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COMPRNDERE L’ABILITA’ DI CAMBIARE DIREZIONE: REVISIONE
DEGLI STUDI SULL’ALLENAMENTO DI FORZA
Ermanno Rampinini
Human Performance Lab, MAPEI Sport, Castellanza (Varese)
Basato su:
Understanding change of direction ability in sport.
A review of resistance training studies.
Brughelli M, Cronin J, Levin G and Chaouachi A; Sports Med 2008, 38(12): 1045-1063
L’abilità di cambiare direzione (ACD) fa parte della capacità motoria generale denominata agilità.
Il cambio di direzione durante la corsa può essere definito come un gesto che viene “preparato”
durante il movimento e non come una reazione rapida ad uno stimolo esterno. Molti ricercatori
sostengono che l’ACD sia un prerequisito indispensabile per il successo nello sport moderno (Reilly
et al., 2000; Little and Williams, 2005; Gabbett, 2006a; Gil et al., 2007b). Questa convinzione
deriva dagli studi effettuati sull’identificazione del talento sportivo. Infatti, dai risultati di queste
ricerche è stato dimostrato che l’ACD è la qualità più importante per: (i) distinguere giovani
calciatori di livello prestativo differente (Gil et al., 2007a), (ii) distinguere giocatori di football
americano di diverso ruolo tattico (McGee and Burkett, 2003), (iii) predire la performance sul
campo nel football americano (Davis et al., 2004) e (iv) differenziare calciatori di elite da quelli di
livello prestativo inferiore (Reilly et al., 2000). Data la rilevanza dell’ACD per la performance in
numerosi sport, appare importante stabilire quali sono le determinanti fisiologiche dell’ACD.
L’identificazioni di queste determinanti potrebbe essere molto utile alla definizione delle metodiche
di allenamento più efficaci per migliorare l’ACD. Sheppard e Young (2006) hanno recentemente
identificato quelli che potrebbero essere i fattori più importanti per una buona ACD. Come mostrato
nella figura 1, i tre elementi più importanti risultano essere: la tecnica di esecuzione del gesto, le
qualità di velocità nello sprint in linea e le caratteristiche muscolari del soggetto.
Figura 1. Modello delle determinanti dell’abilità di cambiare direzione proposto da Sheppard e
Young (2006).
Anche se il modello proposto appare intuitivamente corretto, occorre ricordare che la funzione di un
modello è quella di identificare quei fattori che possono predire la variabile descritta. Inoltre,
attraverso la costruzione di un modello, dovrebbe essere possibile individuare gli elementi che, se
ben allenati, possono portare ad un miglioramento significativo della variabile descritta (nel nostro
caso risulta essere l’ACD). Tenendo bene in mente quest’ultimo concetto, lo scopo di questa
revisione della letteratura sarà quello di identificare le variabili fisiologiche che influenzano l’ACD
e di analizzare gli studi effettuati sull’allenamento (training study) su questo argomento.
Come al solito utilizzeremo una “review” come traccia del nostro percorso e in particolare
utilizzeremo un recente lavoro di un gruppo di ricercatori misto (due australiani, un tunisino e un
ricercatore della Nuova Zelanda) pubblicato su Sports Medicine nel numero di dicembre (Brughelli
et al., 2008). Come spesso accade nelle “review”, gli autori hanno definito i criteri con cui sono
state selezionate le ricerche sull’argomento: (i) negli studi doveva essere chiaramente definito il test
utilizzato per la misura dell’ACD e il risultato del test doveva essere rappresentato da una misura di
forza degli arti inferiori, potenza e/o velocità di corsa, (ii) gli studi dovevano essere stati scritti in
lingua inglese e pubblicati su riviste scientifiche indicizzate o pubblicati in atti di convegni
scientifici internazionali. A questo punto, le ricerche selezionate sono state divise in due gruppi. Un
primo gruppo di studi in cui sono state indagate le relazioni esistenti tra alcune qualità fisiologiche e
l’ACD (studi correlazionali) e un secondo gruppo di ricerche in cui si è verificato l’effetto di un
particolare tipo di allenamento sull’ACD (training study).
Gli studi correlazionali
Come riportato nella figura 1, Sheppard e Young (2006) hanno suggerito che le qualità di velocità
nello sprint in linea e le caratteristiche muscolari del soggetto sono fattori importanti per l’ACD.
