n 34° 2015 numero newsletter

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n 34° 2015 numero newsletter
Numero 34°/2015
I rischi nella attività di autista del TPL: rassegna degli studi
“I veicoli aeronautici, terrestri e marini, così come le attrezzature industriali ed
agricole, espongono l’uomo a vibrazioni meccaniche che possono compromettere il suo
confort, la sua capacità di lavoro e, in certe circostanze, la sua salute e la sua sicurezza”.
Così inizia la fondamentale normativa internazionale ISO 2631-1978 per la “Stima
dell’esposizione degli individui alle vibrazioni globali del corpo”; tra i veicoli terrestri, di
notevole importanza nella trasmissione delle vibrazioni sono quelli automobilistici, che
determinano vibrazioni situate nella banda da 2 a 20 Hz, frequenze alle quali entrano in
risonanza parti del corpo umano.
Le vibrazioni vengono prodotte sia dall’impatto ruota-strada, che dal motore, alle
cui vibrazioni entrano in risonanza parti della carrozzeria del mezzo.
Oltre alle vibrazioni occorre tener presente che il guidatore è esposto a veri e
propri traumi ripetuti nel passaggio su buche e asperità del terreno.
Altro fattore di rischio che occorre tenere in considerazione è quella derivante dal
mantenimento protratta di una postura fissa, la postura fissa protratta contribuisce, infatti,
alla degenerazione del disco intervertrebrale con un meccanismo di pressione continua sul
materiale ad alto contenuto idrico contenuto nel disco stesso; in tal modo i liquidi tendono
ad abbandonare il disco e non vi rientrano, come avviene di norma, quando diminuisce la
pressione durante i cambiamenti di postura del corpo. Questa azione sul meccanismo
nutritizio del disco è anche responsabile dell’accumulo di metaboliti all’interno del disco,
metaboliti che agiscono con meccanismo tossico a determinare un ulteriore danno
all’anello fibroso.
Le vibrazioni possono agire lungo differenti assi anatomici del corpo umano:
verticale (asse Z), sagittale (aase X), latero-laterale (asse Y).
L’organismo, nei riguardi delle vibrazioni, non si comporta come una semplice
massa ma come un insieme di elementi diversi collegati tra di loro da strutture viscoelastiche.
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Il tronco, come è noto, può essere considerato come un sottosistema autonomo che
è supportato dalla colonna vertebrale (Coerman, 1960). Tale sottosistema presenta un
picco di risonanza in grado di amplificare l’effetto delle vibrazioni a cui è sottoposto per
frequenze che vanno, secondo i dati forniti dalla letteratura, dai 5 ai 10 Hz (Gobbato 1976;
Capozzo 1977 et al). Va considerato il ruolo che su tale sistema assumono elementi quali
la pressione addominale e la funzione dinamica del tono muscolare.
La colonna è sottoposta ad una forza in compressione di base. Secondo Kazarian
(1972) le vibrazioni produrrebbero un aumento della deformazione del disco attraverso un
effetto di risonanza che, come appena detto, varia in funzione della frequenza delle
vibrazioni stesse. Di questo fenomeno non è noto esattamente la natura; ma si può
supporre che a determinate frequenze insorgano delle gradulai modificazioni del
potenziale elettrico cellulare e che queste determini dei cambiamenti a livello del turnover
del collageno.
La deformità indotta dal fenomeno vibratorio sulla colonna sarebbe differente a
seconda del segmento vertebrale preso in esame. Il disco intervertebrale e
secondariamente le strutture capsulo-legamentose sono oggetto dell’azione delle
vibrazioni e degli eventuali effetti patologici sulla colonna.
Le affezioni della colonna rappresentano infatti una delle patologie più frequenti in
tutti i settori produttivi (Klein et al già nel 1984) e riconoscono nella loro patogenesi molti
fattori (condizioni ergonomiche e posturali sfavorevoli, abnormi sollecitazioni da carico,
etc) tra i quali sicuramente preponderante è l’esposizione a WBV (vibrazioni trasmesse a
tutto il corpo).
Di fatto il tasso di prevalenza di spondiloartrosi è molto elevato nei conduttori di
diversi mezzi di trasporto (Chiron 1983).
“Numerosi dati clinici e sperimentali sono disponibili sugli effetti delle vibrazioni
di frequenza principale compresa tra 2 e 20 Hz. I segni patologici più importanti sono le
anomalie radiologiche del rachide lombare e toracico. Spesso le vibrazioni aggravano una
patologia vertebrale preesistente oppure accelerano la sua comparsa. Si osservano
frequentemente delle sindromi lombo-sciatalgiche”. (A.Berthoz: Effetti delle vibrazioni
sull’uomo in J. Scherrer e coll.: Manuale di fisiologia del lavoro, Masson).
Fattori di rischio per i CTD
Fattori di rischio individuali
Età
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Secondo Krause et al. gli autisti di autobus con una età superiore ai 50 anni hanno un
rischio significativamente minore per patologie lombari dei soggetti di età inferiore (<40
anni). Il rischio diminuisce del 25% per blocchi di 10 anni di età. Tuttavia le patologie
sono meno severe negli autisti più giovani di quanto non si evidenzi in quelli più anziani.
Bovenzi, viceversa, constata nel suo studio un aumento della prevalenza di lombalgie con
l’aumentare dell’età sia fra gli autisti di autobus che fra i controlli.
Mentre il fattore età, secondo Krause, non costituisce un fattore di rischio per le cervicodorsalgie.
Morfotipo
Magnusson e Bovenzi si sono interessati alla relazione fra lombalgie ed obesità non
trovando associazione significativa. Le relazioni fra morfotipo ed un aumento di rischio
per cervico-dorsalgie sono state oggetto di studio e Krause e coll. riportano un rischio due
volte minore fra gli autisti di basso peso (<64 kg o < 10° percentile) di quello rilevato
negli altri autisti (OR = 0,5: IC 95: 0,29-0,8). Mentre gli autisti di autobus con peso
elevato )>103 kg o >90° percentile) hanno la tendenza ad avere un rischio per cervicodorsalgie inferiore.
Mentre nello studio di Krause gli autisti di autobus di bassa statura (<1.58 m o <10°
percentile) presentando un rischio di cervico-dorsalgie due volte più elevato degli altri
autisti ma il piccolo numero del campione non attribuisce significatività al dato (OR =
1.82; IC 95%: 0,72-4.64).
Inoltre gli autisti di corporatura robusta (>90° percentile) hanno un rischio leggermente
aumentato di cervico-dorsalgie (OR = 1,25; IC 95%: 0,85-1,85). Questi risultati non sono
significativi malgrado il numero significativo di autisti arruolati in questa categoria (10%
degli autisti). L’insieme di questi risultati suggerisce una relazione in forma di U fra
cervico-dorsalgie e corporatura., con un rischio aumentato ulteriormente per le corporature
estreme. Mentre la relazione è il forma di U rovesciata fra cervico-dorsalgie e peso, con
un rischio minore per i pesi estremi. Krause e coll. indagano la relazione fra indice di
massa corporea e rischio di cervico-dorsalgie e riportano un rischio due volte minore per
gli autisti che presentano un basso IMC (<10°percentile) in confronto a tutte le altre
categorie di autisti (OR = 0,54, IC 95% 0,30-0,98), mentre gli autisti con elevato IMC
(>90° percentile) non presentano differenze rispetto agli altri autisti.
