Dio Padre Creatore - Anno della fede
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Dio Padre Creatore - Anno della fede
Meditazione teologica sul tema Dio Padre Creatore alla luce di Gen 1,1-2,3 (Patti, Seminario, 27 febbraio 2013) Bisogna riconoscere che ci troviamo in difficoltà di fronte al testo di Genesi che oggi ci è stato proposto di meditare. Da una parte queste parole della Bibbia ci suonano familiari, come scriveva il Cardinale Joseph Ratzinger: Queste parole iniziali della Sacra Scrittura risuonano sempre al mio orecchio come il rintocco festoso di una vecchia grande campana, che, stupendo e solenne, tocca il cuore e fa presagire qualcosa del mistero dell’eterno. Queste parole ricordano inoltre a molti di noi il primo incontro con il libro sacro di Dio, la Bibbia, che ci venne presentata per la prima volta a questa pagina1. Dall’altra parte ci chiediamo se le parole della Genesi sono vere, dato che sembrano non reggere più di fronte allo sviluppo della scienza moderna, alle scoperte genetiche, astrofisiche ecc. Oggi sembra più ragionevole parlare di evoluzione, mutazione della specie, selezione naturale anziché di creazione, al punto che persino nella nostra formazione catechistica facciamo poco riferimento a questi grandi testi della Bibbia. Ma la questione, nella sua radice, non è puramente scientifica (non riguarda cioè solo gli scienziati), bensì profondamente esistenziale, dato che tocca la grande domanda che ci poniamo su Dio e sull’origine del mondo. Se l’universo in cui viviamo è frutto del caso o è determinato da leggi autonome, non provenienti da nessuno, allora hanno ragione coloro che hanno affermato che l’uomo oggi è riuscito a fare a meno di Dio? Ma è necessario fare attenzione a sbarazzarsi sbrigativamente di Dio: il Salmista ammonisce difatti: - “Lo stolto pensa: Dio non esiste” (Sal 13,1). Bisogna essere stolti ad eliminare Dio dalla vita, perché a quel punto anche noi diventiamo espressioni di un assurdo: perché viviamo e perché ci troviamo in questo pianeta chiamato terra? 1. Chi è Dio? Alla domanda Chi è Dio? potremmo rispondere ripetendo le parole del Catechismo appreso da bambini: “Dio è l’essere perfettissimo, Creatore del cielo e della terra”; o se volessimo riflettere più filosoficamente potremmo leggere quanto dice S. Basilio nella prima omelia sull’Esamerone: La natura beata, la bontà esente da invidia, colui che è oggetto d’amore da parte di tutti gli esseri ragionevoli, la bellezza più di ogni altra desiderabile, il principio degli esseri, la sorgente della vita, la luce intellettiva, la sapienza inaccessibile, Egli insomma “in principio creò il cielo e la terra” (I,2,7). Vorrei invece partire oggi da una considerazione più esistenziale, che tocca il senso più profondo della nostra ricerca di Dio. S. Agostino nel Commento alla prima Lettera di Giovanni fa questa illuminante osservazione: 1 J. RATZINGER, Creazione e peccato, Cinisello Balsamo 1987, p. 10. 1. «Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com’è» (IV,6). Evidentemente questo non significa che Dio coincide con i nostri desideri, né che bisogna inventarsi necessariamente che esista, per colmare i nostri bisogni e le nostre paure. È vero piuttosto il contrario: solo perché c’è Dio e noi siamo fatti costituzionalmente per Lui, il nostro cuore è capace di grandi desideri, il nostro animo vuol superare le paure e aneliamo alla vita che non ha fine. Con queste parole S. Agostino ci suggerisce piuttosto un’idea che non dovremmo mai dimenticare: non si può possedere Dio, né le nostre parole riusciranno mai a delimitarlo o a comprenderlo pienamente. Egli resta al di là di ogni nostro tentativo di definirlo e la vera conoscenza di Dio non è