Contratto di agenzia o contratto a progetto?

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Contratto di agenzia o contratto a progetto?
CONTRATTO DI AGENZIA O CONTRATTO A PROGETTO?
UNA SCELTA IN EQUILIBRIO – IMPERFETTO – TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE.
Sommario: 1. I contratti di agenzia e di collaborazione a progetto: analogie e differenze. – 2. Il contratto
di agenzia ed il lavoro autonomo ed imprenditoriale. – 3. Il contratto di agenzia ed il lavoro subordinato.
– 4. Il contratto di agenzia e le differenze rispetto al mandato ed alla commissione.
1.
I contratti di agenzia e di collaborazione a progetto: analogie e differenze
Il contratto di agenzia, disciplinato dagli artt. 1742 – 1753 c.c. (oltre che da numerosi accordi economici
collettivi(1)), è il contratto con cui una parte (agente) assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto
dell’altra (preponente) e verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata (art. 1742 c.c.).
Perché l’affare promosso dall’agente possa essere considerato concluso, è indispensabile che al preponente
pervenga la proposta del cliente, nel senso che è necessario che il cliente la formuli e l’agente la faccia
pervenire al preponente medesimo. L’art. 1748 c.c., infatti, statuisce che l’agente ha diritto alla provvigione per
tutti gli affari conclusi durante il contratto per effetto del suo intervento(2).
Visto con gli occhi del giuslavorista, il contratto di agenzia è un contratto parasubordinato rientrante nell’alveo
dell’art. 409 n. 3 c.p.c. Ciò è confermato anche dalla giurisprudenza, dato che esso ha ad oggetto una
prestazione che, per quanto non subordinata, si caratterizza comunque per un rapporto di collaborazione
coordinata e continuativa con l’impresa preponente che comporta una ingerenza ed un controllo nello
svolgimento dell’attività che non sono ravvisabili nel lavoro autonomo. Tuttavia, nonostante i molti elementi di
vicinanza, esso presenta anche alcune fondamentali differenze rispetto alle collaborazioni coordinate e
continuative (ancorché svolte nella modalità a progetto ex art. 61 del D.lgs. n. 276/2003).
Per meglio esplicitare questo fondamentale aspetto, si è ritenuto utile prendere le mosse da due contratti di
collaborazione coordinata e continuativa resi nella modalità a progetto che, posti al vaglio della Commissione
di certificazione del Centro Studi “Marco Biagi” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, sono stati, a seguito
della procedura di certificazione, ritenuti conformi ai dettami normativi applicabili, sebbene, da quanto statuito
nei rispettivi progetti, le prestazioni concordate potessero, in astratto, risultare del tutto simili a quelle
generalmente richieste ad un agente.
Nello specifico, il primo contratto era stato stipulato da un’azienda (committente), che si occupava della
produzione di “abbigliamento maschile di alta qualità” e che aveva conferito ad un collaboratore l’incarico,
come da progetto dedotto in contrato, di svolgere un’attività di “ricerca e studio per l’inserimento del prodotto
sartoriale maschile (di produzione della committente) in nuove e potenziali aree di mercato”. In particolare, al
collaboratore era stato richiesto di “svolgere un’indagine (nelle aree di mercato) al fine di capire in quali zone
sia ancora elevata la domanda di acquisto relativa ai prodotti di alta qualità”. Inoltre, era stato previsto che il
collaboratore esaminasse “le esigenze dei potenziali nuovi clienti, in modo da rendere l’Azienda ancora più
competitiva, capace di soddisfare le loro aspettative sia per quanto riguarda la ricercatezza dei dettagli, sia per
offrire il miglior servizio che loro si aspettano”. Il collaboratore poteva avvalersi, per lo svolgimento della attività
(1) Il più recente in ordine di tempo è l’Accordo economico collettivo del 16 febbraio 2009 per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza
commerciale del settore del commercio. Si ricorda anche il primo C.c.n.l. per gli agenti del settore del commercio, che è del 20 giugno 1956. Molto
importante è stato il C.c.n.l. firmato il 9 giugno 1988. Mentre il 16 novembre 1988 e il 30 ottobre 1992 sono stati firmati quelli inerenti al settore
industriale. Per una prima analisi si veda Ghezzi G., Del contratto di agenzia: art. 1742-1753, Zanichelli, Bologna, 1970 e Giordano G., Iannelli D.,
Santoro G., Il contratto di agenzia, la mediazione, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1974.
