passato e memoria: ritenzione, ricordo
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passato e memoria: ritenzione, ricordo
PASSATO E MEMORIA: RITENZIONE, RICORDO, RIMEMORAZIONE E RIFLESSIONE NELLA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICA DI EDMUND HUSSERL Sommario: 1. Passato e Memoria – 2. La Memoria come Facoltà di Ripresa – 3. La Ritenzione (o ricordo primario) – 4. Il Ricordo – 5. La Rimemorazione – 6 La Riflessione 1. PASSATO E MEMORIA Della memoria diremo anzitutto che non c’è da meravigliarsi, o meglio che c’è da meravigliarsi1. Così afferma Plotino all’inizio della sua meditazione sul tema della memoria nell’ambito della conoscenza, da parte dell’anima, delle cose sensibili e di quelle intelligibili. Il punto è che la memoria è tanto una attività spontanea quanto un processo misterioso, che involge direttamente la questione della natura del tempo, visto che una memoria c’è lì solo dove c’è il tempo2. La memoria sembrerebbe presupporre un passato. Questo passato inoltre dovrebbe essere percepito come “oggetto interno” della memoria (come la vita lo è del vivere), oggetto interno ed esclusivo, perchè si può solo avere memoria di un passato e un passato, in più di un senso, si dà solo per una memoria. Perché però un passato si dia è necessario un atto di distinzione, di cesura, tale per cui qualcosa cessi appunto di passare e venga colto, isolatamente, come un transito già compiuto, un passaggio avvenuto, un decorso completo, esaurito nel suo senso, incapace di prolungare la sua azione. Non è chiaro se ciò che chiamiamo passato, dunque, dipenda dalla speciale morfologia di questo atto o se, diversamente, è questo atto a prendere forma in direzione di quel tempo che si assume come già trascorso; o, ancora, in che modo l’uno sia la variabile semidipendente dell’altro. Correlativamente al fatto che un flusso di tempo diviene passato, l’attività continua dell’io diviene atto, cioè momento attivo singolare, non relazionato, capace di discontinuare il movimento dell’attività per preformare, appunto, una nuova linea temporale. In questo senso, l’atto di ricordare qualcosa di appena trascorso, ad esempio, va a cogliere ed isolare un momento, astraendolo dal flusso del presente e, al contempo, va a delineare che da lì in poi un nuovo campo temporale è sorto. Questo nuovo campo temporale non è semplicemente il presente ma, in modo più esteso e complesso, il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro, secondo l’acuta terminologia introdotta da Agostino. E’ evidente dunque che passato-e-memoria, derivano da una determinata concezione del tempo, si forgiano, anzi, all’interno di esso come creature scolpite a partire dal flusso nel quale giacevano annodati: l’uno come fenomeno (il passato) e l’altro come atto che vi si correla (la memoria) necessariamente: giacché essi sono destinati ad emergere e a dileguare insieme nel tessuto mobile del tempo. Sfruttando le analisi di Husserl, specie presenti negli scritti e lezioni sulla Phänomenologie der inneren Zeitbewustsein – e senza dimenticare gli apporti di Brentano a partire dallo scritto Von der Zeit - si può tentare di delineare una fenomenologia sufficientemente chiara di cosa significhi avere una memoria. 2. LA MEMORIA COME FACOLTÀ DI RIPRESA Memoria innanzitutto è un termine ampio che designa, ancor prima di un atto singolo, una facoltà : essa anzi indica e comprende al suo interno diverse morfologie d’atto come: il ricordo, la rammemorazione (o ri-memorazione) la ritenzione (o ricordo primario dell’appena trascorso) e la riflessione, giacché anche quest’ultima – a parte i rilievi filosofico sistematici legati al metodo riflessivo – è, nel suo senso primario, una forma di memoria. 1 2 Plotino, Enneadi IV 6, 3, trad. it. Rusconi, Milano 1992, p. 721. Cfr. Plotino, op. cit., IV 3 25. 1 Comune a tutte queste forme di atto è una certa costituzione del tempo interno sotto la qualità di un tempo se non definitivo quantomeno definito. Questo tempo viene sottoposto ad una ripresa: non viene cioè ripetuto, dato che il flusso originale così come il momento in carne ed ossa, non può ripetersi, ma ripreso secondo la nota differenza formulata da Kierkegaard, e cioè inserito in nuovo vissuto come nucleo o tema suscettibile di variazione. La ripresa non è solo semplice rivivescenza di scaglie di tempo trascorso, ma la variazione di un nucleo già presente – che cioè si era già presentato una prima volta, in modo originale. La variazione può esprimersi in modo articolato come vera e proprio tentativo di riproduzione della cosa (e quindi avvicinarsi asintoticamente sino al limite mai raggiungibile della ripetizione) con tutte le ulteriori variabili, appunto, dell’errore, del difetto, dell’aggiunta