PROGRAMMA - Tavolo Nazionale Affido
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PROGRAMMA - Tavolo Nazionale Affido
Famiglie insieme, promotrici di accoglienza Tra nuovi bisogni e antiche risorse. Percorsi di condivisione che aprono alla solidarietà familiare PROGRAMMA Patrocini Nazionali: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 1 2 I SETTE MOTIVI della SETTIMANA del DIRITTO alla FAMIGLIA 1° - A DIECI ANNI DALLA LEGGE 149/01 IN ITALIA ANCORA MIGLIAIA DI MINORI NON CRESCONO IN FAMIGLIA. Dal monitoraggio sui “minori fuori famiglia” pubblicato nel febbraio 2011 dal Centro Nazionale di documentazione e analisi sull’infanzia e l’adolescenza emerge un panorama nazionale a macchia di leopardo, segnato da zone con gravi ritardi e da medie nazionali non molto confortanti. Ecco i dati salienti: o Dove stanno i minori fuori famiglia? Sono 23.100 i minori italiani che non vivono né con i genitori né con i parenti. Di questi 15.500 sono ospiti di strutture residenziali (pari al 67%) mentre 7.600 sono accolti in affidamento familiare (pari al 33%). Dunque su tre minori “fuori famiglia” due si trovano in una struttura residenziale. La forbice si allarga approfondendo i dati delle regioni centro-meridionali, in molte delle quali il rapporto minori in affido familiare / minori in comunità è di 1 a 5; o Dove dovrebbero stare? pur ritenendo che “non tutti i minori accolti in comunità siano trasferibili in affido” (ad esempio per molti v’è il bisogno di ricevere le “cure specialistiche” proprie di una struttura residenziale) non possiamo non sottolineare che una parte importante di essi avrebbe bisogno, invece, proprio di un affido familiare. Mancano ricerche che approfondiscano questa esigenza a livello nazionale. Possiamo però prendere a riferimento un’indagine realizzata in Piemonte dalla quale emerge che ben il 35% dei minori inseriti in una struttura residenziale avrebbe bisogno di un affido familiare. Questo dato diviene ancora più significativo se si tiene in conto che la situazione piemontese è ben migliore della media nazionale. Difatti il numero dei minori piemontesi in struttura residenziale è di circa la metà di quelli in affido (cioè su tre minori fuori famiglia, 1 è in comunità e 2 in affido). Questo ci porta a pensare che nelle regioni in cui il ricorso alla comunità è ben più frequente, la percentuale dei minori che avrebbero invece bisogno di un affido familiare arrivi al 50% ed oltre. Parliamo quindi di migliaia e migliaia di bambini e ragazzi! 2° - IL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI DON ZENO SALTINI (1981 – 2011). Trent’anni fa moriva don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia e profeta dell’accoglienza familiare. Quando ancora la forma unica di protezione dei minori senza famiglia era quella dei grandi istituti educativi, don Zeno affermò, con le parole e con la vita, che per motivi di “giustizia” i bambini e i ragazzi andavano accolti ed educati in un contesto familiare. Nella sua testimonianza (e nell’opera di Nomadelfia) sono presenti i prodromi della assai successiva affermazione del diritto dei minori alla famiglia (legge 184/83 e legge 149/01). Basti pensare che solo nel 2006 in Italia si è definitivamente superato il ricorso agli istituti. 3° - OGGI IN ITALIA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI MINORI VIVONO IN CONDIZIONI EDUCATIVE PRECARIE. Se può essere complesso (o addirittura “difficile”) trovare famiglie disposte a prendere un minore in affido familiare, certo più facile e diffusa dovrebbe essere la disponibilità delle famiglie ad aiutare un bambino o un ragazzo per alcuni pomeriggi a settimana. E invece no! Assai raramente vengono organizzate dai servizi pubblici attività di sensibilizzazione e formazione per “famiglie solidali”. Molti regolamenti regionali e locali parlano esplicitamente della possibilità dell’affido part-time. Tuttavia nella sostanza, fatta eccezione per alcune eccellenze, l’attenzione a questo aspetto è assai scarsa. Basti pensare che la relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 149/01 non affronta nemmeno questo capitolo. Da un’indagine condotta e pubblicata nel 2010 è emerso che in regioni come la Campania l’affido part-time è praticato solo dall’8% dei servizi affidi pubblici. Quasi nulla! Non disponiamo di dati statistici, tuttavia l’esperienza ci porta a ritenere che una tale situazione coinvolga centinaia di migliaia di minori (ad esempio quasi in ogni classe scolastica si registra la presenza di minori che avrebbero bisogno che qualcuno desse una mano a loro ed alla loro famiglia. Tutti gli esperti concordano sul fatto che l’affidamento “part-time” possa essere una importantissima modalità di intervento per fronteggiare il disagio minorile, specie per la sua efficacia preventiva. Inoltre dovrebbe essere una forma di impegno più diffusamente proponibile alle famiglie volontarie. Eppure si fa pochissimo! 3 4° - IL “PARADOSSO ECONOMICO” DEL SISTEMA DI ACCOGLIENZA DEI MINORI. L’insufficiente tutela del diritto dei minori a crescere in famiglia, oltre che socio-psico-pedagogicamente inconcepibile, è anche economicamente paradossale. Difatti, mentre la permanenza di un minore in una struttura residenziale costa alla pubblica amministrazione tra i 30mila e i 40mila euro l’anno, il rimborso riconosciuto ad una famiglia affidataria per coprire le spese sostenute per la cura del minore si aggira mediamente intorno ai 4.000-5.000 euro annui (praticamente dalle sei alle dieci volte in meno). Ferma restando la necessità di scegliere il tipo di sostegno offerto ad un minore in base a “cos’è meglio per lui” e non a “cosa costa di meno”, non possiamo non evidenziare questo paradosso (specie in periodi di crisi economica e di tagli alla spesa sociale): l’intervento più costoso è il più praticato, anche quando occorrerebbe fare altro! Quello meno costoso è poco praticato, anche quando ve ne sarebbe bisogno! Con i fondi risparmiati si potrebbe più intensamente lavorare nel sostegno alla famiglia dei minori, aumentando così le chance di ricongiungimento. 5° - FINALMENTE UNA LEGGE PER RENDERE ESIGIBILE IL DIRITTO A CRESCERE IN FAMIGLIA! Tra i principali limiti del sistema italiano di protezione dei minori v’è quello della “non esigibilità” del diritto a crescere in famiglia. Difatti la legge 149/01, nel riformare la materia, ne ha assoggettato l’applicazione ai limiti delle risorse finanziarie disponibili. Ciò rende legittima la scelta di molti enti locali i quali, a partire da valutazioni di natura economica, decidono di non potersi impegnare affatto (o, come più frequentemente avviene, di potersi impegnare in misura assai irrisoria) sul fronte del reperimento, formazione e accompagnamento di famiglie disponibili ad aiutare (con un sostegno part-time o con un affido residenziale) bambini e ragazzi con difficoltà familiari. In questo scenario una novità di forte rilievo è la recente presentazione, al Consiglio regionale della Campania, di una proposta di legge regionale mirante proprio a rendere certo ed esigibile il diritto dei minori a crescere in famiglia. Atti di questo tipo vanno sostenuti con un’ampia attenzione mediatica (affinché la proposta divenga legge effettiva) e ne va favorita la presentazione anche nelle altre regioni d’Italia. 6° - LUOGHI COMUNI DA SFATARE: L’ACCOGLIENZA FAMILIARE “NON FA MALE” A CHI LA FA! Le obiezioni che più frequentemente la gente pone verso l’affido sono: non faccio affido perché non sopporterei la rottura del legame affettivo; non faccio affido perché temo che la famiglia di origine del minore possa fare qualcosa di male a me e alla mia famiglia; non faccio affido perché è inutile (anzi negativo) poiché quando il minore rientra in famiglia viene vanificato il lavoro educativo svolto; non faccio affido perché … Alcune di queste obiezioni nascono da esperienze di affidi “finiti male” che molto danno hanno arrecato alla cultura dell’accoglienza. Tuttavia, anche se fondate, vanno ugualmente sfatate. Bisogna farlo spostando la ricerca delle “famiglie disponibili” dal campo dell’affido a quello delle forme leggere di solidarietà familiare. Forme che possiamo definire “di quartiere”. In tal senso servono famiglie disponibili a fare un po’ di doposcuola ai compagni di classe dei propri figli, famiglie disponibili a portare una volta a settimana qualche ragazzo a fare una passeggiata o una partita di pallone (insieme ai propri figli), … È da qui che occorre partire! I bambini e ragazzi dei nostri quartieri “non vanno via” (quindi nessun legame affettivo viene reciso); giocare con loro o aiutarli nei compiti scolastici non provoca l’ostilità della famiglia di appartenenza (soprattutto quando la famiglia volontaria non è da sola ma opera in seno ad un gruppo di volontari attivo e conosciuto nel quartiere ed in rete con le istituzioni locali); questi percorsi, anche se part-time, permetteranno ai minori di crescere molto meglio (come mostrano numerosi studi che hanno verificato gli “esiti” di vita di persone, ora adulte, che da piccoli hanno beneficiato di un affido part-time); … Alcune di queste famiglie volontarie, se vorranno, potranno successivamente anche diventare famiglie affidatarie (il che richiede la partecipazione a specifici corsi di formazione e la valutazione da parte dei servizi sociali territoriali). In questo caso saranno però già pronte, perché si sono allenate, si sono “alfabetizzate alla solidarietà”. 7° - NON C’È ACCOGLIENZA FAMILIARE SE NON C’È CONDIVISIONE TRA LE FAMIGLIE. L’esperienza di decenni di promozione dell’affido ha messo in evidenza un elemento senza il quale l’accoglienza familiare sembra essere un percorso per pochi eroi. Questo elemento è la “condivisione e collaborazione tra le famiglie”. Si tratta di una aspetto poco coltivato che riduce le capacità di accoglienza delle famiglie le quali, da sole, riescono ad attivarsi solo in minima parte. Questo è l’ambito specifico di impegno del Progetto Famiglia (e di tante altre associazioni di volontariato familiare) che sostiene e accompagna la nascita di “gruppi di famiglie solidali e affidatarie” in varie zone d’Italia. Chiunque fosse interessato, anche solo a conoscere meglio le possibili forme della solidarietà familiare, prenda contatti con il Progetto Famiglia chiamando al numero verde 800.03.42.27 o scrivendo alla casella [email protected]. Marco Giordano presidente nazionale della rete di famiglie solidali e affidatarie 4 della Federazione Progetto Famiglia PATROCINI, COLLABORAZIONI e MEDIA PARTNER PATROCINI NAZIONALI Dipartimento per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Forum Nazionale delle Associazioni Familiari FISC – Federazione Italiana Settimanali Cattolici Fondazione Affido fondazione italiana per l’affidamento familiare MEDIA PARTNER NAZIONALI VITA – no profit magazine Punto famiglia – rivista di tematiche familiari 5 COLLABORAZIONI NAZIONALI Collaborazione nella promozione e realizzazione della Settimana: Agenzia SIR (sostegno nella diffusione mediatica della Settimana) Casa Betania, Roma (sede della conferenza stampa di presentazione del 4 maggio) Provincia di Salerno (sede del convegno nazionale di apertura del 9 maggio) Comunità di Nomadelfia (sede dell’incontro di chiusura della Settimana del 14/15 maggio) Interventi o invio materiali agli eventi nazionali: Dipartimento per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri Direzione Politiche Minorili del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Forum Nazionale delle Associazioni Familiari Tribunale per i Minorenni di Salerno CNSA – Coordinamento Nazionale dei Servizi Affidi AIBI – Associazione Amici dei Bambini Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ANFAA – Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie CNCM – Coordinamento Nazionale Comunità per minori CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza Ufficio Nazionale per la pastorale familiare della Conferenza Episcopale Italiana Dipartimento di Sociologia dell’Università delle Calabrie Diocesi di Salerno-Campagna-Acerno Pontificio Consiglio per la Famiglia Federazione SCS / CNOS – Salesiani per il Sociale Associazione Agevolando 6 PATROCINI REGIONALI E LOCALI Hanno concesso il patrocinio morale alla Settimana del Diritto alla Famiglia: Regione Campania Ordine Regionale degli psicologi della Campania Regione Lazio Ufficio Garante per l’Infanzia del Lazio Ordine Regionale degli assistenti sociali della Campania Provincia di Salerno Provincia di Avellino Ordine degli avvocati di Avellino Provincia di Frosinone ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) - Campania Forum Associazioni Familiari della Campania Forum Associazioni Familiari del Lazio Comune di Avellino - Assessorato alla Cultura Forum Associazioni Familiari della Lombardia Comune di Castiglione dei Pepoli (Bo) Comune di Guarcino (Fr) Forum Associazioni Familiari dell’Emilia Romagna Comune di Angri (Sa) Comune di Bellizzi (Sa) CSV (Centro Servizi per il Volontariato) di Napoli Comune di Montecorvino Pugliano (Sa) Casa del Volontariato di Frosinone Comune di Montecorvino Rovella (Sa) Diocesi di Tursi – Lagonegro (Mt) Comune di Aversa (Ce) Diocesi di Avellino CAAVIP – Centro Adozione e Affido Valle Irno Picentini - Ambito Sociale S2 di Baronissi (Sa) Ufficio Famiglia Diocesi di Nocera Inf. – Sarno (Sa) Caritas Diocesi di Frosinone – Veroli Ferrentino Caritas Diocesi di Nocera Inf. – Sarno (Sa) Distretto Sociale B, Frosinone 7 COLLABORAZIONI REGIONALI E LOCALI Collaborazione nella realizzazione di eventi locali: Camera Minorile di Avellino Parrocchia San Martino, Camugnano (Bo) Istituto comprensivo Castiglione dei Pepoli (Bo) Istituto comprensivo Camugnano (Bo) Parrocchia San Alessandro e San Martino Cesate (Mi) Fondazione Emmaus di Angri (Sa) Parrocchia Sacra Famiglia, Frosinone Fondazione Centro Famiglia di Capua (Ce) Assoc. Comunicare la Famiglia, Striano (Na) Parrocchia Santi Giuseppe e Vito, Bivio Pratole di Montecorvino Pugliano (Sa) La Rete – Coordinamento di comunità per minori della Campania Parrocchia Sacro Cuore di Gesù, Bellizzi (Sa) Parrocchia Sant’Alfonso, Padula (Sa) Gruppo Scout Agesci di Guarcino (Fr) Parrocchia S.Giovanni Battista, Gragnano (Na) Associazione ALBA di Frosinone Parrocchia Sant’Angelo Melici, Brescia Ufficio Famiglia Diocesi di Ischia (Na) Parrocchia S. Antonio Abate, Casoria (Na) Ufficio Famiglia Diocesi di Aversa (Ce) Parrocchia San Nicola, Guarcino (Fr) Caritas Diocesana di Acerra (Na) Caritas Diocesana di Aversa (Ce) Chiesa dell’Immacolata, Macchia di Montecorvino Rovella (Sa) Parrocchia San Salvatore, Palermo Il Ponte (media partner) Parrocchia Gesù Operaio, Monterotondo (Rm) Agro 24 (media partner) Parrocchia del Buon Pastore, Policoro (Mt) Insieme (media partner) Parrocchia Cristo Re, Trento Interventi o invio materiali agli eventi locali: Regione Campania, Fondazione Maddaloni “Giuseppe Ferraro” di Caritas Diocesana di Aversa Ufficio Famiglia di Aversa Ufficio Famiglia Diocesi di Ischia Diocesi di Napoli Delegazione Regionale Caritas Campania Comune di Napoli Comune di Aversa – Servizi Socaili Coordinamento regionale “La Rete” Servizio Affidi Territoriale – Ambito C3 Fondazione Affido Onlus Associazione Dadaa Ghezo Parrocchia Buon Pastore di Policoro (Mt) Ufficio Famiglia Diocesi di Nocera-Sarno Ufficio Pastorale del lavoro – Diocesi di Aversa Diocesi di Tursi – Lagonegro Camera Minorile di Avellino 48 PROGRAMMA GENERALE della SETTIMANA del DIRITTO alla FAMIGLIA EVENTI NAZIONALI 4 maggio - Roma - Conferenza stampa di presentazione della Settimana 11.00-12.30 - Casa Betania, via delle Calasanziane,12 - Roma 9 maggio – Salerno - Convegno nazionale di apertura della Settimana 9.00 -18.30 - Provincia di Salerno, salone G.Bottiglieri, palazzo S.Agostino, via Roma, 104 - Salerno 14/15 maggio - Nomadelfia - Incontro nazionale di chiusura della Settimana 16.00-22.00 – Nomadelfia, Grosseto CONVEGNI E SEMINARI LOCALI 10 maggio - Napoli - “Percorsi di collaborazione tra comunità per minori e reti/associazioni di famiglie affidatarie” 10.00-13.30 – c/o padri Rogazionisti, viale dei Pini, 53 - Napoli 10 maggio - Policoro (Mt): “Percorsi familiari di condivisione e accoglienza” 20.00-21.30 - parrocchia Buon Pastore, piazza A. Segni – Policoro (Mt) 10 maggio – Aversa (Ce): “Costruire insieme Reti Solidali” 16.30-18.30 – Centro Caritas Madre Teresa di Calcutta, vico S. Agostino, 4 – Aversa (Ce) 11 maggio - Angri (Sa): “Famiglie insieme per la crescita comunitaria” 19.00-21.00 - Castello Doria – Angri (Sa) 12 maggio - Avellino: “Il diritto del minore ad una famiglia. La famiglia sociale: prospettive e tutela dell’affido” 15.30-19.00 - Sala conferenze Camera di Commercio di Avellino – piazza Duomo - Avellino 14 maggio - Ischia (Na): “Senza la famiglia non possiamo vivere. La famiglia tra antiche ricchezze e nuove povertà” 16.00-19.30 - Sala conferenza del Seminario di Ischia, Ischia Ponte (Na) SENSIBILIZZAZIONI LOCALI Acerra (Na), c/o 25 parrocchie della Diocesi Gragnano (Na), c/o Parrocchia S. Giovanni Battista Bellizzi (Sa), c/o Parrocchia S.Cuore di Gesù Guarcino (Fr), Parrocchia San Nicola Brescia, c/o Parrocchia Sant’Angelo Melici Camugnano (Bo) , c/o Parrocchia San Martino Montecorvino Pugliano (Sa), c/o Parrocchia Santi Giuseppe e Vito Casoria (Na) , c/o parrocchia S.Antonio Abate Castiglione dei Pepoli (Bo), c/o Istituto Comprensivo Camugnano (Bo), c/o Istituto comprensivo Montecorvino Rovella (Sa), c/o Chiesa dell’Immacolata Monterotondo (Rm), c/o Parrocchia Gesù Operaio Padula (Sa), c/o Parrocchia Sant’Alfonso Palermo, c/o Parrocchia San Salvatore Policoro (Mt), c/o Parrocchia Buon Pastore Trento, c/o Parrocchia Cristo Re Cesate (Mi), Parrocchia San Alessandro e San Martino Frosinone, c/o Parrocchia Sacra Famiglia 79 4 MAGGIO - ROMA CONFERENZA STAMPA di presentazione 11.00-12.30 – c/o Casa Betania, via delle Calasanziane, 12 - Roma Marco Giordano presidente della rete di famiglie affidatarie e solidali della federazione Progetto Famiglia Presentazione della Settimana del Diritto alla Famiglia Roberto G. Marino direttore del Dipartimento per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri Quanto è esigibile il diritto dei minori alla famiglia? Crisi del welfare e stato di attuazione della legge 149/01 Francesco Belletti presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari Soggettività sociale della famiglia, sfida educativa e accoglienza familiare. don Silvio Longobardi fondatore della federazione Progetto Famiglia “Voglio una famiglia” Paolo Bustaffa (moderatore) direttore dell’Agenzia SIR 310 9 MAGGIO - SALERNO CONVEGNO NAZIONALE di apertura c/o Provincia di Salerno, Salone G. Bottiglieri, palazzo S. Agostino, via Roma, 104 – Salerno 9.00 - La tutela del diritto alla famiglia. Il sistema di protezione dell’infanzia e l’associazionismo Familiare Adriana Ciampa dirigente politiche minorili del Ministero del Lavoro e delle Poli�che Sociali Percorsi nazionali di promozione dell’affido. Il Piano nazionale “un percorso nell’affido” e gli obiettivi di medio e lungo termine del Governo Frida Tonizzo consigliere nazionale dell’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie Responsabilità istituzionali nella tutela del diritto alla famiglia e possibili raccordi con l’associazionismo familiare Marilena Santangeli coordinatrice Ufficio per l’Affidamento Familiare - Distretto Socio-Assistenziale di Alatri (FR) referente del Coordinamento Nazionale dei Servizi Affido Innovare il sostegno agli affidi familiari. Esperienze di collaborazione tra servizi affidi e associazionismo familiare Gianni Fulvi presidente CNCM – Coordinamento Nazionale Comunità per Minori Piste di collaborazione tra comunità per minori e reti di famiglie affidatarie Arnaldo De Giuseppe coordinatore Comunità Familiari CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza Comunità familiari e capitale sociale. Percorsi di empowerment comunitario Pasquale Andria presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno Affidi difficili e ad esito incerto. La risorsa delle famiglie in rete Marco Giordano (moderatore) presidente nazionale rete di famiglie affidatarie e solidali della federazione Progetto Famiglia 1111 12.30 - Presentazione del libro “A Babele non si parla di affido” Costruzione e gestione dei progetti individualizzati di affidamento familiare di minori (Franco Angeli) Mariano Iavarone, Carolina Rossi responsabili nazionali Équipe affidi della federazione Progetto Famiglia 15.30 - Vulnerabilizzazione delle famiglie, legami sociali e cultura dell’accoglienza Giuseppe Acocella rettore LUSPIO – Libera Università degli Studi per l’innovazione e le organizzazioni di Roma Principio di eguaglianza e cultura dell’accoglienza familiare Giorgio Marcello dipartimento di sociologia dell’Università delle Calabrie Famiglie accoglienti e vulnerabilità familiare. Quali strade per fronteggiare la crisi dei legami sociali? mons. Luigi Moretti arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno Accoglienza familiare e comunità solidale don Paolo Gentili responsabile Ufficio Nazionale per la pastorale familiare della Conferenza Episcopale Italiana La famiglia educa accogliendo Luigi Cobellis consigliere regionale Campania, promotore proposta di legge regionale sul diritto alla famiglia La politica dalla parte della famiglia Tommaso di Nomadelfia responsabile dell’accoglienza dei minori nella comunità di Nomadelfia Accoglienza familiare e diritto del minore. Don Zeno precursore e profeta Francesco Zanotti (moderatore) presidente della FISC – Federazione Italiana Se�manali Cattolici Messaggio di S. Eminenza il Cardinale mons. