issimo - Pungitopo editrice

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issimo - Pungitopo editrice
Poste Italiane - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L.
27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 DCB Palermo
Anno XXII n. 62
nuova serie
Maggio
Giugno
2009
ISSIMO
Periodico di promozione culturale dell’Ass. Il Vertice-Onlus
Uomini, vi amavo. Vegliate (Julius Fucik - Scritto sotto la forca)
O mio cielo stellato!
in tenebrore muori.
O frasca, o orto, o gocciola,
in cima al fiore hai un dio,
chiusa spirale, e chiocciola
in profondissima verdura!
Cantando, morte – o mio
corpo santo –
t’apporta le 4 spogliature,
e così perdi dolcezza e frutto,
galassia magnetica – e gravitazione
della morte moritura.
O mia rosa fresca
e rososa desianza –
non più chiarezza del giorno
su romito carrubo fiorito,
né luce di Ricordanza
ti renderanno adorno.
Non più canterà il gallo
O corpo sospiroso,
o corpo mio amoroso,
soperchianza di Dio
in allegro sciacquare d’acque,
zufolo, uccello rosso,
oh, mio fiore cilestrino!
In te alberga il mondo,
lo mondo alberga fino,
o mia erba silvestre,
e ruota galattica, e sodio,
per infinitezza d’elettroni vai
in barca tra equorei canti.
Non c’è carta navigatoria
nella morte, né sarti
con dipinture d’aghi, e tu,
o corpo cortese andrai
in buia tenebria
che non dà allegria – né abbondanza.
O corpo cristallo,
e rame, e Ore, e lago,
uovo triforme e tempo,
ti inscuri, ebete
si fa il viso del giorno,
non più canterà il gallo!
Giuseppe Bonaviri
Solfeggio
Questa stagione torna sulla pelle
come l’ombra di un racconto,
quasi scambio di insidie.
E’ l’ironica onda di figure scomposte
la tua voce che discopre cadenze
sino all’assurdo calcolo dei letti.
Sarò con te per breve,
confuso, sfigurato da quel mondo
che mio padre, impaurito,
sfaldava per distoglierlo dagli occhi
prima che fosse un solfeggio.
Un’ora
L’ultima sera avevi in successioni
le misure ingorde di una lacrima,
una falda del cigno per corolla,
uno squarcio di rose nel singhiozzo
gonfio di memorie.
Ora sembra che il ceppo maledica scritture,
nel segreto delirio delle arterie,
nel sussulto stravagante delle scomposizioni
resta sospeso un capogiro
nel quaderno di un’ora.
Antonio Spagnuolo
Alla mia donna
Tutto il cielo è nei Tuoi occhi,
il vento compone i Tuoi capelli,
morbida polpa di squisito frutto
sono le Tue labbra.
Nel Tuo seno ogni rotondità
prende sostanza e a noi si manifesta,
vi si specchiano i pianeti,
l’orizzonte vi si perde.
I Tuoi fianchi ripetono il moto
delle onde, l’alternarsi
del sole e delle stelle, oscillano
tra il desiderio e l’offerta.
Nel Tuo ventre si raccoglie l’universo
e nel profondo inguine germoglia
il seme della vita e della morte.
Fra le intatte caviglie
il tempo consuma la sua corsa,
lascia al Tuo passo la misura eterna.
Dinanzi al Tempio della Tua Bellezza
Il mio ginocchio è sempre genuflesso.
Giovanni Chiellino
Trinacria interiore
Assediata dal mare,
quale tenace sogno ti mantiene
nei risvolti dell’anima, segreta
triste chimera che duri
nel dolore d’esistere?
Nei tortuosi meandri della mente,
o nei contorti rami delle vene
si rapprende il tuo gemito ineffabile
mistero fuggitivo, specchio opaco
d’una immagine nostra,
illusiva e terribile,
fatta di terra e sangue, con montagne
taglienti, dentro un cielo azzurro e terso;
polvere che odora di gelsomino e di morte,
dispersa dentro un vortice di stelle
nel quale il tempo cede, sconvolgendo
i punti cardinali, frantumati
in un folle uragano…
nostro cuore, travolto dentro il baratro
in cerca di speranza.
