Reductive Winemaking for White Wines

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Reductive Winemaking for White Wines
GIBSON R., VINIFICAZIONE IN RIDUZIONE - PARTE 1°: I PRINCIPI, PAG.1
VINIFICAZIONE IN RIDUZIONE DEI VINI BIANCHI – PARTE 1°: I PRINCIPI
Richard GIBSON – Scorpex Wine Services, Australia
La vinificazione in riduzione è una tecnica che ha trovato ampia diffusione in Australia e Nuova
Zelanda nella produzione di vini bianchi. I vini prodotti con il processo riduttivo sono normalmente
freschi ed intensi, con predominanza degli aromi varietali. In questi vini si evitano aromi secondari
come quelli introdotti dal legno, dalla malolattica o da un prolungato contatto con le fecce di lievito.
Questo stile è stato da alcuni definito “lo stile del Nuovo Mondo”, e si distingue nettamente da
quello adottato nei vini così detti “tradizionali”. E’ stato chiaramente dimostrato, tuttavia, che è
possibile produrre vini di questo stile utilizzando la stessa tecnologia in ogni paese del mondo. I
consumatori di alcuni mercati hanno mostrato una preferenza per il fruttato fresco e pulito dei vini
prodotti con la tecnica di riduzione, che è stata una delle componenti del grande successo ottenuto
dai vini australiani e neozelandesi in numerosi mercati.
La vinificazione in riduzione è divenuta popolare in Australia e Nuova Zelanda a seguito della
docenza di Brian Croser alla Charles Sturt University alla fine degli anni ‘70. Nel suo insegnamento
Croser poneva grande enfasi sull’espressione varietale delle caratteristiche delle uve nel vino. Da
allora, l’impiego della vinificazione in riduzione è diventata la tecnica preferita per varietà come
Riesling e Sauvignon blanc, ma è stata ampiamente utilizzata su varietà così dette “neutre” come
Chenin blanc, Verdelho e Colombard, ottenendo vini con caratteri distinti e che hanno avuto un
buon successo di mercato.
Per essere sicuri di capire la tecnica della vinificazione in riduzione, è bene accertarsi di avere ben
chiari i principi di riduzione ed ossidazione, misurabili attraverso il potenziale redox, che quantifica
la capacità di un materiale o di un mezzo di guadagnare elettroni. Si tara l’elettrodo a zero con
idrogeno gassoso e si misura usando il millivolt (mV) come unità di misura. Gli ambienti riducenti
hanno potenziale redox negativo, quelli ossidanti potenziale redox positivo. Nel vino normalmente
il potenziale redox ha sempre valori positivi, e varia da ca. +200 mV per un vino ridotto a ca. +400
mV per un vino aerato.
Durante la vinificazione in riduzione, l’obiettivo generale è quello di mantenere un basso potenziale
redox durante l’intero processo di produzione, dalla pigiatura al confezionamento, fino al consumo
finale. Anche se è bene considerare la possibilità d’intervento di sostanze chimiche ossidanti,
come ad esempio i sanitizzanti di cantina, la principale causa di aumento del potenziale redox in
un mosto o vino è il contatto con l’ossigeno dell’aria.
L’interazione dell’ossigeno dell’aria con il mosto o con il vino vede due fasi. Ogni volta che c’è un
contatto, l’ossigeno può dissolversi nel mosto o nel vino fino a raggiungere il livello di saturazione,
che è inversamente correlato dalla temperatura: a bassa temperatura è maggiore la quantità di
ossigeno che può dissolversi nel mosto o vino. Una volta entrato in soluzione, l’ossigeno può
reagire con i componenti sensibili del vino. La presenza di catalizzatori e di elevate temperature
può accelerare queste reazioni. Le sostanze sensibili si ossidano e contemporaneamente la
concentrazione di ossigeno disciolto nel vino diminuisce. Se il vino viene nuovamente messo in
contatto con l’aria, il ciclo si ripete fino a che tutte le sostanze ossidabili del mosto o del vino si
sono ossidate.
L’impatto dell’ossidazione sul vino bianco è ben noto: il colore del vino diventa bruno e in alcuni
casi rosato. Ma prima di arrivare a questa fase si assiste alla perdita dei caratteri di fruttato e
freschezza, specialmente quando gli aromi sono originati da sostanze ridotte come i tioli del
Sauvignon blanc. Inoltre, si formano composti secondari, come l’acetaldeide, che interferiscono
con l’aroma originario del vino.