Genere
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Secondo Krause et al. le donne soffrono con frequenza due volte maggiore di cervicodorsalgie rispetto ai loro colleghi maschi (OR=2,14, IC 95: 1,33-1,44). Esse presentano
del pari un rischio maggiore degli uomini di patologie a carico del rachide lombare. Le
relazioni tra genere e CTD negli autisti di autobus non è stato indagati negli altri studi
oggetto dell’analisi dell’INRS ma il genere è spesso considerato nei modelli statistici
come un fattore di aggiustamento.
Studi epidemiologici inerenti l'esposizione a WBV negli autisti di autobus
\Indagini epidemiologiche su autisti di autobus urbani (Alfredsson et al 1993;
Evans 1994; Gustavsson et al 1996; Kompier e Di Martino 1995; Netterstrom e Suadicani
1993; Rosengren et al 1991; Winkleby et al 1988) hanno rilevato alti livelli di incidenza di
patologie morbose (anche molto gravi) legate sia all’apparato cardiovascolare che a quelli
gastrointestinali e muscoloscheletrico. In ogni caso, anche se i meccanismi che legano i
fattori psicosociali di stress lavorativo con il benessere e la salute del lavoratore non sono
ancora stati pienamente compresi, l’azione prolungata di catecolamine e cortisolo sembra
incidere sull’eziopatogenesi di molti disturbi cardiovascolari (Cohen, Kessler e Gordon
1995; Schneidermann e McCabe 1989; Sterling e Eyer 1988). Ad esempio, innalzamenti
improvvisi e temporanei della pressione arteriosa ematica, dovuti all’esposizione a fonti di
stress, sono stati considerati importanti nella spiegazione della arterosclerosi (Bishop
1994).
Kerr nel 1998 ha, poi, analizzato le ricerche che hanno riguardato
i fattori
psicosociali correlati con i disturbi muscoloscheletrici. Questi diversi studi hanno mostrato
che lo stress ed altre variabili psicosociali quali lavoro monotono, supporto sociale,
controllo sul lavoro e domanda lavorativa (soft) vanno ad integrare la causalità legata a
variabili hard come posture incongrue, sforzi fisici, ripetitività dei movimenti ecc.
Gli autisti di autobus urbani guidano il loro mezzo all’interno di centri abitati sul
tragitto di una linea prefissata con fermate definite e con rotazione ed orario fissati in
precedenza, mentre l’attività di autista di autobus extraurbani si differenzia nettamente in
quanto, oltre alla concezione differente del mezzo, comporta compiti più variati quali, ad
esempio, percorsi più lunghi e meno sistematizzati.
Lo studio realizzato dall’INRS non è una metanalisi in senso stretto, ma piuttosto una
valutazione qualitativa formale dei dati epidemiologici contenuti negli studi oggetto di
valutazione e suo scopo finale era quello di rispondere a 3 domande:
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1) il mestiere di autista di autobus determina un aumento del rischio di CTD?
2) quali sono i fattori di rischio professionale evidenziati?
3) I dati sono sufficientemente consolidati da poter permettere delle conclusioni
definitive?
Si diceva che sono stati arruolati nella valutazione 14 studi di cui 12 pubblicati su
riviste scientifiche in lingua inglese e 2 in riviste francesi.
Di questi 14 studi, 6 sono stati pubblicati dallo stesso gruppo di autori ed avevano ad
oggetto lo stesso campione di 1500 autisti di autobus urbani della città di San Francisco
seguiti nel periodo 1993-2000.
Fra i 14 studi ben dieci stabiliscono un rapporto fra lombalgie ed attività di autista
di autobus. Lo studio prospettico condotto da Krause ed altri quantifica in 501 i casi di
patologie lombari manifestatesi nel corso dei 7 anni e ½ in cui è stata seguita una
popolazione composta da 1233 autisti, con una incidenza annuale di 8.33/100 autisti. Il
periodo medio di comparsa dei primi sintomi è stato valutato in 905 giorni, cioè circa 2
anni e ½. Lo studio di Bovenzi condotto su 234 autisti di autobus urbani, confrontati con
un gruppo di controllo costituito da 125 addetti alla manutenzione della stessa società, ha
valutato, attraverso un questionario, la prevalenza di lombalgie nel corso dell’intera vita,
degli ultimi 12 mesi e dell’ultima settimana. Dopo aggiustamento per età, indice di massa
corporea, livello di istruzione, attività sportiva, tabagismo, stato civile, precedenti
traumatismi lombari, carico posturale ed attività professionali antecedenti parimenti a
rischio per il tratto lombare, tutti gli OR (odds ratios) relativi alle lombalgie negli autisti di
autobus in rapporto al gruppo di controllo sono significamene superiore ad uno. Per gli
autisti di autobus, la prevalenza delle lombalgie durante l’intera vita è di 83,8% con un OR
aggiustato di 3,12 (IC5%: 1,82-5,34), la prevalenza delle lombalgie nell’ultimo anno era
di 82,9% con un OR aggiustato di 2,99 (IC 95%: 1.75-5.09). Infine la prevalenza delle
lombalgie nel corso dell’ultima settimana è di 62,4% con OR aggiustato di 2.35 (IC 95%:
1.47-3.76).
Magnusson et al. riportano che circa il 50% degli autisti di autobus oggetto del loro
studio, condotto nel 1998, accusavano lombalgie.
Nello studio di Okunribido et al, il 59% degli autisti di bus hanno avuto episodi
lombalgici nei 12 mesi precedenti l’indagine e, fra essi, la metà ha avuto lombalgie nel
corso dell’ultima settimana.
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Cervicalgie, dorsalgie ed altre patologie muscolo-scheletriche sono descritti in
sette delle pubblicazioni oggetto dell’indagine, ed interessano diverse professioni del
trasporto: bus, taxi, trasporto merci.
Magnusson et al. valutando queste patologie somministrando il questionario
Nordique, ad un gruppo di lavoratori degli USA e ad un altro della Svezia, divide la
popolazione in studio in tre gruppi: autisti di autobus, autisti su strada e lavoratori
sedentari.
Questi Autori rilevano una prevalenza di cervicalgie pari al 53% fra gli autisti
degli autobus statunitensi, significativamente più elevata che fra gli autisti su strada ed i
lavoratori sedentari. Questa differenza fra i tre gruppi non è stata registrata fra i lavoratori
svedesi.
Inoltre, gli autisti degli autobus statunitensi soffrono di problemi a carico
dell’articolazione scapolomerale, con frequenza significativamente superiore a quella
degli altri gruppi professionali, mentre in Svezia sono gli autisti su strada che denunciano
maggiormente questa patologia. Tuttavia, nei due paesi, gli autisti (autista su strada ed
autista di autobus) soffrono di patologia scapolomerale con frequenza maggiore dei
lavoratori sedentari.
