quando le hanno due nomi

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IDEE E PROBLEMI
Il bilinguismo è un’opportunità
preziosa per tutti i bambini presenti a scuola.
Alcuni suggerimenti per lavorare al meglio.
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di Graziella Favaro
iamo in una sezione di bambini di cinque anni in una scuola dell’infanzia di
un piccolo centro. Su venticinque
bambini, undici sono stranieri. Chen
Li, per esempio, è nata in Italia e ha
imparato a parlare in cinese, nella varietà dialettale che si pratica nella regione di Zhejiang; a tre anni è stata inserita nella scuola dell’infanzia e ha aggiunto l’italiano alla sua lingua famigliare. Aziz è
arrivato dal Marocco un anno fa e sta consolidando rapidamente la sua condizione di bilingue: l’italiano diventa ogni giorno più fluente, mentre l’arabo marocchino continua a essere parlato a casa. Nada e Carlos, l’una di nazionalità rumena
e l’altro peruviano, parlano in rumeno e in spagnolo con i
genitori, mentre usano quasi sempre l’italiano per
parlare con i fratelli.
Come Chen Li, Aziz, Nada e Carlos, i bambini stranieri spesso parlano a casa con i genitori e con i fratelli nella loro lingua d’origine, diversa dall’italiano.
Un’analisi delle biografie linguistiche dei bimbi di
questa sezione ci rimanda a condizioni e forme diffuse di bilinguismo e modi diversi di essere bilingue. Fra i bambini stranieri nati in Italia e che rappresentano oggi la grande maggioranza di coloro
che frequentano le nostre scuole, vi sono:
j coloro che al momento del loro ingresso nella
scuola dell’infanzia, sono monolingui in L1 e diventano in seguito bilingui, con l’aggiunta dell’italiano,
sviluppando un bilinguismo precoce consecutivo;
j coloro che sviluppano da subito una competenza nelle due lingue, grazie all’inserimento all’asilo nido; parlano la madrelingua a casa e l’italiano al servizio educativo praticando così
il bilinguismo precoce simultaneo;
j coloro che imparano a parlare
solo in italiano per scelta della famiglia o in seguito a un discutibile e
dannoso orientamento in tal senso da
parte degli operatori e dei servizi per l’infanzia; questi bambini sono quindi monolingui in italiano. Fra i nati all’este-
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ro e arrivati qui in seguito al ricongiungimento famigliare, vi possono essere, al momento dell’ingresso a scuola, differenze, sia negli usi che nella varietà delle lingue a contatto. Troviamo infatti:
j coloro che praticano quotidianamente la L1 per
gli usi comunicativi;
j coloro che praticano una lingua orale a casa, ma
hanno imparato a comprendere e parlare anche nella lingua nazionale del contesto di provenienza (per
esempio gli alunni cinesi o arabofoni).
TANTI MODI di essere bilingui
Sulla base dell’età in cui avvengono l’acquisizione e
le modalità di contatto tra le due lingue, possiamo
distinguere diversi profili di bilingui nella migrazione.
Il bilinguismo precoce e simultaneo (0-3 anni)
È proprio del bambino che impara a parlare più o
meno contemporaneamente nelle due lingue. A volte i bambini bilingui precoci possono parlare un po’
più tardi, ma si deve tener conto del fatto che essi
stanno sviluppando nello stesso tempo due sistemi.
Si può osservare inoltre un diverso sviluppo del lessico nelle due lingue e uno sbilanciamento del vocabolario a favore dell’uno o dell’altro idioma. Si
osservano inoltre un’esplosione o un avanzamento
nell’apprendimento in occasione di eventi che “immergono” i bambini nella lingua minoritaria; per
esempio in seguito a visite nel Paese d’origine e al
contatto quotidiano e denso con i famigliari.
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Il bilinguismo precoce e consecutivo o aggiuntivo (3-6 anni)
L’acquisizione della nuova lingua avviene dopo i tre
anni quando il bambino è già parlante la madrelingua ed entra nella scuola dell’infanzia. In tempi rapidi, il piccolo deve essere in grado di inserirsi negli scambi con i pari e con gli adulti, saper prendere la parola e passarla al suo interlocutore, poter
partecipare a una conversazione sui temi quotidiani. Nei bambini stranieri che imparano l’italiano al
loro ingresso nella scuola dell’infanzia, si possono
osservare quattro tappe:
1. il bambino prova a usare la sua L1, ma poi si
rende conto che gli altri comunicano in una lingua
diversa dalla propria;
2. si accorge di non essere capito e può attraversare una fase più o meno protratta di afasia. In questo periodo silenzioso, il bambino è tuttavia molto
attivo e ricettivo e cerca di immagazzinare parole e
formule ricorrenti e quotidiane;
3. nella fase di prima produzione, il linguaggio è formato da termini “pieni”, parole passepartout, formule e frasi prefabbricate;
4. in seguito, la comunicazione diviene sempre più
fluida ed efficace e l’italiano guadagna spazi e tempi sempre più ampi.
