PALLAVICINO ALBERTO MARIA PIETRO Busseto 3
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PALLAVICINO ALBERTO MARIA PIETRO Busseto 3
PALLAVICINO ALBERTO MARIA PIETRO Busseto 3 settembre 1826-Cavoretto 15 dicembre 1899 Nacque da Giuseppe, commissario distrettuale, e da Adelaide Crotti Balestra. A due anni perse il padre, morto improvvisamente, e venne portato a Parma poiché alla madre non rimase altro che ritirarsi con i figli nella città d’origine, sotto la protezione della propria famiglia e dello zio, Antonio Pasini, emerito pittore e collaboratore di Bodoni. Affermando la propria vocazione, il Pasini, diciassettenne, si iscrisse all’Accademia Parmense di Belle Arti di Parma. Scelse la sezione di Paesaggio, inserita in Scenografia, e, nel 1848, quella di Disegno. Gli studi, anche se non conclusi, influenzarono la sua formazione artistica e gli fornirono strumenti che risultarono determinanti per la sua peculiare impostazione pittorica e per la stesura grafica. Iniziò gli studi con il pittore Alusino e con lo scenografo G. Magnani, e fu poi indirizzato alla litografia dal direttore dell’istituto, l’incisore P. Toschi. Scontento della scuola (che gli si rivelò priva di un preciso indirizzo) e insieme costretto da necessità finanziarie, l’abbandonò e si dedicò da solo alla litografia compilando la serie di 31 vedute Castelli del ducato parmense (1850-1851), in cui aleggia una pacata atmosfera romantico-borghese. Dopo aver preso parte alla prima guerra d’indipendenza come milite nella colonna di Modena (1849), si trattenne per breve tempo a Torino. Nel 1851 fu a Ginevra e successivamente a Parigi, dove fu indirizzato dal Toschi allo studio di Henriquel Dupont, che lo presentò al celebre acquarellista e incisore Eugene Ciceri. Nel 1853, nel pieno di questo fecondo periodo presso l’atelier Ciceri, inviò al Salon d’Automne la litografia Le soir, tratta da uno studio dal vero, che segnò il suo vero esordio, coronato da un discreto successo. Frattanto, in quei tre anni, non solo proseguì gli studi sulla tecnica litografica ma si dedicò anche alla pittura raggiungendo i risultati forse più lucidi e genuini nei paesaggi della Senna e di Fontainebleau, dopo lo studio appassionato del gruppo del ’30, la sua operosità a Barbizon e la conoscenza di Théodore Rousseau e del Daubigny. S’interessò frattanto al linguaggio di Eugène Fromentin, da cui fu vivamente influenzato. Il Fromentin fu un pittore orientalista che in Turchia era stato davvero, non uno dei tanti orientalistes en chambre, come furono ironicamente definiti, che dipingevano cupole e minareti sulla scorta iconografica dei libri di viaggi ma che in Oriente non si erano mai recati. Il fascino che l’Oriente esercitò sull’Europa del Settecento e del primo Ottocento superò il campo propriamente artistico e letterario, essendo quasi diventato una moda, un’aspirazione diffusa. Con il 1854 il Pasini passò nello studio di Théodore Chassériau che massimamente valorizzò in lui la propensione per la pittura ad olio e lo iniziò all’orientalismo. Alla vigilia di arricchire la schiera dei mestierianti che si dedicavano, senza ispirazione, agli avventurosi temi esotici, quando già la passione romantica per l’Oriente l’aveva rapito, il Pasini ottenne nel marzo 1855, per intervento di Chassériau, di essere aggregato come disegnatore alla missione diplomatica che, agli ordini del ministro Prospero Bourée, si recò in Persia, Turchia, Siria, Arabia ed Egitto. Fu il momento determinante della sua formazione artistica perché con le opere che trasse da quel viaggio (una sessantina di studi e molti interessanti disegni), con le impressioni che immagazzinò, copiose e tenaci nella mente, oltre la suggestione letteraria e di maniera, iniziò la sua fortuna di massimo esponente del genere verista di stampo esotico, soprattutto in Francia (ottenne innumerevoli premi al Salon) e in Italia, dove l’interesse per questi temi fu più tardo sia a nascere che a morire, estinguendosi solamente a fine del XIX secolo. Il Pasini passò di successo in successo, e gli album-ricordo della rivista L’arte in Italia riprodussero con frequenza le sue impressioni visive di