Uno dei modi per quantificare l’importanza di questi fattori per l’ACD è quello di utilizzare le
analisi correlazionali. Infatti, tanto più un fattore fisiologico risulta importante per l’ACD, tanto
maggiore sarà l’indice di correlazione. Come scala di classificazione per le correlazioni
utilizzeremo quella proposta da Cohen (1988) e quindi verranno considerate buone correlazioni
quelle con un r>0,5, moderate quelle con un r compreso tra 0,3 e 0,5 e piccole o prive di rilevanza
quelle con un r<0,3.
Come prima qualità fisiologica ritenuta importante per l’ACD analizziamo la velocità nello sprint in
linea. Riassumendo i dati presenti in letteratura, la correlazione tra questa qualità fisiologica e
l’ACD risulta essere moderata (r tra 0.3 e 0.5). Infatti, le correlazioni estreme trovate nelle ricerche
che hanno indagato i legami esistenti tra il tempo di percorrenza negli sprint di 10, 20 e/o 30 m e la
performance in vari tipi di test di agilità in cui si misura l’ACD vanno da 0.06 (nulla) in uno studio
del 1985 (Draper and Lancaster) a 0.69 (buona) in uno studio del 2006 (Peterson et al.). Sheppard e
Young (2006) hanno suggerito che tanto maggiore è il numero di cambi di direzione che si devono
effettuare e tanto minore è il transfert della performance dallo sprint singolo in linea. In generale, è
possibile affermare che, anche nel caso più ottimistico, la performance nello sprint singolo in linea
spiega meno del 50% dell’ACD.
Tornando allo schema della figura 1, è stato suggerito che l’ACD è influenzata anche dalle qualità
muscolari (forza, potenza e forza reattiva) del soggetto. Occorre però precisare che la
classificazione proposta appare ridondante, infatti, la maggior parte delle misure di forza reattiva
possono essere considerate anche misure di potenza muscolare. Per questo motivo, divideremo i
restanti studi correlazionali in due gruppi: gli studi che hanno indagato le relazioni esistenti tra
l’ACD e la forza muscolare e gli studi che hanno indagato le relazioni esistenti tra l’ACD e la
potenza muscolare. La forza espressa in termini assoluti, risulta essere scarsamente correlata
all’ACD nei maschi e solo moderatamente correlata nelle femmine. Infatti, nello studio di Markovic
(2007b), le correlazioni tra una ripetizione massima (1RM) e il test per misurare l’ACD sono
risultate basse (r da 0.17 a 0.31). Risultati simili sono emersi dallo studio di Peterson et al. (2006),
la correlazione tra 1RM e ACD nei maschi risultava essere bassa (r=0.17) mentre era moderata
nelle femmine (r=0.41). Nello stesso studio, gli autori hanno anche normalizzato i dati di forza
massima per il peso degli atleti. I ricercatori hanno ipotizzato che non fossero tanto i livelli di forza
assoluta ad influenzare l’ACD ma che questa qualità sia positivamente influenzata dai livelli di
forza massima relativi (in relazione cioè al peso corporeo dei soggetti). Effettuando questa ulteriore
analisi, le correlazioni tra forza e ACD aumentano. Infatti, nei maschi la r aumenta da 0.17 a 0.33 e
nelle femmine aumenta da 0.41 a 0.63. Tuttavia, anche normalizzando i livelli di forza per il peso
corporeo dei soggetti, nella più ottimistica delle situazioni, questa qualità spiega meno del 40%
dell’ACD. E’ altresì interessante notare che le correlazioni esistenti tra la massima forza isometrica
e l’ACD (Markovic et al., 2007b), risultano essere molto più basse (r da 0.03 a 0.25) di quelle
trovate con 1RM. Questi risultati confermano il fatto che i movimenti dinamici e i movimenti statici
hanno ben poco in comune.
Se utilizziamo il termine potenza muscolare in senso stretto (in altre parole capacità di produrre
watt), solo due studi hanno indagato le relazioni esistenti tra la potenza muscolare e l’ACD
(Peterson et al., 2006; Markovic et al., 2007b). Nello studio di Peterson et la. (2006), le correlazioni
trovate sono risultate essere basse (r da 0.03 a 0.21), mentre nello studio di Markovic (2007b) le
correlazioni trovate andavano da basse a moderate (r da 0.15 a 0.35). Tuttavia, molto spesso viene
utilizzata l’altezza del salto verticale o la distanza del salto orizzontale come surrogato della potenza
muscolare degli arti inferiori. Bisogna però precisare che la performance in un test di salto (altezza
o distanza) e la potenza sviluppata durante un salto restano due elementi ben distinti tra loro
(Peterson et al., 2006). Molti studi (Pauole et al., 2000; Young et al., 2002; Peterson et al., 2006;
Hoffman et al., 2007) hanno riportato correlazioni da piccole a moderate tra la performance nel test
di salto verticale e l’ACD (r da 0.26 a 0.49). In generale, sembra che le correlazioni tra queste due
variabili siano più alte per le femmine che per i maschi (Pauole et al., 2000; Peterson et al., 2006).
