I proverbi impazziti
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I proverbi impazziti
3 VOLUME Scaffale della critica H. Il secondo Ottocento Giovanni Verga Giorgio Bàrberi Squarotti I proverbi impazziti Opera: Giovanni Verga. Le finzioni dietro il verismo, I proverbi impazziti Punti chiave: La sapienza dei proverbi e il mondo moderno Cultura orale e potere della scrittura Dal proverbio istruttivo al proverbio descrittivo La sconfitta della saggezza tradizionale I n questo saggio, Bàrberi Squarotti propone una lettura in chiave storico-ideologica dei Malavoglia a partire da una caratteristica espressiva del romanzo, il proverbio, formula riassuntiva di una sapienza millenaria, formata dal ripetersi di tante esperienze all’interno di un mondo statico. Essi fioriscono, in particolare, sulle labbra di padron 5 10 15 20 25 ’Ntoni, ultimo erede di quella sapienza antica che si affida ai proverbi per leggere la realtà. Queste massime di saggezza, però, si rivelano del tutto inadeguate a interpretare le regole della società moderna, né salvano i Malavoglia dalla catastrofe. I proverbi finiscono per descrivere, allora, la condizione miserevole e umiliata dei vinti. All’inizio de I Malavoglia, nella presentazione della famiglia che sarà protagonista del romanzo, il narratore ci dà, su padron ’Ntoni, un’informazione che sembra avere soltanto l’intento di definire il personaggio nei termini di una patriarcalità solennemente popolare, e che, invece, ha una funzione un poco più ampia: «Padron ’Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi, “perché il motto degli antichi mai mentì”: – “Senza pilota barca non cammina” – “Per far da papa bisogna saper far da sagrestano” – oppure – “Fa’ il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai” – “Conténtati di quel che t’ha fatto tuo padre; se non altro non sarai un birbante”, ed altre sentenze giudiziose. Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron ’Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza l’avrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse predicato che era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava pel ritorno di Franceschello1; onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria. Padron ’Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: “Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole” perché “chi comanda ha da dar conto”». […] Padron ’Ntoni possiede il dominio sulla cultura orale, quella che si tramanda attraverso i tempi. È un dominio assoluto, che non ha rivali nell’ambito che le compete, ma ha contro di sé la cultura scritta, quella che è nelle mani di don Silvestro il segretario, il quale, infatti, opera per escludere da questo moderno e attuale spazio della scrittura padron ’Ntoni, e ci riesce, dando ai proverbi di padron ’Ntoni una coloritura politica negativa, cioè identificando gli «antichi» del vecchio pescatore con i Borboni e con Franceschello […]. La contrapposizione fra il mondo orale di padron ’Ntoni e quello della scrittura è decisamente marcato anche dopo la presentazione delle situazioni e dei personaggi del romanzo: il nipote ’Ntoni, che è «un bighellone di vent’anni» e dà qualche preoccupazione al nonno perché non ha gran voglia di lavorare, rimarca la sua diversità dal mondo di padron ’Ntoni dimostrando, con lo scrivere la lettera da Napoli sui piaceri e le gioie della vita nella grande città, di appartenere all’«altra» parte o, meglio, di volervi appartenere; 1. Franceschello: Francesco II di Borbone (1836-1894), ultimo re di Napoli. Timido, arrendevole e bigotto, gli avversari lo designavano, senza troppi ri- G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori GU042400680P_436-499 COL.indd 464 1 guardi per la sua corona, col diminutivo spregiativo di “Franceschiello”. Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A. 26/08/14 11:47 Scaffale della critica 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 H. Il secondo Ottocento 3 VOLUME Giovanni Verga Giorgio Bàrberi Squarotti e subito il Verga mette a confronto il circolo politico tenuto da don Franco, con don Giammaria e don Silvestro, con la lettura del giornale e con la storia della rivoluzione francese a portata di mano, e i proverbi che si scambiano padron Cipolla e padron ’Ntoni con la mediazione ironica di Piedipapera. Da un lato c’è la parola scritta: «Lo speziale teneva conversazione sull’uscio della bottega, al fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di lettere leggeva la gazzetta, e ci aveva anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a portata di mano, sotto il mortaio di cristallo, perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo, e ci pigliavano delle malattie dalla bile». Dall’altro lato, c’è la tradizione orale: «– Vuol dire che mastro Turi