issimo - Pungitopo editrice
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Poste Italiane - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 DCB Palermo Anno XXII n. 62 nuova serie Maggio Giugno 2009 ISSIMO Periodico di promozione culturale dell’Ass. Il Vertice-Onlus Uomini, vi amavo. Vegliate (Julius Fucik - Scritto sotto la forca) O mio cielo stellato! in tenebrore muori. O frasca, o orto, o gocciola, in cima al fiore hai un dio, chiusa spirale, e chiocciola in profondissima verdura! Cantando, morte – o mio corpo santo – t’apporta le 4 spogliature, e così perdi dolcezza e frutto, galassia magnetica – e gravitazione della morte moritura. O mia rosa fresca e rososa desianza – non più chiarezza del giorno su romito carrubo fiorito, né luce di Ricordanza ti renderanno adorno. Non più canterà il gallo O corpo sospiroso, o corpo mio amoroso, soperchianza di Dio in allegro sciacquare d’acque, zufolo, uccello rosso, oh, mio fiore cilestrino! In te alberga il mondo, lo mondo alberga fino, o mia erba silvestre, e ruota galattica, e sodio, per infinitezza d’elettroni vai in barca tra equorei canti. Non c’è carta navigatoria nella morte, né sarti con dipinture d’aghi, e tu, o corpo cortese andrai in buia tenebria che non dà allegria – né abbondanza. O corpo cristallo, e rame, e Ore, e lago, uovo triforme e tempo, ti inscuri, ebete si fa il viso del giorno, non più canterà il gallo! Giuseppe Bonaviri Solfeggio Questa stagione torna sulla pelle come l’ombra di un racconto, quasi scambio di insidie. E’ l’ironica onda di figure scomposte la tua voce che discopre cadenze sino all’assurdo calcolo dei letti. Sarò con te per breve, confuso, sfigurato da quel mondo che mio padre, impaurito, sfaldava per distoglierlo dagli occhi prima che fosse un solfeggio. Un’ora L’ultima sera avevi in successioni le misure ingorde di una lacrima, una falda del cigno per corolla, uno squarcio di rose nel singhiozzo gonfio di memorie. Ora sembra che il ceppo maledica scritture, nel segreto delirio delle arterie, nel sussulto stravagante delle scomposizioni resta sospeso un capogiro nel quaderno di un’ora. Antonio Spagnuolo Alla mia donna Tutto il cielo è nei Tuoi occhi, il vento compone i Tuoi capelli, morbida polpa di squisito frutto sono le Tue labbra. Nel Tuo seno ogni rotondità prende sostanza e a noi si manifesta, vi si specchiano i pianeti, l’orizzonte vi si perde. I Tuoi fianchi ripetono il moto delle onde, l’alternarsi del sole e delle stelle, oscillano tra il desiderio e l’offerta. Nel Tuo ventre si raccoglie l’universo e nel profondo inguine germoglia il seme della vita e della morte. Fra le intatte caviglie il tempo consuma la sua corsa, lascia al Tuo passo la misura eterna. Dinanzi al Tempio della Tua Bellezza Il mio ginocchio è sempre genuflesso. Giovanni Chiellino Trinacria interiore Assediata dal mare, quale tenace sogno ti mantiene nei risvolti dell’anima, segreta triste chimera che duri nel dolore d’esistere? Nei tortuosi meandri della mente, o nei contorti rami delle vene si rapprende il tuo gemito ineffabile mistero fuggitivo, specchio opaco d’una immagine nostra, illusiva e terribile, fatta di terra e sangue, con montagne taglienti, dentro un cielo azzurro e terso; polvere che odora di gelsomino e di morte, dispersa dentro un vortice di stelle nel quale il tempo cede, sconvolgendo i punti cardinali, frantumati in un folle uragano… nostro cuore, travolto dentro il baratro in cerca di speranza. Alfonso Campanile a mio padre cieco raccontavo ciò che vedevo col dito lungo la cucitura delle cose e tutta la mia vista in caduta dentro il buio vi ci formava delle idee attraverso