Lo spirito resistente

Transcript

Lo spirito resistente
NOVEMBRE 2012
NO 54
JESUIT REFUGEE SERVICE
Lo spirito resistente
del popolo siriano
AFGHANISTAN
p.4
COLOMBIA
p.6
SUD SUDAN
p.9
SIRIA
p.11
Asia del Pacifico p.17
Jesuit Refugee Service
NOVEMBRE 2012
Foto di copertina
Il personale della cucina da campo del
JRS ad Aleppo, Siria (Avo Kaprealian e
Sedki Al Imam/JRS).
Servir è disponibile in italiano,
francese, inglese e spagnolo. È
pubblicato due volte l’anno dal
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
(JRS).
DIREZIONE
Peter Balleis SJ
REDAZIONE
Danielle Vella
PRODUZIONE
Malcolm Bonello
NUMERO 54
In questo numero:
Editoriale
Fede e protezione
3
Afghanistan
Incerti ma fiduciosi4
Colombia
Tra la vita e la morte
6
Sud Sudan
Una comunità vale quanto i suoi insegnanti
9
Siria
Le reti di volontari portano speranza11
Il tuo sostegno per il popolo della Siria (Appello) 14
Focus sulle violenze sessuali e di genere
Prevenire, proteggere, perseguire15
Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
è un’organizzazione cattolica
internazionale creata nel 1980 da
Pedro Arrupe SJ. La sua missione è
accompagnare, servire e difendere la
causa dei rifugiati e degli sfollati.
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma,
Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
[email protected]
www.jrs.net
È doloroso ma non è la fine
16
Asia del Pacifico
Cooperazione regionale: un sogno impossibile? 17
Riflessione
“Tutto ciò che non è donato è perso”19
Mostra fotografica (quarta di copertina) 20
Abbreviazioni
Le seguenti abbreviazioni sono usate in questo numero
2
ACNUR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
RDC Repubblica Democratica del Congo
VSG Violenze sessuali e di genere
editoriale
Bamyan, Afghanistan.
Fede e protezione
“Non posso credere che questa sia
la volontà di Dio”. Di fronte alla
violenza che sta distruggendo il
suo Paese, Lola, 26 anni, siriana,
esprime i suoi più profondi dubbi
spirituali. In Siria persone di tutte
le fedi usano spesso l’espressione
Inch’allah, ‘se Dio vuole’, come
espressione della loro fiducia nel
fatto che tutto è volontà di Dio.
Ma la guerra, le uccisioni e la
distruzione che stanno avvenendo
non possono essere volontà di Dio.
Lola ha ragione: questa è la volontà
dell’uomo che ha scelto mezzi
violenti per conservare o ottenere il
potere. A peggiorare le cose alcuni
estremisti non esitano a usare il
nome di Dio per giustificare la loro
violenza… ma non il Dio in cui crede
Lola.
Situazioni estreme come la
guerra, gli sfollamenti forzati
e la disperazione ci pongono di
fronte alla questione scottante sul
significato assoluto della vita. Per
molti rifugiati, l’ultima speranza
è riposta in Dio. Per gli operatori
umanitari, i membri della comunità
locale, per le persone come Lola che
lavorano con il JRS a Damasco, la
fede nel Dio dell’amore è la ragione
più importante per rimanere,
sperare e lavorare per gli altri che
soffrono. Lola è una dei molti
operatori e volontari siriani del
JRS, attivi nelle comunità cristiane
e musulmane, che vogliono solo
servire la loro gente, proteggerla
offrendo ripari, cibo e istruzione per
i bambini. Mettono a repentaglio la
propria sicurezza.
Invitando i collaboratori
a un dialogo sulla fede e la
protezione, António Guterres,
l’Alto Commissario dell’Onu per i
rifugiati , riconosce “l’importante
contributo delle comunità religiose
locali nella protezione delle persone
costrette a sfollare e senza patria. A
livello locale, i leader e le comunità
religiose si trovano spesso in
prima linea nel conflitto e nelle
emergenze, offrendo un servizio
come primi fornitori di protezione e
di assistenza per la salvezza di vite
umane”.
La fede può motivare le persone
a rinunciare alla propria protezione
per aiutare invece i rifugiati.
Riflettendo sul proprio lavoro in
Afghanistan, Jestin, che viene
dall’India, afferma che i gesuiti
sono chiamati a uscire dalle proprie
zone di sicurezza e donare senza
calcolare i costi. Quanti operatori
umanitari di ogni credo rischiano e
talvolta perdono la propria vita per
amore? In questo numero di Servir
rendiamo omaggio allo scomparso
Pierre Ceyrac SJ, uno dei primissimi
operatori del JRS e immagine
splendente della nostra missione.
Uomo che ha dedicato la sua vita
agli altri, padre Pierre citava sempre
una frase di san Giovanni della
Croce: “Alla sera della vita saremo
giudicati sull’amore”.
Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS
3
accompagnare
Afghanistan
Incerti ma fiduciosi
Jestin Anthony SJ
Jestin è un gesuita in formazione proveniente
dalla provincia del Gujarat, in India.
Nel 2001 il mondo guardò
impotente i talebani distruggere
due enormi statue di Buddha
scavate quasi 1.500 anni prima
nella parete rocciosa che sovrasta
Bamyan. Oggi le montagne
silenziose riportano ancora le ferite
di questa piccola e isolata provincia
dell’Afghanistan centrale. È stato
distrutto qualcosa di più di un
prezioso monumento culturale.
Le statue del Buddha maschile
e femminile rappresentavano
tutti gli uomini e le donne di
Bamyan trascurati, emarginati e,
ancora oggi, nel dolore. La bella
valle verde di Bamyan è abitata
soprattutto da una popolazione
hazara. Musulmani sciiti, in
opposizione alla maggioranza
sannita dell’Afghanistan, gli hazara
hanno sofferto terribilmente sotto
Le pareti rocciose profanate che sovrastano Bamyan. (Peter Balleis SJ/JRS)
4
il dominio del talebani. Molti sono
fuggiti nel vicino Iran, dove hanno
trascorso anni come rifugiati.
La loro sofferenza ha spinto la
gente di Bamyan a comprendere
che l’istruzione è il solo modo di
combattere l’ingiustizia. Il loro
desiderio di acquisire conoscenza è
così forte che mi stimola davvero a
dare sempre il mio meglio.
I bisogni di Bamyan sono molti
e diversificati ma, sapendo che
l’istruzione è la chiave principale
per lo sviluppo, il JRS ha investito
in questo campo. Mi è stato chiesto
di gestire il programma di accesso
all’inglese in quattro scuole, nel
centro di formazione per insegnanti
e all’università. Jerome Sequeira
SJ, direttore del JRS a Bamyan,
ha dovuto tornare in India per il
Terzo anno (la fase finale della
Afghanistan
accompagnare
Le ragazze sono desiderose di andare a scuola, ma incombe lo scenario da incubo di un possibile ritorno dei talebani. (Peter Balleis SJ/JRS)
formazione dei gesuiti) e io ero un
po’ timoroso perché rimanevo da
solo per tre mesi. Ma si è rivelata
una benedizione. La più grande
difficoltà da superare era la barriera
culturale ma quei mesi da solo mi
hanno consentito di conoscere le
persone e la loro cultura più da
vicino.
