Bambini e bilinguismo Non sempre chi parla del bilinguismo può

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Bambini e bilinguismo Non sempre chi parla del bilinguismo può
Education et Sociétés Plurilingues n°16-juin 2004
Bambini e bilinguismo
Silvia Porzio Le Goff et Luisa Pace Puran
Beaucoup a déjà été écrit sur les enfants bilingues, sujet complexe, et aux multiples facettes s’il
en est. Objet d’études mais aussi d’idées préconçues, voire victime de clichés qui ont la peau
dure. Nous souhaitons intervenir en tant que témoins d’un bilinguisme (italien-français) vécu
depuis la naissance ou imposé par la force des choses au cours de la vie; apporter le regard, tantôt
commun tantôt divergent, de deux femmes italiennes vivant en France et mères d’enfants promis
au bilinguisme, conscientes de l’importance du rôle joué par l’entourage. Surtout pour poser les
fondations d’un édifice (celui du bilinguisme) parfois bâti en milieu hostile lorsque les enfants
sont entrés dans la vie active. En tout état de cause, nous sommes persuadées que la vie en VO,
au gré des pays ou des interlocuteurs, est une richesse inestimable.
Much has already been written about bilingual children, a complex and multifaceted subject if
ever there was one. They have been the object of research but also of preconceived ideas, even
the victims of clichés that die hard. We wish to speak as witnesses of a French-Italian
bilingualism experienced from birth or imposed by the force of circumstance in the course of
one's life; to express our opinion, sometimes unanimous, sometimes not, as two Italian women
who have been living in France and raising future bilinguals, and well aware of the importance of
our respective entourage. We wish especially to cast the foundations for a construction
(bilingualism) which sometimes breeds hostility when the children have left the protective
cocoon of home. Whatever the case, we are convinced that life in V.O., according to the country
you live in and the people you speak to, is a priceless gift.
Non sempre chi parla del bilinguismo può farlo, basandosi su un’esperienza
personale. La nostra è singolare perché siamo rispettivamente bilingui di nascita e...
di fatto (il francese è stato ereditato in famiglia per una ed il bilinguismo è stata una
« conversione » verso i 27 anni per l’altra). Ma siamo perfettamente d’accordo
sulla necessità di sfatare una serie di luoghi comuni e di pregiudizi. Innanzitutto
l’idea che i bilingui non sappiano bene nessuna delle due lingue. Ma cosa vuole
dire «sapere una lingua?» Può accadere che il bambino parli correntemente due
lingue, ma che sia capace di scrivere in una sola. Il che non significa che esista un
problema di apprendimento. Per dirla con Gilbert Dalgalian, «è l’orale che fa il
bilingue». Senza dimenticare la fatidica frontiera dei 7 anni, prima della quale il
bambino impara il linguaggio e non semplicemente le lingue. Inoltre non è il fatto
che il bambino impari due o più lingue a provocare eventuali difficoltà a scuola, ma
piuttosto le condizioni nelle quali avviene il loro apprendimento. Prima ancora di
andare a scuola, i bambini bilingui possono benissimo parlare una sola lingua, ma
capirle perfettamente entrambe. Questo permette loro di ambientarsi più facilmente
nell'uno o nell'altro dei due paesi, le cui lingue sono abitualmente praticate nel
contesto familiare, ed anche in un terzo paese, di cui non conoscono la lingua.
S. Porzio Le Goff , L. Pace Puran, Bambini e bilinguismo
Infatti la capacità di adattamento dei bambini nei confronti delle lingue è
sorprendente fin dalla più tenera età. Spesso un bambino al quale i genitori si
rivolgono nella propria lingua madre inizia a parlare scegliendo le parole più facili
di ciascuna lingua Questa scelta ubbidisce a criteri di facilità, per il bambino, di
pronunciare le parole (almeno per quanto abbiamo osservato).
Cosi abbiamo constato che un bambino confrontato al bilinguismo italiano/francese
preferirà la formulazione italiana "Cos'è?" a quella francese "Qu'est-ce que c'est?",
più lunga e foneticamente più complessa. D'altra parte la parola francese "pot" sarà
preferita a quella italiana "vasetto", grazie alla semplicità monosillabica.
Questa ricerca di semplicità d'articolazione da parte del bambino, puo
probabilmente spiegare la pronuncia della "r" alla francese anche quando si
esprime in italiano, lingua praticata dalla madre con 'articolazione della "r"
"roulée".
La pratica familiare di due codici linguistici favorisce l'apertura alle differenze e
facilita l'adattamento del bambino bilingue a nuove situazioni.
Per i bambini, in generale, cambiare lingua in funzione del paese in cui si trovano
non costituisce un ostacolo maggiore di comunicazione con i loro coetanei, una
volta superate le prime esitazioni e i primi timori. Per un bambino bilingue questo
adattamento è ancora più rapido e più facile, perchè ha già l'orecchio allenato alle
differenze fonetiche, passando naturalmente da una lingua all'altra, e soprattutto si è
fatto all'idea della diversità linguistica.
E proprio perchè questa diversità linguistica possa essere rispettata e pienamente
utilizzata è necesario che le lingue del padre e della madre, siano esse diffuse o
appartenenti a una minoranza, si trovino messe sullo stesso piano, almeno nel
contesto familiare.
E dunque fondamentale che tutte le espessioni della vita quotidiana, le cose
gradevoli e le cose sgradevoli, siano trasmesse nelle due lingue da entrambi i
genitori, e questo indipendentemente dal fatto che spesso, nel bilinguismo, per
ragioni pratiche e evidenti, una delle due lingue è dominante.