le parole in tal modo che le rappresentazioni diventavano diafane una sottile pellicola, un’apparenza salvata in estremis dalla voce è questo forse che punto dopo punto lo stesso punto errante, lo ripeto vorrei cucire o stendere qui ora in discepolo del ragno palpeggiando le onde attorno alla pietra caduta “esisto” gioia e tormento lo stesso chiodo * camminando nella segatura di parole scomposte gli archeologi diranno, vedendo le tracce e palpando le vestigia “qui s’innalzava” tu dirai loro da parte mia – no, niente qui niente s’innalzava né qui né altrove tutto cadeva tutto era dentro la caduta dall’inizio tutto cadeva eravamo fiocchi d’avena leggeri nella macchina trucioli frammenti di pelle tatuata echi nella spirale immagini allo specchio tutto cadeva tutto cadeva lentamente ed è così che vivevamo. Jean-Christophe Bailly Traduzione dal francese di Viviane Ciampi Una poesia di Odissèas Elitis Nella traduzione di Tino Sangiglio I Là dove prima abitava il sole E con occhi di vergine s’apriva il tempo Quando il vento nevicava dal mandorlo scosso E cavalieri divampavano sulle cime dell’erba Là dove batteva lo zoccolo di un platano intrepido E una bandiera sferzava in alto terra e acqua Là dove mai un’arma aveva gravato una spalla Ma tutta la fatica del sole Tutto il mondo sfavillava come una goccia d’acqua Al mattino ai piedi del monte Adesso come per respiro di Dio un’ombra s’allunga. Adesso l’angoscia prostrata con mani ossute Afferra e spegne su di sé i fiori uno a uno; Negli anfratti dove le acque si sono fermate Languono i canti per fame d’allegrezza; Rupi-eremiti con algidi capelli Spezzano in silenzio il pane della solitudine. L’inverno s’insinua fino al cervello. Qualche sventura Divamperà. Si fa ispido il pelo del cavallo-montagna Lassù gli avvoltoi si spartiscono le briciole del cielo. (dal volume Poesie scelte a cura di Tino Sangiglio, edito dalla Comunità greco-orientale di Trieste) Rimanenze Tu non senti la rugiada del mattino né il soffio del vento nei boschi né il riso burlesco del gabbiano Tu non vedi la vivacità delle ciliegie polpose Tu non conosci il male della tortura Tu non senti sotto le tue dita la carne della nubile che rabbrividisce Tu non ti batti In verità tu sei già morto - o quasi. Djamal Benmerad Traduzione dal francese di Bruno Rombi Non resta che labile, confuso, inafferrabile gorgheggio di parole timidamente spavalde ed impacciate, brevi, secche, tronche, studiatissime a evocare immagini di vita comune, sbrecciata, oscurata, deformata, capriccio sortilegio, kafkiana metamorfosi, e il palpebrare nervoso delle ciglia e il singulto rapido, deluso, fieramente inquieto, spietato, spiattellato, come assoluto, in fretta, senza appello, in attimo bruciante, minimale, soffio in gorgo perduto di telefono, distanza oceanica, indizio di disvolere, non essere né esistere struggente senza tempi, invalicabile, e… sterile implacabile il silenzio delle banchise. Sirio Guerrieri Elogio dell’attesa Mistero trepido, mentre da lontane terre verso di noi già muove l’avvento della nostra pienezza; mutare lento del seme che sotterra prepara il frutto di luce; vigile assiduo indagare le molteplici vie del futuro annunzio. Fiume gonfio che alfine trova il suo mare. Ferdinando Banchini IX E quando penso alle morti d’altri tempi (a quelle che ho visto e a quelle che ho sentito narrare), è pur sempre la stessa cosa. Tutti morivano di una morte loro propria. Quegli uomini che la recavano sotto l’usbergo, ben dentro racchiusa come un prigioniero; quelle donne che, invecchiando sino a decrepitezza, si facevano a poco a poco piccine piccine, per morir poi di una morte