alto reportage, espresse con un verismo otticamente lucidissimo, diffondendosi in critiche lusinghiere. Lo scià stesso lo apprezzò e gli commissionò numerose opere, mentre alle mostre della Promotrice torinese, di cui divenne assiduo espositore, fu ricercato e stimato per le scene orientali (paesaggi, aggruppamenti di figure, costumi, bazar animati, cacce, carovane nel deserto assolato o tra le gole dei monti) mentre quasi nessuno si accorse dei paesaggi, come Le rive della Senna, o le vedute della Costa azzurra, del periodo parigino. Nel 1860 intraprese un nuovo viaggio, questa volto autonomo, che lo vide al Cairo, nel Sinai, in Palestina, a Gerusalemme, nel Libano fino ad Atene. Al ritorno sposò Mariannina Celi di Borgo Taro e dalla loro unione nacque Claire (a Parigi, dove ormai il Pasini risiedeva). Gli anni Sessanta furono anni di intensissimo lavoro, che videro progressive affermazioni ai salons. Riconoscimenti convalidati dalla critica di Pelloquet, Cantaloube, Du Camp, Duval, Merson e Th. Gautier, che sui principali giornali parigini evidenziarono la resa di un Oriente personale, reso oggettivamente e con particolare padronanza nella stesura del colore. Invitato dal Bourée a un nuovo viaggio, nel 1868, a Costantinopoli e in Grecia, continuò poi per anni a viaggiare, sia nel Medio Oriente che in Europa: nel 1869, infatti, si recò con il Gérôme in Spagna e in Belgio, l’anno successivo fu a Torino e dal 1871 si stabilì definitivamente in un piccolo centro della collina, Cavoretto, pur con frequenti puntate a Parigi e compiendo altri viaggi. L’emozione dell’incontro con Istanbul nel 1868 fu grandissima e operò in lui una scelta ben consapevole verso una resa di quel vero che aveva già perseguito negli anni Cinquanta, ma che ora usciva dai limiti del paesaggismo per farsi comprensione di un’intera società nelle sue molteplici e svariate componenti e nell’accettazione della sua diversità. Libero, come era sempre stato, da condizionamenti ideologici e politici, il Pasini perseguì un fedele reportage goduto nella sua essenzialità pittorica attraverso il colore. Nel 1873 il Pasini si recò nuovamente in Turchia: mèta Brussa, una città ancor più caratterizzata dalla policromia islamica. La messe di studi, la loro elaborazione, il favore del mercato francese, l’importanza della Casa Goupil che lo annoverò tra i suoi pittori dalla fine degli anni Sessanta, lo portarono in occasione dell’Exposition Universelle parigina del 1878 al massimo della sua affermazione pubblica sia francese che italiana. La sua personale si compose di undici quadri, tra i quali si ricordano una Caccia al falco, Passeggiata nel giardino dell’harem, Incontro di Capi Metualis, Porta Nord della Moschea Yeni Djami. In quell’occasione lo apprezzarono critici come Bergerat, Blanc, Cherbuliez, Claretie, Lamarre e Roux, Lefort, Lemonnier, Leroi e Ménard, cui facevano ormai eco, anche in Italia, voci più plaudenti che per il passato, quali Burraschino, Giacosa, Camerana, Netti e Maugeri. Seguirono anni di continuo e coscienzioso lavoro, ormai precipuamente rivolto all’Oriente turco, fino al 1876, anno nel quale iniziò la raffigurazione di Venezia. La città, a lui carissima, allietò la sua attività fino al 1885, solo interrotta da due brevissimi viaggi in Spagna, uno nel 1879 e uno nel 1883. Continuò ad alimentare, nelle sue opere, il ricordo delle terre conosciute lavorando sino all’ultimo e concludendo paradossalmente la sua vita, a parte qualche prezioso studio dal vero colto in momenti di quiete, come Cavoretto (1879, Torino, Galleria d’Arte moderna), da orientaliste en chambre. Ciò nonostante le opere esposte in una personale ordinata alla Promotrice nel 1880 (Cavalli al pascolo in Siria, Gruppo di cavalieri alla porta di una moschea, Yescil Giami, Cortile dei Leoni a Granada) lo portarono al maggior successo che un artista potesse ottenere da vivo. Il critico F. Fontana gli riconobbe il merito di infondere tanta vita, tanta robustezza, tanto carattere alle sue tele, pur dipingendole con quella minuteria di tocchi capuccinesca, sul pendio della quale tutt’altri si lascerebbe sdrucciolare al leccato. Più cauta, nei