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CAPITOLO V
LA COSTITUZIONE
SOMMARIO: 5.1. Definizione - 5.2 Aspetti contenutistici - 5.3. Costituzioni corte e Costituzioni lunghe - 5.4
Costituzioni e classificazioni in base al processo di formazione - 5.5 Costituzioni scritte e Costituzioni non scritte - 5.6.
Costituzioni flessibili e Costituzioni rigide - 5.7. Lo Statuto Albertino - 5.8. Il ventennio fascista - 5.9. Dal crollo del
regime alla Costituzione: il periodo costituzionale transitorio - 5.10. Caratteristiche principali della Costituzione italiana - 5.11. Il contenuto della Costituzione - 5.12. Attuazione della Costituzione - 5.13. Prospettive di riforma - 5.14. La
Costituzione ed il Diritto Costituzionale
5.1. Definizione
I significati che possiamo attribuire al termine “Costituzione” sono almeno due.
In una prima accezione, possiamo considerare come Costituzione l’insieme, più o
meno ordinato, di regole generali che una società si da per garantire i processi decisionali e stabilire la propria struttura. In questo senso, dunque, la Costituzione non è
necessariamente una “Carta” o un documento, non ha alcuna forma solenne, non è
necessariamente scritta e custodita. Anche le società primitive possiedono quindi, se
accettiamo questo significato, una Costituzione, poiché vi sono delle regole generali e
tendenzialmente immodificabili che regolano il vivere congiunto dei consociati; sebbene infatti tali regole debbano ricercarsi nelle antiche tradizioni, o nel volere attribuito
ad un Dio, senz’altro esse esistono e sono percepite come vincolanti.
In una seconda accezione, che però dovr emo presto specificare, si indica la
Costituzione riferendosi ad un documento che regola la vita di una società e che da
essa proviene, dotato di una forma solenne, cui si deve un rispetto particolare perché
ha la funzione di garantire a questa società, da un lato, un certo assetto organizzativo del potere politico e, dall’altro, dei limiti di forma e contenuto all’esercizio di tale
potere. All’interno di questa seconda concezione di “Costituzione”, che è sicuramente
la più vicina alla nostra, si dovrà tenere conto di una serie di possibili classificazioni, che
intervengono in ragione di uno o più criteri concorrenti. È quindi abbastanza comune
ricorrere al concetto di Costituzione per riferirsi non solo all’ “ossatura” di una società,
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ma anche ad un documento solenne dotato di un certo contenuto minimo, proveniente dall’ ordinamento di cui il documento stesso si occupa.
Proprio a proposito dei contenuti, possiamo provare ad introdurre alcune considerazioni. Un regime che praticasse quotidiani abusi nei confronti dei consociati, una
gestione totalitaria del potere politico, che impedisse sistematicamente la libertà di
manifestare il dissenso, ed in cui tutti i poteri fossero concentrati nelle mani di un soggetto unico, avrebbe una Costituzione? In altri termini, una società è dotata di
Costituzione a prescindere dai contenuti che essa esprime e dalle garanzie che fornisce
agli interessi ed ai diritti che tutela?
Appartiene alla nostra cultura l’idea per cui la Costituzione costituisce, in qualche
misura, e cioè in termini più o meno efficaci, un limite al dispotismo ed una garanzia
per i diritti dei consociati. Se, ad esempio, un gruppo di individui titolare del potere in
forza di un colpo di Stato armata abolisse il parlamento, rinunciasse ad indire nuove elezioni periodicamente, eliminasse gli oppositori con la forza e bruciasse i libri cui essi
affidano le loro idee, tutti avvertiremmo, pur potendo ovviamente non conoscere la qualificazione giuridica della situazione, che in qualche modo si tratti di pratiche non solo
odiose dal punto di vista etico, ma anche “vietate” dalla Costituzione, così come certe
altre condotte possono essere vietate dalla legge. Perché, in effetti, ed a ben vedere, la
nostra società individua nella Costituzione un contenuto minimo, riconosce cioè che
alcune materie sono costituzionali, e che possono essere regolate solo attraverso una
Costituzione.
Quanto detto sinora spiega, ad esempio, perché, secondo i rivoluzionari francesi del
1789, “qualsiasi società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei
poteri non è determinata non ha una Costituzione” (art. 16 Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo).