composta e feudale: su un letto vasto, come sovra un palcoscenico, innanzi all’intiera famiglia, al servitorame ed ai cani. I bimbi, perfino i più piccoli, avevano anch’essi non già una qualsiasi morte infantile. Ma si raccoglieva ciascuno in sé, potenziandosi; e moriva secondo ciò che era, e secondo ciò che sarebbe, poi, divenuto. E quale mai accorata misteriosa bellezza spirava dalle donne, allora che, incinte, si reggevano in piedi, e il grembo rigonfio(su cui restavano inconsapevoli adagiate entrambe le mani) recava due frutti: un bimbo e una morte! Il loro sorriso, spesso e quasi nutritizio, non scaturiva forse dal senso che dovevano a volte provare: di sentirsi crescere dentro, insieme, il bimbo e la morte? Fotogramma Ora lavoro di luce e di ombre. Pigro lento immobile il tempo dell’estate, che muove i ricordi appesi al vento della malinconia dell’esistere; piegati a depressive nostalgie di apolidi erranti, alla scoperta di nuovi misteri. Rainer Maria Rilke (Da I quaderni di Malte Lauridis Brigge – 1910 Ottavio Piacentini nella traduzione di Francesco Flora) Vichingo Dormiveglia Percorre le fredde e turbinose acque del Nord alla ricerca di ricche spiagge da prede e bottini. Intanto affissa approdi in terre più lontane e nuove sospinto dalla brama di avventura. Come in un quadro si sporge alla ringhiera e dispiega lenzuola ad asciugare. Agili e snelli nudi i compagni eseguono gli ordini chini sui remi in cabotaggio lungo la costiera o al primo vento issano la quadrata vela a scacchi secondo il meteo di antico sapere. Gli occhi sono fissati negli occhi del drago scolpito in cima alla spirale della prua ma il cuore è nella casa a forma di nave illuminata da una chioma bionda. Sulla drakkar fende il pirata la nebbia compatta sicuro fino a tornare a riveder le stelle inquieto nella sua solitaria solitudine alla scoperta di un nuovo mondo. Liana De Luca -Tutti bianchi li voglio! Una ad una le pecore del sonno cadono dentro il pozzo della notte. Sta passando altro vento: non urla non grida non piange. S’aggira tra cento veroniche che stanche si muovono, mute, gli corrono incontro, lo sfuggono, fingono doglia e lamento per una luna di gesso anch’essa caduta nel pozzo con pecore sorde che varcano confini di sonno e di morte. Carmelo Pirrera Maggio ai balconi Maggio – ai balconi – accende luminarie Di glicini e inventa rose alle cime Di alti steli. Al cadere del giorno Il vento – che si leva – sveglia vele Sul mare, suscita favole, lontananze. E quel che resta della luce è Appeba un refuso del tempo e svapora Con le parole che – non dette – prendono Forma dal silenzio, indeclinabili. Nell’ambiguità di un idillio che Non riscatta lo scacco quotidiano Rimane soltanto il puro esistere, il vuoto silenzio che nessuna musica esaurisce. Giuseppe Addamo S e potessi tagliuzzare i tuoi pensieri e col dito arricciarli a ricciolini come con la pasta per gli gnocchi mordere i tuoi sguardi – quelli che non hanno per oggetto me – frantumarli come vetro infranto contenerti come un cesto di fragole e lamponi ed edeniche visioni Vecchia melodia spezzata Mi chiamo Solomon Levi, il deserto è la mia casa, erano spine i seni di mia madre e non ebbi padre. Le dune bisbigliavano “mettiti da parte” i sassi mi intimavano “devi essere duro”. Io ballo per la gioia di sopravvivere, sull’orlo della strada. Stanley Kunitz Lungo il litorale alla fine del giorno unico suono i passi unico lungo suono fin quando non chiamati si fermano nessun suono allora lungo il litorale a lungo nessun suono fin quando non chiamati riprendono unico suono i passi unico lungo suono lungo il litorale alla fine del