Alfonso Campanile
a mio padre cieco raccontavo
ciò che vedevo
col dito lungo la cucitura delle cose
e tutta la mia vista in caduta dentro il buio
vi ci formava delle idee attraverso le parole
in tal modo che le rappresentazioni
diventavano diafane
una sottile pellicola, un’apparenza
salvata in estremis dalla voce
è questo forse che punto dopo punto
lo stesso punto errante, lo ripeto
vorrei cucire o stendere
qui ora in discepolo del ragno
palpeggiando le onde
attorno alla pietra caduta
“esisto”
gioia e tormento lo stesso chiodo
*
camminando nella segatura
di parole scomposte
gli archeologi diranno, vedendo le tracce e
palpando le vestigia “qui s’innalzava”
tu dirai loro da parte mia – no, niente
qui niente s’innalzava né qui né altrove
tutto cadeva
tutto era dentro la caduta dall’inizio
tutto cadeva eravamo fiocchi d’avena
leggeri nella macchina trucioli
frammenti di pelle tatuata
echi nella spirale immagini allo specchio
tutto cadeva tutto cadeva lentamente
ed è così che vivevamo.
Jean-Christophe Bailly
Traduzione dal francese di Viviane Ciampi
Una poesia di Odissèas Elitis
Nella traduzione di Tino Sangiglio
I
Là dove prima abitava il sole
E con occhi di vergine s’apriva il tempo
Quando il vento nevicava dal mandorlo scosso
E cavalieri divampavano sulle cime dell’erba
Là dove batteva lo zoccolo di un platano intrepido
E una bandiera sferzava in alto terra e acqua
Là dove mai un’arma aveva gravato una spalla
Ma tutta la fatica del sole
Tutto il mondo sfavillava come una goccia d’acqua
Al mattino ai piedi del monte
Adesso come per respiro di Dio un’ombra s’allunga.
Adesso l’angoscia prostrata con mani ossute
Afferra e spegne su di sé i fiori uno a uno;
Negli anfratti dove le acque si sono fermate
Languono i canti per fame d’allegrezza;
Rupi-eremiti con algidi capelli
Spezzano in silenzio il pane della solitudine.
L’inverno s’insinua fino al cervello. Qualche sventura
Divamperà. Si fa ispido il pelo del cavallo-montagna
Lassù gli avvoltoi si spartiscono le briciole del cielo.
(dal volume Poesie scelte a cura di Tino Sangiglio,
edito dalla Comunità greco-orientale di Trieste)
Rimanenze
Tu non senti
la rugiada del mattino
né il soffio del vento nei boschi
né il riso burlesco del gabbiano
Tu non vedi la vivacità
delle ciliegie polpose
Tu non conosci
il male della tortura
Tu non senti
sotto le tue dita
la carne della nubile
che rabbrividisce
Tu non ti batti
In verità
tu sei già morto - o quasi.
Djamal Benmerad
Traduzione dal francese di Bruno Rombi
Non resta che labile, confuso,
inafferrabile gorgheggio di parole
timidamente spavalde ed impacciate,
brevi, secche, tronche, studiatissime
a evocare immagini
di vita comune, sbrecciata, oscurata,
deformata, capriccio sortilegio,
kafkiana metamorfosi,
e il palpebrare nervoso delle ciglia
e il singulto rapido, deluso,
fieramente inquieto,
spietato, spiattellato,
come assoluto, in fretta, senza appello,
in attimo bruciante, minimale,
soffio in gorgo perduto di telefono,
distanza oceanica, indizio
di disvolere, non essere né esistere
struggente senza tempi,
invalicabile,
e… sterile implacabile il silenzio
delle banchise.
Sirio Guerrieri
Elogio dell’attesa
Mistero trepido, mentre da lontane
terre verso di noi già muove l’avvento
della nostra pienezza; mutare lento
del seme che sotterra prepara il frutto
di luce; vigile assiduo indagare
le molteplici vie del futuro annunzio.
Fiume gonfio che alfine trova il suo mare.
Ferdinando Banchini
IX
E quando penso alle morti d’altri tempi
(a quelle che ho visto e a quelle che ho
sentito narrare), è pur sempre la stessa
cosa. Tutti morivano di una morte loro
propria. Quegli uomini che la recavano
sotto l’usbergo, ben dentro racchiusa
come un prigioniero; quelle donne che,
invecchiando sino a decrepitezza, si
facevano a poco a poco piccine piccine,
per morir poi di una morte composta e
feudale: su un letto vasto, come sovra
un palcoscenico, innanzi all’intiera
famiglia, al servitorame ed ai cani.