Se dunque una Costituzione (nel senso moderno del termine) vale a garantire le
separazione dei poteri, e quindi verosimilmente anche a stabilire i rapporti fra i titolari
di essi, così come vale a garantire i diritti dei consociati, allora essa è dotata di un contenuto minimo genericamente identificabile. Non può quindi limitarsi a “fotografare” la
situazione di una società, perché il suo contenuto è inevitabilmente prescrittivo. Una
Costituzione quindi, non è oggi, e per noi, solo un “estratto” dell’ esistente, ma anche in
qualche misura un “progetto” per il futuro che deve essere dotato di un certo grado di
effettività.
Tale carattere “progettuale” delle Costituzioni si giustifica anche con un semplice
riferimento storico: le prime Costituzioni sono emanante durante la stagione delle rivoluzioni liberali (americana e francese), altre Costituzioni vengono alla luce dopo i moti
ottocenteschi che ridisegnano la società politica e la struttura dei poteri, altre ancora nel
periodo seguente la fine della prima guerra mondiale. Da ultimo, le Costituzioni nascono alla fine della seconda guerra mondiale, in seguito alla caduta di un regime dittatoriale, ovvero, e sono questi i casi più recenti, in seguito al crollo del “blocco” sovietico.
Esiste quindi un legame, di cui possiamo tracciare i caratteri fondamentali osservando
la Storia e le “stagioni” del costituzionalismo, fra la scelta di un popolo di dotarsi di una
Costituzione e la portata politica di eventi bellici o sconvolgimenti dell’assetto interna-
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Le Costituzioni dunque, nel modo in cui noi tendiamo a percepirle, sono solenni
nella loro formulazione, contengono un progetto (più o meno realizzabile) per il futuro, nascono come “reazione” ad una lotta sanguinosa o alla sottoposizione a regimi totalitari e antidemocratici. Tutto questo potrebbe farci credere che le Costituzioni siano, in
sostanza, un documento di valore fondamentalmente politico, in cui i membri della
società civile “fissano” un progetto, così come un partito politico indica il suo programma ai potenziali elettori.
Ma è davvero solo questo il ruolo che una Costituzione ha nelle società moderne?
Come presto vedremo il giurista è chiamato a riconoscere alla Costituzione il valore di
una (fondamentale) fonte del diritto, e ciò implica inevitabilmente una serie di considerazioni ulteriori. La Costituzione come testo normativo, infatti, non può considerarsi solo un progetto che bisogna cercare di attuare finché lo si condivida, ma diviene anzi
un parametro di legittimità degli atti e delle azioni di chi detiene il potere politico.
Atti ed azioni che devono potersi confrontare con le indicazioni (rectius prescrizioni)
contenute nella Carta fondamentale e che, qualora le violino, devono ritenersi illegittimi. Il giurista dunque non può che considerare la Costituzione come una testo normativo, e dunque come un insieme di disposizioni da cui derivano norme con valore giuridico-prescrittivo, e non solo progetti o “buoni propositi” per il futuro: la Costituzione
quindi, non solo come “programma elettorale” della società civile, ma soprattutto come
insieme di parametri di legittimità degli atti di chi, all’interno di quella società, detiene
il potere.
Ovviamente, e ce ne renderemo conto molto presto attraverso il confronto diretto
con le disposizioni che formano la Costituzione, molto spesso il modo in cui una Carta
fondamentale è scritta implica una fatica interpretativa particolare per lo studioso di
Diritto Costituzionale, che dovrà individuare ed estrarre norme giuridiche da un testo
che (talvolta) ricorre ad un linguaggio ed una sintassi tipici della politica.
5.2 Aspetti contenutistici
La Costituzione dovrà quindi essere inevitabilmente considerata come un complesso di disposizioni da cui derivano norme giuridiche.
Abbiamo già visto come secondo la Dichiarazione dei Diritti dell’ Uomo e del
Cittadino il contenuto minimo di una Costituzione consista, da un lato, nel regolare
l’assetto della separazione dei poteri e, dall’altro, nell’indicare le garanzie dei diritti degli
individui componenti la società. Regolazione dei poteri dello Stato, diritti degli individui, limiti formali e contenutistici all’azione dei pubblici poteri, sono gli elementi
tipici, secondo la concezione classica del costituzionalismo liberale, di una Carta
fondamentale.
Ancora oggi del resto la materia di interesse intuitivamente costituzionale rimane
quella che indicava l’Assemblea Nazionale francese del 1789.
