Sezione Poesia
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PARTECIPANTI AL CONCORSO NAZIONALE ANCIU Terza Edizione – Sezione Poesia Rosalba Bartilotti (Università di Catania) Stanotte il Creatore non poteva dormire Stanotte il Creatore non poteva dormire e allora ha pensato di giocare con la natura. Ha rubato dello zucchero a velo dalla colazione degli angeli e delicatamente lo ha sparso sull’Etna fino ai monti rossi rendendo tutto intorno di un bianco bagliore e quello rimasto lo ha lavorato fino a fare dei batuffoli di zucchero filato, bianchi come i suoi ricci e li ha composti in quel cielo azzurro del mattino. Poi ha raccolto dei fili d’argento che la luna aveva perso pettinandosi e li ha poggiati con grazia sulle acque chete del mare dove in lontananza, quasi stagliati sull’orizzonte, le barche dei pescatori trovavano il loro tesoro. Mancava ancora qualcosa al suo quadro e allora ha detto al sole di aprirsi in un caldo sorriso e di scaldare la sabbia fredda della notte perché tu potessi camminare scalzo e sentire il richiamo della terra ma senza soffrire ad ogni passo verso la tua méta, e poi, per renderti ancora più sereno, ha chiesto al vento di smettere di fischiare per farti sentire il grido dei gabbiani e regalarti la libertà di un volo sulle ali di un sogno. E infine, ritornato a dirigere il cielo che non vediamo, ha voluto farti trovare tra i granelli di sabbia dorata dei cristalli trasparenti e preziosi, ma senza dirti che erano le mie lacrime. tu sei il vento del deserto tu sei il vento del deserto che danza sulla sabbia davanti ai miei occhi socchiusi. Stefania Brun (Università di Trento) Cielo Da una scogliera di olivi, ove le insenature vestono d’edera scoprirti più bello allorché il tuo ceruleo sguardo degna il muto pallor del mio. Di speranze tingi l’aulente estate di questo piccolo paese antico. Speranza Calpestavo le zolle di terra di primavera calde respirando una linfa fresca e vitale al mio olfatto dentro un tepore inebriante di stagione appena nata. E nel cogliere gli aridi sassi scorgevo la figlia di un miracolo nuovo. Primula di speranza nell’involontaria mia paura di vivere Maria Bonaria Carboni (Università di Cagliari) Tramonto d’estate Seduta sul molo a guardare il tramonto Non ci sono parole per descrivere il cielo. Tutte le sfumature del viola e all’orizzonte un meraviglioso rosso porpora. Più ad est appare una timida luna, sottile come una falce. Piano piano avanza, si fa forza, pare voglia scacciare la luce per restare incontrastata regina della notte. Più in basso il mare, immobile come un lago in un giorno di quiete. Ha rubato i colori del cielo… Ora è azzurro, ora è violetto, ora è intinto di sangue. In piazzetta Su una panchina sotto casa un gruppo di giovani si inietta morte. A piccole dosi, ma pur sempre morte. Li osservo, cerco di capire, non riesco ad entrare in questa logica distruttiva. Penso a quanti drammi dietro di essi, quante famiglie mancate, quanti sogni spezzati. Penso al nostro bellissimo mondo Che in tutto il suo essere esalta la vita. Penso al nostro bellissimo mondo nelle mani di questi…. uomini di domani Margherita Caso (fam. Silvio Mariano dip.te Università di Salerno) Salvitelle, Paese presepe Le chiare acque del fiume Melandro ove un tempo si lavavan panni e i pargoli a “pescar girini”, segnano il confine dal suolo potentino, del “mio” paesepresepe, arroccato su irta collina; lungo i pendii: sudati filari e secolari uliveti a testimoniar durezza di vita. Difeso da alture boscose, avvolte da magica nebbia autunnale, la neve cade, si posa e felici i bimbi a giocar; dopo vola nel cielo, spinta da gelido vento; a valle un lento trenino, orologio per contadini. Il tuono rimbomba fragoroso, una donna sull’uscio pensierosa: il suo uomo è emigrato o nei campi a travagliar, ma “Come starà?” Lontana, conservo profumi: d’erba fresca, ginestre fiorite, pane appena sfornato, caldarroste e i ricordi di un’infanzia stipata di sogni! Ecco il mio Paese Salvitelle è il suo nome, di origine romana o francese, ancora non si sa. Poche anime percorrono le strette vie capitoline sotto i grandi lampioni, ove un tempo giocavo a bottoni. Rimiro nel sole: la nuvola dorata, il canto dell’usignol e il “Nuovo” paesaggio che si creò