(2)Per un quadro più completo della tipologia contrattuale in esame, si rimanda a Tiraboschi M., Formulario dei rapporti di lavoro, Giuffrè, Milano,
2011.
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in oggetto, “di un piccolo campionario di abiti e tessuti, di documentazioni e di manuali per il su misura; tutti i
suddetti materiali (erano) di proprietà del committente e (dovevano essere) restituiti (secondo quanto
dichiarato in sede di sottoscrizione) al termine del contratto”.
Il secondo contratto preso in esame prevedeva lo svolgimento di un’attività similare alla succitata, consistente
nella “ricerca di mercato per il posizionamento e la valorizzazione del brand (della committente); analisi della
comunicazione del fashion, della creatività e dell’innovazione al fine di inserire nuovi modelli di vendita;
proposte per lanciare nuove collezioni presentando diverse soluzioni per il guardaroba (…); studio della
strategia aziendale”, prevedendo, altresì, un rendiconto annuale dei risultati conseguiti, dello studio e delle
ricerche effettuate.
Entrambi tali progetti si concretizzavano poi, di fatto, nella loro fase finale, nella redazione di un report dal
quale si potessero evincere le nuove aree di mercato nelle quali la committente avrebbe potuto presentare le
nuove collezioni a nuovi potenziali clienti. I collaboratori avevano, pertanto, il compito di presentare alla
committente un quadro quanto più dettagliato possibile della zona individuata al fine ultimo di accrescere il
portafoglio clienti. La committente si era, quindi, prefissata lo scopo di individuare il distributore finale, il che
aveva comportato la necessità di compiere una serie di verifiche preliminari, che variavano anche a seconda
del numero di abitanti dei diversi centri urbani, tenendo anche conto, in particolare, delle zone in cui vi era
minore diffusione del prodotto aziendale. Il collaboratore costituiva, in tal senso, un anello della catena
produttiva che consentiva di mantenere l’impresa sul mercato. L’attività del collaboratore, infine, non era
limitata a determinate zone, ma si svolgeva dove di volta in volta il collaboratore stesso ne rilevasse la
necessità, prevedendo, quindi, una notevole autonomia di gestione. Per quanto riguarda i criteri di
determinazione del corrispettivo, le parti, conformemente ai dettami normativi, avevano stabilito il compenso in
misura fissa commisurandolo alla quantità di lavoro occorrente, in relazione al servizio da eseguire e, quindi,
al risultato finale da realizzare. In entrambi i contratti, pertanto, la modalità di svolgimento della attività e di
determinazione del corrispettivo, oltre alla mancata individuazione di un preciso orario di svolgimento della
prestazione, liberamente scelto dal collaboratore secondo il proprio gradimento, sono stati considerati, date
anche le risultanze dell’audizione dei collaboratori, indici della natura autonoma del rapporto. I collaboratori,
poi, non promuovevano, nella zona concordata né in zone diverse, la conclusione di contratti; si limitavano
invece a “fotografare” la situazione esistente in funzione di un successivo – ed eventuale – intervento della
committente.
Il confine fra collaborazioni di tal genere e la prestazione di un agente rimane però sottile, ed è astrattamente
possibile che un contratto di collaborazione mascheri, in realtà, un contratto di agenzia.
È certamente vero, infatti, che vi sono elementi che accomunano queste due tipologie contrattuali, quali, come
si è visto, l’autonomia organizzativa nello svolgimento della prestazione continuata nel tempo, previo il diritto
del preponente di pretendere ogni informazione utile per la valutazione della convenienza dei singoli affari, da
un lato, e, dall’altro, la prevalenza dell’elemento “personale” nel rapporto rispetto agli altri fattori della
produzione.
Tuttavia, vi sono ancor più elementi discordanti. Infatti, il contratto di agenzia presuppone un vincolo diretto
rispetto alle istruzioni del preponente, potendo l’agente intervenire solo sull’organizzazione spazio temporale e
non già sul quid delle istruzioni ricevute. Inoltre, vi è la possibilità che il preponente modifichi unilateralmente
l’attività richiesta e che la verifichi nel corso dell’esecuzione, tramite l’obbligo di informazione posto in capo
all’agente. Diversamente, in corso di esecuzione di un rapporto di collaborazione a progetto, il committente
dovrà astenersi dal porre in essere una assidua forma di controllo dell’operato del collaboratore, pur potendo
verificare lo stato di avanzamento della prestazione del collaboratore in vista del raggiungimento del risultato.
