passato e memoria: ritenzione, ricordo

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passato e memoria: ritenzione, ricordo
PASSATO E MEMORIA: RITENZIONE, RICORDO, RIMEMORAZIONE E
RIFLESSIONE NELLA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICA
DI EDMUND HUSSERL
Sommario: 1. Passato e Memoria – 2. La Memoria come Facoltà di Ripresa – 3. La Ritenzione (o
ricordo primario) – 4. Il Ricordo – 5. La Rimemorazione – 6 La Riflessione
1. PASSATO E MEMORIA
Della memoria diremo anzitutto che non c’è da meravigliarsi, o meglio che c’è da meravigliarsi1. Così afferma
Plotino all’inizio della sua meditazione sul tema della memoria nell’ambito della conoscenza, da parte
dell’anima, delle cose sensibili e di quelle intelligibili. Il punto è che la memoria è tanto una attività
spontanea quanto un processo misterioso, che involge direttamente la questione della natura del tempo,
visto che una memoria c’è lì solo dove c’è il tempo2.
La memoria sembrerebbe presupporre un passato. Questo passato inoltre dovrebbe essere
percepito come “oggetto interno” della memoria (come la vita lo è del vivere), oggetto interno ed
esclusivo, perchè si può solo avere memoria di un passato e un passato, in più di un senso, si dà solo per
una memoria.
Perché però un passato si dia è necessario un atto di distinzione, di cesura, tale per cui qualcosa
cessi appunto di passare e venga colto, isolatamente, come un transito già compiuto, un passaggio
avvenuto, un decorso completo, esaurito nel suo senso, incapace di prolungare la sua azione.
Non è chiaro se ciò che chiamiamo passato, dunque, dipenda dalla speciale morfologia di questo
atto o se, diversamente, è questo atto a prendere forma in direzione di quel tempo che si assume come già
trascorso; o, ancora, in che modo l’uno sia la variabile semidipendente dell’altro.
Correlativamente al fatto che un flusso di tempo diviene passato, l’attività continua dell’io diviene
atto, cioè momento attivo singolare, non relazionato, capace di discontinuare il movimento dell’attività
per preformare, appunto, una nuova linea temporale. In questo senso, l’atto di ricordare qualcosa di
appena trascorso, ad esempio, va a cogliere ed isolare un momento, astraendolo dal flusso del presente
e, al contempo, va a delineare che da lì in poi un nuovo campo temporale è sorto. Questo nuovo campo
temporale non è semplicemente il presente ma, in modo più esteso e complesso, il presente del passato, il
presente del presente e il presente del futuro, secondo l’acuta terminologia introdotta da Agostino.
E’ evidente dunque che passato-e-memoria, derivano da una determinata concezione del tempo,
si forgiano, anzi, all’interno di esso come creature scolpite a partire dal flusso nel quale giacevano
annodati: l’uno come fenomeno (il passato) e l’altro come atto che vi si correla (la memoria)
necessariamente: giacché essi sono destinati ad emergere e a dileguare insieme nel tessuto mobile del
tempo.
Sfruttando le analisi di Husserl, specie presenti negli scritti e lezioni sulla Phänomenologie der
inneren Zeitbewustsein – e senza dimenticare gli apporti di Brentano a partire dallo scritto Von der Zeit - si
può tentare di delineare una fenomenologia sufficientemente chiara di cosa significhi avere una memoria.
2. LA MEMORIA COME FACOLTÀ DI RIPRESA
Memoria innanzitutto è un termine ampio che designa, ancor prima di un atto singolo, una
facoltà : essa anzi indica e comprende al suo interno diverse morfologie d’atto come: il ricordo, la
rammemorazione (o ri-memorazione) la ritenzione (o ricordo primario dell’appena trascorso) e la
riflessione, giacché anche quest’ultima – a parte i rilievi filosofico sistematici legati al metodo riflessivo –
è, nel suo senso primario, una forma di memoria.
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Plotino, Enneadi IV 6, 3, trad. it. Rusconi, Milano 1992, p. 721.
Cfr. Plotino, op. cit., IV 3 25.
1
Comune a tutte queste forme di atto è una certa costituzione del tempo interno sotto la qualità di
un tempo se non definitivo quantomeno definito. Questo tempo viene sottoposto ad una ripresa: non
viene cioè ripetuto, dato che il flusso originale così come il momento in carne ed ossa, non può
ripetersi, ma ripreso secondo la nota differenza formulata da Kierkegaard, e cioè inserito in nuovo
vissuto come nucleo o tema suscettibile di variazione. La ripresa non è solo semplice rivivescenza di
scaglie di tempo trascorso, ma la variazione di un nucleo già presente – che cioè si era già presentato una
prima volta, in modo originale. La variazione può esprimersi in modo articolato come vera e proprio
tentativo di riproduzione della cosa (e quindi avvicinarsi asintoticamente sino al limite mai raggiungibile
della ripetizione) con tutte le ulteriori variabili, appunto, dell’errore, del difetto, dell’aggiunta o aumento
iconico, della deformazione di immagine, del cambiamento di prospettiva etc., prendere la forma della
ripresentazione, quando un vissuto tende cioè a ripresentarsi per intero a partire dai presupposti teoretici,
emotivi, valutativi etc. che lo hanno costituito, o attestarsi come vera propria immaginazione,
creativamente rielaboratrice, assemblatrice, scompositrice, di contenuti liberamente tratti da un deflusso
temporale.
Seguendo la distinzione operata da Husserl tra pura opera della fantasia (reine Phantasierung) e
immaginazione, si può dire che la memoria può riplasmare il fantasma del tempo, ma non costituisce
una pura azione fantastica: non associa liberamente forme, né astrae immagini isolate dal contesto, ma
associa e dissocia contenuti già costituiti una volta, in nuova sintesi.
La memoria è questa facoltà di sintesi, a vario titolo riproduttiva, ripresentativa immaginativa.
Essa si costituisce come vero e proprio atto – e, dunque, atto di sintesi – entro l’attività della coscienza
interna del tempo. Essa va a riprendere non solo nel senso del recupero ma nel senso di una
continuazione, specifica, dell’apprensione: come un movimento, all’interno del prendere e
dell’apprendere, rispetto a un qualcosa, che, al pari della coscienza, scorre via.
