il corpo d`armata alpino
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Il corpo d’armata Alpino La costituzione, le divisioni, i reggimenti, i battaglioni e i comandanti La costituzione del Corpo d’armata alpino venne decisa il 2 marzo 1942 dal nostro Stato Maggiore, che ne affidò l’approntamento all’Ispettore delle Truppe Alpine, con sede a Trento. Il comando del Corpo d’armata venne affidato allo stesso Ispettore, generale di corpo d’armata Gabriele Nasci, il quale scelse a suo capo di S. M. il colonnello (poi generale di brigata) Giulio Martinat. A formare il Corpo d’armata vennero destinate tre divisioni che avevano partecipato, distinguendosi per valore e spirito di sacrificio, alle durissime operazioni di guerra contro la Grecia: la Tridentina, la Julia e la Cuneense. Le tre divisioni erano cosi costituite: − Divisione alpina Tridentina: Comandante: generale Luigi Revèrberi; Capo di stato maggiore: maggiore Alessandro Ambrosiani; 5° reggimento alpini (colonnello Giuseppe Adami) con i battaglioni: Morbegno (ten. col. Nestore Zucchi); Tirano (maggiore Gaetano Volpatti); Edolo (maggiore Dante Belotti); 6° reggimento alpini (colonnello Paolo Signorini) con i battaglioni: Vestone (maggiore Enrico Bracchi); Verona (maggiore Felice Prat); Val Chiese (ten. col. Policarpo Chierici); 2° reggimento artiglieria alpina (colonnello Federico Moro) con i gruppi: Bergamo (maggiore Carlo Meozzi); Vicenza (ten. col. Carlo Calbo); Val Canonica (maggiore Ugo Andri); II battaglione misto genio (maggiore Alberto Cassoli). − Divisione alpina Julia: Comandante: generale Umberto Ricagno; Capo di stato maggiore: colonnello Giuseppe Molinari; 8° reggimento alpini (colonnello Armando Cimolino) con i battaglioni: Tolmezzo (ten. col. Ezio Leonarduzzi); Gemona (ten. col. Rinaldo Dall’Armi); Cividale (ten. col. Luigi Zacchi); 9° reggimento alpini (colonnello Fausto Lavizzari) con i battaglioni: Vicenza (maggiore Luigi Paganelli); L’Aquila (maggiore Luigi Boschis); Val Cismon (ten. col. Attilio Actis-Caporale); 3° reggimento artiglieria alpini (colonnello Pietro Gay) con i gruppi: Conegliano (ten. col. Domenico Rossotto); Udine (ten. col. Cesare Cocuzza); Val Piave (ten. col. Anselmo Valdetara); III battaglione misto genio (maggiore Alberto Ilari). − Divisione alpina Cuneense: Comandante: generale Emilio Battisti; Capo di stato maggiore: ten. col. Lorenzo Navone; 1° reggimento alpini (colonnello Luigi Manfredi) con i battaglioni: Ceva (ten. col. Giuseppe Avenanti); Pieve di Teco (maggiore Carmelo Catanoso); Mondovì (maggiore Mario Trovato); 2° reggimento alpini (colonnello Luigi Scrimin) con i battaglioni: Borgo Sal Dalmazzo (ten. col. Piero Palazzi); Dronero (maggiore Agostino Guaraldi); Saluzzo (maggiore Carlo Boniperti); 4° reggimento artiglieria alpina (colonnello Enrico Orlandi) con i gruppi: Pinerolo (ten. col. Ugo Lucca); Mondovì (ten. col. Mariano Rossini); Val Po (ten. col. Bernardino Cresseri); IV battaglione misto genio (maggiore Giovanni Mazzone). Delle tre divisioni, rientrate dalla Grecia, la Cuneense e la Julia erano dislocate, nel mese di giugno 1942, nelle loro sedi di pace (provincia di Cuneo e di Udine, rispettivamente) mentre la Tridentina era accantonata nella zona Torino-Rivoli-Asti. Se il completamento della Tridentina e della Cuneense fu abbastanza sollecito, lungo e laborioso riuscì quello della Julia che aveva subito perdite gravissime nella campagna italo-greca alle quali si era aggiunta, tanto più dolorosa quanto più inopinata, quella dell’intero