Oltre a ciò, la periodicità e le modalità di espletamento di tale verifica dovranno essere preventivamente
concordate dalle parti nel momento costitutivo del vincolo contrattuale. Nell’agenzia, poi, l’autonomia della
prestazione è indipendente dal grado di vincolatività delle istruzioni, essendo correlata all’esistenza di
un’organizzazione di mezzi propri dell’agente, il quale sopporta interamente la spesa economica (dipendente
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non solo dalla variabilità del corrispettivo, ossia dalla provvigione dovuta solo per gli affari che hanno avuto
regolare esecuzione, ma anche dalla variabilità dei costi in generale). Tale profilo, peraltro, non solo distingue
il contratto di agenzia dalle collaborazioni, ma anche dal lavoro subordinato. Il committente, determinando il
progetto, nell’esercizio del potere di coordinamento potrà specificare le modalità di esecuzione del progetto e
non potrà, invece, esigere dal collaboratore una disponibilità continuativa dell’attività e/o delle sue energie di
lavoro. In sostanza, l’agente “promette” la propria attività personale per il conseguimento dell’obiettivo deciso
dal preponente; il collaboratore “promette soltanto l’attività necessaria al perseguimento del programma
contrattualmente definito”(3). Ed ancora, nel contratto di agenzia l’invito fatto al cliente (il soggetto terzo) deve
essere pienamente conforme rispetto alle direttive ricevute del beneficiario ultimo e, per tale ragione, esso non
può essere generico, poiché si rende necessario che abbia ad oggetto una proposta che, nei suoi contenuti,
sia già stata predeterminata dal preponente (ovvero da questi modificata, in parte od in tutto, in corso d’opera).
Certo, vero è che il preponente può impartire solo indicazioni generali di massima, ma è anche vero che non è
previsto che l’agente concordi ed approvi preventivamente l’affare definito nella sua interezza dal preponente,
o che se ne possa discostare in corso di rapporto. Tale indicazione puntuale dell’attività non può, di contro,
trovare attuazione nelle c.d. co.co.pro., che prevedono lo svolgimento di un’attività in piena autonomia,
potendo il committente esclusivamente indicare un progetto/programma di massima che, tra l’altro, dovrà
essere approvato dal collaboratore stesso.
Gli elementi di affinità fra le due tipologie contrattuali sollevano però inevitabilmente alcune problematiche in
merito alla genuinità della tipologia contrattuale di volta in volta utilizzata, in particolare quando le attività svolte
dal collaboratore possono in qualche modo essere assimilabili a quelle generalmente affidate all’agente. Il
rischio è quello che si instauri un rapporto di collaborazione non genuino in sostituzione di un rapporto di
agenzia, che, anche considerati gli accordi economici collettivi vigenti, risulterebbe essere molto più oneroso
per il preponente/committente.
Anche richiamando il solo profilo inerente il corrispettivo, infatti, mentre le disposizioni inerenti le collaborazioni
coordinate e continuative statuiscono unicamente, come è noto, che il compenso corrisposto ai collaboratori a
progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e dei compensi normalmente
corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (cfr. art. 63,
comma 1, D.lgs. n. 276/2003(4)) , quelle contenute negli accordi economici collettivi per gli agenti risultano ben
più gravose. Ad esempio, l’accordo Economico Collettivo del 16 febbraio 2009 per la disciplina del rapporto di
agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio, all’art. 5, indica in maniera dettagliata le
modalità di determinazione del corrispettivo e, quindi, di erogazione delle provvigioni, stabilendo, innanzitutto,
conformemente a quanto statuito dall’art. 1748 c.c., che il diritto alla provvigione scatta successivamente
all’esecuzione dell’affare ed è pattuita in forma percentuale stabilendo contrattualmente il valore proporzionale
dell’affare. Esso spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il proponente ha eseguito o avrebbe
dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo e la provvigione spetta all’agente, al
più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la
prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico(5 ). Inoltre, si prevede una
“indennità meritocratica” basata sull’incremento dei clienti e lo sviluppo degli affari, oltre ad essere prevista
una indennità di fine rapporto.
Ove si considerino poi i profili contribuitivi inerenti le due fattispecie in esame, le differenze appaiono
sostanziali. Infatti, per quanto concerne il contratto di collaborazione, si prevede l’obbligo per il collaboratore di
(3) Cfr. Persiani M., Proia G., Contratto e rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 2009, pg. 209.