o aumento iconico, della deformazione di immagine, del cambiamento di prospettiva etc., prendere la forma della ripresentazione, quando un vissuto tende cioè a ripresentarsi per intero a partire dai presupposti teoretici, emotivi, valutativi etc. che lo hanno costituito, o attestarsi come vera propria immaginazione, creativamente rielaboratrice, assemblatrice, scompositrice, di contenuti liberamente tratti da un deflusso temporale. Seguendo la distinzione operata da Husserl tra pura opera della fantasia (reine Phantasierung) e immaginazione, si può dire che la memoria può riplasmare il fantasma del tempo, ma non costituisce una pura azione fantastica: non associa liberamente forme, né astrae immagini isolate dal contesto, ma associa e dissocia contenuti già costituiti una volta, in nuova sintesi. La memoria è questa facoltà di sintesi, a vario titolo riproduttiva, ripresentativa immaginativa. Essa si costituisce come vero e proprio atto – e, dunque, atto di sintesi – entro l’attività della coscienza interna del tempo. Essa va a riprendere non solo nel senso del recupero ma nel senso di una continuazione, specifica, dell’apprensione: come un movimento, all’interno del prendere e dell’apprendere, rispetto a un qualcosa, che, al pari della coscienza, scorre via. 3. LA RITENZIONE (O RICORDO PRIMARIO) Husserl come già Agostino, ha tentato di discoprire il tessuto del tempo interno adottando, come è noto, il metodo dell’epoché, attuando cioè un sistematico annullamento del tempo del mondo (tempo cosmologico) a favore del tempo della coscienza (tempo fenomenologico): una volta annullato o meglio disinserito (nel senso dell’Ausshaltung) il tempo del mondo dal metodo di ricerca, ciò che rimane è solo il fluido succedersi dei vissuti temporali della coscienza. Da questo flusso infinito di vissuti, Husserl tenta di mostrare la via di una vera e propria ricostituzione del tempo oggettivo. Appare subito chiaro che se il tempo tende a co-incidere con il flusso della coscienza attraverso i suoi atti e i suoi vissuti, è difficile tentare di configurare tempi ulteriori rispetto, appunto, al presente corrente. Per il passato e la memoria, Husserl non a caso inizia la sua indagine proprio da questo presente che scorre al ritmo dei vissuti di coscienza e che Husserl a volte denomina Lebendige Gegenwart, presente vivente. Il primo passo è quello di individuare l’atto che la coscienza adotta nel momento in cui si rivolge quasi verso ciò che non appare più inserito nel flusso di coscienza e che, dunque, non più imminente ad esso, tende a mostrarsi come una trascendenza o, quantomeno, tangenza rispetto al presente: cioè quando la coscienza si rivolge quasi verso il passato. La prima forma di memoria, per Husserl, sul solco delle analisi già compiute da Brentano, è la ritenzione, intesa come, il ricordo di ciò che scorrendo è appena passato, o meglio, come il ricordo di ciò che sta passando ora. Esso è un ricordo primario, fresco, un vero e proprio vivido prolungamento della percezione presente e, al contempo, un primo scolorire dell’impressione appena avuta. L’esempio di Husserl, che molti altri filosofi da Hume a Hegel fino a Brentano appunto in precedenza avevano analogamente utilizzato, è quello della musica: allorché noi ascoltiamo un oggetto temporale come una nota musicale (dotato evidentemente di vibrazione, ondulatorietà e successione) ne tratteniamo per così dire l’impressione affinché, mentre ascoltiamo già il suono successivo, abbiamo ad esempio l’idea di una melodia. E’ chiaro che il suono che ascolta ora e poi ora e poi ora si succede sempre: ed è questa l’”ora”, la punta attuale del presente che scorre sempre. Tuttavia, resta nello stesso presente anche l’ascolto del suono precedente e di quelli ancora dopo, lungo una scia simile, dice Husserl, a quella di una cometa. La ritenzione è proprio la coda di cometa: il ricordo del presente appena corso e che continua, però, a correre. In ogni ora, avviene una 2 associazione temporale tra la nota musicale, le note precedenti e quelle che stanno per arrivare attraverso l’attività di una coscienza posta in ascolto. Il flusso dunque non è lo scorrere di pure apparizioni ma un annodarsi continuo di atti, tempi e cose nell’indivisibile impasto di un vissuto, appunto, temporale. Già dallo schema di Brentano presente nel suo scritto Von der Zeit, si evince che è il flusso di associazione temporale preminente nella ritenzione interviene primariamente tra un presente mobile e un passato che sprofonda, gradualmente, a partire da “ora”: V = Vergangenheit (passato) G = Gegenwart (presente) V V1 V2 V3 G J = Jeztz (ora) V-G = Ritenzioni V-J = Sprofondamento V-G-J = Proterestesi G-J = Attualità / Istante J L’asse verticale, come