semplicemente intellettiva, ma è questione di amore, di desiderio ardente. Per questo Dio può essere conosciuto soprattutto dai semplici e dagli umili, e non solo “dai sapienti e dagli intelligenti”. L’anelito verso Dio precede la conoscenza di Lui, come prova il fatto che nell’età preistorica, ben prima dell’homo sapiens, è vissuto sulla terra l’homo religiosus, che da solo ha imparato a contemplare la volta del cielo stellato, a piangere e onorare i morti, a incidere le proprie invocazioni a Dio in rudimentali graffiti nelle caverne, le “prime cattedrali dell’umanità”, come le ha definite il più grande antropologo contemporaneo, il Card. Julien Ries, defunto solo da qualche giorno. Proprio questo conferma quanto S. Basilio afferma all’inizio delle sue Regole ampie, che ebbero un immenso influsso sulla vita monastica: 2. «L’amore di Dio non lo si può insegnare. Nessuno ha mai imparato da un altro a godere della luce e ad aderire alla vita, né altri ci hanno insegnato ad amare chi ci ha generato o allevato. Così dunque, e anzi a maggior ragione, non è possibile imparare dal di fuori l’amoroso desiderio di Dio» (S. Basilio, Regole ampie 2) 2. Conoscere Dio a partire dal creato Si erge allora davanti a noi una grande domanda: perché non tutti conoscono e amano Dio? Evidentemente quel desiderio profondo che c’è in noi non da tutti è seguito e accolto allo stesso modo. Spesso l’uomo non segue la via giusta per pervenire a una conoscenza certa di Dio. Si arena di fronte allo scandalo del male, si fa distogliere dalla ricerca del proprio benessere e dalla propria autoaffermazione, si lascia ingannare dal mito del progresso, come se il dilemma dell’esistenza potesse essere sciolto da un mondo divenuto sempre più perfetto. Insomma, dobbiamo chiederci: ci basta questo mondo e questa vita? S. Agostino, nelle Confessioni, ci svela un tratto del suo cammino interiore alla riscoperta di Dio, partecipandoci la sua riflessione su come l’uomo può conoscere 2 Dio. Il suo percorso parte anzitutto dalla contemplazione del creato, che diviene la prima via per risalire verso Dio. 3. «Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: “Non sono io, ma è lui che mi fece”. Interrogai la terra, e mi rispose: “Non sono io”; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive; e mi risposero: “Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi”. … Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Neppure noi siamo il Dio che cerchi”, rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: “Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui”; ed essi esclamarono a gran voce: “È lui che ci fece”. Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza. Allora mi rivolsi a me stesso. Mi chiesi. “Tu, chi sei?”; e risposi: “Un uomo”. Dunque, eccomi fornito di un corpo e di un'anima, l'uno esteriore, l'altra interiore. A quali dei due chiedere del mio Dio, già cercato col corpo dalla terra fino al cielo, fino a dove potei inviare messaggeri, i raggi dei miei occhi? Più prezioso l'elemento interiore. A lui tutti i messaggeri del corpo riferivano, come a chi governi e giudichi, le risposte del cielo e della terra e di tutte le cose là esistenti, concordi nel dire: “Non siamo noi Dio”, e: “È lui che ci fece”» (Confessioni X,6-9) La ricerca di Dio a partire dal creato è un tema che Agostino sviluppa anche altrove (cfr. Serm. 141,1-3; En. in ps. 41,7-8). Essa parte dalla convinzione che nella natura Dio ha lasciato un’impronta di sé, secondo quanto afferma l’Apostolo Paolo: “dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rom 1,20). S. Agostino ci suggerisce che un vero cammino di conoscenza di Dio parte dalla contemplazione della bellezza del creato, per risalire poi