Nello studio trasversale di Krause et al. la prevalenza, valutata con questionario
autosomministrato, delle cervico-dorsalgie in atto al momento dell’indagine va dal 10 al
14% ed aumenta al 20-28% se vengono conteggiate le cervico-dorsalgie insorte nei 12
mesi precedenti l’indagine. Questa prevalenza sembra debole se confrontata con quella
ottenuta in altri studi ma dalla popolazione oggetto di studio erano esclusi i lavoratori in
malattia o che seguivano percorsi di riconversione professionale, il che, secondo gli
Autori, può comportare un bias di selezione sullo stato di salute della popolazione
interrogata. Nello studio basato su questionario di Dartopis et al realizzato nel 2002 e con
arruolamento di 320 autisti di autobus extraurbani, la frequenza di patologie cervicali è del
12%, quella delle patologie lombari del 27% (in diminuzione in rapporto ad una indagine
condotta nel 1985 in cui essa raggiungeva il 38%) e quella delle patologie a carico delle
spalle è del 5%.
Infine nello studio di Magnusson et al, patologie scapomerali e cervicalgie sono
correlate alle lombalgie (p<0,0001).
Per quanto concerne l’assenteismo, gli autisti di autobus dello studio di Magnusson
hanno periodi di fermo superiori (18 giorni) a quelli degli autisti su strada (4 giorni) e dei
lavoratori sedentari (5 giorni), con differenze fra i due paesi, infatti se non vi sono grandi
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differenze fra i due paesi (USA e Svezia) se si considera l’intera popolazione lavorativa
nel caso degli autisti la durata di assenza dal lavoro per lombalgie degli autisti di autobus
statunitensi è di 38 giorni in media mentre essa di 12 giorni per quelli svedesi. Questa
differenza si spiega, sondo gli Autori, con le differenze nel regime di sicurezza sociale dei
due paesi. D’altronde gli autisti di autobus statunitensi hanno dei periodi di assenza dal
lavoro significativamente più lunghi di quelli degli autisti su strada e dei lavoratori
sedentari a causa di lombalgie (p<0,0002), di cervicalgie (p<0,02) e di patologie
scapolomerali (p<0,02), tali differenze fra gruppi non si rilevano invece nella popolazione
svedese.
Nello studio di Bovenzi gli autisti di autobus urbani hanno una prevalenza di assenza
per malattia di durata superiore ai 30 giorni per lombalgie significativamente superiore a
quella del gruppo di controllo nel corso dei 12 mesi precedenti lo studio (rispettivamente
7,3% e 3,2%). Mentre la prevalenza per assenze per malattia di durata minore di 30 giorni,
non è significativamente diversa fra gli autisti di bus urbani ed il gruppo di controllo.
Infine Krause et al. ritengono che, per gli autisti di bus, la lombalgia costituisca la
principale causa di assenza dal lavoro e di malattia professionale meritevole di indennizzo,
ma anche causa essenziale del cambio di mansione o di lavoro.
Abbiamo poi uno studio di coorte che raffronta una popolazione di autisti di bus
degli USA con quella svedese, il che permette di dimostrare il ruolo del contesto nazionale
nell’incidenza del rischio di CTD.
Un studio di Bovenzi ha indagato le lombalgie e l’esposizione a vibrazioni fra gli
autisti di autobus extraurbani in Italia, mentre i due studi francesi concernono gli autisti di
bus urbani della regione parigina e di Besancon.
Nell’indagine è stato incluso anche un lavoro di laboratorio sul disconfort legato alla
guida prolungata.
Un gruppo di ricerca italiano ha messo in evidenza nella popolazione in studio, 490
autisti di camion con età media di 42.5 anni ed anzianità lavorativa media di 26.1 anni,
una prevalenza di patologie a carico della colonna attribuibili ad esposizione a fattori di
rischio specifici in ambito professionale dell’1,3% (Riva et al 2012).
Nelle Linee Guida della SIMLII a cura di un gruppo di esperti coordinati dal
professor Cristaudo si legge: “Dall’analisi della letteratura emerge che i conducenti
professionisti hanno un aumentato rischio di sintomatologia dolorosa a carico del rachide
lombare (LBP) (Magnusson et al. 1996). Il 34% dei conducenti professionisti riferisce
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LBP contro il 26,6% della popolazione generale (Langauer et al. 1996), con frequenze
pari al 50-80% negli autisti di autobus, il 50% nei camionisti e nei tassisti (Boshuizen et
al. 1998, Bovenzi e Zadini 1992, Burdorf et al 1993, Bovenzi 1996, Krause et al 1997,
Funakoshi et al 2004, Chen et al 2005).I conducenti sono inoltre a maggior rischio di
recidiva della sintomatologia al rachide (40% contro il 20% della popolazione generale)
(Brendstrup e Biering-Sorensen 1987, Netterstrom e Juel 1989). L’aumento del rischio di
LBP è correlabile all’esposizione a differenti fattori di rischio: le vibrazioni ed il dover
mantenere a lungo la posizione seduta, la posizione scomoda, lo sforzo muscolare dovuto
al sollevamento ed al trasporto di carichi per i conducenti che devono anche adempiere
alle esigenze di carico e scarico merci (tassisti, camionisti, corrieri, mulettisti), i
movimenti di piegamento e torsione, le abitudini di vita (vita sedentaria, fumo ecc.). La
guida di veicoli è associata ad assenze dal lavoro per dolori al rachide (Pope et al 2001),
la frequenza dei problemi al rachide aumenta con l’accrescersi dei chilometri percorsi
(Pope et al.2002, He et al 2004) ed è sovente causa di prepensionamento (Boshuizen et al
1992). Aumentate prevalenze di disturbi muscolo-scheletrici agli arti superiori ed inferiori
sono state associate con l’attività di guida ed i disturbi più comuni erano quelli localizzati
a livello di anca-coscia (22,2%) e ginocchia (29,3%) per gli arti inferiori ed a livello di
gomito (10,8%) e braccia (17,5%) per gli arti superiori.La maggioranza degli autisti che
lamentavano tali disturbi li associava alla tipologia di guida e alle caratteristiche
ergonomiche della postazione di lavoro (Ronchese e Bovenzi 2012)”.
Infine il Manuale Europeo curato da OSHA sul settore dei trasporti affronta il tema
delle vibrazioni e in esso si legge che: “Diversi studi dimostrano le conseguenze negative
determinate dal mantenere una costante posizione seduta e dall’essere esposti
a
vibrazioni a tutto il corpo: la esposizione a vibrazioni può comportare disturbi.
Indagini nazionali
Belgio: secondo la WBM nel 2004, quasi un lavoratore dei trasporti su quattro (25%)
risultava essere esposto sul lavoro ad utensili o macchine producenti vibrazioni, contro il
7,3% della media della popolazione attiva fiamminga.