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. 18.30 – Conclusioni don Silvio Longobardi fondatore della federazione Progetto Famiglia Il protagonismo delle famiglie nella città solidale 12 12 PROGRAMMA dei CONVEGNI e SEMINARI LOCALI 10 maggio – Napoli “PERCORSI DI COLLABORAZIONE TRA COMUNITÀ RETI/ASSOCIAZIONI DI FAMIGLIE AFFIDATARIE” PER MINORI (10.00 - 13.30) c/o padri Rogazionisti, viale dei Pini, 53 Maddalena Poerio, Regione Campania I minori “fuori famiglia” in Campania. Numeri e prospettive Lucia Gambardella Cefalo, Ufficio Famiglia e Vita della Diocesi di Napoli Quali proposte di impegno solidale per le famiglie napoletane Giovanni Attademo, dirigente servizio politiche minorili del Comune di Napoli La rete integrata dei servizi territoriali a sostegno del percorso di accoglienza delle famiglie affidatarie e delle comunità per minori Gianni Minucci, presidente coordinamento regionale “La Rete” Comunità per minori e promozione della solidarietà familiare Roberta Gaeta, vice-presidente Fondazione Affido Onlus La tutela dei minori “fuori famiglia” Marco Giordano, presidente nazionale Progetto Famiglia Affido Sostegno familiare per i minori inseriti in comunità. Percorsi di accompagnamento all’autonomia È stato inviato don Enzo Cozzolino, direttore della Caritas Diocesana di Napoli 10 maggio – Policoro (Mt) “PERCORSI FAMILIARI DI CONDIVISIONE E ACCOGLIENZA” (20.00-21.30) - parrocchia Buon Pastore, piazza A. Segni Coniugi Massimo Pace e Lidia Lanzione, responsabili sezione Progetto Famiglia Policoro Barbella don Guido, direttore Ufficio per la Pastorale Familiare di Tursi - Lagonegro De Pizzo mons. Salvatore, parroco Buon Pastore, direttore Commissione per il laicato Marco Giordano, presidente nazionale Progetto Famiglia Affido 13 E 10 maggio – Aversa (Ce) “COSTRUIRE INSIEME RETI SOLIDALI” (16.30-18.30) – Centro Caritas Madre Teresa di Calcutta, vico S.Agostino, 4 mons. Vincenzo Cacciapuoti, direttore Caritas Diocesi di Aversa mons. Salvatore Coviello, direttore Ufficio Pastorale Familiare La famiglia oggi: nuove sfide educative Gemma Accardo, dirigente Servizi Sociali comune di Aversa Giuseppe De Lucia, responsabile Servizio Affidi Territoriale - Ambito C3 (Fondaz. “G. Ferraro”) L’affido diurno: famiglie che aiutano famiglie Loredana Pascale, referente Associazione Progetto Famiglia Affido – Aversa Famiglie Affidatarie: una esperienza concreta di rete solidale Roger Sylvestre, Presidente Associazione Dadaa Ghezo Sara Rotundo e Mario Terracciano, referenti Centro Diocesano per la Famiglia Il Centro Diocesano per la Famiglia: risorsa concreta della nostra diocesi Modera: Francesco Iannucci, Direttore dell’Ufficio della Pastorale del Lavoro - Diocesi di Aversa 11 maggio - Angri (Sa) “FAMIGLIE INSIEME PER LA CRESCITA COMUNITARIA” (19.00-21.00) - Castello Doria Stress familiare e dintorni Video a cura della sezione Agro Nocerino-Sarnese dell’Ass. Progetto Famiglia Affido Carolina Rossi, responsabile nazionale equipe affido della federazione Progetto Famiglia Dallo stress all'alienazione familiare. Quali le possibilità per la costruzione di relazioni con altri? Giovanna Pauciulo, responsabile Commissione Regionale per la Famiglia - Campania La sfida educativa della famiglia oggi Luigi e Elisa Ferraro, fondatori della Fondazione “Giuseppe Ferraro” Onlus di Maddaloni (CE) Dal dolore al servizio Marco Giordano presidente nazionale rete famiglie affidatarie e solidali della federazione progetto famiglia La rete come opportunità 14 12 maggio – Avellino “Il diritto del minore ad una famiglia. La famiglia sociale: prospettive e tutela dell’affido” 15.30-19.00 - Sala conferenze Camera di Commercio di Avellino – piazza Duomo Gaetano Assante, presidente di sezione del Tribunale per i minorenni di Napoli L’affido, gli affidi familiari Mario Fiore, giudice del tribunale ordinario di Avellino L’affido familiare, l’affido preadottivo, l’affido condiviso Marco Giordano, presidente nazionale rete famiglie affidatarie e solidali della federazione progetto famiglia Approccio comunitario alla promozione dell’affido Costantino del Gaudio, presidente associazione Progetto Famiglia Affido Avellino Esperienze territoriali di affido familiare Tiziana Tomeo (introduce, modera e conclude), presidente camera minorile in CamMino di Avellino 14 maggio - Ischia (Na) “SENZA LA FAMIGLIA NON POSSIAMO VIVERE. LA FAMIGLIA TRA ANTICHE RICCHEZZE E NUOVE POVERTÀ” (16.00-19.30) – Sala conferenza del Seminario di Ischia (Ischia Ponte) mons. Filippo Strofaldi, vescovo di Ischia Ciro Grassini, referente “progetto rete” Caritas Campania Presentazione del rapporto “caritas e famiglie” regione Campania 2010 14/15 maggio – Nomadelfia Incontro nazionale di chiusura della Settimana Nel 2011 ricorrono trenta anni dalla morte di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, profeta dell’accoglienza familiare in Italia. La Settimana si conclude con l’incontro tra una delegazione di famiglie affidatarie e solidali provenienti da diversi luoghi d’Italia e la comunità di Nomadelfia, nei pressi di Grosseto. 16.00 (sabato 14/05) arrivo a Nomadelfia 16.30: visita “guidata” di Nomadelfia 19.15: cena di condivisione/amicizia tra nomadelfi e la delegazione di famiglie affidatarie 21.00: incontro di confronto tra alcuni nomadelfi e la delegazione di famiglie affidatarie (moderato da Riccardo Bonacina del Settimanale “VITA no profit”) pernotto a Nomadelfia 15 9.00 (domenica 15/05): colazione e partenza RELAZIONE di INTRODUZIONE alla Settimana Promozione comunitaria dell’accoglienza familiare di Marco Giordano (in collaborazione con Mariano Iavarone e Carolina Rossi) 1. FAMIGLIE ACCOGLIENTI? MENO DELLA METÀ! I dati sull’affidamento familiare in Italia, elaborati dal Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’Infanzia e 1 l’Adolescenza , presentati dal prof. Valerio Belotti nel novembre 2009 alla Conferenza Nazionale sull’Infanzia e l’adolescenza di 2 3 Napoli e ribaditi nella recente relazione al Parlamento sull’attuazione del diritto alla famiglia in Italia , mettono in evidenza quanto l’affido familiare dei minori privi di un ambiente familiare idoneo rappresenti un fenomeno quantitativamente modesto. Difatti al 31.12.2007 le accoglienze di minori in famiglia, al netto degli affidamenti a parenti, risultano essere circa 8.300 a fronte dei 15.600 bambini e ragazzi ospiti di strutture residenziali. Dunque, sia pure con un leggero trend di crescita rispetto agli anni precedenti, su un totale complessivo di circa 23.900 minori che vivono all’esterno del nucleo familiare allargato, meno del 35% è accolto presso una famiglia. Approfondendo l’analisi sui dati comparativi tra le diverse zone d’Italia – che per brevità non riportiamo – si evidenzia l’esistenza di una situazione alquanto disomogenea. In caso di progetti di allontanamento di un bambino o di un ragazzo dal suo nucleo familiare vi sono aree del Paese nelle quali si ricorre prevalentemente all’affido e aree in cui tale uso è marginale o 4 addirittura assente e prevale invece l’inserimento in comunità . Onde evitare una dannosa e quanto mai sterile contrapposizione ideologica tra il servizio svolto dalle strutture residenziali ed i percorsi di affidamento familiare è utile precisare, anche a rischio di apparire banali, che in molti casi i minori hanno bisogno di specifici percorsi di cura che solo una comunità residenziale con personale altamente qualificato può dare. Assai valide sono in tal senso le riflessioni poste già nel 2001 dal CISMAI - Coordinamento Italiano dei Servizi contro il maltrattamento e l’abuso 5 all’infanzia . Ciò premesso è però doveroso segnalare il sospetto che una parte importante dei bambini e ragazzi out of home sia inserita nelle strutture residenziali a causa dell’assenza di famiglie affidatarie disponibili ed idonee ad accoglierli. Su questo versante è innanzitutto necessario denunciare la mancanza di analisi nazionali qualitative che permettano di percepire la consistenza del fenomeno. Un importante lavoro di ricerca presentato dalla Regione Piemonte nel 2004 consente tuttavia di avere un’idea di massima del problema. Le questioni poste dalla ricerca piemontese toccano in modo approfondito alcuni nodi cruciali: Chi sono i bambini che vivono nelle comunità …? Quali storie familiari hanno alle spalle? Quali interventi sono stati predisposti per contenere i tempi di permanenza? Quali sono le alternative al rientro nel nucleo di origine per quei minori “temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo”? Il progetto regionale “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia”, (…), nasce dalla volontà di rispondere a queste e ad altre domande al fine di produrre una fotografia realistica ed approfondita di tutte le situazioni di minori inseriti nei presidi socio-assistenziali e sanitari presenti sul territorio (…) e comprendere i fattori di criticità che ostacolano o favoriscono gli interventi di “de-istituzionalizzazione”. (Cotto A., Ghigo 6 E., Presentazione del rapporto di ricerca) . 1 Belotti V. (2009), Quaderno 48 – Accogliere bambini, biografie, storie e famiglie, Istituto degli Innocenti, Firenze. Conferenza Nazionale sull’Infanzia e l’Adolescenza “Il futuro dei bambini è nel presente”, Napoli, 18-20 novembre 2009. 3 Relazione sullo stato di attuazione della legge 28 marzo 2001, n. 149 concernente «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile», presentata alla Camera dei Deputati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali (Sacconi) e dal Ministro della giustizia (Alfano) il 1° settembre 2010 (rif. Atti parlamentari, XVI legislatura, Doc. CCII, n.1). 4 Me S., Burlando L. (2010), Un percorso per l’affido. Il progetto nazionale di promozione dell’affidamento familiare, in Cittadini in Crescita (nuova serie), n. 1/2010, pagg.60-64. 5 Documento Requisiti di “qualità” dei centri residenziali che accolgono minori vittime di maltrattamento e abuso, approvato nell’assemblea nazionale del CISMAI tenutasi a Cosenza il 28 settembre 2001. 6 Convegno Nazionale “Tutti i bambini hanno diritto a una famiglia”, Torino, 22/23 marzo 2004. 2 16 La ricerca condotta in Piemonte ha studiato l’incidenza delle soluzioni ritenute praticabili in vista delle dimissioni dei minori dalle strutture, evidenziando che: nel 16,4% dei casi ci si orienta verso il rientro in famiglia; nel 34,7% si ritiene opportuno realizzare un affidamento etero familiare; nel 9,2% si propende per un affidamento a parenti; nel 26,7% si reputa necessario un progetto di 7 accompagnamento all’autonomia abitativa ed occupazionale . Dunque ammonterebbe a circa 1/3 il numero dei minori piemontesi che necessitano di accoglienza presso una famiglia affidataria. Ebbene questo è il dato riportato dal Piemonte che è una delle regioni italiane in cui più si lavora sull’affidamento 8 familiare . Non è errato supporre che in altre regioni d’Italia la quota dei minori inseriti in comunità ma bisognosi di affidamento familiare sia ben più alta. Sulla base di queste considerazioni pensiamo di poter ipotizzare che la media italiana si attesti almeno intorno al 50% del totale, cioè tra i 7.000 e gli 8.000 minori. Allargando la riflessione agli altri minori fuori famiglia (avviati all’autonomia, o al rientro in famiglia o all’affido a parenti), possiamo supporre che una porzione importante di essi beneficerebbe assai delle cd. forme leggere di affido (diurno, part-time, del week-end, …) che garantirebbero la presenza di una o più famiglie di riferimento (cd. famiglie di appoggio). Anche su questo versante non esistono dati generali che permettano di compiere una lettura adeguata del fenomeno. Anche se c’è il rischio di dare i numeri riteniamo di non esagerare dicendo che per sostenere adeguatamente queste forme di dimissioni dalle comunità occorrerebbero almeno altre 3.000-4.000 famiglie affidatarie. Aggiunte al suddetto fabbisogno di famiglie affidatarie residenziali, la stima complessiva giunge verso i 12.000 nuclei familiari mancanti. Bisognerebbe dunque quasi triplicare il numero delle famiglie affidatarie disponibili per dare adeguate risposte familiari ai bambini e ragazzi presenti nelle comunità educative d’Italia. Per completezza va detto che in Italia le famiglie formate all’affido sono ben di più delle 8.300 impegnate negli affidamenti familiari attualmente in corso. Secondo alcuni sarebbero almeno il doppio. Verosimilmente questo utilizzo “parziale” dipende da vari fattori, primo tra i quali il considerare che nessun minore – specie nei casi più complessi e delicati – è affidabile ad una qualsiasi famiglia; il progetto di ogni affidamento familiare deve basarsi su un adeguato abbinamento volto ad individuare, all’interno di un bacino ampio di famiglie, quella maggiormente adatta alle peculiarità del minore, della sua famiglia di origine, degli obiettivi e della durata dell’affido stesso. La quota di famiglie inutilizzate si amplia poi a motivo della frequente assenza di raccordi e confronti tra vari ambiti territoriali, con la conseguenza di valorizzare raramente una famiglia abbinabile ad un minore di un altro territorio. Va poi considerato che le famiglie affidatarie (come ogni normale famiglia) hanno un proprio ciclo di vita caratterizzato da fasi ed avvenimenti che possono renderle provvisoriamente o permanentemente indisponibili all’accoglienza (una sosta al termine di un affido precedente; una pausa in conseguenza di eventi familiari significativi quali l’uscita o l’ingresso di un membro della famiglia di sangue: la partenza di un figlio, l’accoglienza dei genitori anziani, …; uno stop conseguente ad eventi familiari paranormativi quali un lutto, una malattia grave, …). È così che, mediamente, solo il 30%-50% delle famiglie affidatarie di una rete fa effettivamente affido, come pure ogni anno un buon 5%-10% delle famiglie affidatarie, per variegati motivi, ritira definitivamente la disponibilità. Tornando al dato del bisogno scoperto di affido familiare, si pone un doveroso interrogativo: «Se ci sono voluti 27 anni (dal 1983, data di entrata in vigore della legge 184/83) per trovare 1/3 delle famiglie affidatarie necessarie, quanti altri decenni dovranno passare per giungere alla piena copertura dei bisogni? E quanto tempo in più dovrà trascorrere in quelle Regioni più lente nelle quali le famiglie affidatarie accolgono meno di un 1/10 dei minori fuori famiglia?» 2. UN FENOMENO DI NICCHIA? Allargando il ragionamento ai minori non allontanati, non possiamo non unirci ad uno degli ultimi appelli lanciati dal compianto Alfredo Carlo Moro, secondo il quale occorre «riconoscere che vi è una potenziale domanda non appagata di affidamento: vi sono molte situazioni di disagio che potrebbero trovare una risposta nell’affidamento eterofamiliare ma che non la trovano o per l’impreparazione dei servizi o per la mancanza di adeguate risorse. E questi ragazzi che rimangono in famiglie 9 dissestate li ritroveremo, nella fase preadolescenziale e adolescenziale, nelle file della devianza minorile» . Il discorso di cui al paragrafo precedente deve, dunque, essere ampliato con ulteriori quesiti. Quanti sono i minori in famiglia che hanno bisogno di figure di riferimento integrative che, tramite l’affido residenziale (o, meglio ancora, tramite l’affido part-time preventivo), li accompagnino nella crescita? Forse decine di migliaia! E quante sono le famiglie d’origine che abbisognano di reti amicali e di vicinanza con altre famiglie per potersi gradualmente affrancare da condizioni di esclusione sociale? Forse centinaia di migliaia! Il rischio, assai forte, è che, oggi come ieri, la risposta della solidarietà familiare riesca a coprire solo una piccola quota del fabbisogno esistente. Anzi, il rischio è che si tratti di una porzione percentualmente decrescente, come denunciato dall’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia in seno alla recentissima Conferenza Nazionale sulla Famiglia in merito alla crisi delle reti 7 Garelli F., Ferrero Camoletto R. (2004), Il rapporto di ricerca del progetto regionale “tutti i bambini hanno diritto a una famiglia, Regione Piemonte, pagg. 82-95. 8 Tornando ai numeri presentati dal prof. Valerio Belotti, il Piemonte è una delle regioni d’Italia in cui il rapporto tra minori in affido e minori in comunità è più alto (1,7). Le altre regioni “virtuose” sono la Valle d’Aosta (2,6), la Liguria (2,1), la Toscana (1,8). Tutte le altre si collocano tra l’1,5 del Lazio e lo 0,1 del Molise. 9 Moro A.C. (2006), Introduzione in Ricci S., Spataro C., Una famiglia anche per me, Erickson, Trento. 