all’uomo, apprendendo chi siamo, non fermandoci solo alle leggi fisiche che regolano il nostro organismo, ma dando spazio all’analisi e alla cura della nostra parte spirituale. La bellezza del creato e la costituzione della persona umana non sono solo un motivo di meraviglia e di adorante stupore: diventano anche un appello a non arrestare la propria ricerca al mondo visibile. L’errore dell’uomo, denunciato ancora da S. Paolo, è stato quello di “non dare gloria a Dio”, ma pur potendolo conoscere a partire dal creato, di “aver venerato e adorato la creatura al posto del creatore” (Rom 1,21.25). Non pensiamo tuttavia che questo si riferisca solo agli uomini antichi che credevano erroneamente che il sole o gli astri fossero delle divinità e tributavano loro culto. Vale anche e forse di più per gli uomini moderni, figli di quell’illuminismo che si è proposto di dimostrarci che non c’è più bisogno di Dio, e che al suo posto ha proclamato nuove divinità: la ragione, la scienza, la tecnica, l’economia. Anche noi corriamo il rischio di adorare le creature, cioè il prodotto delle nostre mani e di confidare nelle nostre forze per esercitare il dominio sul mondo, per dare un senso alla nostra vita. Oggi non è certo di moda affermare che l’uomo è una creatura, segnata da un limite strutturale, perché non è eterna e immortale, e che non può disporre a piacimento del creato, né sovvertire la natura in base a convinzioni sociali o a mezzi scientifici (pensiamo alla manipolazione genetica o alla problematica dei matrimoni omosessuali). Anche in questo senso l’insegnamento della Bibbia è una risposta ragionevole. 3 3. Amare Dio nelle sue creature Dio ha creato il mondo per amore, lo ha voluto liberamente e lo ha fatto dal nulla. Ma egli non è una sorta di “motore immobile” che dà l’impulso a tutto e poi lo abbandona a se stesso. S. Ireneo, alla fine del II secolo, poteva già affermare che la creazione è la prima tappa del rivelarsi di Dio: «Non è possibile conoscere Dio secondo la sua grandezza, perché è impossibile misurare il Padre; ma secondo il suo amore – perché è questo che ci conduce a Dio mediante il suo Verbo – coloro che gli obbediscono imparano in ogni tempo che esiste un Dio così grande e che è stato lui stesso da se stesso a fondare, creare e ordinare tutte le cose. Ora tra tutte queste cose ci siamo noi e questo nostro mondo» (Contro le eresie IV,20,1). Dio – continua ancora il vescovo di Lione – ha fatto ogni cosa con le sue due Mani, che sono il Verbo e lo Spirito Santo: per mezzo del Verbo ha fondato e costituito la natura di ogni cosa e per mezzo dello Spirito Santo le ha dato forma e ordine. Tutto ciò che è nel mondo e l’uomo in particolare porta allora l’impronta del Figlio di Dio e dello Spirito. Per amare Dio bisogna amare allora le sue creature: come la Chiesa ha sempre rifiutato ogni dualismo gnostico e manicheo che vede nel mondo il frutto del male e disprezza il corpo e la vita, così ci ha sempre insegnato che anche il progresso deve rispettare le leggi della natura. L’uomo è custode del creato, non il suo padrone: il lavoro, la scienza, la tecnica ci devono servire non a impadronirci del mondo, ma a migliorarlo e sfruttarlo per il bene. Amare Dio nelle sue creature significa allora non dimenticare che anche noi siamo parte del creato e che, se lo distruggiamo, finiamo per distruggere noi stessi. Ma significa anche dare il giusto valore ad ogni realtà creata. Per custodire l’ambiente o gli animali non si può arrivare a ribaltare la scala dei valori stabiliti da Dio creatore, svalutando l’uomo, fatto ad immagine di Dio, indignandosi ad esempio per la sperimentazione sugli animali ma molto meno per quella sugli embrioni umani. Proprio lo sfruttamento selvaggio dell’ambiente o l’incapacità di rispettare gli animali derivano dal fatto che l’uomo ha dimenticato di essere una creatura di Dio e pensa di poter dominare su tutto. Ma questo non è molto lontano dalla fede biblica e dalla grande dignità dell’uomo di cui ci parla la Genesi. 