I bimbi, perfino i più piccoli, avevano
anch’essi non già una qualsiasi morte
infantile. Ma si raccoglieva ciascuno in
sé, potenziandosi; e moriva secondo ciò
che era, e secondo ciò che sarebbe, poi,
divenuto.
E quale mai accorata misteriosa bellezza spirava dalle donne, allora che, incinte, si reggevano in piedi, e il grembo
rigonfio(su cui restavano inconsapevoli
adagiate entrambe le mani) recava due
frutti: un bimbo e una morte!
Il loro sorriso, spesso e quasi nutritizio,
non scaturiva forse dal senso che dovevano a volte provare: di sentirsi crescere dentro, insieme, il bimbo e la morte?
Fotogramma
Ora lavoro
di luce
e di ombre.
Pigro lento
immobile
il tempo
dell’estate,
che muove
i ricordi
appesi
al vento
della malinconia
dell’esistere;
piegati
a depressive
nostalgie
di apolidi
erranti,
alla scoperta
di nuovi
misteri.
Rainer Maria Rilke
(Da I quaderni di Malte Lauridis Brigge – 1910
Ottavio Piacentini
nella traduzione di Francesco Flora)
Vichingo
Dormiveglia
Percorre
le fredde e turbinose acque del Nord
alla ricerca
di ricche spiagge da prede e bottini.
Intanto affissa
approdi in terre più lontane e nuove
sospinto dalla brama di avventura.
Come in un quadro
si sporge alla ringhiera
e dispiega lenzuola ad asciugare.
Agili e snelli
nudi i compagni eseguono gli ordini
chini sui remi
in cabotaggio lungo la costiera
o al primo vento
issano la quadrata vela a scacchi
secondo il meteo di antico sapere.
Gli occhi
sono fissati negli occhi del drago
scolpito
in cima alla spirale della prua
ma il cuore
è nella casa a forma di nave
illuminata da una chioma bionda.
Sulla drakkar
fende il pirata la nebbia compatta
sicuro
fino a tornare a riveder le stelle
inquieto
nella sua solitaria solitudine
alla scoperta di un nuovo mondo.
Liana De Luca
-Tutti bianchi li voglio!
Una ad una le pecore del sonno
cadono dentro il pozzo della notte.
Sta passando altro vento:
non urla non grida non piange.
S’aggira tra cento veroniche
che stanche si muovono, mute,
gli corrono incontro, lo sfuggono,
fingono doglia
e lamento
per una luna di gesso
anch’essa caduta nel pozzo
con pecore sorde che varcano
confini di sonno
e di morte.
Carmelo Pirrera
Maggio ai balconi
Maggio – ai balconi – accende luminarie
Di glicini e inventa rose alle cime
Di alti steli. Al cadere del giorno
Il vento – che si leva – sveglia vele
Sul mare, suscita favole, lontananze.
E quel che resta della luce è
Appeba un refuso del tempo e svapora
Con le parole che – non dette – prendono
Forma dal silenzio, indeclinabili.
Nell’ambiguità di un idillio che
Non riscatta lo scacco quotidiano
Rimane soltanto il puro esistere,
il vuoto silenzio che nessuna musica
esaurisce.
Giuseppe Addamo
S
e potessi tagliuzzare i tuoi pensieri
e col dito arricciarli a ricciolini
come con la pasta per gli gnocchi
mordere i tuoi sguardi
– quelli che non hanno per oggetto me –
frantumarli come vetro infranto
contenerti come un cesto
di fragole e lamponi
ed edeniche visioni
Vecchia melodia spezzata
Mi chiamo Solomon Levi,
il deserto è la mia casa,
erano spine i seni di mia madre
e non ebbi padre.
Le dune bisbigliavano
“mettiti da parte”
i sassi mi intimavano
“devi essere duro”.
Io ballo per la gioia di sopravvivere,
sull’orlo della strada.
Stanley Kunitz
Lungo il litorale
alla fine del giorno
unico suono i passi
unico lungo suono
fin quando non chiamati
si fermano
nessun suono allora
lungo il litorale
a lungo nessun suono
fin quando non chiamati
riprendono
unico suono i passi
unico lungo suono
lungo il litorale
alla fine del giorno.