Inoltre, non sembra che vi sia una grossa differenza se le correlazioni vengono calcolate utilizzando
la performance nel salto verticale monopodalico piuttosto che bipodalico (Young et al., 2002;
Hoffman et al., 2007). Intuitivamente, al fine di valutare meglio le qualità muscolari coinvolte nel
cambio di direzione, potrebbe essere più appropriato utilizzare test di valutazione in cui il soggetto è
costretto a sviluppare delle forze in senso orizzontale oltre che in senso verticale. I risultati presenti
in letteratura appaiono contrastanti. Infatti, nello studio di Markovic (2007b) le correlazioni tra la
performance nel test di salto orizzontale e l’ACD sono risultate essere piccole (r da 0.12 a 0.27)
mentre nello studio di Peterson et al. (2006), le correlazioni sono risultate essere buone (r da 0.61 a
0.71) e superiori a quelle riscontrate con i salti verticali. Le evidenze presenti in letteratura sono
quindi troppo poche per arrivare ad una conclusione chiara e netta, tuttavia i primi risultati
sembrano essere incoraggianti.
Gli studi sull’allenamento
Gli studi correlazionali sono importanti per cercare di capire quali potrebbero essere i fattori che
influenzano una determinata variabile (nel nostro caso l’ACD), ma hanno una scarsa valenza per
quanto riguarda il rapporto di causa-effetto. In altre parole, individuare una correlazione
significativa tra due variabili non implica necessariamente che modificando una delle due (nel
nostro caso con l’allenamento) si modifichi necessariamente anche l’altra. Come passo successivo è
molto importante quindi analizzare tutti gli studi fatti sull’allenamento dell’ACD al fine di
confermare quali siano i fattori determinanti l’ACD e capire quali siano i mezzi di allenamento più
appropriati da utilizzare se si vuole migliorare l’ACD.
Uno degli studi più interessanti sull’allenamento del cambio di direzione è quello di Young et al.
(2001). In questa ricerca è stato confrontato l’effetto sull’ACD dell’allenamento di sprint ripetuti
effettuato in linea o in alternativa effettuato con numerosi cambi di direzione. I risultati ottenuti
sono a dir poco illuminanti: il gruppo di atleti che aveva effettuato l’allenamento utilizzando come
mezzo solo gli sprint in linea aveva migliorato la performance solo nello sprint in linea. Al
contrario, il gruppo di atleti che aveva effettuato l’allenamento utilizzando come mezzo solo lo
sprint con cambi di direzione aveva migliorato la performance solo nel test di sprint con cambi di
direzione e non nel test di sprint singolo in linea. I risultati di questo studio dimostrano come gli
adattamenti siano estremamente specifici e che difficilmente c’è transfert da una tipologia di
allenamento all’altra. Tuttavia lo studio di Young et al. non è stato pienamente confermato da altre
ricerche successive. Infatti, nel recente studio di Markovic et al. (2007a), un gruppo di atleti è
riuscito a migliorare l’ACD effettuando un allenamento di soli sprint in linea. Occorre però
sottolineare che, in questo studio il volume di allenamento sostenuto dai partecipanti alla ricerca era
molto elevato e decisamente superiore a quello sostenuto dai soggetti coinvolti nello studio di
Young. Infine, in un recentissimo studio di Ferrari Bravo et al. (2008), un gruppo di calciatori si è
sottoposto ad un allenamento di sprint ripetuti o in alternativa ad un allenamento di ripetute in
soglia. Entrambi i gruppi eseguivano il mezzo di allenamento assegnato effettuando numerosi
cambi di direzione, ma solo il gruppo che li effettuava ad altissima intensità (sprint ripetuti)
migliorava, al termine del periodo di allenamento, la propria ACD.