La mia interazione con gli
studenti mi ha aiutato a vedere
la realtà dal loro punto di vista. I
giovani a Bamyan voglio davvero
studiare e progredire nella vita, lo
dimostra il loro interesse accanito
nelle lezioni. Sono stanchi della
guerra, ma quando si chiede
loro come vedono il futuro
dell’Afghanistan, i loro occhi
riflettono una preoccupazione
profonda. Al tempo dei talebani,
le ragazze non potevano andare
a scuola e non avevano alcuna
possibilità di imparare. Una delle
nostre prime studentesse ha dato
voce alla loro paura silenziosa: “Se
i talebani ritornassero, sarebbe più
difficile per noi ragazze uscire di
casa liberamente e andare a scuola
o all’università. Ci sarebbe sempre
una paura di morte”.
I genitori condividono l’opinione
delle ragazze. Un operatore del
JRS ha detto: “I talebani non
permetteranno mai a noi hazara
di vivere in pace. Ci troveranno
e ci uccideranno. Non avremmo
altra possibilità che di fuggire
in un altro Paese come rifugiati,
come abbiamo fatto in passato”. Un
altro membro dell’équipe, Dawlat
Bhaktiyari, dice che abbandonerà
il Paese volontariamente. “Sarei
molto contento di andare altrove
dove poter fare studi superiori e
trovare un buon lavoro”. Molte
giovani menti brillanti pensano lo
stesso: che non c’è posto per loro in
Afghanistan, non c’è posto per la
libertà di parola.
Per il momento, almeno,
Bamyan è relativamente sicura,
anche se i suoi dintorni e le strade
che portano alla città restano
instabili e pericolosi. Molti
considerano Bamyan un segnale
di speranza per il resto del Paese.
C’è una lunga strada da percorrere,
ma Bamyan può cambiare
veramente? La mia risposta è sì,
il cambiamento è possibile. Ma la
gente di Bamyan ha bisogno del
nostro sostegno, ora più che mai.
Se ci ritiriamo in questo momento
critico, non potremo prendercela
che con noi stessi.
Per quanto mi riguarda,
ho scoperto più fiducia e forza
interiore che mai. Questo non
sarebbe stato possibile senza la
fede in Dio, che mi ha mandato
in questa missione, e senza la
formazione come gesuita. Ogni
sera, nel silenzio della preghiera,
mi pongo tre domande tratte dagli
Esercizi Spirituali di sant’Ignazio
di Loyola, il fondatore dell’ordine
dei gesuiti, la Compagnia di Gesù:
Che cosa ho fatto per Cristo? Che
cosa sto facendo per Cristo? Che
cosa farò per Cristo? Sono grato
alla Compagnia per avere riposto
così tanta fiducia in me e perché
mi stimola ad andare avanti. Come
gesuiti siamo chiamati a uscire
dalle nostre zone di sicurezza, per
donare senza mettere in conto i
costi.
Questa terra di incertezze mi
ha insegnato molto e sarò sempre
grato a tutti quelli che sono stati
con me in questa missione della
Compagnia. È attraverso il vostro
aiuto e sostegno che ho ricevuto
una formazione che sarà sempre
più vicina al mio cuore.
5
accompagnare
Colombia
Tra la vita e la morte
Per Luis Fernando Gómez Gutiérrez, responsabile dell’advocacy per il JRS dell’America latina,
accompagnare gli afro-colombiani in uno dei posti più violenti della Colombia è un privilegio
conquistato stando con loro nella sofferenza.
Primo giorno…
29 giugno 2008: una meravigliosa
domenica pomeriggio. I bambini
correvano da tutte le parti sul
campetto di calcio e gli spazi
comunitari del distretto di San
Francisco a Buenaventura, Valle del
Cauca. Uomini e donne si davano
da fare preparando le attività per
celebrare la vita come comunità,
con musica, canti e risate. Era
un’occasione degna di essere
celebrata: la chiusura di un intenso
processo di formazione e scambio
di idee, di identificazione dei modi
per vivere in un ambiente così
avverso.
Buenaventura è sempre stato
un posto difficile, con un clima
pesante, alte temperature e umidità
soffocante. Nel corso della storia i
leader hanno avuto la tendenza a
dimenticare questa regione tranne
il suo porto, un punto cruciale di
entrata e uscita. Dai tempi della
colonia, il porto di Buenaventura è
stato la porta di accesso del mondo
alla Colombia e la porta di accesso
del Paese alla globalizzazione; un
accesso costruito sull’esclusione e
la violenza strutturale, quel tipo
di sviluppo che ignora l’elemento
umano.
Oggi Buenaventura è un feroce
campo di battaglia di guerriglieri,
paramilitari e forze governative,
spacciatori di droga, tutti in
lotta tra loro e alleati tra loro, ma
soprattutto manipolati da attori
esterni.
Tuttavia, negli annali della
storia non ufficiale della Colombia,
Buenaventura è stata anche
6
Buenaventura: Bambini giocano nel sobborgo di Lleras. (Randolf Laverde)
un luogo di rinnovamento per
le comunità nere, uno spazio
guadagnato con il sudore di uomini
e donne che hanno navigato i
lunghi fiumi e ricavato uno spazio
per vivere in semiarmonia con la
giungla strappando terreno alle
paludi di mangrovie per costruire
interi insediamenti.
Quel pomeriggio, mentre
celebravamo la vita delle comunità
nere, fratelli e sorelle uniti dalla
loro storia comune guardavano al
futuro in accordo su un piano di
azione che sarebbe servito come
roadmap di una popolazione che
si risollevava. Trascorsi l’intero
pomeriggio con la mia videocamera
cogliendo la gioia delle donne nelle
magliette rosa, orgogliose di essere
leader nel processo, e il talento di
ragazzi e ragazze che danzavano
nel costume tradizionale,
testimoniando l’irrefrenabile
forza di uno sforzo comune. Ho
filmato volti, sorrisi, movimenti
Colombia
ritmici, applausi e discorsi. In
quel momento non avrei potuto
immaginare che stavo assistendo
alle ultime parole in pubblico
di Doña Martha Cecilia “Chila”,
una donna di colore sfollata che
aveva condotto questa e molte
altre iniziative nel distretto di San
Francisco.
Quando la luce del sole che
ci accompagnava quel giorno
scomparve, ricevetti una chiamata
angosciata dalla direttrice
dell’organizzazione che aveva reso
possibile l’intero processo. Disse
che Chila era stata uccisa pochi
minuti dopo la fine dell’attività.
Il suo corpo giaceva sul campo di
calcio. La gente era paralizzata
dalla paura, nessuno osava
avvicinarsi a lei. Non ero lontano
e tutto quello che osai furono un
paio di chiamate alle autorità e alle
persone del luogo che potevano
senza pericolo dare un aiuto. La
morte era tornata a San Francisco
e in altri distretti di Buenaventura
proprio quando sembrava che gli
assassini lasciassero il passo alla
forza pacifica della comunità.
Secondo giorno…
Nel tardo pomeriggio, nella cappella
dei francescani, a pochi metri dal
luogo dove Chila era stata uccisa
da armi anonime, la famiglia e
gli amici, persone più o meno
conosciute, si riunirono per renderle
l’ultimo saluto e condividere il
proprio dolore e l’indignazione. Tra
gli sconosciuti c’erano tre di noi
paisas, il nome con cui da queste
parti chiamano chi non è nero, in
qualche modo riconosciuti come “i
gesuiti” e i loro amici in un progetto
congiunto. La notte prima avevamo
preparato una breve presentazione
audiovisiva con le immagini e
i video che avevamo girato la
domenica pomeriggio quando
pensavamo che sarebbero serviti in
un diverso tipo di celebrazione.