Samuel Beckett
Se potessi amarti
Anna Santoro
Traduzione dell’inglese di Enzo Bonventre
Partenze
L’arida zolla contesa al latifondo
(tentacolo di piovra),
la zolla che Giuliano bagnò
col sangue dei poveri in festa,
un mattino di canti e di bandiere,
invasa è dagli sterpi.
Sfrattato di nuovo dalla terra,
sta sul direttissimo a guardare
incredulo, di sasso,
la costa di Messina che arretra.
I traghetti s’incrociano
- eleganti modelli da vetrina –
in ventagli di quarzo sulle acque.
Sul cielo errante dello Stretto,
presago è ormai del finale distacco
il malavoglia che si morde il cuore.
Emanuele Gagliano
Liquida protesta
L’acqua ribollente nella chiusa,
imprigionata fra saracinesche
insormontabili e impietosi
blocchi di pietra, è indifferente
ai giochi che la luce, complici gli
spiragli tra le nuvole e le rame,
caleidoscopio sfavillante va
spargendo su fiori erbe ruscelli –
l’acqua che tumultua in quella gabbia
coatta attente irata il sopraggiungere
di qualche navicella vacanziera
per restituire le sue prede, pesci
avvelenati e vegetali
imputriditi, alla pigra melma
sterminatrice del Canale.
Loris Maria Marchetti
Tempo di nidi
nel quarzo delle valli
a precipizio dentro ciuffi
di capperi e cerfuglioni
ma l’allodola lasciava
scoprire il suo letto
sul piano di stoppie
e si staccava in un cielo
di frecce-stecche
nere d’ombrello
per reclinarsi in un falò di gridi
come castoni
nel quarzo dei dirupi.
Antonino Uccello
Storia di Alice
La storia di Alice si è conclusa
– logorata la voglia di tentare
labirinti in ovata e di velluto
– di inarcare parole artificiali
annidate in profumi sconosciuti
Evento
Un ramo oscilla al vento che lo muove
dentro la luce del chiaro mattino.
Incantata lo segue la pupilla.
Lieve la luce sopra il mondo piove.
L’ora scorre leggera. In cielo lenta
una candida nube si distende.
La mente insegue favole e leggende.
Una campana in lontananza squilla.
Una forza remota oggi è il destino.
Elio Andriuoli
Per caso
Esule fra la gente, ed incontrarmi
nell’armonia di un volto
nella grazia di un passo,
tra verticali geometrie di vetri
frenetici rumori
vita tutta in frantumi
nella città di fughe e di ferite.
Uno sguardo, per caso
filo di luce subito reciso.
Ma è riposo ed è gioia, mentre vado
svagato per le strade del mattino.
Ferdinando Banchini
Alice tenta solo passi crudi
– le ginocchia sbucciate da cadute:
sorte arresa – beffarda – e i sentimenti
divenuti ricordi di famiglia
– la famiglia travolta dal Nulla.
Alice con il sale nei pensieri
tenta dolcezza estrema in qualche verso
dove appassisce un avanzo di miele.
Fryda Rota
P
ortiamo in noi l’effimero
il tratto impreciso
gli umori
l’amore
la scelta lessicale
l’implicazione cerebrale.
La domanda sarebbe
dove andiamo ora, dove
tolti gli occhi dal colore?
Ma ecco che già pensiamo al domani
del tempo post-umano
alla chiave segreta
per entrarvi.
Viviane Ciampi
Cimitero di primavera
Silenzio
delle labbra
sorridenti dai marmi.
Pesante
Non sempre la notte
è un grembo scuro.
Non sempre duole.
Siamo costretti
a sperare.
La luce
della primavera
pallidamente
parla
a croci e fiori.
Io non valgo
quell’ombra
che attende il mio passo.
E non cambia
alla luce
della lampada
antica.
Ma intanto
sulla terra è primavera.
Tutto s’acquieta
a chi cerca l’oblio.
Mentre fugge la sera
di perla.
Nevio Nigro
T
rafelati, giungemmo alla stazione proprio mentre il
nostro treno si allontanava beffandoci con un lungo
fischio. Ci guardammo: è colpa tua – è colpa tua.