In molte ricerche si è cercato di migliorare l’ACD utilizzando allenamenti di forza con o senza
sovraccarichi (Fry et al., 1991; Cronin et al., 2003; Hoffman et al., 2004; Hoffman et al., 2005;
Tricoli et al., 2005). Infatti, si ritiene che la forza e la potenza muscolare possano influenzare
l’ACD e di conseguenza sia appropriato allenare le qualità muscolari utilizzando pesi e/o
esercitazioni pliometriche. Questi tipi di allenamenti risultano utili per migliorare la forza, la
potenza o la capacità di sprint singolo, ma non risultano efficaci per migliorare l’ACD (tabella 1).
Ad esempio, Hoffman et al. (2004; 2005) hanno sottoposto ad allenamento di forza e potenza
concentrica (anche utilizzando strappi e slanci) alcuni giocatori di football americano ma non hanno
ottenuto alcun miglioramento nell’ACD. Allo stesso modo, Tricoli et al. (2005), Fry et al. (1991) e
Harris et al. (2000) hanno sottoposto ad allenamento di forza concentrico ed allenamento
pliometrico soggetti attivi, pallavolisti ed atleti abituati agli allenamenti di forza, ma in nessuna di
queste ricerche è stato riscontrato un miglioramento dell’ACD dopo il periodo di allenamento.
Kraemer et al. (2003) si sono occupati di verificare l’effetto della periodizzazione dell’allenamento
di forza in un lasso di tempo molto lungo (intera stagione agonistica) sull’ACD di atlete tenniste.
Anche in questo caso non è stato riscontrato alcun miglioramento dell’ACD a seguito del periodo di
allenamento. Uno dei pochi studi sull’allenamento di forza che ha mostrato significativi
miglioramenti dell’ACD è la ricerca di McBride et al. (2002). In questo studio, gli atleti si
allenavano effettuando alcuni squat jump con sovraccarico (dal 30% all’80% di 1RM). In
particolare, alla fine del periodo di allenamento, il miglioramento dell’ACD era maggiore per quegli
atleti che avevano utilizzato sovraccarichi maggiori (80% 1RM) negli squat jump. Uno dei motivi
per cui in questo studio è stato possibile verificare un miglioramento dell’ACD potrebbe risiedere
nel fatto che, utilizzando come mezzo di allenamento gli squat jump con sovraccarichi, gli atleti
erano costretti a sviluppare grandi livelli di forza nella fase concentrica del salto, ma anche e
soprattutto a sviluppare grandi livelli di forza eccentrica durante la fase di atterraggio dal salto con
sovraccarico. Gli adattamenti indotti dall’allenamento della forza eccentrica potrebbero aver pesato
positivamente sul cambio di ACD, tuttavia questa speculazione dovrebbe essere confermata con
uno studio dedicato all’effetto dell’allenamento di forza eccentrica sull’ACD. Altri due studi che
hanno utilizzato come mezzo allenante i balzi hanno mostrato miglioramenti dell’ACD (Malisoux et
al., 2006; Miller et al., 2006). La particolarità di questi due studi era quella di aver utilizzato balzi
verticali combinati a balzi orizzontali, e questo potrebbe essere il motivo per cui, in questi due studi
sia stato possibile verificare un miglioramento dell’ACD.
Nella maggior parte degli studi in cui si è riscontrato un miglioramento dell’ACD sono state
utilizzate come mezzo allenante esercitazioni sport-specifiche e/o generali contenenti numerosi
cambi di direzione (tabella 2). Nelle due ricerche di Gabbett (2006; 2006b), in quella di Cressey et
al. (2007) e in quella di Polman et al. (2004) è stato possibile misurare un miglioramento dell’ACD
utilizzando esercitazioni sport specifiche per: pallavolo, rugby e calcio. Infine, nelle ricerche di
Dean et al. (1998) e di Christou et al. (2006) si è visto che lo stesso tipo di allenamento risulta
efficace per migliorare l’ACD anche in atleti giovani (da 12 a 16 anni).
Conclusioni
Analizzando l’estrema complessità dell’ACD è evidente che risulta difficile chiarire con precisione
quali siano le determinanti fisiologiche di questa qualità. Il modello proposto da Sheppard e Young
(2006) appare eccessivamente semplicistico dato che non sempre l’ACD appare strettamente legata
alle qualità muscolari del soggetto o alla velocità di corsa nello sprint singolo in linea. Il
tradizionale allenamento di forza e/o potenza sembra essere efficace per migliorare le qualità di
sprint e/o di salto in atleti e non atleti, ma non sembra adeguato per migliorare l’ACD. L’unica
tipologia di allenamento di forza che sembra essere efficace per il miglioramento dell’ACD è
l’allenamento di forza eccentrica, tuttavia sono necessari studi ulteriori per confermare i dati
preliminari raccolti fino a oggi. Gli studi che hanno mostrato i maggiori incrementi di ACD sono
quelli in cui sono state utilizzate esercitazioni sport-specifiche o generali contenenti un elevato
numero di cambi di direzione effettuati ad elevata intensità. Analizzando con cura le informazioni
presenti in letteratura fino a oggi, appare evidente che l’ACD ha bisogno di un allenamento
altamente specifico e che i possibili transfert tra le numerose sfaccettature dell’ACD sembrano
essere limitati.