17 10 informali di sostegno . A ben vedere, sullo sfondo di quest’analisi, si staglia l’atavica difficoltà dei servizi affidi e delle associazioni familiari nel “reperire” nuove famiglie aperte all’accoglienza di un minore. Quante nuove disponibilità sono state reperite tramite le decine e decine di campagne informative e pubblicitarie realizzate nell’ultimo decennio ed a fronte dei milioni di euro spesi in tal senso con i progetti finanziati dalla legge 285/97? Poche, molto poche! Per non parlare poi del complesso lavoro di “scrematura” delle tante surrettizie manifestazioni di interesse all’affido, spesso erroneamente indotte dalle stesse campagne di informazione, espresse da famiglie alla ricerca di un bambino per sé. Frequentemente, al termine di mesi e mesi di lavoro promozionale, formativo e valutativo, le famiglie “reperite” si contano sulle dita di una mano! La riflessione, in termini propositivi, va ovviamente sviluppata in merito alle modalità promozionali adottate da servizi affidi e associazioni familiari. È tuttavia utile premettere che il nostro discorso è un segmento del più ampio tema sul che cosa sia oggi la famiglia, su quali siano le linee di tensione che l'attraversano (e a volte la schiacciano) e ne modificano velocemente la fisionomia. Le difficoltà di promozione dell'accoglienza familiare rappresentano la spia di una “fatica” più profonda e radicale, che ha a che fare con la crisi/ridefinizione dei legami sociali e con il conseguente processo di frammentazione anomica. Si tratta di trasformazioni epocali, a cui non si può rispondere con un generico appello alla solidarietà. Senza questa consapevolezza si corre il rischio di parlare di "famiglia" (o di comunità) in maniera idealtipica o, addirittura, astorica. Questo non vuol dire che non si debba far nulla. Tutt'altro! Solo è necessario tenere presente il carattere parziale, provvisorio e "penultimo" di ogni soluzione operativa. 3. LA FIDUCIA, CONDIZIONE ESSENZIALE PER LA SENSIBILIZZAZZIONE Nel campo della promozione dell’affidamento l’inefficacia dei “rimedi operativi” emerge con forza dall’esperienza delle campagne di comunicazione di massa le quali, anche se ben studiate e con contenuti chiari ed efficaci, sortiscono effetti assai scarsi. E di certo il problema non si risolve aumentando il dosaggio, cioè moltiplicando la dimensione dei manifesti, il numero degli spot televisivi e radiofonici, … La soluzione non va infatti ricercata nella scelta di tecniche e metodologie pubblicitarie più avanzate ed accattivanti. L’elemento centrale della promozione dell’affido non può essere il battage pubblicitario. Si riescono invece a raggiungere discreti risultati quando la sensibilizzazione è veicolata attraverso un sistema di relazioni interpersonali, basato su meccanismi di fiducia reciproca. Salvo eccezioni, una famiglia prende in considerazione una proposta delicata, complessa, rischiosa e coinvolgente, … com’è quella dell’affidamento familiare, solo se a veicolargliela è una persona (o meglio ancora, un contesto) di cui si fida. Da anni, sia l’esperienza sul campo che la riflessione teorica mettono l’accento su quanto la 11 fiducia sia un elemento necessario per il lavoro sociale . Il promotore dell’affido familiare, se vuole sortire buoni risultati, deve dunque essere innanzitutto un promotore di fiducia, con le persone e tra le persone. In tal senso è assai utile richiamare l’ampio filone di riflessione sociologica che ha ad oggetto la cd. costruzione sociale della fiducia. Il tema è assai pregnante, vista la crescita, nell’epoca contemporanea, di un senso diffuso di sfiducia generalizzata, incamminati come siamo verso una società governata dal sospetto e dalla paura dell’altro. 12 Ebbene, alcuni sociologi individuano tre ingredienti della fiducia: familiarità, visibilità e verità . Chiunque voglia implementare reti di fiducia, ivi compresi gli operatori ed i volontari impegnati nella promozione dell’affidamento familiare, deve sapientemente miscelare e sviluppare queste tre dimensioni: Familiarità. Le persone che sono più vicine per cultura, ambiente e posizione sociale sono in genere considerate meritevoli di maggiore fiducia. Quanto, come promotori dell’affido, ci si rende vicini alle persone che si incontrano? E alle famiglie a cui si propone di impegnarsi nell’accoglienza di un minore? E alle famiglie di origine di questi minori? E alle famiglie e persone che abitano il contesto sociale in cui si opera? Visibilità. È il presupposto della reciprocità. Fa compiere il passaggio dall’ignoto, fonte di ansia e di paure, al noto. Essere visibili, significa aprirsi alla condivisione, cioè alla conoscenza profonda, non superficiale; conoscenza, appunto, e non semplice informazione sull’altro. Visibilità, applicata all’operatore sociale o al volontariato familiare significa piena trasparenza delle attività, delle funzioni, delle procedure, degli obiettivi, … Significa rendere accessibile e non minaccioso l’avvicinarsi all’affido, mostrandolo come un percorso, un processo di avvicinamento. Significa anche che occorre una forte coerenza tra le rappresentazioni proposte in fase di promozione e reperimento e le successive fasi dell’affido, affinché ciò che si propone 13 durante la promozione non debba mai suscitare aspettative eccessive o distorte sempre a grave rischio di disattesa . Verità della relazione. Questa è la parte più impegnativa perché significa investire in modo autentico sulla creazione di una relazione … significa incontrarsi perché veramente interessati all’altro, significa investire su un rapporto di tipo simmetrico e reciproco. Quante volte operatori e volontari dell’affido sviluppano con le nuove famiglie un rapporto realmente tra pari? In quest’ottica più facilmente si muove il volontariato; anche gli operatori dei servizi devono sempre più investire in questa 14 direzione, personalizzando la promozione mediante il ricorso a momenti e strumenti più informali . Per far questo, è infatti necessario un percorso intenso e, soprattutto, individualizzato, in cui ciascuna persona interessata è invitata a mettersi in 15 gioco progressivamente . 10 Dal 1983 al 2003 il numero delle famiglie aiutate da persone non conviventi si è ridotto dal 23% al 17% (fonte: Famiglia in Cifre, Dipartimento per le politiche della Famiglia / Istat, pag. 47. Dossier presentato alla Conferenza Nazionale sulla Famiglia, Roma, 8-10 novembre 2010). 11 Folgheraiter F. (2004) Il servizio sociale postmoderno. Modelli emergenti, Erickson, Trento. 12 Rao R. (2007), La costruzione sociale della fiducia, Liguori Editore, Napoli. 13 AA.VV. a cura del CAM L’affido familiare: un modello di intervento,Franco Angeli, Milano, 1998. 14 CNSA (2003), La promozione dell’affido familiare, Parma. 15 Giordano M., Martusciello A. (2001), Per fare un tavolo … Campagne di sensibilizzazione e reperimento delle famiglie affidatarie, Ass. Progetto 18 4. L’EFFICACIA DEI MODELLI POSITIVI Certo è che il grado di fiducia verso i percorsi di affido familiare promossi dai servizi sociali e dalle reti familiari di un territorio tanto più cresce quanto più le esperienze di affidamento familiare in corso procedono bene. Difatti i principali e più credibili sensibilizzatori sono le famiglie affidatarie con affidi riusciti. È la forza di una testimonianza vera, ricca di frutti a farsi riconoscere dal cuore delle persone. La disponibilità si attiva quando le famiglie vedono altre famiglie fare affido, quando le scoprono 16 concretamente impegnate nella cura di figli non propri . In tal senso assai controproducente è il ricorso improprio all’affidamento familiare, talora adottato in via tradiva ed a fronte di problematiche incancrenite, talaltra attivato senza un’adeguata progettazione, talaltra ancora privo di una sufficiente rete di supporto, per mancanza di raccordo previo tra i vari attori sociali o, ancor peggio, per la grave precarietà degli stessi operatori (basti pensare che in regioni come la Campania la maggior parte dei responsabili dei servizi affidi pubblici opera sulla base di 17 contratti di collaborazione a progetto, talvolta di durata inferiore ad un anno, con conseguente elevato turn over degli stessi ). La situazione di vari contesti locali, specie al centro ed al sud Italia, è caratterizzata da «un diffuso desiderio di politiche attive, promozionali, capaci anche di prevenzione o almeno di presa in carico precoce, che vengono frustrate e si riducono spesso a interventi riparatori, rigidamente ex post, in condizioni di urgenza ed emergenza, e che inevitabilmente nella pratica assumono connotazione assistenziale, quando non caritativo-clientelare, al di là dei proclami, dei programmi, degli obiettivi stessi degli 18 19 amministratori e degli operatori» . In siffatte condizioni non è strano il trasformarsi degli affidi familiari in quelli che Luigi Fadiga spesso definisce affibbiamenti familiari e che tanta terra bruciata e tante remore creano nei confronti dell’istituto dell’affidamento familiare. Promuovere efficacemente l’affido familiare comporta il mettere mano ad una complessa opera di regolamentazione, organizzazione, definizione procedurale, chiarificazione metodologica, … 20 Utili in tal senso i Dieci punti per rilanciare l’affidamento familiare in Italia , presentati dalle Associazioni e Reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie in occasione della citata Conferenza Nazionale sulla Famiglia dell’8-10 novembre 2010. 5. “PRIMA” E “OLTRE” LE CAMPAGNE DI REPERIMENTO DEGLI “ASPIRANTI AFFIDATARI”! Proseguendo nella riflessione, dobbiamo rilevare che anche in quei contesti dove i servizi affidi e le associazioni familiari riescono a raggiungere adeguati livelli di affidabilità, il numero delle famiglie che si aprono all’affidamento familiare resta assai insufficiente se paragonato al bisogno di accoglienza e vicinanza che emerge dai tanti minori e dalle tante famiglie in difficoltà. Probabilmente quello che occorre è un cambio di paradigma, nel senso che, verosimilmente, è insufficiente proprio l’idea di reperire famiglie già disponibili all’affido. È fuorviante il pensiero di poter trovare numerose famiglie già pronte (salvo il doverle perfezionare con qualche colloquio o qualche incontro di formazione) nelle motivazioni all’accoglienza familiare. L’esperienza dimostra che di famiglie così ve ne sono sempre meno. Per comprendere cos’è che non va, quale nuova lente va adottata, è utile allargare brevemente lo sguardo all’intero panorama del volontariato (non solo familiare) ed alla crisi profonda che lo attraversa da oltre un decennio. Tra i campanelli di allarme, evidenziati già nel Rapporto sul volontariato del 2005, emerge con evidenza un processo di progressiva frammentazione ed indebolimento di questo mondo. I fenomeni più rilevanti sono la polverizzazione delle associazioni (sempre più piccole, sempre più scollegate) e l’attenuarsi del principio di gratuità (ricorso sempre più frequente a rimborsi spese forfettari, aumento del personale remunerato, tendenza alla 21 professionalizzazione dei volontari, …) . Riteniamo che vi sia uno stretto nesso causale tra la rarefazione delle relazioni - nelle associazioni e tra le associazioni – e la diminuzione del senso del gratuito, della disponibilità al dono. L’esito è un aumento dell’attenzione alla risposta ai bisogni propri (economico-occupazionali e di autonomia) più che a quelli degli altri. Famiglia, Sant’Egidio M.A. (SA). Giordano M. (2008), L’affido, una scelta d’amore, ElleDiCi, Torino. 17 Giordano M. (2009), Dove va l’accoglienza dei minori? Limiti e prospettive dell’affido familiare in Campania, FrancoAngeli, Milano. 18 Belletti F. (a cura di) (2008), Famiglia e povertà. I comuni in prima linea, Città Nuova, Roma. 19 Docente di diritto minorile e della famiglia all’Università LUMSA di Roma, già presidente del Tribunale per i minorenni di Roma. 20 Si riporta di seguito la versione sintetica del documento Dieci punti per rilanciare l’affidamento familiare in Italia: «La legge n.184/1983 ha affermato il diritto del minore a crescere in famiglia. Tale diritto non è però esigibile perché subordinato alla disponibilità delle risorse pubbliche. Si ritiene necessaria l’adozione di livelli essenziali degli interventi a favore di minori, famiglie di origine, affidatarie e adottive, e lo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie. Sul tema dell’affido, si propongono i seguenti 10 punti: 1. Promozione e Priorità: rilanciare la promozione dell’affido familiare, declinando, senza erronei automatismi, il principio della priorità rispetto all’inserimento in comunità; 2. Normazione: completare l’azione di regolazione della materia (linee guida nazionali, leggi regionali, regolamenti locali, protocolli operativi); 3. Organizzazione: assicurare in tutti i territori l’istituzione dei servizi per la famiglia e dei servizi per l’affido e percorsi di formazione congiunta tra servizi e associazioni; 4. Monitoraggio: potenziare il sistema di monitoraggio degli interventi di tutela dei minori fuori famiglia; 5. Prevenzione e Flessibilità: potenziare la prevenzione degli allontanamenti dei minori dalle famiglie; 6. Valutazione, Progettazione, Vigilanza: assicurare affidi basati su: valutazioni diagnostiche e prognostiche della situazione; progetti individuali condivisi; costante monitoraggio dei percorsi; 7. Ascolto e Consenso: garantire l’ascolto e il coinvolgimento attivo del minore, della famiglie di origine e affidatarie; 8. Sostegno e Continuità: assicurare preparazione e sostegno ai minori, alle famiglie d’origine e affidatarie; 9. Chiarezza e Durata: tenere distinte le finalità dell’affido e dell’adozione; 10. Responsabilità e Sussidiarietà: valorizzare maggiormente il ruolo dell’associazionismo». 21 Frisanco R. (2006), Un fenomeno con tanti “più” e qualche “campanello d’allarme”, in Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Osservatorio Nazionale per il Volontariato, Roma. 16 19 22 Allargando lo sguardo, con Giorgio Marcello osserviamo che: «un aspetto fondamentale di questo tempo notturno [è] la crisi dell’essere-con, dell’esserci al mondo insieme, e la solitudine che ognuno regala a se stesso. In questo tempo, che è il nostro, vanno in crisi i legami più significativi, quelli più densi, che più danno senso alla vita». Poi, facendo riferimento al tema dell’accoglienza familiare, sottolinea che: «in questo quadro l’accoglienza appare come un compito “impossibile” (…). Da un lato, aumenta la disuguaglianza, crescono le situazioni di disagio sociale, si complessificano i bisogni di accoglienza; dall’altro, si dilatano le manifestazioni della vulnerabilità, come fenomeno trasversale, con un impatto 23 problematico sulla possibilità di accogliere» . Sinteticamente, quanto sopra esposto, è racchiudibile nell’equazione “+ solitudine” = “- gratuità” o, meglio ancora, “relazionalità” = “- disponibilità volontaria”. Rappresentando su un sistema di assi cartesiani questi elementi, ne otteniamo un modello (vedi figura 1) che evidenzia quattro possibili situazioni. Questo Modello offre alla nostra attenzione l’immediata consapevolezza di quanto le relazioni interpersonali e l’apertura alla gratuità siano elementi interagenti, dalla cui composizione scaturisce il grado ed il tipo di solidarietà che una comunità riesce ad esprimere. 6. L’APPROCCIO COMUNITARIO ALLA PROMOZIONE DEL VOLONTARIATO FAMILIARE È proprio da questa coscienza, relativa all’effetto depotenziante che lo sbriciolamento della società esercita sulla capacità solidale delle persone, che bisogna partire per mettere a fuoco la strada per un rilancio della cultura e della prassi del volontariato e dell’accoglienza familiare. L’esperienza e le riflessioni su questo tema, condivise negli ultimi anni specialmente in seno al confronto 24 tra reti familiari , ci portano ad affermare che la pista da seguire si fonda su un approccio comunitario, o, parafrasando Pier Paolo Donati, relazionale. Il postulato è che: “l’apertura delle famiglie all’accoglienza (e in generale alla solidarietà) è il risultato di una pregressa e significativa relazione comunitaria”. In quest’ottica, prima ancora di cercare famiglie disposte a fare le affidatarie, occorre promuovere famiglie disposte ad essere comunitarie. Accanto all'opera di reperimento delle sempre meno numerose ed 25 improbabili famiglie “già pronte” al volontariato ed all’accoglienza occorre, in una prospettiva di capacitazione della comunità , proporre ad un ampio numero di famiglie di dedicare tempo ed energie allo stare insieme comunitario e solidale. Ci sono d’aiuto 22 Ricercatore del Dipartimento di Sociologia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università delle Calabria, si occupa da anni dei temi dell’affido familiare, della povertà, del volontariato, dell’azione solidale e dei processi comunitari. 23 Marcello G. (2010), Costruzione sociale delle reti di vicinanza e resistenza alla frammentazione delle relazioni, in Segnali di Comunità. Riflessioni ed esperienze che ritessono legami, Edizioni Rosso Fisso, Salerno. 24 Assai significativi, in tal senso, i Campi Scuola della rete sociale “Bambini, Ragazzi e Famiglie al Sud” (www.bambinieragazzialsud.it) che da oltre 15 anni coinvolgono centinaia di famiglie e minori, di diverse associazioni familiari. 25 Twelvetrees A. (2002), Community works, Palgrave (traduzione in Italiano: 2006, Il lavoro sociale di comunità. Come costruire progetti partecipati, Erickson, Trento). 