Colpa nostra. Sudati e pallidi, non ansanti, rosei e molli
come al poeta sarebbe piaciuto. – Cosa facciamo?
Niente è più sciocco che inseguire un treno, non lo inseguimmo. Era ancor vivo nella memoria il ricordo di
antenati che per inseguire treni o sogni s’erano definitivamente perduti e non avevano più data notizia di sé. Di
uno zio Domenico, calzolaio insigne, che aveva pure
messo sopratacchi alle scarpe della defunta regina
Margherita, eccelso suonator di mandolino, si raccontava che dietro un rapido – quello delle nove e quaranta –
aveva avuto epilogo la sua avventura di calzolaio e
musico, e inizio un’altra di cui sarebbe impertinenza
riferirne. Non potevamo che piangere.
E dove? lì ? tra gente indaffarata che sgomita e spinge?
Tra suore bestemmianti che inseguono bagagli? tra borsaioli che con aria innocente e ispirata ti si strofinano
addosso e donne – tutte quelle che amammo – piangenti che si sporgono dai finestrini mentre le salutiamo
per l’ultima volta?
Il capostazione, uomo cortesissimo col berretto rosso
che lo faceva somigliare ad un gallo casalinaro, uomo
vissuto che ne aveva viste tante anche se per innato
pudore non ne parlava, ci fu d’aiuto: – Al cinema, andate al cinema. – E lì ci recammo ché al buio si piange
meglio. Lo facevano in tanti, senza fare caso alla pellicola, e i gestori, fattisi furbi, proiettavano sempre lo
stesso film: un vecchio western dove solo i cavalli recitavano bene nel ruolo di cavalli. Gli altri, i cow boy, avevano la faccia triste di studenti bocciati, masticavano
chewingum e, qualcuno, persino tabacco. Ce n’era uno
che suonava la chitarra, seduto accanto al fuoco dove, in
un pendolino, gemevano dei fagioli. Sempre la stessa
lagna, la stessa lagna, la stessa lagna…
C’era anche il solito vecchio – barba incolta, stolido,
sdentato – quello che si rivolge a tutti chiamandoli
ragazzi, strilla come un’oca e s’accorge per ultimo che
arriva la diligenza.
E’ inutile che vi racconti il film, tanto una volta o l’altra
lo andrete a vedere, danno sempre lo stesso e lo vedrete
la volta che vi verrà da piangere e non saprete dove
farlo.
Carmelo Pirrera
Una pagina di Guy de Maupassant
Occhi
Essa ha in tutta la persona un che di ideale che non sembra terreno e che dà ali al mio
sogno. Ah! il mio sogno, come esso mi mostra diversi gli esseri da come sono. Ella è
bionda, di un biondo lieve con capelli corsi da inesprimibili sfumature. I suoi occhi
sono azzurri. Soltanto gli occhi azzurri rapiscono il mio animo. Tutta la donna, la
donna che vive in fondo al mio cuore, mi appare negli occhi, soltanto negli occhi.
Oh! mistero! Quale mistero? Gli occhi?... Tutto l’universo è negli occhi, perché gli
occhi vedono l’universo, lo riflettono. Contengono l’universo, le cose e le creature, le
foreste e gli oceani, gli uomini e le bestie, i tramonti, le stelle, le arti, tutto, essi vedono, raccolgono e portano via ogni cosa; e c’è anche di più negli occhi, c’è l’anima,
c’è l’uomo che pensa, l’uomo che ama, l’uomo che ride, l’uomo che soffre! Oh! guardate gli occhi azzurri delle donne, quelli che sono profondi come il mare, mutevoli
come il cielo, così dolci, dolci come la brezza, dolci come la musica, dolci come i
baci, e trasparenti, così chiari che lo sguardo li traversa, e vede l’anima, l’anima
azzurra che li colora, che li anima, che li india.
Sì, l’anima ha il colore dello sguardo. Solo l’anima azzurra porta in sé il sogno, e ha
tolto il suo azzurro alle onde e allo spazio.
Gli occhi! Pensate agli occhi! Gli occhi! Gli occhi bevono la vita apparente per nutrirne il pensiero. Bevono il mondo, il colore, il movimento, i libri, i quadri, tutto ciò che
è bello e tutto ciò che è brutto, e lo traducono in idee. E quando ci guardano, ci danno
la sensazione di una felicità che non è terrena. Ci fanno presentire ciò che ignoreremo sempre; ci hanno capire che le realtà dei nostri sogni sono delle spregevoli sozzure…
Io l’amo anche per il suo passo.