3. LA RITENZIONE (O RICORDO PRIMARIO)
Husserl come già Agostino, ha tentato di discoprire il tessuto del tempo interno adottando,
come è noto, il metodo dell’epoché, attuando cioè un sistematico annullamento del tempo del mondo
(tempo cosmologico) a favore del tempo della coscienza (tempo fenomenologico): una volta annullato
o meglio disinserito (nel senso dell’Ausshaltung) il tempo del mondo dal metodo di ricerca, ciò che
rimane è solo il fluido succedersi dei vissuti temporali della coscienza. Da questo flusso infinito di vissuti,
Husserl tenta di mostrare la via di una vera e propria ricostituzione del tempo oggettivo.
Appare subito chiaro che se il tempo tende a co-incidere con il flusso della coscienza attraverso
i suoi atti e i suoi vissuti, è difficile tentare di configurare tempi ulteriori rispetto, appunto, al presente
corrente. Per il passato e la memoria, Husserl non a caso inizia la sua indagine proprio da questo presente
che scorre al ritmo dei vissuti di coscienza e che Husserl a volte denomina Lebendige Gegenwart, presente
vivente. Il primo passo è quello di individuare l’atto che la coscienza adotta nel momento in cui si
rivolge quasi verso ciò che non appare più inserito nel flusso di coscienza e che, dunque, non più
imminente ad esso, tende a mostrarsi come una trascendenza o, quantomeno, tangenza rispetto al
presente: cioè quando la coscienza si rivolge quasi verso il passato. La prima forma di memoria, per
Husserl, sul solco delle analisi già compiute da Brentano, è la ritenzione, intesa come, il ricordo di ciò che
scorrendo è appena passato, o meglio, come il ricordo di ciò che sta passando ora. Esso è un ricordo
primario, fresco, un vero e proprio vivido prolungamento della percezione presente e, al contempo, un
primo scolorire dell’impressione appena avuta. L’esempio di Husserl, che molti altri filosofi da Hume a
Hegel fino a Brentano appunto in precedenza avevano analogamente utilizzato, è quello della musica:
allorché noi ascoltiamo un oggetto temporale come una nota musicale (dotato evidentemente di
vibrazione, ondulatorietà e successione) ne tratteniamo per così dire l’impressione affinché, mentre
ascoltiamo già il suono successivo, abbiamo ad esempio l’idea di una melodia. E’ chiaro che il suono
che ascolta ora e poi ora e poi ora si succede sempre: ed è questa l’”ora”, la punta attuale del presente
che scorre sempre. Tuttavia, resta nello stesso presente anche l’ascolto del suono precedente e di quelli
ancora dopo, lungo una scia simile, dice Husserl, a quella di una cometa. La ritenzione è proprio la coda
di cometa: il ricordo del presente appena corso e che continua, però, a correre. In ogni ora, avviene una
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associazione temporale tra la nota musicale, le note precedenti e quelle che stanno per arrivare attraverso
l’attività di una coscienza posta in ascolto. Il flusso dunque non è lo scorrere di pure apparizioni ma un
annodarsi continuo di atti, tempi e cose nell’indivisibile impasto di un vissuto, appunto, temporale.
Già dallo schema di Brentano presente nel suo scritto Von der Zeit, si evince che è il flusso di
associazione temporale preminente nella ritenzione interviene primariamente tra un presente mobile e
un passato che sprofonda, gradualmente, a partire da “ora”:
V = Vergangenheit (passato)
G = Gegenwart (presente)
V V1 V2 V3 G
J = Jeztz (ora)
V-G = Ritenzioni
V-J = Sprofondamento
V-G-J = Proterestesi
G-J = Attualità / Istante
J
L’asse verticale, come si può vedere, esprime la tensione tra l’ora (Jetzt) e il presente (Gegenwart);
dall’ora, parte la linea obliqua che si unisce alla orizzontalità del presente in un punto (V): il quale, però,
è costantemente passato: è un presente passato, ancora trattenuto da un atto di coscienza, da un raggio di
attenzione o da una tensione e reso, dunque, attuale; Husserl, come è noto, lo denomina “ritenzione”. La
ritenzione è l’appena passato che viene ritenuto, appunto, come tuttora presente, come, in una melodia,
viene trattenuto il suono appena corso via nel presente dell’attuale sonorità affinché si abbia una
estensione della percezione musicale. La ritenzione ha dunque in senso letterale il carattere del tuttora
presente: di una integrazione dell’ora e una sua moltiplicazione o dislocazione in molti punti, tale per
cui, il presente si allarga divenendo un campo di triangolazione tra tempi pur diversi e vissuti pure
difformi, associati insieme.
La linea (V-G) rappresenta, dunque, gradualmente, la traiettoria di un accaduto che ancora accade, di
ciò che sta accadendo come continuum della ritenzione, direbbe Husserl3. Lì il passato è strettamente un
presente del passato nel senso stretto del genitivo soggettivo: il passato è del presente, è la coda di
cometa (Kometschein) del presente.
L’intero triangolo esprime il flusso concatenato dell’atto: nel senso di Brentano, una proterestesi4.
In questa, l’accaduto si dilata retrocedendo via via, sulla stessa linea, ma con una differente qualità d’atto,
verso il passato: ogni sezione triangolare — ad es. V2, G, J —, sorregge la singolarità negativa e discreta
dell’istante: essa, potremmo dire, è una porzione di un tempo già associato e, al contempo, di
un’associazione superata. Ogni volta, infatti, la cucitura interviene tra l’ora e il Presente-Passato, anzi sulla
linea divisoria stessa di presente e passato (presente-passato e passato-presente), sul limite asintotico tra
percezione e ritenzione, tra prensione diretta e apprensione dilatata, indiretta o laterale, che già tende a
diventare ripresa.
Nel seguire un movimento, il passato è in atto, così come il presente è già sprofondato e l’ora li
irradia entrambi, nel flusso, che, per essenza sua propria, non può far altro che continuare.
Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein., cit., §10, trad. it., cit., pp. 64-66.