20 tutta una serie di riflessioni, sia recenti che meno, che da più parti si muovono in questa direzione. Per brevità ne richiamiamo due, significative perché provenienti da contesti culturali ed esperienziali assai diversi. La prima è di Paolo Ferrero, ministro della solidarietà sociale dell’ultimo governo Prodi, che nel commentare il Rapporto sul Volontariato sottolineò che: «la vocazione principale del volontariato (…) pare essere la coesione sociale, il rafforzamento della densità della rete di relazioni che costituiscono il tessuto sociale. Il volontariato è il fare che qui ed ora modifica positivamente l’universo delle relazioni sociali costruendo comunità 26 e quindi universi simbolici condivisi ed aggreganti» . L’altra è di Mariano Iavarone, operatore sociale e famiglia solidale di Casoria, in provincia di Napoli, che in una recentissima 27 pubblicazione della Franco Angeli affronta questo tema precisando che essere famiglia comunitaria significa farsi promotori di un lavoro di costruzione di spazi aggregativi permanenti tra famiglie, in micro-contesti sociali circoscritti (rione, parrocchia, ecc.) finalizzati a sostenere le famiglie in percorsi di prossimità reciproca. Significa orientarsi verso la promozione di forme di aggregazione capaci di stimolare rapporti di fiducia, di consolidare l’appartenenza comunitaria e l’attivazione di reti di vicinanza. Iavarone sottolinea inoltre come l’approccio comunitario offra uno spazio di ridefinizione al rapporto tra famiglie affidatarie e famiglie di origine. L’assioma di fondo che guida la famiglia comunitaria è il superamento della dicotomia famiglia-risorsa/famigliabisogno a favore di un approccio relazionale in cui più famiglie insieme si concepiscono alla pari e puntano a valorizzare il rapporto aldilà delle etichette del disadattamento sociale. È un approccio non formale ed eminentemente preventivo che si incentra sulla convinzione che ogni persona, anche la più disagiata o problematica, ha insito in sé il potenziale interumano: è cioè capace di mettersi in relazione offrendo benefici e traendone contemporaneamente nella reciprocità dello scambio, grazie alla dimensione di 28 prossimità. Tutto questo discorso, rifacendoci ad Erikson , ci connette al concetto di "generatività", ossia alla questione dell'emergenza di quella forza psicosociale della persona che la rende capace di prendersi cura degli altri: «una forma di impegno ... che si esprime nel prendersi cura delle persone, dei prodotti e delle idee che ci siamo impegnati di curare». La persona in evoluzione, nella concettualizzazione eriksoniana, diventa capace di passare dalla preoccupazione e capacità di prendersi cura di sé alla capacità di generare "l'altro" sociale. La competenza genitoriale, tipica dell'età adulta nella sfera privata della vita familiare, diviene così "generatività sociale", ossia offerta di cura, aiuto e promozione all'esterno, verso altre persone, contributo creativo alla 29 società in generale . L'accoglienza familiare e la dimensione della reciprocità relazionale tra famiglie si muovono proprio su questo terreno di generatività sociale. Anzi, laddove diventano impegno da famiglia a famiglia (nel senso che tutti i membri di una famiglia prendono 30 un impegno di cura verso tutti o vari membri di un'altra famiglia), si può parlare di una vera e propria "generatività familiare" . Dollahite et al. definiscono la generatività familiare come la «responsabilità morale di relazionarsi e prendersi cura della nuova generazione, responsabilità che risiede nella famiglia, nei sistemi della famiglia estesa e nei membri adulti della famiglia», traendo origine e supporto virtuoso da un orizzonte familiare di scelte e valori atti a promuovere l'approccio generativo alle relazioni. Come sostengono Greco e Iafrate, nel campo dell'affidamento, «la generatività familiare prende la forma di un particolare impegno genitoriale nei confronti del minore affidato» (e, aggiungeremmo noi, anche di un particolare impegno fraterno da parte dei figli), il quale sperimenta una posizione di confine, strutturalmente ambigua, che deve essere ben trattata, in quanto, essendo costui al contempo interno ed esterno alla famiglia, rischia di viversi la posizione di "confinato" dovuta alla difficoltà, per ovvie ragioni, della doppia appartenenza. Anche nell'ambito dell'approccio comunitario sopra discusso, proponendo il citato superamento della dicotomia famigliarisorsa/famiglia-bisogno, tra le quali diversamente potrebbe strutturarsi una dinamica di confinamento o emarginazione, ci orientiamo ad aprirci alla promozione, con risvolti profondamente preventivi, di forme nuove del pensare comunitario e del relazionarsi, le quali, pur nel rispetto della singola appartenenza familiare, puntano a coniugare ampiamente il concetto di generatività con quello di "comunitarietà", sostenendo percorsi di reciprocità nella cura e nella costruzione delle relazioni tra famiglie. Fa da corollario a questo approccio l’evidente crisi sia del welfare state che del welfare mix: le risorse economiche non sono più sufficienti, né tantomeno illimitate, per cui – fermo restando l’impegno di cittadini ed operatori a stimolare le istituzioni affinché siano garantiti livelli essenziali di assistenza - è giunto il tempo di riscoprire e di rimettersi a produrre, come persone e 31 come famiglie, il capitale sociale . Sarebbe da miopi pensarla diversamente: tutti gli studi e le indagini evidenziano che la maggior parte delle famiglie e dei bambini con problemi non si recano ai servizi (in quanto non li riconoscono come depositari della loro fiducia) a meno che non ne siano obbligati (con tutte le conseguenze che hanno gli interventi prescrittivi); così come occorre considerare che i servizi di cura sono sempre di meno e meno finanziati. A chi quindi dovrebbe chiedere aiuto una famiglia in difficoltà? L’alternativa alla solitudine ad alla rassegnazione passa innanzitutto attraverso la comunità di cui essa stessa fa parte, in cui la solidarietà e l’accoglienza sono simbolicamente rappresentabili come il sangue che irrora il tessuto connettivo di un organo. Senza sangue non c’è vita: possono esserci le strutture (il tessuto connettivo) ma, se esso non viene irrorato, la vita non circola e le strutture rimangono luoghi freddi e non animati; così ci si trova di fronte ad aggregati umani anonimi piuttosto che ad organismi viventi. Com’è stato ben descritto in seno ad una ricerca sulle esperienze di volontariato familiare delle reti salesiane: «Il primo passo per risolvere una situazione di disagio è aiutare ogni membro della famiglia a riconquistare la propria dignità (…) È all’interno di una relazione confidenziale tra pari, da famiglia a famiglia, che possono essere cercati ed espressi gesti e contenuti che aiutano a 26 Ferrero P. (2006), Introduzione in Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Osservatorio Nazionale per il volontariato, Roma. Giordano M., Rossi C., Iavarone M. (2010), A babele non si parla di affido, Franco Angeli, Milano. 28 Erikson E. (1982), I cicli di vita. Continuità e mutamenti, trad. it. 1984, Armando, Roma. 29 Greco O., Iafrate R. (2001), Figli al confine. Una ricerca multi metodologica sull’affidamento familiare, Franco Angeli, Milano. 30 Dollahite D., Slife B., Hawkins A. (1992), Family generativity and generative counseling: helping family keep faith with next generation, MC Adams D. P. e Aubin S. T., Generativity and adult development, American Psychological Association, Washington DC. 31 Field J. (2003), Social capital, Routledge, London (traduzione in italiano: 2004, Il capitale sociale: un’introduzione, Erickson, Trento). 27 21 recuperare e favorire il protagonismo personale e familiare di chi vive in situazioni di disagio (…). Le famiglie difficili, nel momento in 32 cui sono considerate non utenti ma partner, sono messe nella condizione di agire come soggetti sociali» . Ritorna anche su questo aspetto il tema della fiducia, sulla base della quale «le persone possono vincere quella passività tipica che scaturisce da eventuali aspettative miracolistiche di soluzioni prefabbricate acquistabili. I diretti interessati si possono impegnare in prima persona come terapeuti delle loro vicende di vita (personali o familiari o comunitarie). L'idea di base è che se le persone non si chiudono nei propri problemi e non li privatizzano bensì li liberano nelle relazioni sociali fiduciarie; se le persone interessate riflettono congiuntamente e si prendono cura responsabilmente e vicendevolmente dei loro problemi, allora questi 33 pesano meno e quindi si elaborano e si modificano e, alla fine, forse anche – senza che nessuno possa dire come – si risolvono» . 7. LA CONDIVISIONE DEI BISOGNI E DELLA GIOIA Applicando queste considerazioni al quesito da cui siamo partiti (cioè come reperire più famiglie disponibili all’affido, applicazione specifica della più ampia questione del rilancio del volontariato di base) quali indicazioni possiamo trarne? Ebbene, dire approccio comunitario e famiglia comunitaria non significa semplicemente insistere sulla dimensione della RESPONSABILITÀ, sollecitando le famiglie a reinvestire tempo ed energie nell’impegno solidale coordinandosi maggiormente, programmando azioni comuni, sviluppando strategie condivise. Non significa neanche soltanto assicurare adeguati spazi di RIFLESSIVITÀ, mediante incontri periodici per approfondire le ragioni e le finalità dell’impegno, per riflettere insieme sulle esperienze, per raccontarsi i vissuti in corso, con le modalità dell’autoformazione, dei gruppi di confronto e condivisione, dei gruppi di mutuo aiuto condotto da un esperto, etc. In un siffatto scenario, tutto resterebbe ancorato all'insostenibile primato (logico e cronologico) della pregressa disponibilità delle famiglie al volontariato. Certo, per fare meglio il volontariato, bisogna farlo e pensarlo insieme. Si tratta di uno slogan condivisibile nel suo senso etico-sociale ma che non risponde al problema della progressiva riduzione delle famiglie capaci/disponibili a tale impegno. Sarebbe come dire ad una persona debilitata: «fatti forza!». Bisogna capire fino in fondo che la dimensione comunitaria è realmente operativa, è pienamente vissuta, se passa anche (e innanzitutto) attraverso la CONDIVISIONE dei propri bisogni personali e familiari. Non si devono cercare fantomatiche famiglie che, dopo aver risolto tutti i propri problemi hanno ancora voglia ed energia di dedicarsi agli altri; bensì famiglie disponibili a costruire con gli altri la soluzione ai bisogni comuni, a partire da quelli pratici e più immediatamente condivisibili, connessi all’organizzazione del menage quotidiano (accompagnamento dei figli a scuola e alle altre attività, fronteggiamento di piccoli imprevisti e difficoltà, …). Così come un tempo le famiglie che abitavano lo stesso caseggiato condividevano naturalmente la cura dei figli ed in questo si contagiavano con i modelli relazionali ed educativi altrui, oggi vivere la dimensione di famiglie comunitarie significa entrare nell’esperienza quotidiana dell’altro, essere disposti a contaminarsi reciprocamente. Non rievocando anacronistici ritorni alla solidarietà meccanica del passato (segnata da dinamiche di controllo e pressione sociale oggi improponibili) bensì promuovendo lo sviluppo di una solidarietà riflessiva, consapevolmente e liberamente scelta. Se prima, tutto ciò, avveniva spontaneamente, come espressione di un’appartenenza e di un radicamento territoriale, sociale e culturale, oggi si tratta di ri-stimolare la micro-realtà sociale nella quale viviamo per costruire quella dimensione di reciprocità, che nella risposta condivisa ai bisogni comuni accorcia le distanze tra famiglie. Possiamo affermare che la capacità di essere famiglia accogliente/solidale/comunitaria dipende in buona sostanza dal modo (individuale o comunitario) con cui si dà risposta alle proprie esigenze quotidiane. Per dirla con Giancarlo Cursi: «il fondamento di una famiglia “risorsa” è nello stile di risposta al proprio “bisogno”». La condivisione va inoltre vissuta anche nella sua dimensione emotiva ed affettivo-relazionale. Il Cardinale emerito di Milano, Carlo Maria Martini, spesso ha sottolineato l’esigenza di passare dall’etica della responsabilità all’etica della gioia. Limitare la condivisione alle sole dimensioni pratiche, significherebbe appiattirla sul solo versante funzionale. La condivisione della gioia, è invece un elemento prettamente immateriale, di tipo riflessivo, che ha a che fare con il colore ed il sapore del camminare insieme. Anche secondo il già citato Giorgio Marcello «il punto di partenza sta nell’andare oltre il richiamo generico alla solidarietà ed alla responsabilità. Si tratta di riscoprire, vivere, testimoniare la dimensione della gioia e della bellezza dei legami che generano responsabilità. Non si tratta di dimensioni vagamente sentimentali, ma di sentimenti profondi, da riscoprire percependo 34 che la nostra realizzazione si colloca nel vivere i legami. L’identità personale, infatti, acquista consistenza e senso nella relazione» . Su questo crinale, la scommessa è quella di diventare amici, di affezionarsi l’uno all’altro, di condividere relazioni calde, 35 all'interno di spazi e percorsi di riflessività relazionale 8. IL MODELLO SCaB (Solidarity CApacity Building) Declinando graficamente tutto quanto sopra esposto, possiamo mettere a fuoco un modello (che per brevità chiamiamo SCaB, cioè Solidarity Capacity Building, ovvero del "Potenziamento della Capacità di Solidarietà") che facilita l’analisi dei percorsi di empowerment comunitario. A seconda del grado di presenza delle tre dimensioni “responsabilità, “riflessività” e “condivisione”, infatti, si evidenziano quattro distinte zone: 32 Cursi G., Goso N. (2008), Famiglie solidali: percorsi di impegno tra disagio ed accoglienza, Federazione SCS/CNOS Salesiani per il sociale, Roma. Folgheraiter F. (2006), La cura delle reti nel welfare delle relazioni, Erickson, Trento. 34 Marcello G. (2010), ibidem. 35 Parton N., O’Byrne P. (2000), Constructive social work: towards a new practice, Palgrave, New York, (traduzione in italiano : 2005, Costruire soluzioni sociali, Erickson, Trento). 33 22 - - - - Zona del “dono impossibile”, caratterizzata da responsabilità e riflessività ma priva di condivisione. Con l'ausilio Zygmunt 36 Bauman potremmo anche denominarla zona fredda. Da quanto sopra richiamato, sono sempre meno le famiglie e le persone in grado di fare volontariato stando in questa tipologia di situazioni; Zona del “non dono”, in cui alla condivisione ed alla riflessività non corrisponde un concreto impegno gratuito a favore degli altri. In questo caso la dinamica comunitaria è segnata da meccanismi di chiusura narcisistica ed i gruppi svolgono un ruolo auto-protettivo, che esclude le persone e le famiglie non efficienti e meno appetibili; Zona del “dono inconsapevole”, con buoni livelli di servizio agli altri e di condivisione dei bisogni ma priva di un adeguato percorso di riflessione e di ricerca/approfondimento del senso dell’agire e dello stare insieme. I rischi sono molteplici, dal venir meno della motivazione solidaristica, alla evoluzione in organismi professionalizzati, iper-strutturati, spesso appiattiti sul mercato; Zona del “dono possibile e consapevole” (o zona SCaB). È questo l’ambito in cui le tre dimensioni sono adeguatamente presenti e nel quale si ritiene possano fiorire percorsi ampi e duraturi di solidarietà comunitaria. Potremmo chiamarla anche "zona del dono caldo", nella quale le persone e le famiglie sperimento un potenziamento progressivo della capacità di dono e di gratuità. Parafrasando la Filosofia Scolastica possiamo dire che è la zona in cui la proposta dell’accoglienza familiare (e delle altre 37 forme di solidarietà) acquisisce connotazione diffusiva , diviene cioè capace di coinvolgere porzioni di società sempre più ampie. La compresenza delle tre dimensioni favorisce infatti l’acquisizione di «gradi alti di maturità umana (…) in cui ci si sente legati da problematiche comuni per affrontare le quali ciascuno ha del proprio da investire a favore di altri, senza un ritorno immediato. Questa dinamica umana del donare ad "altri" sottintende una dimensione allargata di responsabilità che fa della 38 persona una risorsa sociale ed un costruttore di convivenza sociale» . 36 Zygmunt Bauman definisce come un “luogo freddo” il contesto sociale caratterizzato da una rarefazione delle relazioni significative e di fiducia, sempre più sostituite da dinamiche di sospetto e sfiducia generalizzata. 37 Ci si riferisce alla massima latina “Bonum est diffusivum suis”. 38 Alecci E., Cursi G., Granelli M. (2006), Il nuovo volto del volontariato, in Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Osservatorio Nazionale per il volontariato, Roma. 23 9. IL RUOLO DEI SERVIZI NELLA PROMOZIONE “COMUNITARIA” DELL’ACCOGLIENZA FAMILIARE Da tutto quanto sopra emerge un allargamento del ruolo dei servizi affidi. Accanto alle necessarie funzioni socio-psicopedagogiche (progettazione degli affidi familiari, coordinamento, sostegno tecnico, …) e formali-istituzionali (disposizione degli affidi, vigilanza, …), sempre più ampia rilevanza va data al lavoro di animazione e reticolazione comunitaria. Bisogna ritagliare crescenti spazi operativi nei quali alla tradizionale attività di ricerca e formazione delle famiglie affidatarie, si affianchi un intenso lavoro di rete sul territorio. Non solo il volontariato e l’associazionismo familiare ma anche i servizi sociali sono 39 chiamati a stimolare reti di vicinanza , a favorire l’intreccio tra risorse formali ed informali della comunità, a sostenere – in una prospettiva preventivo-promozionale – percorsi ed esperienze di partnership tra soggetti istituzionali e non istituzionali, per la 40 messa in rete delle risorse, nel riconoscimento della competenza e nutritività del territorio/comunità . Bisogna entrare nell’ottica dello sviluppo del cd. welfare societario, letto all’interno della grande area delle politiche di vita (life 41 politics) e basato sull’assunto che il benessere scaturisce dalla creatività e dalle intelligenze naturali presenti nelle comunità locali, 42 capaci di creare e rigenerare la ricchezza immateriale costituita dal capitale sociale naturale . Molto interessante, in tal senso, la scelta operata dalla Regione Veneto che nel 2008, nel predisporre le linee guida regionali per l’affidamento familiare, ha previsto l’allargamento della mission dei servizi affidi modificandone anche la denominazione (CASF, cioé Centri per l’affidamento e la solidarietà familiare). Il Casf «si colloca in una dimensione di confine tra il mondo dei servizi e il territorio ... Mantiene sempre l’ottica della promozione del territorio, è attivatore di processi. … Mantiene alta un’idea ampia di accoglienza, di crescita dei bambini nella unitarietà dei loro affetti e delle loro esperienze di vita. È promotore di una cultura più globale anche nei servizi, rende presente che tutelare vuol dire ri-promuovere lo sviluppo di un bambino o di un ragazzo e di una 43 famiglia, riqualificare le capacità parentali dei genitori. …» . Nel disegno della Regione Veneto l’intervento del Casf nella promozione della cultura dell’affido si gioca mediante l’attivazione di «progetti di prossimità … progetti di vicinanza solidale» nei quali «una famiglia inizia con un piccolo lavoro di solidarietà familiare e poi questo può servire per prepararsi ad un affido più solido». In quest’ottica una funzione preminente dei servizi per l’affido (e 44 dei servizi sociali in generale) è quella del community development , dell’essere tessitori di relazioni, facilitatori di processi 45 46 comunitari, promotori di forme leggere di prossimità . Occorre sostenere la creazione di reti familiari accompagnando le famiglie, sia quelle affidatarie che quelle d’origine, nel sensibilizzare il vicinato, nel responsabilizzare la parentela allargata, ... Occorre sostenere lo sviluppo di reti locali d’intervento capaci di coinvolgere agenzie come la scuola, l’associazionismo, le parrocchie, … Occorre dedicare un’attenzione forte al mettere in rete di cd. natural helpers, cioè persone comuni (non professionali) che abbiano però riconosciute capacità e disponibilità di aiuto … la gran parte *delle quali+ non sono note alla comunità, né formano di solito una 47 rete specifica . Occorre condividere con ogni possibile attore (singoli cittadini, corpi sociali, istituzioni, …) la consapevolezza che «ci 48 vuole tutta una città per crescere un bambino» . In continuità con queste considerazioni è utile, in conclusione, sottolineare come l’approccio comunitario interessi non solo la promozione iniziale ma anche le altri fasi del percorso dell’affido. Difatti, ad esempio, in un’ottica comunitaria, la valutazione delle famiglie, pur sempre finalizzata a favorire un corretto abbinamento, non avviene in vitro (cioè soltanto tramite alcuni colloqui con gli aspiranti affidatari) ma sul campo, osservando come la famiglia interagisce con le altre famiglie, in occasioni di semplice stare insieme o in piccole esperienze di volontariato. Sulla stessa frequenza è possibile invocare una rivisitazione del sostegno agli affidi, inteso in modo più ampio, fondato innanzitutto su una condivisione e collaborazione profonda tra famiglie, supportato e, ove utile, 49 orientato, ma non sostituito, dall’intervento di operatori sociali capaci di reciprocità , disponibili a lasciarsi sostenere da coloro che 50 essi intendono sostenere, ad avere un aiuto dai propri “utenti” per imparare come meglio poterli aiutare . È utile anche sottolineare che la storia dell'accoglienza dei minori dimostra come la deistituzionalizzazione non consista solo nel puro e semplice cambiamento dei soggetti chiamati ad accogliere (gli istituti prima, le famiglie e le comunità residenziali oggi). Come alcuni teorici hanno ben evidenziato (Goffman, Berger e Luckmann, Palmonari), l'accoglienza offerta da una famiglia non è automaticamente deistituzionalizzata (o deistituzionalizzante). Anzi uno dei segni eloquenti di (neo)istituzionalizzazione è rappresentato dalla mancanza di progettualità educativa che, purtroppo, caratterizza una parte degli affidamenti familiari. Non basta pertanto promuovere un aumento delle famiglie affidatarie se poi manca una vera progettazione partecipata del percorso. 