si può vedere, esprime la tensione tra l’ora (Jetzt) e il presente (Gegenwart); dall’ora, parte la linea obliqua che si unisce alla orizzontalità del presente in un punto (V): il quale, però, è costantemente passato: è un presente passato, ancora trattenuto da un atto di coscienza, da un raggio di attenzione o da una tensione e reso, dunque, attuale; Husserl, come è noto, lo denomina “ritenzione”. La ritenzione è l’appena passato che viene ritenuto, appunto, come tuttora presente, come, in una melodia, viene trattenuto il suono appena corso via nel presente dell’attuale sonorità affinché si abbia una estensione della percezione musicale. La ritenzione ha dunque in senso letterale il carattere del tuttora presente: di una integrazione dell’ora e una sua moltiplicazione o dislocazione in molti punti, tale per cui, il presente si allarga divenendo un campo di triangolazione tra tempi pur diversi e vissuti pure difformi, associati insieme. La linea (V-G) rappresenta, dunque, gradualmente, la traiettoria di un accaduto che ancora accade, di ciò che sta accadendo come continuum della ritenzione, direbbe Husserl3. Lì il passato è strettamente un presente del passato nel senso stretto del genitivo soggettivo: il passato è del presente, è la coda di cometa (Kometschein) del presente. L’intero triangolo esprime il flusso concatenato dell’atto: nel senso di Brentano, una proterestesi4. In questa, l’accaduto si dilata retrocedendo via via, sulla stessa linea, ma con una differente qualità d’atto, verso il passato: ogni sezione triangolare — ad es. V2, G, J —, sorregge la singolarità negativa e discreta dell’istante: essa, potremmo dire, è una porzione di un tempo già associato e, al contempo, di un’associazione superata. Ogni volta, infatti, la cucitura interviene tra l’ora e il Presente-Passato, anzi sulla linea divisoria stessa di presente e passato (presente-passato e passato-presente), sul limite asintotico tra percezione e ritenzione, tra prensione diretta e apprensione dilatata, indiretta o laterale, che già tende a diventare ripresa. Nel seguire un movimento, il passato è in atto, così come il presente è già sprofondato e l’ora li irradia entrambi, nel flusso, che, per essenza sua propria, non può far altro che continuare. Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein., cit., §10, trad. it., cit., pp. 64-66. In una nota ricavata dal curatore da una lettera che Brentano inviò a Marty il 10 marzo del 1906 (Cfr. F. Brentano, ibidem, nota a p. 77), Brentano spiega il grafico nel seguente modo: “La J in basso, con i raggi, sta per ciò che si manifesta internamente nel modo temporale dell’ora. Ogni vedere, anche il vedere come passato, si manifesta come presente, altrimenti internamente non si manifesterebbe nulla. L’accaduto però, rappresentato dalla linea superiore V3-G si manifesta in diversi modi del passato e nel modo presente. Se anche si manifestasse un aver visto, questo sarebbe di nuovo dotato di un modo temporale determinato e sarebbe diretto a qualcosa di primario in diversi modi del passato. Come un aver visto, si manifesterebbe anche un essersi ricordato dell’aver visto, e così via all’infinito. Si perverrebbe ad infinite dimensioni. Di queste l’esperienza non ne mostra neanche la minima parte. Internamente notiamo quindi solo il punto temporale presente. Questo però sembra manifestarsi in base alle circostanze: di solito, contemporaneamente come punto iniziale e finale. Al primo sguardo, queste sembrano cose sorprendenti e paradossali, tuttavia, esaminate da più vicino, possibili e, da un altro punto di vista, anche necessarie”. 3 4 3 Per cui il passato in quanto passato non è, entro questa attualità , visibile5: ogni punto irradiato dall’ora è sempre presente; e il presente, a sua volta, non è mai ora. L’estremità, segnata da Brentano con V (Vergangenheit), non segna il passato, ma solo una tendenza dell’ora verso la trascendenza del passato che è sempre oltre la figura6. E’ il presente che passa, o il presente che è un lungo passaggio, quello che viene dunque rappresentato in V-G. L’asse obliquo V-J è l’asse che Husserl denomina dello “sprofondamento”. Husserl, in uno scritto del novembre 1911, così riformula lo schema7: serie degli “ora” (sempre nuova vita) AE = serie dei punti “ora” AA1 = sprofondamento EA = continuum di fase (punto ora con orizzonte di passato) PE = serie degli ora eventualmente riempita con altri oggetti APE A1 Sprofondamento nel passato (linea della morte) L’associazione originaria che si instaura, non è né di tipo meramente psicologico, giacché non è possibile confondere e sovrapporre la durata della percezione con la percezione della durata8, né riguarda unicamente le diverse intensità con la quale qualcosa viene