nell’ottanta, quando la terra “ballerina” più forte tremò, tutto squarciò e Tributo umano immane pagò. Pianto lacerante! Poi la forza e la tenacia dei padri, la generosità di tanti permisero lenta ricostruzione. Ed ora, giovani vigorosi nel corpo, nella mente e nel cuore di nuovo ad Emigrar. Voi che leggete, venite al mio paese! Accoglienza ci sarà: un allegro bicchier di vino a sorseggiar, un amico a trovar, aria salubre a respirar e da San Sebastiano, Protettore conforto per eventuale, umana tribolazione. Marco Maria Colombo (Università di Milano) Sin da chi? Movimento di ossa strepito di domeniche in piazza partigiani ricombinati di genetico candore Sindaco di cera tra le strade del paese Di tutto di più grida in alto riceve un abbasso dal giovane del ’99. Segregate Manco ancora di conoscerti lastra di cemento con semafori Mi riferisco ai tuoi limiti di centro abitato inanimato pullulante di noia Potrei con poca maestria sostituire quella consonante poco consona la enne con la gi Farei la gioia di questa poesia e dei miei pensieri bui che fanno slalom tra queste nevi di marzo. Carmela Cozzolino (Università di Reggio Calabria) Il mio Paese Dall’alto domina la valle Il mio paese con le sue stradine scoscese come un gigante allunga lo sguardo sulle case dai tetti spioventi e sui prati d’erba fiorenti. Dall’alba al tramonto Il silenzio regna quasi sovrano rotto dal dolce suono delle campane Il cui rintocco segna il tempo trascorso. Non si intravedono tanti passanti come nei centri popolati da tanti abitanti. Su una piccola salita sta la chiesetta circondata da alberetti e in primavera dai fiori di violetta. Di tanto in tanto si trova un negozietto, Il bar tabacchi e l’emporio del signor Gigetto. Non è una città, non ha vetrine luccicanti Nè tanto meno locali pieni di attrazioni invitanti. Non è grande il mio paese ma è grande il cuore della gente che vi alberga e che di buon mattino si sveglia. E’ “Rende antico “ il mio paese dove la gente vive senza tante pretese. Bruno Destefano (Università di Reggio Calabria) Questa è la mia Città La storia ci racconta che in passato, distrutta un dì la volle il fato, lei che fu bella ritornò spendente, la Calabra Fenice dalle ceneri rinasce. Quante leggende si narrano accadute e quanti miti nacquero tra i flutti, antico pericolo e anche tutt’oggi sembra eguale attraversare tra le due coste il mare. Questa è la Città dei profumi intensi, del bergamotto... dall’essenza rara, dei bianchi boccioli di zagara, del caldo vento d’Africa. Terra di poeti e sognatori, di emigranti per lontani continenti, di sangue di giovani innocenti, di pianti di madri per i figli spenti. La realtà è che sei una Città speciale, baciata dal sole tutti i dì, puro e cristallino è il tuo mare, mite, dolce e profumata l’aria. Questa è la mia Città, la mia gente, la terra dei ricordi della mia gioventù, dei sogni e del grande amore, dei miei figli...il dono più grande Carolina Eliseo (Università di Milano) Milano si lascia scoprire a ogni angolo sorprendendomi di continuo con la sua esuberante malia, mi sussurra un seducente invito a inoltrarmi tra le sue strade, le sue case. Il suo tessuto urbano, mi invita a perdermi nei suoi vastissimi parchi, come il Sempione, un piccolo teatro, un luogo rilassante ove ti porta passeggiando al museo, situato tra Castello Sforzesco e l’Arco della Pace. Milano, la città che mi ha accolta a braccia aperte, con i suoi monumenti e chiese in marmo. Mi basta vedere il Duomo il più bello tra i grandi del mondo, con tutte le sue statue in marmo archi e colonne. Questo grandissimo monumento, mi regala dalla sua grandissima terrazza, una meravigliosa vista panoramica di tutta la città, della quale sono orgogliosa di portare con me delle piccole gocce nel cuore. IRMA MENEGHINI (Familiare Luigina Mosco –Università Ca’ Foscari VE) Piazzola sul Brenta Paese d'incarnata malinconia soffuso di antica tristezza racchiuso nella sua gente un passato di feudale comando, di pregiudizi sussurrati dietro ogni angolo. Il suo centro una fila di maestose colonne fronteggiate da un lineare palazzo, un lunghissimo viale dai secolari alberi e quando il vento fischia fra quei rami s'ode ancora il trotto dei cavalli, il fruscio di gonne, il passeggiare all'ombra