legge volta a regolamentare gli interventi sanitari nel tracciato disposto dal rispetto
della persona umana. Ogni intervento sperimentale, temerario ed eccessivo, e che pertanto, sconfina oltre i consolidati
canoni della dignità, decenza, moralità e rispettabilità della persona, nella sua essenza fisica o psichica, deve essere
considerato illegittimo.
Gli esempi offerti dalla cronaca recente più recente si presentano assai vari e comunque dissimili; ne costituiscono casi
emblematici l'ipotesi del credente che rifiuta la trasfusione di sangue o del paziente in coma irreversibile, tenuto in vita
in stato vegetativo per anni ed anni.
Il personale medico e, in determinati casi, la stessa autorità giudiziaria si sono schierati o sono stati chiamati
pubblicamente ad operare con trattamenti sanitari o mediante decisioni giudiziarie sia, alcuni casi, nell’obiettivo del
mantenimento in vita del paziente a tutti i costi e senza limiti, sia, in altri casi, con l’obiettivo di interrompere o non
somministrare trattamenti inutili, addirittura non voluti dal paziente, e che mirino a mantenere il paziente nello stato di
malattia di cui è conclamata l’irreversibilità 7.
3
l’art.2 della Costituzione italiana sancisce che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità»; con tale dichiarazione, decisamente ampia e per certi versi assai generalizzante, si riconosce al
Legislatore Costituzionale l’idea ch’Egli abbia voluto apprestare una tutela integrale alla persona e pertanto, con la stessa, abbia fornito una piena
garanzia al diritto inviolabile dell’uomo alla vita.
4
Di conseguenza, una volta ricondotto il “diritto alla vita” a tale norma (art.2 Cost.), esso ricoprirebbe il gradino più alto del nostro ordine
costituzionale e pertanto, secondo tale principio, prevarrebbe rispetto a qualsiasi legge ordinaria.
5
Tale interpretazione del diritto, assai vasto e garantista, condurrebbe alla legittimità del suicidio e dell’eutanasia. Ovviamente come può intuirsi tali
dilatazioni del concetto recano con sé, oltre che un acceso dibattito di tipo etico e religioso, alcune limitazioni per via della antitetica allocuzione di
“dovere alla vita”; tale ultimo sintagma propone, in opposizione alla esegesi di tipo letterale, al diritto a gestire liberamente il proprio esistere
l’interesse sociale e, quindi , dello Stato, a salvaguardare con ogni mezzo e fino all’ultimo, la vita dei propri componenti, come bene assoluto
indisponibile e, quindi, tuttavia ed eventualmente pur in contrasto con le loro decisioni.
6
Per altro, vediamo come altrove, la stessa Costituzione riaffermi i dettami esposti, per larghe linee, con l’art. 2, grazie al dettato dell’art. 32 che
sentenzia che "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
7
Grande clamore hanno suscitato diversi casi eclatanti di soggetti che erano mantenuti in vita tramite delle strumentazioni sanitarie che davano loro
l’ossigeno, l’acqua o il cibo che essi non potevano assumere in autonomia; per tali soggetti la cosa estrema e che dava scalpore era la circostanza che i
detti soggetti erano molti lustri che venivano curati e tenuti in vita semplicemente grazie a macchinari che facevano loro assimilare le proteine e
Ai fini del presente lavoro, anche nell’intento di portare un contributo all’approfondito dibattito di questi ultimi tempi si
svilupperà l’indagine, in primo luogo, definendo cosa si può intendere per consenso informato e quale normativa sia
stata apprestata, successivamente si affronterà il tema dell’accanimento terapeutico in genere ; in prosieguo verrà
affrontata la proposta di legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT), comunemente definito “testamento
biologico”, proposta che ancora si trova al vaglio delle Camere e che, indirettamente, ripropone il problema della libertà
di autodeterminazione del singolo sulla propria vita e quello dei limiti che l’ordinamento deve darsi ai fini del
prolungamento delle volontà del soggetto anche nel caso ch’egli sia impedito a legittimamente enunciarle.
In ultimo, si confronterà la normativa vigente in alcuni Paesi Europei (Belgio, Francia, Germania) che hanno operato
scelte tra loro assai divergenti, per poi concludere con una breve riflessione intorno a quali opportunità giuridiche siano
presenti nel panorama internazionale sulla DAT e quale scelta sia più opportuna per il nostro Paese .
2
2.1
Alcune riflessioni intorno al significato ed all’uso delle locuzioni
terapeutico” e “testamento biologico” 8;
“consenso informato”, “accanimento
il consenso informato
Subito dopo la seconda guerra mondiale, a seguito delle gravissime violazioni dei diritti umani prodotte dalla follia
nazista, ed in particolar modo a motivo dell’utilizzo nei campi di concentramento dei deportati quali oggetto di presunte
sperimentazioni mediche spesso molto più prossime alla tortura che non alla effettiva ricerca sanitaria, le potenze
vincitrici reputarono opportuno intervenire con forza su un argomento che appariva lontano dalle regolamentazioni
territoriali o dalla delimitazione degli influssi geo-politici che normalmente sono principale oggetto degli accordi post
bellici; Esse, infatti, con il codice di Norimberga vollero porre stringenti limiti alla invasività delle attività mediche
reclamando distintamente la obbligatorietà del consenso del malato alle cure o sperimentazioni sullo stesso effettuate,
nonché ribadendo che deve rinvenirsi l’assoluta volontarietà della partecipazione dei soggetti in ogni esperimento
medico 9.
necessarie. Per tutti e tre i casi più estremi la medicina e la giustizia, alla fine, permisero la conclusione dell’esistenza di quei tre morenti, ma dopo un
grave e straziante dibattito.
8
Deve intendersi per “consenso informato” la manifestazione di accettazione espressa da parte del paziente, il quale ultimo risulti informato in modo
intelligibile e completo circa l’essenza e la consistenza degli interventi o trattamenti medici a cui il sanitario si predispone a sottoporlo e circa le
possibili conseguenze e rischi che il percorso terapeutico proposto possa comportare.
Tale espressione di volontà si è, nel corso del tempo, potuto differenziare secondo il momento ed il luogo ove se n’è manifestata l’esigenza. Difatti
può verificarsi una differente condizione di status della persona umana tra quella consistente nella pura e precisa decisione di volontà a sottoporsi, per
esempio, a nuove cure o nuove sperimentazioni in assenza di malattie specifiche semplicemente per convinta decisione partecipativa a processi
innovativi, ovvero il caso contrario quando in presenza di malattie debilitanti o invalidanti che incidono sul livello di dignità della conduzione di una
vita normale, il paziente si sottopone a sperimentazioni o cure che presagiscono o promettono benefici alla propria condizione di salute. Ed ancora,
pare a noi differente, il caso di quelle persone la cui condizione di salute prospetta, oggettivamente, stadi di fine vita o situazioni di stato vegetativo
irreversibile. In quest’ultimi casi decisioni espresse da parte del soggetto sottoposto a trattamenti appaiono per un verso, cioè per l’interpretazione
giuridico-etica che privilegia l’interesse collettivo della conservazione, decisamente superflui o inutili mentre, di contro, per l’interpretazione che
vuole il prevalere sempre della volontà del soggetto sull’interesse della società, esse devono essere assolutamente richieste e presenti.
Peculiare è pure il caso della impossibilità da parte del soggetto a poter razionalmente esprimere il proprio volere per via della stessa presenza
impeditiva della malattia a cui egli soggiace e che gli toglie l’autonomia di giudizio. Tali casi sono quelli a cui ci si richiama con l’insieme di norme e
le elaborazioni che andremo ad indagare intorno al cosiddetto “testamento bilologico” che la giurisprudenza inglese ha denominato di “living will”;
Diversissimo ovviamente è pure il caso in cui i soggetti dei trattamenti si presentino in condizione di completa soggezione al ricercatore o presunto
tale; ci riferiamo ovviamente a quei casi presentati dalla recente storia di trattamenti medici in stato di prigionia o di asservimento del soggetto
sottoposto a cure; sono questi i casi a cui ci si riferiva prima commentando il Codice di Norimberga ; in tali casi il consenso non solo non viene
richiesto, ma la sua assenza è chiara evidenza dell’atto atroce e disumano a cui è sottoposto il paziente.
Il consenso informato è divenuto con il tempo un momento sempre più importante nel rapporto che il medico tiene con il paziente. Esso diventa
essenziale per estrinsecare la fiducia del paziente sul medico ed anche nel formalizzarla e cristallizzarla in un atto scritto. Inoltre il momento del
consenso informato segna l’avvio per il terapeuta della sua responsabilità nonché della definizione del percorso terapeutico e della sua esplicitazione
al paziente;
tale appare, inoltre, come l’effetto dello scrupolo del legislatore di permettere al medico uno stop di riflessione e di rivalutazione delle ragioni e della
fondatezza del percorso terapeutico individuato.
Ma il consenso informato è però anche una chiara evidenziazione del diritto del cittadino di autodeterminazione sul proprio stato di salute e circa il
proprio limite al diritto alla vita. difatti, è importante qui che si introduca il portato dell’art. 13 della Costituzione; con questo art. si afferma, in modo
esemplare, che “la libertà personale è inviolabile”; anche il consenso informato, ovviamente, sarebbe parte di quella libertà personale, che proprio
perché inviolabile, consente al soggetto una salvaguardia nel momento in cui egli accidentalmente si trova ad essere in stato di palese psicosoggezione; ed invero tale diritto di salvaguardia regola, stabilendo un limite invalicabile, l’azione di quei soggetti che per professione dovrebbero
essere esentati da ogni preliminare giudizio perché, per vocazione, dovrebbero considerarsi assolutamente dedicati all’altruismo e all’opera di sollievo
delle sofferenze fisiche altrui.
Ancora ulteriori spunti di riflessione potrebbero condurci alla rilevazione che il diritto al consenso informato deve essere inteso quale diritto del
soggetto paziente ad avere una informazione sul proprio stato e sulle procedure medico-sanitarie che si intendono intraprendere, sui rischi che le
stesse comportano e sulle conseguenze che le stesse possono apportare nel prosieguo sulle proprie condizioni di vita.
9
Il consenso informato ebbe la sua prima formale consacrazione giuridica nel 1946. In effetti, fu con le dieci norme del Codice di Norimberga, stilato
dal Tribunale per i crimini di guerra, appunto di Norimberga, al termine del processo ai dottori (il cosiddetto Doctors' Trials), con i giudizi del quale
si tentò di rendere giustizia alle vittime delle ricerche naziste durante la Seconda Guerra Mondiale. Con i dettami del Codice si tentò di definire, in
prima approssimazione, una linea di demarcazione netta tra sperimentazione lecita e tortura : La sperimentazione lecita avviene quando il soggetto ha
volontariamente fornito il proprio consenso ad esservi sottoposto mentre diviene tortura ogni altro caso. Nel caso di consenso veniva chiarito che il
paziente doveva preliminarmente informato circa tre particolarità o elementi del trattamento : 1) la sua durata ; 2) i suoi limiti funzionali; 3) le
conseguenze ed i rischi per la propria salute.
Fino a prima della detta cristallizzazione di norme, era ampiamente diffusa la convinzione che nel campo della pratica
medica ordinaria, l’opera del medico potesse trarre parimenti la sua legittimazione, non solamente dalla effettiva
volontà del paziente, ma anche da altre contingenze peculiari che ne fornivano la piena giustificazione; sicché, per
esempio, ove l’attività sanitaria da allestire, sebbene sperimentale o innovativa, fosse stata costituita da un insieme di
pratiche collaudate e sicure per il paziente ed esistesse, un inoppugnabile ed indiscutibile interesse del medesimo ad
adottarla, stante il suo stato di salute, l’attività di sperimentazione poteva essere autonomamente decisa dal medico
proprio per via delle proprie conoscenze scientifiche che ne facevano un agente la cui attività doveva essere considerata
legittima.
La pratica lasciava, fino ad allora, al medico, inteso nel suo ruolo positivo di sperimentatore e di innovatore nonché di
soggetto che, per via del proprio giuramento di Ippocrate, aveva legato la sua attività a vincoli etici e di
responsabilizzazione assolutamente incriticabili, la valutazione del caso per caso, lasciando la volontà del malato in
secondo ordine.
Il soggetto paziente si vedeva trasformato in oggetto della pratica sanitaria; questa risultava legittimata e convalidata
dalla univoca ipotizzata o presunta intenzione di operare nell’interesse e per il benessere del medesimo paziente; di
modo ché, quest’ultimo si veniva a ritrovare, nell’operazione, alla stregua di un bene oggettivo ovvero più
semplicemente, diveniva destinatario immediato e diretto dell’attività di sperimentazione; quest’ultima però, sebbene si
presentasse come rischiosa per il medesimo paziente, riceveva successiva legittimazione e valore, per il fatto ch’era
sostenuta da un’intenzione di ricerca od innovativa : essa aveva un obiettivo prioritario e, comunque, mediato rispetto a
quello di sanare il malato, cioè quello della elevazione definitiva delle cure e delle conoscenze.
Nel 1964 la World Medical Association (WMA) stabilì, con la Dichiarazione di Helsinki10, un ulteriore più stringente
limite che aveva però valore solo in caso di conflitto; secondo questo dettame ogni attività di sperimentazione sanitaria,
doveva prevedere che il bene del singolo fosse prevalente in rapporto al bene arrecato all’intera comunità grazie al
successivo progresso scientifico o tecnologico.
Già, pertanto, nel ventennio che segue il Codice di Norimberga, le intuizioni e determinazioni di quel tribunale
subiscono delle modifiche importanti che paiono stravolgere l’ottica con cui vengono analizzate le sperimentazioni
mediche ed il loro portato; difatti, mentre nel 1946 venne adottato il criterio che privilegiava la valutazione chiaramente
centrata sul volere del paziente, con le dichiarazioni successive, a partire da quella di Helsinki, si comincia ad introdurre
un punto di vista che, allontanandosi dalla strenua tutela dell’uomo nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali,
ritrova nella ricerca e nell’opera proba del ricercatore una (nuova) fonte di legittimazione per i trattamenti sperimentali;
ai fini dell’individuazione di codesto nuovo profilo la dottrina internazionale dell’epoca, ebbe a definire tale fattispecie
medico-giuridica con la locuzione “proxy consent”11 .
Quindi con la Dichiarazione di Helsinki, in precedenza di Ginevra12, che può essere considerata come il punto di
partenza per la ricerca biomedica, nel ribadire il principio del consenso informato, viene posto per la prima volta in luce
il conflitto tra l’interesse collettivo ai risultati della ricerca e i rischi corsi da chi vi si sottopone13.
L’affermazione del Codice di Norimberga ebbe un palese duplice significato: il primo fu quello di fissare un chiaro argine etico-giuridico contro gli
abusi della sperimentazione così come avvenuti nei campi di sterminio nazisti, il secondo, quello di definire ciò che deve intendersi vera pratica
sperimentale e ciò che si deve intendere terapia. Tale ultima differenza è abbastanza importante anche se ai fini della nostra ricerca non comporta
grandi variazioni circa la forma di stesura e di raccolta del consenso informato.
10
Tale dichiarazione fu adottata nella diciottesima Assemblea Generale della World Medical Association (WMA), tenutasi nel giugno del 1964 ad
Helsinki in Finlandia; essa fu oggetto di numerose revisioni e venne ad integrarsi nella cosiddetta precedente dichiarazione di Ginevra;
11
Proxy consent è il termine inglese che individua sostanzialmente la fattispecie giuridica della sostituzione del consenso e che in Italia viene
denominata di “testamento biologico”; per la verità la pura e semplice traduzione della locuzione porterebbe ad un significato in Italia molto più
parziale e limitato; difatti, consenso prossimo dovrebbe essere quello esclusivamente concesso e delegato naturalmente ad un parente che si incarica
della cura degli interessi del malato quando questi non è nelle condizioni di giudizio e di valutazione, per motivi di minore età ovvero per handicap,
circa le conseguenze della terapia. Uno di questi casi è rappresentato appunto dal consenso delegato, perché giuridicamente spettante, ai genitori per i
figli minorenni od handicappati. Questo caso non potrebbe essere chiamato del “testamento biologico”, in quanto tale espressione deve essere meglio
usata per il consenso attribuito in via sostitutiva a persona che è delegata ad esercitarlo nella contingenza che il paziente in proprio non possa
razionalmente e coscientemente esplicitarlo. Proxy consent è, quindi, il termine giuridico inglese con cui si conferisce efficacia al trasferimento del
consenso informato dal paziente inabilitato od incapace ad un'altra persona. Cfr. Mazur O.P., Informed Consent, Proxy Consent, and Catholic
Bioethics - Grzegorz - 1a Edizione, n.2012, XV, p. 241 .
12
La dichiarazione di Ginevra fu adottata dalla assemblea della Associazione Medica Mondiale a Ginevra nel 1948 e fu rettificata ed integrata in più
riprese fino al 2006. La dichiarazione di Ginevra non è altro che un rifacimento moderno del "giuramento di Ippocrate". Essa prevede, attualmente ed
a seguito delle numerose revisioni, i seguenti giuramenti per i medici :
 Mi impegno solennemente a consacrare la mia vita al servizio della umanità:
 Darò ai miei insegnanti il rispetto e la gratitudine che gli è dovuta;
 Svolgerò la mia professione con coscienza e dignità;
 La salute e la vita dei miei pazienti saranno le mie prime preoccupazioni;
 Rispetterò i segreti che mi sono confidati, anche dopo la morte del paziente;
 Manterrò per tutto ciò che è in mio potere, l'onore e la nobile tradizione della professione medica;
 I miei colleghi saranno i miei fratelli;
 Non permetterò che considerazioni su età, malattia o disabilità, credo, origine etnica, sesso, nazionalità, affiliazione politica, razza,
orientamento sessuale, stato sociale, ed ogni altro fattore, interferiscano tra il mio dovere ed i miei pazienti;
 Manterrò il massimo rispetto per la vita umana;
 Non userò la conoscenza medica per violare i diritti umani e le libertà civili, anche sotto minaccia;
 Ho fatto questa promessa solennemente, liberamente e sotto il mio onore.
Stabilito, quindi, che con la locuzione “consenso informato” si intende una procedura per la quale, pervenuta la
consapevolezza del paziente circa la effettiva propria condizione di salute, egli in autonomia14 assente, con consenso
scritto, a sottoporsi alle necessarie attività diagnostiche nonché alla terapia scelta dal medico curante, ciò porta come
conseguenza naturale, che la perfetta espressione del consenso informato presagisce una procedura che rivendica
preliminari conoscenze biomediche o informative epidemiologiche obbligatoriamente fornite al paziente. Tale
preliminare fase conoscitiva, ovviamente diviene superflua ove si è in presenza di semplici singoli attui di prelievo di
campioni biologici o di dati personali15. Diverso è il caso in cui ci si ritrova innanzi a pratiche mediche rischiose ed
invasive o in cui si intende incidere sulla integrità psico-fisica della persona; in questi ultimi casi è pienamente e
generalmente avvertita la necessità di una raccolta, anteriore all’inizio della terapia, del consenso del paziente16 dopo
aver proceduto ad informarlo correttamente su tutto ciò che attiene alla procedura terapeutica in approntamento.
Nella fase prodromica alla raccolta del consenso gioca un fattore importante la liceità del trattamento sanitario; nessuno,
proprio nel rispetto della inviolabilità della persona umana, può essere obbligato a subire alcun trattamento terapeutico
od ancora sperimentale, se addirittura non sia dimostrato che detti interventi posseggano la caratteristica della liceità.
Nessuno, poi, può essere sottoposto a procedure mediche senza il proprio assenso, salvo che non si sia in casi
eccezionali ed espressamente regolamentati dalla legge.
Un caso può essere quello della urgenza ed emergenza per via dell’immanente pericolo di vita per la persona bisognosa
del trattamento17; una analisi degli elementi approfondita è stata proposta dall’A.N.M.D.O. (Associazione Nazionale
13
In questo senso risulta pregiudiziale la stima di validità e legittimità dei trattamenti per il tramite del criterio di bilanciamento tra i rischi che ne
derivano (soprattutto corsi dal soggetto che si sottopone nonché dall’ambiente esterno e anche dagli animali che risultano essere utilizzati quali cavie)
ed i benefici che ci si aspetta ovvero a cui è preordinata la ricerca. È chiaramente evidente come l’introduzione del principio, che noi definiamo, di
“bilanciamento valutativo” voluto dalla WMA, per la comunità scientifica rappresentava un nuovo argomento di confronto e di esame volto a
preliminarmente delimitare i vincoli e paletti entro cui indirizzare le proprie ricerche ai fini della loro legittimità e verifica di proficuità. I ricercatori,
in effetti, si trovavano a dovere, in via pregiudiziale, dare contezza, non semplicemente della moralità delle proprie ricerche per quanto attiene il
livello e l’accettabilità etica delle finalità a cui esse erano preordinate, ma dovevano fornire una giustificazione della positività tra la sommatoria dei
rischi da correre per l’oggetto della ricerca e la somma di benefici cui si tende con la sua realizzazione. Maggiore puntualità definitoria si ebbe
successivamente con il cosiddetto Belmont Report (cfr. Raccolta dei principali documenti internazionali sui principi etici della ricerca e dei
principali documenti legislativi degli Stati Uniti e della Comunità Europea sulla bioetica, Scuderi G. Ed., Istituto superiore di Sanità, Roma, 1998,
Serie Relazioni, 98/5) nel corso del 1979; tale documento, redatto dalla autorità federale statunitense, ha rappresentato un punto fermo nella
valutazione di tipo etico delle ricerche mediche. In effetti esso, analizzando il contesto, rilevava tre condizioni con cui si poteva attribuire eticità alla
ricerca scientifica o al trattamento medico posto in essere su soggetti umani :
• L’ossequio alla regola del rispetto della persona umana esige che i soggetti in studio o sottoposti a trattamento medico possano, in completa e
cosciente autonomia, esprimere la propria scelta ed il proprio giudizio, ed ove i detti soggetti non siano in grado di esprimerli per inabilità essi ed i
loro interessi siano tutelati e protetti con la presenza di terze persone chiamate alla bisogna;
• Sia rilevabile l’esistenza di un bilancio positivo tra il complesso dei benefici potenziali e la sommatoria dei rischi dipendenti dalla ricerca;
• Risulti rispettato un criterio garantista di equità nel reclutamento dei soggetti sottoposti a trattamento : debbano in sostanza gli individui essere
appartenenti a diversi gruppi della popolazione e non già essere scelti solo in un gruppo.