percepito dalla coscienza: termini dell’associazione sono sia l’atto (ad esempio l’ascolto di un momento musicale), che il contenuto dell’atto (la melodia appresa), che la cosa perduta nel movimento (la singola nota musicale che ha smesso di vibrare); sono tutto ciò che costituisce la linea del tempo con tutto ciò che la nega e la fa svanire, in ogni istante. Sotto questo profilo, Husserl critica la nozione di associazione originaria discussa da Brentano. Nella lettura che almeno ne fornisce Husserl, secondo Brentano l’associazione consiste nel “costante collegamento di una rappresentazione temporalmente modificata a quella già data”9. In questa concezione, obietta Husserl, non si farebbe distinzione “tra atto e contenuto, in particolare, tra atto, contenuto apprensionale, e oggetto appreso”10. Vi sarebbe dunque un atto modalmente generico, la rappresentazione, e un contenuto primario della percezione al quale si allaccerebbero continuamente “fantasmi e ancora fantasmi, di contenuto qualitativamente identico, soltanto di intensità e ricchezza via via decrescente. Parallelamente, la fantasia vi aggiungerebbe un nuovo momento, quello temporale”11; eppure noi, obietta Husserl, “non troviamo Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6 e §10, trad. it, pp. 55-56 e pp. 63-64. Come vedremo meglio più oltre, il passato è trascendente, nel senso che esso trascende il presente essendone, a sua volta, sorpassato: si potrebbe dire, sfruttando teoreticamente alcune analisi di Schelling, che esso, per poter essere passato, deve essere deciso, in un nuovo superamento, che il presente, per poter essere passato: cfr. Schelling, Die Weltalter, cit., p.259, trad. it. cit., pp.97-98. 7 E. Husserl, Zur Phän. der inneren Zeitbewusst., cit., p. 365, trad. it. cit., p. 351. 8 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §3, trad. it. cit., §3, in particolare p. 50, dove Husserl critica severamente gli psicologi che, prima di Brentano, si sono affannati inutilmente a reperire la fonte autentica della rappresentazione del momento temporale: per essi, infatti, scrive Husserl, “lo stimolo esterno, in base alla forma dei processi fisici susciterebbe la qualità, in base alla loro forza viva, l’intensità e, grazie alla sua propria persistenza, la sensazione soggettiva di durata. Ma questo - afferma Husserl - è un errore palmare. Per il fatto che lo stimolo dura, non è ancora detto che la sensazione venga sentita come dotata di durata, ma solo che anche al sensazione dura. Durata della sensazione e sensazione della durata sono due cose diverse”. 9 E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §3, trad. it. cit., §3, p. 51. 10 E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 54. 11 E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, pp. 54-55. 5 6 4 caratteri temporali, successione e durata, soltanto nei contenuti primari, ma anche negli oggetti appresi e negli atti apprensionali. Un’analisi del tempo limitata a uno strato non è sufficiente: essa deve percorrere tutti gli strati della costituzione”12. Questo comporterebbe, quindi, che l’associazione non sia né una semplice associazione di tempi diversi, simultaneamente o sinteticamente presenti, né un’associazione di contenuti percettivi ai quali si imputerebbe, di ora in ora, un tempo diverso; questo comporterebbe che essa non sia cioè, una associazione di segni temporali riferiti a qualcosa13. Questa critica, per quanto condivisibile, e che mira ad esaltare l’importanza del carattere d’atto (Aktcharacter) per la costituzione del tempo, non annulla il senso profondo dell’associazione necessaria di cui l’atto stesso è espressione morfologica; essa semplicemente intende affermare che la forma del tempo non è riducibile né al contenuto temporale preso in sé, né ad un complesso di elementi materiali che si assocerebbe a questo contenuto temporale14. La ritenzione in questo senso non è una cosa in fase di passaggio che viene trattenuta dallo sforzo dell’io né un modo dell’io di rivolgersi all’appena passato: sia il movimento della cosa che il flusso dell’io sono associati nell’atto di una coscienza che si costituisce nel modo e nel senso del tempo. 