In una nota ricavata dal curatore da una lettera che Brentano inviò a Marty il 10 marzo del 1906 (Cfr. F. Brentano, ibidem,
nota a p. 77), Brentano spiega il grafico nel seguente modo: “La J in basso, con i raggi, sta per ciò che si manifesta
internamente nel modo temporale dell’ora. Ogni vedere, anche il vedere come passato, si manifesta come presente, altrimenti internamente
non si manifesterebbe nulla. L’accaduto però, rappresentato dalla linea superiore V3-G si manifesta in diversi modi del
passato e nel modo presente. Se anche si manifestasse un aver visto, questo sarebbe di nuovo dotato di un modo temporale
determinato e sarebbe diretto a qualcosa di primario in diversi modi del passato. Come un aver visto, si manifesterebbe
anche un essersi ricordato dell’aver visto, e così via all’infinito. Si perverrebbe ad infinite dimensioni. Di queste l’esperienza
non ne mostra neanche la minima parte. Internamente notiamo quindi solo il punto temporale presente. Questo però
sembra manifestarsi in base alle circostanze: di solito, contemporaneamente come punto iniziale e finale. Al primo sguardo,
queste sembrano cose sorprendenti e paradossali, tuttavia, esaminate da più vicino, possibili e, da un altro punto di vista,
anche necessarie”.
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Per cui il passato in quanto passato non è, entro questa attualità , visibile5: ogni punto irradiato
dall’ora è sempre presente; e il presente, a sua volta, non è mai ora. L’estremità, segnata da Brentano
con V (Vergangenheit), non segna il passato, ma solo una tendenza dell’ora verso la trascendenza del
passato che è sempre oltre la figura6. E’ il presente che passa, o il presente che è un lungo passaggio,
quello che viene dunque rappresentato in V-G. L’asse obliquo V-J è l’asse che Husserl denomina dello
“sprofondamento”.
Husserl, in uno scritto del novembre 1911, così riformula lo schema7:
serie degli “ora” (sempre nuova vita)
AE = serie dei punti “ora”
AA1 = sprofondamento
EA = continuum di fase
(punto ora con orizzonte di
passato)
PE = serie degli ora
eventualmente riempita con
altri oggetti
APE
A1
Sprofondamento nel passato (linea della
morte)
L’associazione originaria che si instaura, non è né di tipo meramente psicologico, giacché non è
possibile confondere e sovrapporre la durata della percezione con la percezione della durata8, né riguarda
unicamente le diverse intensità con la quale qualcosa viene percepito dalla coscienza: termini
dell’associazione sono sia l’atto (ad esempio l’ascolto di un momento musicale), che il contenuto
dell’atto (la melodia appresa), che la cosa perduta nel movimento (la singola nota musicale che ha
smesso di vibrare); sono tutto ciò che costituisce la linea del tempo con tutto ciò che la nega e la fa svanire, in ogni
istante.
Sotto questo profilo, Husserl critica la nozione di associazione originaria discussa da Brentano.
Nella lettura che almeno ne fornisce Husserl, secondo Brentano l’associazione consiste nel “costante
collegamento di una rappresentazione temporalmente modificata a quella già data”9. In questa
concezione, obietta Husserl, non si farebbe distinzione “tra atto e contenuto, in particolare, tra atto,
contenuto apprensionale, e oggetto appreso”10.
Vi sarebbe dunque un atto modalmente generico, la rappresentazione, e un contenuto primario
della percezione al quale si allaccerebbero continuamente “fantasmi e ancora fantasmi, di contenuto
qualitativamente identico, soltanto di intensità e ricchezza via via decrescente. Parallelamente, la fantasia
vi aggiungerebbe un nuovo momento, quello temporale”11; eppure noi, obietta Husserl, “non troviamo
Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6 e §10, trad. it, pp. 55-56 e pp. 63-64.
Come vedremo meglio più oltre, il passato è trascendente, nel senso che esso trascende il presente essendone, a sua volta,
sorpassato: si potrebbe dire, sfruttando teoreticamente alcune analisi di Schelling, che esso, per poter essere passato, deve
essere deciso, in un nuovo superamento, che il presente, per poter essere passato: cfr. Schelling, Die Weltalter, cit., p.259, trad.
it. cit., pp.97-98.
7 E. Husserl, Zur Phän. der inneren Zeitbewusst., cit., p. 365, trad. it. cit., p. 351.
8 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §3, trad. it. cit., §3, in particolare p. 50, dove Husserl critica
severamente gli psicologi che, prima di Brentano, si sono affannati inutilmente a reperire la fonte autentica della
rappresentazione del momento temporale: per essi, infatti, scrive Husserl, “lo stimolo esterno, in base alla forma dei processi
fisici susciterebbe la qualità, in base alla loro forza viva, l’intensità e, grazie alla sua propria persistenza, la sensazione
soggettiva di durata. Ma questo - afferma Husserl - è un errore palmare. Per il fatto che lo stimolo dura, non è ancora detto
che la sensazione venga sentita come dotata di durata, ma solo che anche al sensazione dura. Durata della sensazione e
sensazione della durata sono due cose diverse”.
9 E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §3, trad. it. cit., §3, p. 51.
10 E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 54.
11 E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, pp. 54-55.
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caratteri temporali, successione e durata, soltanto nei contenuti primari, ma anche negli oggetti appresi e
negli atti apprensionali. Un’analisi del tempo limitata a uno strato non è sufficiente: essa deve percorrere
tutti gli strati della costituzione”12.
Questo comporterebbe, quindi, che l’associazione non sia né una semplice associazione di tempi
diversi, simultaneamente o sinteticamente presenti, né un’associazione di contenuti percettivi ai quali si
imputerebbe, di ora in ora, un tempo diverso; questo comporterebbe che essa non sia cioè, una
associazione di segni temporali riferiti a qualcosa13.
Questa critica, per quanto condivisibile, e che mira ad esaltare l’importanza del carattere d’atto
(Aktcharacter) per la costituzione del tempo, non annulla il senso profondo dell’associazione necessaria
di cui l’atto stesso è espressione morfologica; essa semplicemente intende affermare che la forma del
tempo non è riducibile né al contenuto temporale preso in sé, né ad un complesso di elementi materiali che
si assocerebbe a questo contenuto temporale14.
La ritenzione in questo senso non è una cosa in fase di passaggio che viene trattenuta dallo
sforzo dell’io né un modo dell’io di rivolgersi all’appena passato: sia il movimento della cosa che il
flusso dell’io sono associati nell’atto di una coscienza che si costituisce nel modo e nel senso del tempo.