Spagna: secondo la ricerca spagnola “Encuesta Nacional de Condiciones de Trabajo” i
lavoratori dei trasporti hanno un più alto livello di esposizione a vibrazioni rispetto al
resto dei lavoratori attestandosi al 10,4% contro il 5,6% per le vibrazioni mano-braccio
ed al 8,1% contro il 2,6% nelle altre parti del corpo.
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Grecia: secondo una indagine nel settore dei trasporti dell’Istituto Ellenico per la Salute
e la Sicurezza (ELNYAE) circa il 76,6% di questi lavoratori sono esposti a vibrazioni
occasionalmente o costantemente durante il lavoro, il 31,3% spesso ed il 45,3% sempre.
Secondo i risultati di una serie di questionari svolti all’interno del progetto TRIA circa il
56% di lavoratori del settore dei trasporti greci sono esposti a vibrazioni da macchinari o
strumenti durante il lavoro.
Danimarca: sulla base dei risultati della ricerca DMECS svolta nel 2005 si è constatato
che gli autisti di taxi, bus e camion sono esposti a vibrazioni: il 25% dei conducenti di
autobus, il 20% dei tassisti ed il 27% degli autisti di camion sono esposti a vibrazioni al
corpo intero. Questo dato è significativamente
superiore alla media di tutte le
occupazioni (4%).
Allo stesso modo, rispettivamente il 39%, il 13% ed il 11% degli autisti di autobus, taxi e
camion hanno esposizione a vibrazioni mano-braccio, percentuali significativamente
superiori alla media di tutte le altre occupazioni (5%).
Finlandia: secondo l’indagine “Lavoro e Salute” del 2006, il 36% dei lavoratori nel
settore dei trasporti riferisce di essere esposto a vibrazioni durante il lavoro.
Germania: l’esposizione a vibrazioni è un rischio più elevato per i lavoratori dei trasporti
che per i lavoratori di altri settori. Secondo i risultati del sondaggio BIBB/BAuA svolto
nel 2005/2006, il 30,3% degli intervistati nel settore dei trasporti sono stati “spesso” o
“qualche volta” esposti a vibrazioni rispetto al 9,2% degli altri settori. I sondaggi
evidenziamo che i lavoratori dei trasporti sono più esposti a posizioni faticose(ad esempio
nel sostenere a lungo una posizione seduta) rispetto alla
media della popolazione
lavorativa. Secondo i risultati dell’indagine europea sulle condizioni di lavoro del 2005 i
lavoratori europei del settore dei trasporti via terra sembrano essere più esposti durante
il proprio orario di lavoro di quanto non lo sia la popolazione lavorativa nel complesso,
circa il 10,9% dei lavoratori del settore dei trasporti via terra ha dichiarato che il
proprio lavoro comporta posture faticose per tutto il tempo di lavoro contro l’8,9% della
media della popolazione lavorativa. Un numero minore di lavoratori (28,7% contro il
33,3% della media degli altri lavoratori) ha dichiarato che la propria attività non
comporta posture dolorose o stancanti.
Studi e ricerche nazionali
Belgio: secondo la WBW 2004, quasi un lavoratore su dieci n(8,5%) riferisce di essere
sempre esposto a posizioni di lavoro scomode o con i muscoli in tensione rispetto al 4,3%
della media della popolazione lavorativa fiamminga. Un numero di lavoratori
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dei
trasporti inferiore alla media fiamminga (40,8% contro il 44,9%) dichiara di non lavorare
mai in posizioni faticose sul posto di lavoro.
Spagna: secondo una ricerca del 2003, i lavoratori dei trasporti sono soggetti a posture
faticose durante l’orario di lavoro più spesso della popolazione media, il 10,8% dei
lavoratori dei trasporti è esposto a questo rischio per oltre la metà della giornata
lavorativa contro il 9,8% della media.
Secondo l’indagine sui trasporti ISCII le cifre sono più alte; il 34% denunciava di operare
in posizioni incongrue per più della metà della giornata lavorativa.
Grecia: secondo il progetto TRIA, circa il 9,9% degli intervistati dichiara di mantenere
troppo a lungo una posizione faticosa durante l’attività lavorativa.
Danimarca: sulla base dei risultati dello studio DWECS del 2005, i lavoratori dei
trasporti non sono esposti a posizioni di lavoro faticose durante l’orario di lavoro più di
quanto non lo sia la popolazione media, questo per tutte le posture faticose di lavoro,
inclusi piegamento di polso e mano, collo e schiena piegati, attività svolte in ginocchio o
con le braccia alzate sopra il capo. Tuttavia, i lavoratori dei trasporti trascorrono gran
parte della loro giornata di lavoro seduti, si è riscontrato, infatti, che per i conducenti di
taxi e camion il 94% e il 73% rispettivamente, il lavoro prevede una posizione seduta per
più di tre quarti della giornata lavorativa, un tempo significativamente maggiore rispetto
alla media della popolazione attiva (37%).
Finlandia: i lavoratori dei trasporti su strada denuncia una serie di problemi riferiti allo
stress di carattere fisico, In Finlandia la continua posizione seduta è stata indicata come
la più rilevante, il dovere stare seduti per lunghi periodi alla guida su un sedile non
ergonomico e senza avere la possibilità di regolarlo, ha aumentato il rischio di infortunio
sul lavoro.
Germania: tra le diverse posizioni faticose lo stare seduti per lungo tempo è la condizione
più denunciata. Oltre l’86% dei lavoratori dei trasporti lavora in posizione seduta. E’
evidente che questa percentuale sia riferita agli autisti di professione.
Olanda: nel 2006 quasi il 40% di tutti i lavoratori segnalavano regolarmente o molto
spesso di lavorare nella stessa posizione per un periodo di tempo prolungato, Nel settore
dei trasporti le percentuali erano più alte. All’interno di esso, la quota più alta è stata
rilevata nel trasporto su strada con il 61%. Nel settore dei trasporti su acqua
l’esposizione è invece diminuita in modo sostanziale passando dal 49,4% del 2005 al
38,4% nel 2006. Nel settore del trasporto aereo vi è stato, invece, un incremento notevole
passando dal 37,7% al 44,4% nello stesso periodo di tempo”
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Fattori di rischio professionali
I fattori di rischio professionali sono numerosi e di natura diversa:
Le patologie muscoloscheletriche sono conseguenza di fattori di rischio di tipo;
biomeccanico (sforzi, posture mantenute a lungo, posture disergonomiche o estreme,
ripetitività dei gesti), fisico (vibrazioni, freddo) con un legame fra questi e la
organizzazione del lavoro. La storia personale ed il contesto psicosociale della persona
svolgono anche essi un ruolo ed è necessario evidenziare questi fattori di rischio fra gli
autisti di autobus per potere pervenire ad attribuire alle loro condizioni di lavoro la
comparsa di patologie muscoloscheletriche tipiche di questa attività e del suo contesto.
Infine, il fatto di evidenziare gli stessi fattori di rischio conferma la validità dei dati
epidemiologici settoriali
in riferimento al corpo delle conoscenze sulle patologie da
traumi ripetuti.