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5.3. Costituzioni corte e Costituzioni lunghe
Una prima distinzione che possiamo indicare già in questa fase e che riguarda
proprio i contenuti, dunque, è quella fra le Costituzioni c.d. corte e le costituzioni c.d.
lunghe. Le Costituzioni lunghe, come ad esempio quella italiana, si caratterizzano
proprio perché il loro contenuto, e dunque la c.d. materia costituzionale, esula da quel
“blocco” minimo cui si riferiva l’Assemblea francese, per andare a regolare una serie
potenzialmente molto ampia di settori del vivere associato. Quando quindi ci si riferisce ad una Costituzione come “lunga”, non si intende ovviamente riferirsi (o almeno
non direttamente) alla lunghezza materiale dell’ atto o al numero di articoli che lo compongono, ma piuttosto al volume di questioni che divengono, attraverso l’adozione della
Carta, materia costituzionale. Quasi tutte le Costituzioni formatesi nel secondo dopo
guerra sono costituzioni lunghe, come sempre accade quando il quadro sociale ed economico rappresentato dalla società si presenta frastagliato e dunque insuscettibile di
essere inquadrato efficacemente in poche indicazioni di massima. Per questa ragione le
Costituzioni lunghe si adattano meglio alla società contemporanea, poiché sono idonee
a garantire nel modo migliore le esigenze diverse e spesso contrapposte che normalmente rilevano nelle istanze sociali, culturali ed economiche della società dei giorni
nostri. D’altra parte, le costituzioni lunghe riflettono maggiormente la loro natura di
“patto”, di compromesso politico e sociale. La circostanza, infatti, che in esse si trovino regolati gli aspetti più vari del vivere associato è il riflesso di una situazione di confronto in cui, pur di addivenire ad un accordo, le varie componenti politiche sono disposte (o costrette) ad inserire “clausole di protezione” degli interessi di ciascuna.
5.4 Costituzioni e classificazioni in base al processo di formazione
A seconda del metodo utilizzato per formare la Costituzione, possiamo distinguere le Costituzioni ottriate (dal francese octroyè), quelle originate dal volere del
popolo, quelle federali, quelle imposte da una forza esterna.
Le Costituzioni ottriate, cioè concesse, sono quelle che un Sovrano, per l’appunto,
concede ai suoi sudditi. Si tratta di solito di costituzioni scritte, nelle quali il monarca
acconsente a limitare la propria sovranità relativamente ad alcuni settori nei quali
essa si esplica. Normalmente si tratta di Costituzioni “borghesi”, nel senso che i diritti
individuali riconosciuti dal sovrano riguardano principalmente gli interessi la cui protezione è domandata dalla classe borghese.
Sebbene tali Carte possano considerarsi fondamentalmente il risultato di una sorta
di accordo fra il monarca ed i rappresentanti del popolo (o di una porzione di esso), il
quantum di sovranità concesso rimane nella titolarità originaria del sovrano, il quale,
teoricamente, potrebbe sempre riappropriarsene. Nell’esperienza che ci riguarda più da
vicino, lo Statuto Albertino, di cui presto parleremo, è una costituzione concessa.
Diverse dalle Costituzioni ottriate sono quelle in cui il potere sovrano, che risiede
nel popolo, è da esso esercitato in modo più o meno diretto. In questi casi il potere
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costituente, quello cioè di dettare una Costituzione, è esercitato da una assemblea di
rappresentanti eletti dal popolo, che ad esso devono rispondere. Non di rado il testo
della Costituzione predisposto dall’ assemblea in questione deve poi essere confermato
da un risultato referendario positivo, e dunque da una consultazione popolare diretta.
La Costituzione vigente oggi in Italia è stata redatta da una Assemblea Costituente
composta da soggetti eletti dal popolo; lo stesso popolo che, con una scelta referendaria, aveva anche optato per la forma di Stato repubblicana.
Si consideri che, ad ogni modo, lo studioso di diritto costituzionale non è fondamentalmente chiamato ad approfondire le vicende che hanno determinato la titolarità del
potere costituente in capo a questo o a quel soggetto. È possibile che il titolare del potere costituente si auto-legittimi, è possibile che si imponga con la forza, è possibile infine che si affermi pacificamente secondo le regole dell’ordinamento che lo precedeva.
Anche al di là della considerazione che tali fattori sussistono spesso variamente combinati tra loro, essi sono per il nostro studio, sostanzialmente, irrilevanti. Il diritto costituzionale non si occupa infatti di come il potere costituente sia divenuto tale, ma di
come abbia “disegnato” l’assetto dei poteri costituiti.