4. La paternità di Dio e l’uomo fatto ad immagine di Cristo Con una espressione divenuta celebre, S. Ireneo dice che “la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (IV,20,7). Tutto è stato creato per la gloria di Dio, non per accrescerla, ma per comunicarla e manifestarla. Il vertice di questa creazione è l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, cioè secondo il modello di Cristo, l’Immagine perfetta di Dio, e nel dinamismo dello Spirito Santo che forma nell’anima la santità divina. Mentre l’immagine di Dio in noi costituisce il 4 motivo della dignità di ogni persona dal suo concepimento alla sua morte naturale, divenire sempre più somiglianti a Cristo costituisce la perfezione. Guardando all’uomo uscito dalle sue mani, Dio – dice la Genesi – “vide che era cosa molto buona”. L’uomo difatti, secondo una bella espressione di S. Ambrogio, è il “capolavoro della creazione”: 4. «Terminato il sesto giorno è compiuta la più grande opera della creazione con la perfetta riuscita dell’uomo che sta come dominatore degli esseri viventi, come compendio dell’universo, come bellezza somma di tutte le creature. Dio si riposa da tutte le opere della creazione: si riposa nell’intimo della mente e del cuore dell’uomo. Creato l’uomo ragionevole, capace di imitarlo, emulo delle sue virtù, desideroso delle grazie celesti, si riposa: “Su chi mi riposerò se non su colui che è umile, pacifico, fedele alle mie parole?” (Is 66,2). Grazie dunque al Signore nostro Dio che fece tale creatura in cui potersi riposare! Creò il cielo, ma non leggo che si riposò; creò la terra, ma non leggo che si riposò; creò il sole, la luna, le stelle, neppure qui leggo che si riposò; leggo invece che creò l’uomo e allora si riposò, avendo in lui uno a cui poter perdonare i peccati». Paradossalmente, il santo vescovo di Milano afferma che Dio si riposa dopo aver creato l’uomo, perché con lui soltanto potrà esercitare la sua misericordia. È questa dunque la massima opera di Dio: non solo il creato, ma soprattutto l’offerta del perdono, perché questa suppone amore, capacità di ascolto e di dialogo, comprensione, magnanimità. L’uomo è l’unica creatura che Dio abbia voluto per se stessa, perché solo con l’uomo può entrare in relazione, sentirsi chiamare per nome, essere amato. Ed è proprio dell’amore annientarsi, fino al perdono, fino al sacrificio della croce. Il poeta tedesco Hölderlin esprimeva questo con grande profondità: “Dio ha fatto l’uomo, come l’oceano i continenti: ritirandosi”2. Il Dio della Bibbia non ha dunque gelosia della sua creatura, non si è pentito di averla fatta, neppure dopo il peccato e la sua punizione col diluvio, ma attraverso le pieghe della storia e le linee storte del male, vuol condurre nuovamente l’umanità alla condizione delle origini, quando egli passeggiava con Adamo nel paradiso terrestre, come un uomo fa con un altro uomo. “Alla domanda: - che cosa distingue propriamente l’uomo dall’animale, qual è il suo elemento del tutto nuovo? – dobbiamo rispondere: l’uomo è l’essere capace di pensare Dio, è l’essere capace di pregare”3. Per questo l’uomo è veramente se stesso solo se di pone di fronte a Dio, se riconosce di non appartenere a sé, ma a Lui, se ama il Creatore, come da Lui è amato. La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio. 2 3 Cit. in J.-P. TORRELL, Tommaso d’Aquino J. RATZINGER, Creazione e peccato, 39. maestro spirituale, Roma 1998, 266. 5