Zuppiddo preferisce le uova delle sue galline, – rispose padron ’Ntoni. E padron Cipolla disse di sì col capo. – ’Ntroi, ’ntroi, ciascuno coi pari suoi, – aggiunse padron Malavoglia. Piedipapera allora ribatté che se don Silvestro si fosse contentato di stare coi suoi pari a quest’ora ci avrebbe la zappa in mano invece della penna. – Che ce la dareste voi vostra nipote Mena? – disse alfine padron Cipolla, volgendosi a padron ’Ntoni. – “Ognuno all’arte sua, e il lupo alle pecore”. Padron Cipolla continuava a dire di sì col capo, tanto più che fra lui e padron ’Ntoni c’era stata qualche parola di maritar la Mena con suo figlio Brasi, e se il negozio dei lupini andava bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l’affare si sarebbe conchiuso presto. “La ragazza com’è educata, e la stoppa com’è filata”, – disse infine padron Malavoglia». Don Silvestro non tiene più la zappa in mano, ma la penna, e proprio per questo è passato dalla parte di coloro che detengono il potere e ne ha avuto i concreti vantaggi economici, che sono, poi, anche quelli di poter vivere senza fare nulla che si veda davvero, allo stesso modo che lo speziale e il prete, che leggono i giornali perché hanno da far trascorrere il tempo. All’opposto stanno i proverbi di padron ’Ntoni: la cultura orale che è radicalmente altro spazio e altra verità rispetto a quella politica su cui discutono don Franco e don Giammaria, contro la quale, anzi, propone più o meno marcatamente e coscientemente un’alternativa di concezione di vita, inadatta, tuttavia, quella di padron ’Ntoni, per quanto grandi possano essere la sua intelligenza e la sua saggezza, a farlo diventare consigliere comunale, cioè a farlo partecipe delle strutture attuali del potere. La saggezza dei proverbi non può andare oltre la vita tradizionale di paese e di comunità a cui essi da tutti i tempi si riferiscono […]. Quando i Malavoglia si troveranno a dover fare i conti con la scrittura attraverso la carta bollata con cui viene loro ingiunto di pagare il debito dei lupini, ecco che la loro fedeltà alla parola, alla parola data, li escluderà dal poter approfittare del mondo degli avvocati, dei giudici, degli uscieri, della legge scritta, come li consiglia di fare l’avvocato: «’Ntoni si grattò il capo, e il nonno soggiunse: – È vero, i lupini ce li ha dati, e bisogna pagarli. Non c’era che dire. Adesso che l’avvocato non era più là, bisognava pagarli. Padron ’Ntoni, scrollando il capo, borbottava: – Questo poi no! Questo non l’hanno mai fatto i Malavoglia. Lo zio Crocifisso si piglierà la casa, e la barca, e tutto, ma questo poi no!». Il mondo della tradizione orale è impotente di fronte a quello della scrittura, che manda carta bollata e propone di applicare una legge scritta […]. Soltanto chi possiede la scrittura può vivere e dominare in un mondo in cui leva, tasse, navi a vapore, telegrafo, hanno spezzato tutte quelle tradizioni che facevano sì che il mondo andasse davvero secondo i proverbi. Padron ’Ntoni elenca i suoi proverbi entro una struttura di situazioni immobili, che non hanno patito, fino a quel punto, nessuna eccezione. Ma non è più tempo di immobilità e di durata senza mutamento. […] I proverbi di padron ’Ntoni non valgono più per un mondo che si è messo in moto, anche se non hanno perso la loro intrinseca verità. Ma è una verità senza più effetto e forza, tanto è vero che ’Ntoni continua ad andare con i lupi e con gli zoppi, anche se sa benissimo di diventare anch’egli lupo (ma un lupo da parodia se, alla fine, sarà il vero «vinto», e tutto quello che sarà stato capace di fare per tentare di entrare fra i ricchi e i potenti sarà stata la coltellata a don Michele) e zoppo. Gli «antichi» hanno perso tutto G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori GU042400680P_436-499 COL.indd 465 2 Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A. 26/08/14 11:47 3 VOLUME Scaffale della critica 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 H. Il secondo Ottocento Giovanni Verga Giorgio Bàrberi Squarotti il loro potere, e padron ’Ntoni, che è il loro interprete, non è più quella «testa quadra» che sarebbe potuto anche diventare consigliere comunale, se non fosse stato accusato da don Silvestro di essere codino e reazionario e filoborbonico, ma un povero diavolo che non osa neppure più farsi vedere per le strade del paese, ora che ha perso Bastianazzo, il carico dei lupini, la casa del nespolo, e ha il nipote esattamente simile a Rocco Spatu, che trascorre le sue giornate all’osteria. I proverbi, con la loro fondamentale appartenenza al passato, non hanno salvato Bastianazzo e la Provvidenza dal naufragio nella tempesta e, in ogni caso, non sono serviti a far prevedere vento e burrasca, in modo da potersi salvare: ma perché, appunto, l’affare dei lupini e