Le Costituzioni federali sono invece quelle che nascono dall’ accordo di più autorità Statali o parastatali che convengono insieme (in sostanza si accordano) per limitazioni reciproche della loro sovranità e si impegnano dunque a rispettare le regole che
nascono dall’incontro delle diverse volontà. La Costituzione Europea, se mai si arriverà
a definirne una, potrebbe venire alla luce proprio come Costituzione federale.
In alcuni casi, tipici soprattutto dell’esperienza coloniale o imperialista, le
Costituzioni sono imposte ad uno Stato da una potenza esterna che, normalmente in
ragione di un dominio postbellico anche di tipo economico, ha assunto la sovranità su
un dato territorio e dunque esercita il potere costituente, almeno in relazione ad alcune
generali prescrizioni in ordine ai contenuti o alle procedure di adozione. Ad esempio, i
vincitori del secondo conflitto bellico mondiale imposero al Giappone la sua
Costituzione del 1947. In altri casi la Costituzione è imposta senza forza, ma su richiesta della comunità internazionale o dello Stato stesso cui si dovrà applicare: è questo il
caso, ad esempio, di alcuni territori che hanno vissuto i conflitti balcanici degli anni ’90.
5.5 Costituzioni scritte e Costituzioni non scritte
Riferendosi invece all’esistenza o meno di un testo costituzionale di riferimento,
si usa distinguere fra costituzioni scritte e costituzioni non scritte. Il fatto che in alcuni
(pochissimi) paesi, ad esempio nel Regno Unito, non esista una costituzione scritta non
significa assolutamente che alcune delle regole giuridiche presenti in quegli ordinamenti non debbano assumere valore costituzionale. È pur vero però che solo in paesi
con una storia particolarissima (e particolarmente caratterizzata da un percorso di eccezionale continuità politica) è possibile che si formi una Costituzione risultante dal valore consuetudinario e stratificato di atti diversi, emanati o promanati in tempi diversi e
riguardanti materie contenutisticamente anche molto differenti. La ragione per cui la
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maggior parte delle Costituzioni sono scritte è facilmente comprensibile: nel momento
in cui la Costituzione diventa un testo normativo, e non solo un progetto politico, diviene fondamentale la sua conoscibilità. Se la Costituzione infatti è una fonte del diritto si
presenta l’esigenza di poterne conoscere i contenuti attraverso l’esame di un testo determinato, certo, consultabile e conoscibile. Peraltro, non è questa l’unica ragione per cui la
Costituzione è normalmente intesa come un atto scritto, sussistendo, a ben vedere,
anche delle ragioni storiche. Se si pensa al percorso con cui si è imposto il “primo” costituzionalismo, si noterà quanto potesse essere ritenuto fondamentale, all’epoca, che i
diritti per cui tanto si era lottato e le concezioni della teoria dello Stato che finalmente
si era riusciti ad affermare, fossero “cristallizzati” e “fotografati” in un testo scritto che,
per quanto ovviamente soggetto all’ attività degli interpreti, risultasse idoneo a garantire un grado minimo di certezza delle conquiste raggiunte.
5.6. Costituzioni flessibili e Costituzioni rigide
È sufficiente che la Costituzione sia scritta perché, ad esempio, i diritti in essa
sanciti siano intangibili? Questa domanda ci permette di introdurre un altro criterio di
classificazione delle Costituzioni. Abbiamo già chiarito come il giurista debba necessariamente guardare alla Costituzione come ad un testo di natura normativa; chiediamoci adesso cosa garantisce che le norme contenute nelle disposizioni costituzionali siano
osservate da chi, detenendo il potere di porre nuove disposizioni, intenda sostituirle a
quelle costituzionali o dettarne di nuove in contrasto con esse. Proprio in relazione a
questo fenomeno, distinguiamo le costituzioni flessibili da quelle rigide.
Le costituzioni flessibili sono quelle che possono essere modificate in ogni loro
parte attraverso un atto normativo “comune”, “normale”; sono quelle cioè, che non
conoscono, in relazione alla revisione costituzionale, il ricorso a procedure aggravate. Lo
Statuto Albertino era una costituzione flessibile, e da tale sua flessibilità derivarono sia
l’uso “politico - maggioritario” che si fece del potere di revisionarlo (anche implicitamente) durante l’epoca liberale sia, durante l’epoca fascista, la facoltà di ignorarlo.