4. IL RICORDO “Il ricordo (Erinnerung) – scrive Husserl – è un flusso costante”, nel quale “ogni nuovo reagisce sul vecchio”15. A differenza della ritenzione in cui l’appena passato è tuttora presente e il presente sprofonda lungo la linea obliqua dell’ora, nel ricordo c’è un vecchio e un nuovo: un contenuto si è già distaccato, dunque, definitivamente dalla melodia continua, che la coscienza stava ascoltando. Il nuovo è l’ora che, assumendo un nuovo vertice del tempo, reagisce sul vecchio facendolo apparire dunque, definitivamente sprofondato nel non-più nuovo. Il vecchio si è distaccato infatti come immagine16 prodotta dal nuovo per acquisire una singolare autonomia. Ciò implica che qualcosa come un passato sia stato posto rispetto a un presente che, per quanto allargato ed ipertesteso verso il quasi-passato e l’anticipa to-futuro, non lo contiene più. Husserl ricollega il passato all’esperienza dell’alterità (ad esempio nella V Meditazione Cartesiana e in molti passi specie dell’ultimo volume Zur Phänomenologie der Intersubjektivität). Il passato, dice, è “l’altro in me”. Esso conduce ad una alterazione profonda, al limite della estraniazione, tale da costringermi ad entrare in comunità con me stesso (Gemeinschaft mit mir) come prima forma di comunità originaria per far comunicare tempi altrimenti inconciliabili. Un altro tempo, a cui sono rimasti associati l’io, l’atto trascorso e la cosa, si staglia in modo semi-indipendente. La sua variazione non è più quella fluida del presente vivente che si slarga connettendo sempre nuovi ora alla linea del passato nella protensione con il futuro. Il vissuto, l’Erlebnis, non è più un momento dell’Erlebnisstrom, del flusso continuo dei vissuti. Ha perso per così dire la sua appartenenza alla tensione primaria dell’io-verso-le-cose, del cogito verso il cogitatum qua cogitatum. E’ fuori dal gioco d’orizzonte. La coscienza apprende l’alterità interna, l’intima alterazione, nel momento in cui cessa di ritenere la cosa al modo di una coda di cometa, e la va a cogliere come autonomo contenuto saltando fuori dal flusso, in un momento che però E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 55. sebbene con qualche passaggio forse discutibile, espone il punto in modo chiaro, preparando la differenza tra ritenzione e ricordo o tra presente vs. passato e passato n senso proprio, trascendente rispetto all’attualità della coscienza: “Da dove ci viene l’idea del passato? L’esser presente di un A nella coscienza, con in più l’annessione di un nuovo momento, e chiamiamolo pure momento del passato, non basta a spiegare la coscienza trascendente “A è passato”. Non riesce a darci la più lontana idea del fatto, che ciò che io ho adesso come A nella coscienza, col suo nuovo carattere, sia identico a qualcosa che adesso non è nella coscienza, ma lo è stato. Cosa sono dunque i momenti ora vissuti della associazione originaria? Sono forse tempi essi stessi? Allora arriviamo alla contraddizione: tutti questi momenti ci sono adesso, sono racchiusi nella stessa coscienza d’oggetto, sono dunque simultanei. Eppure la successione temporale esclude la simultaneità. Forse che essi non siano i momenti temporali stessi, ma piuttosto dei segni temporali? Ma innanzitutto, con ciò abbiamo solo una parola in più, e la coscienza del tempo non è ancora analizzata” (Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 55). 14 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der inneren Zeitbewusstsein.,cit., §6, trad. it. cit., §6, p. 56. 15 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit.., p. 411, trad. it. cit., p. 85. 16 Cfr. E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit.., p. 414, trad. it. cit., p. 89. 12 13Husserl, 5 appartiene ugualmente al flusso, in modo profondo e remoto, come sua lontana premessa: l’altro in me presuppone il me rispetto a cui l’altro è momento costitutivo. La Gemeinschaft mit mir, dunque, avviene in virtù di un primo momento analogico anche se in senso antepredicativo: io mi rapporto al vissuto dentro cui io stesso sono implicato come quell’io che, ad esempio, ha notato quella casa laggiù, già un’altra volta. Qui la costituzione della coscienza interna del tempo si spinge oltre: il vissuto passato, pur se fuori dal flusso del presente vivente, fuori anche dal presente-passato di cui la ritenzione è atto rivelativo, fa parte pur sempre del tempo. Nell’atto di ricordo, è come se si dicesse che, come osservò Aristotele, “dal momento che gli istanti sono del tempo, anche il “prima” e il “dopo” saranno nel tempo”17. Ciò significa che nel ricordo questo altro-in-me viene temporalizzato, cioè viene scandito come un altro prima di me ma continuativamente appartenente a me allo stesso modo in cui un verbo appartiene al soggetto o, appunto, il prima è solo in relazione al poi. Nel ricordo dunque viene “presentificato” qualcosa, laddove “presentificare” afferma Husserl, significa rendere presente, da parte di una coscienza secondaria, il contenuto di una coscienza primaria, la quale non è a sua volta una presentificazione ma una impressione, che, in ultima analisi, nel suo punto originario (Quell-Punkt) è impressione del tempo stesso18. La presentificazione presuppone quindi una impressione19 e questa una impressione originaria (Urimpression) del tempo, cioè