il viaggio per portarli al vapore di Trieste non rientrano più nell’ambito del loro dominio. […] La fine di padron ’Ntoni è segnata dalla conseguenza disperata della spogliazione di dignità e di onore che il processo a ’Ntoni è stato per lui come per tutta la famiglia (con la partenza di Lia): e allora anche i proverbi non sono più, coerentemente con quelli pronunciati nell’arringa dall’avvocato Scipioni, una norma di comportamento o l’estrinsecazione della legge perenne della natura e della vita, ma un patetico tentativo di giustificazione: «Padron ’Ntoni adesso era diventato del tutto un uccellaccio di camposanto, e non faceva altro che andare intorno, rotto in due, e con quella faccia di pipa, a dir proverbi senza capo e senza coda: “Ad albero caduto accetta! accetta!” – “Chi cade nell’acqua è forza che si bagni” – “A cavallo magro, mosche” – E a chi gli domandava perché andasse sempre in giro, diceva che “la fame fa uscire il lupo dal bosco”, e “cane affamato non teme bastone”; ma di lui non volevano saperne, ora che era ridotto in quello stato. Ognuno gli diceva la sua, e gli domandava cosa aspettasse colle spalle al muro, lì sotto il campanile, che pareva lo zio Crocifisso quando aspettava d’imprestare dei denari alla gente, seduto a ridosso delle barche tirate in secco, come se ci avesse in mare la paranza di padron Cipolla; e padron ’Ntoni rispondeva che aspettava la morte, la quale non voleva venire a prenderselo, perché “lo sfortunato ha i giorni lunghi”». I proverbi diventano esclusivamente descrittivi della condizione di miseria e di disonore in cui è caduto padron ’Ntoni: sono dichiarazioni su come va il mondo, non indicano più una strada da seguire, una norma a cui obbedire per non essere sbattuti dalle tempeste della società e della vita, ora che proprio queste si sono portate via la famiglia dei Malavoglia e la casa del nespolo. Per questo sono «senza capo e senza coda»: la saggezza degli antichi non ha custodito la famiglia, non ha salvato la barca e i lupini e Bastianazzo e la casa e ’Ntoni e Luca e Lia. La «testa quadra» di padron ’Ntoni si è rivelata incapace di fare fronte alle situazioni di un mondo profondamente mutato rispetto all’illusione che gli «antichi» potessero davvero offrire i mezzi e le parole e la saggezza per condursi per tutti i tempi dei tempi. E allora padron ’Ntoni non può far altro che accumulare un delirio di proverbi inutili e disperati, che non significano altro che il tentativo di fissare in formule la sua miseria […]. Padron ’Ntoni andrà anche all’Albergo dei poveri, di cui ha tanta paura, per percorrere fino in fondo la strada della sua umiliazione, e vi morirà solo. La parabola della sconfitta della saggezza degli «antichi» a contatto con il mondo moderno deve essere completa e clamorosa, davanti agli occhi di tutti. Anche la mente di padron ’Ntoni, partecipe della tradizione e possessore della saggezza tramandata oralmente, viene sconvolta e obnubilata, per maggiore disdoro e irrisione. È una tradizione che, appunto, finisce con lui: ma nella forma più crudele e, al tempo stesso, umiliante, perché deve essere una fine che susciti desolazione e riso, beffe e pietà, essendo senza dignità e senza grandezza, là dove tanta era stata la ieratica grandiosità delle sentenze proverbiali dichiarate nel tempo della buona fortuna da padron ’Ntoni di fronte al paese; e in più, deve essere una fine esemplare, senza possibilità di appello (e, infatti, dopo la delirante sequenza di proverbi della disperazione e della morte, padron ’Ntoni non ne dirà più). Il mondo della saggezza della tradizione degli «antichi» non può finire nella grandiosità del crollo di una tragedia: G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori GU042400680P_436-499 COL.indd 466 3 Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A. 26/08/14 11:47 Scaffale della critica 135 H. Il secondo Ottocento 3 VOLUME Giovanni Verga Giorgio Bàrberi Squarotti bensì nell’Albergo dei poveri, all’ospizio, senza nessuno della famiglia vicino, a smentita della sentenza iniziale, che «per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro», se ancora quella saggezza aveva necessità di essere dimostrata vana e inutile. […] Nel delirio proverbiale di padron ’Ntoni vecchio e fatto come demente è finita senza possibilità di rinascita la potenza della tradizione orale della saggezza della vita secondo le leggi, credute eterne, della natura. G. Bàrberi Squarotti, I proverbi impazziti, in Giovanni Verga. Le finzioni dietro il verismo, Flaccovio, Palermo 1982. PER L’AUTORE GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, Il sublime dal basso G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori GU042400680P_436-499 COL.indd 467 4 Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A. 26/08/14 11:47