I primi mesi di acquisizione della seconda lingua
rappresentano un periodo “sensibile” e sono cruciali, oltre che per l’italiano, anche per il mantenimento della prima lingua. I giudizi e le osservazioni degli insegnanti, e degli adulti in genere, possoScuola dell’infanzia - n. 5 - 2011
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STORIE BILINGUI: qualche suggerimento
Creare nella scuola dell’infanzia contesti in cui si pratica
quotidianamente la narrazione significa offrire le condizioni positive per un arricchimento lessicale e linguistico di tutti i bambini, preparare l’acquisizione della lingua scritta,
esplorare la differenza tra luoghi e modi di vivere differenti, prestare attenzione anche alle storie e alle lingue che
vengono da lontano.
Scegliamo alcune storie bilingui adatte ai bambini, sulla base della loro età e presentiamone una al mese, dedicando
a ogni storia un paio di settimane. Realizziamo in questo
modo dei laboratori di narrazione che prevedono tappe diverse:
j l’ascolto della storia, ripreso e ripetuto più volte;
j l’incipit della storia raccontato nella lingua d’origine,
grazie alla presenza dei genitori stranieri, delle mediatrici
linguistico-culturali;
j la comprensione del racconto anche grazie a immagini,
domande, ri-racconto...;
j la descrizione dell’ambiente, dei personaggi, degli oggetti della storia;
j la ricostruzione delle scene principali in senso logico e
cronologico;
j il ri-racconto della storia da parte dei bambini, a turno;
j l’animazione della storia.
no provocare blocchi e sentimenti di vergogna per
la propria lingua materna. Ecco alcune frasi colte
nelle scuole e che possono avere effetti negativi: “Non
sai l’italiano perché a casa continui a parlare in arabo”; “Devi dire alla mamma di parlare in italiano,
altrimenti non impari”; “Ma parli sempre cinese a
casa?!”.
Il bilinguismo consecutivo e tardivo
(dopo i 6 anni)
A sei anni si stima che un bambino usi già un buon
numero di parole e ne conosca molte di più in maniera passiva, cioè sia in grado di comprenderle anche se abitualmente non le usa. L’apprendimento
della seconda lingua in età scolare implica dunque
un veloce cammino per poter comunicare in fretta
e per fare in modo che il nuovo codice diventi anche lingua scritta e di scolarità, veicolo di tutti gli
apprendimenti disciplinari. La madrelingua, per
quanto riguarda gli usi cognitivi più astratti, rischia
quindi di bloccarsi al livello fin lì raggiunto, poiché
i suoi usi divengono più ristretti e limitati a temi e
a interlocutori quotidiani e famigliari.
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BIOGRAFIE linguistiche
Soprattutto fra i bambini più piccoli, che hanno
appreso la lingua materna in modo ancora limitato e che si trovano precocemente immersi nella
seconda lingua, vi è inoltre il rischio di una sorta
di bilinguismo sottrattivo, a scapito della madrelingua. Non tanto per ragioni linguistiche, quanto
soprattutto per pressioni sociali e per i vissuti di
vergogna provocati dal fatto di sentirsi parlanti di
un idioma che è connotato da uno stigma, cioè da
una rappresentazione negativa.
Edera ha imparato a parlare in somalo, la lingua
della mamma, ma poi l’ha in fretta “dimenticato” e
ora dice di non ricordare più nulla. Mihai, invece,
parla in rumeno a casa, ma si vergogna di parlarlo
a scuola, dice di non conoscere nessuna parola della sua lingua d’origine, anche se non è vero.
Lo sviluppo di un bilinguismo aggiuntivo o la
perdita della lingua materna dipendono anche
dallo status delle lingue. Un bambino che cresce
in una famiglia anglofona o francofona ha molte più probabilità di sviluppare e mantenere
una situazione di bilinguismo rispetto a uno
che a casa è esposto, per fare un esempio, alla
lingua ceca. Non essendo una lingua internazionale, il ceco gode di un prestigio minore e tende a essere considerato come un sapere superfluo. Lo status di una lingua e l’atteggiamento
verso il bilinguismo sono dunque fattori macrosociali che influenzano e condizionano lo sviluppo e il mantenimento del bilinguismo. Il fatto di
essere bilingue viene infatti riconosciuto spesso
come attributo di un’élite e situato in un mercato linguistico che dà un diverso valore alle lingue. Per questa ragione, spesso il bilinguismo
dei bambini stranieri viene percepito e trattato
come un deficit e non come una chance e chi
pratica una lingua “non prestigiosa” non viene
considerato come un bilingue, ma valutato solo
in termini di carenza rispetto alla lingua d’uso.
E invece fin dalla scuola dell’infanzia è importante conoscere e riconoscere le biografie linguistiche di tutti i bambini e valorizzare le competenze di ciascuno perché chi conosce due lingue
può dire il mondo con più parole.
Graziella Favaro
Centro COME - Milano