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Tabella 1. Riassunto dei training study in cui non è stato riscontrato un miglioramento della capacità di cambiare direzione.
Autori
Soggetti coinvolti
Tipo di allenamento
Frequenza;
Durata
Fry et al. (1991)
11 femmine praticanti atletica leggera
Forza concentrica con sovraccarichi metodo classico e pliometria
4x/wk; 12 wk
Cronin et al. (2003)
40 soggetti attivi (maschi e femmine)
Squat jump su leg press modificata con o senza elastici
2x/wk; 10 wk
Tricoli et al. (2005)
32 studenti di scienze motorie (maschi e femmine)
Forza concentrica e vertical jump
3x/wk; 8 wk
Hoffman et al. (2004)
20 calciatori maschi di livello universitario
Forza concentrica e potenza concentrica
4x/wk; 15 wk
Kraemer et al. (2003)
30 femmine tenniste di livello universitario
Forza concentrica con sovraccarichi con periodizzazione o senza periodizzazione
3x/wk; 9 wk
Hoffman et al. (2005)
47 maschi calciatori di livello universitario
Squat jump con o senza sovraccarichi
4x/wk; 15 wk
69 maschi giocatori di rugby
Esercitazioni specifiche e generali per il rugby
2x/wk; 9 wk
41 maschi abituati all’allenamento di forza
Forza concentrica, potenza concentrica o combinazione di forza e potenza concentrica
4x/wk; 9 wk
Gabbett (2006)
Harris et la (2000)
Tabella 2. Riassunto dei training study in cui è stato verificato un miglioramento della capacità di cambiare direzione.
Autori
Soggetti coinvolti
Tipo di allenamento
Frequenza;
Durata
Gabbett et al. (2006)
26 maschi pallavolisti junior
Esercitazioni specifiche per la pallavolo con un elevato numero di cambi di direzione
3x/wk; 8 wk
Gabbett (2006)
77 maschi giocatori di rugby
Esercitazioni specifiche per il rugby con un elevato numero di cambi di direzione
2x/wk; 14 wk
8 maschi attivi
Stretch-shortening cycle training con salti verticali e orizzontali, bipodalici e monopodalici
3x/wk; 8 wk
27 maschi atleti di livello amatoriale
Sprint training con o senza cambi di direzione
2x/wk; 6 wk
26 maschi abituati all’allenamento di forza
Squat jump con sovraccarichi corrispondenti al 30% o all’80% della forza massima
2x/wk; 8 wk
139 adolescenti (maschi e femmine)
Corse, salti, spostamenti vari e velocità di reazione agli stimoli
2x/wk; 4 wk
93 studenti di scienze motorie (maschi e femmine)
Sprint training o pliometria
3x/wk; 10 wk
Cressey et al. (2007)
19 maschi calciatori di livello universitario
Esercitazioni specifiche per il calcio con cambi di direzione ed esercizi su diverse superfici
3x/wk; 10 wk
Polman et al. (2004)
36 femmine calciatrici di elite
Velocità, agilità e rapidità con cambi di direzione effettuati con o senza piccoli sovraccarichi
2x/wk; 12 wk
Christou et al. (2006)
18 maschi calciatori adolescenti
Esercitazioni generali e specifiche per il calcio con un elevato numero di cambi di direzione
2x/wk; 16 wk
Miller et al. (2006)
28 atleti di livello amatoriale (maschi e femmine)
Pliometria effettuata in direzione verticale, orizzontale e laterale
2x/wk; 6 wk
Deane et al. (2005)
48 studenti del college (maschi e femmine)
Allenamento di forza dei flessori dell’anca con elastici
3x/wk; 8 wk
Ferrari et al. (2008)
42 maschi calciatori junior e calciatori amatori
Sprint training con cambi di direzione
2x/wk; 12 wk
Malisoux et al. (2006)
Young et al. (2001)
McBride et al. (2002)
Dean et al. (1998)
Markovic et al. (2007)
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