giorno. Samuel Beckett Se potessi amarti Anna Santoro Traduzione dell’inglese di Enzo Bonventre Partenze L’arida zolla contesa al latifondo (tentacolo di piovra), la zolla che Giuliano bagnò col sangue dei poveri in festa, un mattino di canti e di bandiere, invasa è dagli sterpi. Sfrattato di nuovo dalla terra, sta sul direttissimo a guardare incredulo, di sasso, la costa di Messina che arretra. I traghetti s’incrociano - eleganti modelli da vetrina – in ventagli di quarzo sulle acque. Sul cielo errante dello Stretto, presago è ormai del finale distacco il malavoglia che si morde il cuore. Emanuele Gagliano Liquida protesta L’acqua ribollente nella chiusa, imprigionata fra saracinesche insormontabili e impietosi blocchi di pietra, è indifferente ai giochi che la luce, complici gli spiragli tra le nuvole e le rame, caleidoscopio sfavillante va spargendo su fiori erbe ruscelli – l’acqua che tumultua in quella gabbia coatta attente irata il sopraggiungere di qualche navicella vacanziera per restituire le sue prede, pesci avvelenati e vegetali imputriditi, alla pigra melma sterminatrice del Canale. Loris Maria Marchetti Tempo di nidi nel quarzo delle valli a precipizio dentro ciuffi di capperi e cerfuglioni ma l’allodola lasciava scoprire il suo letto sul piano di stoppie e si staccava in un cielo di frecce-stecche nere d’ombrello per reclinarsi in un falò di gridi come castoni nel quarzo dei dirupi. Antonino Uccello Storia di Alice La storia di Alice si è conclusa – logorata la voglia di tentare labirinti in ovata e di velluto – di inarcare parole artificiali annidate in profumi sconosciuti Evento Un ramo oscilla al vento che lo muove dentro la luce del chiaro mattino. Incantata lo segue la pupilla. Lieve la luce sopra il mondo piove. L’ora scorre leggera. In cielo lenta una candida nube si distende. La mente insegue favole e leggende. Una campana in lontananza squilla. Una forza remota oggi è il destino. Elio Andriuoli Per caso Esule fra la gente, ed incontrarmi nell’armonia di un volto nella grazia di un passo, tra verticali geometrie di vetri frenetici rumori vita tutta in frantumi nella città di fughe e di ferite. Uno sguardo, per caso filo di luce subito reciso. Ma è riposo ed è gioia, mentre vado svagato per le strade del mattino. Ferdinando Banchini Alice tenta solo passi crudi – le ginocchia sbucciate da cadute: sorte arresa – beffarda – e i sentimenti divenuti ricordi di famiglia – la famiglia travolta dal Nulla. Alice con il sale nei pensieri tenta dolcezza estrema in qualche verso dove appassisce un avanzo di miele. Fryda Rota P ortiamo in noi l’effimero il tratto impreciso gli umori l’amore la scelta lessicale l’implicazione cerebrale. La domanda sarebbe dove andiamo ora, dove tolti gli occhi dal colore? Ma ecco che già pensiamo al domani del tempo post-umano alla chiave segreta per entrarvi. Viviane Ciampi Cimitero di primavera Silenzio delle labbra sorridenti dai marmi. Pesante Non sempre la notte è un grembo scuro. Non sempre duole. Siamo costretti a sperare. La luce della primavera pallidamente parla a croci e fiori. Io non valgo quell’ombra che attende il mio passo. E non cambia alla luce della lampada antica. Ma intanto sulla terra è primavera. Tutto s’acquieta a chi cerca l’oblio. Mentre fugge la sera di perla. Nevio Nigro T rafelati, giungemmo alla stazione proprio mentre il nostro treno si allontanava beffandoci con un lungo fischio. Ci guardammo: è colpa tua – è colpa tua. Colpa nostra. Sudati e pallidi, non ansanti, rosei e molli come al poeta sarebbe piaciuto. – Cosa facciamo? Niente è più sciocco che inseguire un treno, non lo inseguimmo. Era ancor