Per quanto concerne i fattori di rischio individuale Bovenzi e Magnusson non
riscontrano alcun legame fra peso e rischio di lombalgie. Mentre un legame viene messo
in evidenza fra corporatura ed età e rischio di patologie muscoloscheletriche. Si tratta di
relazioni assai complesse ma quello che occorre mettere sotto accusa è essenzialmente la
inadeguatezza del posto di lavoro rispetto alla corporatura, così le corporature estreme
(<10° del percentile e >90° del percentile) sarebbero penalizzate da questa mancata
adattabilità del posto di guida. Lo studio di Krause dimostra che le modificazioni delle
caratteristiche staturo-ponderali dei nuovi assunti (maggior numero di donne e/o di
soggetti di corporatura minuta) dovrebbero portare a rivedere la concezione ergonomica
dei posti di guida.
L’età è una variabile che presenta una relazione complessa con la lombalgia.
L’effetto “lavoratore sano” secondo cui solo i senior in buona salute continuano a lavorare
mentre quelli con problemi di salute hanno abbandonato il lavoro influenza i dati
disponibili. Questo processo che porta alla esclusione dei vecchi lombalalgici è descritto e
deve essere preso in considerazione nella valutazione degli studi sulle patologie
muscoloscheletriche. Ma la relazione fra lombalgie e l’età appare complessa in quanto si
tratta fondamentalmente di convivere con il dolore piuttosto che con l’impotenza
funzionale di tipo fisico (in effetti è il dolore che porta alla esclusione), conseguentemente
coloro che restano al lavoro sono coloro che imparano o che possono convivere con il
dolore. Gli studi dell’equipe di Krause lo dimostrano. Così i senior (>50 anni) che restano
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al lavoro sono spesso coloro che imparano a convivere con i dolori lombari e che sono
capaci di gestire, sulla base della loro esperienza, le situazioni di rischio. Si è osservato,
infine, che alcuni senior hanno maggiore possibilità di scegliere posti di lavoro e turni
orari e questo permette loro di andare ad occupare i posti di lavoro meno gravosi.
I fattori di rischio professionale sono concordi con l’atteso per i rischi muscoloscheletrici.
Le vibrazioni, gli sforzi, le posture protratte nel tempo, la durata di guida, il tipo di veicolo
sono infatti indicati fra i fattori di rischio per lombalgia. Numerosi studi hanno indagato la
dimensione psicosociale ed hanno dimostrato che l’insoddisfazione professionale, le
elevate esigenze psicologiche, il debole sostegno sociale sono fattori di rischio per le
lombalgie. La durata settimanale del lavoro sembra, del pari, svolgere un ruolo importante
nella comparsa di disturbi muscoloscheletrici fra gli autisti di autobus. Così il gruppo di
Krause rileva una relazione dose-risposta fra durata settimanale del lavoro e rischio per
cervico-dorsalgie o per lombalgie. Ulteriori studi sono, però, necessari per confermare
queste conclusioni. Questo risultato giustifica, tuttavia, una vigilanza sulla durata
settimanale del lavoro degli autisti in quanto, allo stato delle conoscenze, una gestione
adeguata della durata settimanale di guida è una modalità efficace di riduzione del rischio
per patologie del rachide. Infine, i problemi ergonomici sia quelli indicati da Krause sia
altri (insicurezza, compiti connessi) hanno un impatto sul rischio di CTD e devono essere
presi in considerazione nell’ambito delle attività di prevenzione.
La molteplicità dei fattori di rischio per patologie muscoloscheletriche ai quali
sono esposti gli autisti di autobus ed il numero infinito di possibili combinazione di questi
fattori, combinazioni che possono anche variare nel tempo e nell’ambito dello stesso posto
di lavoro, in ragione di un contesto di lavoro assolutamente singolare è un elemento
comune a numerose situazioni di lavoro.
Proprio per questo ruolo essenziale che gioca il contesto lavorativo è necessario,
nell’ambito di una valutazione del rischio, descrivere in maniera rigorosa gli elementi che
caratterizzano tale contesto e che intervengono a determinare il rischio. Lo studio
comparativo di Magnusson lo dimostra. La sola indicazione della mansione e cioè autista
di autobus non è sufficiente a
rappresentare i fattori di rischio per patologie
muscoloscheletriche. In effetti tutte le variabili di contesto (organizzazione del lavoro,
qualità delle relazioni sociali, regime di protezione sociale, caratteristiche della strada,
dell’attività, del materiale, della formazione, ecc.) interferiscono con questi fattori
pervenendo così a determinare ilo rischio per patologie muscoloscheletriche. Questa
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asserzione si inserisce nella valutazione dei dati sperimentali, ad esempio è dimostrato che
le vibrazioni al corpo intero sono un fattore di rischio accertato di lombalgie e che questo
rischio è frequente nel settore del trasporto su strada. Numerosi lavori sono stati condotti a
questo riguardo e sedie antivibranti sono oggi disponibili e di provata efficacia. Ma questa
efficacia è legata al rispetto delle condizioni di installazione e di utilizzo in particolare di
regolazione. Molto variabili sono però i contesti di utilizzo di questi sedili e, dunque, è
necessario ribadire che un sedile efficace contro le vibrazioni è una condizione necessaria
ma non sufficiente per prevenire le lombalgie degli autisti in quanto questo mestiere non
espone solo a vibrazioni ma bensì ad un complesso di fattori di rischio in cui rientrano,
anche, le vibrazioni.
Lo studio di El Falou e coll. dimostra quanta precauzione è
necessaria nel trasferire i dati sperimentali di laboratorio alle situazioni di lavoro in
particolare a quelle di natura composita.
Krause e coll. formulano delle spiegazioni che possono arricchire il modello di
comprensione delle patologie muscoloscheletriche e che sostengono le osservazioni
precedentemente descritte. In effetti questi autori considerano che le patologie
muscoloscheletriche del rachide fra gli autisti di autobus derivino da una esposizione
combinata a fattori di rischio cronici ed a fattori di rischio acuto. Questa ipotesi relativa
alla combinazione di fattori di rischio di natura diversa nel tempo e nello spazio apre
prospettive interessanti di ricerca sul meccanismo fisiopatologico all’origine del danno
rachideo. Questi meccanismo potrebbero spiegare i dati epidemiologici ottenuti in
situazioni in cui, talora, un singolo fattore di rischio assunto isolatamente (in particolare
le vibrazioni) non è in grado di dare ragione del fenomeno di interessamento rachideo.
Uno studio ha, poi, indagato l’incidenza delle condizioni di lavoro e dei danni alla salute
sul funzionamento del servizio di trasporto. Secondo gli autori di questo studio i problemi
sanitari degli autisti hanno un impatto sul sistema dei trasporti sia in termini di
performance che di presenza al lavoro che, infine, di spese sanitarie. Tutto questo viene
amplificato dalle richieste economiche, dalle pressioni dei committenti che spesso supera
le possibilità di un servizio di trasporto urbano in cui le condizioni di guida sono difficili a
causa della congestione della rete stradale. Questi autori ritengono che si venga a creare un
circolo vizioso che associa alle cattive condizioni di lavoro, il degrado dello stato di salute
degli autisti, la riduzione dell’efficacia del servizio di trasporto e l’aumento delle spese.