battaglione Gemona dell’8° reggimento alpini, provocata dal siluramento, per opera di un sommergibile inglese, della nave “Galilea” sulla quale il reparto era imbarcato per tornare in Patria. I ranghi della Julia, comunque, vennero completati ai primi di giugno immettendovi le giovani reclute del 1922. Il Corpo d’armata aveva una forza di oltre 57.000 uomini che rappresentavano veramente il fiore delle nostre popolazioni alpine dalle Alpi Liguri alle Alpi Giulie e dall’Appennino tosco-emiliano a quello abruzzese. Il trasferimento sul fronte russo Ai primi di luglio la grande unità era quasi completa e pronta a muovere dall’Italia; a breve ebbero, infatti, inizio i trasporti che si sono articolati in due blocchi: il primo, comprendente le unità motorizzate, avrebbe dovuto raggiungere Kijew per ferrovia e successivamente Donez per via ordinaria; mentre il secondo, formato da unità non motorizzate o motorizzate solo in parte, avrebbe raggiunto Donez interamente per ferrovia. L’itinerario adottato fu il seguente: Brennero- Monaco di Baviera- Lipsia- Varsavia- MinskCharkow- Isjum. Il comando del Corpo d’Armata partì dalla stazione ferroviaria di Trento, il 14 di luglio, e giunse a Nowo Gorlowka sul Donez il 27 dello stesso mese. Trasferitosi a Rykowo, cominciò a funzionare regolarmente il 18 di agosto.Dopo alcuni giorni seguirono: il 17 luglio il trasferimento della divisione Tridentina, da Torino; il 27 luglio si mosse la Cuneense, da Borgo San Dalmazzo; l’8 di agosto seguì la Julia da Udine. Il 19 agosto, sfumata la possibilità d’impiego del Corpo d’Armata Alpino nelle zone montuose del Caucaso per ragioni tattiche, lo stesso venne posto alle dipendenze dell’8.a Armata italiana, al comando del generale Gariboldi, che mise subito in movimento la Tridentina per Millerowo e la Cuneense per Starobelsk. Dove operarono le truppe Alpine L’8 settembre ’42 era stato deciso che il Corpo D’Armata Alpino avrebbe dovuto dare il cambio alla 294.a divisione tedesca che presidiava il settore compreso fra il fiume Tschernaja Kalitwa e Kuwschin. Il fronte operativo aveva un’ampiezza di circa 35 km lungo la sponda destra del Don. A seguito di alcune ricognizioni effettuate, il comando del Corpo d’Armata diramò i seguenti ordini: la Cuneense, una volta giunta a Rossosch, si doveva portare a nord del Kalitwa; la Julia, già in movimento, doveva proseguire per Podgornoje- Popowka; la Tridentina veniva temporaneamente assegnata al xxxv° Corpo d’Armata; le truppe ed i servizi comando avrebbero raggiunto la zona di Popowka- PodgornojeRossosch, divenuto poi la sede del Comando del Corpo d’Armata Alpino. Nei giorni 5 e 6 novembre, la Tridentina sostituì la 23.a divisione ungherese in un ampio tratto di fronte, circa 25 km, adiacente quello presidiato dalla Julia. A schieramento ultimato, le tre Divisioni Alpine coprirono un’ampiezza difensiva di circa 70 km che impedì, come sarebbe stato invece logico, di tenere una delle stesse in riserva; tutt’e tre le grandi unità furono proiettate in prima linea e la sola riserva fu costituita da cinque Battaglioni: Vestone, Morbegno, L’Aquila, Tolmezzo e Pieve di Teco. L’offensiva russa, l’accerchiamento ed il ripiegamento L’offensiva sovietica ebbe inizio il mattino del 19 novembre ‘42 nel settore della 3.a Armata rumena, la quale non resse all’enorme superiorità avversaria: la sera dello stesso giorno tutto il fronte da essa tenuto era sfondato. Il giorno seguente passarono all’attacco anche le Armate schierate sugli altri fronti. Dopo