Tra le dette condizioni, il documento formalmente non definiva una gerarchia di importanza, ma la semplice riflessione sulla consistenza dei tre
principi pone il grado di importanza nell’ordine della loro proposizione. Difatti il primo principio, cioè quello del rispetto della persona umana risulta
preminente sugli altri anche perché sostanzialmente legato al correlativo diritto legale di autodeterminazione. Tale preminenza ebbe palese
considerazione nella formulazione della reale legislazione in argomento di gran parte delle nazioni occidentali.
14
Alcuni studiosi interpretano come essenziale e pregiudiziale caratteristica, avuto riguardo alla validità e perfezione della manifestazione del
consenso, che l’esercizio dell’autonomia da parte del soggetto venga reclamato solamente nel caso di rischi personali. Cfr. US Department of Health
and Human Services, National Institute of Health, Office for Protection from Research Risks. 1974. Protection of Human Subjects. Code of Federal
Regulations. Title 45: Public Welfare, Part 46. Federal Register vol. 30, May 30, 1974. p. 18914. Una interpretazione più letterale circa il significato
di autonomia, quale elemento sostanziale del consenso, vede l’autonomia come caratteristica tipizzante tra la sensibilità e gli aspetti caratteriali o
comportamentali del soggetto sottoposto alla terapia e quelle caratteristiche elementari della ricerca (durata, rischio, beneficio per il soggetto, ricadute
perpetue e temporanee, possibilità di riuscita e simili);
una ulteriore specifica interpretazione del grado di autonomia necessaria all’atto di consenso è quella preferita dai bioeticisti; questa interpretazione
ipotizza che il paziente possa godere dell’autonomia promanante dalla stessa essenza dell’uomo; egli grazie alla propria autodeterminazione, che
costituisce una caratterizzazione della dignità umana, anche in caso di assenza di ricadute personali nelle terapie subite, ha diritto a partecipare
all’indagine prodromica ed a quella di consapevolezza su tutti gli aspetti rilevanti del trattamento; Cfr. Levine RJ. Consent issues in human research.
In : Enciclopedia of bioethics. (revised edition). Reich WT (Ed.). New York: Simon & Schuster-Macmillan; 1995. vol. II, p. 1241-1250,
15
L’art 19 del Decreto 15 gennaio 1991 del Ministero della Sanità in attuazione della Legge del 4 maggio 1990 n. 107 definisce le trasfusioni come
pratiche terapeutiche rischiose per le quali è necessario il consenso informato del ricevente.
16
SILVERMAN W.A, ALTMAN D.G, Patientes’preferences and randomised trials, Lancet , 1996, p. 171-174;
17
nell’attività medica ci si trova innanzi a trattamenti sanitari il più delle volte per l’assistito di tipo irrevocabile; cioè a dire una volta iniziati il
paziente non potrà più tornare indietro. Tali contingenze di irrevocabilità complica le decisioni dei medici e li fa divenire assai più dubbiosi sulle
prognosi. Nelle ipotesi, poi, in cui l’assistito non è nelle condizioni di esprimere il proprio consenso, in circostanza di emergenza e di urgenza, sarà il
medico a doversi assumersi ogni responsabilità sulle strade da prendere e sulle attività terapeutiche da intraprendere. Il medico, in tali, contingenze
non dovrebbe essere punibile; infatti, l’art. 54 del C.P. ed il Codice Deontologico con gli articoli 7 e 35, prevedono che nei casi di urgenza ed
emergenza il medico è tenuto a privilegiare il benessere del paziente ed ad operare anche in assenza di eventuali espressioni di consenso. Si da il testo
dell’art. 54 del C. P. per averne contezza : Art. 54 - Stato di necessità“Non e’ punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimentievitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione
non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se
lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a
commetterlo”.
Medici Direzione Ospedalieri) che ha individuato una casistica da considerare esaustiva delle condizioni e degli
elementi con cui deve essere predisposto e raccolto il consenso informato18.
Possono individuarsi alcune interpretazioni del diritto al consenso informato all’interno dei canoni costituzionali :
a) la prima interpretazione vede il diritto al consenso quale diritto della personalità al pari degli altri diritti fondamentali
dell'individuo di cui all’art.2 Cost.; esso è quindi personale ed inviolabile19.
b) la seconda visione lo inquadra quale diritto virtualmente facente parte della grande tipologia dei diritti della
personalità, ma esso, al contrario di tutti gli altri, è però disponibile 20.
L’accordo insito nel contratto di prestazione medica, ove fosse viziato dalla mancanza del consenso, che per altro
presuppone21 una corretta informazione, incorrerebbe nella censura di cui al dettato degli artt. 1427 e segg. c. c.22.
Tale difetto è sostanziale, però mentre la giurisprudenza23 si è presentata ondivaga nel definirlo; in una prima fase,
infatti, l’ha inteso quale presupposto da perfezionarsi in fase precontrattuale24, successivamente, ed oggi oramai in
modo consolidato, lo interpreta quale condizione contrattuale25; di contro la dottrina, sin dall’inizio, l’ha considerato
quale dovere gravante sul medico e facente parte della stessa natura della prestazione sanitaria contrattualmente
accettata26. Difatti, risulta chiaro che ogni eventuale deficienza dell’informativa o di raccolta del consenso27 dovrebbe
comportare il diritto al risarcimento del danno per il paziente e l’obbligo conseguente in capo al medico28.
18
Nel 2000 il Direttivo e l’Assemblea dell’A.N.M.D.O. della Regione Lazio ha rilasciato uno studio approfondito con cui ha stabilito quali requisiti
devono essere presenti per far si che il consenso sia considerato valido.
19
Questa prima definizione del diritto al consenso informato quale diritto fondamentale dell'individuo può essere ritrovato anche nella legislazione
derivata dalle direttive comunitarie. Difatti, la legge 30 luglio 1998, n. 281, che è preposta a regolare i rapporti ed i reciproci diritti dei
consumatori/utenti con gli altri operatori economici, richiamandosi specificamente ai dettami Comunitari, inquadra quali diritti fondamentali sia il
diritto alla salute che i connessi diritti alla trasparenza dei rapporti con i professionisti. Il diritto al consenso informato è palesemente un diritto di
trasparenza nei rapporti contrattuali tra medico e paziente.
20
Questa interpretazione sembra la più seguita in dottrina ed in giurisprudenza. Il diritto non apparterrebbe a quelli fondamentali previsti e regolati
dalla Costituzione, bensì esso farebbe parte delle premesse al contratto di prestazione medica costituendone una sorta di elemento presupposto alla
perfetta conclusione e sottoscrizione. Cfr. Cass. civ. sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014: «Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale tra il
chirurgo ed il paziente, il professionista anche quando l'oggetto della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il
paziente sulla natura dell'intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perché
violerebbe, in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337
c.c.) sia perché tale informazione è condizione indispensabile per la validità del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e
chirurgico, senza del quale l'intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall'art. 32 comma 2 della Costituzione, a norma del quale nessuno può
essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, quanto dall'art. 13 cost., che garantisce l'inviolabilità
della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica, e dall'art. 33 della l. 23
dicembre 1978 n. 833, che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente se questo e' in grado di
prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità (art. 54 c.p.)».
21
BILANCETTI M., La responsabilità del chirurgo estetico, in Giur. it., 1997, 2, IV, p. 354.
22
Art. 1427 c.c. - Errore, violenza e dolo – “Il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere
l'annullamento del contratto secondo le disposizioni seguenti”. omissis.
23
Cfr. ancora la cit. sentenza della Corte di Cass. n ° 10014
24
Art. 1337 c.c. - Trattative e responsabilità precontrattuale – “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono
comportarsi secondo buona fede”
25
Si veda Cass. Civ., Sezione III, 14.11.2008 - 30.01.2009 N.2468 ed ancora più chiaramente con la sentenza 09/02/2010 - n. 2847 - Cass. Civ. Sez
III - Consenso, autodeterminazione, nesso ; con la sentenza viene ribaditala teoria che vuole il consenso come requisito contrattuale secondo cui è
l’intervento stesso del medico che dà comunque luogo all’instaurazione di un rapporto di tipo contrattuale tra lui e il paziente; difatti in assenza del
consenso l’intervento medico verrebbe a costituire puramente una prestazione illecita sebbene destinata a procurare un beneficio al paziente, sicché il
medico, in questa evenienza deve rispondere delle eventuali conseguenze negative; ovviamente è necessario che esista, parimenti, un nesso causale tra
il danno procurato e la assenza dell’acquisizione del consenso. Si cfr. pure Cass. Civ., Sez. III, 30 Marzo - 19 Maggio 2011, N. 11005, (Pres. Trifone,
Rel. Spirito) – ove è chiarito puntualmente che “Il dovere di informare il paziente e' dovere contrattuale,e non già precontrattuale” con i conseguenti
naturali effetti di refusione del danno. Tale orientamento è quello che parimenti si riscontra a livello internazionale; si veda per esempio Trib. cost.
España, 28 marzo 2011, (pres. Montalvo, rel. Pérez Vera) con cui si definisce il "consenso informato come diritto fondamentale" del paziente; esso è
una garanzia, e non un diritto, come precedentemente aveva rilevato e pertanto : dalle parole del giudice di ultima istanza, tali elementi di prova
portano a considerare” que realmente no se ha privado al demandante de una información esclarecedora previa al consentimiento".
26
Cfr. sul punto CARBONE V., L'informazione sulle possibili anestesie e sui relativi rischi, in Danno e resp., 2, 1997, p. 183; SPIRITO A.,
Responsabilità professionale ed obbligo d'informazione, in Danno e resp., 1, 1996, p. 24.
27
Art. 1338 c. c. - Conoscenza delle cause d'invalidità. “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del
contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità
del contratto”.
28
Il consenso scritto dovrebbe essere raccolto su un documento di accettazione all’atto della diagnosi e della redazione della proposta terapia. Il
paziente, comunque, dovrebbe rimanere in possesso di copia del detto documento di accettazione, informativa e consenso con la contemporanea
sottoscrizione del medico redattore. Traccia del detto documento dovrebbe rimanere in cartella clinica in possesso alla struttura sanitaria ove è
eseguita la prestazione del servizio. Diverso dovrebbe essere il caso del consenso verbale che risulti testimoniato dalla annotazione in cartella clinica
o dalla sottoscrizione di un terzo. Tale consenso dovrebbe formalmente essere provato, specificamente nel caso di paziente in stato di incoscienza o
incapacità, da un soggetto che appartenga alla sfera di interessi del paziente medesimo e non già faccia parte dello staff del medico. E’ certo che il
consenso formato per iscritto ha il vantaggio di consentire al medico una informazione più ponderata ed articolata e, in aggiunta, un approfondimento
sul contesto operativo che può, al fine, essere utile ai risultati del trattamento medico servendo a rassicurare il paziente sulla adeguata serietà e
professionalità della prestazione sanitaria. Il consenso informato scritto ha, per altro, comprensibili benefici d’ordine psicologica per il medico che,
autorassicuratosi per avere prodotto una diagnosi adeguatamente ponderata sulle condizioni di salute, sulle patologie e sulla gravità da affrontare, può
operare certamente con una maggiore tranquillità non dovendosi preoccupare delle ordinarie conseguenze dell’intervento ma semplicemente curando
la erogazione della sua prestazione nel rispetto della terapia preordinatasi.
Nessuna norma però precisa la forma necessaria alla raccolta del consenso informato; non è detto se, ai fini della
validità giuridica, sia obbligatoria la presenza del consenso formato per iscritto o basti semplicemente la testimonianza
del consenso verbale29.
A noi appare chiaro, per la verità, che non possa essere semplicemente sufficiente che venga data esposizione della
richiesta del consenso e della presenza dello stesso in caselle prestampate della cartella clinica30; in essa necessitano,
invece, che certamente siano presenti almeno la sottoscrizione chiara del paziente e le indicazioni, per quanto generiche,
attestanti l’erogazione del medico di informazioni sulle condizioni e sulle conseguenze della terapia.
Una complicazione sulla formulazione del consenso e delle informative è però recata dalla legge sulla tutela della
privacy (L. 675/96); infatti, tale ultima normativa prevede che le informative debbano essere erogate esclusivamente
all’interessato e che ogni ulteriore comunicazione dei dati sullo stato di salute del paziente debba avvenire in forma
anonima. Gli operatori, quindi, che sono chiamati a trattare i dati sensibili intorno allo stato di salute del soggetto
debbono prestare attenzione alla inibizione a fornire tali notizie, senza l’assenso del medesimo paziente, anche nei
confronti dei suoi parenti.
A disciplinare il consenso informato sono intervenuti in modo massivo le disposizioni di diversi organismi medici
preposti alla definizione del codice di deontologia professionale. Il codice di deontologia medica, infatti, è un corpus di
regole di autodisciplina predeterminate dalla professione, vincolanti per gli iscritti all’ordine che le devono applicare
adeguando la loro condotta professionale31. Il codice deontologico medico del 1995, all'art. 3132, prevede e regolamenta
il consenso come base legittimante la prestazione medica; esso richiama quasi pedissequamente i dettami costituzionali
ribadendone l’essenzialità. Anche il Consiglio Nazionale di Bioetica si interessa, tra l’altro33, del momento
dell’informazione e del consenso all’atto medico osservando come dai dettati costituzionali il principio del consenso
“esprima una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto
appare fondato prima sui diritti del paziente che sui doveri del medico. Sicché sono da ritenere illegittimi i trattamenti
sanitari extra-consensuali, non sussistendo un “dovere di curarsi” se non nei definiti limiti di cui all’art. 32 cpv. 2
Cost..” ed ancora, come sia “da precisare tuttavia che pure il principio del consenso incontra dei limiti, giacché
nonostante il consenso, l’intervento risulta illecito quando supera i limiti della salvaguardia della vita, della salute,
dell’integrità fisica, nonché della dignità umana".
Alcune ulteriori considerazioni sono dovute al fine di inquadrare puntualmente il consenso informato e la sua validità
giuridica. E’ chiaro, infatti, che il consenso, per essere legittimo deve essere prestato personalmente dal paziente34. Solo
in tal modo si può essere certi che il consenso sia consapevole e non sia tarato da possibili errori da intermediazione.
Sicché non è previsto o possibile, salvo nei casi di emergenza o casi di forza maggiore previsti dalla legge che
successivamente introdurremo, non è possibile che il consenso venga prestato dai parenti, sia pur prossimi; certamente
in caso della sussistenza di rischio oggettivo di grave danno incipiente alla salute o alla vita del paziente, il medico potrà
e dovrà intervenire indipendentemente da quanto affermino i congiunti.
29
È ben chiaro che, altrimenti, il consenso possa essere provato, in sede giudiziaria, in qualsiasi modo, ma risulta parimenti opportuno che il consenso
informato, per avere piena ed immediata pregnanza, si debba tradurre in un documento scritto. Difatti, il consenso dovrebbe essere stilato scritto, non
già per il fatto che la formulazione orale risulti incompatibile con la normativa che lo disciplina, ma più semplicemente perché in una fase
contenziosa, il sanitario è in grado di dimostrarne la sussistenza e la regolarità del suo operato.
30
Molto spesso, il più delle volte in strutture pubbliche, il paziente è posto innanzi a moduli prestampati da sottoscrivere che risultano assai generici e
decisamente incompleti; specificamente l’incompletezza rileva in quanto, avuto riguardo alla informazione diagnostica e terapeutica, essi mancano
dei precisi riferimenti al caso concreto.
31
Bisogna qui chiarire che il consenso informato non deve connettersi agli obblighi del medico all’osservanza del codice deontologico. Non è, in
sostanza, l'inosservanza della norma deontologica a permettere al paziente di invocare una propria tutela. Il paziente per salvaguardarsi deve
richiamarsi all’adempimento del contratto di prestazione sanitaria;
32
Art. 31 Codice Deontologia medica: «Il medico non deve intraprendere attività diagnostica o terapeutica senza il consenso del paziente
validamente informato. Il consenso, in forma scritta nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche o terapeutiche o per le possibili
conseguenze sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà del paziente, è integrativo e non sostitutivo del
consenso informato di cui all’art. 29.
Il procedimento diagnostico e il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l'incolumità del paziente, devono essere
intrapresi, comunque, solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna
documentazione del consenso.
In ogni caso, in presenza di esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e di volere, il medico deve desistere da qualsiasi atto diagnostico e
curativo, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente, ove non ricorrano le condizioni di cui al successivo
articolo 33».
33
I documenti allestiti dal Comitato nazionale di Bioetica hanno elencato il seguente insieme di principi etici a cui i medici debbano richiamarsi per
essere certi che l’alleanza terapeutica tra professionista e paziente possa istituirsi proficuamente ; qui si riportano i canoni 7 e 8 che sono attinenti al
nostro lavoro :
7. Il consenso informato in forma scritta è dovere morale in tutti i casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e
terapeutiche si rende opportuna una manifestazione inequivoca e documentata della volontà del paziente.
8. La richiesta di consenso informato in forma scritta è altresì un dovere morale del medico, nel caso di paziente incapace legalmente o di
fatto, nelle ipotesi di cui al punto 7), nei confronti di chi eserciti la tutela o abbia con il paziente vincoli familiari (o di comunanza di
vita) che giustificano la responsabilità e il potere di conoscere e decidere, fermo restando che tali interventi hanno un significato relativo
e il medico posto di fronte a scelte fondamentali per la salute e la vita del paziente non è liberato dalle responsabilità connesse con i
poteri che gli spettano.
34
Nel caso in cui la prestazione medica sia effettuata da un ente ospedaliero rimarrà proprio alla struttura il compito di fornire al paziente le
informative necessarie per consentire al paziente di rendersi perfettamente conto della terapia a cui andrà incontro. In questo caso la responsabilità
contrattuale rimarrebbe in capo alla struttura ospedaliera.
In Italia ciò che abbiamo visto avviene con il proxy consent inglese che prevede la possibilità dei parenti prossimi di
esprimere il consenso per le persone che non ne siano capaci, per età o per handicap, è stato risolto consentendo,
appunto nel caso di minore o di interdetto, che il consenso sia dovuto dal legale rappresentante35.
Ulteriori approfondimenti tendono ad analizzare la metodica di raccolta del consenso nel caso in cui i trattamenti
terapeutici o di intervento invasivo si svolgano in più fasi diversificate aventi propria autonomia di rischio.
La giurisprudenza ha infatti, puntualizzato che nel caso in cui gli interventi curativi o sanitari siano molteplici e
costituiti da più operazioni caratterizzate, ognuna, da una propria autonomia gestionale o di specificità del rischio sarà
necessario che la raccolta del consenso avvenga gradualmente, a mano a mano che si avanza nell’intervento
complessivo36.
Tale precisazione della giurisprudenza assume una importanza rilevante in quanto oggi per la maggior parte gli
interventi di una certa gravità si presentano come lavoro di equipe medica che svolge ognuno per proprio conto parte
specifica dell’operazione sanitaria. A tale proposito occorrerà che il consenso venga raccolto in punto iniziale, ma
complessivo per tutte le varie tipologie di fasi operative37. E’ parimenti ovvio che una tale peculiare raccolta di
consenso, ai fini di evitare che tale atto sia oggetto di successiva impugnativa o invalidazione, esponga sia i medici che
le strutture alla predisposizione di una fase organizzativa preliminare necessariamente impegnativa perché involge un
buona dose di professionalità38. Nel caso in cui il consenso sia raccolto dalla struttura sanitaria, non viene meno la
responsabilità del medico che opera e risponde per l’obbligo alla pienezza dell’informativa verso il paziente per i rischi
e le peculiarità della terapia da eseguire.
A questo punto occorre introdurre una puntualizzazione specificatamente intorno alla responsabilità che ricade sul
medico operante in una struttura sanitaria; egli, infatti, in questo caso ha responsabilità per quanto attiene alle
informative che riguardano lo stato di validità ed efficienza delle dotazioni della struttura sanitaria nonché sul livello
qualitativo delle competenze delle risorse umane in essa esistenti. Il paziente, in sostanza deve essere posto a
conoscenza se le strutture e dotazioni della struttura ospedaliera siano adeguate alla terapia a cui si sta sottoponendo e
ciò al fine della valutazione e decisione se sottoporsi all’intervento nella struttura di cui si tratta ovvero decidere di
trasferirsi39.
Non si richiede, però, un’informazione che raggiunga livelli di completa erudizione; sarà sufficiente, infatti, fornire un
livello esplicativo sommario, ma idoneo a rendere comprensibili a paziente i limiti del trattamento; bisognerà tradurre in
termini generalmente chiari, ed in relazione allo stato di apprensione ed alla sensibilità dimostrata dal paziente ed al suo
grado culturale40, le peculiarità degli interventi sanitari prospettati e dei rischi a cui gli stessi possano condurre.
35
Un caso particolare potrebbe sorgere in questa circostanza quando venga a determinarsi una contrapposizione alla tipologia di cura tra medico e
rappresentante legale. In tale caso al medico sembra non rimanga altra via che rivolgersi al giudice tutelare che potrebbe a sua volta decidere per la
temporanea sospensione della patria potestà.
36
PALMIERI A., Relazione medico paziente tra consenso globale e responsabilità del professionista - nota a sentenza, in Foro it., I, 771 e segg., in
rif. a Cass., sez. III civ., sen. 15 gennaio 1997, n. 364.
37
Sarà obbligatorio, per le strutture sanitarie, allestire metodiche e modulistica specifica con un apposita organizzazione preposta alla raccolta del
consenso per attività multidisciplinari. In pratica ogni singola tipologia di visita preliminare dovrebbe essere segnata da un consenso specifico
raccolto su modulistica peculiare il tutto poi sarebbe oggetto di collazione nella cartella clinica del paziente.
38
L’informazione al paziente dovrà essere completa per ogni fase dell'intervento clinico. Il paziente dovrà essere edotto dei vantaggi e degli svantaggi
derivanti dal trattamento proposto ed ancora deve essere informato dei rischi che le sopravvenute complicazioni potrebbero avere sul suo futuro.
39
La incompletezza anche su tali argomenti, per così dire, organizzativi e strutturali, può configurare un caso di negligenza. Così il medico che si è
interessato alla informativa, potrebbe essere chiamato a rispondere del danno eventualmente causato e dimostrato dall’utente anche eventualmente in
concorso con la struttura ospedaliera. Cfr. Cass. civ., Sez.III, 16.05.2000, n. 6318.
40
Anche alcune sentenze della CASS. Civ. nonché quasi tutte le decisioni intorno al consenso informato emesse dal Comitato Nazionale di Bioetica
hanno messo in rilievo due aspetti circa il livello di esplicitazione delle informative :
•
La circostanza che il grado di cultura del paziente incide profondamente sulla capacità dello stesso e dei suoi parenti di rendersi conto
effettivamente delle esposizioni, alcune volte troppo tecniche, dei sanitari; e pertanto che la informativa debba essere il più chiara ed
intelligibile possibile a soggetto che deve esprimere il proprio consenso; ogni assenza di chiarezza o comprensibilità inficia la espressione
del medesimo consenso.