39 Solinas G. (2009), Bambini, ragazzi e famiglie al Sud: un’esperienza di rete sociale, in Aa.Vv., Costruire reti di Vicinanza, RossoFisso, Salerno. Bartolomei A., Passera A.L. (2005), Manuale di servizio sociale professionale, Cierre, Roma, pagg. 190-197. 41 Raineri M.L. (2004), Il metodo di rete in pratica, Erickson, Trento. 42 Folgheraiter F. (2006), Ibidem. 43 Regione Veneto (2008), Linee Guida 2008 per i servizi sociali e sociosanitari. L’affido familiare, pagg. 49-52. 44 Gui L. (2004), Le sfide teoriche del servizio sociale, Carocci, Roma, pagg. 111-117. 45 Giordano M. (2010), L’integrazione tra i servizi affidi pubblici e le reti di famiglie affidatarie, in Giordano M., Iavarone M., Rossi C. (a cura di), A Babele non si parla di affido, Franco Angeli, Milano. 46 Ventura D. (2006), La creazione di reti familiari e capitale sociale comunitario, in Donati P., Prandini R. (a cura di), Buone pratiche e servizi innovativi per la famiglia, Franco Angeli, Milano. 47 Maguire L. (1983), Understanding social networks, SAGE Publications, USA (traduzione in italiano: 1989, Il lavoro sociale di rete, Erickson, Trento). 48 CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (2000), Ci vuole tutta una città per far crescere un bambino, Edizioni Comunità, Roma. 49 Barnes M. (1997), Care, communities and citizens, Addison Wesley Longman, England (traduzione in italiano: 1999, Utenti, carer e cittadinanza attiva. Politiche sociali oltre il welfare state, Erickson, Trento). 50 Raineri M.L. (2004), Ibidem. 40 24 D'altra parte, il rischio di accoglienze senza futuro è tanto più alto quanto più si trascurano la prevenzione e, per altro verso, l'esigenza di mettere mano a percorsi di sostegno adeguato alle famiglie naturali. Se è vero che ogni bambino ha diritto alla sua famiglia, allora l’accoglienza è autenticamente “familiare” e “comunitaria” solo se promuove prioritariamente il ruolo genitoriale dei padri e delle madri naturali. Su questa linea anche l’agire dei servizi va ri-letto e ri-significato in un’ottica relazionale, superando 51 procedimenti tecnicistici e specialistici, di stampo sanitario . Come pure occorre lavorare allo sviluppo di linguaggi comunitari, che facilitino il confronto e la reciproca comprensione; 52 linguaggi che vanno continuamente costruiti, scoperti, compresi, in un processo che non può mai dirsi completamente esaurito . Per esigenze di brevità ci si ferma qui, rinviando ad ulteriori lavori l’analisi dei vari effetti dell’applicazione dell’approccio comunitario al mondo dell’accoglienza familiare. La premessa di tutto questo è, ovviamente, la presenza di un Servizio Affidi composto da operatori che «si occupano in 53 maniera specifica, specializzata, stabile e strutturata di affido familiare e … di promozione dell’affido» . Ed è anche l’apertura e la stretta collaborazione – come spesso già avviene - tra i Servizi Affidi e le associazioni familiari, le quali «fatte da famiglie che si 54 mettono insieme, svolgono una funzione sociale rilevante … per la comunità e … per la qualità della vita» , nell’ottica di una 55 integrazione virtuosa tra sfera statale e non statale . Concludiamo ribadendo il bisogno di motivare e supportare le persone e le famiglie ad uscire dall’isolamento in cui ci induce 56 la nostra cultura post-moderna, lanciando una sfida all’ospite inquietante , il nichilismo di ritorno, che ci sta conducendo a grandi passi verso il deserto emotivo. 57 Bisogna andare alla ricerca della comunità, favorendo processi generali di partecipazione attiva . Come ci ricorda Galimberti, «dobbiamo convincerci della necessità e dell’urgenza di un’educazione emotiva preventiva (…) in 58 una società che ha sviluppato un individualismo esasperato» . L’educazione del cuore non può passare attraverso le strutture: necessita di altri cuori e di luoghi caldi. Il compianto Paulo Freire amava ripetere: «Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme». 51 Folgheraiter F. (2000), L’utente che non c’è. Lavoro di rete e empowerment nei servizi alla persona, Erickson, Trento. Giordano M (2009), Le linee guida sull’affido al sud. Analisi della regolamentazione in materia di affido familiare nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, in AA.VV., Costruire reti di vicinanza, Rosso Fisso, Salerno, pagg. 39-70. 53 Regione Veneto (2008), ibidem., pagg. 49-52. 54 Prandini R. (a cura di) (2000), Un tetto da costruire. Famiglia e principio di sussidiarietà, Città Nuova, Roma. 55 Brienza G. (2002), Famiglia, sussidiarietà e riforma dei servizi sociali, Città Nuova, Roma. 56 Nietzsche F. (1975), Frammenti postumi 1885-1887, Adelphi, Milano. 57 Rodger J.J. (2000), From a welfare state to a welfare society: the changing context of sociale policy in a postmodern area, Macmillan Press LTD (traduzione in italiano: 2004, Il nuovo welfare societario, Erickson, Trento). 58 Galimberti, U., (2010), L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani. Feltrinelli, Milano. 52 25 INTERVENTI (sintesi, abstract, …) Giuseppe Acocella rettore LUSPIO – Libera Università degli Studi per l’innovazione e le organizzazioni di Roma Principio di eguaglianza e cultura dell’accoglienza familiare In una età segnata – come quella presente – dalla spietata riduzione dell’esperienza umana alla sua dimensione esclusivamente individualistica (nel mentre corrisponde ad un intensificarsi degli scambi e delle relazioni formali ed informali), osare parlare di “famiglie insieme”, di “famiglie promotrici di accoglienza”, di “dimensione comunitaria delle famiglie”, può apparire persino involontariamente provocatorio. Del resto, se da un lato lo schiacciamento dei “corpi intermedi” ha impoverito la dialettica sociale compressa tra ragioni dell’individuo (e dei clan di ogni genere) e quelle dell’indistinto collettivismo della società dei consumi, solo il volontariato (ed il collegato fenomeno del Terzo Settore e dell’economia sociale) sembra interessato a ricostruire rete di relazioni interpersonali. L’impoverimento degli enti intermedi e delle società fondamentali può apparire ancora più inquietante a cospetto degli intervenuti accaparramenti del concetto di “famiglia” in ambiti del tutto lontani da quelli riferiti a quella calda esperienza fondamentale per la crescita delle persone e delle società. Forse non a caso il linguaggio ha ricorso in passato e ricorre spesso ancor più alla distorsiva utilizzazione di questa espressione a proposito di clan tenuti insieme da complicità e subdoli interessi, da reti di malaffare e di contiguità nella violenza e nella sopraffazione, fino a parlare di “famiglie” camorriste o mafiose. La tenera cuccia delle relazioni affettive e familiari, capace di accogliere e di promuovere l’indipendenza dei suoi membri, si trasforma nella feroce prigione da cui vengono cacciati non incruentemente tutti coloro che non partecipano delle reciproche compromissioni e che dunque vanno assoggettati, e dalla quale non si esce se non a prezzo altissimo. Già sembra difficile “tenere insieme” – pur in nome di solidi vincoli familiari - coloro che sono legati da reciproco aiuto e sostegno, coloro che offrono e ricevono educazione e protezione. Figurarsi mantener vivo un “insieme di famiglie” ! In una età, come si ricordava, nella quale gli egoismo singolaristici spezzano persino le solidarietà fondamentali come quelle delle famiglie naturali, sembra un paradosso rischioso voler fare affidamento su una rete di famiglie unite da vincoli comunitari con obiettivi di accoglienza, capaci di dare, sì, “protezione” e sostegno, mutuo rispetto ed aiuto non alla maniera camorristica e mafiosa, ma restituendo significato umano e caldo alle parole adattate ad avere significati negativi. Esiste poi un ulteriore livello di considerazioni: l’affido registra la crisi effettiva della famiglia (quella naturale d’origine) e nello stesso tempo la più grande rivalutazione della famiglia (come risorsa della persona per la persona), segnando il passaggio dalla famiglia come solitudine alla famiglia come solidarietà. L’affido familiare diffonde cultura dell’accoglienza, anzi costituisce più propriamente la linea di confine che distingue il riconoscimento per il minore di un diritto alla famiglia dall’abusata e sfrontata rivendicazione, molto di moda oggi, del diritto al figlio (coniugabile anche come diritto a procreare ad ogni costo o ad acquistare se necessario) anche rispetto alla inevitabilmente ambiguità che permane facendo coesistere nell’istituto dell’adozione (come ben sanno gli operatori) motivazioni nobilissime e disinteressate con ragioni egoistiche spesso incomprimibili. L’affido non corre di norma questi rischi, e contribuisce meritoriamente a creare mentalità e costume favorevole alla diffusione di una generosa cultura dell’accoglienza. Occorre infatti considerare che la famiglia - quella naturale - di per sé non rappresenta sempre e comunque una comunità d’amore i cui vincoli affettivi sono evidenti (tanto che si creano situazioni di crisi e di abbandono talvolta dei suoi membri più deboli), né tanto meno si mostra sempre una comunità generosa ed aperta anche quando non si registrino situazioni di disagio, cosicché non riesce facile immaginarla espletare il ruolo di “cellula fondamentale” ed indispensabile della società, come di frequente è stato proclamato. Del resto basterebbe ricordare come ricerche significative, da Banfield in poi, abbiano stigmatizzato i fenomeni di familismo amorale che hanno avuto singolari e resistenti trasfigurazioni, sicuramente non propizie per accrescere lo spirito di comunità nelle società in cui sono inserite, ed anzi figurando come paradigma delle resistenze all’eguaglianza e alla solidarietà, attestate sulla esplicita ed esclusiva difesa dei suoi membri a qualunque costo. Il che consente di comprendere come poi la espressione “famiglia” abbia potuto anche mutarsi e assumere l’altro senso perverso di società mafiosa, come si ricordava. Orbene, in una condizione che vede un Welfare in profonda trasformazione – spesso segnato dai caratteri esangui di “Welfare delle solitudini” mirante alle erogazioni senza progetto e senza comunità – il rapporto genitoriale (aspirante ad ottenere sostegni materiali) rischia di perdere spessore morale e consistenza sociale, cosicché parlare di diritto alla famiglia ponendo al centro la persona del minore ed il suo interesse - allargando il concetto di famiglia generosa e accogliente al di là dei vincoli naturali e di sangue - è premessa per costruire una comunità accogliente, un insieme di famiglie capaci di fondare nuovamente le società. L’affido appare dunque in controtendenza rispetto agli orientamenti in auge. Ad altri più competenti di me spetta il compito di entrare nel merito delle questioni che si presentano, ma vorrei ribadire che l’affido presenta aspetti il cui significato travalica i confini dello specifico istituto. L’impegno in questa direzione è forse ancora agli inizi. 26 Pasquale Andria presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno Affidi difficili e ad esito incerto. La risorsa delle famiglie in rete (presentazione del tema a cura degli organizzatori) La situazione di quei minori “fuori famiglia” per i quali le difficoltà prognostiche impediscono di orientarsi chiaramente verso il rientro nella famiglia di origine o verso il percorso dell’adozione legittimante, costituisce una sorta di “zona grigia” che pone forti interrogativi agli operatori della giustizia e del sociale ed all’intero sistema di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza. Quali interventi di tutela del diritto alla famiglia vanno attivati? Occorre operare un lavoro di chiarificazione di un variegato, e spesso confuso, scenario in cui le prassi operative mettono in campo un ventaglio tipologico che va dall’affidamento familiare di lunga durata, all’affidamento sine die, all’adozione mite, … Solo nell’acquisizione di linguaggi comuni e modalità condivise è possibile trovare percorsi capaci di rispondere in modo adeguato alla complessità delle situazioni. Di particolare rilievo - per il focus generale del convegno - il ruolo che l’associazionismo familiare può svolgere in tale delicato ambito, come soggetto attivo di un processo articolato, multidimensionale ed a regia pubblica. Francesco Belletti presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari Soggettività educativa della famiglia. Sfida educativa e accoglienza familiare Il capitale sociale, inteso come la capacità delle persone di agire con comportamenti prosociali, è uno dei principali indicatori del benessere di una collettività. Nella società odierna la famiglia è capitale sociale se riscopre la sua responsabilità educativa e se, insieme alle altre agenzie educative, ne accoglie la sfida. In questo scenario diviene assai importante la valorizzazione della genitorialità che, nella sua duplice connotazione biologica e culturale, nasce e si sviluppa nell’incontro con un altro bisognoso. L’educazione si pone come “prima forma di accoglienza” (del figlio inerme e dipendente) in un processo graduale fatto di relazioni di reciprocità, di appartenenza nella diversità, di cura … in un cammino che dalla personalizzazione delle relazioni e dalla costruzione intra-familiare di “legami buoni” evolve nella progressiva costruzione di una piena soggettività sociale delle famiglie, di cui sono espressioni eminenti le esperienze di apertura dei confini familiari (l’accoglienza) e la costruzione di soggetti sociali quali gruppi e associazioni di famiglie. Adriana Ciampa dirigente politiche minorili del Ministero del Lavoro e delle Poli�che Sociali Percorsi nazionali di promozione dell’affido. Il Piano nazionale “un percorso nell’affido” e gli obiettivi di medio e lungo termine del Governo Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è impegnato da tempo, in collaborazione con Regioni, Comuni, Province ed il Coordinamento servizi per l’affido, in un’azione di rilancio dell’istituto dell’affidamento familiare, quale valida alternativa al collocamento nei servizi residenziali di bambini ed adolescenti allontanati dal proprio nucleo familiare. Il Progetto Nazionale “Un Percorso nell’Affido”, dopo la prima fase di formazione itinerante sui territori finalizzata al rafforzamento o alla creazione di servizi dedicati all’affido, oggi impegna i componenti della Cabina di regia nella stesura di Linee Guida – i cui destinatari sono gli enti territoriali competenti a “normare” in materia di politiche sociali - e di un cd. Sussidiario per l’Affidamento familiare – pensato, invece, quale strumento di lavoro per gli operatori che concretamente e quotidianamente si occupano di affido. Il progetto, inoltre, ha attivato una mappatura delle realtà pubbliche e private operanti in Italia segnalando i progetti più significativi realizzati: la banca dati è consultabile sul portale minori.it ed è in fase di costante aggiornamento ed implementazione sulla base delle segnalazioni inviate dalle associazioni alle Regioni e da quest’ultime al Ministero. Questo progetto deve essere letto in una più ampia strategia sistemica di interventi che parte da una logica più strettamente programmatica legata all’approvazione del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, passa attraverso gli interventi di prevenzione dell’allontanamento dei minori dal proprio nucleo familiare (programma sperimentale Pippi), ed arriva a favorire azioni finalizzate a promuovere, disciplinare e regolamentare l’istituto dell’affidamento familiare. Al livello più alto di questa logica sistemica di interventi possiamo collocare il terzo Piano Nazionale di azione; il Piano ha tra le sue finalità la promozione dell’affidamento familiare e il potenziamento dei servizi dedicati attraverso la 27 costituzione, oltre al potenziamento dei servizi pubblici o dei centri per l’affidamento familiare per la sensibilizzazione, la valutazione e l’abbinamento, per il sostegno e la presa in carico dei nuclei affidatari; realizzazione di Linee Guida di indirizzo nazionali; sostegno alla genitorialità nelle famiglie fragili e prevenzione dell’allontanamento dei minori dalle famiglie; promozione di forme di raccordo fra i servizi pubblici o i centri per l’affidamento familiare con le realtà associative presenti nel territorio di riferimento; miglioramento del coordinamento fra Autorità Giudiziaria e Servizi nella fase di abbinamento coppia/bambino; potenziamento delle reti di famiglie affidatarie; creazione di un sistema informativo nazionale sui bambini fuori famiglia; adeguamento della normativa riferita all’affidamento familiare. Appare evidente come la strutturazione del progetto “Un percorso nell’affido” ben risponda a molte delle finalità espresse dal PDA. Rispetto agli obiettivi di prevenzione dell’allontanamento, tra gli interventi pilota promossi dal Ministero, si pone il progetto denominato P.I.P.P.I., programma di intervento per la prevenzione dell’istituzionalizzazione, attivato in collaborazione con l’Università di Padova e con 10 città aderenti su 15 territori riservatari del fondo 285, rivolto ad un numero limitato di nuclei familiari con figli dai 0 ai 16 anni a grave rischio di allontanamento. Il programma ha l’obiettivo di individuare, monitorare e codificare un