Vale la pena di soffermarsi su due aspetti strettamente legati all’ipotesi in cui la
madre sia originaria di un paese diverso da quello in cui risiede la famiglia. Da un
lato, è importantissima la costanza della madre nell’esprimersi nella propria lingua.
Dall’altro, così facendo, è evidente che la madre trasmette ben altra cosa che
semplici parole. La lingua trasporta buona parte dell’essenza della madre stessa in
quanto originaria se non addirittura cittadina di un paese diverso da quello in cui
vive la famiglia. La lingua fa riaffiorare luoghi, sapori e odori. Spesso sono quelli
del passato della madre, bambina, che scopriva il mondo e dava un nome alle
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cose... In quest’ottica l’espressione «lingua madre» esprime appieno tutta la sua
valenza simbolica.
Si tratta, insomma, di identità e di identificazione: tale lingua, tale genitore. Forse
non tutti i genitori sono consapevoli di questo processo. Alcuni hanno ricorso alla
lingua «straniera» rispetto al paese di residenza solo per sgridare i figli. Di
conseguenza questi l’hanno identificata in modo negativo come la «lingua dei
rimproveri». Con il rischio del rigetto. Giocare con il bambino e raccontargli le
favole in quella lingua permette di tramandarla come lingua dell’infanzia. Ma non è
questo lo scopo. La lingua della madre dovrebbe accompagnare il figlio per tutta la
vita come una seconda pelle. Tuttavia, può anche accadere che al momento
dell’adolescenza, la lingua della madre venga rimossa per le esigenze di
conformismo proprie di quella età, ma anche per segnare il distacco dall’infanzia.
Il ruolo dei genitori è senz’altro essenziale. Ma il bilinguismo deve essere coltivato
e arricchito per restare vivo. L’ambiente in cui il bilingue cresce e vive è altrettanto
determinante. Se la madre parla una lingua poco diffusa e non valorizzata
socialmente o professionalmente è molto probabile che già nell’ambito familiare
nessuno sia in grado di capirla e ancor meno di parlarla. In queste circostanze,
quale lingua usare con i figli? Ci sembrerebbe un errore “lasciare a casa” la lingua
in questione se il bambino è abituato a sentir parlare – o ad esprimersi – in quella
lingua. E’ compito dei genitori non escludere gli altri, magari traducendo di tanto
in tanto il senso della conversazione. La scelta di mettere le due lingue sullo stesso
piano non è sempre facile. La perseveranza che essa richiede impone di superare a
volte il disagio che può scaturire dall’impressione di uno scambio in codice fra
genitori (soprattutto la madre) e figli. Disagio aggravato se l’ambiente è
indifferente, o peggio, ostile al paese d’origine della madre e, di conseguenza, alla
sua lingua... Queste esperienze non sempre gradevoli sono purtroppo destinate a
ripetersi se sono l'espressione di una politica culturale del paese in cui reside il
bilingue.
Quale esempio di una certa resistenza nei confronti del bilinguismo, possiamo
citare la Francia.
L'atteggiamento della Francia nei confronti della propria lingua potrebbe essere
definito come protezionista, poichè la lingua nazionale è al tempo stesso il simbolo
della tradizione storica e culturale del paese.
L'apertura della Francia alle culture e ai popoli stranieri e la marcata preferenza che
sembrano dare i datori di lavoro al bi o al plurilinguismo, contrasta con il fatto che
il Francese si interessa poco alle lingue straniere e per questo, probabilmente, prova
difficoltà nell'apprendimento di altre lingue. Di conseguenza la seconda lingua di
un bambino può essere percepita come un elemento di interferenza
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nell’apprendimento della lingua «di Stato». I fatti dimostrano invece che il
bilinguismo di nascita non solo rende più facile l’accesso alle lingue successive ma,
quando ben guidato, non rallenta l’apprendimento scolastico ed offre una maggiore
apertura nei confronti delle altre culture. Anche in questo caso spetta ai genitori
fare in modo che il bilinguismo non diventi fonte di incomprensione o di esclusione
fra bambino, insegnante e resto della classe. A volte bastano piccoi gesti come dare
alla maestra una “letterina” in cui sono elencate le parole straniere che fanno parte
integrante del suo vocabolario con la traduzione a latere....
Le diverse politiche rispetto al bilinguismo si misurano davvero in quei paesi la cui
lingua madre non oltrepassa le frontiere. In alcuni il bilinguismo di nascita è più
accettato e incitato che in altri. Prendiamo il caso dei paesi nordici. L'olandese, per
esempio, è parlato solo in Olanda e bisogna andare in Sudafrica per ritrovare un
idioma simile (l’afrikaaner). Nei Paesi Bassi, lingue come l’inglese o il tedesco
sono d’obbligo per poter dialogare ed avere un’apertura sul mondo. Pertanto è
ovvio che, quando almeno una delle due lingue rientra fra quelle considerate
«economicamente» e «socialmente» fondamentali l’atout per il futuro è maggiore
senza contare che il bambino troverà più facilmente persone con le quali parlare al
di fuori del nucleo familiare. Comunque sia, che si tratti di una lingua portante o di
una lingua più rara, il bilinguismo faciliterà l’apprendimento delle altre lingue.
Ciò non toglie che possano esistere anche casi di «bilingui potenziali» che, a un
certo punto della loro vita, scelgono una delle due lingue parlate in casa spesso in
base ad una preferenza culturale o ad una situazione familiare e personale che lo
spingono verso l’una o l’altra lingua dei genitori. Proprio come, in alcuni stati, i
figli maggiorenni devono scegliere fra le due nazionalità acquisite alla nascita...
Siamo dunque convinte – e soddisfatte – della ricchezza linguistica dei nostri figli,
perchè parlano la nostra seconda lingua senza accento e ci restituiscono un italiano
vagamente esotico scevro da ogni impronta regionale.
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