l’impressione di una coscienza che, fluendo, si dirige verso un oggetto temporale associandovisi in modo irreversibile. “Ricordo non vuol dire, quindi, ricordo di una precedente percezione”20: ricordare non è percepire di aver percepito. Sebbene la percezione sia implicata nel fatto ricordato, ciò che si ricorda è invece il fatto, cioè l’oggetto di una impressione. L’impressione infatti a differenza della percezione si caratterizza per il suo contenuto e non per l’atto di coscienza: detto altrimenti l’impressione è passiva, poiché subisce, appunto, il manifestarsi di un contenuto: il contenuto preme dentro (nel senso proprio dell’Eindruck) all’atto percettivo, valutativo, estetico di una coscienza. Dunque, il ricordo è la ripresa di una impressione: ripresa di una passività di cui, al momento della sua attualità, non si aveva propriamente coscienza: lì la passività infatti era atto. La coscienza primaria dell’impressione infatti è una coscienza irriflessa o non-riflessa, di qualcosa. Si è coscienti di qualcosa ma non si è coscienti di esserne coscienti: il ricordo, in questo senso interviene come coscienza secondaria capace di saldare l’impressione in nuova percezione. Questa nuova percezione interviene sulla vecchia impressione per renderla cosciente della cosa di cui era solo passivamente edotta . Tuttavia non si deve pensare che il ricordo derivi dall’impronta o impressione depositata da qualcosa. In questo senso vale ancora la critica istruita da Plotino21: il ricordo non è una operazione di rinvenimento passivo di un’ulteriore passività; non è cioè il riconoscimento di una impronta, quanto piuttosto una forza che va a riprendere l’impressione lasciata dall’impronta lì dove essa può permanere: ed essa impronta può permanere solo quando il tempo che vi era associato si rivelato essere un mutamento. In questo senso il tempo proprio del ricordo, non è propriamente il passato, ma il tempo di un avvenuto mutamento. Questo tempo è sempre altro-in-me, esprime sempre una alterazione profonda. Ma non è propriamente localizzabile. Di certo si tratta di un tempo definito, a tal punto da potersi presentare appunto come altro come diverso e dunque determinato rispetto al presente aperto e vivente. Così, ad esempio, Husserl definisce il dovere (o il senso del dovere) come una sorta di Vorerinnerung, di ricordo del futuro. Ma ciò perché il futuro, nel dovere, è stato assunto e anticipato (similmente al modo passivo dell’impressione) come un passato, come un qualcosa che già sussiste in quato appunto deve essere realizzato, perdendo tutta la carica di indeterminazione propria dell’avvenire. Il contenuto del dovere, infatti, è come se fosse già stato realizzato, come se già avesse determinato un mutamento e Aristotele, Fisica, IV 14, 223a, trad. it. cit., p. 233. Cfr. E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p. 442, trad. it. cit., p. 114. Cfr. §19, 78: “presentificazione è l’opposto di atto offerente nell’originale, nessuna rappresentazione può ‘scaturire’ da essa.”. Cfr. §20, 80: “...presentificare è qualcosa di libero, è un libero percorrere, e possiamo usare della presentificazione ‘più rapidamente’, o ‘più lentamente’, più chiaramente o esplicitamente o più confusamente, fulmineamente e in un colpo solo o per passi articolati, ecc.”. 19 Cfr. spec. Husserl, Zur Phän. der inneren Zeitbew., cit., §19, p.45, trad. it. cit., p. 78. 20 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p.415, trad. it. cit., p. 88. 21 Cfr. Plotino, Enneadi, IV 6 3. 17 18 6 prodotto gli effetti voluti. Parimenti, sotto questo aspetto, anche la contemplazione è già una specie di ricordo di ciò che è ora, una specie di ricordo del presente22; così come, allo stesso modo, avrei un ricordo del presente, secondo Husserl, qualora, in base a precedenti percezioni, io mi rappresenti “un che di presente come qualcosa che è adesso, senza averlo davanti a me in carne ed ossa”23. E’ dunque qui la qualità dell’atto di ricordare, come quella qualità di presentificare qualcosa che non c’è in carne ed ossa ma pur esiste come contenuto di una impressione primaria o in forma passiva (così nel dovere, come nella contemplazione), che costituisce il tempo nelle forme particolari del passato: passato del futuro nel caso del dovere e passato del presente nel caso della contemplazione. Il passato, dunque, in questa prima linea di significato, rappresenta il sorgere di una coscienza secondaria, nuova, che reagisce sulla coscienza primaria la quale, dunque, diventa altra. Il ricordo è dunque la ripresa di una alterità abbandonata e per questo, seguendo sempre la distinzione di Kierkegaard, esso, a differenza della ripetizione che invece consiste nel ripetere qualcosa un’altra volta secondo lo schema del noch einmal, può produrre infelicità; giacché questa alterità, pur essendo mia e per quanto la possa riprendere ed accomunare a me, è, appunto, irripetibile24. 