In una stanza dietro l’altare
discutemmo con i membri di
diverse organizzazioni su che
tipo di parole avremmo dovuto
usare, chi avrebbe parlato e che
cosa avrebbe detto e se fosse stato
ragionevole mandare un messaggio
chiaro sui diritti umani attraverso
la presentazione che avevamo
preparato.
In quella cappella c’erano
disperazione, indignazione e dolore
provocati dall’ingiustizia e dal
mistero della morte. Tuttavia, dalla
mia prospettiva di fede, potevo
riconoscere il Cristo risorto in quel
corpo senza vita dietro l’altare.
I neri non stanno in silenzio
in presenza della morte. Musica,
percussioni, movimento e alcool
accompagnano la morte, perché
vita e morte non sono separate
ma parti della stessa essenza.
C’è morte nella vita stessa. Con
la melodia della musica, il ritmo
penetrante delle percussioni, la
cadenza delle poesie recitate per
Chila e quello strano mix di vita
e morte, il mio cuore si è sciolto
in lacrime. Cosa stavo facendo
esattamente qui, perché la vita
mi aveva messo di fronte a questa
realtà, che cosa potevo offrire
a queste persone, quale lezione
dovevo apprendere? Che cosa
mi stava dicendo Dio nella mia
desolazione?
Mentre le lacrime scendevano
sulle nostre guance, Don Mario,
leader e poeta del distretto La
Gloria di Buenaventura, si avvicinò
a noi per stringerci la mano e disse
con enfasi: “Bianchi, non piangete
per i neri”, suggerendo con queste
parole che eravamo diventati
fratelli della comunità. Era nata
un’amicizia duratura.
accompagnare
Terzo giorno…
Alcuni mesi più tardi, grazie
ai semi di vita nati da quella
celebrazione di morte e a Don
Mario, ci trovammo seduti sotto
un albero nel centro di Matía
Mulumba a discutere modi
possibili per dare una forma
concreta alla nostra amicizia. Da
allora molte cose sono evolute
in questa relazione: il processo
del distretto La Gloria, come lo
Buenaventura: bambini si esibiscono in una
attività culturale nel sobborgo di Lleras. La gran
maggioranza dei residenti a Buenaventura
sono neri. (David Lima Díaz SJ)
7
accompagnare
Colombia
Il sobborgo La Playta di Buenaventura, uno dei primi insediamenti degli sfollati colombiani. La maggior
parte delle case sono costruite su palafitte sopra la baia. (Christian Fuchs/JRS)
La cerimonia funebre di Chila.
(Luis Fernando Gómez)
metamorfosi attraverso la morte e
la vittoria sulla morte.
Questa e altre esperienze mi
hanno aiutato a comprendere
con chiarezza che il messaggio
della resurrezione è presente ogni
giorno in famiglie che devono
abbandonare le loro case per vivere
come sfollati, da emarginati. La
storia dell’umanità è segnata
dalle vicende di coloro che sono
stati costretti a ricominciare tutto
daccapo in una terra diversa dalla
propria, in una cultura straniera,
e a comunicare le loro idee e i
sentimenti in una lingua presa in
prestito. Questa è la fragilità della
nostra storia, rappresentata da
persone che vedono come la luce
della vita si affievolisca, il sole si
nasconda e scenda la notte.
Ma dopo la notte torna il giorno
e, prima che arrivi, ha luogo un
bellissimo miracolo colorato.
Insieme a ogni nuovo giorno il sole
porta il suo messaggio di vita. La
morte può portare vita a coloro che
soffrono con la forza che deriva
da un sincero amore fraterno,
se lo accolgono nel loro cuore.
Nella morte c’è vita per coloro che
vogliono crederlo.
chiamiamo, la lotta del distretto
La Gloria, come loro continuano
a viverlo. La Gloria è un distretto
rurale nei sobborghi della città di
Buenaventura, un posto violento
con un’alta concentrazione di
sfollati. Dal 2009 il JRS Colombia
ha accompagnato questa comunità
nella sua lotta per conquistare
il rispetto dei diritti collettivi
delle comunità nere e impedire
gli sfollamenti e il reclutamento
dei bambini. Il piano d’azione cui
aveva preso parte Chila resta un
punto di riferimento per la loro
vita condivisa. Il pericolo è ancora
presente e aumenta ogni giorno
come un gigante che minaccia di
schiacciare piccole iniziative locali.
Nella realtà non è cambiato molto,
tuttavia esiste “La Glorita”, una
piccola fattoria nata come simbolo
di collaborazione tra la comunità
e alcune organizzazioni, compreso
il JRS, e che ora è gestita dalla
comunità da sola.
Quel pomeriggio, mentre
piangevamo la morte di Chila,
trovammo nuova vita nel coraggio
che scaturiva da quella grande
ingiustizia. La morte non è eterna,
la vita si. Dopo tre giorni Cristo ci
mostra la metafora della morte, la
8
Info point
Nel dipartimento di Valle del Cauca
si trova Buenaventura, la principale
città portuale della Colombia e
anche una delle più pericolose.
Buenaventura ha ricevuto numeri
ingenti di colombiani sfollati negli
anni recenti che fuggivano da
spostamenti forzati da parte di
gruppi armati. La città è diventata
un luogo strategico importante sia
per i guerriglieri sia per i paramilitari
che cercano di conquistare percorsi
preziosi per il caricamento su navi
di droghe, armi, oro e altre risorse
lungo gli innumerevoli fiumi che
circondano la città e scaricarli nel
porto sul Pacifico. La paura e la
violenza che afferrano Buenaventura
sono palpabili camminando per i
sobborghi che ospitano gli sfollati…
Appaiono regolarmente volantini
che annunciano la presenza di gruppi
armati illegali…
Shaina Aber, ex responsabile
dell’advocacy per il JRS USA a
Buenaventura, 21 maggio 2012.
Sud Sudan
servire
Angela Hellmuth/JRS
Una comunità vale quanto i suoi insegnanti
Dr Biryaho Francis, coordinatore per l’istruzione del JRS Sud Sudan
Una comunità vale come i suoi
insegnanti. Niente può sostituire
un insegnante preparato e motivato
nel promuovere un’istruzione di
qualità. Il JRS ha imparato questa
importante lezione in più di 15 anni
di promozione dell’istruzione nel
Sud Sudan.
Il JRS ha dato forma al suo
contributo nel Sud Sudan –
prima come regione in guerra e
in seguito come nuovo Stato – in
base ai bisogni. Per anni il JRS
si è concentrato sul sostegno
alle infrastrutture educative: ha
costruito e ristrutturato aule,
dormitori per le ragazze, laboratori
e biblioteche; ha fornito aiuti per
l’insegnamento e l’apprendimento;
ha fornito competenze per gli
organismi di gestione delle scuole;
ha procurato banchi, gessi e lavagne
e ha pagato le tasse scolastiche
di ragazze e ragazzi vulnerabili.
Non è mancata la formazione per
insegnanti ma il JRS non aveva
il mandato per entrare in aula a
controllare insegnanti e alunni.