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Nella vinificazione in riduzione, quindi, il nemico è l’ossidazione, contro la quale, tuttavia, abbiamo
a disposizione una serie di armi, che rappresentano quindi gli elementi base della vinificazione in
riduzione:
• Evitare il contatto con l’aria e gli agenti ossidanti
• Rimuovere l’ossigeno dal mosto o dal vino
• Rimuovere i catalizzatori dell’ossidazione
• Aggiungere antiossidanti
• Gestire la temperatura
• Misurare e controllare
Evitare il contatto con l’aria
In cantina, il mosto ed il vino devono essere mantenuti ben protetti dall’aria per prevenire la
dissoluzione di ossigeno. Le vasche utilizzate devono quindi permettere la creazione di una
barriera efficace. L’acciaio è l’unico materiale che offre sufficienti garanzie; le vasche devono
restare costantemente piene e le guarnizioni devono essere in buono stato per evitare l’ingresso di
ossigeno. Il generale l’area di contatto alla superficie del liquido deve essere minimizzata in ogni
fase e ricoperta di gas inerte (azoto, anidride carbonica o argon). Importante anche ridurre al
minimo le movimentazioni del vino (travasi, trasferimenti ecc.) per ridurre i rischi di contatto con
l’aria. Tutte le attrezzature utilizzate (pompe, tubature, filtri ecc.) devono essere ermeticamente
chiuse per evitare l’incorporazione di aria durante l’operazione.
L’imbottigliamento è un’altra fase delicata dove è necessario prevenire il contatto con l’aria. Il tipo
di riempitrice e le modalità del suo uso sono molto importanti. Lo spazio di testa della bottiglia non
deve contenere aria dopo che la chiusura è stata applicata: importante quindi anche la scelta del
tipo di chiusura o del materiale di confezionamento (nel caso di bag-in-box) che deve garantire un
minimo o nullo passaggio di ossigeno.
Evitare gli agenti ossidanti
Anche se la maggiore causa di ossidazione è il contatto con l’aria, ci sono numerosi materiali di
comune uso in cantina che possono entrare in contatto con il vino provocando ossidazioni
significative. Il contatto con residui di cloro, ozono e perossido deve essere evitato accuratamente
nella vinificazione in riduzione. Tra questi ossidanti il più pericoloso è l’idrogeno perossido che può
essere utilizzato per il lavaggio dei tappi di sughero, anche se tale evento è oggi abbastanza raro
grazie agli sforzi compiuti dai sugherifici per il miglioramento delle tecniche di lavaggio.
Rimozione dell’ossigeno
Se l’ossigeno entra in soluzione nel vino, può essere rimosso facendo gorgogliare nello stesso un
gas inerte (sparging): se l’operazione è effettuata tempestivamente dopo il contatto con l’ossigeno,
questo può evitare l’innescarsi delle reazioni ossidative ed evitare danni al vino. L’ossigeno in
soluzione diffonde nelle bolle di gas inerte e viene trasportato alla superficie per essere poi
disperso nell’atmosfera.
Rimozione dei catalizzatori d’ossidazione
Diverse sostanze possono aumentare la velocità di reazione tra l’ossigeno ed i composti sensibili
del vino: la loro rimozione può quindi essere utile nella gestione del processo in riduzione. Gli
enzimi come la polifenol-ossidasi e la laccasi sono i catalizzatori più forti. La polifenol-ossidasi può
essere controllata con l’aggiunta di solforosa. La laccasi richiede invece trattamenti termici: 70°C
per 30 secondi possono essere sufficienti ad inattivare la laccasi senza compromettere la qualità
del mosto.
Il ruolo dei metalli come catalizzatori delle ossidazioni non è pienamente compreso. Si sospetta
che il rame ed il ferro possano aumentare le reazioni di ossidazione in certe condizioni. Il rame è
uno strumento importante nella rimozione dell’idrogeno solforato nella vinificazione in riduzione e
la sua aggiunta deve essere quindi dosata accuratamente. L’impiego di materiali inerti come
l’acciaio per le superfici a contatto con il vino serve ad evitare la contaminazione accidentale con
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rame e ferro. Nel caso di livelli troppo elevati, c’è sempre la possibilità di intervento con il
ferrocianuro.