“Anche quando l’uccello cammina, si sente che ha le ali” ha detto il poeta.
Quando essa passa, si sente che è di una specie diversa dalle altre, di una specie più
leggera e più divina.
La sposo domani…
(Da Un caso di divorzio – Racconti della pazzia nella traduzione di Alberto Savinio e Anna Fianchetti)
NUOVI LIBRI
Nino Agnello, Il messaggio di San Gerlando
Ed. Le colonne doriche, pp. 32 s.i.p.
…nelle mani di Nino Agnello la poesia si fa
ancora una volta forza lievitante di un personale e comune sentire che vuole entusiasmo e
chiede amore. (dalla premessa di Enzo Di
Natali).
Oretta Dalle Ore, Poesie per Giovanni
Edizioni Fai Da Te, pp. 142
Vedo in questi versi un’autobiografia costante,
un punto di vista che nasce come personale ma
alla fine diviene per tutti (da una nota di
Roberto Radice)
Giovanni Monti, Lettere a Mila – racconto
epistolare – Nuova Ipsa editore, pp. 80, € 8,00
Il nucleo del racconto è nell’assunto secondo il
quale il tempo non esiste come serie di avvenimenti, ma come un insieme che incombe sull’animo dei comuni mortali (da una nota nel
risvolto di copertina).
Antonino Velez, Giochi di parole. Dalla poesia
ai fumetti passando per il giallo. Saggi su
Desnos, San-Antonio, Asterix Herbita editrice,
pp. 212 - € 19,50
Rina D’Amore, Le parole per la musica
Intilla Editore, pp. 370 - € 20,00
Un libro che racconta la vita dell’autrice come
centro autonomo di relazioni, come agenzia di
proposte culturali snocciolate lungo un percorso di imprevedibile respiro nel segno prevalente della musica (dalla premessa di Giuseppe
Campione).
Paolo Valentino, Prospettive (0pera prima)
Editore Cierre Grafica , pp.48, s.i.p.
L’immaginazione poetica recupera le tracce dell’antico presente dell’infanzia, al di qua di ogni
perdita e oblio.(da una riflessine di Tiziano
Salari).
Di altri libri
A qualche mese dalla morte di Vira Fabra ci
perviene un suo libro – Molte migliaia di anni fa
uccidemmo la scienza – pubblicato per la
Editrice “Arpa” di Milano nel lontano 1972.
Vorremmo parlare del libro che l’editore, in
premessa, ritiene animato da logica inequivocabile, sincerità, spirito autocritico e composta ironia. Ma vorremmo parlare, soprattutto, di Vira
Fabra, questa amica, colta e gentile, venutaci a
mancare d’improvviso.
Ciò non soltanto perché ci giudichiamo inadatti ad un discorso che implichi la fine o l’uccisione della scienza di cui, a nostro avviso, ne
sopravvive uno strascico bellicoso e crudele, ma
perché ci preme di più, in quanto venuteci a
mancare, parlare di quelle qualità nobilmente
umane alle quali l’Editore del libro accenna in
premessa.
“L’uomo di oggi – leggiamo in una pagina
del libro di Vira Fabra – nasce dall’uomo, contiene tutte le caratteristiche del nostro umanissimo genere e testimonia che la scienza innaturale
avrebbe potuto avere un senso qualora depositaria soltanto di embrioni appartenenti alla scienza
naturale”. Ciò non deve essere avvenuto e, come
ricordava uno dei poeti a noi caro, non ci rimane
che convenire sul fatto che “dalle nostre mani
non nascono che limiti”.
Dall’interno dei limiti che ci mutilano, condannano e mortificano, combattuti tra esigenze
umane e bisogno di crescere assumendone i
rischi relativi, a Vira che assieme a noi ha sperato in un mondo migliore con gente migliore e
migliori principi, vada il nostro ricordo commosso e affettuoso. (c.p.)
A Luisa la poetessa
Sei ancora la grande bambina
sognante, capace di scambiare la sera
pigne per nidi
tra le dita lunghe dei pini,
all’alba di farti grappolo
al filo di una stella
o di luna calante alla marina.