approccio continuo e flessibile di presa in carico del nucleo familiare, capace di ridurre significativamente i rischi di allontanamento del bambino o del ragazzo o di rendere l’allontanamento, quando necessario, un’azione fortemente limitata nel tempo, facilitando i processi di riunificazione familiare. Pippi ben concretizza, dunque, le suddette finalità di prevenzione, attraverso l’attivazione di modalità di intervento a monte, orientate a prendere in carico nuclei familiari a rischio e limitanti i problemi connessi all’intervento dei servizi sociosanitari nei processi di affidamento. L’obiettivo che ci poniamo nella programmazione futura del lavoro va sempre più orientandosi verso una duplicità di interventi, non soltanto di presa in carico di situazioni a rischio, ma anche di forte lavoro sulla prevenzione. La finalità generale degli interventi che ho descritto è, dunque, quella di attuare su tutto il territorio nazionale percorsi a protezione del minore e della sua famiglia grazie ad azioni di consolidamento e di messa a sistema degli interventi che facilitino l’utilizzazione di un’adeguata rete di servizi capaci di sostenere la funzione genitoriale. L’obiettivo della tutela dei diritti dei minori si raggiunge sganciandosi dall’ottica dell’emergenza ed intervenendo, anche e soprattutto con modalità preventive sulla famiglia e sulle politiche per il suo sostegno e per il rafforzamento dei servizi di accompagnamento della genitorialità, promuovendo interventi di educativa domiciliare e di modulazione delle risorse accoglienti, investendo sulle buone prassi, sulle procedure e sull’interconnessione dei diversi saperi e conoscenze. Luigi Cobellis consigliere regionale Campania, promotore proposta di legge regionale sul diritto alla famiglia La politica dalla parte della famiglia Per la politica occuparsi della famiglia è, oltre che un dovere, un compito naturale. Non esiste una buona società, sana e in cui poter vivere sereni senza solide e solidali famiglie. La famiglia, quindi, è il più grande alleato della buona politica. Per questa ragione come amministratore regionale ho sentito di dover operare affinché ogni figlio della nostra terra possa crescere in un nucleo famigliare accogliente, in cui formarsi e diventare un uomo. Da questo imperativo morale e dal dialogo proficuo con le associazioni famigliari è nata la proposta di legge per semplificare l'affido dei minori fuori famiglia. Porteremo a compimento l'iter legislativo, perché la buona politica può davvero rendere la Campania una terra più accogliente, una comunità che si ispira alla famiglia. Arnaldo De Giuseppe coordinatore Comunità Familiari CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza Comunità familiari e capitale sociale. Percorsi di empowerment comunitario Il CNCA ha avviato negli ultimi anni una riflessione su quel tipo di comunità per minori che hanno una famiglia come struttura portante del servizio educativo, cercando di definirne specificità e caratteristiche. La comunità familiare è una realtà che fonde la personale scelta di vita di essere coppia e famiglia con la scelta di fornire un servizio (strutturato) per i minori in difficoltà. La dimensione più propriamente familiare e quella professionale si integrano e si sostengono vicendevolmente e collocano la comunità familiare in un ambito intermedio tra la comunità educativa e l’affido familiare. Il significato di tali esperienze va oltre il servizio per minori e può essere un’opportunità per ripensare modelli di famiglia attivi e responsabili all’interno del contesto sociale. 28 Gianni Fulvi presidente CNCM – Coordinamento Nazionale Comunità per Minori Piste di collaborazione tra comunità per minori e reti di famiglie affidatarie Le comunità piuttosto che essere un’alternativa all’affido sono un’offerta in più per l’Infanzia e l’Adolescenza in difficoltà. L’evoluzione culturale ha portato alla definizione del Progetto educativo Individualizzato come strumento più adeguato a rispondere in chiave innovativa . All’interno di questo si sviluppa la necessità di individuare la risposta più adeguata al bisogno del singolo minore. Per alcuni l’affido è sicuramente la risposta giusta ed è per questo si rende sempre più necessaria la collaborazione tra le comunità e reti di famiglie per favorire un “passaggio” che sia percepito dal minore più naturale possibile. Sono sempre di più la comunità che formando e supervisionando i volontari presenti nella struttura, hanno organizzando associazioni per la promozione dell’affido, costituendo anche gruppi di auto mutuo aiuto tra gli affidatari. Il dato preoccupante che vede nelle comunità di accoglienza per pre-adolescenti e adolescenti, la presenza intorno al 20% di minori provenienti da affidi conclusi (falliti?) e adozioni, impone una seria riflessione sulle modalità di realizzazione dei progetti di affido familiare e una più stretta collaborazione tra le comunità, i servizi sociali e le reti di famiglie affidatarie al fine di ridurre drasticamente questo dato. Sicuramente a monte va strutturata la valutazione del minore, la capacità di reggere una relazione affettiva valida. don Paolo Gentili responsabile Ufficio Nazionale per la pastorale familiare della Conferenza Episcopale Italiana La famiglia educa accogliendo Il vino nuovo e buono delle nozze. La vera luce, nelle nostre comunità ecclesiali, può venire dal riportare quell’archetipo, cioè modello originario, di cui ultimamente, e in più occasioni, ha parlato il Santo Padre Benedetto XVI, nel vissuto quotidiano di tante coppie di sposi che stanno attendendo di rivivere il miracolo di Cana di Galilea. È possibile cioè far conoscere la Grazia del sacramento delle nozze in chi si sta avvicinando all’idea del matrimonio, ma anche renderla feconda in chi da tempo, pur restando nella stessa casa, non vive più il profumo del vino di Cana. Vi sono coppie di sposi dove tante cose non dette, un perdono mancato, alcune sofferenze, hanno finito per indurire il cuore, e in quella casa non si vive più il fuoco della piccola “chiesa domestica” che illumina i palazzi, i quartieri, le città. Da questo ri-accendersi del profumo nuziale dipende l’incisività della presenza degli sposi nelle nostre comunità ecclesiali e civili, nell’orizzonte, come ci indicano i Vescovi Italiani negli Orientamenti per il decennio, del “primato delle relazioni”. Mariano Iavarone, Carolina Rossi responsabili nazionali Équipe affidi della federazione Progetto Famiglia A Babele non si parla di affido È possibile promuovere un linguaggio condiviso tra i diversi attori implicati nei percorsi di affido familiare? La “fatica della complessità”, insita nella gestione degli interventi di affido, genera sovente diffidenze e frammentazione: una “babele” in cui si fa fatica a co-progettare e che pregiudica la rete di protezione del bambino. La capacità di governare il progetto di gestione è ciò che determina la qualità di un affido, a partire dalla valutazione preliminare di fattibilità (assessment) e dalla tessitura della rete; essa è la metacompetenza attraverso la quale si attuano, secondo modalità condivise in équipe, i vari interventi specifici. A partire da riflessioni generali sul senso della protezione e dell’allontanamento occorre che gli operatori sviluppino un modello di presa in carico incentrato sulla valorizzazione della complementarietà degli approcci per poter pensare-progettare-farevalutare quanto si mette in atto in favore di minori che necessitano di esperienze familiari integrative. 29 don Silvio Longobardi fondatore della federazione Progetto Famiglia La famiglia nasce da un patto tra persone diverse e in qualche modo estranee. Il legame coniugale è la prima e più importante vittoria sul ogni forma di individualismo, La solidarietà coniugale è contagiosa perché genera altri legami solidali, quelli tra genitori e figli. Il legame coniugale e quello genitoriale sono le strutture portanti dell’impalcatura sociale. La debolezza della famiglia lascia ampia libertà alla cultura che esalta l’io e favorisce il progressivo sfilacciamento del tessuto sociale. La famiglia è un potente fattore di umanizzazione sociale, si fonda sui valori dell’accoglienza e dell’accudimento della persona. La famiglia è uno dei pochi luoghi, forse l’unico, in cui il valore della persona non dipende dalle sue capacità né dalle sue risorse economiche. L’accoglienza dei minori non appartiene solo all’ambito della carità ma a quello della cultura. C’è una cultura che passa per la conoscenza, lo studio e l’approfondimento; e una cultura che passa per la testimonianza di quei valori che mantengono viva una società. L’affido custodisce e costruisce l’idea di una città dove i diritti di alcuni divengono per gli altri un dovere ineludibile. Giorgio Marcello dipartimento di sociologia dell’Università delle Calabrie Famiglie accoglienti e vulnerabilità familiare. Quali strade per fronteggiare la crisi dei legami sociali? Un aspetto fondamentale di questo tempo notturno è la crisi dell’essere-con, dell’esserci al mondo insieme, e la solitudine che ognuno regala a se stesso. In questo tempo, che è il nostro, vanno in crisi i legami più significativi, quelli più densi, che più danno senso alla vita. In questo quadro l’accoglienza appare come un compito “impossibile”. Da un lato, aumenta la disuguaglianza, crescono le situazioni di disagio sociale, si complessificano i bisogni di accoglienza; dall’altro, si dilatano le manifestazioni della vulnerabilità, come fenomeno trasversale, con un impatto problematico sulla possibilità di accogliere. il punto di partenza sta nell’andare oltre il richiamo generico alla solidarietà ed alla responsabilità. Si tratta di riscoprire, vivere, testimoniare la dimensione della gioia e della bellezza dei legami che generano responsabilità. Non si tratta di dimensioni vagamente sentimentali, ma di sentimenti profondi, da riscoprire percependo che la nostra realizzazione si colloca nel vivere i legami. L’identità personale, infatti, acquista consistenza e senso nella relazione. Roberto G. Marino direttore del Dipartimento per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri Quanto è esigibile il diritto dei minori alla famiglia? Crisi del welfare e stato di attuazione della legge 149/01 La Settimana del diritto alla famiglia rilancia il tema dell’accoglienza familiare dei minori “fuori famiglia”. Un’iniziativa pubblica, ricca di eventi, promossa da associazioni di famiglie: in questo senso, una affermazione forte del ruolo sociale e pubblico della famiglia. L’affidamento familiare non si esaurisce d’altra parte in una decisione e in una relazione “private”, per quanto preziose e impegnative, ma coinvolge istituzioni pubbliche diverse, attiva reti di solidarietà, comporta una speciale consapevolezza del ruolo della famiglia nella comunità. All’apprezzamento per questa iniziativa e per l’attività di “Progetto famiglia” da parte del Dipartimento per le politiche della famiglia, che ha dato il suo patrocinio all’iniziativa, fa riscontro un impegno che si esprime in particolare nella collaborazione al progetto “Un percorso nell’affido”, promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Nel corso di due anni amministrazioni centrali, regioni ed enti locali, operatori e associazioni familiari si sono confrontati su regole e prassi dell’affidamento familiare, individuando criticità e diffondendo buone pratiche. Ne è risultata la compilazione di una banca dati nazionale dei centri e delle esperienze di affidamento familiare, e saranno pronti a breve “Linee guida” che possano orientare politici e amministratori e un “Sussidiario” a supporto degli operatori. 30 Marilena Santangeli coordinatrice Ufficio per l’Affidamento Familiare - Distretto Socio-Assistenziale di Alatri (FR) referente del Coordinamento Nazionale dei Servizi Affido Innovare il sostegno agli affidi familiari. Esperienze di collaborazione tra servizi affidi e associazionismo familiare Il CNSA ritiene che l’iniziativa “Settimana del Diritto alla Famiglia” promossa da Progetto Famiglia possa rappresentare lo snodo di un nuovo modo per coinvolgere e sostenere le famiglie in difficoltà. La situazione che emerge dallo scambio e confronto delle esperienze a livello nazionale, fra i rappresentanti dei Servizi Affido, mostra come nel nostro Paese cominciamo ad avere troppe “zone del dono impossibile” e poche aree in cui la presenza delle tre dimensioni “responsabilità, “riflessività” e “condivisione” si attivi in contemporanea: spesso sono piccole città vicine a grandi centri urbani come testimoniano le colleghe che lavorano in Servizi Affido collocati in zone dove non sono mai nate spontaneamente reti di famiglie solidali. Il Servizio Affido ha fra i suoi compiti quello di incentivare e valorizzare le reti familiari e le Associazioni di famiglie e a questo proposito sono stati pensati alcuni progetti che dovrebbero favorire l’aggregazione sociale sul tema della solidarietà che non prevedono una sensibilizzazione all’affido. Essi devono comunque essere supportati da un progetto d’intervento che ne definisca i confini e le potenzialità, provvedendo a un lavoro di definizione in modo univoco in modo che gli attori del processo abbiano punti di riferimento certi e gli operatori del Privato Sociale e del Servizio Sociale elementi sufficienti per una corretta individuazione e destinazione delle risorse. Tommaso (di Nomadelfia) responsabile dell’accoglienza dei minori nella comunità di Nomadelfia Accoglienza familiare e diritto del minore. Don Zeno precursore e profeta Nel campo dell'accoglienza familiare di persone in difficoltà, in particolare dei minori, don Zeno di Nomadelfia si scosta radicalmente dalla tradizione che solitamente veniva espressa anche all'interno della Chiesa. La sua proposta consiste nella realizzazione di un nuovo rapporto umano, basato su una fraternità condivisa, capace di rimuovere le cause che creano e portano al bisogno socio assistenziale. Don Zeno è contro la istituzionalizzazione e andrà subito al valore fondamentale della famiglia, convinto che l'accoglienza può avvenire solo al suo interno per poterlo rigenerare nell'amore. Una famiglia allargata in collaborazione con altre sul piano educativo e di un ambiente formativo. Don Zeno ha anticipato i tempi attraverso le sue intuizioni sul recupero della devianza, come verrà dopo mezzo secolo codificato dalle normative giuridiche oggi in atto e riguardanti il diritto minorile. La sua creatura Nomadelfia è la risposta tuttora operante di famiglie liberamente associate, attraverso l'applicazione di una metodologia e una organizzazione di tipo familiare, con figure di riferimento stabili e la complementarietà di tutti gli altri membri della comunità in una pedagogia di condivisone. Frida Tonizzo consigliere nazionale dell’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie Responsabilità istituzionali nella tutela del diritto alla famiglia e possibili raccordi con l’associazionismo familiare Le migliaia di esperienze finora realizzate, che hanno permesso a bambini di ogni età e provenienza di poter crescere in una famiglia diversa dalla loro, accogliente e solidale, per periodi di tempo più o meno lunghi, a seconda delle necessità, dimostrano che l’affidamento familiare è possibile e praticabile solo se c’è a monte un’adeguata organizzazione di servizi socio-assistenziali e sanitari e un lavoro integrato che si faccia carico non solo del supporto degli affidatari e del minore ma prioritariamente del recupero della famiglia di origine. Quando questo non avviene, gli affidamenti rischiano di i trasformarsi in “affibbiamenti” con tutte le conseguenze negative che ne derivano e che possono portare alla interruzione dell’affidamento stesso. Nel mio intervento esporrò quali sono gli interventi da attivare per rendere esigibile il diritto di ogni minore alla famiglia, i presupposti necessari per la realizzazione degli affidamenti ed il ruolo promozionale che le associazioni di volontariato possono svolgere nei confronti delle Istituzioni coinvolte: Regioni, Comuni, Autorità giudiziarie minorili …; porterò al riguardo alcune proposte sperimentate nel corso degli anni dall’Anfaa. 31 PROPOSTA di LEGGE REGIONALE di TUTELA del DIRITTO alla FAMIGLIA La tutela del diritto a crescere in famiglia nella legislazione regionale Spunti per una proposta di legge regionale in materia di affido (a cura del Progetto Famiglia) PREMESSA. La riforma del titolo V della costituzione del 2001, nel novellare l’art. 117, ha ridefinito la competenza legislativa di Stato e Regioni. In particolare l’attribuzione in materia di affidamento familiare risulta così articolata: competenza esclusiva dello Stato: art. 117, c. 2, lettera l: “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile …”; art. 117, c. 2, lettera m: “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; competenza esclusiva delle regioni: art. 117, c. 4: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Tra le materie non riservate allo Stato né di legislazione concorrente Stato-Regioni, v’è quella delle politiche socio-assistenziali (salvo quanto concernente i riferimenti di cui sopra). Ne consegue che un intervento legislativo regionale in materia di affidamento familiare può agire: sull’organizzazione dei servizi e interventi sociali, senza andare ad intaccare gli aspetti sostanziali e processuali dell’affido, 59 definiti dalla legge nazionale (nella fattispecie la legge 184/83 come riformata dalla legge 149/01); sugli standard delle prestazioni rispettando le eventuali indicazioni statali in materia di livelli essenziali (materia sulla quale ancora non è intervenuta alcuna legge nazionale). L’ATTUALE ASSETTO REGIONALE. Allo stato attuale nessuna regione ha disciplinato l’affidamento familiare con uno specifico atto legislativo. Alcune regioni hanno varato leggi in materia di politiche per la famiglia in cui sono contenute previsioni specifiche nei 60 confronti dei minori fuori famiglia e interventi di supporto ai nuclei familiari al fine di prevenire l’allontanamento dei figli . Pur senza compiere una ricognizione esaustiva citiamo di seguito alcuni passaggi significativi di queste legislazioni regionali: Friuli Venezia Giulia, legge regionale 11/2006 “Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialità”. L’articolo 10 prevede l’assegnazione della carta famiglia agli affidatari di minori, la quale “attribuisce il diritto all'applicazione di agevolazioni consistenti nella riduzione di costi e tariffe o nell'erogazione diretta di benefici economici per la fornitura di beni e servizi significativi nella vita familiare, ovvero di particolari imposte e tasse, nel rispetto della normativa statale in materia tributaria” (comma 2); Lombardia, legge regionale 23/1999 “Politiche regionali per la famiglia”. Secondo l’articolo 4 la Regione “riconosce e sovvenziona i servizi alla famiglia erogati da soggetti pubblici e privati accreditati per svolgere attività di informazione e formazione … volti in particolare a effettuare programmi relativi all’affido familiare …” (commi 8 e 9); Umbria, legge regionale 13/2010 “Disposizioni per la promozione e la tutela della famiglia”. L’articolo 12 prevede che la Regione “sostiene ed agevola le adozioni e gli affidamenti familiari di minori di età superiore ai 12 anni, con grave disabilità, con handicap accertato” (comma 2, lettera c) e “realizza un sistema di monitoraggio sul numero, sull'andamento e sulla gestione delle adozioni, degli affidamenti e sui minori fuori famiglia accolti in strutture residenziali” (comma 2, lettera d); Calabria, legge regionale 1/2004 “Politiche regionali per la famiglia”. All’articolo 5 si prevede il ricorso all’affidamento familiare anche come intervento per contrastare l’evasione scolastica (c. 2, lett.a). Riferimenti all’affidamento familiare si rinvengono anche in Sicilia, nella legge regionale 10/2003 “Norme per la tutela e la valorizzazione della famiglia”; in Lazio, nella legge regionale 32/2001 “Interventi a sostegno della famiglia”; in Abruzzo, nella legge regionale 95/1995 “Provvidenze in favore della famiglia”. Altre regioni toccano il tema dell’affidamento familiare in seno a leggi regionali sulla tutela dei minori. Spunti interessanti si rinvengono in: Emilia Romagna, legge regionale 14/2008 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni”. All’articolo 31 si precisa che “la Regione garantisce … a ciascun bambino o adolescente che deve essere allontanato dal proprio contesto familiare e sociale, … un percorso educativo personalizzato di alta qualità, … anche oltre il diciottesimo anno d'età” (comma 2) e all’art. 32 si prevede che “la Regione … promuove forme di collaborazione tra enti titolari delle funzioni in materia di minori e associazioni di volontariato, con particolare riguardo a quelle di famiglie … affidatarie” (comma 2); Lombardia, legge regionale 34/2004 “Politiche regionali per i minori”. All’articolo 4 si definiscono i criteri di individuazione del comune tenuto all’erogazione del contributo agli affidatari (comma 3); Liguria, legge regionale 6/2009 “Promozione delle politiche per i minori e i giovani”. L’articolo 21 indica, tra i compiti della regione e dei servizi in materia di 59 Giuiusa C (Dipartimento di Diritto Pubblico dell’Università Tor Vergata di Roma) in un intervento al Convegno Nazionale “l’Affido sotto osservazione” promosso dall’Aibi a Bari il 20 aprile 2011. 