(4 )Come ribadito anche dall’art. 1, comma 772, L. n. 296 del 2006 (Legge Finanziaria per il 2007), il quale statuisce che “in ogni caso, i compensi
corrisposti ai lavoratori a progetto devono essere proporzionati alla quantità e qualità del lavoro eseguito e devono tener conto dei compensi
normalmente corrisposti per prestazioni di analoga professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento”.
(5) Cfr. Cass. 24 maggio 1986, n. 3507, Cass. 14 gennaio 1985, n. 58.
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iscriversi alla Gestione separata Inps, la quale prevede un’aliquota previdenziale, per il 2012, del 27,72% (6)
(l’aliquota contributiva è invece del 18% per i collaboratori assicurati anche presso altre forme previdenziali
obbligatorie o pensionati). Tale contributo previdenziale è ripartito tra committente e collaboratore nelle misure,
rispettivamente, di 2/3 e 1/3 sulla base imponibile. Per il contratto di agenzia, invece, si prevede l’iscrizione
dell’agente all’Enasarco ed è prevista un’aliquota per il 2012 del 13,50%. Tale detrazione contributiva è divisa
al 50% fra preponente ed agente, e per quest’ultimo si prevede che l’importo venga trattenuto all’atto della
liquidazione delle provvigioni.
Tuttavia, la disamina del contratto di agenzia non può ritenersi completa se ci si limita ad evidenziare le affinità
e le differenze riscontrabili con il contratto di collaborazione a progetto, in quanto esso presenta molti aspetti in
comune anche con il lavoro autonomo ed il lavoro subordinato. Pertanto, al fine di evitare di incorrere in errore
in sede di qualificazione, è certamente opportuno evidenziarne anche gli elementi di vicinanza e di differenza
con il lavoro subordinato e con il lavoro autonomo.
2.
Il contratto di agenzia ed il lavoro autonomo ed imprenditoriale
Il contratto di agenzia non rientra pienamente nell’alveo dei rapporti di lavoro autonomo (si veda, ad esempio,
la nota disposizione, già richiamata, contenuta nell’art. 409, n. 3, c.p.c., inerente la possibilità, per l’agente, di
accedere al rito del lavoro), benché abbia con quest’ultimo alcuni elementi di affinità.
Infatti, l’agente sembra rientrare perfettamente nella definizione dell’art. 2222 c.c., che richiama chi “si obbliga
a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo
di subordinazione”.
In realtà, appare evidente che il carattere autonomo del rapporto di agenzia, che si sostanzia nel rispetto
dell’autonomia dell’agente nello svolgimento della propria prestazione da parte del preponente, è poi in
concreto strettamente connesso alla necessaria soggezione dell’attività lavorativa dell’agente alle direttive ed
alle istruzioni impartite, nonché ai relativi controlli amministrativi e tecnici in conseguenza all’attività ed
all’interesse del preponente. Infatti, se pure è vero che l’agente ha un ampio spazio di autonomia, il controllo
del preponente sullo svolgimento della prestazione dell’agente è sicuramente più incisivo di quello del
committente sul prestatore d’opera; ci troviamo, infatti, in presenza di un obbligazione concernente “un
servizio”, anche per la relativa continuità che l’attività dell’agente presuppone.
Tuttavia, è innegabile che l’elemento dell’autonomia assume una fondamentale rilevanza in questa tipologia
contrattuale. Infatti, se da un lato l’agente, ai sensi dell’art. 1746 c.c., deve “tutelare gli interessi del
preponente” e deve adempiere l’incarico affidatogli “in conformità delle istruzioni ricevute”, da un altro lato è la
stessa direttiva comunitaria del 18 febbraio 1986, n. 653 a precisare che le direttive/istruzioni in oggetto
devono essere “ragionevoli”, vale a dire rispettose di un equilibrio tra le diverse esigenze delle parti del
rapporto. Gli accordi economici collettivi vigenti hanno chiarito, poi, che le istruzioni di cui all’art. 1746 c.c.