5. LA RIMEMORAZIONE Con la rimemorazione (Wiedererinnerung) non si ricorda l’evento ma si ripercorre il percorso che, via via, ha condotto sino all’evento; non si salta dunque fino al momento passato per coglierlo o lasciarlo affiorare, ma ci si posiziona all’inizio della strada che, a partire da un punto, ha condotto verso l’orizzonte di un altro punto del tempo. Vi è dunque un rapporto di genesi temporale tra un inizio e un orizzonte della memoria nel passato. Nella rimemorazione, in altre parole, viene riprodotto, per Husserl, attraverso il ricordo, l’antico presente, che nella sua fluidificazione, ha condotto la coscienza, lungo tutte le sue intenzioni protese verso il futuro, fino a questo qui ed “ora”: al mio attuale presente vivente. Essa è, dunque, una riproduzione di qualcosa in tutta la sua durata e in tutta la sua successione. Se, infatti, come afferma Husserl, “ogni ricordo contiene intenzioni di aspettazione il cui riempimento conduce al presente”, la rimemorazione, che è ripresa anche di tali aspettazioni, ha “un orizzonte rivolto al futuro, e precisamente al futuro di ciò che è rimemorato, che è un orizzonte determinato”25. Essa è un recupero dello stesso punto di partenza da cui è scaturita la curva continua di un tempo26: un ridisegnare la linea di un inizio e di una conseguenza, lì da cui sono affiorati e retrocessi i versi di una singolarità27. In questo senso la rimemorazione è essenzialmente riproduttiva. Husserl la definisce anche una “replica”. La rimemorazione, infatti, riproduce ed identifica quelle intenzioni che, essendo state adempiute, hanno costituito la materia del flusso temporale lungo cui l’io ha navigato fino al presente. Essa, costituendo un ricordo su un ricordo che è già secondario (il ricordo primario è invece la ritenzione), ponendosi cioè come memoria di terzo grado, è ripetizione dell’oggetto e ripetizione di tutte le diramazioni ad esso connesse. Ripercorre la strada verso l’oggetto ricordato per identificarlo e, al contempo, per identificare la strada stessa: per far questo è come se riportasse sulla strada, in modo retroattivo, tutti i contenuti che hanno riempito le intenzioni presenti nel momento ricordato. Dato che, infatti, “le intuizioni di passato —sostiene Husserl— si riempiono necessariamente col produrre connessioni di riproduzioni intuitive”28, la retroazione, cioè il riempimento a ritroso dello sforzo intenzionale, è “necessaria a priori”. Cfr. Leibniz, Nuovi Saggi sull’Intelletto Umano, in Opere II, Torino 1968, pp. 268 e ss. E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p.415, trad. it. cit., p. 90. 24 Cfr. Kierkeggard, La ripetizione, Rizzoli, Milano 2000, pp. 12 e ss. 25 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., p.411, trad. it. cit., p. 84. 26 Cfr. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit., §20-23, pp. 48 e ss., trad. it. cit., pp. 80-83. 27 Continuando, infatti, la disamina sul ricordo quale presentificazione libera di una stessa cosa, Husserl, con significativo avversativo, introduce la differenza con la rimemorazione: “Ma se ritorno sempre di nuovo allo stesso punto di partenza e alla stessa serie di istanti, questo medesimo punto di partenza risprofonderà, a sua volta e continuamente, sempre più in là” (Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., cit.,p.48, trad. it. cit., p. 80. 28 E. Husserl, Zur Phän. des inneren Zeitbewusst., p. 413, trad. it., p. 87. 22 23 7 Ciò distingue, per Husserl, la rimemorazione dalla associazione di appaiamento (paarende Association): la rimemorazione, infatti, è appunto “una ripetizione d’identità” (die reproduktive Wiedererinnerung ist eine Identitaetswiederholung) di una cosa ottenuta mediante il ricordo, ed è perciò, per Husserl, il presupposto di una identificazione sintetica dell’Oggetto29, giacché “se non ci fosse la possibilità di rimemorare sarebbe insensato parlare di medesimo oggetto”30. La associazione di appaiamento è, invece, per Husserl, una tensione associativa tra un presente-ritenuto e un presente-proteso, tra qualcosa di noto dato in presenza e una lateralità ignota in cui questo qualcosa viene per così dire “rifondato”31. In questo senso, la riflessione, appaiando diverse lateralità dell’io, frammenti attivi della sua libertà, compie una associazione di tempi, e viceversa, appaiando diversi tempi, associa, unifica, l’io riponendolo nel suo Inizio originale. 