•
La circostanza che lo stato di apprensione e di inquietudine manifestata dal malato molte volte implica e giustifica per il medico la
necessità, definita opportuna da parte degli organismi preposti, che l’esposizione circa la gravità della patologia da affrontare e dei suoi
rischi venga correlata alla sensibilità dimostrata dal paziente e dal suo presumibile grado di accettazione. Ogni ipotesi diversa potrebbe
compromettere la medesima possibilità di guarigione proprio perché lo stato psicologico del paziente, si sa, assume una peso
determinante per numerosissime patologie.
2.2
L’accanimento terapeutico e l’eutanasia 41
La citata crescita di qualità e di risultati della medicina hanno ultimamente fatto divenire labile ed estremamente sottile
il confine tra liceità ed illiceità nella sospensione dei trattamenti sanitari nel caso dei malati terminali.
Difatti, il medico può molto spesso invece che trovarsi innanzi al consenso del malato proprio di fronte al suo dissenso
avuto riguardo al proseguimento degli interventi medici. Egli pertanto viene a ritrovarsi avanti alla grave difficoltà di
valutare se i trattamenti medici della ordinaria tecnica sanitaria siano o no capaci di ottenere un risultato curativo della
malattia ovvero se il tutto non si venga a risolvere in un aggravio del sacrificio e della sofferenza per il malato senza per
altro poter accrescere almeno la speranza di soluzione della patologia.
Oramai comincia a prevalere a livello internazionale un orientamento che legittima senz’altro, in questi casi, la
possibilità che il medico si fermi non solamente per la omologa volontà del paziente a esercitare una sorta di "diritto alla
morte", nel senso di legittimità ad avere una “morte dignitosa”; in Italia invece è ancora forte anche a livello
istituzionale42 una dottrina più prudente e molto più articolata che differenzia la fattispecie di “accanimento terapeutico”
da quella che è invece da considerare “eutanasia passiva od omissiva”43.
41
Etimologicamente la parola eutanasia significa “morte dolce” cioè senza sofferenze (dal greco ευθανασία, composta da ευ-, bene e θανατος, morte);
Il termine con il tempo ha acquisto un significato più ristretto e definito; con esso, infatti, ci si riferisce all’intervento, omissivo o attivo, svolto dalla
medicina per accompagnare alla morte con il solo scopo di attenuare i dolori della malattia e dell’agonia; il comune sentire si oppone a tali atti
classificandoli quali atti d’omicidio e di soppressione di una vita umana seppur motivati dal fine di bene e di pietà. La eutanasia può essere distinta
nelle seguenti tipizzazioni che ne identificano metodiche e varianti tutte aventi il medesimo scopo condurre il paziente al trapasso :
•
Passiva: se la morte è provocata per omissione del terapeuta; egli interrompe la somministrazione delle cure che servono a mantenere il
paziente in vita, per via della loro acclarata inutilità;
•
Attiva: quando la morte è indotta per il tramite della somministrazione di appositi farmaci;
•
Volontaria: qunado è lo stesso paziente, in grado di intendere e di volere, a richiederla ovvero lo ha lasciato autorizzato per iscritto con il
proprio testamento biologico;
•
Non volontaria: quanod il paziente non è nelle condizioni di decidere, ne di intendere e di volere, la decisione di interrompere le cure
ovvero di somministrare farmaci speciali è attribuita a terzi anteriormente specificamente designati;
• Suicidio assistito: è una forma di eutanasia particolare, attiva e volontaria; al paziente vengono forniti i mezzi o i farmaci per porre fine
alla propria esistenza ed egli ne decide l’avvio e le fasi.
42
Cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica -L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente – decisione della seduta plenaria
del 30 settembre 2005; con questa decisione, dimostratamente non unanime e assai dibattuta (esistono infatti numerose postille e integrazioni
effettuate da membri del comitato dissenzienti), questo Organismo pone in attenzione la gravissima difficoltà con cui dovrebbero essere trattati i
pazienti in Stato Vegetativo Persistente. L’avanzamento della medicina ha prodotto moltissimi casi di persone che per avere subito malanni di ogni
tipo si trovano a dover vivere attaccati a strumentazioni di sostegno e di sostituzione di funzioni vitali pur in condizioni assai compassionevoli,
certamente dolorose e tante volte disumane.
Il CNB nella citata seduta ha argomentato approfonditamente su ciò che deve essere considerata attività medica da intendere quale “accanimento
terapeutico”, soffermandosi su ciò che deve intendersi pratica medica e ciò che invece non è somministrazione di attività medica; difatti, ogni
somministrazione di acqua, aria o cibo, anche per via endovenosa o percutanea non debbono secondo tale Organismo essere da intesi attività
terapeutica e pertanto tali atti non dovrebbero essere oggetto di interruzione ove il paziente avesse esclusivo bisogno di essi per sopravvivere. Il
documento, per quanto contestato e non unanime come prima si segnalava chiudeva con alcuni dettami che bisogna riportare al fine di comprendere le
complicazioni che anche la norma sul testamento biologico dovrà tenere in attenzione per potere sortire effetti accettati dalla maggioranza. Il CNB
ribadisce infatti che:
“a) la vita umana va considerata un valore indisponibile, indipendentemente dal livello di salute, di percezione della qualità della vita, di autonomia
o di capacità di intendere e di volere;
b) qualsiasi distinzione tra vite degne e non degne di essere vissute è da considerarsi arbitraria, non potendo la dignità essere attribuita, in modo
variabile, in base alle condizioni di esistenza;
c) l’idratazione e la nutrizione di pazienti in SVP vanno ordinariamente considerate alla stregua di un sostentamento vitale di base;
d) la sospensione dell’idratazione e della nutrizione a carico di pazienti in SVP è da considerare eticamente e giuridicamente lecita sulla base di
parametri obiettivi e quando realizzi l’ipotesi di un autentico accanimento terapeutico;
e) la predetta sospensione è da considerarsi eticamente e giuridicamente illecita tutte le volte che venga effettuata, non sulla base delle effettive
esigenze della persona interessata, bensì sulla base della percezione che altri hanno della qualità della vita del paziente.”
Dobbiamo per completezza introdurre che, in data 10/01/200, a proposito dell’idratazione e della nutrizione o di ogni altra tipologia di sostegno alle
funzioni vitali, presso la Commissione Giustizia permanente del Parlamento, dovendosi decidere intorno a cosa dovesse intendersi per accanimento
terapeutico venne emesso, su relazione del Sen. Felice Casson, un parere antitetico a quello del CNB con cui esplicitamente si dichiarava “Inoltre, va
detto che o si specifica nel testo di legge che cosa si intenda per accanimento terapeutico (al fine di evitare "libere" interpretazioni e diatribe a non
finire, per di più sulla pelle di ammalati gravi o gravissimi, se non addirittura terminali) oppure, sulla scia di quanto segnalato dal rappresentante
del Governo in Commissione, se per accanimento terapeutico si intende quel trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale
recupero organico-funzionale, allora anche l’idratazione e l’alimentazione parenterale (e la ventilazione artificiale), praticate in un organismo
altrimenti privo di vitalità, per assoluta e definitiva incapacità di autonoma idratazione e alimentazione e respirazione in via ordinaria, costituiscono
accanimento terapeutico. Tale parere, che diede la stura a un dibattito focoso intorno agli argomenti di cui stiamo trattando, forniva un esimente
generico e completo ai medici che erano chiamati ad eseguire le direttive anticipate dei pazienti; infatti, i sanitari "sono dichiarati esenti da ogni
responsabilità [...] precisando che l'esonero riguarda ogni forma di responsabilità, anche di natura penale".
43
Per fornire una idea delle grandi complicazioni di ordine etico-giuridico o religioso e sociale che nascono al momento in cui si introduce la
discussione intorno ai limiti e agli elementi dell’accanimento terapeutico e all’eutanasia, si riportano le considerazioni del responsabile del centro di
coordinamento Giviti dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, l’epidemiologo G. BERTOLINI che nel sottolineare la differenza sostanziale tra i diversi
tipi di pratica, precisa nel rapporto Scelte sulla vita - L'esperienza di cura nei reparti di terapia intensiva , GUERINI E ASSOCIATI, 2007, “La
desistenza terapeutica, la rinuncia all'accanimento terapeutico e il prodigarsi nelle cure palliative sono atti medici importanti e dovuti al paziente. Il
pubblico non dovrebbe essere portato a confondere tali termini con l'eutanasia. Far ricadere, sotto questo termine, tutte le modalità non naturali di
morire e confondere l'eutanasia con la desistenza terapeutica o la limitazione di trattamenti nei malati in fase terminale, è inappropriato e genera
confusione in un terreno già ricco di implicazioni emotive, morali, etiche, sociali e giuridiche. Per eutanasia si deve intendere esclusivamente la
soppressione intenzionale della vita di un paziente. Nulla a che vedere quindi con quello che può avvenire in Terapia intensiva»;
Esiste, per la verità, una certa confusione concettuale spesso avallata da un livello di inappropriatezza terminologica da
imputare a quella difficoltà d’analisi della casistica e dalla estrema complessità e variabilità delle fattispecie verificabili
in realtà.
In verità la cosa propriamente più difficile in medicina è proprio definire ove inizia l’accanimento terapeutico e dove
finisce la terapia ordinaria44.
Non per nulla, verrebbe da osservare, si è utilizzata una espressione che in sintassi viene denominata ossimoro. Ciò
proprio per porre in evidenza la complessità definitoria dell’evento.
Ed appunto molti si sono impegnati a cristallizzare una definizione che potesse consentire in via oggettiva il limite di
demarcazione tra terapia possibile ed accettabile e quella oramai da considerare “accanita”.
L’accanimento terapeutico potrebbe, in sostanza, definirsi come l’insieme dei trattamenti medici che vengano
somministrati nel solo scopo di allungare ostinatamente la vita del paziente nel suo attuale stato di malattia e sofferenza
e senza, per altro, avere alcuna speranza di poterlo riportare allo stato ordinario della qualità della sua esistenza45; sono
quindi quelle terapie che assumono chiaramente la caratteristica di inutili, insopportabili, ostinati, eccessivi o
sproporzionati.
Però la difficoltà definitoria, molto spesso affrontata in Italia a livello delle più alte organizzazioni religiose, mediche o
etiche preposte46, in concreto risulta essere assai peggiorata dalla necessità di trovare il professionista che si assuma la
responsabilità di staccare la spina al malato e lasciarlo morire. Tale difficoltà è palesemente motivata sia da
giustificazioni etiche, molto spesso assolutamente esasperate, sia da paure, tutte italiane, di dover affrontare una
giustizia abbastanza ondivaga sulla questione.
Non può, infatti, sottacersi che, in Italia, la grande confusione, sia a livello di discussione politica che di interventi
giudiziari, creatasi a seguito dei tre casi più eclatanti di malati terminali47 fa emergere quanto deficit normativo esiste
sull’argomento; non vi è chi non veda come ad avere spesso la meglio è il timore dei medici; essi per il rischio di
incorrere nei pericoli d’ordine penale cagionati dalla ancora sottilissima linea di demarcazione tra doverosa desistenza
dalle cure esagerate oramai inutili ed effettivo atto di eutanasia si riducono ad una passiva accettazione del
proseguimento indefinito della terapia cosiddetta palliativa48; così, sempre più spesso il medico si trova innanzi alla
richiesta del malato a chiudere per sempre i propri giorni ed a dare fine alle cure che diventano, molto spesso sempre
più dolorose, invasive e insopportabili. Interviene, quindi, in termini gravidi la tematica della eutanasia anche perché,
appunto, la più gran parte delle morti avvengono in ambiente ospedaliero e, viepiù, i medici appaiono quali arbitri,
spesso senza regole stringenti, della situazione terminale49. Attualmente l’accanimento terapeutico, oltre ad essere
criticato anche dalla Chiesa Cattolica50, è considerato negativamente dal codice deontologico sanitario. La dichiarazione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, già nel 1978, ha invitato i medici a prestare attenzione e a non violare il
“diritto di morire” che appartiene ad ogni uomo.
Nell’assenza di precise norme di legge, di fatto, sono i medici che decidono, sentiti o no i familiari, ma lo fanno a loro
rischio e pericolo perché rischiano la denuncia per atti medici che la legge non consente.
44
Un esempio di tale difficoltà potrebbe essere quella della cosiddetta eutanasia larvata (o pura); tale caso si potrebbe riscontrare, seguendo una
terminologia medico-scientifica, quando ci si limita a quei procedimenti curativi che, in genere, vengono effettuati grazie alla terapia del dolore con la
somministrazione di prodotti analgesici e anestetici nei confronti di moribondi o di persone oramai stremate dalla sofferenza. Tali cure come si diceva
prima vengono considerate lecite, ma spesso non hanno altro scopo che quello di un prolungamento del periodo di sofferenza e si dimostrano
assolutamente inutili e decisamente ostinate.
45
il Codice di Deontologia medica, definisce in via mediata l’accanimento terapeutico con l’art. 16 che recita : “Il medico, anche tenendo conto delle
volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente
attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”.
46
Tale è sicuramente in Italia il Comitato nazionale per la Bioetica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e l’Ordine nazionale dei medici; ma
su tale argomento si è pure cimentata la Chiesa Cattolica che con il dettame n° 2278 del Catechismo1992 ha, inaspettatamente, così definito
l’accanimento terapeutico :
“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso
si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere
prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la
ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.
47
I casi Englaro, Welby e Nuvoli hanno catalizzato l’attenzione di tutti i mass-media per parecchio tempo perché rappresentavano fattispecie
eccezionali di persone in condizioni esistenziali decisamente drammatiche e le quali erano tenute in vita in via artificiale ed estremamente gravosa con
nessuna speranza di soluzione.
48
Oggi la battaglia della medicina contro la morte e per il suo allontanamento con l’allungamento della vita viene a realizzarsi con l’allestimento di
cure sempre nuove e con una attenzione verso la cosiddetta terapia del dolore. Tali interventi però spesso nascondono effetti nocivi per il malato.
Molto spesso accade che la terapia è portata alle estreme conseguenze ed il malato terminale diviene oggetto di cure ostinate e, alcune volte,
sperimentali con un sostanziale aggravamento della sofferenza. I pazienti più forti e quelli più deboli, ovviamente per opposti motivi, sono proprio
quelli che rivendicano l’interruzione della terapia e il proprio diritto a morire. La (OMS) è intervenuta sull’argomento dichiarando il proprio favore
verso le cure palliative dichiarando che esse, però, devono limitarsi a quei metodi per "curare anche se non si può guarire" ed a quelle “mirano a
sollevare il paziente terminale da dolori e sofferenze”; esse debbono essere costituite da attività multidisciplinari che vadano ad affrontare alleviando
tutti i vari aspetti della sofferenza del malato terminale : sia il dolore fisico, sia la sofferenza di tipo psicologico che la sofferenza di tipo sociale per la
perdita della propria identità fisica ed autonomia gestionale.
49
SEMINARA S., Riflessioni in tema di suicidio e di eutanasia, in Riv. It. dir. Proc. Pen., 1995, p.687;
50
Anche la chiesa cattolica si è dimostrata assai contraddittoria nelle proprie decisioni; mentre in un primo momento, con il dettato del Catechismo
del 1992, ha chiaramente espresso la propria linea contraria all’accanimento terapeutico successivamente, con il Compendio al Catechismo del 2005,
si è parzialmente corretta reclinando su posizioni più conservatrici.
2.3
Il testamento biologico
Negli anni settanta fu per prima la California51, che di fronte ai progressi della medicina che avevano reso oramai
parecchio labile il confine tra la cura doverosa e l'accanimento terapeutico, ad adottare il Natural Death Act, con il quale
venne introdotto un documento del paziente con cui si conferiva valenza al cosiddetto "living will"52; con questo
“testamento di vita”, si attribuiva validità ad una sorta di dichiarazione anticipata con cui una persona dettava le
indicazioni al medico circa le terapie da effettuare nella eventualità egli venisse a perdere coscienza per la malattia o per
i trattamenti operati. In Italia il dibattito si è aperto già negli anni ottanta introducendo il concetto di "testamento
biologico"53.
Nel 1990 anche il Comitato Nazionale di Bioetica54, che è il supremo organo in Italia per il trattamento ed il consulto su
questioni assai delicate intorno ai metodi sanitari ed alle decisioni sul fine vita, presentò una sorta di "living will"
italiano che fu allora denominato Biocard; con questo documento una persona, nel pieno possesso delle sue facoltà
mentali, poteva conferire a terzi alcune disposizioni sulle proprie preferenze circa i metodi delle cure da intraprendere e
circa il limite massimo entro cui le terapie potevano essere portate innanzi. Ad oltre vent’anni dalla Biocard nessuna
legge ancora in Italia disciplina questi casi o stabilisce chi abbia il potere di prendere la decisione. Nel corso dell’ultimo
anno si è prodotto un disegno di legge che dovrebbe finalmente sortire un qualche effetto positivo.
Quindi per testamento biologico55 si deve intendere quella espressione di volontà con cui una persona in piena lucidità,
prestabilisce le terapie che intende o non intende subire nel caso si venga a ritrovare per qualsiasi evento in condizione
di incapacità o di impossibilità a determinarle. E’ sostanzialmente una manifestazione avanzata del diritto di
autodeterminazione in riferimento allo svolgimento della propria vita. Con detta manifestazione il soggetto decide
anzitempo se accettare o non acconsentire ad una serie predeterminata di cure in riferimento a malattie e patologie di
tipo irreversibile. In verità la nuova medicina che propone interventi rivoluzionari espone la vita umana a forme di
prolungamento e di intervento che possono non essere accettate perché, per alcuni soggetti e per disparati motivi, essi
risultano artificiosi o da considerare invalidanti od umilianti56. In buona sostanza il forte mutamento delle fasi terminali
della vita umana ha prodotto una nuova sensibilità verso quella autonomia del malato che, nonostante il riconoscimento
costituzionale, e come vedremo anche delle norme sovranazionali, è stata in passato posta in secondo piano in raffronto
alla potestà del medico; tale autonomia è puntualmente ribadita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, la quale stabilisce che il consenso libero e informato del paziente sia da considerare come un vero e proprio
diritto fondamentale del cittadino europeo; questo diritto alla integrità è condizione minimale della dignità della
persona57.
51
Fu appunto nel 1967 che la California, anche allora a seguito di un caso eccezionale di malato terminale che si era concluso all’interno della aule di
un tribunale,(l’ormai famoso caso Quinlan), ad adottare il Natural Death Act, con il quale introdusse un documento del paziente con cui si conferiva
valenza al cosiddetto "living will ; con la sentenza di allora per la prima volta una Corte riconobbe il diritto a non ricevere trattamenti indesiderati
anche ad un soggetto non in grado di esprimere le sue volontà. Proprio a seguito del detto caso e dopo gli interventi legislativi californiani nacque, su
proposta del Congresso Americano, il primo Comitato di Bioetica, il Comitato Belmont. Cfr. RUSSO G., Storia della bioetica, in AA.VV.,
Dizionario della bioetica, ed. Dehoniane, Bologna, 1994, pp. 947-953; POTTER V.R., Bioethics: bridge to the future , Englewood Cliff, Prentice,
1971.
52
La locuzione living will, fu usata proprio nel 1967, per merito del giurista Luis Kutner, cofondatore di Amnesty International.
53
Nel 1984 l’onorevole LORIS FORTUNA presentò, alla Camera dei Deputati, una proposta di legge (n°. 2405) che era intesa a far approvare una
sorta di eutanasia passiva che si richiamava alle disposizioni americane del Natural Death Act. Con questa proposta venivano individuate due
fattispecie per le quali diveniva compatibile ed accettabile il distacco delle terapie; Cfr. VIGNALI D., Eutanasia: il progetto di legge Fortuna, in Vita
nuova, 14 Marzo 1992, p. 9.
54
Un documento emesso già nel 1996 dal Comitato Nazionale per la Bioetica, (Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana) ha rilasciato
una prima definizione dell’accanimento terapeutico che è rimasta punto di riferimento di tutti i provvedimenti giudiziari successivi : “Trattamento di
documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con
un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulti chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica”
55
Vi sono diversi modi per definire la dichiarazione anticipata di trattamento; si parla infatti di “testamento biologico” di “testamento di vita” , di
“direttive anticipate”, di “volontà previe di trattamento”; sono tutte espressioni equivalenti che richiamano ognuna per proprio conto le dizioni
utilizzate nei vari paesi europei precedentemente all’Italia. In molti paesi, e specificamente per esempio nei paesi nordici (Svezia, Norvegia,
Danimarca, Olanda) e soprattutto nel Belgio, è cosa oramai accettata che si possa tranquillamente redigere le proprie volontà circa i trattamenti
eseguibili nel caso di incoscienza o perdita di funzioni intellettuali. Si procede a identificare un "tutore" cui far capo in caso di necessità di sapere
quali siano le tendenze e le decisioni circa il fine vita del paziente in caso che egli non le possa esprimere in proprio. Tale possibilità venne introdotta
dopo che l’Ohio approvò una proposta di legge su tale argomento addirittura nel lontano 1906.
56
Si pensi ad esempio alla medicina genetica, alla manipolazione delle cellule staminali con impianti non più di protesi meccaniche bensì di insiemi
cellulari e di trapianti di organi, alle più sofisticate tecnologie di alimentazione e idratazione o ventilazione artificiale, alla individuazione di forme di
sensibilità cerebrali in fase vegetativa, alla possibilità di intervento addirittura sulla determinazione del sesso con la procreazione assistita e la
clonazione; tutte queste attività sono alcune volte non accettati da soggetti per opposti principi etici, religiosi o filosofici .