Essi considerano che “lo stato di salute del servizio di trasporto” ed il benessere dei
lavoratori non siano la stessa cosa ma che interagiscano l’un l’altro. Essi affermano che:
“un sistema di trasporto che reca in se uno squilibrio fra le attese e le risorse e che una
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gran parte della popolazione valuta come inoperante ed inefficace, induce delle
condizioni di lavoro che incidono sfavorevolmente sulla salute ed il benessere dei
lavoratori”. Il mettere in relazione gli effetti sulla salute degli autisti e i macrodeterminanti economici e sociali giustifica una presa in conto globale delle cause ed una
visione ampia delle possibili soluzioni. In termini di prevenzione, la valutazione delle
conseguenze della combinazione dei rischi come pure il miglioramento e l’adattamento
del posto di guida alle differenti caratteristiche fisiche dei conducenti di autobus e dunque
una sua appropriatezza sono gli elementi essenziali per la prevenzione come dimostra lo
studio di Krause e questo a prescindere dal peso che possono giocare gli altri fattori di
rischio.
Vibrazioni
Magnusson et al hanno valutato l’esposizione alle vibrazioni a corpo intero, in conformità
con la norma ISO 2631, in un campione di autisti stradali e di autisti di autobus in
condizioni di lavoro normali. I risultati hanno dimostrato che negli USA, l’esposizione
quotidiana alle vibrazioni è significativamente superiore nel gruppo degli autisti su strada
in rapporto al gruppo degli autisti di autobus. Al contrario in Svezia sono, invece, gli
autisti di autobus ad essere maggiormente esposti. Ma se l’indagine considera il lungo
periodo sono gli autisti su strada ad avere una maggiore esposizione a vibrazioni. In
questo studio l’esposizione quotidiana alle vibrazioni non è associata a lombalgie,
cervicalgie e dolori scapolo-omerali. Ma i soggetti lombalalgici hanno una dose espositiva
a lungo termine alle vibrazioni più elevata dei non-lombalalgici. Inoltre l’esposizione a
lungo termine alle vibrazioni è il fattore maggiormente predittivo della durata delle
assenze per malattia dovute a lombalgie. La differenza di esposizione fra i due diversi
paesi si spiega con le differenti modalità di conduzione dei bus: gli autisti di autobus
svedesi lavorano nell’ambito urbano dove guidano su strade asfaltate e sono
maggiormente esposti alle accelerazioni e decelerazioni di quanto non lo siano i loro
colleghi statunitensi che guidano autobus su lunghe tratte extraurbane. Nello studio di
Okunribido il 69% degli autisti di autobus riferiscono disturbi durante la guida legati alle
vibrazioni. La qualità della pavimentazione stradale è indicato, in questo studio, come una
delle fonti di traumi da contraccolpo e di aumento del livello vibratorio.
Bovenzi dimostra che le vibrazioni, misurate in accordo con la norma ISO 2631, in un
campione di 11 autisti di autobus nelle normali condizioni di lavoro, sono
significativamente associate alle lombalgie.
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In particolare per una esposizione alle vibrazioni a lungo termine (>4,5 anni m2s2)
l’eccesso di rischio per ernia discale è di oltre due volte superiore a quello del gruppo di
controllo, anche dopo aggiustamento per gli altri fattori di rischio (OR=2,61; IC 95%
1.01-6.71). nel suo studio Bovenzi insiste sull’insufficiente ammortizzamento delle
vibrazioni strasmesse dal sedile (anche quello di tipo sospeso), come pure sul ruolo
predittivo delle vibrazioni nella comparsa di lombalgie, precisando che la fisiopatologia
non è completamente nota.
Jensen e coll. indicano, egualmente, il ruolo delle vibrazioni, associato alle rotazioni del
collo, ai colpi ed alle accelerazioni-decelerazioni, nell’insorgenza delle cervicalgie fra i
professionisti del trasporto.
Infine, la complessità delle relazioni fra vibrazioni di un sedile di guida e sue conseguenze
sia sulla performance che sulla valutazione del confort/disconfort è stata osservata in
laboratorio da Falou et coll in uno studio del 2003. Gli autori osservano che una
esposizione protratta (150 min) con il lavoratore seduto su un sedile di veicolo comporta
la percezione di un disconfort che aumenta con l’aumento del livello di vibrazioni
trasmesse dal sedile ed è in relazione anche con la non adattabilità o con il non
adattamento del sedile.
Ciò comporta una riduzione della performance, riduzione che è massima quando alle
condizioni di vibrazione si associa l’uso di un sedile non confortevole. Tuttavia, questi
effetti sulla performance non si accompagnano a segni di affaticamento muscolare a carico
dei muscoli posturali valutati. Secondo gli autori, non si deve escludere che il metodo
scelto per valutare la fatica (mediana delle frequenza spettrale delle EMG studiate con una
grande varianza dei dati interindividuali ) spieghi tale assenza ma essi ritengono anche che
sia possibile che i muscoli non registrino segni di fatica muscolare.
Tipo di veicolo
Il tipo di veicolo utilizzato è citato tra i fattori di rischio per CTD.
Così Krause studia i conducenti dei tramways di San Francisco e rileva che questi
operatori presentano un rischio per cervico-dorsalgie inferiore di due volte a quello degli
altri autisti studiati e questo in quanto il lavoro si svolge in piedi e non vi sono vibrazioni
emesse dal motore. Questi autisti hanno, però, un rischio per lesioni acute del rachide di
tre volte superiore a causa dell’uso di leve di comando meccaniche, della manovra
compiuta facendo ruotare a mano su stesso il mezzo con l’utilizzo di pedana ruotante in
legno. Gli stessi autori citano un minor rischio di lombalgie nella guida del tram in
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confronto alla guida di autobus. Con l’esclusione di questi due esempi estremamente
specifici il materiale rotabile urbano oggetto di valutazione nei diversi studi è comparabile
con scarse differenze fra i diversi paesi.
Krause e coll. rilevano che gli autisti che dichiarano di avere problemi nella regolazione
del sedile e nella tenuta del volante hanno un maggiore rischio di cervico-dorsalgie
rispetto a coloro che dichiarano di non avere tali problemi (OR= 3.86: IC 95% 2.37-6.28
ed OR= 3.93: IC 95% : 2.28-6.75 rispettivamente). I risultati dettagliati suggeriscono una
relazione dose-risposta. Gli altri fattori ergonomici, anche se con minore significatività,
sono: i problemi percepiti durante l’utilizzo dei comandi, quelli legati alla sospensione del
sedile ed ai freni, quelli in relazione con la visibilità esterna che comporta la regolazione
del retrovisore. L’analisi multivariata dell’impatto relativo di questi fattori di rischio
biomeccanico per cervico-dorsalgie mostra che sono proprio i fattori ergonomici ad avere
un maggiore impatto sulla prevalenza di cervico-dorsalgie seguiti dalla movimentazione di
carichi.