4. IL RICORDO
“Il ricordo (Erinnerung) – scrive Husserl – è un flusso costante”, nel quale “ogni nuovo reagisce
sul vecchio”15. A differenza della ritenzione in cui l’appena passato è tuttora presente e il presente
sprofonda lungo la linea obliqua dell’ora, nel ricordo c’è un vecchio e un nuovo: un contenuto si è già
distaccato, dunque, definitivamente dalla melodia continua, che la coscienza stava ascoltando. Il nuovo
è l’ora che, assumendo un nuovo vertice del tempo, reagisce sul vecchio facendolo apparire dunque,
definitivamente sprofondato nel non-più nuovo. Il vecchio si è distaccato infatti come immagine16
prodotta dal nuovo per acquisire una singolare autonomia.
Ciò implica che qualcosa come un passato sia stato posto rispetto a un presente che, per quanto
allargato ed ipertesteso verso il quasi-passato e l’anticipa to-futuro, non lo contiene più. Husserl ricollega
il passato all’esperienza dell’alterità (ad esempio nella V Meditazione Cartesiana e in molti passi specie
dell’ultimo volume Zur Phänomenologie der Intersubjektivität). Il passato, dice, è “l’altro in me”. Esso
conduce ad una alterazione profonda, al limite della estraniazione, tale da costringermi ad entrare in
comunità con me stesso (Gemeinschaft mit mir) come prima forma di comunità originaria per far
comunicare tempi altrimenti inconciliabili. Un altro tempo, a cui sono rimasti associati l’io, l’atto
trascorso e la cosa, si staglia in modo semi-indipendente. La sua variazione non è più quella fluida del
presente vivente che si slarga connettendo sempre nuovi ora alla linea del passato nella protensione con
il futuro. Il vissuto, l’Erlebnis, non è più un momento dell’Erlebnisstrom, del flusso continuo dei
vissuti. Ha perso per così dire la sua appartenenza alla tensione primaria dell’io-verso-le-cose, del cogito
verso il cogitatum qua cogitatum. E’ fuori dal gioco d’orizzonte. La coscienza apprende l’alterità
interna, l’intima alterazione, nel momento in cui cessa di ritenere la cosa al modo di una coda di cometa,
e la va a cogliere come autonomo contenuto saltando fuori dal flusso, in un momento che però
E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 55.
sebbene con qualche passaggio forse discutibile, espone il punto in modo chiaro, preparando la differenza tra
ritenzione e ricordo o tra presente vs. passato e passato n senso proprio, trascendente rispetto all’attualità della coscienza:
“Da dove ci viene l’idea del passato? L’esser presente di un A nella coscienza, con in più l’annessione di un nuovo
momento, e chiamiamolo pure momento del passato, non basta a spiegare la coscienza trascendente “A è passato”. Non
riesce a darci la più lontana idea del fatto, che ciò che io ho adesso come A nella coscienza, col suo nuovo carattere, sia
identico a qualcosa che adesso non è nella coscienza, ma lo è stato. Cosa sono dunque i momenti ora vissuti della
associazione originaria? Sono forse tempi essi stessi? Allora arriviamo alla contraddizione: tutti questi momenti ci sono
adesso, sono racchiusi nella stessa coscienza d’oggetto, sono dunque simultanei. Eppure la successione temporale esclude la
simultaneità. Forse che essi non siano i momenti temporali stessi, ma piuttosto dei segni temporali? Ma innanzitutto, con ciò
abbiamo solo una parola in più, e la coscienza del tempo non è ancora analizzata” (Husserl, Zur Phänomenologie der inneren
Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 55).
14 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 56.
15 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit.., p. 411, trad. it. cit., p. 85.
16 Cfr. E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit.., p. 414, trad. it. cit., p. 89.
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13Husserl,
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appartiene ugualmente al flusso, in modo profondo e remoto, come sua lontana premessa: l’altro in me
presuppone il me rispetto a cui l’altro è momento costitutivo. La Gemeinschaft mit mir, dunque, avviene in
virtù di un primo momento analogico anche se in senso antepredicativo: io mi rapporto al vissuto dentro
cui io stesso sono implicato come quell’io che, ad esempio, ha notato quella casa laggiù, già un’altra
volta.
Qui la costituzione della coscienza interna del tempo si spinge oltre: il vissuto passato, pur se
fuori dal flusso del presente vivente, fuori anche dal presente-passato di cui la ritenzione è atto
rivelativo, fa parte pur sempre del tempo.
Nell’atto di ricordo, è come se si dicesse che, come osservò Aristotele, “dal momento che gli
istanti sono del tempo, anche il “prima” e il “dopo” saranno nel tempo”17.
Ciò significa che nel ricordo questo altro-in-me viene temporalizzato, cioè viene scandito come un
altro prima di me ma continuativamente appartenente a me allo stesso modo in cui un verbo appartiene
al soggetto o, appunto, il prima è solo in relazione al poi. Nel ricordo dunque viene “presentificato”
qualcosa, laddove “presentificare” afferma Husserl, significa rendere presente, da parte di una coscienza
secondaria, il contenuto di una coscienza primaria, la quale non è a sua volta una presentificazione ma
una impressione, che, in ultima analisi, nel suo punto originario (Quell-Punkt) è impressione del tempo
stesso18. La presentificazione presuppone quindi una impressione19 e questa una impressione originaria
(Urimpression) del tempo, cioè l’impressione di una coscienza che, fluendo, si dirige verso un oggetto
temporale associandovisi in modo irreversibile.
“Ricordo non vuol dire, quindi, ricordo di una precedente percezione”20: ricordare non è
percepire di aver percepito. Sebbene la percezione sia implicata nel fatto ricordato, ciò che si ricorda è
invece il fatto, cioè l’oggetto di una impressione. L’impressione infatti a differenza della percezione si
caratterizza per il suo contenuto e non per l’atto di coscienza: detto altrimenti l’impressione è passiva,
poiché subisce, appunto, il manifestarsi di un contenuto: il contenuto preme dentro (nel senso proprio
dell’Eindruck) all’atto percettivo, valutativo, estetico di una coscienza. Dunque, il ricordo è la ripresa di
una impressione: ripresa di una passività di cui, al momento della sua attualità, non si aveva
propriamente coscienza: lì la passività infatti era atto. La coscienza primaria dell’impressione infatti è una
coscienza irriflessa o non-riflessa, di qualcosa. Si è coscienti di qualcosa ma non si è coscienti di esserne
coscienti: il ricordo, in questo senso interviene come coscienza secondaria capace di saldare
l’impressione in nuova percezione. Questa nuova percezione interviene sulla vecchia impressione per
renderla cosciente della cosa di cui era solo passivamente edotta .