57
E’ qui importante ricordare che il Parlamento Italiano ha ratificato, come si vedrà successivamente, la Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina (L. 28 marzo 2001, n. 145), firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997. detta Convenzione prevede e regolamenta i desideri precedentemente
espressi dal paziente; La definizione di “Testamento Biologico” è stata già affrontata in Italia dal Comitato nazionale di Bioetica; per il CNB esso è
«un documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non
desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il
proprio consenso o il proprio dissenso informato»;per potere acquisire valore legale i detti documenti “testamentari” devono, così come per i
testamenti, possedere una serie di requisiti formali importanti; essi, difatti devono :
•
Essere redatti per iscritto;
•
Certi nella identità della persona che li redige;
•
Consentire la verifica della perfetta capacità di espressione di chi li compila;
•
Conferire certa autenticità documentale e certezza nella data di redazione;
3
L’attuale panorama normativo in Italia e quello che sta intervenendo : la DAT;
In Italia, mentre il cammino verso il riconoscimento giuridico del consenso informato è stato abbastanza lineare, in
sostanza incontestato e molto concreto58, diversamente hanno proceduto i dibattiti e le decisioni legislative intorno
all’accanimento terapeutico, al testamento biologico e, certamente, alla più inaccettata procedura eutanasica; difatti, tutti
questi ultimi argomenti hanno visto in Italia, al verificarsi di casi di pazienti estremi, l’immediato crearsi di forme
eccezionali di ogni genere di opposizioni con il chiarissimo disegno di escludere o contrastare soluzioni che si
ponessero quali semplici mezzi di accompagnamento alla morte. Vi è stata sempre una risoluta opposizione di
organismi ed associazioni, spesso legate ai vari credi religiosi, che hanno prodotto un forte ritardo nei confronti di un
dibattito necessario59, che si presentasse tanto aperto quanto laico, nell’intento di intessere almeno un assestamento
normativo che desse certezza e tranquillità in primo luogo ai medici e comunque ai pazienti ed ai loro parenti; solo nel
corso del corrente anno 2011 si è venuta, finalmente, a definire una ipotesi di proposta di norma sul testamento
biologico che potrebbe segnare alcuni limiti e condizioni circa il modo di comportarsi nei trattamenti medici del “fine
vita”. E’ certo che il vero problema del consenso alle cure vitali ed alla interruzione di quelle inutili o eccessive nasce
innanzi alle casistiche sempre più ricorrenti nelle corsie degli ospedali di pazienti che sono tenuti in vita artificialmente
•
Che vi sia traccia della informativa di un medico circa le conseguenze delle decisioni espresse;
•
La loro scadenza e/o periodicità temporale di validità;
•
Consentire il diritto alla revoca del dichiarante;
•
Conservati presso istituzioni riconosciute;
58
Vogliamo qui ricordare i tanti provvedimenti in cui è stato trattato e regolamentato progressivamente il consenso informato ed il trattamento dei dati
del paziente, tutti provvedimenti che sono sintomatici di un processo di attenzione e di progressivo avanzamento del nostro legislatore nel settore
sanitario :
la normativa italiana
•
Il consenso informato è previsto con modalità precipue dall’articolo 4 della legge 26 giugno 1967, n. 458 (trapianto del rene tra viventi) nonché
dall’articolo 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (interruzione volontaria della gravidanza);
•
La legge di riforma sanitaria n. 833/78 che con il suo art. 1 stabilisce che il servizio sanitario nazionale è il principale mezzo per dare esecuzione
al "fondamentale diritto dell’individuo" alla salute nonché con l’art. 33 stabilisce l’illegalità per accertamenti e trattamenti sanitari che vengano
svolti in contrasto alla volontà del paziente;
•
Anche nella lotta all’AIDS, con la l. 5/06/90 n. 135 all’art. 5 si statuisce che "nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso ad analisi
tendenti ad accertare l'infezione da Hiv, salvo che per motivi di necessità clinica e nel proprio interesse";
•
Con il DM 15 gennaio 1991 il Ministero della Sanità, a seguito della L. 4/05/90 n. 107, nel definire le trasfusioni quali pratiche terapeutiche
rischiose , stabilisce che per esse è obbligatorio il consenso informato del ricevente;
•
Il Comitato nazionale per la bioetica, nel 1992 con il suo iniziale documento ufficiale circa l’“Informazione e consenso all’atto medico”, afferma
esplicitamente che “la responsabilità di informare il paziente grava sul primario, nella struttura pubblica, ed in ogni caso su chi ha il compito di
eseguire o di coordinare procedimenti diagnostici e terapeutici”.
•
Con il DM del 27 aprile 1992, con cui si da attuazione alla Direttiva Comunitaria n. 91/507/CEE si introduce in Italia, specificamente per dare
regole certe alla sperimentazione dei farmaci, le norme europee di Good Clinical Practice che in termini stringenti conferiscono al consenso
informato una valenza basilare alla liceità dell’intervento sperimentale.
•
Prima il vecchio Codice Deontologico dei medici italiani, con l’art. 30 (informazione al cittadino), ed ancora dopo con il nuovo codice
deontologico del 1998 all’art. 32 è detto : “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle
prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate”.
Normativa europea
Anche la Comunità Europea ha elaborato alcune linee guida che sono state recepite nella normativa degli Stati membri:
•
Abbiamo già ricordato le norme di buona pratica clinica per le sperimentazioni sui prodotti medicinali nella Comunità Europea che è divenuta
obbligatoria a decorrere dal 19 luglio 1991 con la Direttiva 91/507/CEE;
•
Si ricorda la fondamentale convenzione nel novembre 1996 per la protezione dei diritti umani e la dignità dei soggetti umani se sottoposti alle
sperimentazioni ed ai trattamenti in biologia e medicina: “Convenzione sui diritti dell’Uomo e la Biomedicina” .
La giurisprudenza
•
La giurisprudenza di legittimità ha spesso trattato numerosa casistica avente ad oggetto la natura dell’obbligo informativo e del consenso
raccolto oltreché delle modalità della raccolta ; si ricordano alcune decisioni degne di nota intorno alla citata problematica : sentenza n. 10014
del 25/11/1994, della Cassazione Civile Sezione III; sentenza n.364 del 15/01/97, della Cassazione Civile Sez. III;sentenza n.7027 del
23/05/2001 Cassazione Civile sez. III;sentenze n. 8827 del 31 maggio 2003, Cassazione civile, sez. III;sentenze n.8829 del 31 maggio 2003,
Cassazione civile, sez. III;sentenza n. 9085 del 19/04/2006 della Cassazione Civile Sezione III; sentenza n. 233/03 della Consulta.
59
Alcuni studiosi ed organizzazioni, nell’analizzare il fenomeno del fine vita, hanno cercato di conferire alcuni elementi di certezza alle attività degli
operatori; essi si sono attardati nelle seguenti caratteristiche o circostanze, per certi versi oggettive, che possano costituire un punto di svolta per
l’interruzione delle attività terapeutiche :
• Consistenza della malattia che individui oramai i momenti terminali dell’esistere. L’avere sostanzialmente tentato tutto ciò che la tecnica medica e
la farmaceutica abbiano fornito tempo per tempo al terapeuta per evitare il “naturale” termine della vita.
• l’inutilità, ai fini del miglioramento della prognosi, della somministrazione ulteriore di medicine e procedure sanitarie senza che si possa aspirare a
migliorare la qualità della vita del paziente.
• la gravosità e penosità degli interventi connessa con la evidente inefficacia degli stessi ai fini del miglioramento dello stato di fatto;
• la eccezionalità dei mezzi adoperati che, sia a livello strumentale che a livello farmaceutico, impongono metodiche e prestazioni estreme,
straordinarie e, quindi, assai onerose;
• la esistenza del rischio palese di recare al malato nuovi pericoli di patologie rilevanti e l’ampliamento del quadro clinico con la certezza di nuove
sofferenze e nuove terapie da intraprendere;
• la chiara sproporzione tra attività terapeutiche e possibili obiettivi raggiungibili;
• la sopravvivenza condotta esclusivamente a mezzo di strumentazioni artificiali e di mezzi di sussistenza che artificiosamente e meccanicamente
consentono la sostituzione di funzioni vitali determinando una vita vegetativa o comatosa senza la possibilità di una ripresa concreta e corrente
delle minime funzioni cerebrali.
e la cui sopravvivenza dipende da macchine e medicinali sempre più costosi o potenti. Si è potuto, così, assistere allo
sfumarsi del concetto di “morte naturale” : mentre prima accadeva spesso che l’uomo chiudeva i suoi giorni in modalità
“naturale” con la convinzione propria o nella sua totale incoscienza, oggi la forza della medicina ha invaso anche
quest’ultima area indisponibile della vita umana, cioè il modo di morire, trasformando ciò che era naturale quasi
sempre in artificiale; è chiaro, quindi, che in tale contesto conseguentemente emerge il conflitto tra l’impellenza e
ineluttabilità della cura ed il desiderio di una morte condotta nell’alveo della naturalezza. Diviene, parimenti, non più
eccezionale l’esigenza di dettare le regole di condotta dei sanitari, nei sempre più frequenti casi di decisioni terapeutiche
terminali non più assumibili dal morente e che trovano i medici innanzi al quotidiano dilemma se ancora quel caso
specifico necessiti il massimo impegno terapeutico ovvero, proprio per il miglior bene del paziente non sia opportuno
interrompere quelle cure che si presentano vane e gravose per il medesimo ammalato. Solo a tal punto si potrebbe
essere innanzi a puro accanimento illogico ed ingiustificato60.
In tale ambito le nazioni europee e soprattutto quella americana sono andate molto avanti, spesso perché più libere dai
laccioli della chiesa cattolica o dalle lobby delle altre chiese e religioni che, frequentemente, su questo argomento hanno
62
intessuto battaglie notevoli61. Difatti, in passato , i tentativi politici e le proposte presentate in Parlamento sono state
tutte troncate nella fase di concepimento. Così è accaduto ai progetti rilevanti come quello N. 2943 del senatore
TOMASSINI del 4.05.2004 intitolato “Norme in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento”; che oltre a
disciplinare specificamente la DAT, prevedeva norme attinenti le modalità di sepoltura nonché le dichiarazioni del
morente a proposito dell’uso del proprio corpo (donazioni) e norme specifiche sulla DAT relativa ai minori; ad un altro
progetto, quello N. 433 del senatore MASSIDDA, del 19.05.2006 , intitolato “Norme a tutela della dignità e delle
volontà del morente” ; che presentava soluzioni innovative contemplava due documenti di volontà del morente: il primo
denominato «mandato in previsione dell’incapacità» che aveva contenuto strettamente patrimoniale ed il secondo
chiamato «testamento di vita» che aveva per oggetto le direttive anticipate in materia sanitaria e di disposizione del
proprio corpo;così pure infine per il progetto N. 773 delle senatrici BINETTI e BAIO DOSSI , del 7.07.2006, intitolato
“Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di trattamento”; che prospettava la figura di un fiduciario “forte”
che si incarica di far rispettare la volontà del malato ed includeva all’art. 7 la possibilità per il medico di avvalersi della
obiezione di coscienza.
Ma le difficoltà, come ben si intuisce, non sono connesse e causate da ciò che è lecito o illecito per il medico,
specificamente circa le decisioni da prendere per quei suoi pazienti che si trovino al limitare della loro vita, in quanto,
certamente, nessun medico, onestamente legato al giuramento di Ippocrate, spontaneamente, anche innanzi a malattie
incurabili, risulta talmente cinico o delinquente da suggerire ai pazienti metodi di chiusura della propria esistenza; il
vero problema dipende dalla gravissima difficoltà di definire operativamente, se si è pervenuti ad una inutile, eccessiva
e vana fase di accanimento terapeutico ovvero se ciò che si sta attuando risulta ancora incluso nelle procedure minimali
ed ordinarie che devono essere pur tentate; e tale problematica rappresenta ancora una necessità d’approfondimento per
la giurisprudenza; attualmente, difatti, la magistratura non è pervenuta, nonostante i diversi interventi giudiziari di
questi anni, alla puntuale “previsione normativa degli elementi concreti, di natura fattuale e scientifica, di una
delimitazione giuridica di ciò che va considerato accanimento terapeutico”63 nella piena coscienza e conoscenza delle
60
La chiesa ci dà una definizione di eutanasia con l’enciclica Evangelium Vitae (1995) : l’eutanasia è “un’azione o un’omissione che di natura sua e
nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore”. La chiesa, invece, sostiene da sempre la tesi che debba optarsi per la vita
anche quando questa si presenti come gravemente compromessa. L’idea è che pur in presenza di sofferenze terribili non possa usarsi la morte come
strumento per ridurle in quanto si verrebbe ad eliminare ciò per cui si lotta, appunto la vita.
61
Si deve, invero, sottolineare che le organizzazioni religiose, a livello apicale, molto spesso hanno dichiarato la loro opposizione verso forme di
accanimento terapeutico assurde ed ingiustificate, affermando palesemente che “Nessuno è moralmente obbligato a curarsi con terapie
straordinarie”e che quindi la morte è un evento naturale che deve essere accettato dall’uomo come momento facente parte del disegno divino.(Cfr.
Pio XII, Discorso ad un gruppo internazionale di medici del 24 febbraio1957, così, dall’originale in spagnolo, dichiara a proposito dell’anestesia e
della riduzione del dolore in fine vita,“Si Jesucristo en el Calvario rehusó el vino mezclado con hiel, porque quería, con plena conciencia, apurar
hasta las heces el cáliz que el Padre le presentaba, síguese que el hombre debe aceptar y beber el cáliz del dolor cuantas veces Dios lo desee. Pero
no se debe creer que Dios lo desea todas las veces que se ha de soportar algún sufrimiento, cualesquiera que sean las causas y circunstancias.” Pio
XII, Discorso cit., con cui è detto che “la soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici … è permessa”, poiché, “in questo caso…
la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in
maniera efficace” in Iura et bona, cap. III) E qui possiamo nuovamente richiamarci sia alla chiara enunciazione in ambiente catechistico della
opposizione all’accanimento terapeutico quale procedura non accettabile, sia alle altrettanto chiare espressioni della Congregazione per la Dottrina
della Fede sull’eutanasia circa il limite delle cure cosiddette palliative. La necessità evidente, quindi, di riferirsi al caso per caso si riscontra anche
nella definizione che ci fornisce l’Evangelium Vitae dell’accanimento terapeutico come quegli “interventi medici non più adeguati alla reale
situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia”
di modochè “In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza rinunciare a trattamenti che
procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili
casi”. Evangelium vitae- Giovanni Paolo II- Lettera Enciclica del 25/03/1995. Si veda pure la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della
Chiesa del 1980- Cfr. Iura et bona (cap. IV)."Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la
decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure
normali dovute all’ammalato in simili casi". Cfr per tutti NAVARINI C., Cure palliative al bivio: eliminare la sofferenza non il sofferente, ZENIT,
22 novembre 2004, nonché il dossier della Agenzia FIDES - Cure palliative Testamento di vita o dichiarazioni anticipate di trattamento p.2- 7 giugno
2008;
62
Per un analisi puntuale di tutti i progetti di legge presentati al Parlamento dalla XIII legislatura in poi si rimanda al sito ufficiale del Senato,
www.senato.it ed all’opera CASINI C.-CASINI M.-DI PIETRO M.L., Eluana è tutti noi: perché una legge e perché no al “testamento
biologico”,Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2008, p.109 ss.
63
Si veda l’ordinanza 15 - 16 dicembre 2006- Tribunale di Roma, Sezione Prima Civile;
evoluzioni dinamiche intorno alle scoperte terapeutiche e scientifiche; qui soccorre, per quanto possa valere a livello
disciplinare, il nuovo64 Codice di Deontologia Medica che con gli artt. 1665, 17, 35/5°c.66, 38/3°67 c. e 3968 fornisce una
serie di indicazioni abbastanza precise agli operatori sanitari sia per quanto attiene il caso di eutanasia sia per il caso del
malato terminale restio ai trattamenti. Nella legislazione italiana è già previsto un intervento in spregio alla
autodeterminazione del paziente sebbene in particolarissime condizioni dello stesso: è questo il caso del TSO, cioè del
trattamento sanitario obbligatorio69;
E sebbene, cautelativamente, la legge dichiara che gli stessi in linea di massima debbano essere volontari, trattandosi, in
genere, di provvedimenti in capo a soggetti psicolabili o in stato confusionale o di incoscienza, la quasi totalità degli
stessi sono svolti senza alcun consenso e con semplice provvedimento del sindaco70. Tale intervento esterno potrebbe
essere ripreso nel caso delle interruzioni di terapia di cui si diceva sopra a proposito dell’accanimento terapeutico.
A proposito della eutanasia un caso tipico della normativa italiana è quello che si viene a determinare per il dettato
dell’art. 50 del C.P.71; con il dettato di questo art., che, per altro serve fortemente a confermare la libertà di
autodeterminazione del paziente, nell’evenienza della cosiddetta eutanasia passiva consensuale, cioè quando si è di
fronte al netto rifiuto delle cure da parte del paziente, non si perfeziona alcuna responsabilità penale del medico. Il
medico dovrà chiaramente dimostrare che ha cercato di convincere il paziente e che questi ha deliberatamente posto in
essere un ostruzionismo palese e una decisione formalizzata contro la continuazione delle cure. Su tale irrilevanza
penale dell’omissione del medico, nel caso del dissenso del paziente inguaribile, non vi è alcun dissenso della dottrina e
della giurisprudenza. Nel caso di specie verrebbe meno il necessario nesso causale tra atto illecito e danno procurato.
Ciò può facilmente evincersi dal dettato dell’art. 40 C.P.72 che nel primo capoverso chiarisce che nessuno può essere
punito per atti che non possono essergli imputati volontariamente73. La discriminante nel caso è rappresentata dalla
guaribilità o in guaribilità del paziente : nel primo caso il medico deve intervenire e chiedere l’aiuto del giudice ove si
trovi innanzi al rifiuto del malato, mentre nel secondo caso il rifiuto del morente assume un effetto di esimente per il
sanitario che non riesce a trattare il malato. Diverse, infatti, sono le circostanze evidenziate : nel caso di speranza
64
Tale codice è stato modificato profondamente nel corso del 2006.
Abbiamo visto l’art. 16 del Codice di deontologia medica (medici chirurghi ed odontoiatri) del 3 ottobre 1998 (come modificato dal provvedimento
del 16.12.2006) che a proposito dell’accanimento diagnostico-terapeutico, recita :” Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove
espresse, deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute
del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”.
66
Art. 35/5°c. - Nuovo Codice di Deontologia Medica – “Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel
rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del
paziente”; il dettato del quarto comma viene a rafforzare in modo ragguardevole ciò che il medesimo codice aveva affermato con l’art. 16 a proposito
dell’accanimento terapeutico. In esso il richiamo alla dignità della persona e ulteriormente al beneficio della qualità della vita servono a conferire alla
azione del medico forme di salvaguardia nei casi in cui la coscienza ed il giudizio del medico vengono in conflitto con la volontà del paziente o dei
parenti di quest’ultimo. Il riferimento, poi, alle precedenti volontà del paziente segna una grande apertura verso il testamento biologico e le
conseguenti ipotesi di valore dei parenti del paziente quali delegati alle scelte sulla continuazione della terapia.
67
Art. 38 Nuovo Codice di Deontologia Medica - Autonomia del cittadino e direttive anticipate – omissis.. 3° c. “Il medico, se il paziente non è in
grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e
documentato.”
68
Art. 39 - Nuovo Codice di Deontologia Medica - Assistenza al malato a prognosi infausta- “In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o
pervenute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad atti e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psichicofisiche e
fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità di vita e della dignità della persona. In caso di
compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta ragionevolmente utile evitando
ogni forma di accanimento terapeutico”. Con la nuova formulazione dell’art. 39 risulta meglio chiarito l’orientamento della categoria professionale
avuto riguardo alla casistica trattata, anche se può sottilizzarsi che i medici con le ultime disposizioni deontologiche abbiano arretrato su alcune
precedenti assunzioni intorno alla cessazione della propria attività in fase terminale; tale arretramento ci appare evidente se si confronta il dettato del
vecchio art. 37 con quello del nuovo art. 39. per completezza si riporta il testo dell’art.37 del vecchio Codice Deontologico Medica - Assistenza al
malato inguaribile :“In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera
all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile,
della qualità di vita. In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finchè ritenuta
ragionevolmente utile. Il sostegno vitale dovrà essere mantenuto sino a quando non sia accertata la perdita irreversibile di tutte le funzioni
dell'encefalo”. Le parti sottolineate evidenziano la differenza tra il vecchio dettame e quello attuale. Con la vecchia versione, mentre si poneva in
risalto in modo retorico la necessità della assistenza morale del medico, con il terzo trafiletto era consegnato alla categoria un limite alla attività
terapeutica assolutamente oggettivo, ma che non fu palesemente accettato dalla opinione pubblica, cioè quello della morte encefalica.
69
Si ricordano qui le disposizioni dell’art. 32 della Cost. "Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per
disposizioni di legge" e dell’art. 35 del Codice di Deontologia dei medici che recita : "Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o
terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente. ".
70
L'art. 33 della legge 833/78 regola gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori.
71
Art. 50 C.P. - Consenso dell'avente diritto - “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente
disporne” ; ci si trova qui innanzi ad una causa di giustificazione, o scriminante, o esimente; in questa situazione non si perfeziona la fattispecie di
reato. Sicché se una norma declassa, per una contingenza specifica (qui il consenso dell’avente diritto), l’evento penalmente rilevante, questo diviene
lecito e non può essere irrogata alcuna punizione. Con il dettato dell’art. 50 si ha un effetto di rafforzamento del diritto di autodeterminazione della
persona.
72
Art. 40 C.P. - Rapporto di causalità, “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso,
da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di
impedire, equivale a cagionarlo”.
73
FIORE C., FIORE S., Diritto penale, Parte generale, Utet, Torino, 2004, pag. 186 e ss.; diverso potrebbe doversi considerare il caso dell’ipotesi in
cui, nonostante l’inguaribilità del paziente, l’intervento del medico potrebbe semplicemente ritardarne la morte; in questo caso la omissione del
medico si configurerebbe quale illecito nei confronti del paziente, per la sola possibilità di posticiparne la morte. La difficoltà di distinzione nel
concreto della citata casistica rende assai labili i limiti entro cui il medico può sentirsi sollevato dal peso della illiceità del proprio operato nel caso di
scelte da effettuare su moribondi.
65
ragionevole di guarigione si può tentare l’inverosimile, irragionevole ed assurdo è farlo quando non v’è speranza di
riuscita74. Parimenti anche il codice deontologico dei medici è su tale linea di interpretazione delle attività accettabili e
quelle inaccettabili in quanto illecite75.
3.1
La DAT – La Dichiarazione Anticipata di Trattamento
Come abbiamo potuto accennare a proposito dei numerosissimi interventi propositivi del Parlamento Italiano solo il 26
marzo del 2009, al Senato in prima stesura ed il 12 luglio 2011, a seguito di emendamenti della Camera dei deputati, sta
finalmente cominciando a vedere la luce il primo disegno76 avente ad oggetto le “Disposizioni in materia di alleanza
terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento77”. Certamente ai fini della lettura e
della critica del provvedimento, anche per poterne valutare la vera natura e lo spirito che esso presenta, diviene
essenziale analizzare approfonditamente l’art. 178 ; questo è da considerare fondamentale per capire gli obiettivi e i
dettami, espliciti ed impliciti, che la legge in formazione si propone e che andrà a imporre.