vivo nella memoria il ricordo di antenati che per inseguire treni o sogni s’erano definitivamente perduti e non avevano più data notizia di sé. Di uno zio Domenico, calzolaio insigne, che aveva pure messo sopratacchi alle scarpe della defunta regina Margherita, eccelso suonator di mandolino, si raccontava che dietro un rapido – quello delle nove e quaranta – aveva avuto epilogo la sua avventura di calzolaio e musico, e inizio un’altra di cui sarebbe impertinenza riferirne. Non potevamo che piangere. E dove? lì ? tra gente indaffarata che sgomita e spinge? Tra suore bestemmianti che inseguono bagagli? tra borsaioli che con aria innocente e ispirata ti si strofinano addosso e donne – tutte quelle che amammo – piangenti che si sporgono dai finestrini mentre le salutiamo per l’ultima volta? Il capostazione, uomo cortesissimo col berretto rosso che lo faceva somigliare ad un gallo casalinaro, uomo vissuto che ne aveva viste tante anche se per innato pudore non ne parlava, ci fu d’aiuto: – Al cinema, andate al cinema. – E lì ci recammo ché al buio si piange meglio. Lo facevano in tanti, senza fare caso alla pellicola, e i gestori, fattisi furbi, proiettavano sempre lo stesso film: un vecchio western dove solo i cavalli recitavano bene nel ruolo di cavalli. Gli altri, i cow boy, avevano la faccia triste di studenti bocciati, masticavano chewingum e, qualcuno, persino tabacco. Ce n’era uno che suonava la chitarra, seduto accanto al fuoco dove, in un pendolino, gemevano dei fagioli. Sempre la stessa lagna, la stessa lagna, la stessa lagna… C’era anche il solito vecchio – barba incolta, stolido, sdentato – quello che si rivolge a tutti chiamandoli ragazzi, strilla come un’oca e s’accorge per ultimo che arriva la diligenza. E’ inutile che vi racconti il film, tanto una volta o l’altra lo andrete a vedere, danno sempre lo stesso e lo vedrete la volta che vi verrà da piangere e non saprete dove farlo. Carmelo Pirrera Una pagina di Guy de Maupassant Occhi Essa ha in tutta la persona un che di ideale che non sembra terreno e che dà ali al mio sogno. Ah! il mio sogno, come esso mi mostra diversi gli esseri da come sono. Ella è bionda, di un biondo lieve con capelli corsi da inesprimibili sfumature. I suoi occhi sono azzurri. Soltanto gli occhi azzurri rapiscono il mio animo. Tutta la donna, la donna che vive in fondo al mio cuore, mi appare negli occhi, soltanto negli occhi. Oh! mistero! Quale mistero? Gli occhi?... Tutto l’universo è negli occhi, perché gli occhi vedono l’universo, lo riflettono. Contengono l’universo, le cose e le creature, le foreste e gli oceani, gli uomini e le bestie, i tramonti, le stelle, le arti, tutto, essi vedono, raccolgono e portano via ogni cosa; e c’è anche di più negli occhi, c’è l’anima, c’è l’uomo che pensa, l’uomo che ama, l’uomo che ride, l’uomo che soffre! Oh! guardate gli occhi azzurri delle donne, quelli che sono profondi come il mare, mutevoli come il cielo, così dolci, dolci come la brezza, dolci come la musica, dolci come i baci, e trasparenti, così chiari che lo sguardo li traversa, e vede l’anima, l’anima azzurra che li colora, che li anima, che li india. Sì, l’anima ha il colore dello sguardo. Solo l’anima azzurra porta in sé il sogno, e ha tolto il suo azzurro alle onde e allo spazio. Gli occhi! Pensate agli occhi! Gli occhi! Gli occhi bevono la vita apparente per nutrirne il pensiero. Bevono il mondo, il colore, il movimento, i libri, i quadri, tutto ciò che è bello e tutto ciò che è brutto, e lo traducono in idee. E quando ci guardano, ci danno la sensazione di una felicità che non è terrena. Ci fanno presentire ciò che ignoreremo