Pico della Mirandola e la natura dell`uomo
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Pico della Mirandola e la natura dell`uomo
Navigare nel tempo e nello spazio Pico della M irandola e la natura dell'uomo Heptaplus di Giovanni Pico della Mirandola Tratto da: Documenti storici, a cura di Rosario Romeo e di Giuseppe Talamo, vol. I, Il Medioevo, Torino, Loescher, 1983, pp. 181-‐183. Fin qui abbiamo parlato dei tre mondi, del sopraceleste, del celeste e del sublunare. Conviene ora che trattiamo dell'uomo, del quale è stato scritto: «facciamo l'uomo a immagine nostra», che non è tanto un quarto mondo, quasi una qualunque nuova creatura, ma dei tre che abbiamo detto è l'unione e il legame. È infatti consuetudine comune, usurpata dai re e dai principi della terra, quando abbiano fondato una città nobile e magnifica, di porre in mezzo ad essa, ormai compiuta, la propria immagine in modo che tutti possano vederla ed ammirarla. Non diversamente vediamo che ha agito Dio, signore del tutto, che, dopo avere edificata la mole mondana, ha posto ultimo di tutti gli esseri, in mezzo a loro, l'uomo fatto a sua immagine e somiglianza. Ma è difficile problema comprendere il perché di questo privilegio dell'uomo, di avere l'immagine di Dio. Se infatti, rifiutata la follia di Melitone che rappresentò Dio in forma umana, ricorriamo alla natura della ragione e della mente, che è come Dio intelligente, invisibile e incorporea, in tal modo senza dubbio proveremo che l'uomo è simile a Dio, soprattutto nell'anima, con cui raffigura la Trinità. Ma riconosceremo anche che queste medesime doti sono negli angeli più che in noi pure e meno miste alla natura corporea e di tanto più simili e vicine alla natura divina. Noi invece cerchiamo nell'uomo qualcosa di peculiare, da cui risulti la dignità che gli è propria e un'immagine della sostanza di Dio, che non sia comune ad alcuna altra creatura. Né ciò può essere se non questo, che la sostanza dell'uomo, come intendono anche alcuni commentatori Greci, abbraccia in sé le sostanze di ogni natura e racchiude realmente la pienezza dell'universo intero. E dico realmente, poiché anche gli angeli ed ogni creatura intelligente contengono in sé, in certo modo, tutto, allorché pieni delle forme e delle ragioni di tutte le cose, tutto conoscono. Ma come Dio unisce e collega la perfezione totale non solo perché intende tutto, ma perché in lui sono le vere sostanze delle cose, così anche l'uomo, benché in modo diverso, come mostreremo — altrimenti sarebbe non l'immagine di Dio, ma Dio - connette e collega nell'integrità tutte le nature dell'universo. Il che non può dirsi di alcuna altra creatura, angelica, celeste o sensibile. Questa è la diversità fra Dio e l'uomo, che Dio in sé contiene tutto come principio di tutto, l'uomo tutto contiene come medio; e perciò avviene che in Dio tutte le cose siano più perfette che in sé stesse, nell'uomo quelle inferiori siano più nobili e quelle superiori degenerino. Fuoco, aria, acqua e terra sono nella pienezza della loro natura in questo nostro grave corpo terreno che vediamo. Oltre il quale vi è un altro corpo spirituale più divino degli elementi - come dice Aristotele - che è proporzionato al cielo. V'è inoltre nell'uomo la vita vegetativa, che compie in lui quelle funzioni che compie nelle piante, di nutrire, di crescere e generare. Vi è la sensibilità animale, tanto interna che esterna. V'è un animo celeste che è ricco di ragione. V'è la partecipazione alla mente angelica. V'è il possesso veramente divino di tutte queste doti, che insieme confluiscono in unità, sì che si può ripetere la celebre esclamazione di Ermete: Grande miracolo, o Asclepio, è l'uomo. E di questo suo titolo può andar fiera l'umana condizione, sì che ad essa nessuna creatura disdegna servire. Le servono la terra e gli elementi, e i bruti; per essa si muove il cielo; le procurano salute e bene le menti angeliche, se è vero quello che scrive Paolo che «tutti gli spiriti sono stati inviati a servire coloro che sono destinati all'eredità di salvezza». Né deve parere strano che debba essere amato da tutti colui in cui ogni essere trova qualcosa di sé, anzi ritrova tutto sé stesso. All'uomo servono le cose terrene, favoriscono l'uomo le cose celesti, poiché degli esseri del cielo e della terra è vincolo e legame, né possono gli uni e gli altri non conciliarsi in lui purché egli sia in pace con sé stesso, egli che in sé pacifica e accorda tutti gli esseri. Ma badiamo a che, innalzati a tanta dignità, non ci sfugga il vero e teniamolo sempre dinanzi agli occhi della mente, come verità certa, chiara e sicura: come tutte le cose si volgono a noi, se osserviamo la legge che ci è stata data; così se nel peccato, nella violazione della legge, noi verremo meno al nostro compito, tutto ci diventerà contrario, ostile, avverso. È giusto infatti che, a quel modo che offendiamo non solo noi stessi, ma l'universo che abbracciamo in noi, e l'autore del mondo, Dio onnipotente, così ritroviamo anche dei potentissimi vendicatori, degli inesorabili punitori dell'offesa ricevuta, in tutti gli esseri che sono nel mondo e, soprattutto, in Dio.