Aggiunta di antiossidanti
Parecchi composti utilizzati in vinificazione sono riducenti e possono quindi reagire con l’ossigeno
perdendo elettroni. Questi composti sono noti come antiossidanti e sono aggiunti al mosto e al vino
affinché reagiscano con l’ossigeno eventualmente passato in soluzione. Se la velocità di reazione
tra questi composti e l’ossigeno è sufficientemente rapida, quest’ultimo viene rimosso prima che
possa reagire con le componenti sensibili del vino. I prodotti della reazione tra gli antiossidanti e
l’ossigeno non hanno caratteristiche organolettiche negative. Reagendo con l’ossigeno, la
concentrazione degli antiossidanti tende a diminuire e si rende quindi necessario aggiungerne
nuovamente più tardi.
La solforosa è l’antiossidante più diffuso e viene ampiamente usato nella vinificazione in riduzione.
Essa reagisce con l’ossigeno formando solfato. L’acido ascorbico ed il suo isomero ottico, acido
eritorbico, hanno anch’essi la capacità di reagire con l’ossigeno formando perossido d’idrogeno
che può a sua volta reagire con la solforosa. Questa catena di reazione è più veloce della semplice
reazione diretta tra solforosa ed ossigeno. La funzione dell’acido ascorbico è quindi quella di
rendere più rapida l’azione della solforosa, ma ne è fortemente sconsigliato l’impiego in assenza di
dosi adeguate di SO2.
Anche il tannino può perdere elettroni e reagire con l’ossigeno. Tuttavia, in Australia e Nuova
Zelanda il suo impiego nella vinificazione in bianco come antiossidante non è diffuso.
L’acido ascorbico è stato oggetto di numerosi studi in Australia negli ultimi anni. Il lavoro di Peng et
al. (1998) ha mostrato che l’assorbanza a 420 nm (A420) viene incrementata in presenza di acido
ascorbico nei vini bianchi. Tale lavoro ha portato ad una certa prudenza nell’impiego
dell’ascorbico, ma nuove ricerche dell’AWRI hanno tuttavia dimostrato che, anche se l’A420 viene
incrementata in alcuni vini bianchi dopo un contatto con l’aria, la quantità globale di colore
percepibile a vista risulta inferiore. L’acido ascorbico sembra quindi agire evitando l’incremento
dell’assorbanza a lunghezze d’onda maggiori di 420 nm.
ml/litro O2
Ass. 420 nm
Il fenomeno è evidente nella figura, che mostra i risultati di una prova di aggiunta di ossigeno a
diverse bottiglie di vino aggiunto o meno di acido ascorbico. I colore e l’assorbanza a 420nm sono
stati determinati e comparati dopo 15 mesi. A bassi livelli di ossigeno aggiunti, l’A420 è risultata
maggiore nelle bottiglie con acido ascorbico, ma il colore percepito dalla vista non era diverso. Con
aggiunte di ossigeno più importanti l’A420 del vino senza acido ascorbico era leggermente
maggiore, ma il colore apparente era molto più intenso e bruno. Questo dimostra che l’acido
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ascorbico, anche se può non avere una significativa influenza sull’assorbanza a 420 nm, incide
positivamente sul colore dei vini bianchi proteggendoli dall’imbrunimento nel tempo.
Altri lavori hanno dimostrato che l’acido ascorbico è inoltre utile nel mantenere la freschezza e nel
prevenire caratteri ossidativi nei vini bianchi. Il grafico seguente riporta i risultati di una
degustazione tesa a quantificare il grado di ossidazione di vini bianchi, usando una scala da 0 a 9
(0 = nessuna ossidazione; 9=fortemente ossidato). I risultati mostrano che, a parità di A420, i vini
aggiunti di acido ascorbico vengono giudicati meno ossidati.
Punteggio degustazione per il descrittore “Aromi Ossidati”
6
5
senza
acido
ascorbico
4
3
2
con
acido ascorbico
1
0
0.09
0.1
0.11
0.12 0.13 0.14
Densità ottica a 420 nm
E’ bene insistere sul fatto che l’acido ascorbico forma perossido d’idrogeno quando reagisce con
l’ossigeno, prodotto intermedio destinato a reagire a sua volta con la solforosa se essa è presente.