tre giorni di lotta il principale scopo dell’offensiva era raggiunto: quattordici divisioni tedesche e rumene erano state distrutte; altre ventidue, per un totale di 350 mila uomini, erano interamente accerchiate a Stalingrado. I resti della 3.a Armata rumena ed alcune divisioni tedesche fatte accorrere in tutta fretta, riuscirono a creare una nuova linea difensiva, purtroppo debole al punto da impensierire, non poco, il comando della nostra 8.a Armata, la cui ala destra era praticamente scoperta. Nonostante la determinazione, il sacrificio ed i molti atti eroici, a nulla valse il battersi contro l’esercito sovietico che disponeva di preponderanti forze in mezzi e uomini. In seguito all’abbandono spontaneo del fronte da parte della 2.a Armata ungherese, fu autorizzato il ripiegamento del Corpo d’Armata Alpino che, nel frattempo, stava per essere accerchiato. Era il 17 gennaio ’42. A seguito di vicissitudini umane e belliche vissute nel più totale sbandamento, psicologico ed operativo, e dopo innumerevoli battaglie, combattute con la sola arma della disperazione e della dignità, alcuni reparti affrontarono quella che per molti è stata” la battaglia della vita”. “ NIKOLAJEWKA ”, 26 GENNAIO. Al grido di “Tridentina avanti”, il generale Riverberi riuscì ad aprirsi un varco tra le soverchianti forze nemiche ed a riportare in Patria migliaia di Uomini sfiniti, affamati, congelati, feriti nel corpo e nello spirito, ma valorosi ed invitti. Per anni la sola parola Nikolajewka ha evocato vicende tragiche e drammatiche ma, al tempo stesso, ricche di eroismi, di sacrifici, di solidarietà, di Amor Patrio. Non a caso il nome di questa cittadina della steppa russa è stato scelto come simbolo di tutti quei luoghi dove il Corpo d’Armata Alpino subì enormi perdite e patimenti di ogni tipo durante il ripiegamento. Il ritorno in Patria Da un calcolo approssimativo si ricavò che gli uomini usciti dalla sacca erano circa 25 mila, di cui 10 mila tra feriti, congelati, ammalati che non potevano camminare e che, pertanto, occorreva trasportare. I rimanenti, anche se tutti in condizioni fisiche pietose, furono giudicati in grado di proseguire a piedi verso Gomel. Da qui, a partire dal 6 marzo, rientrarono in Italia 16 mila uomini ed un migliaio di muli, per i quali furono sufficienti diciassette treni, mentre ne furono necessari oltre duecento per trasportare il Corpo d’Armata Alpino in Russia. In sintesi, il Corpo d’Armata Alpino, forte alla partenza di 57 mila uomini, 14 mila quadrupedi, 10 mila automezzi, 160 cannoni, rientrò in Italia con meno della metà del personale, un decimo dei quadrupedi, un centesimo degli automezzi, nessuna mitragliatrice, nessun cannone, un terzo circa delle armi individuali ed una piccolissima quantità di materiali. I circa trentamila uomini mancanti erano da considerare per metà prigionieri e per metà caduti. Le perdite del Corpo d’Armata Alpino Quanti furono i caduti in combattimento, quanti i dispersi e quanti i morti nei campi di sterminio sovietici? A questa angosciosa domanda, purtroppo, non è stato possibile rispondere se non con cifre largamente approssimative. Va tenuto presente, infatti, che al loro rientro in Italia ben pochi reparti furono in grado di stabilire con esattezza la differenza fra i partiti ed i ritornati: in Russia, insieme con le unità, erano stati distrutti i ruolini ed i giornali di contabilità; di moltissimi reparti erano caduti combattendo od erano stati fatti prigionieri tutti i comandanti, da quelli di reggimento