devono tener conto dell’autonomia operativa dell’agente (ancor più se rappresentante), il quale, sebbene sia
tenuto ad informare costantemente il preponente sulla situazione del mercato in cui opera, non è però tenuto
ad una periodicità prefissata di tali rendiconti. Anche la possibilità di coordinare altri agenti, di raccogliere
lamentele della clientela per riferirle al preponente, ed altri incarichi simili, non sono incompatibili con
l’autonomia dell’agente in quanto tali incarichi trovano giustificazione “in base all’obbligo dell’agente di
adempiere l’incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute, e non incidono necessariamente
sull’autonomia dell’organizzazione professionale dell’agente stesso e sull’assunzione del rischio del risultato
della propria attività lavorativa” (cfr. Cass. 3 aprile 1990, n. 2680). Per tali ragioni, l’agente, allora, se non
(6)Si consideri l’aliquota aggiuntiva del 0,72% relativa all’erogazione dell’indennità di maternità, dell’assegno per il nucleo familiare e del trattamento
economico di malattia in caso di ricovero ospedaliero.
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esistessero gli artt. 1742 – 1753 c.c., che disciplinano appunto il contratto di agenzia, sarebbe un appaltatore
continuativo o periodico di servizi ex art. 1677 c.c.(7).
Al contrario, quando l’attività dell’agente è svolta in forma di impresa, e cioè quando l’attività dell’agente non è
prevalente rispetto all’organizzazione dallo stesso predisposta, il rapporto di agenzia ha natura
prevalentemente autonoma e non è riconducibile all’art. 409, n. 3, c.p.c. e, di conseguenza, le eventuali
controversie con il preponente non sono soggette al rito del lavoro( 8 ). A tal proposito, si segnala la
recentissima pronuncia del Tribunale di Reggio Calabria del 2 febbraio 2012( 9 ), che, riprendendo un
orientamento oramai consolidato, statuisce che affinché i rapporti di agenzia rientrino nelle disposizioni di cui
al suddetto articolo, occorre verificare la sussistenza e soprattutto l’espletamento di un’opera prevalentemente
personale. Tale situazione non può realizzarsi (con conseguente devoluzione della controversia al giudice
civile ordinario) quando l’agente, pure operante individualmente e senza alcuno schermo societario, si avvalga
di una propria autonoma struttura imprenditoriale. È il caso dell’imprenditore “normale”(10) (non piccolo) che è
dotato di un notevole complesso aziendale, con locali, attrezzature d’ufficio, di un capitale investito nell’attività
e che gestisce il lavoro altrui - dei sub agenti - in modo che tale lavoro prevalga sul proprio e sull’eventuale
lavoro dei propri familiari, ovvero esercita la propria attività in forma di società commerciale(11). In sostanza,
non potremo parlare di contratto di agenzia ex artt. 1742 e ss. allorché, rispetto all’attività personale
dell’agente, assumono prevalenza il capitale investito e le prestazioni dei sub agenti(12). In tal caso, non è
improbabile che le dimensioni aziendali in capo all’agente superino quelle del preponente( 13 ). La
giurisprudenza aveva già da tempo statuito che “quando l’agente abbia organizzato la propria attività con
criteri imprenditoriali tali da far concludere che egli si limiti ad organizzare e dirigere i suoi collaboratori, non
realizzando una collaborazione meramente ausiliaria dell’attività altrui ma gestendo un’impresa autonoma
propria”( 14 ) non ci si trovi nell’alveo del contratto di agenzia. Ed ancora, più recentemente, “per potersi
configurare la competenza del giudica del lavoro in tema di contratti di agenzia è necessario che l’attività di
collaborazione sia coordinata e continuativa e che venga svolta quanto meno in misura prevalente con il
lavoro personale dell’agente”(15 ). Tale situazione non ricorre, statuisce ancora la Corte, “quando l’agente
svolga la propria attività avvalendosi di una struttura organizzativa a carattere imprenditoriale”(16).
3.
Il contratto di agenzia ed il lavoro subordinato
A differenza del rapporto di agenzia, il rapporto di lavoro subordinato è caratterizzato, come è noto, dalla
eterodizione, che si sostanzia, tra l’altro, nel dovere di obbedienza del lavoratore di cui all’art. 2104 c.c. e nella
determinazione, da parte del datore, del tempo durante deve essere svolta l’attività lavorativa, nonché delle
modalità di esecuzione, di tempo e di luogo per il suo svolgimento. Pertanto, il rapporto di lavoro subordinato è
caratterizzato dall’assoggettamento al potere direttivo che si esplica in ordini specifici e puntuali, e non in
(7) Cfr. Toffoletto F., Il contratto di agenzia, Giuffrè Editore, Milano, 2008, pg. 86.