In questo modello la corporatura, il peso ed il genere come pure il tipo di veicolo hanno un
impatto minore dei fattori ergonomica anche se essi sono significativamente associati al
rischio di cervico-dorsalgie. Per ciò che concerne le lombalgie, gli autori rilevano
egualmente una relazione dose-risposta fra lo score ergonomica (elaborato a partire dalle
risposte ai questionari inerenti i problemi ergonomica percepiti dagli autisti) ed il rischio
per patologie lombari. Nel modello scelto dagli autori, l’aumento di 10 punti dello score
ergonomica è associato ad un aumento del 21% del rischio per patologie lombari, sapendo
che un aumento dello score ergonomica corrisponde ad una accresciuta gravità dei
problemi ergonomici percepiti. Infine, lo studio di Krause e coll. nel 2005 mette in
evidenza che una riduzione dei problemi ergonomici, riferiti da un quarto degli autisti, al
più basso livello possibile comporta una riduzione prevedibile delle lombalgie di minore
gravità pari al 28% e di quelle di maggiore gravità pari al 19%.
Krause e coll. mettono in evidenza una relazione dose-risposta fra il tempo settimanale di
guida e le cervico-dorsalgie (per periodi di 20 ore: OR = 1.96; IC 95%: 1,06-3,63). Inoltre
essi rilevano che la frequenza delle cervico-dorsalgie aumenta in maniera significativa,
dopo aggiustamento per età, genere, tipo di veicolo e durata settimanale di tempo di guida,
con il numero di anni di guida professionale (per 10 anni =R = 3.43; IC 95%: 1,5-7,81).
Questa associazione segue una relazione dose-risposta significativa (p=0.003). Mentre il
numero di ore di straordinario effettuate nel corso dell’anno precedente l’inchiesta è legato
in maniera inversa al rischio di cervico-dorsalgie. Ma questa associazione non risulta
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significativa. Questo dato, a priori paradossale, potrebbe spiegarsi secondo gli autori con
l’”effetto lavoratore sano”. Infatti la realizzazione di straordinari avviene per scelta
volontaria e, dunque, vi accederebbero, piuttosto, soggetti indenni da patologie muscoloscheletriche.
Krause e coll. nei loro diversi studi definiscono così una relazione dose-risposta
esponenziale fra tempo settimanale di guida e rischio di patologie lombari: nel modello
statistico ottenuto dopo aggiustamento per tutti i fattori possibili di confondimento (età,
genere, corporatura, peso, tipo di veicolo, problemi ergonomici, anzianità di guida
professionale e fattori psicosociali), il tasso di patologie lombari aumenta del 12% ogni 10
ore di guida settimanale. Inoltre, in questo studio, la frazione di rischio attribuibile per una
attività di guida di più di 50 ore settimanali in confronto con una attività a tempo parziale
(20-30 ore settimanali) è del 38% per le patologie lombari di minore gravità e dell’82%
per le patologie lombari di maggiore gravità. Questo vuol dire che secondo questo
modello si può affermare che il 38% delle patologie lombari meno gravi e l’82% delle
patologie lombari di maggiore gravi che insorgono fra gli autisti che guidano per più di
50m ore settimanali, potrebbero essere evitate se si riducesse il tempo di guida a 20-30 ore
settimanali.
Inoltre, la frazione di rischio attribuibile all’attività di guida di più di 30 ore settimanali è
del 29% per le patologie lombari meno gravi e del 61% per le patologie lombari più gravi
in raffronto con una attività di guida inferiore alle 30 ore settimanali.
Mentre per ciò che concerne l’anzianità lavorativa di autista, Krause e coll. evidenziano
che una anzianità inferiore ai 5 anni è associata ad un aumentato rischio per patologie
lombari in raffronto al gruppo con anzianità lavorativa compresa fra 6 e 15 anni, dopo
aggiustamento per tutti i possibili fattori di confondimento.
Ma il fatto di guidare da meno di 5 anni è predittivo di patologie lombari meno gravi. Gli
Autori formulano numerose ipotesi per spiegare questi risultati. Da una parte ipotizzano
che gli autisti che presentano problemi di salute cambiano precocemente attività lavorativa
con, dunque, un effetto “lavoratore sano”. Dall’altra parte, gli autisti più anziani
presenterebbero una maggiore “tolleranza” nei confronti delle patologie lombari meno
gravi con conseguentemente una tendenza ad una loro sotto-dichiarazione. Questa ultima
ipotesi è confortata proprio dal fatto che nello studio, le patologie lombari meno gravi
sono state riscontrate fra la popolazione lavorativa degli autisti con una anzianità
lavorativa inferiore.
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Fattori psico-sociali
Krause e coll. hanno valutato l’influenza dei fattori psicosociali e dell’organizzazione del
lavoro sul rischio di cervico-dorsalgie fra gli autisti di autobus. L’organizzazione del
lavoro è caratterizzata nello studio da una ripartizione delle ore di guida e di riposo che
avviene sulla base del numero di ore di guida settimanale (<40 ore, 40 ore, >40 ore), della
durata delle pause (0, 15-60 minuti, >60 minuti) e sulle fasce orarie in cui si svolge il
lavoro. I fattori presi in considerazione hanno riguardato la dimensione decisionale, le
esigenze psicologiche ed il sostegno sociale indagati mediante il “Job Content
Questionnaire di Karasek”.
Per quanto concerne l’organizzazione del lavoro, nessuna delle variabili prese in
considerazione è associata in maniera significativa al rischio di cervico-dorsalgie, ma
questo rischio mostra una tendenza all’aumento quando l’orario di guida settimanale
supera le 40 ore (OR aggiustato 1.32; IC 95%: 0.96-1.81) e quando non vengono effettuate
pause (OR aggiustato: 1.29; IC 95%: 0.75-2.21).
Per quanto concerne i fattori psico-sociali, le elevate esigenze psicologiche,
l’insoddisfazione sul lavoro, il debole sostegno della gerarchia sono associate in maniera
significativa alle cervico-dorsalgie (rispettivamente OR=1.87; IC 95%: 1.35-2.58;
OR=1.62; IC 95%: 1.11-2.67; OR=1.67; IC 95%: 1.22-3.63). Mentre non sono associati in
maniera significativa alla comparsa di cervico-dorsalgie il debole spazio decisionale o la
mancanza di sostegno da parte dei compagni di lavoro.
Magnusson e coll. hanno valutato i fattori psico-sociali sulla base delle 5 domande del
modello di Bigos e concludono che nei due paesi (Stati Uniti e Svezia), fra gli autisti di
autobus vi è un apprezzamento dei propri superiori inferiore a quello che si registra fra gli
autisti su strada fra i lavoratori sedentari. Inoltre gli autisti di autobus svedesi sono meno
soddisfatti dei loro colleghi, dei loro superiori gerarchici e dei loro compiti di lavoro in
raffronto con gli altri gruppi svedesi, mentre tali differenze non sono presenti fra i
lavoratori statunitensi. Infine, in questo studio la variabile “stress” è l’unica ad essere
significativamente associata alle assenze per malattia (p<0.05). Questo studio non ha però
indagato l’associazione fra fattori psico-sociali e patologie muscolo-scheletriche.