confronti del Pasini, fu la critica successiva, che riconobbe talvolta, soprattutto nelle vaste tele, dove il Pasini è più cronista che poeta, e quando la formulazione delle masse è compromessa o l’impasto del colore meno solido e pittoresco, uno scadere del suo verismo di base nei termini dell’obiettività monotona, con connotazioni innegabilmente kitsch, ma solo perché l’orientalismo pasiniano costituisce il marchio di un’epoca storicamente ben definita. Tuttavia l’efficacia espressiva del disegno esattissimo, il felice equilibrio compositivo, i valori cromatici e la curiosità del soggetto che cede spesso a favore di interessi più esclusivamente pittorici, riscattano quasi sempre il Pasini dalla tentazione del fotografico, cui fu peraltro indotto dalla natura della sua visione statica e oggettiva. Tra le opere non di soggetto orientale dell’ultimo periodo, particolarmente piacevoli sono quelle dipinte a Venezia, impostate su una tavolozza fremente di ombre grigie, nonché quelle destinate a illustrare i monumenti storici del Piemonte, resi fedelmente nonostante l’ariosità dell’impianto: Veduta di Moncalieri, 1892, Interno del maniero di Issogne, 1849, e Venezia, 1881 (Torino, Galleria d’Arte moderna), Rio Santa Maria Formosa, 1898. Dei dipinti più rappresentativi si ricordano: Carovana che si prepara alla partenza e Rovine classiche nel deserto (Parma, Pinacoteca Nazionale), Pattuglia di cavalieri persiani (Parma, Pinacoteca Stuard), Una carovana nel deserto (Firenze, Galleria d’Arte moderna), Porta di un bazar e Canal Grande (Roma, Galleria Nazionale d’Arte moderna), Bazar a Costantinopoli e Sosta di una carovana in Persia (Milano, Galleria d’Arte moderna), Caccia al falco nei dintorni del lago di Urmiah, Il corriere del deserto, Il Nilo, Costantinopoli, L’Alambra a Granada (Torino, Galleria d’Arte moderna), Davanti al palazzo (Philadelphia, Pennsylvania Academy of Arts). Dopo la litografia il Pasini tentò anche, con successo, l’acquaforte (pregevole è Abbrutimento, ricordo di Costantinopoli). L’attività del Pasini come litografo e acquafortista non è mai stata oggetto di monografie specialistiche. Nel 1909 fu allestita una mostra postuma della sua opera a Venezia, dove figurarono ben centouno tra bozzetti e studi. Numerose opere del Pasini figurano nei musei di Amsterdam, Marsiglia, Milano, Montreal, Mulhouse, Nantes, Parigi, Parma, Prato, Reims, Roma, Rouen, Sidney e Torino. Le sue opere, vendute in ogni parte del mondo, gli assicurarono la celebrità e gli procurarono varie onorificenze. A Parigi fu decorato della Medaglia d’Onore per la pittura, lo Scià di Persia gli conferì il titolo di ufficiale del Leone e del Sole, il Gran Sultano di Costantinopoli quello di ufficiale dell’Ordine del Medjidée, Napoleone III lo decorò della Legion d’Onore (1878) e il Re d’Italia dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. FONTI E BIBL.: J. Copeau, L’Orient de Pasini, Paris, 1911; M. Calderini, Alberto Pasini pittore, Torino, 1917; M. Soldati, La Galleria d’Arte moderna del Museo Civico di Torino, catalogo, Torino, 1927; L. Venturi, Pretesti di critica, Milano, 1929; A. 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VIII (1864-1877), Verbale C.Accademico per successione L.Marchesi, 17 agosto 1862, n. 1559 e atti vari successivi, cartella 1862, Lettera del prof.Scaramuzza al prof.A.Malatesta, n. 1572, 20 settembre 1862, Atti v. VIII (1864-77), Verbale seduta C.Accademico per ricevimento in dono di un quadro di Alberto Pasini, 17 dicembre 1864, Lettera di ringraziamento f.ta prof.Scaramuzza, n. 2518, 23 dicembre 1864; Società d’Incoraggiamento.Nota di sorteggio Esercizio 1864; Francia, Ministère de l’Etranger Quai d’Orsay, Etat numerique des fonds de la corréspondance politique, n. 25, 26, 27, Perse, Paris, 1 C.M., XXXVI, 1854-1855; Préfecture du Département de la Seine, 9° me Mairie de Paris, Acte de naissance de Claire Pasini, 30 gennaio 1862; Royal Anglo-Australian Society of Artists a Pasini, Archivio Eredi, 15-29 giugno 1891; Metropolitan Museum of Art, Central Park New York, Archivio Eredi, 1 agosto 1896. Dizionario biografico dei parmigiani di Roberto Lasagni