a quelli di compagnia e plotone; non si poteva più sapere, quindi, quanti Alpini fossero sicuramente morti nei combattimenti, quanti fossero stati catturati dal nemico, quanti, infine, fossero rientrati in Italia per ferite, congelamenti o malattie prima dell’accerchiamento del Corpo d’Armata. I depositi dei reggimenti, tuttavia, fra il maggio ed il settembre del ’43, sulla base delle informazioni avute dai reduci, fecero un paziente lavoro di ricostruzione dei dati relativi alle perdite, ma, con l’armistizio dell’8 settembre e la conseguente occupazione tedesca dei comandi, distretti e depositi, furono distrutti gli archivi con la conseguente dispersione degli elenchi. Nel 1946, l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, nella pubblicazione de “ L’8.a Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don” dava, circa le perdite subite dal Corpo d’Armata Alpino, le seguenti cifre: Caduti e dispersi Uff.li Truppa TRUPPE SERV. C.A. DIV. TRIDENTINA DIV. JULIA DIV. CUNEENSE TOTALI Feriti e congelati Uff.li Truppa Totale Totale generale Uff.li Truppa 130 190 340 390 3.050 7.540 9.450 13.080 40 170 110 50 560 3.900 2.450 2.130 170 360 450 440 1.050 33.120 370 9.040 1.420 3.610 11.440 11.900 15.210 3.780 11.800 12.350 15.650 42.160 43.580 Come si vede, secondo questi dati, i caduti ed i dispersi sono 34.170; ma dei dispersi, quanti morirono nelle vicende del ripiegamento, e quanti, invece, nei campi di prigionia? E dei feriti e congelati, quanti ne morirono in seguito? Non si sa. Vien fatto, poi, di porsi un’altra domanda: a quale forza totale del Corpo d’Armata Alpino si riferiscono questi dati? Ossia: quanti furono gli Alpini inviati sul fronte russo? Varie pubblicazioni dicono che, alla partenza, il Corpo d’armata aveva una forza di “oltre 57 mila uomini” (ed anche qui abbiamo una cifra approssimativa) ai quali, però, si dovrebbero aggiungere le varie migliaia di alpini che raggiunsero la Russia in seguito, con i battaglioni complementi. E’ noto, infatti, che in Russia, fra il 4 novembre 1942 – data di arrivo dei battaglioni complementi V e VI – ed il 22 gennaio 1943 – data di arrivo dell’ultimo battaglione, il IX – giunsero altri sei battaglioni di alpini (il I, il II, il V, il VI, l’VIII ed il IX) la cui forza non è singolarmente nota se non per l’ultimo, il IX, il quale aveva 35 ufficiali e 1.250 sottufficiali ed alpini. Questo battaglione, il II e più di metà dell’VIII furono fermati in tempo, ma tre battaglioni interi e 300 uomini dell’VIII arrivarono al fronte e subirono tutte le vicende del ripiegamento; ai 57.000 alpini di cui sopra se ne devono aggiungere – calcolando la forza dei battaglioni pari a quella del IX – altri 4.155, il che porterebbe la forza del Corpo d’armata a 61.155 uomini. E’ a questa forza totale che si riferiscono i dati forniti dall’Ufficio Storico? Non lo sappiamo; ma,ammesso che sia così, avremmo che su 61.155 Alpini solo 19.202 sarebbero tornati dalla Russia sani e salvi. I dati dello specchietto precedente non danno, comunque, una risposta all’angosciosa domanda iniziale: quanti Alpini, ufficiali, sottufficiali e truppa morirono in combattimento e nei campi di prigionia? A tutt’oggi non si conosce quante siano state le Penne Nere cadute o disperse. L’incertezza sulla sorte toccata a tanti fratelli a fianco dei quali hanno combattuto in Russia, il numero di Coloro che su quelle steppe lontane si sono sacrificati per obbedire al comandamento della Patria è, per i Reduci, un giustificato motivo di amarezza.