Tuttavia non si deve pensare che il ricordo derivi dall’impronta o impressione depositata da
qualcosa. In questo senso vale ancora la critica istruita da Plotino21: il ricordo non è una operazione di
rinvenimento passivo di un’ulteriore passività; non è cioè il riconoscimento di una impronta, quanto
piuttosto una forza che va a riprendere l’impressione lasciata dall’impronta lì dove essa può permanere: ed
essa impronta può permanere solo quando il tempo che vi era associato si rivelato essere un mutamento.
In questo senso il tempo proprio del ricordo, non è propriamente il passato, ma il tempo di un
avvenuto mutamento. Questo tempo è sempre altro-in-me, esprime sempre una alterazione profonda. Ma
non è propriamente localizzabile. Di certo si tratta di un tempo definito, a tal punto da potersi
presentare appunto come altro come diverso e dunque determinato rispetto al presente aperto e vivente.
Così, ad esempio, Husserl definisce il dovere (o il senso del dovere) come una sorta di Vorerinnerung, di
ricordo del futuro. Ma ciò perché il futuro, nel dovere, è stato assunto e anticipato (similmente al modo
passivo dell’impressione) come un passato, come un qualcosa che già sussiste in quato appunto deve
essere realizzato, perdendo tutta la carica di indeterminazione propria dell’avvenire. Il contenuto del
dovere, infatti, è come se fosse già stato realizzato, come se già avesse determinato un mutamento e
Aristotele, Fisica, IV 14, 223a, trad. it. cit., p. 233.
Cfr. E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p. 442, trad. it. cit., p. 114. Cfr. §19, 78: “presentificazione è l’opposto
di atto offerente nell’originale, nessuna rappresentazione può ‘scaturire’ da essa.”. Cfr. §20, 80: “...presentificare è qualcosa di
libero, è un libero percorrere, e possiamo usare della presentificazione ‘più rapidamente’, o ‘più lentamente’, più chiaramente
o esplicitamente o più confusamente, fulmineamente e in un colpo solo o per passi articolati, ecc.”.
19 Cfr. spec. Husserl, Zur Phän. der inneren Zeitbew., cit., §19, p.45, trad. it. cit., p. 78.
20 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p.415, trad. it. cit., p. 88.
21 Cfr. Plotino, Enneadi, IV 6 3.
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prodotto gli effetti voluti. Parimenti, sotto questo aspetto, anche la contemplazione è già una specie di
ricordo di ciò che è ora, una specie di ricordo del presente22; così come, allo stesso modo, avrei un
ricordo del presente, secondo Husserl, qualora, in base a precedenti percezioni, io mi rappresenti “un
che di presente come qualcosa che è adesso, senza averlo davanti a me in carne ed ossa”23.
E’ dunque qui la qualità dell’atto di ricordare, come quella qualità di presentificare qualcosa che
non c’è in carne ed ossa ma pur esiste come contenuto di una impressione primaria o in forma passiva
(così nel dovere, come nella contemplazione), che costituisce il tempo nelle forme particolari del
passato: passato del futuro nel caso del dovere e passato del presente nel caso della contemplazione. Il
passato, dunque, in questa prima linea di significato, rappresenta il sorgere di una coscienza secondaria,
nuova, che reagisce sulla coscienza primaria la quale, dunque, diventa altra.
Il ricordo è dunque la ripresa di una alterità abbandonata e per questo, seguendo sempre la
distinzione di Kierkegaard, esso, a differenza della ripetizione che invece consiste nel ripetere qualcosa
un’altra volta secondo lo schema del noch einmal, può produrre infelicità; giacché questa alterità, pur
essendo mia e per quanto la possa riprendere ed accomunare a me, è, appunto, irripetibile24.
5. LA RIMEMORAZIONE
Con la rimemorazione (Wiedererinnerung) non si ricorda l’evento ma si ripercorre il percorso che,
via via, ha condotto sino all’evento; non si salta dunque fino al momento passato per coglierlo o
lasciarlo affiorare, ma ci si posiziona all’inizio della strada che, a partire da un punto, ha condotto verso
l’orizzonte di un altro punto del tempo. Vi è dunque un rapporto di genesi temporale tra un inizio e un
orizzonte della memoria nel passato.
Nella rimemorazione, in altre parole, viene riprodotto, per Husserl, attraverso il ricordo, l’antico
presente, che nella sua fluidificazione, ha condotto la coscienza, lungo tutte le sue intenzioni protese
verso il futuro, fino a questo qui ed “ora”: al mio attuale presente vivente. Essa è, dunque, una
riproduzione di qualcosa in tutta la sua durata e in tutta la sua successione. Se, infatti, come afferma
Husserl, “ogni ricordo contiene intenzioni di aspettazione il cui riempimento conduce al presente”, la
rimemorazione, che è ripresa anche di tali aspettazioni, ha “un orizzonte rivolto al futuro, e
precisamente al futuro di ciò che è rimemorato, che è un orizzonte determinato”25. Essa è un recupero
dello stesso punto di partenza da cui è scaturita la curva continua di un tempo26: un ridisegnare la linea di un
inizio e di una conseguenza, lì da cui sono affiorati e retrocessi i versi di una singolarità27.
In questo senso la rimemorazione è essenzialmente riproduttiva. Husserl la definisce anche una
“replica”. La rimemorazione, infatti, riproduce ed identifica quelle intenzioni che, essendo state
adempiute, hanno costituito la materia del flusso temporale lungo cui l’io ha navigato fino al presente.
Essa, costituendo un ricordo su un ricordo che è già secondario (il ricordo primario è invece la
ritenzione), ponendosi cioè come memoria di terzo grado, è ripetizione dell’oggetto e ripetizione di
tutte le diramazioni ad esso connesse. Ripercorre la strada verso l’oggetto ricordato per identificarlo e,
al contempo, per identificare la strada stessa: per far questo è come se riportasse sulla strada, in modo
retroattivo, tutti i contenuti che hanno riempito le intenzioni presenti nel momento ricordato. Dato che,
infatti, “le intuizioni di passato —sostiene Husserl— si riempiono necessariamente col produrre
connessioni di riproduzioni intuitive”28, la retroazione, cioè il riempimento a ritroso dello sforzo
intenzionale, è “necessaria a priori”.