(8 )Cfr. Santoro Passarelli G., op. cit.
(9) In Guida al Lavoro, n. 10, 2012, pg. 26.
(10) ibidem.
(11) Il contratto di sub agenzia si presenta tutte le volte in cui un contratto deriva da un altro contratto di agenzia. Si caratterizza per aver il
medesimo contenuto economico e per essere derivante dallo stesso obiettivo finale. Vi è, quindi, la coesistenza fra i due contratti, dei quali il
secondo è accessorio al primo. Per uno studio analitico del contratto di sub agenzia, si rimanda a Saracini E., Toffoletto F., op. cit.
(12) È il caso, ad esempio, di un agente che si avvaleva di 4 sub agenti. Cfr. Cass. 4 marzo 1987, n. 2299.
(13) Cfr. Baldassarri V., Il contratto di agenzia, Cedam, Padova, 2000, pg. 109.
(14) Cfr. Cass. 24 marzo 1994, n. 2836. Si segnala anche Cass. 24 gennaio 1998, 709.
(15) Cfr. Cass. 28 dicembre 2006, n. 27576.
(16) Cfr. Cass. 22 marzo 2006, n. 6351. Si segnala anche Cass. 6 aprile 2009, n. 8214, la quale, dopo aver nuovamente rimarcato la necessità della
prevalente personalità della prestazione, la ha poi esclusa in un caso in cui era stato prospettato in ricorso che l’attività di agenzia era realizzata
“attraverso una struttura piramidale”.
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semplici direttive di carattere generale. Le direttive che il datore di lavoro impartisce al prestatore di lavoro
subordinato presuppongono poi la continuità della disponibilità del lavoratore(17).
Al contrario, l’agente, come dispone l’art. 1746, adempie all’incarico affidatogli potendo liberamente decidere
le modalità per adempiere l’obbligazione di promozione, seppure nel rispetto delle istruzioni fornite dal
preponente. Quindi egli non è assoggettato al poter organizzativo, gerarchico e disciplinare del preponente,
svolgendo la propria attività sopportando il rischio del risultato. Inoltre, autodetermina i tempi di esecuzione,
senza che il mancato svolgimento della prestazione in una determinata unità temporale possa mai costituire
un inadempimento. Nel contratto di agenzia le istruzioni presuppongono soltanto la continuità della
prestazione dell’agente rivolta a soddisfare un interesse durevole del proponente e, conseguentemente, non
implicano, a differenza di quanto avviene nei casi di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, una
forma di controllo del “tempo del lavoro” dell’agente. Anche se, invero, ai sensi dell’art. 1746 c.c. è fatto
obbligo al preposto di conformarsi alle istruzioni del preponente e di informarlo di tutte le circostanze rilevanti
ai fini dell’attività promozionale(18).
La netta distinzione tra contratto d’agenzia e lavoro subordinato era comunque ben chiara fin dagli anni ’20 del
secolo scorso, allorché nel contratto collettivo corporativo del 15 maggio 1928 (art. 2, ultimo comma) per i
viaggiatori e piazzisti (lavoratori subordinati), venivano esclusi dal campo di applicazione dell’accordo “coloro
che nell’esercizio delle loro funzioni, pur avendo una limitazione di zona, hanno una piena autonomia di azione
nello svolgimento del loro lavoro, non avendo alcun vincolo di itinerario e di impiego del loro tempo”. In seguito,
la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “il criterio distintivo fondamentale tra il contratto di agenzia e
quello di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che oggetto del primo è lo svolgimento a favore di
un’impresa di un’attività economica esercitata con organizzazione di mezzi propri dell’agente, che supporta il
rischio del risultato del lavoro, e che è legato da un semplice rapporto di collaborazione verso il proponente al
quale deve fornire le informazioni utili al fine di valutare la convenienza degli affari; oggetto del secondo è
invece la prestazione in regime di subordinazione, di energie di lavoro la cui organizzazione ed il risultato e
rischio rientrano esclusivamente nella sfera economico – giuridica dell’imprenditore”( 19 ). Ed ancora, più
recentemente, la Suprema Corte ha stabilito che gli elementi peculiari del rapporto di agenzia “sono
rappresentati dall’organizzazione da parte dell’agente di una struttura imprenditoriale, anche a livello soltanto
embrionale, e dall’assunzione da parte dello stesso (e non già del preponente) del rischio per l’attività
promozionale svolta, che si manifesta nell’autonomia dell’agente nella scelta dei tempi e dei modi della stessa,
pur nel rispetto di quanto disposto dall’art. 1746 c.c.”(20). Quindi, come insegna la giurisprudenza, un’altra
fondamentale differenza rispetto al lavoro subordinato è che il rischio economico ricade interamente
sull’agente, con la conseguente impossibilità di configurare un rapporto di agenzia nel caso in cui le
prestazioni rese in esecuzione del rapporto vengano compensate con una retribuzione fissa(21) . Ciò, come
detto, a differenza di quanto accade nel contratto di lavoro subordinato, nel quale è elemento essenziale che il
datore si accolli, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, il rischio d’impresa, che è poi strettamente
(17) Si aggiunga, per completezza, che l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, per la giurisprudenza, “assume tuttavia
intensità differenziata, in funzione della specificità dei casi concreti. In relazione a queste ipotesi, ove le direttive non appaiono penetrare nelle
specifiche modalità del lavoro, assumono rilievo anche altri concorrenti elementi. Ed in primo luogo il tempo” (Cfr. Cass. 13 febbraio 2007, n. 3090).