60 Relazione sullo stato di attuazione della legge 28 marzo 2001, n. 149 concernente «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile», presentata alla Camera dei Deputati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali (Sacconi) e dal Ministro della giustizia (Alfano) il 1° settembre 2010 (rif. Atti parlamentari, XVI legislatura, Doc. CCII, n.1). 32 affidamento familiare, l’impegno della “costruzione di reti di nuclei affidatari che possano offrire alle famiglie e ai minori in difficoltà la possibilità di usufruire di un sostegno fondato sul mutuo-aiuto”. Nella maggior parte delle Regioni vi sono leggi quadro sulle politiche sociali, in cui l’affido familiare è indicato come uno dei componenti del più ampio sistema degli interventi e servizi sociali. Nella maggior parte dei casi mancano determinazioni legislative specifiche che ne definiscano criteri e parametri di attuazione. Tracce interessanti si rinvengono in merito all’attribuzione della “competenza alla spesa” per i minori “fuori famiglia” (siano essi in comunità o in affidamento familiare). Si citano a mo’ di esempio: Piemonte, legge regionale 1/2004 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”. All’articolo 39 si sancisce che “la titolarità degli oneri è in capo al comune nel quale, al momento della collocazione, risiedeva il genitore che esercitava la potestà genitoriale” (comma 3). Non modificano la competenza alla spesa le eventuali variazioni della residenza intervenute successivamente; Umbria, legge regionale 26/2099 “Disciplina per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. All’articolo 37 si precisa anche che “nel caso di genitori entrambi esercenti la potestà con residenza in comuni diversi o di genitori separati o divorziati con affidamento congiunto, l’onere è posto a carico dei due comuni nella misura del cinquanta per cento ciascuno” (comma 9); Molte regioni hanno provveduto a definire la materia con atti di indirizzo (linee guida, linee di indirizzo, …), in genere di buona fattura, i quali tuttavia, non esercitando un effetto vincolate nei confronti degli enti locali, restano - ove più ove meno – disattesi. Nelle more dell’emanazione, da parte dello Stato, di una legge in materia di livelli essenziali, la Conferenza dei presidenti delle 61 Regioni e delle Province Autonome sta lavorando alla individuazione di un insieme di “livelli di servizio” che dovranno servire da indirizzo alle programmazioni regionali per assicurare una base omogenea per tutti i cittadini italiani. Nella bozza in discussione, tra le prestazioni essenziali, si prevede, nell’ambito degli interventi di “presa in carico” dell’utenza, l’espletamento della funzioni sociali per l’affido di minori. Questo orientamento conferma e rilancia il cammino che porta a garantire la presenza in tutte le regioni di servizi ed interventi nel campo dell’affido familiare. SPUNTI PER UNA LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI AFFIDAMENTO FAMILIARE. Al di là delle enunciazioni di principio e delle particolarità locali, l’esperienza di quasi due decenni di attuazione della legislazione nazionale in materia di affidamento familiare ha messo in evidenza quanto la capacità di garantire la tutela del diritto dei minori a crescere in una famiglia dipenda dalla scelta dei decisori locali di attivare in modo stabile, adeguato e continuativo, precisi interventi e servizi. Lo sviluppo disomogeneo dell’affidamento familiare sul territorio italiano – in cui si mescolano, a “macchia di leopardo”, zone di eccellenza e territori completamente sguarniti - mostra quanto siano necessari atti legislativi regionali che, superata la funzione di mero indirizzo, sappiano vincolare l’azione degli enti locali al rispetto di determinati assetti progettuali, organizzativi ed economico-finanziari. In tal senso appare significativa la proposta di legge regionale “Interventi per la tutela del diritto ad avere una famiglia” depositata al Consiglio Regionale della Campania il 7 febbraio 2011 (Reg. Gen. 167). Da tale proposta di legge possiamo ricavare alcuni spunti di interesse generale, riproponibili anche in altre regioni. Ovviamente fermo restando il rispetto della specificità di ogni contesto, il bisogno di raccordo con le previgenti normative regionali e la necessità/auspicio che le norme che regolano la vita della collettività scaturiscano sempre da un’ampia concertazione locale. In particolare si ritiene che il diritto dei minori a crescere in una famiglia possa essere meglio garantito in presenza di una legge regionale che assicuri: l’istituzione in tutti i comuni, singoli o associati, di un servizio deputato all’affidamento familiare, dotato di un organico stabile, specializzato e numericamente adeguato. Si ritiene assai preziosa l’esperienze della regione Veneto dove, a partire da un 62 approccio promozionale e culturale, si è prevista l’istituzione dei CASF – Centri per l’affido e la solidarietà familiare ; la previsione/promozione di forme di coordinamento tra gli enti competenti, finalizzate alla gestione associata di singole fasi processuali o operative, con particolare riguardo alla cura delle anagrafi degli affidatari, agli abbinamenti minori-affidatari, alla formazione degli operatori, …; la valorizzazione e promozione del ruolo delle organizzazioni di base degli affidatari, in particolare nelle attività di prossimità e di animazione comunitaria, di sensibilizzazione e formazione degli affidatari, di progettazione e sostegno delle accoglienze familiari, integrativi e non sostitutivi delle attività istituzionali. Preziosi in tal senso: o l’attivazione di tavoli di concertazione e co-programmazione dei servizi ed interventi; o la cogestione di attività di promozione, informazione, formazione, … delle famiglie e persone disponibili all’affidamento familiare; o il coinvolgimento in équipe integrate – guidate dal servizio pubblico - deputate alla presa in carico dei singoli percorsi di affido (abbinamento minori/affidatari, definizione e verifica periodica dei progetti individualizzati, sostegno, …); o la previsione di forme di rimborso per le spese sostenute dalle organizzazioni nell’espletamento di tali attività; la previsione - tra i servizi di cui alla disciplina dell’autorizzazione e dell’accreditamento - di “servizi professionali di promozione e sostegno agli affidamenti familiari”, dei quali promuovere la gestione da parte di organizzazioni del privato sociale dotate di personale specializzato. Appare utile a tale proposito favorire la distinzione tra queste “organizzazioni specialistiche” (vere e proprie agenzie, prestatrici d’opera professionale, retribuite con specifici corrispettivi economici) e le organizzazioni di base di cui al punto precedente, intese preminentemente come esperienze associative tra famiglie affidatarie (volontari non retribuiti, destinatari di meri rimborsi spesa). Questo al fine di favorire la “valorizzazione specifica” delle une e delle altre. l’erogazione agli affidatari - sia residenziali che part time - di rimborsi spese periodici di importo adeguato. È comune orientamento il prendere a riferimento l’importo della pensione minima INPS. Fondamentale l’individuazione certa del comune competente alla spesa (disciplinando con chiarezza anche i casi di variazione della residenza, di genitori separati 61 62 Prospettive assistenziali, n° 173 gennaio-marzo 2011, pagg. 21 e ss. Regione Veneto (2008), Linee guida peri servizi sociali e socio sanitari. L’affido familiare in veneto. 33 residenti in comuni diversi, di nomina del tutore, di minori stranieri non accompagnati privi di residenza, …). Determinante anche la disciplina dei tempi di erogazione che non devono essere eccessivamente dilatati; la copertura assicurativa per i danni subiti o causati dal minore in affido; la previsione di percorsi formativi e di sostegno specifici a fronte di “bisogni” particolari dei minori (affido di bambini piccolissimi, affido di adolescenti, affido di minori stranieri, …); la previsione di sostegni aggiuntivi (psico-socio-pedagogici, pratico-logistici, economici, …) nel caso di affidamento di minori con gravi difficoltà (disabilità, marcati problemi comportamentali, …); la previsione di modalità di sostegno e accompagnamento all’autonomia per i minori fuori famiglia anche dopo il compimento del diciottesimo e del ventunesimo anno di età; la previsione, nel caso di minori con permanenza prolungata in comunità residenziale, salvo motivate controindicazioni, di percorsi di affiancamento parziale di una famiglia o persona singola mediante interventi di affidamento part-time; 63 la previsione ed il sostegno, in via sperimentale, di percorsi di accoglienza in famiglia di gestanti e madri con figli, anziani , disabili adulti, … l’attivazione di banche dati dei minori “fuori famiglia” (tali da assicurare adeguati monitoraggi e mappature dei percorsi, nonché da permettere analisi d’insieme, sia quantitative che qualitative); la previsione di norme per contrastare la disapplicazione della legge da parte degli enti locali (meccanismi di premialità/penalità, funzione sostitutiva da parte della Regione, …). “INTERVENTI PER LA TUTELA DEL DIRITTO AD AVERE UNA FAMIGLIA” (proposta di legge depositata al Consiglio Regionale della Campania il 7 febbraio 2011 – Reg. Gen. 167 - IX legislatura) Art. 1 - Diritto del minore alla famiglia 1. La Regione riconosce e sostiene il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, intesa come risorsa primaria indispensabile per il suo benessere e la sua crescita psico-fisica. 2. Il minore, temporaneamente o parzialmente privo di un ambiente genitoriale e familiare idoneo, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli, o ad una persona singola in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove non sia possibile l’affidamento è consentito l’inserimento del minore in una comunità residenziale. Tale circostanza va esplicitamente motivata nel provvedimento. 3. Gli interventi di cui al comma precedente sono realizzati sulla base di una specifica valutazione diagnostica e prognostica dei bisogni e delle risorse del minore e della sua famiglia e di un conseguente progetto individualizzato di intervento, i quali sono condizione necessaria per l’emanazione del provvedimento. 4. Negli interventi di urgenza, a scopo protettivo e nella forma di pronta e transitoria accoglienza, la valutazione ed il progetto possono essere effettuati successivamente. In questi casi l’inserimento in comunità o l’affidamento assumono anche una valenza diagnostica e valutativa dei successivi interventi da porre in essere. Le motivazioni dell’urgenza devono potersi ricondurre a condizioni di imminente pericolo per il minore e vanno esplicitate nel provvedimento il quale deve anche indicare i tempi e le modalità di assolvimento dell’onere valutativo e progettuale. 5. La valutazione ed il progetto vengono aggiornati con frequenza almeno semestrale e devono tendere a favorire il rientro del minore nella sua famiglia o il trasferimento in affidamento familiare o in adozione, limitando allo stretto necessario il tempo di permanenza del minore nella comunità residenziale. Nei casi di permanenza prolungata del minore in comunità residenziale, il progetto deve prevedere, salvo motivate controindicazioni, l’affiancamento parziale di una famiglia o persona singola mediante interventi di affidamento part-time. 6. I comuni, associati negli ambiti territoriali di cui all’art. 19 della legge regionale 23 ottobre 2007 n° 11, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, adottano il regolamento d’ambito dell’affidamento familiare ed istituiscono il servizio affidi d’ambito, in conformità con le indicazioni legislative e regolamentari emanate in materia dallo Stato e dalla Regione Campania. Al fine di favorire lo sviluppo dell’affidamento familiare, e ottimizzare le risorse disponibili, le Province, promuovono, di concerto con gli ambiti territoriali di propria competenza, la costituzione di tavoli provinciali per l’affido, deputati al coordinamento sinergico dei servizi affidi d’ambito, nonché alla promozione della gestione associata, anche di singole fasi processuali e operative, delle attività di competenza dei servizi affidi d’ambito, con particolare riguardo alla gestione delle anagrafi degli affidatari, agli abbinamenti minori-affidatari, alla formazione degli operatori. Ai tavoli provinciali per l’affido partecipano, sulla scorta di specifici accordi approvati dagli stessi tavoli provinciali, anche le organizzazioni di base degli affidatari operanti sul territorio provinciale. 7. La regione, le province ed i comuni riconoscono l’importanza dell’opera di volontariato svolta dagli affidatari e promuovono lo sviluppo delle organizzazioni di base degli affidatari, in particolare nei servizi di prossimità e di animazione comunitaria, di sensibilizzazione e formazione degli affidatari, di progettazione e sostegno delle accoglienze familiari, integrativi e non sostitutivi 63 Un interessante spunto sull’affidamento degli anziani viene dalla Legge Regionale della Campania 11/2007 “Legge per la dignità e la cittadinanza sociale”, nella quale, all’articolo 31, si prevede “l’affidamento e l’accoglienza, anche solo notturna, delle persone anziane presso famiglie che garantiscono loro il mantenimento delle normali abitudini di vita” (comma 1, lettera e). 34 delle attività istituzionali. Si riconosce altresì la necessità di favorire la sinergia tra le organizzazioni di base degli affidatari e i soggetti di cui agli articoli 15 e seguenti della legge regionale 23 ottobre 2007 n. 11. A tal fine la regione integra il regolamento di cui all’articolo 8, comma d, della legge regionale 23 ottobre 2007 n. 11, con la previsione del “servizio di sostegno professionale agli affidamenti familiari”, i cui requisiti per l’autorizzazione e l’accreditamento comprendono la previa stipula di specifici atti di intesa tra i soggetti esercenti e le organizzazioni di base degli affidatari. Art. 2 - Sostegno Economico degli affidamenti etero-familiari di minori 1. L’affidamento familiare di un minore a famiglie o persone singole esterne al quarto grado di parentela è sostenuto mediante l’erogazione agli affidatari, a titolo di rimborso spese forfettario, di un contributo economico mensile, il cui importo è pari alla pensione minima INPS aggiornato annualmente. 2. L’importo del contributo di cui al comma 1 è calcolato in base ai giorni di effettiva presenza del minore presso gli affidatari e prescinde dalla loro condizione economica. 3. Nel caso di affidamenti part-time, quali gli affidamenti diurni, notturni, per alcuni giorni della settimana, per le vacanze, il contributo è determinato nel provvedimento di affidamento in misura proporzionale alla previsione delle spese per l’attuazione degli interventi programmati. 4. Il sostegno economico di cui ai commi 1 e 3 è decurtato del 20% per ogni minore affidato oltre il primo. Dal sostegno economico vanno detratte le somme percepite dagli affidatari per assegni familiari e prestazioni previdenziali. 5. Nei casi in cui il minore sia affidato a persone che aderiscono ad una organizzazione di base di affidatari, per la durata dell’affidamento è erogato all’organizzazione, a titolo di rimborso spese forfettario, un contributo mensile aggiuntivo pari al 30% dell’importo della pensione minima INPS aggiornato annualmente. L’erogazione del contributo è vincolata all’iscrizione dell’organizzazione nell’anagrafe regionale delle ONLUS, al possesso dei requisiti di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266 “leggequadro sul volontariato”, all’iscrizione al registro regionale del volontariato della Campania, nonché allo svolgimento dei servizi di cui all’articolo 1, comma 7, regolati da specifici accordi con i comuni, singoli o associati. Prima dell’avvio degli affidamenti, gli affidatari dichiarano ai servizi sociali territoriali la loro eventuale adesione ad un’organizzazione di base. La comunicazione può avvenire anche successivamente, laddove l’adesione abbia luogo ad affidamento in corso. 6. Il contributo di cui ai commi 1 e 3 può essere aumentato fino al massimo del 40% quando il minore affidato presenti particolari problemi di natura fisica, psichica, sensoriale, comportamentale. Il contributo è incrementato del 100% nel caso in cui il minore affidato sia un non deambulante e/o non autosufficiente riconosciuto invalido al 100% ai sensi della normativa vigente. 7. È possibile la previsione di contributi straordinari a favore degli affidatari a fronte di specifiche spese previamente concordate con il comune titolare dell’erogazione. 