Cfr. Leibniz, Nuovi Saggi sull’Intelletto Umano, in Opere II, Torino 1968, pp. 268 e ss.
E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p.415, trad. it. cit., p. 90.
24 Cfr. Kierkeggard, La ripetizione, Rizzoli, Milano 2000, pp. 12 e ss.
25 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p.411, trad. it. cit., p. 84.
26 Cfr. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., §20-23, pp. 48 e ss., trad. it. cit., pp. 80-83.
27 Continuando, infatti, la disamina sul ricordo quale presentificazione libera di una stessa cosa, Husserl, con significativo
avversativo, introduce la differenza con la rimemorazione: “Ma se ritorno sempre di nuovo allo stesso punto di partenza e alla
stessa serie di istanti, questo medesimo punto di partenza risprofonderà, a sua volta e continuamente, sempre più in là”
(Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit.,p.48, trad. it. cit., p. 80.
28 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., p. 413, trad. it., p. 87.
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Ciò distingue, per Husserl, la rimemorazione dalla associazione di appaiamento (paarende
Association):
la rimemorazione, infatti, è appunto “una ripetizione d’identità” (die reproduktive Wiedererinnerung ist
eine Identitaetswiederholung) di una cosa ottenuta mediante il ricordo, ed è perciò, per Husserl, il
presupposto di una identificazione sintetica dell’Oggetto29, giacché “se non ci fosse la possibilità di
rimemorare sarebbe insensato parlare di medesimo oggetto”30. La associazione di appaiamento è, invece,
per Husserl, una tensione associativa tra un presente-ritenuto e un presente-proteso, tra qualcosa di
noto dato in presenza e una lateralità ignota in cui questo qualcosa viene per così dire “rifondato”31. In
questo senso, la riflessione, appaiando diverse lateralità dell’io, frammenti attivi della sua libertà, compie
una associazione di tempi, e viceversa, appaiando diversi tempi, associa, unifica, l’io riponendolo nel suo
Inizio originale.
6. LA RIFLESSIONE
A differenza del ricordo e della rimemorazione, la riflessione indica un tentativo di reversione
all’interno della irreversibilità del tempo che scorre: un tentativo di ripiegamento del tempo irreversibile.
Fuori da ogni indagine psicologica, infatti, l’atto di riflessione consiste nella presentazione di un
altro atto trascorso per piegarne o fletterne di nuovo (nel senso appunto del ri-flettere) il contenuto. La
riflessione non ricorda, sebbene presupponga una qualche forma di ricordo. La riflessione tenta di
piegare l’atto già accaduto a partire dal suo vero inizio, in nuovi versanti.
L’atto su cui si riflette è una unità non divisibile32 oltre che non duplicabile33 di tempo; è
qualcosa del tempo che, ad esempio, si è detto, fatto o ascoltato. Quando si riflette su un atto, è come
se si dovesse estendere, nuovamente, nella sua interezza, la corda tesa sulla quale il fenomeno, e
l’estensione temporale in esso contenuta, si è esibito. Qui la possibilità di variazione del tema passato è
ampia ed imprevedibile.
La riflessione, infatti, a differenza della rimemorazione, è un rapporto di atti liberi – tra flessione
originaria e ri-flessione –, cioè svincolati dal dover riprodurre il ricordo di un oggetto per identificarne i
contorni. L’atto che viene riflettuto ha infatti un inizio ed è questo inizio che viene ripreso per la prima
volta. Il nucleo di questo inizio è latente e trascendente: sprofonda infatti nella temporalità associativa di
un io che ad esempio pensa, parla o agisce; esso esprime un originario andare-verso-qualcosa da parte di
un io.
Ciò che viene cercato nell’atto riflessivo non è dunque la cosa, o il decorso temporale da far
riemergere, ma la premessa trascendentale implicata nell’atto temporale di una coscienza che si è diretta
verso qualcosa. E’ il punto di inizio che è appunto, per essenza, non-riflessivo o come direbbe Sartre
irriflesso o ad ogni modo preriflessivo, che viene appunto – per la prima volta – in modo inedito, intimo
ed esclusivo – riflesso. Prima di questo inizio non c’è nulla che appartenga alla coscienza, e per questo
esso non è riflesso: esso infatti esprime la flessione originaria di una coscienza che cade ed accade nel
tempo. Esso è l’inizio di un mutamento dell’io che sta per compiere qualcosa.
L’io che riflette tenta in realtà dunque di scavarsi il passaggio verso un’origine che è la sua
propria coscienza irriflessa. Questa coscienza è, per utilizzare ancora una terminologia di Husserl,
noetica, inerisce cioè ad una noesis, a un atto di pensiero rivolto verso qualcosa.
Cfr. E. Husserl, Vorlesungen über passiven Syntesis; trad. it. Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 327.
E. Husserl, Formale und transzendentale Logik, trad. it. cit., p. 291.
31 Cfr. E. Husserl, Phän. der Intersub., II, p. 532: “In questo modo-scrive Husserl- in gradi diversi della fusione ragguagliante
(ähnlichende Verschmelzung), la quale è un tender-si (Sich-spannen) della presentificazione ritenzionale verso il nuovo, il già-noto
viene rifondato nel nuovo (in base ad una rassomiglianza) e ad esso (al nuovo), per altro, conferisce in parte il carattere del
noto”.
32 Cfr. E. Husserl, Zur Phaen. des inneren Zeitbewusst., cit., p. 389, trad. it. cit., p. 63: “Del fenomeno del decorso noi sappiamo
che è una continuità di mutamenti incessanti òa quale forma un’unità indivisibile, non divisibile in tratti ch possano stare a
sé, e non separabile in fasi che possano stare a sé, in punti della continuità”.
33 Cfr. E. Husserl, Zur Phaen. des inneren Zeitbewusst., cit., p. 389, trad. it. cit., p. 63: “Come ogni punto (e ogni tratto) di tempo
è, per così dire, «individualmente» distinto da ogni altro, e nessuno può comparire due volte, così nessun modo di decorso
può comparire due volte”.