Le comunità beneficiarie a
Nimule, Lobone, Kajo-Keji e Yei
hanno apprezzato il contributo del
JRS. Ma una valutazione condotta
nel 2010 ha rivelato che sarebbe
servito di più. Fornire materiali non
è una condizione imprescindibile
per imparare. Alfabetizzazione,
aritmetica, matematica e scienze
sono risultate molto povere nella
scuola primaria e secondaria.
Uno dei problemi riscontrati era
il mancato coordinamento dei
workshop per insegnanti.
Il JRS ha deciso di istituire
delle equipe per lo sviluppo
scolastico per dare luogo a una
trasformazione positiva della scuola
nella scuola. Ogni equipe è formata
da tre insegnanti motivati e con
esperienza preparati dal JRS che a
turno fanno da consiglieri formatori
Info point
Il Sud Sudan sta faticando per
costruire il suo sistema scolastico
tra un numero crescente di
iscrizioni con insegnanti che
sono perlopiù persone che hanno
abbandonato la scuola primaria.
Si ritiene che la nascente nazione
abbia il tasso di alfabetizzazione
più basso del mondo. Un recente
rapporto dell’ODI (Overseas
Development Institute) sostiene
che meno del 2 % della
popolazione ha completato
l’istruzione primaria, mentre
l’UNICEF afferma che il 70% dei
bambini tra i 6 e i 17 anni non ha
mai messo piede in un’aula.
9
servire
Sud Sudan
e incoraggiano i loro colleghi.
Dopo aver formato i membri
delle equipe, il JRS li ha seguiti con
incontri mensili a livello scolastico.
Caratterizzati da un approccio
personale e focalizzato su questioni
specifiche, gli incontri si sono
dimostrati utili per gli insegnanti
che hanno detto di aver acquisito
conoscenze e fiducia. In tutto
ne hanno beneficiato 36 scuole
primarie e 16 secondarie.
L’iniziativa ha dato risultati. Il
JRS ha condotto una valutazione
condivisa con i funzionari per
l’istruzione del governo e i membri
delle equipe. Hanno scoperto che
l’insegnamento di squadra è stato
introdotto nelle scuole. È migliorata
la supervisione congiunta del
JRS e del governo e c’è stato
un progresso considerevole nel
definire i programmi delle lezioni.
Un brillante appoggio è stato il
risultato del diploma di istruzione
secondaria del Sud Sudan 2011,
che ha rivelato che sette delle dieci
migliori scuole erano sostenute dal
JRS.
Un altro passo positivo –
raccomandato dagli esperti
– compiuto dal JRS è stato il
sostegno alle scuole primarie
nell’uso della lingua madre locale
come mezzo di apprendimento.
Queste scuole hanno registrato
progressi.
Cosa succederà ora che il
JRS si sta ritirando? Nell’agosto
2012, durante un workshop
di formazione, insegnanti e
funzionari governativi si sono
impegnati a sostenere le equipe.
Tuttavia, altri passi devono essere
fatti per motivare gli insegnanti.
Un insegnante di terzo livello
guadagna circa 200 sterline
sudanesi al mese (equivalenti a
50 dollari Usa). “Non possiamo
mandare i nostri figli in scuole
decenti ma altri mandano i loro
figli in scuole fuori dal Sud Sudan”,
ha detto un insegnante. E un altro:
“Abbiamo l’obbligo di educare e
nutrire la nostra famiglia come
fanno gli altri”. L’insegnamento,
per chi cerca lavoro, è un’ultima
risorsa a causa della paga bassa.
Non mancano altre sfide.
L’ambiente domestico non favorisce
l’apprendimento. Pochissime case
hanno l’elettricità e la povertà è
diffusa. Le infrastrutture del Sud
Sudan prima dell’indipendenza
sono state distrutte da anni di
guerra civile. L’istruzione non è
isolata dagli altri sistemi sociali;
risolvere i problemi dell’istruzione
formale deve andare di pari
passo con la soluzione di quelli in
campo sanitario, della sicurezza,
dell’agricoltura e di altri servizi.
Tuttavia, l’istruzione è in tutti
i sensi una chiave per lo sviluppo.
Se non vengono fatti grandi
investimenti nel migliorare le
nostre scuole, rimarranno alti livelli
di analfabetismo in Sud Sudan.
IL JRS LASCIA IL SUD SUDAN
Investire in mattoni e
malta è importante ma non
sufficiente per avere buone
scuole. (Angela Hellmuth/JRS)
Alla fine del 2012 il JRS chiuderà
ufficialmente l’ultimo dei suoi
progetti in Sud Sudan focalizzato
su istruzione, accompagnamento
pastorale e costruzione della pace.
La decisione di uscire da questi
progetti di successo è stata presa
in linea con il mandato del JRS di
rispondere ai bisogni degli sfollati
in situazioni di grande necessità.
Ora che si sono reinsediati coloro
che sono ritornati in gran parte
dai campi per rifugiati in Uganda
e hanno beneficiato del lavoro del
JRS, è arrivato il tempo di passare
la mano nei progetti alle comunità
locali… Sicuri nella certezza che
ci sono le basi per una crescita
continua, apprendimento e
successo.
Deogratias Rwezaura SJ, direttore
regionale del JRS Africa orientale
10
Siria
servire
Una famiglia di rifugiati siriani ad Amman, Giordania. Una equipe del JRS composta
soprattutto da rifugiati iracheni visita i rifugiati siriani ad Amman. (Dominik Asbach)
Le reti di volontari portano speranza
Angelika Mendes, coordinatore per il fundraising del JRS Internazionale,
e Zerene Haddad, responsabile per la comunicazione del JRS Medio Oriente
Selima, 24 anni, era al settimo
mese di gravidanza quando i
combattimenti nel suo quartiere
l’hanno costretta a fuggire da
Homs. Con suo marito Rami, ha
cercato rifugio a Damasco. Là
sono rimasti due settimane ma i
bombardamenti li hanno costretti
a fuggire ancora, questa volta
verso Dera’a, nel sud della Siria.
Accompagnati da alcuni membri
dell’Esercito libero siriano, sono
partiti di notte per attraversare il
confine verso la Giordania. “Era un
viaggio lungo e difficile, tra rocce
e dirupi. Abbiamo camminato
nell’oscurità per tre ore, con la
paura di finire sotto il fuoco in ogni
momento”, ricorda Selima. Furono
sollevati all’incontro con i militari
giordani al confine che li hanno
portati in un campo di transito.
Le stime dicono che più di
300mila siriani hanno attraversato
le frontiere verso Turchia, Iraq,
Giordania e Libano dall’inizio delle
rivolte e della loro repressione
all’inizio del 2011. Le cifre esatte
sono sconosciute perché molti
hanno paura di registrarsi e vivono
al di fuori dei campi, sparsi tra
la popolazione locale. Tuttavia,
la maggior parte dei siriani che
hanno lasciato le proprie case sono
dispersi all’interno del proprio
Paese, si stima che siano un milione
e mezzo. Molti si spostano più
di una volta perché le operazioni
militari prendono di mira il loro
rifugio. Intanto, centinaia di
migliaia di rifugiati iracheni che
anni fa sono fuggiti in Siria sono
intrappolati nelle violenze. Uno di
essi, Fadia, ha detto: “Ho paura che
le cose qui saranno come in Iraq. Se
succede, dove dovremmo andare?”