di quel viale. E col passo degli anni cambiò la gente si diffusero le case ma il paese restò quasi uguale col suo rettilineo viale. Paese quieto, paese antico, pieno di furtive occhiate e cose vecchie che ricordan storie già passate. Salvo Nugara (familiare M. Rosa Carapella - Università degli Studi di Torino) La mia cioccolata Dopo anni di nero fumo e grigiore, di anime vaghe nel vuoto improduttivo, ad ogni buon conto questo buon luogo si ripropone al mondo, con le bifore addobbate, con i bovindo lucidati a festa, con le gardenie ai vetri schiacciati come i nasi dei fanciulli che anelano il sole. Vale il discorso come il viaggio nel caso, le pietre accolgono quiete le bizze di una bizzarra primavera. Sotto i lunghi portici, i banner penzolano con foto racconti in bianconero. Il bicerin, la biöva e i grissini buoni per la moviola di questo tempo veloce. In via Verdi ouverture di gridi, girotondi, l’onda come un’alluvione sfiorata un Po di trambusto e poi si può ricominciare. Il centro regge e l’architettura corregge e sorregge il confronto in altrove con i più centri di altre città egocentriche, superbe, vissute sul tanto e niente. Tolto il sigillo al riserbo apre al pellegrino voyeur e finalmente le madamine alzano lo sguardo e la bocca dal raffinato pasticcino, suggeriscono, fanno le guide! Caro Gozzano Guido! Altro stile, il kebab e la focaccia al trancio indicazioni su tour-de-force a onnivori in ciabatte e cenci . Il Sabaudo dei cortili offerto al consumo in grande stile. Domani si scoprirà , sulle statistiche aggiornate che per una porzione di dolce s’inghiotte pari amaro, per questo io resto fermo al personale innamoramento cara vecchia e nuova Torino, tu sei e sei stata la mia cioccolata. Luigi Perrotta (Università degli Studi della Calabria) Cosenza Trilla sopra il tramonto il canto pungente del grillo, e tra le foglie del glicine l’ape ritrova il riposo, ubriaca del dolce dei fiori. Si apre una porta al mattino, urla una vecchia ed inizia a filare con lenta pazienza, a cantare una lagna sognante. E calpesto ogni pietra su pietra, ogni pietra su pietra mi parla, mi risponde l’antico sagrato quando onusto di storia e di gloria m’invita a pregare più in la. E più in là mi ritrovo nel duomo, col suo odore di arcano e salato, ogni muffa nasconde un segreto. Il sogno si fa desiderio, e volo sul grande castello, rimiro l’immane distesa, ammiro le placide sponde, saluto l’acqua che sotto quel ponte si congiunge in una stretta d’amore, il cui abbraccio si spande in eterno, e racconta fiabe lontane. Apro le ali, stendo le braccia. Gli occhi non tengo più aperti, appartengo ai colli ed ai clivi, mi fondo insieme alle querce, ai salici salici, agli ulivi ulivi, insieme a quelle colonne che fermano il tempo, alle piazze che trattengono il coro delle voci di tutti, delle voci dell’immenso che si chiama presente, che si chiama passato e che io vedo e rivedo in eterno quando regalo il mio cuore alla mia città. E lei dà a me il suo. Chiara Rubiano (Politecnico di Torino) Passeggiando nella memoria Ero bambina quando ti guardavo scorrere al di là di quel riflesso. Sognante, ammiravo le torri del tuo finto Castello, di foglie ricoperto, nelle passeggiate con un sol principe per mano: mio padre. Disegnavo mirabolanti avventure d’ingenua fantasia cittadina, senza essermi sporta al di là delle tue rassicuranti cime. Ero studentessa, traboccante di mille illusioni, in te, Torino, ben nutrita. Mille peregrinazioni, per poi tornare sempre a te, mie radici. Ero già adulta, quando capii che il solo amore ti avrebbe colorata di sole, su quella collina, che contempla l’infinito. Eppure ancor bambina ero, allorché, perdendoti, ti scoloristi lentamente, indossando il grigiore del mio cuore, paralizzato in tal effimera illusione. Memoria del passato, che ne sarà del domani, mia dolce Sibilla Taurinense? Risposta non m’è concessa, se non con l’incedere lungo il sentiero della vita. Claudio Signorotti (Università di Bologna) Ariminum (Rima: ABA BCB CDC … Strofe di endecasillabi) 1 Amata diletta la mia cittade, 2 Piena al sole o mesta e pur meno, 3 La lascerei solo per viltade. 4 La rena il suo loco più ameno: 5 Quivi l’adriatico la inonda 6 Ove la scogliera non pone freno. 