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Dato che questo inizio viene colto ed esplicitato per la prima volta, esso diviene il vero epicentro
dell’atto di riflessione.
L’atto passato – a partire dal suo nucleo iniziale/iniziatico – è dunque l’ “ora” del nuovo atto
riflessivo, ed “è nell’ora che le cose possono essere state mosse diversamente”34.
La noesis implicata nel “riflettuto” (o nel “riflesso”) deve essere, dunque, considerata epicentro
della riflessione anche in senso condizionale assoluto, perché essa è il sostegno temporale su cui
l’attività noetica di secondo grado va a dirigersi. Nell’atto riflessivo autentico, dunque, ciò che viene
“riflesso”, come un fascio di luce che viene specchiato, è anzitutto un nucleo di libertà originaria la
quale “temporalizza”35, e “si temporalizza” a partire da un punto. E’ proprio questa origine in cui l’io
irrompe sbilanciandosi in avanti, con tutte le sue vacue intenzioni d’atto, le sue anticipazioni, aspettative
e protenzioni, a costituire il fondo ultimo verso cui muove la riflessione.
Per questo motivo, si può dire che, nella riflessione, sia l’io muove in avanti, nella attualità
fluente del suo riflettere, verso l’origine, sia che, nel volgersi al passato, all’atto come decorso, essa
sprofonda in realtà verso il futuro: la possibilità d’atto, la forma dell’ora, che, come afferma Husserl, si porta
con sé tutto il sistema delle aspettazioni verso un non-ancora che è ora passato o presente, costringe a
pensare l’origine come futuro dell’atto di riflessione, cioè come quel riflesso che, scavalcando il nesso
attualità / decorso d’atto, si pone di nuovo come possibilità primaria, come un rinnovato “ora”.
In questo senso l’oggetto della mia riflessione non è tanto il “me stesso”, non è il che cosa ne è
di me, o il che cosa io sono, ma, all’interno della materia (eventi, fatti, stati) in cui si trova sepolto, sono
Io proprio in quanto inizio. Io in quanto Inizio, significa: non tanto libertà come punto oscuro, come
polo puro, ma piuttosto la libertà, nel senso di Fichte, come Tätigkeit, come attività, come qualcosa che
s’allunga, si flette, si sforza, di essere “atto”: l’Inizio richiede, di nuovo, un altro “ora”, un altro
epicentro temporale, impone, appunto, di riiniziare, sbilancia l’io ad autoporsi come atto ulteriore
rispetto a quello riflessivo, sospingendolo verso qualcosa che non è ancora.
In questo senso la riflessione non è ricordo, né rimemorazione, né riproduzione fantastica di un
oggetto, ma recupero di una possibilità originaria: l’atto esce dalla flessione, espatria dal circuito, per
vedere l’origine della sua possibilità propria, origine del tempo che è di là a venire.
La particolarità del percorso, viene svuotata dal suo passato, e dedotta nella sua origine: a
differenza della colpa, però, non vi è il senso disgiuntivo di un aver potuto agire altrimenti, né
l’emersione di una possibilità sorpassata eppure presente, ma l’apprendimento che il futuro sia l’origine
stessa del decorso, che dietro la scia di atti, stati e d eventi, ci sia un tempo di inizio che dice futuro,
incompletezza genetica di ciò che è fatto, e che quindi continua. E’ ciò per cui nel passato stesso si
trova il futuro.
Ma in quale passato? Non c’è dubbio che io rifletto su qualcosa che è trascorso: eppure io, come
detto, non rifletto sulla cosa e nemmeno sul fatto, ma sull’atto del trascorso.
Mentre la ritenzione è una flessione primaria e non riflessiva della memoria, giacché, tornando
all’esempio della melodia, io la ascolto le note per la prima volta, la riflessione, invece, va decisamente
indietro, ripercorrendo a ritroso la via verso qualcosa. Essa percorre sentieri e stradine per pervenire
allo spiazzo designato: per sopraggiungere sul luogo dove accadde un evento.
Allo stesso modo che noi attraversassimo una strada percorrendola nel senso opposto, noi non
vediamo le stesse cose. La strada è la stessa. Ciò che si staglia ai lati resta immutato. Ma la prospettiva è
opposta e il nostro sguardo associa le diverse dimensioni dello spazio e del tempo in verso contrario. La
riflessione torna indietro e percorre la serie delle ritenzioni in modo divergente. Letteralmente le riflette, riflettendo così l’intera curva di un attualità decorsa. Essa vede questo versante per la prima volta.
Vi sono dei riferimenti noti, che palesano la circostanza che si tratta di un ripercorrere e di un riflettere:
cioè che si tratta di una coscienza secondaria rispetto a quella definita dall’impressione originaria.
Eppure ciò che si manifesta affiora per la prima volta: è l’associazione stessa del tempo ad apparire.
Infatti, la riflessione cammina sulle cuciture già emesse dal tempo, sulla serie delle associazioni
che tengono insieme, avvinghiati in modo singolare, l’io, l’”ora” e la cosa, che tengono annodati insieme
momenti di flusso e scampoli di movimento nella sottospecie di vissuti. La serie delle ritenzioni, oramai
34
Aristotele, Fisica, IV 14 223b 1-2, ed. it. cit., p. 235.
Fichte, Wissenschaftslehre 1801-1802, in GA II 6, pp. 220 e ss.
35Cfr.
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passate, (quasi fossero, per rifarci alla rappresentazione grafica di Brentano e di Husserl illustrata in
precedenza, una serie di triangoli inclusi l’uno nell’altro), non viene propriamente ricordata; non viene
fatta oggetto di ricordo. Essa è solo la via percorsa e riflettuta dalla coscienza nel suo tornare. Essa non
torna sulla scia dei suoni, né su un episodio al fine di riprodurlo. Essa, gettando lo sguardo sulla scia dei
suoni o su un episodio, quasi da presente a presente, da tempo a tempo, giacché si tratta di un primo
sguardo, torna all’origine: all’impressione originaria. Non perché da essa vuole, a sua volta, al modo di
una molla, riandare in avanti per ripercorrere il vissuto —e in questo si differenzia, abbiamo detto, dalla
rammemorazione — ma perché in questo inedito percorso, in cui si guadagna una nuova prospettiva
sul medesimo panorama, ci si riappropria di quella sfera originaria in cui l’io e il tempo giacciono
insieme. Si sopraggiunge, cioè, all’inizio della linea che è l’inizio della possibilità del tirar-di-linea, ma vi
si ci perviene avendo nello sguardo l’intera traiettoria e la conseguenza, aldilà della quale l’atto di
riflessione è partito.