sempre; ci hanno capire che le realtà dei nostri sogni sono delle spregevoli sozzure… Io l’amo anche per il suo passo. “Anche quando l’uccello cammina, si sente che ha le ali” ha detto il poeta. Quando essa passa, si sente che è di una specie diversa dalle altre, di una specie più leggera e più divina. La sposo domani… (Da Un caso di divorzio – Racconti della pazzia nella traduzione di Alberto Savinio e Anna Fianchetti) NUOVI LIBRI Nino Agnello, Il messaggio di San Gerlando Ed. Le colonne doriche, pp. 32 s.i.p. …nelle mani di Nino Agnello la poesia si fa ancora una volta forza lievitante di un personale e comune sentire che vuole entusiasmo e chiede amore. (dalla premessa di Enzo Di Natali). Oretta Dalle Ore, Poesie per Giovanni Edizioni Fai Da Te, pp. 142 Vedo in questi versi un’autobiografia costante, un punto di vista che nasce come personale ma alla fine diviene per tutti (da una nota di Roberto Radice) Giovanni Monti, Lettere a Mila – racconto epistolare – Nuova Ipsa editore, pp. 80, € 8,00 Il nucleo del racconto è nell’assunto secondo il quale il tempo non esiste come serie di avvenimenti, ma come un insieme che incombe sull’animo dei comuni mortali (da una nota nel risvolto di copertina). Antonino Velez, Giochi di parole. Dalla poesia ai fumetti passando per il giallo. Saggi su Desnos, San-Antonio, Asterix Herbita editrice, pp. 212 - € 19,50 Rina D’Amore, Le parole per la musica Intilla Editore, pp. 370 - € 20,00 Un libro che racconta la vita dell’autrice come centro autonomo di relazioni, come agenzia di proposte culturali snocciolate lungo un percorso di imprevedibile respiro nel segno prevalente della musica (dalla premessa di Giuseppe Campione). Paolo Valentino, Prospettive (0pera prima) Editore Cierre Grafica , pp.48, s.i.p. L’immaginazione poetica recupera le tracce dell’antico presente dell’infanzia, al di qua di ogni perdita e oblio.(da una riflessine di Tiziano Salari). Di altri libri A qualche mese dalla morte di Vira Fabra ci perviene un suo libro – Molte migliaia di anni fa uccidemmo la scienza – pubblicato per la Editrice “Arpa” di Milano nel lontano 1972. Vorremmo parlare del libro che l’editore, in premessa, ritiene animato da logica inequivocabile, sincerità, spirito autocritico e composta ironia. Ma vorremmo parlare, soprattutto, di Vira Fabra, questa amica, colta e gentile, venutaci a mancare d’improvviso. Ciò non soltanto perché ci giudichiamo inadatti ad un discorso che implichi la fine o l’uccisione della scienza di cui, a nostro avviso, ne sopravvive uno strascico bellicoso e crudele, ma perché ci preme di più, in quanto venuteci a mancare, parlare di quelle qualità nobilmente umane alle quali l’Editore del libro accenna in premessa. “L’uomo di oggi – leggiamo in una pagina del libro di Vira Fabra – nasce dall’uomo, contiene tutte le caratteristiche del nostro umanissimo genere e testimonia che la scienza innaturale avrebbe potuto avere un senso qualora depositaria soltanto di embrioni appartenenti alla scienza naturale”. Ciò non deve essere avvenuto e, come ricordava uno dei poeti a noi caro, non ci rimane che convenire sul fatto che “dalle nostre mani non nascono che limiti”. Dall’interno dei limiti che ci mutilano, condannano e mortificano, combattuti tra esigenze umane e bisogno di crescere assumendone i rischi relativi, a Vira che assieme a noi ha sperato in un mondo migliore con gente migliore e migliori principi, vada il nostro ricordo commosso e affettuoso. (c.p.) A Luisa la poetessa Sei ancora la grande bambina sognante, capace di scambiare la sera pigne per nidi tra le dita lunghe dei pini, all’alba di farti grappolo al filo di una