Con l’art. 1 (“tutela della vita e della salute”), vengono a cristallizzarsi alcuni canoni etici che travalicano il semplice
ricorso che il medesimo articolo fa al dettato costituzionale; con l’art. 1 in effetti si intende precisare con la massima
puntualità una serie molto importante di principi che a livello Costituzionale risultano cennati per grandi linee, ma di cui
adesso il legislatore reputa opportuno specificarne la portata e alcune caratteristiche oggettive.
É una precisazione peculiarmente ragguardevole, ai fini della regolamentazione degli interventi sanitari, che il
legislatore si preoccupi di ribadire che la vita umana, che costituisce costituzionalmente (art. 2) chiaramente un diritto
inviolabile ed indisponibile, debba essere correttamente e fedelmente garantito anche nella fase terminale dell’esistenza
o nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere. La specificazione assume valore di
riaffermazione che, le contingenze prescelte, il fine vita e la mancanza di capacità di intendere e volere, non debbano in
alcun modo essere considerate giustificazione od alibi per atti eutanasici; anzi tale divieto risulta palesemente ed
esplicitamente, oltre che con estrema forza, ribadito più volte all’interno del provvedimento; i redattori dimostrano di
avere il timore che, appunto, la estrema imponderabilità ed imprevedibilità delle condizioni in cui i malati e i degenti
possono venire a trovarsi, conducano a definire protocolli e procedure che costituiscono trucchi per dribblare i divieti.
La lettura della norma ci consente di intuire che i precetti non sono da intendere diretti esclusivamente agli operatori
sanitari, essi per la verità, ci appaiono come dei dettami di ordine generale con il segreto intento di conferire alla
74
VERSPIEREN P., La cura dei malati terminali, in SPINSANTI S. (a cura di), La morte umana.Antropologia, diritto, etica, Ed. Paoline, Milano
1987, pp.5-17 ; ancora VERSPIEREN P., Eutanasia? Dall’accanimento terapeutico all’accompagnamento dei morenti, Ed Paoline, Milano 1985;
Sull'accompagnamento come paradigma etico delle cure terminali, si veda anche: SEBAG-LANOE R., Mourir accompagné, Desclée de Brouwer,
1988;
75
a tale proposito appare rilevante introdurre, anche se a titolo di esemplificazione, che anche i giudici della Corte d’appello di Roma, nel maggio
2009, con propria sentenza, poi successivamente confermata dalla decisione n° 13746 della Corte di Cassazione, hanno chiaramente stigmatizzato il
superamento della ragionevolezza ed il sorgere dell’illiceità dell’atto medico, nel momento in cui, i medici intervenuti su una moribonda, hanno non
solo violato le regole della comune prudenza, ma pure le regole ordinarie provenienti dagli insegnamenti della scienza e dai principi di coscienza
minimali per i detti professionisti; nel caso di specie, ai fini dell’evidenziazione dell’illecito penale e deontologico, non rilevò in alcun modo che la
paziente avesse prestato consenso all’intervento; infatti, la Corte ebbe a rimarcare che «Nel caso concreto (date le condizioni indiscusse ed
indiscutibili della paziente affetta da neoplasia pancreatica con diffusione generalizzata, alla quale restavano pochi mesi di vita e come tale da
ritenersi inoperabile), non era possibile fondatamente attendersi dall’intervento un beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della
vita» e pertanto “i chirurghi avevano agito in dispregio al codice deontologico che fa divieto di trattamenti informati a forme di inutile accanimento
diagnostico-terapeutico”.
76
Frutto di una unificazione tra i seguenti diversi disegni di legge : nn. 10, 51, 136, 281, 285, 483, 800, 972, 994, 1095, 1188, 1323, 1363 e 1368.
77
Il disegno di legge a cui ci si sta riferendo è stato approvato, in prima lettura dal Senato, ed ha subito modifiche nell’approvazione alla Camera,
pertanto esso dovrà essere passato nuovamente al Senato per la seconda lettura e la riapprovazione molto probabilmente durante questo autunno 2011;
78
Art. 1.(Tutela della vita e della salute) (le parti in grassetto sono quelle modificate dalla Camera dei deputati)
1.
La presente legge, tenendo conto dei princìpi di cui agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione:
a) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in
cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge;
b) riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della
scienza;
c) vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio,
considerando l’attività medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzate alla tutela della vita e della salute nonché
all’alleviamento della sofferenza;
d) impone l’obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma
4, e sul divieto di qualunque forma di eutanasia, riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, che
acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita;
e) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato nei termini di cui
all’articolo 2, fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e
nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della
persona umana;
f)
garantisce che, in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da
trattamenti straordinari non proporzionati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura.
2.
La presente legge garantisce, nell’ambito degli interventi già previsti a legislazione vigente, politiche sociali ed economiche volte alla presa
in carico del paziente, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere, siano essi cittadini italiani, stranieri o apolidi, e della loro
famiglia.
3.
I pazienti di cui alla lettera f) del comma 1 hanno diritto a essere assistiti attraverso una adeguata terapia contro il dolore secondo
quanto previsto dai protocolli delle cure palliative, ai sensi della normativa vigente in materia.
tematica trattata una solidità ben più pregnante e prescrittiva di quanto ci si sarebbe dovuto attendere da un
provvedimento specifico.
La circostanza, non da poco, che la norma sia stata intestata anche alla “alleanza terapeutica”79 sebbene non sia una
novità è importante per due motivi; in primo luogo sino a questo provvedimento non v’era stata la preoccupazione dei
proponenti dei vari progetti di legge a conferire nuova forza a un canone come quello dell’alleanza terapeutica80 che
sembrava essere stato “consunto” per lo stesso avanzare della tecnica e della scienza medica. Tale richiamo ha pertanto
la sua valenza di tipo conservativo nei confronti di un valore che appariva tramortito dalla critica corrente ed a cui,
invece, il legislatore appare ancora legato. Invero, il legislatore in questa parte mostra una qualche difficoltà espressiva,
nella sua preoccupazione di connettere due operazioni che sono per la verità assai distanti e spesso antitetiche : la prima
è quella di evitare in ogni dove una possibile azione eutanasica, e la seconda di assicurare ai moribondi un trapasso
assistito; l’altro motivo del legislatore è ancora una volta chiarire che la morte del paziente deve avvenire per assistenza
ed accompagnamento e non per abbandono della terapia. È, infatti, la attenzione a non far interpretare la normativa in
senso eutanasico che impegna maggiormente il legislatore; Egli, ai fini della inibizione di ogni pratica anche camuffata
di eutanasia, introduce una serie di grimaldelli, anche indiretti e rivolti agli operatori oltre che ai pazienti, per chiarire
che la legge non debba in alcun verso e modo potersi interpretare nel senso di atto normativo volto a facilitare percorsi
eutanasici.
Con i punti c) e d) vengono prospettati chiaramente le indicazioni di contrasto all’eutanasia; richiamandosi alle
disposizioni degli artt. 575, 579 e 580 del codice penale, è detto che ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o
di aiuto al suicidio sono considerati reato mentre si riafferma la finalità della attività medica come quella volta alla
tutela della vita e della salute nonché all’alleviamento della sofferenza; l’ultimo richiamo si lega alle disposizioni che,
con lo stesso provvedimento legislativo, dovranno sopraintendere all’accompagnamento al fine vita e cioè a dire il
riconoscimento delle cure palliative come mezzo per l’assistenza terminale dei pazienti.
Il riconoscimento delle cure palliative, a noi pare sia la via alternativa indicata dal legislatore, quale nuova ipotesi di
morte naturale; il legislatore nella sostanza vuole precisare che il concetto di “morte naturale” che nel passato
erroneamente, per la comune accezione, è stato interpretato come trapasso indolore o quanto meno assistito dalla
benevolenza dei parenti, oggi proprio a motivo degli avanzamenti medici che hanno permesso un allungamento
notevole della speranza di vita e del suo benessere, hanno parimenti condotto, per la più gran parte, a morti con gravi
sofferenze. Tale situazione in concreto, dice il legislatore, deve essere accettata come condizione ordinaria e, quindi,
“naturale”; è compito precipuo della società interessarsi del trapasso naturale con le cure palliative allievative del dolore
e della sofferenza e permettere però che la medicina faccia il suo corso nell’intento di tutelare la salute e quindi la vita
dei cittadini.
Quest’ultimo orientamento è esplicitato anche al comma 2 dell’art. 1, con cui risulta rafforzato un nuovo compito della
sanità pubblica di approntamento di politiche sociali ed economiche intese a garantire la gestione dei pazienti incapaci
di intendere e di volere nonché di dare supporto alle loro famiglie; il dettame è abbastanza forte anche perché si apre a
carico dello stato un impegno economico decisamente rilevante con la individuazione di nuove forme di
accompagnamento, cura e assistenza dei malati in SVP81; si può ipotizzare con il precetto in questione che lo Stato
voglia definire un nuovo metodo di assistenza ai malati terminali, per esempio in ADI (assistenza domiciliare indiretta)
anche per il tramite di mezzi ultramoderni come può essere la telemedicina.
Altrimenti importante appare la priorità assegnata dal punto b) alla dignità umana82; essa è posizionata in termini
prioritari in relazione sia agli interessi della società civile che a quelli della tecnologia e della scienza; è indubitabile
come tale assunto, per la sua evidenza potrebbe apparire superfluo, mentre esso serve proprio nel contesto della
normativa a fissare un ordine di importanza che deve prevalere nelle attività terapeutiche e non solo; l’accenno al fatto
che la dignità umana debba essere prevalente anche agli interessi della società ci porta a dichiarare che con ciò il
legislatore sia nuovamente intervenuto per indicare che l’importanza della volontà del soggetto, innanzi alla sua
condizione sanitaria e allo stato di dignità della sua vita, abbia riconosciuto il sopravvento innanzi agli interessi sociali
di salvaguardia della vita; di contro, per quanto attiene alla postergazione e subordinazione dell’interesse delle
applicazioni della tecnologia e della scienza a quello primario della dignità della persona, la enunciazione ci appare
superflua in quanto nella pregressa legislazione a tale proposito non sussiste alcun dubbio : essa è più volte affermata e
ribadita.
79
È stata Elizabeth Zetzel – Rosenberg, psicoanalista e fisica, ad introdurre nel 1956 il concetto di alleanza terapeutica ed a spiegarne il significato.
Questa espressione intende indicare quel rapporto stabile e positivo che si instaura, in genere tra medico e paziente, e permette a quest’ultimo di
migliorare la propria predisposizione alla guarigione.
80
Il punto d) chiarisce che è “obbligo del medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, fatto salvo quanto previsto
dall’articolo 2, comma 4, e sul divieto di qualunque forma di eutanasia, riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il
paziente, che acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita”; tale ultima segnalazione, cioè l’importanza conferita alla “alleanza
terapeutica” nel fine vita ci appare contraddittorio in quanto sembra attribuire a detto sintagma un valore più ampio, e cioè a dire quello di funzione
del medico di accompagnamento alla morte ; tale funzione deve per altro leggersi nel contesto del “divieto di qualunque forma di eutanasia”;
81
Si ricorda che tale sigla, oramai accettata anche a livello internazionale, indica i malati terminali in stato vegetativo persistente.
82
Sembra, appunto, che l’ordine con cui vengono elencati i principi nell’art. 1 sia proprio quello della priorità e dell’importanza con cui il legislatore
ha voluto riconoscere i singoli dettami.
Le altre indicazioni ed enunciazioni dell’art. 283 sono ripetitive di dettami già noti come la prescrizione di forme diverse
di consenso informato84 e di tutela del diritto di scelta del trattamento sanitario da parte del paziente e quindi di
inibizione di trattamento in assenza di consenso.
Interessante, sebbene pleonastica, è la segnalazione delle caratteristiche dell’accanimento terapeutico; infatti, il punto f)
privilegia la straordinarietà e la sproporzione quali indici per la individuazione di quei trattamenti che, in caso di malati
terminali, debbano essere intesi quali accanimento terapeutico.
Gli artt. 3, 4 e 5 85 danno la disciplina ed i limiti delle DAT. Essi sono, quindi, la vera novità del provvedimento;
decisamente pulita e felice nella sua esposizione ci sembra il comma 1 dell’art. 3 che da una definizione, sebbene
indiretta, comunque esaustiva della dichiarazione anticipata di trattamento; con essa il dichiarante, di cui deve essere
comunque verificato86 lo stato di piena capacità di intendere e di volere e di compiuta informazione medico-clinica, in
previsione di una sua eventuale futura perdita permanente della capacità di intendere e di volere, anzitempo palesa le
proprie indicazioni destinate al medico nei riguardi della attivazione o meno di trattamenti terapeutici; è riconosciuta,
quindi, al dichiarante, grazie alla puntualizzazione del co. 2 la possibilità di rinunciare ad ogni o a specifici trattamenti
sanitari; mentre qui, appare però sbiadito l’accenno al carattere sproporzionato o sperimentale che devono rivestire i
trattamenti per essere da rinunciare, subito dopo il legislatore ha dettato regole stringenti in relazione a ciò che non può
essere oggetto di rinuncia o di dichiarazioni anticipate di trattamento; in effetti, con il punto 4 dell’art. 3 è chiarito che,
nel rispetto di ciò che stabilisce la Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone
disabili, la alimentazione e la idratazione devono essere mantenute fino al termine della vita; molto importante è il
divieto previsto per i trattamenti di mantenimento in vita di formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.
Certamente, ancora con la detta negazione si è voluto chiudere l’ulteriore passaggio verso la eutanasia “per rinuncia”
che poteva altrimenti essere facilmente attivata per tutti coloro che sono in SVP ma che il legislatore intende tutelare
fino all’ultimo.
La forma e la durata della DAT vengono regolamentate dall’art. 487; esso stabilisce che le dichiarazioni anticipate di
trattamento non sono obbligatorie, pertanto non devono essere effettuate da tutti i cittadini come altri provvedimenti
imponevano : esse sono formate esclusivamente per iscritto, con data certa e sono raccolte dal medico di medicina
generale che le deve sottoscrivere. Una ulteriore limitazione è data dal 3 co. del medesimo art. 4 che stabilisce un
termine di validità della DAT : essa perde efficacia oltre i cinque anni; tale limite, ovviamente, non si perfeziona nel
caso in cui il dichiarante non sia divenuto incapace di intendere e volere.Infatti, il momento della attivazione della DAT
è stabilito dal 5 co. dell’art. 5 che prevede che la dichiarazione inizia ad avere effetti dal momento in cui è accertato che
83
È prevista l’astensione obbligatoria del medico per i trattamenti straordinari e sproporzionati in riferimento agli obiettivi attesi.
Una ulteriore previsione è quella stabilita dal punto 6 che stabilisce che, in caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che
sottoscrive il documento; mentre in caso di inabilitato o di minore emancipato il consenso è prestato congiuntamente dal soggetto interessato e dal
curatore.
85
Art. 3.(Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento)
1.
Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante, in stato di piena capacità di intendere e di volere e di compiuta informazione medicoclinica, con riguardo ad un’eventuale futura perdita permanente della propria capacità di intendere e di volere, esprime orientamenti e
informazioni utili per il medico, circa l’attivazione di trattamenti terapeutici, purché in conformità a quanto prescritto dalla presente legge.
2.
Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di
trattamenti terapeutici in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale.
3.
Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e
580 del codice penale.
4.
Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006,
alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al
termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori
nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di
trattamento.
5.
La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le
informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale e,
pertanto, non possa assumere decisioni che lo riguardano. Tale accertamento è certificato da un collegio medico formato, senza nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica, da un anestetista-rianimatore, da un neurologo, dal medico curante e dal medico specialista nella
patologia da cui è affetto il paziente. Tali medici, ad accezione del medico curante, sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di
ricovero o, ove necessario, dall’azienda sanitaria locale di competenza.
86
La verifica dello stato di incapacità cerebrale, deve essere certificato, come riportato al precedente punto 5, da un collegio medico formato, da un
anestetista-rianimatore, da un neurologo, dal medico curante e dal medico specialista nella patologia da cui è affetto il paziente.
87
Art. 4. (Forma e durata della dichiarazione anticipata di trattamento)
1.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie, sono redatte in forma scritta con atto avente data certa e firma del soggetto
interessato maggiorenne, in piena capacità di intendere e di volere dopo una compiuta e puntuale informazione medico-clinica, e sono raccolte
esclusivamente dal medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive.
2.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento devono essere adottate in piena libertà e consapevolezza, nonché sottoscritte con firma autografa.
Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno
valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto.
3.
Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità per cinque anni, che decorrono dalla redazione
dell’atto ai sensi del comma 1, termine oltre il quale perde ogni efficacia. La dichiarazione anticipata di trattamento può essere rinnovata più
volte, con la forma e le modalità prescritte dai commi 1 e 2.
4.
La dichiarazione anticipata di trattamento può essere revocata o modificata in ogni momento dal soggetto interessato. La revoca, anche parziale,
della dichiarazione deve essere sottoscritta dal soggetto interessato.
5.
La dichiarazione anticipata di trattamento deve essere inserita nella cartella clinica dal momento in cui assume rilievo dal punto di vista clinico.
In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica.
84
il soggetto oramai è in condizioni di morte cerebrale e non risulta essere in grado di acquisire le informative circa il
trattamento sanitario somministrato. La valutazione dello stato clinico è demandata ad un collegio medico, costituito
presso la struttura ospedaliera ed integrato dal medico curante, e formato da un anestesista rianimatore e da un
neurologo.
Come si è potuto accennare in premessa, il provvedimento in approvazione, introduce nell’ordinamento sanitario un
nuovo trattamento in LEA88 cioè l’assistenza ai soggetti in stato vegetativo89; tale scelta del legislatore è fondamentale,
proprio per evitare che motivazioni economico-finanziarie spingano sia le strutture ospedaliere che i privati ed i parenti
alla scelta dell’abbandono dei trattamenti terminali a favore di soggetti in stato di incoscienza;
ciò determinerà però, sicuramente a scapito della assistenza pubblica oneri estremamente rilevanti e sicuramente
crescenti in quanto le persone che grazie alla medicina oramai vivono in condizioni di sostegno cerebrale artificiale
sono numerose e quindi rappresentano un impegno non indifferente. Devesi comunque, convenire che la opzione
prescelta dal legislatore, cioè quella di tutelare la vita ed aborrire l’eutanasia, nel provvedimento in fase di completa
approvazione si presenta coerente e pedissequamente perseguita nei minimi particolari.
Solo la implementazione concreta delle procedure previste e delle conseguenze strutturali volute dal Parlamento potrà
dirci se effettivamente lo Stato sarà nelle condizioni di condurre in porto le proprie decisioni90; è chiaro che non si potrà
mai fare capo alla somministrazione dei LEA per i pazienti in SVP in quanto questi hanno necessità per poter
sopravvivere di strutture sanitarie di rilievo.
Una figura centrale della disciplina della DAT è il fiduciario; questa è regolata dall’art. 6 91.
Con la DAT il paziente può nominare un fiduciario, il quale accetta la nomina sottoscrivendo la dichiarazione; con tale
accettazione il fiduciario si impegna a curare l’interesse del dichiarante e di agire ad esclusivo beneficio dello stesso;
egli diviene, quindi, l’unico soggetto legittimato ad interagire con il medico. Il fiduciario è però obiettivamente
impegnato a rispettare le intenzioni e le opinioni espresse dal soggetto con la propria dichiarazione anticipata; rilevante
è la scelta del legislatore di stabilire che nel momento in cui non vi sia un fiduciario, svolgono tale funzione i parenti
secondo la graduazione di parentela stabilita dal Codice civile; la figura del fiduciario si interconnette a quella del
medico che è regolamentata dall’art. 792. Con questo articolo viene sostanzialmente definito il valore giuridico della
DAT; le volontà, infatti, del paziente vengono rilevate dal medico per il tramite del fiduciario ed annotate nella cartella
clinica ed il medico mantiene un notevolissimo grado di giudizio circa il procedere o meno nella esecuzione dei voleri
del paziente. Difatti, la previsione della norma in approvazione, mentre impone al medico di utilizzare la cartella clinica
88
Sono LEA i livelli essenziali di assistenza medica ed ospedaliera con obbligo da parte dello Stato di sopportarne gli oneri e provvedere con strutture
pubbliche.
89
Art. 5.(Assistenza ai soggetti in stato vegetativo)
1. Al fine di garantire e assicurare l’equità nell’accesso all’assistenza e la qualità delle cure, l’assistenza ai soggetti in stato vegetativo rappresenta
livello essenziale di assistenza secondo le modalità previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002. L’assistenza sanitaria alle persone in stato vegetativo o aventi altre forme
neurologiche correlate è assicurata attraverso prestazioni ospedaliere, residenziali e domiciliari secondo le modalità previste dal citato decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri e dell’accordo sancito tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
sulle Linee di indirizzo per l’assistenza alle persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza, adottato dalla Conferenza unificata di cui
all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nella riunione del 5 maggio 2011. L’assistenza domiciliare,
di norma, è garantita dalla azienda sanitaria locale competente della regione nel cui territorio si trova il soggetto in stato vegetativo.
90
Il richiamo alla assistenza domiciliare che dovrà essere garantita dalla azienda sanitaria locale competente della regione nel cui territorio si trova il
soggetto in stato vegetativo, conduce a pensare che lo sbocco naturale delle scelte del legislatore dovranno essere quelle di una assistenza che si
svolga a casa del paziente per via telematica con supporti domiciliari di nuova generazione.
91
Art. 6.(Fiduciario)
1.
Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante può nominare un fiduciario maggiorenne, capace di intendere e di volere, il quale
accetta la nomina sottoscrivendo la dichiarazione
2.
Il dichiarante che abbia nominato un fiduciario può sostituirlo, con le stesse modalità previste per la nomina, in qualsiasi momento senza alcun
obbligo di motivare la decisione.
3.
Il fiduciario, se nominato, è l’unico soggetto legalmente autorizzato ad interagire con il medico e si impegna ad agire nell’esclusivo e migliore
interesse del paziente, operando sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nella dichiarazione anticipata.
4.
Il fiduciario è legittimato a richiedere al medico e a ricevere dal medesimo ogni informazione sullo stato di salute del dichiarante.
5.
Il fiduciario, se nominato, si impegna a vigilare perché al paziente vengano somministrate le migliori terapie palliative disponibili, evitando che
si creino situazioni sia di accanimento terapeutico, sia di abbandono terapeutico.
6. Il fiduciario, se nominato, si impegna a verificare attentamente che non si determinino a carico del paziente situazioni che integrino fattispecie di
cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale.
7. Il fiduciario può rinunciare per iscritto all’incarico, comunicandolo al dichiarante o, ove quest’ultimo sia incapace di intendere e di volere, al
medico responsabile del trattamento terapeutico.