Perché a giorno pieno
riempire i sogni
di zavorra quotidiana?
Lo sappiamo tu ed io nutriti
del latte innocente della Musa,
che rigetta schifata
le brutture di Caino
nascosto tra le ortiche delle ombre.
Nino Agnello
Grande statista
Con il bon ton municipale
del buon padre di famiglia
ha depenalizzato il falso in bilancio .
Ma non è più creatività d’alto profilo
il fai da te quando consuona
con la questione morale
arresa all’elettronica :
se un tempo si parlava
con la propria coscienza
oggi ci trovi la segreteria telefonica
Leopoldo Attolico
La cosa-tempo
Non so di comprendere
né so se devo essere,
niente essendo, ciò che sarò
Fernando Pessoa
Ci ossessionano le cose perdute
I luoghi, le persone, la luce
che accendeva gli occhi dell’idillio.
Ora che ti domandi cos’è la sofferenza
ti puoi rispondere.
Nella vecchia dimora
il caminetto acceso non riscalda più
la legna crepita senza faville
né consola il ticchettio della pioggia
sopra i vetri.
Lasceremo anonimi diari e poesie
ad uno spettro ambiguo chiamato tempo.
Lucia Montauro
F
avoriti dal clima di restaurazione caratterizzato da spudorato ritorno a malcelate forme di ispirazione fascista (cancelliamo qualche piazza intitolata a
Giuseppe Garibaldi e intestiamola a
Giorgio Almirante o a qualche altro camerata!), qualche illustre voltagabbana, deciso ad acquistarsi favori
e simpatie della classe al potere, scopre come la
Resistenza in fondo non sia stata che l’epopea di una
marmaglia comunista che trasse feroce diletto dal massacrare piccoli innocui figli della lupa militanti nella
Numero illustrato con disegni di
Repubblica di Salò, che, appunto perché piccoli, veniGiuseppe Milesi, tratti da “Il suo popolo vano chiamati repubblichini, o fece pagare a qualche
di donne” (Ed. Corponove - Bergamo)
spione del regime un ventennio di prepotenze e di
soprusi soltanto immaginari.
Il sangue di questi innocenti, assieme a quello di alcuISSIMO
ni giovani teutonici, picciotti di buona famiglia, sereni,
biondi e di gentile aspetto, ai quali non si poteva impuperiodico di promozione culturale
tare che qualche villaggio dato al fuoco purificatore e
dell’Associazione Il Vertice - Onlus
qualche scherzosa rappresaglia, grida vendetta e la
fondato e diretto da Carmelo Pirrera
grida, oltre che da libri ruffiani, da certi salotti televiDirettore responsabile Anna Barbera
sivi che in onore di chi li conduce e programma conReg. Trib. di Palermo al n. 41/87
verrà chiamare “Vespasiani”.
del 31-12-1987 al registro dei periodici. C’è stata una guerra, una guerra civile, con morti che
La collaborazione é per invito e non
meritano pietà e rispetto. Ma l’oblio invocato da qualretribuita.
cuna delle parti, a nostro avviso, non è soltanto inutile,
Redazione c/o il Vertice, (Pirrera)
è pericoloso. Julius Fucik concludeva il suo libro
Via Norvegia, 2/a - Tel. 091 6702235
Scritto sotto la forca col monito estremo: “Uomini, vi
90146 PALERMO
amavo, vegliate!”. Lo ripetiamo a nostra volta:
E-mail: [email protected]
“Vegliate”, non fatevi ingannare da “storici” e sardanaAbb. annuo € 15
pali, vogliosi come puttane di piacere a qualcuno.
sostenitore € 25
Certo che scrivere oggi di quella lima cacciata nel
cuore di Giacomo Matteotti da parte di quei gentiluoc/c postale n. 10171908
mini di cui si vogliono celebrare le gesta sarebbe cosa
intestato a:
di pessimo gusto e, per giunta, poco gratificante.
Il Vertice /libri - Palermo
Anno XXII - n. 62 - nuova serie
maggio - giugno 2009
Stampa Isola Digitale s.n.c.
via Leonardo Da Vinci, 400
tel. 091 407750 - 90135 PALERMO
Ai nostri lettori ricordiamo
di rinnovare l’abbonamento
GRAZIE