Inoltre, una recentissima sentenza della Corte d’Appello di Bologna (del 16 marzo 2012, in Guida al Lavoro, n. 18, 2012) conferma i precedenti
orientamenti stabilendo che, ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, gli elementi rilevanti sono
l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo (da esplicarsi con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generale),
organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da valutarsi con riferimento alla specificità dell’incarico conferitogli e alle modalità della sua
attuazione. Lo svolgimento di controlli da parte del soggetto che riceve la prestazione è, invece, compatibile sia con il rapporto di lavoro
subordinato, sia con quello autonomo, sicché assume rilievo ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato solo quando, per oggetto e
modalità, i controlli stessi siano finalizzati all’esercizio del potere direttivo ed, eventualmente, di quello disciplinare.
(18) Cfr. Cassano G., I contratti di intermediazione: mandato, agenzia, mediazione, contratto estimatorio, commissione, procacciamento d'affari,
concessione di vendita, franchising, intermediazione finanziaria, CEDAM, Padova, 2011, pg. 307.qq
(19) Cfr. Cass. 28 marzo 2000, n. 3738.
(20) Cfr. Cass. 1 settembre 2003, n. 12756. Si veda anche Cass. 15 maggio 2002, n. 7087.
(21) Cfr. Cass. 24 maggio 1986, n. 3507, Cass. 14 gennaio 1985, n. 58.
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ricollegato al risultato da raggiungere. Inoltre, con sentenza del 22 agosto 2003, n, 12348, la Cassazione ha
stabilito, con riguardo all’attività dell’agente, che “le strategie di mercato e gli obiettivi da raggiungere non
possono in alcun modo rappresentare ordini specifici, ma costituiscono indicazioni che qualsiasi committente
deve dare per specificare il contenuto dell’incarico”(22). La dottrina maggioritaria ha poi individuato un indice
caratterizzante il lavoro subordinato del viaggiatore e del piazzista, rispetto all’agente, nell’obbligo di itinerario,
che si concretizza nella predeterminazione delle modalità temporali di svolgimento delle visite ai clienti. Mentre
l’agente, quand’anche sia tenuto a rispettare un determinato itinerario, è libero poi di scegliere il momento nel
quale effettuare le visite. Ancora, mentre il lavoratore subordinato sarà adempiente purché dimostri di avere
osservato le disposizioni impartitegli, tale osservanza non sarebbe sufficiente per liberare l’agente, il quale
dovrà dimostrare di avere organizzato la propria attività in modo da ottenere il risultato promesso (dato
l’obbligo di risultato)(23). In sostanza, quindi, la differenza fra le due tipologie si fonda sulle modalità con le
quali si estrinseca l’esercizio del potere del datore o del preponente: sottoposizione ad un vincolo di
eterodizione, nel primo caso, che si concretizza nella possibilità di intervenire in qualsiasi momento sulle
modalità di svolgimento di qualsiasi fase di realizzazione della prestazione, e di mero coordinamento, nel
secondo caso, con conseguente necessità che l’agente si conformi alla predeterminazione solo indicativa
degli itinerari e del numero dei clienti da visitare, senza che ciò si concretizzi in una influenza – se pur minima
– nell’esecuzione spazio – temporale della prestazione lavorativa (24). Si precisa infine che una eventuale
clausola contrattuale che prevedesse il divieto di promuovere l’attività di vendita a nuovi clienti proposti
dall’agente, o la previsione di una accettazione preliminare in merito, sarebbero inidonee a consentire la
qualificazione come subordinato del contratto(25).