8. È vietato qualsiasi rapporto economico tra affidatari e famiglia di origine del minore. Art. 3 - Erogazione dei contributi economici agli affidamenti etero-familiari di minori 1. L’erogazione dei contributi di cui all’art. 2 rientra nei livelli essenziali di assistenza sociale la cui copertura è garantita in attuazione dell’art. 50, comma 4, della legge regionale 23 ottobre 2007 n° 11. All’erogazione dei contributi è tenuto il comune di residenza dei genitori titolari della potestà sui minori o del tutore. 2. Nel caso di genitori entrambi titolari della potestà, residenti in comuni diversi, ciascun comune è tenuto all’erogazione della metà del contributo. 3. La variazione del comune di residenza dei genitori titolari o del tutore, ovvero l’attribuzione della titolarità della potestà a persona residente in comune diverso, comporta l’imputazione dell’onere dell’erogazione del contributo a carico del nuovo comune. 4. Nel caso di minori stranieri non accompagnati privi di residenza anagrafica, il contributo, nelle more dell’individuazione del titolare della potestà genitoriale o della nomina del tutore, è erogato dal comune nel cui territorio il minore è stato rintracciato. 5. I contributi vengono erogati agli interessati entro un tempo massimo di trenta giorni dal trimestre di competenza. 6. Al fine di assicurare la disponibilità delle risorse finanziarie di cui alla presente legge, in sede di redazione del bilancio preventivo, i comuni stanziano fondi in misura almeno sufficiente all’erogazione dei contributi per gli affidamenti già in corso e per quelli che, da apposita relazione redatta dai servizi sociali locali, risultano essere prossimi all’avvio. Qualora, per difetto di previsione, dovesse verificarsi un’insufficienza dei fondi appostati sul bilancio, i contributi eccedenti la disponibilità sono erogati a valere sull’esercizio finanziario dell’anno successivo. 7. Nel caso di mancata erogazione dei contributi da parte dei comuni competenti, provvede la Regione in via sostitutiva, a valere sui fondi da destinare al relativo ambito territoriale nell’annualità successiva ai sensi della legge 8 novembre 2000, n° 328. I fondi sono erogati su istanza degli interessati, da presentarsi al Settore Assistenza della Regione entro i primi 120 giorni dell’anno successivo a quello di competenza dei contributi. La Regione eroga i contributi entro 120 giorni dal termine di presentazione delle istanze. Art. 4 - Sostegno economico ad altre forme di accoglienza familiare 1. Gli affidamenti di minori presso parenti entro il quarto grado, disposti dai servizi pubblici competenti, possono essere sostenuti con specifici contributi economici, se e nella misura di quanto indicato nel provvedimento di affidamento. Il contributo in ogni caso non può superare l’importo della pensione minima INPS ed è posto a carico dei comuni, secondo quanto disposto dall’articolo 3. 2. Le accoglienze presso famiglie o persone singole a favore di giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventuno anni, di gestanti, di madri o padri con figli, di anziani e di adulti non autosufficienti, sono sostenute con un contributo economico mensile, a titolo di rimborso spese forfettario. Tale contributo è erogato limitatamente alle accoglienze realizzate su richiesta dei servizi sociali territoriali, e sulla base di un progetto individualizzato di intervento da questi predisposto e periodicamente aggiornato. In analogia con l’articolo 6, comma 4 della legge 8 novembre 2000, n° 328, competente alla spesa è il comune in cui la persona accolta ha la residenza prima dell’accoglienza. L’importo del contributo è concordato con i servizi sociali territoriali all’atto dell’accoglienza, in 35 ragione degli effettivi oneri che l’accoglienza comporta ed in misura compresa tra la metà ed il doppio della pensione minima INPS. Possono essere erogati contributi straordinari a sostegno del percorso di autonomia delle persone accolte, quali borse di studio, borse lavoro ed altro. 3. Alle accoglienze di cui ai commi 1 e 2 si applicano le prescrizioni di cui all’articolo 2, comma 5 ed all’articolo 3, commi 5, 6 e 7. Art. 5 - Copertura assicurativa per le accoglienze familiari 1. Il comune che, ai sensi dell’articolo 3, è competente all’erogazione del contributo economico, ha l’onere di provvedere alla stipula della polizza assicurativa per gli infortuni subiti dalla persona accolta o per i danni che essa provoca a terzi. 2. Qualora il comune competente non provveda alla stipula della polizza, l’importo del contributo economico di cui agli articoli 2 e 4 deve essere integrato della quota corrispondente al costo della polizza stessa, che sarà stipulata dagli affidatari o dall’organizzazione di base cui aderiscono. Art. 6 - Coordinamento regionale per l’affidamento familiare 1. Al fine di promuovere il pieno sviluppo dell’affidamento familiare su tutto il territorio regionale e di creare una modalità stabile di raccordo e confronto tra le diverse istituzioni ed organizzazioni impegnate nella materia, è istituito il “Coordinamento Regionale per l’Affidamento Familiare”. 2. Il Coordinamento è composto da: a. tre rappresentanti del Settore Politiche Sociali della Regione, di cui uno con funzione di coordinatore; b. un rappresentante del Settore Assistenza Sanità della Regione Campania; c. un rappresentante del Settore Politiche Giovanili della Regione Campania; d. i responsabili dei Settori Politiche sociali delle Province; e. i responsabili dei S.A.T. dei Comuni capoluogo di provincia; f. i responsabili delle Organizzazioni di base degli affidatari in possesso dei requisiti di cui all’art. 2 comma 5. 3. Il Coordinamento si riunisce con frequenza almeno semestrale ed ha il compito di: a. promuovere il monitoraggio e l’analisi dell’affidamento nella Regione Campania, integrandosi con il SISS (Sistema Informativo Servizi Sociali) campano e coordinandosi con gli osservatori provinciali sull’infanzia; b. promuovere percorsi di formazione degli operatori pubblici e privati impegnati nel campo dell’affido familiare; c. promuovere l’attivazione di sinergie tra i S.A.T. campani e il ruolo di coordinamento intermedio delle province di cui all’articolo 1, comma 6; d. sostenere la costruzione di accordi inter-istituzionali e/o piani territoriali per l’affido familiare, raccordandosi con il percorso di realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui alla legge regionale 23 ottobre 2007, n. 11; e. formulare gli indirizzi generali della politica regionale dell’affido familiare; f. promuovere ed accompagnare eventuali sperimentazioni in tema di affidamento. 36 (appendice) TAVOLO NAZIONALE AFFIDO Tavolo delle Associazioni e Reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie (www.tavolonazionaleaffido.it) Il Tavolo nazionale affido è uno “spazio stabile” di lavoro e confronto tra le associazioni/reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie, già impegnate da anni in percorsi di riflessione comune sulla tutela del diritto dei minori alla famiglia. La “base comune” di riferimento è costituita dal documento “10 punti per rilanciare l’affidamento familiare in Italia” elaborato nell’autunno 2010 e presentato in occasione della Conferenza Nazionale della Famiglia svoltasi a Milano nei giorni 8-10 novembre 2010. Tale “base comune” si inserisce nel solco della riflessione e dei documenti maturati nel pluriennale confronto delle Associazioni/Reti con il CNSA (Coordinamento Nazionale dei servizi affidi pubblici) e prende a riferimento l’analisi condivisa con altri organismi del terzo settore in seno al Gruppo CRC (Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza) come esposta nel 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite del novembre 2009. Gli obiettivi del Tavolo sono individuabili a tre livelli: a. Livello Nazionale: sviluppare riflessioni condivise su questioni di rilevanza nazionale in materia di affidamento familiare e tutela del diritto dei minori alla famiglia; condividere e valorizzare le buone prassi maturate dai partecipanti o da altri enti; favorire percorsi di raccordo e di azione comune, specie nel dialogo con le varie istituzioni nazionali (CNSA, Conferenza Regioni, Cabina di Regia del progetto Nazionale Affido, …); b. Livello Regionale: approfondire il dialogo ed il confronto con le singole Regioni circa i processi di regolamentazione e di promozione delle politiche in materia di affidamento familiare; c. Livello “di base”: favorire percorsi di incontro, confronto, condivisione e visibilità per tutte le associazioni e le reti di famiglie affidatarie d’Italia, ivi comprese le organizzazioni sub-regionali e locali. Favorire altresì l’accesso alle informazioni, notizie, riflessioni, buone prassi, … da parte di tutte le reti/associazioni locali d’Italia. Il Tavolo si configura come “raccordo leggero” tra le associazioni/reti, le quali custodiscono la piena autonomia e la propria specificità. Ciò è assicurato dai seguenti criteri: Il Tavolo non è un ente giuridicamente costituito; Le iniziative del tavolo sono decise di volta in volta dai membri. Ordinariamente le iniziative coinvolgono tutti i membri ma non è escluso che in taluni casi uno o più membri possano decidere di non partecipare ad un’iniziativa promossa dagli altri; La segreteria, attualmente affidata all’Associazione Progetto Famiglia, non comporta funzioni di rappresentanza né di portavoce unico del Tavolo. Di volta in volta i membri decidono chi delegare allo svolgimento di singole azioni concordate. COMPONENTI AIBI - Associazione Amici dei Bambini ANFAA - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie ASSOCIAZIONE COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII ASSOCIAZIONE FAMIGLIE PER L’ACCOGLIENZA BATYA (Associazione per l’Accoglienza, l’Affidamento e l’Adozione) CAM - Centro Ausiliario per i problemi minorili CNCA - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza COORDINAMENTO AFFIDO ROMA - Coordinamento Organismi del Privato Sociale iscritti all’albo affido del Comune di Roma COREMI – FVG - Coordinamento Regionale Tutela Minori del Friuli Venezia Giulia PROGETTO FAMIGLIA - Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia UBI MINOR - Coordinamento toscano per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi “10 PUNTI PER RILANCIARE L’AFFIDAMENTO FAMILIARE IN ITALIA” (documento presentato alla Conferenza Nazionale sulla Famiglia – Milano 8-10 novembre 2010) Le Associazioni e Reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie, da anni impegnate in percorsi di confronto e di riflessione a sulla tutela del diritto dei minori alla famiglia, propongono, in occasione della 2 Conferenza Nazionale della Famiglia, dieci punti su cui si chiede alle istituzioni competenti ed alla società civile di concentrare l’impegno dei prossimi anni. La proposta si inserisce nel solco della riflessione e dei documenti maturati nel pluriennale confronto delle Associazioni/Reti con il CNSA (Coordinamento Nazionale dei servizi affidi pubblici) e prende a riferimento l’analisi condivisa con altri organismi del terzo settore in seno al Gruppo CRC (Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza) come esposta nel 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite del novembre 2009. 37 La legge n.184/1983 ha affermato: a) Il minore ha diritto ad essere educato prioritariamente nell'ambito della propria famiglia, precisando che le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, a favore della quale vanno disposti interventi di sostegno e di aiuto; b) Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo è affidato ad un'altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno; c) Il minore di cui sia accertata dal tribunale per i minorenni la situazione di abbandono perché privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio, è dichiarato adottabile e deve essere adottato da coniugi aventi i requisiti che sono previsti dalla stessa legge n.184/1983; d) L'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare è consentito quando non sono attivabili gli interventi sopra riportati. Il diritto del minore a crescere in famiglia non è però un diritto esigibile in quanto la realizzazione degli interventi (aiuti alle famiglie d'origine, affidamento, ecc.) è condizionata dalla disponibilità delle risorse dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Si ritiene necessario un rinnovato e corale impegno che passi innanzitutto attraverso l’adozione di LIVELLI ESSENZIALI DEGLI INTERVENTI a favore dei minori, delle famiglie di origine, delle famiglie affidatarie e adottive, e lo stanziamento delle necessarie RISORSE FINANZIARIE. In particolare, sul tema dell’affidamento familiare, si propone l’implementazione delle seguenti attenzioni prioritarie: 1.PROMOZIONE e PRIORITÀ. Occorre rilanciare a tutti i livelli, istituzionali e non, la promozione dell’affidamento familiare inteso come strumento che integra, senza sostituire, il ruolo delle figure genitoriali, assicurando ai minori adeguate cure, mantenimento, istruzione e relazioni affettive. Occorre altresì attuare i percorsi di affidamento familiare con sempre maggiore consapevolezza, declinando, senza erronei automatismi, il principio normativo della prioritaria scelta dell’affido rispetto all’inserimento in comunità ed integrandolo nel più ampio ventaglio degli interventi e servizi sociali per i minori e la famiglia. 2.NORMAZIONE. Occorre portare a compimento l’azione di regolazione della materia, assicurando l’adozione di linee guida nazionali che risolvano alcuni nodi interpretativi ed attuativi della legislazione vigente e che fissino periodicamente i macroobiettivi e la cornice generale d’intervento, di leggi regionali e regolamenti locali che assicurino l’esigibilità del diritto alla famiglia definendo competenze e responsabilità, percorsi di rete e di integrazione, procedure e modalità di intervento, standard delle prestazioni, copertura finanziarie, di protocolli operativi tra tutti i soggetti coinvolti nell’affido (servizi sociali territoriali, servizi affidi, tribunali per i minorenni, associazioni/reti di famiglie affidatarie, …) per una funzionale gestione dei progetti di intervento. 3.ORGANIZZAZIONE. Occorre assicurare in tutti i territori del Paese l’istituzione dei servizi per la famiglia e, tra questi, dei servizi per l’affido, dotati di sufficiente e stabile personale socio-assistenziale e sanitario, preposto alla realizzazione ed al sostegno degli affidamenti familiari ed alla promozione dell’istituto dell’affido e della più ampia solidarietà familiare e supportato con percorsi di formazione congiunta tra i diversi operatori, coinvolgendo anche i referenti delle associazioni di famiglie affidatarie, al fine di rendere comunicanti i linguaggi. 4.MONITORAGGIO. Occorre completare e potenziare il sistema di monitoraggio dei servizi ed interventi di tutela del diritto dei minori alla famiglia al fine di assicurare rilevazioni ed analisi aggiornate e puntuali sugli aspetti quantitativi e qualitativi del fenomeno e di attivare banche dati nazionali e regionali dei minori fuori famiglia. 5.PREVENZIONE e FLESSIBILITÀ. Occorre potenziare il ricorso alle forme di accoglienza e di sostegno che prevengono l’allontanamento del minore dal nucleo familiare, quali l’affidamento diurno, il mutuo-aiuto tra famiglie, l’accoglienza congiunta madre-bambino, nonché favorire interventi precoci che agendo quando i minori sono ancora piccoli ed i problemi non ancora incancreniti, ridimensionino o evitino del tutto il crearsi di situazioni pregiudizievoli. Parimenti occorre sviluppare forme di intervento sempre più flessibili ed adeguate ai variegati bisogni di cui i minori e le famiglie sono portatori (affidi di neonati, affidi omoculturali, affidi di disabili, accompagnamento all’autonomia degli affidati che raggiungono la maggiore età, …). 6. VALUTAZIONE, PROGETTAZIONE, VIGILANZA. Occorre assicurare che la realizzazione degli affidamenti familiari si basi su adeguate valutazioni diagnostiche e prognostiche della situazione familiare e personale dei minori, si sviluppi secondo un progetto individuale condiviso dai vari attori, si accompagni ad un costante monitoraggio dell’andamento del percorso. 7.ASCOLTO e CONSENSO. Occorre che nei percorsi di affidamento familiare siano garantiti adeguati spazi di ascolto del minore – in misura della capacità di discernimento – e della famiglie di origine, dei quali va promosso e sostenuto il consenso ed il coinvolgimento attivo, anche nei casi in cui si rendono necessari provvedimenti di allontanamento, favorendo, ove ve ne siano le condizioni, il ricorso agli affidamenti consensuali disposti dai servizi sociali locali, anche al fine di riequilibrare il rapporto percentuale tra questi e gli affidamenti giudiziari. Parimenti va assicurato l’ascolto degli affidatari nei procedimenti civili in materia di potestà, affidamento e adottabilità dei minori affidati. 8.SOSTEGNO e CONTINUITÀ. Occorre assicurare forme adeguate di preparazione, sostegno ed accompagnamento ai minori, alle famiglie d’origine ed alle famiglie affidatarie, in preparazione, durante ed al termine dei percorsi di affidamento familiare, anche al fine di custodire, per quanto possibile e nell’interesse del minore, la continuità delle relazioni affettive tra i soggetti coinvolti. 9.CHIAREZZA e DURATA. Occorre tenere ben distinte le diverse finalità dell’affidamento familiare e dell’adozione dei minori, superando improprie commistioni e confusioni, regolamentando bene le adozioni in casi particolari, sviluppando con le istituzioni preposte (Regioni, enti locali, magistratura minorile, …) condivise modalità di intervento nei casi di affidamenti ad esito incerto, definendo le condizioni per il contenimento della durata degli affidi e per un corretto e consapevole ricorso agli affidamenti di lungo periodo che devono comunque essere sostenuti da un progetto monitorato con regolarità. 10.RESPONSABILITÀ e SUSSIDIARIETÀ. Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale che le Istituzioni riconoscano la responsabilità civica dell’associazionismo tra famiglie affidatarie nella promozione del bene comune, e ne valorizzino il ruolo, per migliorare l’integrazione degli interventi e l’approccio di rete all’affidamento familiare. (Milano, 22 ottobre 2010) 38 39 PROGETTO FAMIGLIA Affido Anima RETE2011 Percorso di formazione per famiglie animatrici di reti di famiglie affidatarie e solidali e di processi comunitari Numero Verde Gratuito A Babele non si parla di affido. Costruzione e gestione dei progetti individualizzati di affidamento familiare di minori Franco Angeli, Milano Testo patrocinato dall’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali «… È possibile promuovere un linguaggio condiviso tra i diversi attori implicati nei percorsi di affido familiare? … il testo propone un percorso integrato “verificabile e replicabile” e strumenti e metodologie per pensareprogettare-fare-valutare quanto si pone in essere …». A cura di: Marco Giordano, Mariano Iavarone, Carolina Rossi Costo: 26,00 euro. Pagg.: 254. Per prenotazioni: [email protected] 40 An