In caso contrario, il radicale può reagire con i componenti sensibili del vino provocando la loro
ossidazione. E’ importante quindi che, all’aggiunta di acido ascorbico, ci si accerti della presenza di
almeno 10 ppm di solforosa libera.
In Australia, l’acido ascorbico si è rivelato particolarmente efficace nella prevenzione del così detto
“pinking” dei vini bianchi (comparsa di una tonalità rosa nel vino a seguito di una ossidazione).
Quando i risultati di Peng sono stati resi pubblici, molti tecnici australiani hanno cessato di
utilizzare acido ascorbico, ma l’annata 2000, nella quale sono apparsi numerosi casi di pinking
quando non si era fatto uso di ascorbico, ha fatto velocemente ritornare questi tecnici sui loro
passi.
La regolamentazione australiana permette indistintamente l’impiego di acido ascorbico o del suo
isomero ottico acido eritorbico, che ha le stesse caratteristiche tecnologiche.
Esistono infine antiossidanti biologici: le cellule di lievito sono potentissime consumatrici di
ossigeno durante la crescita ed anche alla fine della fermentazione: per questo motivo i vini
conservati sulle fecce (sur lee) hanno potenziale redox più basso.
Temperatura
La temperatura del mosto e del vino influisce sulla velocità e sulla quantità di ossigeno che passa
in soluzione e sulla velocità a cui avvengono le reazioni di ossidazione. A basse temperature, il
mosto ed il vino si saturano con maggiori quantità di ossigeno. Tuttavia, la velocità di reazione tra
l’ossigeno ed i componenti sensibili del vino è di molto inferiore che ad alte temperature. La
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migliore strategia per la vinificazione in riduzione, dunque, è quella di lavorare a temperature molto
basse evitando ogni contatto con l’aria.
Misura e monitoraggio
Di tutte le “armi” elencate, quella più importante è un costante rilevamento dello stato di
ossidazione del vino e della presenza di adeguate quantità di antiossidanti. Il potenziale redox è di
difficile determinazione e viene quindi raramente impiegato in pratica, anche se sarebbe la misura
probabilmente più diretta ed adeguata. L’ossigeno viene misurato di routine, sia in campioni portati
in laboratorio (con molte attenzioni) che direttamente in vasca, utilizzando ossimetri di precisione.
Le modalità di misura, che devono prevedere una totale mancanza di contatto con l’aria durante il
campionamento e la determinazione, devono essere messe in atto con accuratezza.
Anche la presenza di antiossidanti viene misurata con attenzione. La solforosa è analizzata
utilizzando il metodo dell’ossidazione/aerazione. L’acido ascorbico è determinato con titolazione
allo iodio. L’imbrunimento viene misurato con l’assorbanza a 420nm, ma è necessario fare
attenzione all’effetto dell’acido ascorbico come commentato in precedenza: tuttavia, se viene
rilevato un incremento nellA420, è già troppo tardi e le reazioni di ossidazione sono già avvenute
nel vino. Un collaggio con PVPP può eliminare il colore bruno, ma lo stile del vino è
irrimediabilmente compromesso.
Recentemente in Australia è stato sviluppato un sistema per misurare direttamente l’assorbanza
su bottiglie non aperte di vino bianco (Skouroumounis et al. 2003). Tale sistema può essere
utilizzato per comparare lo stato ossidativo di una popolazione numerosa di bottiglie in vari
momenti, ed è particolarmente utile nella valutazione della bontà di una chiusura.
Le misure accurate possono anche fornire informazioni utili quando vengono rilevate nei punti
critici della vinificazione e quando è possibile ottenere i risultati in tempi brevi: per questo molte
cantine australiane sono attrezzate con un laboratorio interno, ma anche un servizio esterno, se
celere ed efficace, può rispondere a questa esigenza.
Queste tecniche sono gli strumenti di base per la vinificazione in riduzione.
Nella seconda parte dell’articolo, si vedrà come questi strumenti vengono utilizzati nella pratica,
partendo dalle uve fino ad arrivare al consumatore finale.
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