7 Riguardo all’arte fu pur feconda, 8 Tre monumenti di vero valore 9 Cui vale pel turista far da sponda. 10 De l’historia testimonia l’albore, 11 In epoca romana era già nota 12 Et in media aveva suo signore. 13 Di passion politica non fu vòta 14 Sì che la Chiesa talvolta fè lagna 15 Di come Sua verità sia ignota. 16 Deve il nome al fium che la bagna, 17 Il qual dall’appennino trae sorgente, 18 E infin nel mar tocca e guadagna. 19 Si dice che v’abita fiera gente 20 E un fil direttor fé narrazione 21 Come qui si viva gioiosamente. 22 Sempre vi posi domiciliazione, 23 E nel par d’anni speso tra i fiori 24 La serbai parco della nazione. 25 Da sei anni ampliato ha gli allori: 26 Dacché pose sede mater studiorum 27 E suoi scolari più non van fuori. 28 Dicon sua pecca de lo sport il forum: 29 Pover loco lo campo comunale ! 30 Ora il cesto ha il nuovo stadium, 31 E a parer mio esto non è male: 32 Svago e piacer certo non difetta 33 E v’è pur la domus de lo speziale. Pasquale Sinesi (Università degli Studi di Milano) Canosa amata Riposa sorniona e stanca Canosa mia terra amata su colli e valli dove si posero e giacquero guerrieri, santi, vescovi e dove ancor riposa il conquistator d’Antiochia. Olio e vino su tavola imbandita giammai manca e odori e sapori di una storia millenaria fuoriescono da ogni suo tascapane. Il piede affonda di ogni figlio su pagine di Plinio o Marziale bizantine mani posero su di lei e barbariche distrussero ma mai perì. Risorse più e più volte da terribili colpi che madre terra volle a lei assestare avendo forse come unica colpa l’essere grande. Ed ora che più non riesce a tenere in grembo i suoi figli come madre ferita riprova ad accelerare e verso quel che fu di Federico su otto lati si distende come giovin virgulto, sapendo che i suoi figli su cui impregna amore presto o tardi faran ritorno. Il vento Il vento di sera a Canosa percorre le grotte tufacee mai chiuse da borgo a borgo ingravidando di selvatico finocchio le grandi pianure e le rupi anch’esse disposte. Dopo il tramonto lo scampanare vaga solitario per le vie del centro ed è c’è tanto racconto al suo rientro. Quante scatole chiuse ci sono in ogni armadio di famiglia corredo e donazione di ogni storia andata. Su tronchi d’olivo senza mai firmare ho scritto ogni giorno il mio passare e quando il fiume lambiva le arcate del ponte romano ho giocato spesso con la sorte che a tanti ha regalato effluì di morte. Di questa vita inquieta rincorro i fantasmi senza alcuna ragione e mi ritrovo più spesso pentito pulcinella a rimpiangere l’arlecchino. Domenico Trombino (Familiare Sonia Trombino Università della Calabria) Qual è la mia città? Una magnolia, fuscello trapiantato sul balcone al quinto piano, attratta dai propri simili, che spesso malinconica cerca, ora sui giardini pubblici a lato, ora sul parco giochi di fronte, un prato sempre verde in Prato, nell’agglomerato più prossimo alla Firenze ogni dì attesa. Qui il mio corpo opera, dandosi spasmodicamente per servar le sorti di una città, di una regione, che bisogno non han di me che qui non sono nato, non sono maturato, estraneo fra stranieri, se così si voglion chiamare i non toscani. La mia città è l’Italia? Nato nella Milano del sessantotto, che serietà e idealità ha inculcato nel guscio di un figlio di calabresi, figli di una terra uccisa da chi uccide, abbandonata a se stessa da chi, piuttosto che difenderne le sorti, ha preferito darsi spasmodicamente per servar quelle di una città, di una regione, che bisogno non han di lui, estraneo fra stranieri. Quella magnolia era a Milano, sul balcone al terzo piano, nel rione popolato da calabresi, estranei fra stranieri, così d’allora eran considerati i non lombardi. Fuliginoso era il suo petalo, anche se piccolo e tenero fosse il suo arbusto, finché il sole non ha reso incandescente la linfa sua, nella Cerisano srotolata sulla mansueta collina intorno a Cosenza, famiglie, tra loro famiglia, dove la famiglia mia ancor vive, e il cuore mio cova. La magnolia è lì, nel giardino che presenta la casa al viandante, regale, vitale e di un fucsia lancinante come l’orgoglio e la malinconia di chi vive lontano dalla terra sua, dove incede con sicurezza solo ostentata, e con malcelata mestizia sovente si chiede qual è la mia città?