Presente in Siria dal 2008,
il JRS può aiutare gli sfollati
grazie a forti collegamenti locali.
“Pochissime agenzie internazionali
di soccorso hanno accesso alla
Siria. Le nostre connessioni con i
gesuiti locali e le reti informali di
sostegno di cristiani e musulmani
ci consentono di raggiungere
le famiglie bisognose”, spiega il
direttore del JRS Internazionale
Peter Balleis SJ. Il JRS sostiene
reti di volontari siriani di ogni
età, religione e origine etnica che
11
servire
Siria
Ricovero in una scuola di Aleppo. (Avo Kaprealian e Sedki Al Iman/JRS)
vogliono aiutare altri siriani e
assicurare che l’aiuto raggiunga
tutti in modo efficace.
Grazie a queste reti di volontari,
il JRS sta coordinando servizi
di aiuto d’emergenza ad Aleppo,
Damasco e Homs. Il personale
del JRS visita regolarmente le
famiglie sfollate e, nei suoi centri,
le persone si registrano per ricevere
cibo, alloggi, prodotti igienici,
indumenti, oggetti domestici e
assistenza medica di base. Una
cucina montata ad Aleppo in
agosto dà da mangiare a più di
5mila persone due volte al giorno,
a colazione e a cena. I volontari
distribuiscono il cibo nei rifugi
e nei punti di distribuzione in
giro per la città, ma non è mai
abbastanza.
Sostegno scolastico, counselling
e attività sportive e artistiche
danno ai ragazzi la possibilità di
condividere le loro esperienze.
“Una delle nostre priorità è aiutare
i bambini. Anche quando non sono
direttamente vittime, soffrono
moltissimo la condizione di sfollati
e testimoniano questa terribile
situazione, la tragedia nelle loro
famiglie e lo sconvolgimento
Testimonianza
“Eravamo una sola nazione, ma ora
siamo divisi”. Mahmoud è fuggito da
Homs con Azra e i loro due bambini,
Layla e Mustafa. Nel novembre
2011 i manifestanti hanno iniziato
a riunirsi in proteste pacifiche nel
centro della città ogni venerdì dopo
la preghiera. “Il governo ha istituito
posti di blocco e nessuno poteva
allontanarsi. Li ho visti sparare sui
manifestanti”, racconta Mahmoud.
La giovane famiglia ha vissuto in una
parte della città controllata dalle forze
governative. “Quando i soldati hanno
iniziato a distribuire armi a tutti gli
12
uomini del quartiere chiedendo loro
di combattere contro i manifestanti,
abbiamo capito che dovevamo partire”.
Layla ha quasi due anni e Moustafa
cinque. I loro genitori hanno sentito
di bambini sequestrati per ottenere
un riscatto. “Avevo paura che a Homs
potesse accadere loro qualcosa”,
dice Azra. Hanno preso il bus per la
Giordania e ora vivono in un piccolo
appartamento ad Amman. “I giordani
sono molto gentili - dice Azra -, ma la
vita è difficile. Abbiamo usato tutti i
nostri risparmi e non è facile trovare un
lavoro.
nelle loro vite”, racconta Nawras
Sammour SJ, direttore del JRS
Medio Oriente ed egli stesso
siriano.
A Homs, dove l’anno accademico
è stato pesantemente stravolto,
alcuni bambini non hanno potuto
andare a scuola per più di un
anno. Dalla metà di aprile il JRS
ha offerto lezioni di recupero ogni
pomeriggio presso due centri,
cui hanno partecipato fino a 800
alunni. “Speriamo che ristabilendo
una routine scolastica potremo
ridare un senso di normalità alle
loro vite”, dice padre Nawras.
Benché alcune scuole a Damasco
e a Homs abbiano riaperto, altre
restano chiuse. Ad Aleppo sono
chiuse perché i combattimenti
sono troppo intensi. Circa 60mila
sfollati hanno cercato riparo
dentro scuole, moschee, il campus
universitario ed edifici abbandonati
nella città. Purtroppo Deir Vartan,
il primo centro del JRS in Siria che
ha aperto le sue porte ai rifugiati
iracheni e siriani nel 2008, in tempi
più pacifici, è stato parzialmente
distrutto dai combattimenti di
settembre. Nonostante questa
battuta d’arresto, il JRS resta
Siria
servire
È così triste, doloroso,
le ultime notizie su Deir
Vartan, rifugio, porto
sicuro, ispirazione,
lavoro di squadra,
amore, incontri, amicizia,
servizio, lezioni imparate,
speranza… Le pietre
possono essere distrutte,
ma non lo spirito.
Corry Verhage
Che ha aiutato a
creare Deir Vartan.
Philip Hamwi, volontario del JRS,
circondato da bambini ad Aleppo.
(Avo Kaprealian e Sedki Al Iman/JRS)
responsabile per l’operazione dei
rifugi in cinque scuole della città e
dà sostegno ad altri.
In Giordania gli iracheni
vanno incontro ai rifugiati siriani
che vivono al di fuori di campi
sovrappopolati. “Quando vedo le
famiglie siriane, ricordo di quando
noi eravamo i primi rifugiati”,
dice Laith Eskander. Questo
giovane coordina le visite alle
famiglie condotte dalla equipe
del JRS, composta perlopiù da
volontari iracheni. Visitano i siriani
per mostrare il loro sostegno,
condividono informazioni utili e li
Angelika Mendes/JRS
mettono in contatto con i servizi di
aiuto.
I rifugiati siriani seguono
anche le lezioni in inglese e di
informatica del JRS in Amman.
Doaa ha undici anni e frequenta le
lezioni tutti i giorni. Aveva tanti
amici in Siria ma non ha molto
legato in Giordania dove è alle
prese con immagini di guerra,
morti ed esplosioni. La scuola
non sostituisce le lezioni regolari
ma aiuta i bambini come Doaa
a riprendersi. Esiste una regola
d’oro, a nessuno è permesso di
parlare di religione o politica per
salvaguardare la pace nell’esilio.
Usare la religione per
sottolineare differenze e accendere
un conflitto è una tentazione
pericolosa per tutti in questa
situazione. Ma esempi concreti
di solidarietà al di là dei confini
religiosi e culturali danno motivo
di sperare. “Unire le persone non
è facile in questo scenario – dice
padre Peter -. Ma vediamo che
funziona nelle nostre equipe che
offrono un sostegno concreto a
tutti senza distinzione aiutando
quelli che soffrono a guardare al
futuro”.
“Voglio esserci per gli altri rifugiati”
Nawal e Adnan vengono dall’Iraq
e sono operatori sociali del JRS in
una visita a domicilio ad Amman.
Entrambi sono fuggiti in Giordania
nel 2007 a causa della guerra in Iraq.
Madre di due figli, Nawal ha lavorato
come hostess per dodici anni per la
compagna nazionale irachena. Ad
Amman ha lavorato con diverse ONG
e l’anno scorso ha iniziato con il JRS.
“Mi chiamano fino a mezzanotte,
sono come una madre per loro”,
racconta Nawal dei rifugiati. I suoi
due telefoni cellulari suonano
continuamente, i rifugiati ricevono il
suo numero da altri rifugiati appena
attraversato il confine tra la Siria e
la Giordania. Noi le diciamo che ha
bisogno di badare anche a se stessa,
di riposare, specialmente da quando
sta combattendo un tumore alla pelle
e affrontando degli interventi, se
riesce a trovare il denaro per pagarli.