8. In assenza di nomina del fiduciario, i compiti previsti dai commi 3, 4, 5 e 6 del presente articolo sono adempiuti dai familiari, come indicati dal
libro secondo, titolo II, capi I e II, del codice civile.
92
Art. 7.(Ruolo del medico)
1. Gli orientamenti espressi dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono presi in considerazione dal medico curante che,
sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirli o meno.
2. Il medico curante, qualora non intenda seguire gli orientamenti espressi dal paziente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento, è tenuto a
sentire il fiduciario o i familiari, come indicati dal libro secondo, titolo II, capi I e II, del codice civile, e ad esprimere la sua decisione
motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica o comunque su un documento scritto, che è allegato alla
dichiarazione anticipata di trattamento.
3. Il medico non può prendere in considerazione orientamenti volti comunque a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le
norme giuridiche o la deontologia medica. Gli orientamenti sono valutati dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione
del principio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute e della vita, secondo i princìpi di precauzione, proporzionalità e
prudenza.
per la segnalazione di quanto dettato dal paziente, gli consente però una notevole discrezionalità nel seguire o meno tali
direttive; egli è chiamato solo ad esprimersi in cartella clinica circa le motivazioni che gli conferiscono giustificazione a
seguire o meno le indicazioni del paziente.
Il medico però, in ogni caso, è inibito a seguire quelle indicazioni del paziente che sono mirate a cagionargli la morte e
comunque si presentino in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia professionale.
Quest’ultimo precetto, ancora una volta, serve a ridurre i margini di manovra, sia al dichiarante che al medico; mentre il
primo però potrebbe, anche in spregio alle previsioni limitative dell’art. 3, decidere di rilasciare le proprie ultime
volontà escludendo la continuazione e l’erogazione di trattamenti e cure, il medico, invece, non è facoltato in modo
assoluto dal seguire direttive anticipate che vadano contro la finalità della medicina che è imposta dal provvedimento e
cioè a dire la tutela della vita e l’alleviamento delle sofferenze. Appare strano che nel trattare delle attività del
professionista, il concetto di alleanza terapeutica, che parrebbe nel testo del provvedimento intesa “latu sensu”, cioè
quale assistenza ed accompagnamento al trapasso, qui non si perfeziona e si blocca al momento in cui il medico diviene
giudice del fine vita.
Le disposizioni finali di cui all’art. 893 prevedono una serie di procedure e di formalità che dovranno essere allestite per
dare concretezza alla DAT; la previsione più importante è che verrà approntata una banca dati informatica, denominata
Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento, da tenersi presso il Ministero della salute : le dichiarazioni e le
loro copie o certificazioni non saranno soggette a tasse o bolli od oneri accessori ed ogni accesso alle DAT potrà
avvenire anche per via internet.
4
La legislazione europea ed internazionale sull’argomento;
In questo paragrafo si cercherà di fornire un quadro sintetico intorno alle normative europee per quanto attiene al
testamento biologico nonché all’insieme della disciplina riguardante l’eutanasia e le problematiche connesse al fine vita.
Tale esame, certamente nel rispetto della natura della presente indagine, si limiterà alla enumerazione ed elencazione
delle normative, tempo per tempo adottate dai vari Paesi europei, segnalando per ogni norma importante le parti più
rilevanti e le peculiarità rimarchevoli.
Per quanto riguarda l’Europa, in generale, con la Convenzione di Oviedo94 sottoscritta tra tutte le nazioni europee il 4
aprile 1997 ad Oviedo nelle Asturie, si è definita una serie di principi basilari su cui, in concreto, si è potuta concordare
una vera e propria carta della bioetica europea;
i suoi articoli più rilevanti, e cioè l’11, 13, 14, 16, 17, 19, 20 e 2195 possono essere considerati dei veri è propri dettami
bioetici validi e riconosciuti per tutti i cittadini europei. L’art. 596, ha a nostro parere, una valenza e rilevanza profonda
perché esso, disciplinando il consenso, implica notevoli conseguenze giuridiche sia per quanto riguarda le DAT sia per
ciò che attiene più propriamente l’eutanasia e l’accanimento terapeutico.
Non bisogna comunque dimenticare che con l’art. 1 vengono dettate le finalità della Convenzione a cui si riconosce lo
scopo di impegnare tutti gli Stati europei alla protezione dell’essere umano nella sua identità, integrità e diritti, anche
avverso le applicazioni della biologia e della medicina; con l’art. 2 si stabilisce che : "L’interesse e il bene dell’essere
umano devono prevalere sul solo interesse della società o della scienza"97. Tale dettato lo ritroviamo nel suo significato
come identico nell’art. 1 punto b) della DAT in approvazione in Italia.
93
Art. 8.(Disposizioni finali)
1. È istituito il Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un archivio unico nazionale informatico. Il titolare del trattamento
dei dati contenuti nel predetto archivio è il Ministero della salute.
2. Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, il Ministro della salute, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, stabilisce le regole tecniche e le modalità di
accesso, di tenuta e di consultazione del Registro di cui al comma 1. Il decreto stabilisce altresì i termini e le forme entro i quali i soggetti che lo
vorranno potranno compilare le dichiarazioni anticipate di trattamento presso il medico di medicina generale e registrarle presso le aziende sanitarie
locali, le modalità di conservazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento presso le aziende sanitarie locali e le modalità di trasmissione
telematica al Registro di cui al comma 1. Tutte le informazioni sulla possibilità di rendere la dichiarazione anticipata di trattamento sono rese
disponibili anche attraverso il sito internet del Ministero della salute.
3. La dichiarazione anticipata di trattamento, le copie della stessa, le formalità, le certificazioni e qualsiasi altro documento sia cartaceo sia elettronico
ad esse connesso e da esse dipendente non sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti dall’imposta di bollo e da qualunque altro tributo.
4. Dal presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. All’attuazione del medesimo si provvede
nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie già previste a legislazione vigente.
94
La Convenzione è costruita su 14 capitoli e 38 articoli; essa è preceduta da un importante Preambolo che elenca le ragioni, politiche, etiche,
scientifiche e biologiche della sua necessità;
95
L’art. 11 disciplina la “Non discriminazione”; l’art. 13 gli interventi sul Genoma Umano; l’art. 14 Non selezione del sesso (del nascituro); gli artt.
17 e 19 definiscono delle regole generali per lo svolgimento della ricerca scientifica e sperimentale (essi specificano che il consenso nella ricerca e
sperimentazione dovrà avere forme di redazione diverse da quelle del semplice caso terapeutico); l’art. 20 Tutela delle persone incapaci di consentire
al prelievo d’organo; l’art. 21 Divieto del profitto (dall’utilizzo di parti del corpo umano).
96
L’art. 5 ci consegna una regola generale della Convenzione e cioè a dire : “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non
dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e
sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio
consenso”.
97
CIOMS/WHO. International Ethical Guidelines for Biomedical Research Involving Human Subjects, CIOMS, Geneva, November 2002.
L’art. 998, da il segnale agli Stati europei che devono ancora regolamentare la DAT; il precetto è comunque assai
generico tanto da lasciare ampio spazio al tipo e estensione della “considerazione” dei desideri del paziente; in verità a
livello europeo tale genericità a nostro parere ha determinato un forte scostamento tra ciò che è stabilito per le
dichiarazioni anticipate, sia in relazione alla loro forma, al loro valore giuridico, nonché alla pregnanza ed all’obbligo
del loro rispetto nei vari Stati europei.
Difatti, la semplice e limitata dichiarazione che i desideri espressi in antecedenza saranno tenuti in considerazione,
lascia largo spazio di manovra agli Stati nella loro legislazione di merito.
Di poi una precisazione attinente il caso delle incapacità del malato, per quanto in forma comunque indiretta, è dettata
dall’art. 699 che regola la protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso; con esso è prevista in
aggiunta a ciò che dispone l’art. 9 per quanto riguarda la disposizione anticipata, che sia nominato un rappresentante
che possa curare gli interessi del paziente; il rispetto puntuale delle prescrizioni del detto art. 6 presupporrebbe un
cambiamento di prospettiva precettiva;
in effetti, le organizzazioni pro-eutanasia e contrarie totalmente alla prosecuzione all’infinito di procedure di artificiale
mantenimento in vita di soggetti in SVP, hanno fatto rilevare che la scelta europea di Oviedo privilegia, nel caso di
incapacità del paziente, non già l’obbligo di autorizzazione e di consenso per i casi di interruzione dei trattamenti bensì,
al contrario, l’obbligo di autorizzazione per l’inizio e la prosecuzione degli stessi; tale ottica regolamentare invertita
lascerebbe gli Stati nella possibilità di accogliere e regolare l’uscita dal mantenimento ad libitum da parte del medico e
delle strutture ospedaliere per quegli interventi che oramai si limitano alla pura sopravvivenza incosciente100.
Il primo Paese europeo101 nel quale è stata introdotta la possibilità della scelta eutanasica è stato l’Olanda; in questa
nazione con la legge n.137, approvata il 10/04/2001, si è deciso di introdurre in modo definitivo102, nel proprio
ordinamento, la possibilità di permettere ad un medico di praticare su un malato terminale la scelta eutanasica ovvero di
fornire assistenza ad un malato che essendo in condizioni di irreversibilità decida di togliersi la vita. Ricordiamo che
l’Olanda è stata la nazione che, da sempre, si è per prima aperta a fenomeni sociali controversi, quali l’aborto, il
matrimonio tra omosessuali e l’eutanasia103, dimostrando di godere di una società estremamente aperta e di un sistema
98
Convenzione di Oviedo - Art. 9 Desideri precedentemente espressi. “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da
parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”.
99
Convenzione di Oviedo - Art. 6 Protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso.
•
Sotto riserva degli articoli 17 e 20, un intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un
diretto beneficio della stessa.
•
Quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza
l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore è preso in
considerazione come un fattore sempre più determinante,
•
in funzione della sua età e del suo grado di maturità.
•
Allorquando, secondo la legge, un maggiorenne, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare, non ha la capacità di
dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o
di un organo designato dalla legge.
•
La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione.
•
Il rappresentante, l’autorità, la persona o l’organo menzionati ai paragrafi 2 e 3 ricevono, alle stesse condizioni, l’informazione menzionata
all’articolo 5.
•
L’autorizzazione menzionata ai paragrafi 2 e 3 può, in qualsiasi momento, essere ritirata nell’interesse della persona interessata.
100
A livello ufficiale il Consiglio d'Europa sin dal 1976, marginalmente, e in termini più concreti con la raccomandazione 1418 “sui diritti umani e la
dignità dei malati gravi e dei malati terminali” ha affrontato con la definitiva risoluzione del 25 giugno del 1999 la problematica dell’eutanasia
riconoscendo che tutti gli Stati Membri garantiscono il diritto alla vita in accordo al dettato dell’art. 2 della Convenzione Europea dei diritti umani;
questo afferma che “nessuno sarà privato della sua vita intenzionalmente”, sicchè anche il desiderio di un malato terminale non può costituire una
giustificazione legale per effettuare azioni dirette a causarne la morte. Appare diversa la costatazione della Commissione Affari Sociali europea, con il
Rapporto “Marty”, che attesta come il fenomeno dell’eutanasia in Europa, connotandosi di segretezza e notevole riservatezza, diviene non trasparente
per cui non si riesce ad individuarne la notevole ampiezza. Difatti, essa, nonostante si presenti con aspetti di forte rilevante penale è molto spesso non
sanzionata o addirittura non rilevata; lo stesso rapporto “Marty” esorta gli stati ad aprire in tutta europa un dibattito franco sull’argomento in modo da
non favorire il cosiddetto turismo del suicida.
101
Anche la Confederazione Elvetica punisce il reato di eutanasia, ma è il paese ove invece l’aiuto al suicidio per una persona che ha di deciso di
farlo, anche fornendo i mezzi, è considerato un atto di umanità e non costituisce reato; sicchè proprio per questo la Svizzera, è il paese dove
l’eutanasia risulta, in modo camuffato, un non reato ed è meno perseguita; in Svizzera, infatti, addirittura esistono due organizzazioni che si sono
ritagliate notevole notorietà per avere portato a termine qualche centinaio di casi di suicidio assistito; queste due associazioni sono la Exit e la
Dignitas; il presidente della prima, Jérome Sobel, è soprannominato il "dottor morte" della Svizzera; solo nel 2000 il Consiglio Federale ha legiferato
intorno all’eutanasia pervenendo ad una sua piena regolamentazione;
102
La nuova norma sostituisce la legislazione precedente che si presentava a livello europeo come la più avanzata; essa di fatto permetteva la pratica
eutanasica nonostante formalmente la stessa fosse condannata come illegale; la conversione in Olanda è stata forse aiutata dai numerosi sondaggi
sull’argomento che hanno sortito risultati clamorosi per i quali addirittura l' 85% dei cittadini olandesi, nel caso di "gravi sofferenze fisiche", si era
dichiarato favorevole alla "dolce morte".
103
La legge olandese non elimina dall'ordinamento i reati di eutanasia e di suicidio assistito, ma in concreto li rende non punibili in quei casi in cui
vengano rispettate determinate specifiche condizioni. Legge n. 137- Anno parlamentare 2000-2001 in vigore dall’ 1/4/2002, intitolata“ Riforma delle
procedure per porre fine alla vita su richiesta e per suicidio assistito e degli emendamenti al codice penale e alla legge su cremazione e sepoltura” .
Nel preambolo della legge si dice testualmente“…abbiamo considerato includere una norma per l’ esenzione dalla responsabilità criminale per i
medici che con l’ osservanza dovuta dei requisiti della cura necessaria rischiano di essere perseguiti dalla legge per aver posto fine ad una vita su
richiesta o per aver assistito nel suicidio un’ altra persona, e di provvedere ad una notifica di legge e ad una riforma delle procedure.” La Legge
olandese, la cui finalità è sostanzialmente la “non punibilità” dei medici che da tempo praticavano l’eutanasia, prevede quanto segue: il medico che
pratica l’eutanasia deve avere la piena convinzione che la richiesta del paziente è volontaria e ben ponderata, che le sofferenze del paziente sono
resistenti a terapie e insuperabili, che il paziente ha la convinzione che non c’è altra ragionevole soluzione circa la propria situazione. Il medico deve
inoltre consultare un altro medico che ha visitato il paziente e dato il suo parere scritto sui requisiti del trattamento e deve porre fine alla vita dell’
politico sociale assolutamente avanguardista e liberissimo. Ulteriormente, sempre l’Olanda è stata la prima nazione
europea a dare realizzazione al dettato dell’art. 9 della Convenzione tra i Paesi europei; anzi tale riconoscimento diviene
molto più avanzato in quanto oltre a regolare e riconoscere la dichiarazione anticipata di trattamento è prevista la sua
validità anche nel caso venga espressa l’intenzione, da parte del paziente di procedere a ricorrere all’eutanasia; pure la
Danimarca è da sempre stata una nazione assolutamente aperta e libertaria 104.
A questi due Paesi si aggiunse il Belgio che con il titolo III della L.28/05/2002, introdusse una compiuta disciplina
dell’eutanasia105, e regolò pure la Declaration anticipée106, con questa disciplina si previde una serie di formalità
burocratiche per garantire il rispetto da parte dei terapeuti dei voleri del paziente sotto la supervisione di una
Commissione federale avente il compito di controllo e di giudizio nei singoli casi107. Anche la Spagna108 nel medesimo
anno approvò le Instrucciones previas con l’art.11 della legge n.41 del 14/11/2002 109 “Sull’autonomia del malato e sui
diritti e sulle obbligazioni in tema di informazione e documentazione clinica”.
Nel Regno Unito, Paese conservatore per eccellenza, ancora non si è dipanata la matassa giurisdizionale e
giurisprudenziale sulla eutanasia; essa ancora oggi è condannata ed è perseguito anche l'aiuto al suicidio a norma del
"Suicide Act"; attualmente si trova in discussione alla Camera dei Comuni “L'assisted dying for the terminally ill bill”
(la legge sulla morte assistita per malati terminali), che dovrebbe regolamentare una forma di suicidio assistito molto
similare a quella dell’Oregon; infatti, ancora oggi, in Inghilterra, nonostante vari approcci legislativi e proposte
assistito o ad un suicidio con le dovute attenzioni. Se il paziente con età superiore a 16 anni non è capace di esprimere la sua volontà è sufficiente che
abbia fatto tale richiesta in un testamento scritto; se il minore ha un’ età compresa tra 16 e 18 anni i genitori devono essere “coinvolti” nel processo
decisionale; se l’età è compresa tra i 12 e 16 anni i genitori o i parenti devono essere d’accordo nel praticare l’eutanasia.
104
In Danimarca i pazienti incurabili sin dal 1992, grazie al loro "testamento biologico", possono decidere di non essere tenuti in vita artificialmente.
L’interruzione delle cure è pertanto non punibile nei confronti del medico; La Lov om patienters retsstilling del 1998, che è la legge danese sui diritti
del malato, ulteriormente prescrive che non si possa avviare o mantenere alcun trattamento senza il chiaro consenso del paziente. Solo in due casi i
pazienti non possono rifiutare la terapia; il primo è quello dello stato di temuta epidemia, il secondo è quello dei malati di mente per cui vi è il rischio
che mettano in pericolo la vita degli altri.
105
Anche la legge belga fu sostenuta da uno studio del 1998 per stimare la frequenza con cui si verificavano pratiche di cessazione della vita. Da
quell’indagine si potè appurare che su 1925 decessi di tipo assistito ben 720 dipendevano da decisioni di cessazione anticipata del paziente con
somministrazione di farmaci ad effetto letale mentre 303 erano dipendevano da rifiuto o sospensione di trattamenti vitali.
106
In Belgio, per la verità, la scelta eutanasica è stata fatta con estrema linearità e semplicità; Essa è valida, infatti, anche se espressa per mezzo della
richiesta anticipata di eutanasia e si attiva in due casi incontestati e verificati dalla Commissione; il primo è quello dell’affezione, accidentale o
patologica, grave e incurabile il secondo quando si realizza una situazione irreversibile in ordine all’attuale stato della scienza. I parlamentari belgi
sono stati più rigorosi di quelli olandesi; essi non hanno appositamente regolato il suicidio assistito ed hanno voluto che il testo nascesse da un
dibattito aperto a cui hanno partecipato attivamente esperti, filosofi etici, medici, religiosi e pazienti; particolare importante , che replica la scelta
olandese è la obbligatorietà per il medico chiamato a valutare le condizioni del paziente terminale di farsi assistere, in tale attività, da un secondo
medico indipendente con cui approfondire la patologia e, nel caso in cui sia ipotizzabile che la sopravvivenza permanga per tempi lunghi, intervenga
addirittura un terzo medico. Legge Belga n. 1488/001 in vigore dal 23/9/2002: l’eutanasia è definita “un atto, ad opera di una terza persona, avente
lo scopo di porre fine alla vita di una persona che ha richiesto questo atto”. Solo un medico può praticare l’ eutanasia. Il medico non commette
delitto, se è certo che: la richiesta è formulata da un paziente adulto o minore emancipato, il paziente ha la piena capacità legale ed è cosciente, la
richiesta è volontaria, ben considerata e ripetuta, il paziente è affetto da dolore intollerabile e costante, fisico o psichico, o sofferente per una malattia
o un incidente, la persona non può essere curata.
107
A differenza di quanto si può constatare nel costrutto della legge olandese che si presenta indirizzata più al medico ed a salvaguardare le azioni di
questo, la legislazione belga si presenta più attenta ai connotati umani del paziente e si interessa più approfonditamente della condizione terminale
dello stesso nel segno di un riconoscimento più ponderato e non asettico della forte tematica e delle implicazioni di ordine etico del fine vita. La
legge belga, infatti, propone come rilevante e decisiva la problematica della sofferenza per la cui insopportabilità ed irreversibilità, diviene scusata
dalla necessità di una morte dignitosa come prosecuzione della dignità della vita.
108
In Spagna, la legislazione appare leggermente contraddittoria, mentre l'eutanasia o il suicidio assistito sono considerati dei crimini per via delle
disposizioni dell’art. 143.4 del Codice Penale; (anche la Legge Organica 10 del 23/11/1995 dispone che: "Chiunque causi o cooperi attivamente
mediante un'azione diretta o necessaria alla morte di un individuo, in seguito a richiesta esplicita, seria e inequivocabile di questi, anche se la vittima
soffrisse di una grave malattia che lo porterebbe inevitabilmente alla morte, o che producesse gravi sofferenze permanenti e difficili da sopportare,
sarà punito con una pena inferiore di uno o due gradi a quelle segnalate ai punti 2 e 3 di questo articolo"), Con l'articolo 10-9 della Legge Generale
di Sanità n. 14, del 25 aprile 1986 è considerato legale rifiutare le cure mediche; infatti esso dispone che : “Tutti hanno i seguenti diritti riguardo alle
diverse amministrazioni pubbliche sanitarie : Rifiutare le cure nei casi indicati nella sezione 6; per il quale dovrebbero richiedere il periodo
contributivo volontario, secondo i termini stabiliti nella sezione 4 del seguente articolo.” Ed ancora l’art. 6 recita che "Sulla libera scelta tra le
opzioni presentate dal medico responsabile del caso, è necessario un previo consenso scritto dell'utente per la realizzazione di qualsiasi intervento,
eccetto nei seguenti casi: a) Quando il non intervento presuppone un rischio per la salute pubblica; b) Quando è incapace di prendere decisioni; nel
cui caso, tale diritto spetterà ai familiari o alle persone a lui prossime; c) Quando l'urgenza non consente di aspettare a causa di possibili danni
irreversibili o in caso di pericolo di morte”.
109
Ley n. 41 del 14/11/2002 - Artículo 11 - Instrucciones previas.
1. Por el documento de instrucciones previas, una persona mayor de edad, capaz y libre, manifiesta anticipadamente su voluntad, con objeto de que
ésta se cumpla en el momento en que llegue a situaciones en cuyas circunstancias no sea capaz de expresarlos personalmente, sobre los cuidados y el
tratamiento de su salud o, una vez llegado el fallecimiento, sobre el destino de su cuerpo o de los órganos del mismo. El otorgante del documento
puede designar, además, un representantepara que, llegado el caso, sirva como interlocutor suyo con el médico o el equipo sanitario para procurar
el cumplimiento de las instrucciones previas.
2. Cada servicio de salud regulará el procedimiento adecuado para que, llegado el caso, se garantice el cumplimiento de las instrucciones previas de
cada persona, que deberán constar siempre por escrito.
3. No serán aplicadas las instrucciones previas contrarias al ordenamiento jurídico, a la"lex artis", ni las que no se correspondan con el supuesto de
hecho que el interesado haya previsto e nel momento de manifestarlas. En la historia clínica del paciente que dará con stancia razonada de las
anotaciones relacionadas con estas previsiones.