4.
Il contratto di agenzia e le differenze rispetto al mandato ed alla commissione
In chiusura pare opportuno rimarcare, in estrema sintesi, la differenza dell’agenzia con il mandato(26). Infatti,
l’agente non è un mandatario e quindi non sono applicabili a questa figura le norme sul mandato. Infatti, si
definisce mandatario, ex art. 1703 c.c., chi si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante,
mentre l’attività promozionale svolta dall’agente si sostanzia in atti materiali, e non giuridici. Ciò, sempre che
l’agente non abbia anche la rappresentanza: in tal caso, infatti, viene meno tale distinzione, e l’agente con
rappresentanza sarà tenuto a compiere proprio atti giuridici, dovendo egli non solo concludere accordi (attività
materiale), ma anche stipulare contratti. L’agente rappresentante, infatti, propone la stipulazione di contratti,
ovvero, se il cliente aderisce alla proposta, può stipularli in nome e per conto del proponente. Quindi
troveranno applicazione, in caso di rappresentanza, anche le regole sul mandato che non siano incompatibili
con quelle dell’agenzia. A tal proposito, la giurisprudenza (cfr. Cass. 16 ottobre 1998, n. 10265) precisa che
“diversamente dal mandatario, il quale compie atti giuridici per conto del mandante, l’agente si limita, verso
corrispettivo a promuovere la conclusione di affari tra preponente e terzi nell’ambito di una zona determinata,
salvo che, come previsto all’art. 1752 c.c., gli sia stato attribuito il potere di stipulare i contratti in
rappresentanza di colui che gli ha affidato l’incarico: in relazione a questa possibilità la riconduzione del
rapporto all’uno o all’altro schema va operata avendo riguardi ad altri criteri, tratti dalla disciplina positiva e,
principalmente, a quello della stabilità, la quale è caratteristica del rapporto di agenzia e comporta che
l’incarico sia stato dato per una serie indefinita di affari”(27).
(22)Cfr. Toffoletto F., op. cit., pg. 117..
(23) Cfr. Ghera E., Sul lavoro a progetto, in Riv. It. Dir. lav. 2005, 02, 193.
(24) Cfr. Cass. 1 settembre 1986, n. 5364.
(25) Cfr. Trib. Milano, 29 maggio 1991.
(26) Per uno studio analitico del mandato e della commissione si veda Cassano G., op.cit.
(27) Concetto precedentemente statuito da Cass. 10 ottobre 1985, n. 4942.
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Con o senza rappresentanza, invece, l’agente non è mai un commissionario, il quale, ex artt. 1731 e ss. c.c., è,
di fatto, un mandatario ed il suo contratto è qualificato come un “mandato che ha per oggetto l’acquisto o la
vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario”. Vi è pertanto un incarico di gestione
caratterizzato dalla specificità dell’oggetto e dall’assenza di poteri di rappresentanza in capo al commissario,
ed “egli è titolare dei diritti e degli obblighi che riversa poi sul committente, attraverso un rapporto interno” (cfr.
Cass. 5 dicembre 1969, n. 3890) (28). Mentre l’agente, con o senza rappresentanza, agisce sempre per conto
e per nome del preponente.
Da quanto fin qui esposto, sono molteplici gli elementi giuridicamente rilevanti che distinguono il contratto di
agenzia da altre tipologie contrattuali, sebbene vi siano, come evidenziato, anche molti elementi che li
accomunano. Per tale ragione potrebbe essere utile, nei casi dubbi, utilizzare la procedura di certificazione dei
contratti ex artt. 75 e ss. del D. Lgs. n. 276/2003, o avvalersi dell’attività di assistenza e consulenza che le
commissioni di certificazione sono abilitate a svolgere, in modo da non rischiare di incorrere in sanzioni ove le
parti non siano in grado di individuare autonomamente la tipologia contrattuale meglio rispondente al concreto
atteggiarsi dei rapporti tra le parti.
Valeria Filippo
Commissione di Certificazione - Centro Studi Marco Biagi
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
(28) Cfr. Cassano G., op.cit., pg. 614.
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