Ma Nawal insiste: “Io voglio servire
e aiutare i rifugiati, voglio esserci per
loro”.
13
servire
Siria
Il tuo sostegno per il popolo della Siria
Cari amici,
ogni pacco di alimenti che i volontari del JRS distribuiscono in Siria consente a una famiglia di vivere per un
mese. Si tratta di famiglie che hanno perso la casa e i loro averi a causa della guerra. Le confezioni pesano
circa 35 kg ciascuna e contengono riso, bulgur, fagioli, datteri, tè, zucchero, cibo in scatola e, per chi ne ha
bisogno, alimenti per bambini.
Reti di volontari distribuiscono anche coperte, medicinali e altri articoli di base, aiutano i rifugiati a trovare un
posto dove alloggiare, segno di solidarietà in un Paese altrimenti diviso. I centri del JRS accolgono bambini per
studiare e giocare. La buona notizia è che potete aiutarci ad aiutarli.
¤
30 | US$40
¤
Consentono a un bambino di frequentare uno dei
nostri centri per un mese. Con 25 euro o 30 dollari in
più, è possibile assicurargli anche un pasto al giorno.
¤
100 | US$130
Coprono per un mese la distribuzione di pacchi di
alimenti per una famiglia di cinque persone.
¤
Servono per un kit di abiti invernali per una
persona, compresa una giacca e le scarpe.
80 | US$100
1,500 | US$1,930
Daranno da mangiare a una famiglia di dieci
persone per sei mesi.
Visita jrs.net per gli ultimi rapporti e jrs.net/donate per fare una donazione
online. In alcuni Paesi si può usufruire delle detrazioni fiscali donando attraverso
le nostre organizzazioni partner. Ulteriori informazioni sul nostro sito.
INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS
Allego una donazione di:
Il mio assegno è allegato
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Indirizzo:
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Intendo ricevere gli aggiornamenti elettronici del JRS
14
PER BONIFICI BANCARI
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Circonvallazione Cornelia 295,
00167 Roma, Italia
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Codice SWIFT/BIC: POSOIT22
Focus sulle VSG
FOCUS
sulla violenza
sessuale e di genere
Il JRS si è unito alla nuova
Campagna internazionale per
fermare gli stupri e le violenze
di genere nei conflitti. Portiamo
a questa iniziativa, di cui
c’era bisogno urgente, anni di
esperienza nella protezione e nella
prevenzione, nonché la voce di
donne sfollate che hanno sofferto o
sono minacciate da simili atrocità.
La campagna è stata lanciata il
6 maggio 2012, una collaborazione
globale tra premi Nobel per la
pace, organizzazioni internazionali
e gruppi che lavorano a livello
regionale e di comunità. Si fonda
su tre pilastri: la richiesta di una
leadership politica decisa nel
prevenire gli stupri nei conflitti, nel
proteggere i civili e i sopravvissuti
alle violenze e invocare giustizia
per tutti, inclusi processi efficaci
per i responsabili. Un’azione più
difendere
Prevenire, proteggere, processare
Amaya Valcarcel, coordinatore per l’advocacy del JRS Internazionale
vigorosa per affrontare le violenze
sessuali e di genere nei conflitti
tarda ad arrivare. Questi crimini
distruggono gli individui, le
famiglie e le comunità e minano il
tessuto della società. Tuttavia, gli
impegni nazionali e internazionali
per mettervi fine sono inadeguati o
ignorati.
Gli stupri sono diventati sempre
di più un’arma di guerra lasciando
le sopravvissute sfregiate non solo
dal trauma fisico, ma anche dalla
vergogna e dallo stigma che le
condanna al silenzio o perfino alla
colpa. L’impunità per i colpevoli di
solito è data per scontata.
La violenza sessuale e di genere
(VSG) è una priorità nell’azione
di advocacy del JRS perché
è una minaccia che incombe
costantemente sui rifugiati durante
il conflitto, la fuga e l’esilio. Una
parte integrale dei progetti del
JRS in luoghi assai diversi come la
Repubblica Democratica del Congo
RDC, Venezuela, Italia, India e
Angola sono la prevenzione e la
protezione attraverso l’istruzione e
le cure psicosociali.
Il contributo più valido che il
JRS può dare alla campagna è di
portare i punti di vista delle donne
direttamente colpite. Dopotutto,
sono le persone che più si prendono
cura della sicurezza delle loro
famiglie e comunità e le loro voci
sono le più importanti.
La dimensione del flagello delle
violenze sessuali in guerra ci porta
a credere che sia semplicemente
impossibile sradicarlo. Ma la
prospettiva di un’azione motivata
congiunta mi fa credere che
possiamo fare la differenza nel
fermare questi orrori.
Una classe del JRS per donne sfollate a
Masisi, RDC orientale. Studi recenti rivelano
che ogni ora nella RDC 48 donne e ragazze
sono violentate. Nell’est, una regione segnata
dal conflitto, la situazione è particolarmente
grave. (JRS Internazionale)
Internet link
Visita il sito della campagna:
stoprapeinconflict.org/
15
difendere
Focus sulle VSG
Kenya: è doloroso ma non è la fine
Donne del progetto urbano di
emergenza a Nairobi.
(Gerry Straub/JRS)
Stella Ngumuta, responsabile dell’advocacy per il JRS Africa orientale
Mary* piangeva amaramente
mentre raccontava agli operatori
sociali del JRS i numerosi stupri
che aveva subito per mano del
marito e dei due figli della sua
datrice di lavoro. “Ho sacrificato il
mio orgoglio per accettare un lavoro
come domestica perché era il solo
modo per guadagnarmi da vivere
che potevo trovare a Nairobi. Da
quando nel 2010 sono scappata
dalle persecuzioni e dall’uccisione
di mio marito in Etiopia, ho dovuto
trovare i mezzi per sopravvivere”.
Mary ha raccontato che,
mentre la sua datrice di lavoro
era assente, il marito e i figli di
questa, separatamente, l’avrebbero
molestata sessualmente. Ha
sopportato questi abusi per due
mesi, con la paura di perdere la sua
sola fonte di guadagno. Quando,
finalmente, ha trovato il coraggio
di raccontarlo alla sua datrice di
lavoro, questa l’ha cacciata con
la falsa accusa di avere sedotto
gli uomini. “Mi sono sentita
così impotente e senza valore!
Non potevo credere alle accuse,
specialmente da parte di un’altra
donna”. La sola richiesta di Mary al
JRS era di essere ascoltata, aiutata
ad alleviare il dolore e rassicurata
che la sua dignità rimaneva
intatta. Come altre donne rifugiate
che vivono in aree urbane come
Nairobi, Mary si è trovata esposta
16
a un alto rischio di abusi sessuali
e sfruttamento. Le difficoltà nel
trovare lavoro e accedere ai servizi
sociali l’hanno lasciata con poca
scelta. Come madre single, Mary
era particolarmente vulnerabile
perché era percepita come priva di
“protettori” maschi.
Gli operatori sociali del JRS
a Nairobi hanno constatato
che molte sopravvissute che si
rivolgono alla polizia sono lasciate
senza assistenza o protezione
legale. Spesso la polizia non prende
seriamente in considerazione i
rapporti delle donne, non arrestano
i colpevoli ed è difficile arrivare
ai processi per la mancanza di
una raccolta adeguata delle prove,
protezione dei testimoni e garanzia
di un processo giusto.