4.Las instrucciones previas podrán revocarse libremente en cualquier momento dejando constancia por escrito.
5.Con el fin de asegurar la eficacia en todo el territorio nacional de las instrucciones previas manifestadas por los paziente y formalizadas de
acuerdo con lo dispuesto en la legislación de las respectivas Comunidades Autónomas, se creará e nel Ministerio de Sanidad y Consumo el Registro
nacional de instrucciones previas que se regirá por las normas que reglamentariamente se determinen, previo acuerdo del Consejo Interterritorial
del Sistema Nacional de Salud.
sviluppatesi tra il 1936 ed il 2005110 si è optato per una disciplina di tipo deontologico111; in sostanza non si è proceduto
per la via della vera legiferazione, ma si è consentito che l’eutanasia passiva fosse oggetto di regole di tipo
professionale112; tali norme deontologiche prevedono la non punibilità del medico nel caso di cosiddetta mental
incapacity113; tali precetti si legano alle altre norme che consentono, non sanzionandolo, il caso del malato terminale
che rifiuta le cure; diverso è il caso del Testamento biologico o living will114, esso non risulta espressamente regolato
dalla disciplina legislativa, però, come è logico in una nazione di common law, è integralmente rimesso alla
regolamentazione ed accettazione della più consolidata giurisprudenza.
In Francia, attualmente è in vigore la legge n. 2005-370 del 22 aprile 2005 che è “relativa ai diritti del malato ed alla
fine della vita”; tale provvedimento, è più conosciuto con il nome del suo proponente, Leonetti115, e fu il portato di un
lungo dibattito116 iniziato nel corso del 2003117 e terminato appunto con l’approvazione della detta disciplina118; la legge
in questione prevede che un malato possa rifiutare le terapie, mentre è il medico a non poterlo fare; difatti, è in piena
vigenza la regola che qualunque medico che genericamente si rifiuti di aiutare una persona malata dovrà essere
processato. L'eutanasia è, quindi, proibita in Francia, e lo dovrebbe essere anche se praticata mascheratamente o in via
passiva119 da un sanitario o da qualsiasi altra persona120; ciò nonostante, deve evidenziarsi che in Francia esiste da
sempre grande sensibilità ai casi umani, tant’è che le norme regolamentari intervenute successivamente nel 2006121 le
quali sono, comunque, in applicazione delle previsioni della legge, hanno dilatato l’orientamento normativo; invero si
riscontra in questa nazione una sorta di attenzione “connivente” verso la benevola comprensione di quei casi difficili e
penosi che la cronaca ha nel tempo proposto; la Francia, ha dimostrato finanche tutta la sua capacità di tolleranza,
addirittura non arrestando nemmeno i medici autoaccusatisi di attività che concretizzavano pienamente la fattispecie di
eutanasia “attiva” avendo somministrato barbiturici a morenti terminali coscienti e richiedenti la cessazione della
110
Nel 1936 la Camera dei Lord ha respinto la richiesta di legalizzare l'eutanasia attiva volontaria. La medesima proposta è stata bocciata nel 1990
(101 voti contro 35).
111
L’Inghilterra, con il Mental Capacity Act del 2005, si è chiaramente privilegiata una via alla regolamentazione di tipo singolare; infatti, tutte le
decisioni dei soggetti che versino in una situazione di inability to make decision devono essere assunte nel rispetto del principio del best interest; cioè
deve essere valutato, in via preliminare, l’interesse più marcato del soggetto inabile e perseguirlo correttamente anche per via del rispetto delle
volontà precedentemente espresse dal malato; con tale sistema potranno essere assunte ed eseguite da altri, in vece del soggetto inabile, sia decisioni
che involgono la sfera patrimoniale o strettamente del benessere psicofisico dello stesso (con il lasting power of attorney), sia quelle decisioni
anticipate intorno alla prosecuzione dei trattamenti sanitari (per mezzo dell’ advance decisions to refuse treatment).
112
Il codice di condotta professionale del medico in Gran Bretagna, nelle ipotesi di paziente in SVP, prescrivono al medico curante che è davanti alla
decisione di interrompere le cure, di raccogliere una preventiva decisione giudiziaria;
Cfr. Airedale NHS Trust vs Bland AC 789-Estratti dei pareri dei giudici tradotti in italiano in Bioetica, 1997, pp. 305 ss.
113
La Legge dei Diritti Umani del 1998, stabilisce che il diritto della persona alla vita sia protetto per legge. Cosicchè nel Regno Unito risulta illegale
aiutare un individuo a commettere suicidio. Si sa comunque che nel Regno Unito, vige un sistema di Common law ove cioè prevalgono gli
orientamenti della giurisprudenza, e pertanto più che la normativa assumono vigore e forza di legge le decisioni dei giudici della Corte Suprema
(Divisional Court).
114
Il caso più eclatante e più citato con cui si introduce valore al living will è quello del sig. Bland, malato in SVP; sebbene con una decisione
parzialmente contraddittoria la Corte Suprema, nel 1993, ritenne che i medici, proprio per motivi professionali e per una sorta di valutazione
scientifica della vita residua del paziente, non avessero alcun obbligo alla continuazione della somministrazione dei trattamenti medici, che nel caso
specifico si limitavano alla alimentazione artificiale e alla somministrazione continua di antibiotici; una ulteriore, decisione ragionata dei giudici,
sentenziava, che nel caso che il paziente non è più in grado né di accettare né di rifiutare il trattamento e non abbia espresso una volontà precedente, i
medici siano tenuti a decidere dopo averne discusso con i familiari. L’accenno di questa sentenza alle volontà precedenti permise il riconoscimento
delle dichiarazioni anticipate di trattamento nella giurisprudenza Inglese; successivamente, altre sentenze definirono puntualmente le regole e le
condizioni entro cui le living will potessero essere considerate valide dai medici di malati terminali; rimane comunque chiaro che i medici inglesi non
sono vincolati né dalle decisioni dei parenti né da quelle eventualmente espresse dal rappresentante terapeutico ove esistente, essi invece sono
vincolati al migliore interesse per il paziente; nel caso in cui vi sia profonda perplessità sulla decisione circa il mantenimento o la cessazione di un
trattamento volto alla semplice sopravvivenza del soggetto terminale, i medici devono richiede non già un parere medico, bensì un parere giuridico
rilasciato eventualmente dalle proprie associazioni di categoria o da un avvocato specializzato.
115
La Francia, per quanto riguarda sia l’eutanasia che per il testamento biologico ha scelto una disciplina moderata e tollerante; invece di impedire
totalmente un diritto di autodeterminazione e la cui realizzazione risulta ovviamente confliggente con altri diritti fondamentali, lo regolamenta
stabilendo i limiti entro cui è possibile muoversi; la ulteriore regolamentazione assolutamente elastica e moderna del testamento biologico e la sua
validità triennale sono forme decisamente condivisibili ed auspicabili anche per l’Italia;
116
Cfr. il rapporto finale del presidente della Commissione, LEONETTI M. J., Rapport fait au nom de la mission d’information sur
l’accompagnement de la fin de la vie, n. 1708, del 30 giugno 2004.
117
Nel corso del 2003 fu istituita una apposita Commissione conoscitiva e di studio, presso l’Assemblea Nazionale, con argomento specifico
l’“accompagnamento alla fine della vita”.
118
La legge si compone di quindici articoli, che sono assai incidenti sulle disposizioni del code de la santé publique; assai interessante appare la
previsione modificata nell’art. 1111 del code che prevede una procedura collegiale con cui il medico possa limitare o interrompere il trattamento, nel
caso in cui la persona malata non sia in grado di esprimere la propria volontà. La norma regolamentare di detta previsione è stata introdotta dal
decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006; ancora assai importante è il decreto n. 2006-119 del 6 febbraio 2006 che ha introdotto le regole per le
direttive anticipate, queste devono essere formulate per iscritto, datate e firmate e durano solamente per tre anni; possono essere revocate; ogni loro
modifica fa decorrere nuovamente i tre anni di validità.
119
La normativa, che appare assai stringente, epperò nella pratica essa è elasticizzata dalla tipica tolleranza francese su tutto ciò che attiene ai
comportamenti che vengono considerati strettamente privati; tutti i sondaggi sviluppati sull’argomento dalla stampa più diffusa hanno condotto
chiaramente a risultati che indicano come la più grande maggioranza dei francesi è favorevole ad una legge che autorizzi i medici a praticare
l’eutanasia su persone che soffrono di malattie insopportabili e incurabili. Cosicchè, anche nella pratica si riscontra una certa tolleranza verso la
cosiddetta “astensione terapeutica” (più propriamente eutanasia passiva) verso quei casi in cui l’accanimento terapeutico emergerebbe in modo palese;
120
Tale norma è comunque dettata a livello deontologico per via dell’art.38 del codice di etica medica che recita "nessuno ha il diritto di procurare
volontariamente la morte"; L'eutanasia è pertanto da considerare, in Francia, assolutamente incompatibile con la legge, la pratica medica e l'etica.
121
Décret n. 2006-119 du 6 février 2006 relatif aux directives anticipées prévues (dispositions réglementaires); Décret n. 2006-122 du 6 février 2006
relatif au contenu du projet d’établissement ou de service social ou médico-social en matière de soins palliatifs.
propria esistenza122; tra gli altri Paesi europei il Lussemburgo e la Svezia hanno proceduto a modificare le proprie
legislazioni, sia prevedendo e regolamentando il testamento biologico, sia conferendo una certa elasticità ai casi
dell’eutanasia passiva123. Anche in Germania il cammino verso l’adozione di una disciplina sul testamento biologico si è rivelato come in Italia,
tutt’altro che pacifico; esso è stato il frutto ultimo di accesi dibattiti anche in seno agli stessi schieramenti politici
tedeschi124, tra chi dava rilievo all’importanza di un urgente e puntuale intervento legislativo, per porre freno e
regolamentare una prassi che si stava consolidando (quella per l’appunto di molti tedeschi, di redigere una disposizione
di direttive anticipate125 pur non essendo valida secondo l’ordinamento tedesco) e chi riteneva, invece che fosse più
giusto non intervenire ad arginare quel fenomeno, con delle regole tassative che, altrimenti avrebbero compromesso la
libera audeterminazione del singolo su un argomento talmente delicato come il “fine vita”. L’accelerazione verso
l’approvazione legislativa delle disposizioni del paziente prese avvio da una storica sentenza, la n. 2003249 del
Bundesgerichtshof126 (la Corte suprema federale tedesca, l’equivalente della nostra Corte di Cassazione) il 17 marzo
2003. In tale sentenza127 il Bundesgerichtshof stabiliva la natura vincolante della Patientenverfügung e chiariva che una
semplice dichiarazione non potesse essere automaticamente sufficiente a determinare le disposizioni anticipate
riguardanti qualsiasi atto concernente la vita dei singoli e ciò proprio a motivo del rispetto del diritto di
autodeterminazione individuale e della clausola della tutela della dignità umana prevista al primo comma del primo
articolo della Costituzione tedesca (Grundgesetz)128. Il Bundesgerichtshof sottolineava che tale atto di disposizione
costituiva una specifica forma di dichiarazione di volontà, con la conseguenza che, con riferimento allo stesso,
dovevano essere applicate le regole generali relative a tali atti contemplate nel BGB. Per ben sei anni si erano susseguite
diverse proposte di legge129 senza che nessuna di esse trovasse mai l’approvazione e quindi un riscontro in termini di
maggioranza in Parlamento. Solo il 18 giugno 2009130 venne approvata dal Bundestag, una legge che evitava qualsiasi
cieco automatismo tra testamento biologico e attuazione delle disposizioni ivi contenute, consentendo alle persone
122
E’ rimasto famoso il caso veramente pietoso di Vincent Humbert, cieco, muto e tetraplegico, che essendo pienamente cosciente, chiese al
Presidente della Repubblica Chirac di poter morire e che poi fu aiutato a cessare d’esistere dalla madre e dal prof. Chaussoy; quest’ultimo, secondo le
disposizioni vigenti doveva essere arrestato, e rischiò la condanna all’ergastolo; egli però, non solo non fu arrestato, ma ottenne la solidarietà del
Ministro della Giustizia che invitò la magistratura ad agire con estrema moderazione dimostrando tutta l’umanità necessaria al caso;
123
Tra gli altri Paesi europei il Lussemburgo recentemente, (il 19 febbraio 2008) ha introdotto la eliminazione delle sanzioni penali nei confronti dei
medici che aiutano i moribondi, nel caso di loro specifica richiesta, a chiudere la propria esistenza. In pratica con il provvedimento l'eutanasia può
essere autorizzata, da una commissione di esperti e col consenso di due medici nei casi di malati terminali ed incurabili che ripetutamente chiedono di
cessare di vivere;in sostanza il Lussemburgo si è allineato agli altri due Paesi del Benelux (Belgio ed Olanda). Anche in Svezia l'eutanasia non è
perseguita penalmente, anche se per fattispecie diverse.Negli USA la normativa è diversa a seconda dei suoi tanti stati federati, a motivo del fatto che,
per la materia della eutanasia e delle procedure connesse, la Corte Costituzionale Federale ha concesso ad ogni singolo Stato di legiferare in proprio;
cosicchè mentre per le dichiarazioni anticipate di trattamento tutti gli Stati americani hanno regolato, quasi in maniera similare riconoscendone il
valore giuridico e legale, per l’eutanasia è stato solo lo Stato dell’Oregon a riconoscerne la liceità anche nella versione “attiva”; il tema dell’eutanasia
è comunque assai dibattuto dall’opinione pubblica americana tant’è che certamente mai vi sarà una omogeneità di vedute in tutti gli Stati della
federazione.
124
Sui dibattiti e le problematiche precedenti l’ultima normativa Cfr. LIPP V., Patientenautonomie und Lebensschutz: Zur Diskussion um eine
gesetzliche Redelung der “Sterbehilfe”, Georg August Universitätsdrucke Göttingen, Göttingen, 2005, in partic. pp.5-9. L’ultima proposta di legge,
per la quale si è dubitato a lungo che vi potesse essere una maggioranza in Parlamento, ha ricevuto in giugno i voti favorevoli di 317 deputati; 233 i
contrari, 5 gli astenuti, 57 hanno invece abbandonato l’aula in segno di dissenso. Come spesso accade per tutte le questioni di coscienza, gli stessi
gruppi parlamentari si sono letteralmente spaccati al loro interno. A votare per la proposta più radicale gran parte dell’SPD, dell’FDP, di Die Linke e
qualche deputato dei Verdi, tradizionalmente più conservatori sulle questioni biopolitiche. La CDU/CSU era invece lacerata al proprio interno tra
iniziative di legge diverse, ma comunque accomunate tutte da uno spirito più prudente. Cfr. il sito ufficiale del Bundestag, www.Bundestag.de/
125
Anche nell’incertezza sull’effettiva validità di una sottoscrizione nel merito, ben quasi nove milioni di persone lo avevano redatto.
126
BGH, XII ZB 2/03. Consultabile on line sul sito ufficiale del Bundesverfassungsgericht:www.bverfg.de/ la Corte, in tale pronuncia sottolinea che
la forma scritta non costituisce un requisito necessario; tale atto di disposizione è suscettibile di essere revocato o modificato in qualsiasi momento dal
soggetto interessato, che può altresì liberamente decidere se avvalersi o meno dell’opera di un professionista (delle discipline giuridiche o mediche).
127
Tale sentenza introdusse per la prima volta sia la figura della Betreuungsverfügung (nomina di un curatore) sia quella della Vorsorgevollmacht
(mandato preventivo a gestire i propri beni) e di conseguenza la figura dei gestori, soggetti delegati ad occuparsi di tutte le questioni attinenti ai
trattamenti medici per il caso di futura incapacità di un soggetto. Le volontà di quest'ultimo in merito, sono esplicitate nell'atto di nomina del curatore
o del mandatario; tali soggetti non possono discostarsi dalla volontà così espressa, come aveva affermato (incidentalmente) la Corte suprema federale
nella citata sentenza. Quest'ultima decisione riguardava, tuttavia, una fattispecie diversa: il curatore era stato nominato di ufficio dal giudice tutelare,
e, quindi, ovviamente, nell’atto di nomina non vi erano manifestazioni di volontà da parte del soggetto interessato; inoltre, questi aveva espresso la
sua volontà, ma in forme incerte e difficilmente considerabili come un testamento biologico. In tale contesto, la Corte stabilì che, nell'ipotesi di
difformità di vedute tra il medico ed il curatore in merito all’opportunità di proseguire il mantenimento artificiale in vita del paziente e
all'interpretazione della volontà di quest'ultimo (nel caso di specie, il medico si opponeva alla richiesta, avanzata dal curatore, di interruzione
dell’alimentazione del malato), la decisione finale spetta al giudice tutelare.
128
La Corte riconduce la natura vincolante della Patientenverfügung al diritto di autodeterminazione dell'individuo, in quanto il principio della tutela
della dignità umana (stabilito dall'articolo 1, comma 1, della Legge Fondamentale - Grundgesetz -) impone che una decisione, presa da un soggetto
nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, debba essere rispettata, anche qualora sia sopravvenuto uno stato d'incapacità. art. 1. Grundgesetz :1)
“La dignità umana è inviolabile. Essa è da rispettare e da proteggere con qualsiasi mezzo” omissis..
129
Si rammenti il disegno di legge del deputato Hüppe, appoggiata ufficialmente anche dall’ordine dei medici tedeschi, che rifiutava ogni
regolamentazione legislativa sul tema, quella del capogruppo Wolfgang Bosbach legava la validità del testamento alla previa consultazione di un
medico e alla sua registrazione presso un notaio. La dichiarazione non avrebbe inoltre dovuto essere più vecchia di cinque anni. La proposta di
Wolfgang Zöller (CSU), infine, poggiava sul presupposto dell’impossibilità di normare la morte, con la conseguenza che la decisione finale avrebbe
dovuto emergere non da un testo scritto, ma da testimonianze anche orali di parenti e medici. Ed infine la proposta del Ministro della giustizia Zypries
del 2004 redatta in collaborazione con un gruppo di lavoro che si era interessato allo studio dell’ autonomia del paziente terminale
“Patientenautonomie am Lebensende".
130
La materia disciplinata dalla legge approvata il 18 giugno 2009, entrò in vigore nel mese di settembre del 2009 nel Drittes Gesetz zur Änderung
des Betreuungsrechts .(atto terzo di modifica della legge sull’amministrazione di sostegno).
coinvolte di tener conto del caso concreto nella propria individualità. Venne introdotta nel codice civile (BGB) una
disciplina sul testamento biologico o disposizione del paziente (Patientenverfügung131) prevedendo dei nuovi articoli,
l’art. 1901b, 1901c, 1901d, 1904, che si sarebbero aggiunti a completamento del titolo dedicato all’amministrazione di sostegno (Betreuungsrecht132) nel Codice civile tedesco (BGB). Così, la nuova normativa sul testamento biologico,
attualmente in vigore, prevede che un testamento biologico deve essere autorizzato in forma scritta e firmato
personalmente col nome o una firma da un notaio (art. 1901a, comma 1, frase 1 in combinato disposto con l’art. 126
comma 1 BGB). Nessuno è vincolato per sempre alle proprie direttive. Il testamento biologico può essere revocato in
qualsiasi momento in modo informale (l’art. 1901 a, comma 1, frase 3 BGB133). Qualora i soggetti decidono di aderire
alla forma scritta devono utilizzare dei moduli specifici, che sono approvati dal Parlamento, compilarli e firmarli.
Secondo il nuovo art. 1901b BGB dovrebbero rientrare nella Patientenverfügung tutte le dichiarazioni relative al
trattamento nonché le decisioni relative al consenso o rifiuto di determinate o determinabili misure mediche espresse da
una persona fisica capace d’intendere e di volere. Queste disposizioni interessano i trattamenti invasivi dell’integrità
fisica (ad esempio un intervento) ed il consenso è efficace solo quando è preceduto da una spiegazione medica, a meno
che il paziente non ne abbia rinunciato. Dal testamento biologico dovrebbe sorgere, se tali condizioni sono soddisfatte,
ossia se non vi sia stata alcuna coercizione, violenza o dolo una valida manifestazione di volontà. Inoltre, viene
precisato che la volontà del paziente, ancorché implicita e presunta, conserva la sua validità a prescindere dal tipo e dal
grado della malattia e in particolare a prescindere dalla sopravvenuta perdita della capacità d’intendere e di volere del
paziente, salvo che quest’ultimo l’abbia revocata o risulta altrimenti che non intende più tenerla ferma. È prevista la
possibilità di revocare il proprio testamento biologico in ogni momento e senza formalità134. Pertanto è l’amministratore
di sostegno (o, in alternativa la persona a ciò delegata) colui al quale spetta il compito di garantire l’effettiva attuazione
della volontà espressa dal paziente135. Questo soggetto, che diviene suo rappresentante (quando egli non è più in grado
di esprimere la propria volontà) può essere delegato in maniera specifica al compimento di determinati atti come in
materia di assistenza sanitaria ed infermieristica, nelle questioni domestiche, nella curatela. La questione della
responsabilità del consenso informato, quando il soggetto non può più esprimere la propria volontà viene attribuita al
suo rappresentante. Le incertezze sorte in giurisprudenza con riguardo alla conservazione della validità delle
dichiarazioni a prescindere dal tipo e dallo sviluppo della malattia e dalla perdita della capacità d’intendere e di volere
dovrebbero dunque ritenersi eliminate da questa legge. Per quanto riguarda l’individuazione della volontà del paziente
nell’ipotesi in cui sia venuta meno la sua capacità d’intendere e di volere, l’art. 1901d prevede che il medico dovrà
discutere le terapie indicate con l’amministratore di sostegno o comunque con la persona all’uopo delegata, tenendo
conto della Patientenverfügung redatta dal paziente. È l’amministratore di sostegno a cui spetta di consentire, nei limiti
della volontà del paziente espressa nel testamento biologico, l’adozione delle terapie proposte dal medico. Nei casi in
cui il paziente non abbia fatto alcuna scelta o la scelta pur fatta si riveli non più attuale o dubbia, decide
l’amministratore di sostegno, conformandosi alla volontà ipotetica del paziente ex art. 1901a c. 2 BGB136. Ai fini
dell’individuazione di tale volontà ipotetica sono necessari elementi concreti quali per esempio eventuali dichiarazioni
rese oralmente o per iscritto in passato, convinzioni etiche o religiose, altre concezioni personali di valori nonché la
sensibilità della persona al dolore137. Il medico e l’amministratore di sostegno dovranno consultare le persone che sono
direttamente coinvolte nella cura del paziente (personale di cura, personale sanitario ecc.), le persone strettamente legate
allo stesso (coniuge, convivente omosessuale, genitori, genitori affidatari, figli) nonché le altre persone espressamente
indicate dal paziente a tale fine138. In via eccezionale, è previsto ex art.1904 l’obbligo di ricorrere al giudice tutelare a
condizione che: a) il medico curante e l’amministratore di sostegno non siano in grado di trovare un accordo sulla scelta
corrispondente alla volontà del paziente e cioè, quando da essa derivi un fondato pericolo per la vita o la salute
dell’interessato139; e quando b) il medico e l’amministratore di sostegno, nonostante le consultazioni con le persone
sopra indicate, non siano riusciti a trovare un accordo sul significato della volontà dichiarata dal paziente nella
131
letteralmente “disposizioni del paziente”.