La riflessione, mira quindi al futuro, a ciò che non è mai stato discoperto, apre lo sguardo al
rinnovamento della possibilità entro le pareti finite di una direzione già tracciata: essa mira quindi al
futuro anteriore, nel senso realistico della potenzialità.
In questo senso, essa non implica il ricordo: è possibile riflettere anche su contenuti primari, in
corso di movimento, avere una quasi-riflessione su una quasi-attualità, su un sistema di ritenzioni
correnti.
La riflessione è dunque un movimento di ritorno. Eppure essa, è un ritornare dove non siamo
mai stati. E’ uno sguardo originario gettato sull’associazione del tempo.
La riflessione non è un ricordo essa si muove sul piano delle ritenzioni. Essa è coscienza di un’
“ora” che non è adesso, eppure non è una coscienza di un “ora” passata.
Questo problema qui deriva dalla natura specifica della riflessione, in quanto, essa sembra voler
seguire per intero, la struttura del tempo. Abbiamo definito infatti all’inizio del paraagrafo il movimento
riflessivo una reversione all’interno di una irreversibilità. Un ritornare all’inizio nella controcorrente di
un andamento irreversibile.
In termini fisici, ciò sembra ricalcare la difficoltà di conciliare la reversibilità microscopica con
l’irreversibilità macroscopica36.
Infatti, la riflessione torna mostrando reversibile il ricorso alla possibilità originaria. Ma questa
avviene, e può avvenire, solo perché opera sulla irreversibilità degli eventi. Sembra voler sorpassare il
fatto ma ne acclara il suo esser accaduto.
Essa, se vogliamo, manifesta il tempo, perché si pone sulla soglia estrema di uno sdoppiamento
impossibile: quello di un altro io all’interno dell’io: un io che ritorna per sorpassarsi nel suo inizio, un io
che converte il proprio corso superando l’ossessione, il dovere e la colpa, coincidendo con se stesso,
facendo coincidere la propria “ora” con il presente, autopresentandosi in qualche modo, che cerca di
risalire e di ricucire il disallineamento dei tempi. Uno sdoppiamento dell’io dunque per una
sovrapposizione conclusiva, di un “io sono io” uguale nel tempo, un cogito ergo sum apodittico prima e
dopo l’esperienza temporale del sum cogitans.
La riflessione non percorre questo sdoppiamento impossibile. Essa non conduce ad una
ripetizione dell’oggetto temporale né tantomeno del soggetto temporale. Essa si ferma sulla soglia di
questa duplicazione. Essa si ferma sulla soglia. Sulla soglia, cioè dell’identità dell’Io.
7. LA MEMORIA COME RICAPITOLAZIONE DEL MONDO
Come si è potuto evincere da questa breve analisi, la memoria pur presupponendo un passato
come suo oggetto interno, si estende sino ai limiti della costituzione del tempo interno che sono poi i
limiti della stessa identità dell’io, completando o addirittura realizzando il presente e rinvenendo il futuro
autentico del proprio – sempre di nuovo possibile – inizio. Se la ritenzione è il ricordo primario del
presente che passa, la testimonianza propria che vi è un presente vivente, corrente, capace di accogliere il
senso di una melodia, il ricordo è il tentativo di comunicazione con un oggetto temporale distaccato con
Cfr. K. Denbigh, Three Concepts of Time, Springer Verlag, Berlin 1981, pp. 34 e ss.; e cfr. M. Dorato, Time and Reality.
Spacetime Physics and the Objectivity of temporal Becoming, Clueb, Bologna 1995, pp. 17 e ss.
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l’altro-in-me tangente al flusso attuale dei vissuti e la rimemorazione un tentativo di cogliere l’intero
percorso temporale passato, un intero segmento di storicità interna, di narrazione, per coglierne o
riprodurne l’identità oltre che per comprendere se non il perché il poiché dell’attuale presente. La
riflessione infine è un andare indietro verso il futuro, un tornare dove non siamo mai stati, ma che è l’origine,
irriflessa, del nostro agire, capire, pensare, parlare, tanto libera quanto temporalmente associata alle
cose, irreversibili, che le hanno determinate. Lì si nasconde, pur nel passato, il senso del futuro:
ripercorrendo, per la prima volta, all’indietro, la strada che già abbiamo percorso una volta in modo
irriflesso. In questo senso, si potrebbe dire nel senso di Benjamin, che è nel passato che vi è redenzione,
perché solo lì vi è ritorno, e, al contempo, la salvezza del futuro: quelle schegge messianiche rimaste
inesplose ma che conformano l’èschaton della loro esplosività37.
In questa memoria, sta una certa ripresa della indivisibile storia umana. Ognuno, come monade
infinitesimale, per utilizzare un termine mutuato da Leibniz, caro a Husserl e presente ancora in
Benjamin, è, in altre parole, una singolare ed irripetibile ricapitolazione della storia mondo, capace di
ricordare il proprio inizio, tanto intimo quanto comune, tanto proprio quanto già da sempre accomunato
(secondo il senso husserliano della Vergemeinschaftung38) a quello degli altri, lungo tempi – fin da ora –
lontanissimi;
E in questa ricapitolazione di memoria, ogni volta di nuovo, si fa largo il rinnovato sforzo di
esercitare l’origine per trasformarla in telos, destino comune e convergente dell’intera umanità39.
Pier Paolo Fiorini
Prof. a contratto European School of Economics
Dottore di ricerca in Filosofia PUG e in
Filosofia del diritto Univ. “La Sapienza” di Roma
Cfr. Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino 1997.
Husserl, Zur Phän. der Intersub., III, p.668. Cfr. D. Zahavi, Die transzendentale Intersubjektivität bei Husserl, pp. 54 e ss. E cfr.
Husserl, Zur Phän. der Intersub., II, p. 360.
39 Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, Milano, Il Saggiatore 1997.
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