D’altra parte, le sopravvissute
alla violenza sessuale non trovano
semplice rivelare il loro travaglio a
causa dello stigma e della vergogna
che subiscono da parte dei membri
della loro comunità, resi ancora
più pesanti quando restano incinte
a causa dello stupro. Per colmare
questo vuoto, il JRS a Nairobi,
in collaborazione con la Chiesa
e altre agenzie, sta formando le
donne rifugiate sulle VSG e su
come le sopravvissute possono
avere sostegno. Di conseguenza,
più donne stanno venendo allo
scoperto nel riferire casi. Gli
operatori sociali del JRS aiutano
le donne rifugiate ad accedere
ai servizi sanitari, al sostegno
psicosociale, all’aiuto legale e ad
altre forme di assistenza sociale, e
a trovare alloggi alternativi lontani
da zone insicure o lavori rischiosi.
Il JRS ha potuto constatare
che le VSG non sono limitate
alle donne. I nostri operatori
sociali hanno incontrato uomini e
ragazzi rifugiati che hanno subito
abusi sessuali, specialmente in
patria, con un alto numero di casi
nella RDC. Per più di tre anni,
Patrick* ha vissuto con quello che
descriveva come una “vergogna
impronunciabile” dopo il trauma
della violenza per mano delle forze
ribelli nella provincia del Nord
Kivu della RDC orientale. Sta
ricevendo aiuto da diverse agenzie.
Il JRS fa parte di un
gruppo di lavoro sulle VSG che
colpiscono i rifugiati a Nairobi. I
meccanismi per assicurare fiducia
e confidenza sono cruciali tra
assistito e operatore sociale, tra
agenzie diversi. Siamo impegnati
a sostenere la dignità dei
sopravvissuti alle VSG e a ribaltare
gli effetti discriminatori di cui
soffrono per ristabilire e rinforzare
la loro autostima.
*I nomi sono di fantasia
Asia del Pacifico
difendere
Cooperazione regionale: un sogno impossibile?
Oliver White e Dana MacLean, responsabili per l’advocacy e la comunicazione del JRS Asia del Pacifico
Milioni di rifugiati e di richiedenti
asilo affrontano dure sfide per
trovare la sicurezza nell’Asia
del Pacifico. Con il più basso
numero di firmatari al mondo
per la Convenzione per i Rifugiati
del 1951, questa regione* offre
una protezione insufficiente alle
persone in fuga. La chiara assenza
di leggi nazionali sull’asilo e di
procedure standardizzate per la
determinazione dello status di
rifugiato ha condotto i richiedenti
asilo nella clandestinità.
L’Asia del Pacifico è casa per
circa 10,6 milioni di persone
forzatamente sfollate che sono in
fuga per diversi motivi: cercare la
sopravvivenza economica , riunirsi
con le proprie famiglie o fuggire da
violazioni dei diritti umani. Ma i
loro spostamenti sono caratterizzati
dagli stessi significativi fattori:
paura; viaggi pericolosi, spesso
in barca; vulnerabilità al traffico
illegale di esseri umani; rischio di
detenzione indefinita.
Contenere i fattori di attrazione
In anni recenti, gli stati dell’Asia
hanno cercato di bloccare i loro
confini contenendo i fattori
di attrazione, ricorrendo alla
detenzione e rendendo difficile
presentare richieste di asilo. I
richiedenti asilo sono condotti
alla clandestinità che li espone
allo sfruttamento e a condizioni
pericolose e nega loro l’accesso
all’assistenza sanitaria, al lavoro,
al cibo, all’avere una casa e
un’istruzione.
Ma i fattori di spinta che forzano
le persone a lasciare le proprie case
sono sempre più forti perciò frenare
i fattori di attrazione porta soltanto
a violazioni dei diritti umani e a
disperazione ancora maggiori.
Mahmoud, un richiedente asilo
afgano detenuto in Indonesia, è una
vittima di questo atteggiamento
ostile. “Preferirei che mi sparassero
piuttosto che aspettare questo
processo che va avanti all’infinito
senza sapere cosa stia succedendo”,
ha detto. “Non voglio trascorrere la
mia vita in questa prigione”.
Nessun luogo è sicuro. La
polizia in Malesia ha arrestato
David, originario della Birmania,
per tre volte. “Non ho una carta
dell’ACNUR e hanno detto a me e ai
miei amici che potevano farci quello
che volevano. Hanno rubato 200
ringgit (la moneta locale) dal mio
portafoglio e il mio telefono”.
Promuovere la collaborazione regionale
In anni recenti, la regione ha
Detenuto per un anno
Pull quote
Ali, 56 anni, ha trascorso un anno
in detenzione in Indonesia fino al
riconoscimento dello status di rifugiato da
parte dell’ACNUR. Ha lasciato sua moglie
e undici figli a casa in Afghanistan. Ali
è stato in mezzo ai detenuti che hanno
diligentemente seguito i corsi di inglese del
JRS nel centro di detenzione tre volte la
settimana. (Paulus Enggal/JRS)
17
difendere
Asia del Pacifico
visto sfollamenti su larga scala in
modo crescente. I conflitti armati
in Afghanistan, Myanmar e, fino
a metà 2009, in Sri Lanka, la
persecuzione di minoranze etniche
in Vietnam e l’oppressione in corso
dei Rohingya hanno continuato a
spingere persone verso l’Australia.
I Paesi di passaggio lungo il
cammino includono Thailandia,
Indonesia e Malesia. La necessità
di collaborazione transfrontaliera
e regionale non è mai stata così
grande e gli anni recenti hanno
visto un crescente interesse in
questo senso.
L’Associazione delle Nazioni
del Sud-est Asiatico (ASEAN) si è
dimostrata uno spazio inadeguato
per agevolare la protezione dei
diritti umani. Con la Conferenza
di Bali, un raggruppamento di
oltre 50 Paesi e organizzazioni
internazionali che lavorano per
guidare le persone vittime del
traffico di esseri umani, l’ACNUR
ha promosso un quadro di
cooperazione regionale che facesse
da guida agli stati per collaborare
sulle questioni di migrazione. Ma
nonostante sia stato ben accolto, il
quadro non è vincolante.
Uno dei pochi esempi di
collaborazione bilaterale è stato il
Modello di Cooperazione Regionale,
firmato nel 2001, tra Australia e
Indonesia in collaborazione con
l’Organizzazione Internazionale
per la Migrazione (OIM). Lo scopo
è sostenere i richiedenti asilo e i
rifugiati per frenarli dai progressivi
spostamenti verso l’Australia.
Ma simili accordi falliscono
senza il coinvolgimento di altre
realtà, i Paesi di transito e di
reinsediamento.
Essendo uno dei Paesi più
sviluppati nella regione, l’Australia
offre la migliore capacità di
proteggere i rifugiati ma gli
interessi di sicurezza nazionale
18
e le politiche interne hanno
compromesso il suo esempio. Le
recenti decisioni di svolgere l’iter di
riconoscimento dei richiedenti asilo
fuori dal territorio nazionale, nelle
isole di Nauru e Manus, contrasta
con gli obblighi del Paese presi con
la Convenzione per i Rifugiati del
1951 e potrebbe compromettere
seriamente i diritti dei rifugiati.