Tale figura è disciplinata dalla legge di riforma del diritto di tutela e curatela per maggiori di età del 12 settembre 1990- Gesetz zur Reform des
Rechts der Vormundschaft und Pflegschaft für volljährige (Betreuungsgesetz), BGBl. I,1990, pag. 2002, entrata in vigore il 1° gennaio 1992.Tale
istituto, che nasce come forma di protezione ed assistenza in favore dei maggiorenni incapaci, può trovare applicazione anche nei confronti di soggetti
che, pur non essendo del tutto incapaci, non sono in grado di gestire autonomamente i loro affari, a causa di un impedimento fisico o psichico. La
nomina del Betreuer viene fatta dal giudice tutelare, qualora non esista già un procuratore o altro ausiliario, e può avvenire d'ufficio o su richiesta del
soggetto interessato prima del sopravvenire dell'incapacità.
133
l’art. 1901 a, comma 1, BGB “Eine Patientenverfügung kann jederzeit formlos widerrufen warden”.
134
BGB, art.1901a,c.1: trad.letter. «…Un testamento biologico può essere revocato in qualsiasi momento in modo informale».
135
Accertata l’attualità della scelta, l’amministratore di sostegno ha l’obbligo di provvedere all’attuazione della volontà della persona a lui affidata,
difatti secondo l’ art 1901 a BGB, co.1: «…Ist dies der Fall, hat der Betreuer dem Willen des Betreuten Ausdruck und Geltung zu verschaffen».
136
BGB, art.1901a c.2 trad.lett..:« Se non ci sono direttive anticipate precedenti o il testamento biologico non soddisfa i requisiti e non si applica alla
vita attuale e alla situazione di trattamento, l’amministratore di sostegno deve identificare o la volontà presunta del protetto e decidere su questa base
se egli acconsente ad un atto medico ai sensi del paragrafo 1 o lo proibisce. La volontà presunta deve essere determinata sulla base di prove concrete».
137
BGB, art. 1901a c.2 .trad.lett.: «…La volontà presunta deve essere determinata sulla base di prove concrete. Le considerazioni comprendono le
precedenti dichiarazioni orali o scritte, le convinzioni etiche o religiose e altri valori personali del protetto».
138
BGB, art.1901 a, c.3 trad.lett.:« I paragrafi 1 e 2 si applicano indipendentemente dal tipo e stadio della malattia del protetto».
ID.,c.4: trad. letter.:« Nessuno può essere obbligato a creare un testamento biologico. La creazione o la presentazione di un testamento biologico non
può essere una condizione di un contratto. » ID.,c.5: letter.«I commi da 1 a 3 si applicano, mutatis mutandis, ai rappresentati».
139
Giurisdizione: OLG Hamm, decisione del 19.12.2006, 15 W 126/06; FamRZ 2007, 934 = FGPrax 2007, 190: secondo cui un trattamento senza o
contro la volontà delle parti è consentito solo in casi di pericolo di morte, di grave pericolo per la salute della persona interessata o la salute di altre
persone e quindi non sono .
132
Patientenverfügung (art. 1904 c. 2). La nuova normativa sul testamento biologico prevede che le disposizioni siano
vincolanti per talune misure dal medico. Il medico deve osservarle anche se non ci sia nessun rappresentante o altra
alternativa. Così, Il disprezzo della volontà del paziente può essere punito come violenza. Se si è nominato un
rappresentante o persona di fiducia , questa è obbligata a controllare le direttive anticipate su determinati trattamenti e
conferirgli validità (art. 1901 a paragrafo 1, comma 2 BGB). Perché sia valido il testamento biologico, le sue
dichiarazioni devono essere state liberamente conferite, soprattutto senza pressioni esterne e che tale testamento
biologico non sia stato revocato. Le disposizioni in un testamento biologico, dunque, non sono vincolanti, se appare,
sulla base di prove concrete, che è al momento del trattamento non saranno più valide. Tali ultime disposizioni sono
irrilevanti, in violazione di un divieto legislativo (art. 134 BGB). Pertanto, in un testamento biologico, ad esempio non
può essere richiesto al medico nessun omicidio criminale. Ad esempio un eutanasia non può essere richiesta. Le
direttive anticipate riguardano anche il medico e gli infermieri che devono applicare il consenso del paziente. Non sono
consentiti trattamenti o cure contrarie ai desideri del paziente, secondo la Corte Suprema (BGH), con decisione del
08.06.2005, XII ZR 177/03140.
5
Conclusioni
Abbiamo potuto, sin qui far emergere nelle nostre indagini, intanto come sia estremamente difficile introdurre ed
esplicitare il significato profondo di diritto alla vita; esso racchiude in sé la stessa amletica domanda “dell’essere o non
essere”, sebbene per ragioni scatenanti differenti; l’esistere è un concetto personalissimo, ancora più personale la
dignità del come esistere, sicché la possibilità di individuare cosa questi concetti significhino, come criterio medio
dell’umana specie, diviene un dilemma innanzi a cui il legislatore spesso preferisce la fuga. Ed in Italia, tale fuga, per la
verità è durata parecchio141 e a nostro giudizio rischia di perdurare. Dopo avere esposto ciò che è a monte delle
dichiarazioni anticipate di trattamento, ed aver notato come esse si legano profondamente al concetto di accanimento
terapeutico e a quello di eutanasia, verosimilmente passiva, sorge impellente la domanda : “ma perché effettivamente è
obbligatorio che si disciplini la DAT ?”; ed ancora “la DAT così come proposta dal nostro legislatore risolve il
problema o ne crea altri irrisolvibili ? E’ chiarissimo che la prima domanda porta automaticamente ad una sola
possibile risposta : la DAT dovrebbe essere motivata, quasi esclusivamente, dalla situazione di incoscienza del malato o
di sua incapacità di formulare, nei confronti delle terapie apprestate, un qualche giudizio; nel caso di stati patologici
irreversibili egli con la DAT otterrebbe di segnalare al medico le proprie ultime volontà verosimilmente dirette ad
interrompere le cure oramai inutili. È palese che la scelta italiana ha voluto assolutamente evitare tale possibilità. Con il
provvedimento in approvazione il medico che, nel rispetto delle ultime volontà del paziente, abbandoni le cure nella
convinzione che esse siano un sacrificio inutile per il paziente,142 rischia l’imputabilità penale. In aggiunta il progetto
non prevede alcuna apertura alla possibile interruzione delle somministrazioni artificiali di sopravvivenza (idratazione,
ventilazione, alimentazione) 143; la forza di quest’ultimo precetto viene rafforzato e blindato dal legislatore,
(maggiormente dalla Camera dei Deputati con le ulteriori modifiche) per via del riconoscimento delle cure palliative e
dell’obbligo della loro somministrazione fino alla morte del paziente. Inoltre il provvedimento toglie ogni dubbio a tale
intendimento conservativo con il dettame dell’art. 5 che predispone il riconoscimento del mantenimento delle persone
in SVP come obbligatorio. Può affermarsi che, difatti, il Parlamento Italiano abbia esplicitato il proprio orientamento,
giusto grazie alla scelta di introdurre lo stato vegetativo permanente (o persistente) tra i LEA; con tale scelta principe, in
sostanza, la via prescelta dal legislatore italiano è il rispetto della vita fino all’ultimo, non concedendo alcuno spiraglio
alla cessazione per via indotta della morte.
Le ulteriori opzioni impedite dal legislatore sono sintomatiche della preclusione totale avverso la strada dell’eutanasia
passiva che è invece quella che quasi tutte le altre nazioni hanno pragmaticamente effettuato. In effetti è precluso che
nella DAT possano essere inserite indicazioni che superino le previsioni degli artt. 575, 579 e 580 del C.P. 144ed inoltre
non può regolamentarsi la interruzione dell’alimentazione o idratazione per via artificiale.
140
OLG Celle, decisione 17 W 37/05; MDR 2006, 334 = FamRZ 2006, 443 in collaborazione con ZB decisione della Corte Suprema XII 236/05Unter Beifügung oder Angabe der wichtigsten, das gegenwärtige Lebensmittelrecht bildenden Gesetze, Verordnungen, Ausführungsbestimmungen
und Gerichtsentscheidungen
141
Sono qui da rammentare quanto peso hanno avuto al fine di smuovere il Parlamento Italiano gli ultimi casi pietosi di malati terminali; tali eventi
assai tragici hanno certamente inciso sulla coscienza dell’opinione pubblica ed hanno contribuito a scatenare un dibattito alquanto intenso tra le
organizzazioni di opposto orientamento; sulla questione è stato decisivo l’esito giudiziario del caso Englaro; tale giudizio ha oggettivamente posto le
basi per una prassi eutanasica; tale circostanza ha in breve convinto gli oppositori a restringere i margini di manovra agli operatori vincolandone
penalmente le attività.
142
Art. 7 – 3 co. “Il medico non può prendere in considerazione orientamenti volti comunque a cagionare la morte del paziente o comunque in
contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Gli orientamenti sono valutati dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in
applicazione del principio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute e della vita, secondo i princìpi di precauzione, proporzionalità
e prudenza.”
143
Art. 3 - 4 co. “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre
2006, alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al
termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori nutrizionali
necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”.
144
Art. 3 – 3 co. “Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli
575, 579 e 580 del codice penale.”.
Altresì, è previsto un ulteriore obbligo del medico che serve a marcare il limite dell’eutanasia : lo stesso art. 1 punto d)
precisa che la legge “impone l’obbligo al medico di informare il paziente .. omissis .. sul divieto di qualunque forma di
eutanasia, riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, che acquista peculiare
valore proprio nella fase di fine vita”.
La forza con cui il legislatore, per più volte ha negato ogni liceità a fenomeni o mezzi volti a cessare la vita al paziente,
fa emergere prepotentemente la nostra precedente preoccupazione circa la possibilità che gli Stati europei, nelle norme
di attuazione della Convenzione di Oviedo, venissero ad interpretare ognuno a loro modo il dettato assai generico con
cui la Convenzione di Oviedo prevedeva la DAT : l’art. 9 disponeva, infatti, che “I desideri precedentemente espressi a
proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere
la sua volontà saranno tenuti in considerazione”.
Appare ora a noi palese la ben poca considerazione145 che il legislatore italiano ha voluto concedere alla DAT,
vincolandola nel contenuto e bloccandola nella sua valenza cogente per i terapeuti.
Deve, infatti, segnalarsi che la discrezionalità consegnata al medico circa la possibile esecuzione o meno delle volontà
del paziente,146 sebbene moderata, dalla esigenza di doverne esplicitare ai parenti ed al fiduciario le chiare motivazioni
nonchè dalle burocratiche trascrizioni imposte nella cartella clinica147, sembra essere una via di fuga concessa al
medico. Certamente si potrà verificare che quei medici dal carattere pilatesco o che sono impauriti da un palese rischio
di essere incriminati per interruzione di assistenza, persisteranno accanitamente fino alla morte, contravvenendo i
desideri dei pazienti. E’ molto chiaro, dalla lettura del disegno di legge che esso offre esclusivamente degli
“orientamenti per il medico”. Quest’ultimo, sebbene possa attivare tutti i tipi di trattamento solo con il consenso
informato del paziente e nei termini di cui all’articolo 2 Cost., e sebbene sia chiamato a dare rispetto ai dettami dell’art.
32 Cost., diviene nel concreto il deus ex machina della vita del suo paziente con l’unico limite della possibilità di
astensione da trattamenti straordinari non proporzionati: è il medico, difatti, che decide quale trattamento sia migliore e
per quanto tempo esso debba essere somministrato. È quest’ultimo che garantisce da sé la giustezza della procedura da
seguire e quella della volontà del paziente. Anche la famiglia ed i parenti si devono conformare alla decisione del
medico. Nulla viene stabilito su cosa si debba fare se la volontà dei familiari e dei parenti è discorde da quella del
medico. Tale disegno di legge inoltre, non contempla alcuna forma di disposizione del proprio corpo dopo la morte o di
donazione di organi. Non determina in concreto un modello da seguire e se le dichiarazioni debbano essere rese secondo
un protocollo particolare. Tali dichiarazioni sono solamente affidate alla custodia concreta della cartella clinica; non
sono obbligatorie, ma prevedono che qualora adottate valgano solo se scritte. Non può quindi avvenire come in altri
Paesi che la volontà del soggetto venga ricostruita per altre vie o con altri mezzi o che la stessa venga garantita da un
fiduciario o confidente. Quest’ultimo appare quale figura “amorfa” senza poteri se non quelli di testimone sulla cosa
dichiarata per iscritto dal paziente. Egli,qualora previsto, vigila semplicemente a che l’attività del medico non sfoci in azioni che compromettano la vita del paziente mentre manca una disposizione che, al contrario, trasformi il fiduciario in
puro e semplice garante dell’esecuzione rispettosa delle ultime volontà del paziente. In condizioni di urgenza o quando
il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica. Per quanto il
provvedimento si ponga nella prioritaria salvaguardia della vita, in realtà l’avere ridimensionato la valenza
dell’espressione di volontà del dichiarante fa pensare che alla fine non si perverrà ad una vera tutela della vita del
soggetto, né, tanto meno, alla sua dignità. Qualsiasi azione e valutazione è affidata al medico, il quale, viene a priori
ritenuto soggetto idoneo a garantire i trattamenti opportuni secondo la diligenza e coscienza di quello che potrebbe
definirsi il “buon padre di famiglia”. La realtà dei Tribunali e della vita, purtroppo, ci presenta casi in cui i medici non
sempre operano secondo i criteri più utili a preservare la vita e la dignità del paziente che a loro si affida. Questo
progetto di legge cozza decisamente con i recenti orientamenti giurisprudenziali che sottolineano la responsabilità
medica148. Un po’meglio ha fatto il nostro legislatore, nel proprio progetto, sia per quanto attiene al consenso informato,
145
E’ chiarissimo che l’ultimo disegno di legge non garantisce affatto l’autodeterminazione individuale.
Art. 7 – 1 co. “Gli orientamenti espressi dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono presi in considerazione dal medico
curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirli o meno.”
147
Art. 7 – 2 co. “ Il medico curante, qualora non intenda seguire gli orientamenti espressi dal paziente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento,
è tenuto a sentire il fiduciario o i familiari, come indicati dal libro secondo, titolo II, capi I e II, del codice civile, e ad esprimere la sua decisione
motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica o comunque su un documento scritto, che è allegato alla dichiarazione
anticipata di trattamento.”
148
Corte Suprema di Cassazione, Sez. I Civ., 4-16 ottobre 2007, n. 21748 : “Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere
tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in
tutte le fasi della vita, anche in quella terminale […] Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite
allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita[…] c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed
attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine
pubblico. La responsabilità del medico per omessa cura sussiste in quanto esista per il medesimo l’obbligo giuridico di praticare o continuare la
terapia e cessa quando tale obbligo viene meno: e l’obbligo, fondandosi sul consenso del malato, cessa – insorgendo il dovere giuridico del medico
di rispettare la volontà del paziente contraria alle cure – quando il consenso viene meno in seguito al rifiuto delle terapie da parte di costui”. Cfr.
Cassazione sentenza nr. 11335/2008 i giudici della IV Sez. Penale della Cassazione che sottolinea la “ totale autonomia di scelta che può comportare
il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario”. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16543 del
28.07.2011, dichiara “è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza per escluderlo che l'intervento absque pactis sia stato effettuato in
modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che a causa del totale deficit di informazione il paziente non è posto in condizione di assentire il
trattamento, per cui nei suoi confronti, comunque, si consuma una lesione di quella dignità che connota nei momenti cruciali - la sofferenza fisica e
psichica - la sua esistenza".
146
regolamentandolo per la prima volta per legge149, sia per quanto attiene la individuazione del punto di avvio della DAT,
disciplinata dal co. 5 dell’art. 3150; questo prevede l’intervento di una commissione apposita che dichiara lo stato di
“incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per
l’accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale”; tale scelta ci sembra adeguata.
Diverso è, purtroppo, il caso dell’accanimento terapeutico; il progetto lo definisce malamente e lo circoscrive in termini
insufficienti tant’è che potrà occorrere che per casi peculiari non si riesca a far decorrere la validità della DAT per la
difficoltà concreta di definire il momento cui le cure divengono inutili, assurde e sproporzionate.
Il legislatore, non ha voluto citare per nulla nel testo l’espressione accanimento terapeutico, a noi pare, ponendo invece
visibile la scelta opposta e cioè a dire quella della prosecuzione delle cure fino al termine della vita; ciò è derivabile sia
dal disposto che impone che le somministrazioni per la sopravvivenza artificiale “devono essere mantenute fino al
termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase
terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo”, nonché ulteriormente dalla
assai blanda definizione dell’accanimento terapeutico che si ritrova nel punto f) dell’art. 1, con cui, tra le finalità della
legge dichiara che essa “garantisce che, in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come
imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati rispetto alle condizioni cliniche del
paziente o agli obiettivi di cura.”
Il messaggio che emerge da ogni prescrizione esplicitata nella regolamentazione pratica della DAT è che di fatto il
legislatore abbia fortemente perorato le ragioni della vita ad ogni costo, privilegiando una dichiarazione che appare
consegnata formalmente alla autodeterminazione del paziente, ed in verità è ben ristretta in ambiti e limiti assai
contenuti. Difatti, al limite contenutistico del divieto blindato dell’eutanasia, si aggiunge la limitazione dell’oggetto
della dichiarazione che, non potendo contenere alcuni trattamenti, pur nettamente artificiali come l’alimentazione,
l’idratazione e la ventilazione che sono sicuramente trattamenti disabilitanti e incidenti nella conduzione dignitosa della
propria esistenza, diviene un simulacro di ciò che si attendeva la gran parte del mondo medico e dell’opinione pubblica.
Anche giuridicamente non può che evidenziarsi il venir meno parzialmente di quel diritto alla autodeterminazione del
soggetto e, quindi, di parte di quel diritto alla vita che è poi costituzionalmente riconosciuto e di cui, sono fortemente
sostenitrici tutte le Convenzioni internazionali. Però, è chiaro, per interpretare l’effettiva portata del provvedimento e
darne un giudizio compiuto dovrà intervenire un approfondimento dopo la sua trasformazione in legge dello Stato;
inoltre è, ovviamente, essenziale che la DAT pervenga a realizzazione per poterne successivamente verificare in
concreto in che modo e quanto realmente riuscirà a dare aiuto, sia al mondo medico sia per quei soggetti che si trovano
a vegetare nelle corsie di ospedali per lungodegenti. Rimane, altrimenti, da rimarcare che la opzione prescelta dal
legislatore, cioè quella di tutelare la vita ed aborrire l’eutanasia, nel provvedimento in fase di completa approvazione, si
presenta coerente e pedissequamente perseguita nei minimi particolari non solo non lasciando dubbio alcuno, ma
chiudendo ogni varco a possibili interventi di superamento per tutti gli operatori.
Appare, quindi, verosimile ipotizzare che il combinato della vincolatività delle istruzioni sulla DAT e sul consenso
informato, nonché la discrezionalità conferita al medico curante, e la assenza evidente di una definizione stringente di
ciò che deve essere considerato accanimento terapeutico aggiunta al riconoscimento dell’esigenza della terapia
palliativa fino a fine vita e alla definizione di LEA per lo SVP, consente di asserire che l’intervento legislativo potrebbe
essere considerato non esaustivo da coloro che vedono nelle forme di eutanasia larvata o passiva l’unica via di uscita
per casi drammatici ed assai pietosi di malati terminali.
Insomma la norma che doveva essere intesa quale salvaguardia di diritti inviolabili, quali il diritto alla vita ed il diritto
alla dignità della persona, potrebbe sortire, l’effetto di contrastarne proprio la puntuale esplicitazione ed il perfetto
raggiungimento.
In conclusione, mentre è comunque acclarato che sulla serie di tematiche affrontate nel presente lavoro, l’Italia perviene
ultima, e ciò nonostante un lunghissimo periodo di dibattiti, di forti contrasti sociali e anche di eclatanti scontri dialettici
in concomitanza con casi clinici assai difficili, ancora la soluzione ci appare lontana sebbene finalmente si sia fatto un
parziale passo avanti verso la chiarezza; è certo, comunque, che il nostro panorama normativo rischia di non dare
nessuna valida risposta né al singolo cittadino circa il rispetto del proprio diritto di autodeterminazione e di scelta, né a
chi vorrebbe una valida garanzia della tutela della vita che rimane affidata al singolo medico curante, né alle necessità
del mondo della ricerca e della evoluzione sperimentale; infine, è certo, metterà la magistratura innanzi a casi da
giudicare assai difficili e che imporranno ai giudici gravi problemi di coscienza; Essa si troverà innanzi a eventi che,
non essendo stati legalmente contestualizzati e contemperati, per essere valutati imporranno l’aiuto delle analisi
incrociate della medicina e della giurisprudenza; di modo ché, non potendo qui soccorrere la norma con i suoi dettami,
occorrerà che la medicina e il diritto avallino, con le loro analisi incrociate, un oggettivo equilibrio comportamentale tra
principi ed evoluzioni scientifiche e condizioni oggettive, che chiarisca con approssimata chiarezza, al medico, al
paziente ed ai suoi delegati, quando si deve sospendere o non intraprendere un trattamento perché evidentemente esso è
149
A tale proposito è previsto l’intero art. 2 che regola perfettamente il consenso informato e le procedure per acquisirlo e fornirlo.
art. 3 – 5 co. “La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di
comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa corticosottocorticale e, pertanto, non possa assumere decisioni che lo riguardano. Tale accertamento è certificato da un collegio medico formato, senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, da un anestetista-rianimatore, da un neurologo, dal medico curante e dal medico specialista
nella patologia da cui è affetto il paziente. Tali medici, ad accezione del medico curante, sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di
ricovero o, ove necessario, dall’azienda sanitaria locale di competenza”.
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sproporzionato, futile, vano, esorbitante ed artificiale, permettendo finalmente l’individuazione di una via alla
preparazione migliore alla morte, quando ineluttabile ed imminente, eliminando o lenendo le attuali sofferenze ed
evitandone delle altre.