In uno studio pubblicato nel 2005 Rugulies e coll. dimostrano, dopo aggiustamento
rispetto ai possibili fattori di confondimento che includevano le caratteristiche individuali,
la condizione dolorosa iniziale e l’esposizione ai fattori fisici, che il debole sostegno
sociale da parte della gerarchia e il ristretto margine decisionale sono predittivi della
comparsa di cervicalgie e delle lombalgie, anche se quest’ultime con un minore grado.
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Gli scorse del sostegno sociale (sostegno da parte del superiore gerarchico, sostegno da
parte dei colleghi, e sostegno totale) seguono una relazione dose-risposta significativa con
le cervicalgie, con una riduzione del rischio di cervicalgie rispettivamente pari al 7%, 6%
e 5% all’aumentare di un punto dello score di sostegno sociale (l’aumento dello score
corrisponde ad un maggiore sostegno sociale). Inoltre, le costrizioni psico-sociali che
associano ristretti margini decisionali e forti esigenze psicologiche sono associate in
maniera significativa al rischio di cervicalgie e seguono una relazione dose-risposta con
un aumento del rischio di cervicalgie dell’8% per un aumento di un punto dello score delle
costrizioni psico-sociali.
A completamento della valutazione dei fattori psico-sociali Krause e coll. hanno anche
valutato, attraverso uno specifico questionario composto da 19 domande, la frequenza di
problemi professionali fra gli autisti di autobus. Gli autori hanno calcolato degli OR che
permettono di confrontare le risposte alle domande fornite dagli autisti affetti da cervicodorsalgie e da quelli che non presentano detta patologia. I risultati rilevano una
associazione significativa fra le cervico-dorsalgie e 14 dei 19 problemi professionali
indagati con un aumento del rischio di cervico-dorsalgie all’aumentare della frequenza dei
problemi. Fra questi problemi figurano quelli legati alle dotazioni del veicolo, al numero
eccessivo di passeggeri, al difficile traffico stradale, alle aggressioni rivolte agli autisti o ai
passeggeri.
B. Chaudron e coll. insistono nel loro lavoro sul carico mentale degli autisti ed in
particolare sui comportamenti aggressivi ed imprevedibili degli utenti che vengono
considerati come la principale fonte di stress, senza valutare, però, il legame fra queste e i
problemi rachidei. Obblighi relazionali, stress e senso di insicurezza sono egualmente
ipotizzati al pari dei fattori ambientali ed organizzativi nello studio di Dartois e coll. che
concludono per una origine multifattoriale delle patologie muscolo-scheletriche insorte fra
la popolazione oggetto dello studio.
La valutazione del rischio per patologie muscolo-scheletriche dipende dal numero dei dati
epidemiologici disponibili e dalla loro qualità. Applicata ad un settore professionale
specifico, questa evidenza si confronta con un numero di studi epidemiologici che non può
che essere ridotto. Ma secondo i ricercatori dell’INRS i dati disponibili sugli autisti di
autobus sono numericamente sufficienti e di adeguata qualità per pervenire a delle
informazioni probanti per questo settore professionale.
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Della circa ventina di studi oggetto di valutazione ad opera dell’INRS ben 12 erano studio
epidemiologici. Sei articoli, di cui alcuni longitudinali prospettici, riguardavano lo stesso
campione di 1500 autisti di autobus. Gli studi prospettici mostrano un valore superiore a
quello degli studi trasversali (che forniscono l’immagine della situazione ad un momento
dato), e permettono la misura diretta dell’esposizione e della sua evoluzione prima della
comparsa della malattia e consolidano così, rispettando la sequenza temporale degli
accadimenti, la prova del legame di causalità fra esposizione e rischio.
Gli studi epidemiologici valutati prendevano in considerazione solo le seguenti patologie
muscolo-scheletriche: lombalgie, dorsalgie, cervicalgie e scapolo-omerali.
In nessun studio sono state indagate le patologie del sistema mano-braccio (ad esempio:
sindrome del tunnel carpale, epicondilite …). Ma questi studi, poi, hanno indagato
l’insieme dei fattori di rischio per patologie muscolo-scheletriche quindi sia quelli fisici
che biomeccanici che, infine, psico-sociali.
I 6 studi del gruppo di Krause, quelli di Bovenzi e di Dartois e coll. indagano unicamente
gli autisti degli autobus urbani. Mentre gli altri studi epidemiologici hanno interessato le
diverse tipologie di autista (autobus urbano, autobus extraurbano, camion, taxi).
Questo fa si che i dati oggetto di valutazione benché non riguardino solo gli autisti degli
autobus extraurbani debbano applicarsi prioritariamente a questa tipologia.
La lombalgia è il disturbo maggiormente studiato fra gli autisti di autobus. Gli studi
epidemiologici sono concordi sul fatto che si tratti di un mestiere a rischio per lombalgie.
In effetti lo studio longitudinale prospettico di Krause, che ha preso in considerazione un
periodo di oltre 7 anni, rileva una incidenza superiore all’8%, incidenza basata su dati
sanitari certi (esame clinico, studio delle cartelle sanitarie e delle richieste di indennizzo).
Lo studio epidemiologico longitudinale prospettico rappresenta un metodo robusto che
valida il dato della realtà del rischio di lombalgie fra gli autisti di autobus oggetto dello
studio. Gli articoli di Bovenzi e Magnusson che riportano i risultati di studi epidemiologici
di tipo trasversale condotti su popolazioni di lavoratori dipendenti di paesi o di regioni
diversi rafforzano i lavori di Krause.
Importante è la constatazione sulla sinergia dei dati disponibili ed anche della pertinenza
delle conclusioni che è possibile trarne. E’ dunque legittimo generalizzare all’insieme
degli autisti di autobus la realtà di questo rischio professionale. Benché non si disponga di
alcun studio epidemiologico sulla realtà francese, tuttavia i dati statistici dimostrano una
prevalenza elevata di lombalgie fra gli autisti degli autobus extraurbani coerente con i dati
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internazionali. Infine, i dati di Krause dimostrano che la latenza media di comparsa dei
primi sintomi è nell’ordine di 2,5 anni.
L’interessamento cervicale e dorsale è stato oggetto di un numero considerevole di lavori
anche se i risultati sono contrastanti. Risulta difficile, sulla base dei dati disponibili,
affermare la solidità del legame fra problemi cervicali e dorsali ed attività lavorativa come
conducente di autobus. E’ tuttavia possibile concludere per una presunzione forte di
rischio che deve essere confermata da ulteriori studi. Questa presunzione forte è fondata in
particolare sulla forza della relazione fra cervico-dorsalgie e fattori di rischio ergonomici
descritta da Krause. Una sorveglianza di queste due patologie muscoloscheletriche da
parte dei medici competenti diviene necessaria.
Tutta la documentazione citata può essere richiesta alla Consulenza Medico-Legale
Nazionale via e-mail all’indirizzo [email protected], [email protected]
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