La grande conquista delle costituzioni flessibili, specie quelle emanate nel XIX secolo, è quella di segnare la fine dell’assolutismo dei poteri regi e di stabilire l’assoggettamento degli stessi alla legge. La principale garanzia, dunque, che tali costituzioni
stabiliscono è di tipo procedurale, incentrata cioè sulla necessità di “rompere” con il passato e di stabilire, per il futuro, che le norme giuridiche debbano formarsi attraverso lo
spiegamento di un iter regolamentato, e non più derivare semplicemente dalla pura
volontà del sovrano.
Diversamente, le Costituzioni rigide non possono essere modificate se non con atti
normativi particolari, adottati attraverso procedure differenti da quelle necessarie all’adozione di leggi ed altri atti normativi di rango primario (v. cap. 12). Ad esempio, la
Costituzione italiana, che è una costituzione rigida, detta all’art. 138 le regole di un procedimento particolare ed aggravato che è necessario rispettare per la sua revisione,
oltre che per l’adozione di leggi costituzionali. Non solo le Costituzioni rigide non pos-
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sono essere modifica t e, se non attra verso un procedimento part i c o l a re e diverso da
quello necessario per la legislazione ord i n a ria, ma anzi in re l a z i one ad alcune loro
parti sussiste un esplicito divieto di modifica. Ad esempio, s e c ondo l’art. 139 della
nostra Costituzione “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale”. Ol t re a questo limite, che è appunto esplicito, s e c ondo la dottrina e la
giurisprudenza della Corte costituzionale sussistono anche una serie di altre norme
contenute in Costituzione che determinano l’esistenza di principi supremi (Corte
cost. 1046 del 1988, sulla quale a m pl i u s si veda sub par. 5.10.) dell’ o rdinamento (il
c.d. zoccolo duro), e ch e, come la forma repubblicana, n on possono essere modifi cate. Una loro revisione infatti, più che rappresentare una modifica alla Costituzion e,
costituirebbe la cre a z i one ex novo di una diversa e rad i calmente nuova Costituzion e.
In altri termini, esiste un nucleo primario che è intangibile e che costituisce l’origine
delle linee fondamentali del sistema di valori pre s c ri t t o; m o d i fi care questo nucleo
fondamentale non sarebbe esercizio del potere di revisione costituzion a l e, ma eserc izio del potere costituente.
Le costituzioni ri g i d e,sebbene la prima di esse sia quella americana del 1787, sono
tipiche del costituzionalismo postbellico, in quanto idonee a garantire la sottoposizione della legge al “patto” fra le forze politiche e sociali che dovrà inform a re, c on i suoi
principi, l’attività futura dei detentori del potere politico. C onsiderando, poi, che la
maggior parte delle costituzioni rigide nasce pro p rio alla fine di un periodo di conflitto bellico si potrà facilmente intuire la loro vo cazione naturalmente antimaggioriata ria, e l’ a t t e n z i one che esse inevitabilmente pon gono a stabilire strumenti di partecipazione alla vita politica delle minoranze, così a lungo escluse durante le dittature.
Aver introdotto la distinzione fra Costituzione flessibile e Costituzione rigida ci
permette di sottolineare come, benché tutte le Costituzioni debbano considerarsi
testi normativi, certamente quelle rigide, disegnando per se stesse un ruolo particolare nella gerarchia delle fonti, pongano necessariamente il problema del controllo
sugli atti idonei a violare le prescrizioni che esse contengono. In altri termini, che
cosa accade se una disposizione di rango subcostituzionale viola una norma costituzionale?
Le Costituzioni rigide possono prevedere una serie di controlli diversi.
Innanzitutto di tipo politico, cioè affidati ad organi di rappresentanza politica, come
ad esempio com m i s s i oni parlamentari o vari organi super partes. Il con t ro llo può poi
essere di tipo pro fessionale - giuri s d i z i on a l e, cioè demandato a giudici e soggetti professionalmente competenti nella risoluzione di problemi giuridici. In tal caso il controllo può essere affidato, come ve d remo meglio al momento di studiare il nostro
modello di giustizia costituzionale (v. cap. 13), sia ai giudici comu n i , sia ad organi
accentrati ed istituiti per questa apposita e determinata funzion e. Pera l t ro, come avremo modo di chiari re, la scelta del modello (o dei modelli) di con t ro llo della rigidità
della Costituzione ra p p resenta un altro fondamentale criterio di classifica z i one delle
Costituzioni e degli ordinamenti, o l t re che il metodo principale di tutela della
Costituzione come fonte del diritto.