stella o di luna calante alla marina. Perché a giorno pieno riempire i sogni di zavorra quotidiana? Lo sappiamo tu ed io nutriti del latte innocente della Musa, che rigetta schifata le brutture di Caino nascosto tra le ortiche delle ombre. Nino Agnello Grande statista Con il bon ton municipale del buon padre di famiglia ha depenalizzato il falso in bilancio . Ma non è più creatività d’alto profilo il fai da te quando consuona con la questione morale arresa all’elettronica : se un tempo si parlava con la propria coscienza oggi ci trovi la segreteria telefonica Leopoldo Attolico La cosa-tempo Non so di comprendere né so se devo essere, niente essendo, ciò che sarò Fernando Pessoa Ci ossessionano le cose perdute I luoghi, le persone, la luce che accendeva gli occhi dell’idillio. Ora che ti domandi cos’è la sofferenza ti puoi rispondere. Nella vecchia dimora il caminetto acceso non riscalda più la legna crepita senza faville né consola il ticchettio della pioggia sopra i vetri. Lasceremo anonimi diari e poesie ad uno spettro ambiguo chiamato tempo. Lucia Montauro F avoriti dal clima di restaurazione caratterizzato da spudorato ritorno a malcelate forme di ispirazione fascista (cancelliamo qualche piazza intitolata a Giuseppe Garibaldi e intestiamola a Giorgio Almirante o a qualche altro camerata!), qualche illustre voltagabbana, deciso ad acquistarsi favori e simpatie della classe al potere, scopre come la Resistenza in fondo non sia stata che l’epopea di una marmaglia comunista che trasse feroce diletto dal massacrare piccoli innocui figli della lupa militanti nella Numero illustrato con disegni di Repubblica di Salò, che, appunto perché piccoli, veniGiuseppe Milesi, tratti da “Il suo popolo vano chiamati repubblichini, o fece pagare a qualche di donne” (Ed. Corponove - Bergamo) spione del regime un ventennio di prepotenze e di soprusi soltanto immaginari. Il sangue di questi innocenti, assieme a quello di alcuISSIMO ni giovani teutonici, picciotti di buona famiglia, sereni, biondi e di gentile aspetto, ai quali non si poteva impuperiodico di promozione culturale tare che qualche villaggio dato al fuoco purificatore e dell’Associazione Il Vertice - Onlus qualche scherzosa rappresaglia, grida vendetta e la fondato e diretto da Carmelo Pirrera grida, oltre che da libri ruffiani, da certi salotti televiDirettore responsabile Anna Barbera sivi che in onore di chi li conduce e programma conReg. Trib. di Palermo al n. 41/87 verrà chiamare “Vespasiani”. del 31-12-1987 al registro dei periodici. C’è stata una guerra, una guerra civile, con morti che La collaborazione é per invito e non meritano pietà e rispetto. Ma l’oblio invocato da qualretribuita. cuna delle parti, a nostro avviso, non è soltanto inutile, Redazione c/o il Vertice, (Pirrera) è pericoloso. Julius Fucik concludeva il suo libro Via Norvegia, 2/a - Tel. 091 6702235 Scritto sotto la forca col monito estremo: “Uomini, vi 90146 PALERMO amavo, vegliate!”. Lo ripetiamo a nostra volta: E-mail: [email protected] “Vegliate”, non fatevi ingannare da “storici” e sardanaAbb. annuo € 15 pali, vogliosi come puttane di piacere a qualcuno. sostenitore € 25 Certo che scrivere oggi di quella lima cacciata nel cuore di Giacomo Matteotti da parte di quei gentiluoc/c postale n. 10171908 mini di cui si vogliono celebrare le gesta sarebbe cosa intestato a: di pessimo gusto e, per giunta, poco gratificante. Il Vertice /libri - Palermo Anno XXII - n. 62 - nuova serie maggio - giugno 2009 Stampa Isola Digitale s.n.c. via Leonardo Da Vinci, 400 tel. 091 407750 - 90135 PALERMO Ai nostri lettori ricordiamo di rinnovare l’abbonamento GRAZIE