Secondo il Consiglio per i Rifugiati
dell’Australia, quasi il 90% di
persone che arrivano per mare si
trovano in condizioni conformi
a quelle previste dalla stessa
Convenzione.
L’Australia ha trovato una
scappatoia legale ritagliando il suo
territorio – escluse parti della zona
di immigrazione – allo scopo di
aggirare la sua responsabilità nel
riconoscimento dei richiedenti asilo
che arrivano per mare. Ma non
c’è dubbio che le nuove politiche
fermeranno gli arrivi perché il
problema sta nella mancanza di
soluzioni durature per i rifugiati
in altre parti della regione. Un
rifugiato afgano in Indonesia
ha detto: “So che è un viaggio
pericoloso e non voglio mettere me
stesso e la mia famiglia in pericolo
per mare, ma non è una scelta.
Se date a me e alla mia famiglia
il diritto di lavorare qui, allora
resteremo”.
Il cammino da seguire
La cooperazione, la coerenza
e la condivisione di standard
di protezione universalmente
accettati sono il cammino da
seguire per assicurare una più
equa suddivisione degli oneri
tra gli stati e per proteggere i
rifugiati che transitano attraverso
l’Asia del Pacifico. Uniformare
le procedure significa che i
rifugiati affronteranno lo stesso
trattamento, indipendentemente
dalla loro meta.
Sul web
I richiedenti asilo sanno meglio
di chiunque altro cosa manca per
quanto riguarda la loro protezione.
Basato sulle loro esperienze,
The Search è una guida pratica
pubblicata dal JRS Asia del Pacifico
che fornisce ai richiedenti asilo e ai
rifugiati informazioni accurate sulle
realtà dello spazio di protezione
all’interno della regione. Per
scaricare The Search, visita https://
jrsap.org/Assets/Publications/
File/The_Search.pdf
Il Piano globale di azione intrapreso
negli anni ’80 in risposta alla morte
di migliaia di vietnamiti in mare
ha favorito soluzioni durature per
i rifugiati indocinesi che venivano
esaminati nei Paesi di transito e
reinsediati negli Usa, in Australia
e in Canada, oppure rimpatriati.
Benché lontano dalla perfezione, il
Piano dimostra che la cooperazione
regionale è possibile se la volontà
politica è presente.
* Per la definizione data dall’ACNUR,
visita unhcr.org/pages/4a02d8ec6.html
riflessione
“Tutto ciò che non è donato è perso”
Mark Raper SJ, ex direttore del JRS Internazionale
Pierre Ceyrac SJ è morto lo
scorso 30 maggio 2012 a Chennai
all’età di 98 anni. Pierre ha
prestato servizio con il JRS nei
campi dei rifugiati cambogiani
in Thailandia nei primi anni ’80,
proprio agli inizi della vita del
JRS. Quando Pierre è morto, un
ex operatore del JRS ha scritto:
“finisce un’epoca di compassione
senza confini”. Alcuni anni fa
Pierre scrisse in una riflessione
per il sito del JRS: “Vivo da più di
60 anni, senza alcun merito da parte
mia, un’esperienza umana e religiosa
straordinaria, ai confini di civiltà
millenarie, e di fronte a situazioni
umane – si tratti dell’India o della
Cambogia – in cui le forze del male
e quelle del bene sono in costante
contrapposizione.
Il mio modo di essere gesuita si è
molto semplificato a contatto con tutto
ciò che ho vissuto in questi due Paesi…
Potrei riassumerlo con la grande frase
di san Giovanni della Croce: ‘Solo
nell’amare è il mio esercizio’. E questo,
in due modi che sempre più diventano
uno solo: un amore crescente per Gesù
Cristo, ‘colui che il mio cuore ama’, un
amore che sempre più pervade tutto;
ma un Gesù Cristo cercato, trovato
e amato negli altri, soprattutto nei
poveri e in coloro che soffrono. E
diventare così sempre più ‘un uomo
per gli altri’. A questi due aspetti con
cui mi piacerebbe definire il mio modo
di essere gesuita, vorrei aggiungere
l’essere un uomo del magis, del di più,
sulle orme di Saverio: sempre più,
sempre ancora, sempre più lontano...
verso altri approdi!”
Nato il 4 febbraio 1914 in
Francia, Pierre entrò nella
Compagnia di Gesù nel 1931.
Destinato alla missione in India,
Pierre Ceyrac SJ accanto a una rifugiata, in uno dei campi al confine tra Cambogia e Thailandia.
(Kuangchi Programme Service)
studiò il sanscrito e partì per
Chennai nel 1937, dove studiò
letteratura Tamil oltre alla
preparazione per il sacerdozio. Fu
ordinato nel 1945.
Nel 1980 Pierre andò in
Thailandia con una équipe della
Caritas indiana per aiutare i
rifugiati cambogiani che avevano
attraversato in gran numero
il confine mentre l’esercito
vietnamita combatteva contro
i Khmer rossi. Pierre e diversi
confratelli gesuiti, in particolare
John Bingham e Noel Oliver,
rimasero per gettare le basi di
un programma del JRS nell’Asia
del Pacifico. Accompagnarono i
rifugiati cambogiani fino al loro
rientro nei primi anni ’90.
Pierre amava citare un verso di
un poeta tamil, Thayumanavar:
“O Dio, oltre a volere che le
persone siano felici, non desidero
altro dalla vita”. E inoltre si
riferiva a san Giovanni della
Croce, che diceva: “Alla sera della
vita saremo giudicati sull’amore”.
Pierre è stato uno
straordinario amico dei poveri.
Aveva un ottimismo contagioso
e un senso profondo dell’amore
di Dio per tutti. Un giorno,
lungo il confine fra Thailandia e
Cambogia, esasperato, un ufficiale
dell’Onu lo definì un “missile
fuori controllo”. Pierre per un
attimo si preoccupò, temendo che
l’ufficiale gli impedisse di entrare
nei campi. Ma vedendo che non
gli si ponevano limitazioni, fu
contento dell’epiteto, perché lo
descriveva come una persona
libera. Certamente era libero e
la sua libertà ha portato gioia a
molti.
19
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4,
00193 Roma, Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
Servir è redatto,
prodotto e stampato a Malta
Mittente
(per cortesia, rispedire al mittente
anche gli invii a indirizzi non più validi)
Jesuit Refugee Service Malta,
St Aloysius Sports Complex,
50, Triq ix-Xorrox,
Birkirkara, Malta
www.jrs.net
Design by
I progetti del JRS in Asia sono stati
presentati in una mostra fotografica di
Don Doll SJ, che si è tenuta dal 7 al 16
ottobre presso l’Asian World Center
della Creighton University di Omaha
(Nebraska), negli stati Uniti.
Padre Don, gesuita e fotografo conosciuto, ha
attraversato il mondo scattando immagini del
lavoro dei gesuiti, specialmente del JRS in Uganda,
Sud Sudan, Burundi, Ruanda, RDC, Ciad, Sud-Est
asiatico e Medio Oriente.
Dal 1969 Doll ha vissuto e lavorato all’Università di
Creighton, dove insegna giornalismo ed è titolare
della cattedra dei gesuiti intitolata a Charles e Mary
Heider.
Mostra fotografica
di D on D oll S J
I lavori di padre Don possono essere visti sul sito:
http://magis.creighton.edu
Il suo ultimo libro, A Call to Vision: A Jesuit’s
Perspective on the World, può essere acquistato
online.