6. LA RIFLESSIONE A differenza del ricordo e della rimemorazione, la riflessione indica un tentativo di reversione all’interno della irreversibilità del tempo che scorre: un tentativo di ripiegamento del tempo irreversibile. Fuori da ogni indagine psicologica, infatti, l’atto di riflessione consiste nella presentazione di un altro atto trascorso per piegarne o fletterne di nuovo (nel senso appunto del ri-flettere) il contenuto. La riflessione non ricorda, sebbene presupponga una qualche forma di ricordo. La riflessione tenta di piegare l’atto già accaduto a partire dal suo vero inizio, in nuovi versanti. L’atto su cui si riflette è una unità non divisibile32 oltre che non duplicabile33 di tempo; è qualcosa del tempo che, ad esempio, si è detto, fatto o ascoltato. Quando si riflette su un atto, è come se si dovesse estendere, nuovamente, nella sua interezza, la corda tesa sulla quale il fenomeno, e l’estensione temporale in esso contenuta, si è esibito. Qui la possibilità di variazione del tema passato è ampia ed imprevedibile. La riflessione, infatti, a differenza della rimemorazione, è un rapporto di atti liberi – tra flessione originaria e ri-flessione –, cioè svincolati dal dover riprodurre il ricordo di un oggetto per identificarne i contorni. L’atto che viene riflettuto ha infatti un inizio ed è questo inizio che viene ripreso per la prima volta. Il nucleo di questo inizio è latente e trascendente: sprofonda infatti nella temporalità associativa di un io che ad esempio pensa, parla o agisce; esso esprime un originario andare-verso-qualcosa da parte di un io. Ciò che viene cercato nell’atto riflessivo non è dunque la cosa, o il decorso temporale da far riemergere, ma la premessa trascendentale implicata nell’atto temporale di una coscienza che si è diretta verso qualcosa. E’ il punto di inizio che è appunto, per essenza, non-riflessivo o come direbbe Sartre irriflesso o ad ogni modo preriflessivo, che viene appunto – per la prima volta – in modo inedito, intimo ed esclusivo – riflesso. Prima di questo inizio non c’è nulla che appartenga alla coscienza, e per questo esso non è riflesso: esso infatti esprime la flessione originaria di una coscienza che cade ed accade nel tempo. Esso è l’inizio di un mutamento dell’io che sta per compiere qualcosa. L’io che riflette tenta in realtà dunque di scavarsi il passaggio verso un’origine che è la sua propria coscienza irriflessa. Questa coscienza è, per utilizzare ancora una terminologia di Husserl, noetica, inerisce cioè ad una noesis, a un atto di pensiero rivolto verso qualcosa. Cfr. E. Husserl, Vorlesungen über passiven Syntesis; trad. it. Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 327. E. Husserl, Formale und transzendentale Logik, trad. it. cit., p. 291. 31 Cfr. E. Husserl, Phän. der Intersub., II, p. 532: “In questo modo-scrive Husserl- in gradi diversi della fusione ragguagliante (ähnlichende Verschmelzung), la quale è un tender-si (Sich-spannen) della presentificazione ritenzionale verso il nuovo, il già-noto viene rifondato nel nuovo (in base ad una rassomiglianza) e ad esso (al nuovo), per altro, conferisce in parte il carattere del noto”. 32 Cfr. E. Husserl, Zur Phaen. des inneren Zeitbewusst., cit., p. 389, trad. it. cit., p. 63: “Del fenomeno del decorso noi sappiamo che è una continuità di mutamenti incessanti òa quale forma un’unità indivisibile, non divisibile in tratti ch possano stare a sé, e non separabile in fasi che possano stare a sé, in punti della continuità”. 33 Cfr. E. Husserl, Zur Phaen. des inneren Zeitbewusst., cit., p. 389, trad. it. cit., p. 63: “Come ogni punto (e ogni tratto) di tempo è, per così dire, «individualmente» distinto da ogni altro, e nessuno può comparire due volte, così nessun modo di decorso può comparire due volte”. 29 30 8 Dato che questo inizio viene colto ed esplicitato per la prima volta, esso diviene il vero epicentro dell’atto di riflessione. L’atto passato – a partire dal suo nucleo iniziale/iniziatico – è dunque l’ “ora” del nuovo atto riflessivo, ed “è nell’ora che le cose possono essere state mosse diversamente”34. La noesis implicata nel “riflettuto” (o nel “riflesso”) deve essere, dunque, considerata epicentro della riflessione anche in senso condizionale assoluto, perché essa è il sostegno temporale su cui l’attività noetica di secondo grado va a dirigersi. Nell’atto riflessivo autentico, dunque, ciò che viene “riflesso”, come un fascio di luce che viene specchiato, è anzitutto un nucleo di libertà originaria la quale “temporalizza”35, e “si temporalizza” a partire da un punto. E’ proprio questa origine in cui l’io irrompe sbilanciandosi in avanti, con tutte le sue vacue intenzioni d’atto, le sue anticipazioni, aspettative e protenzioni, a costituire il fondo ultimo verso cui muove la riflessione. Per questo motivo, si può dire che, nella riflessione, sia l’io muove in avanti, nella attualità fluente del suo riflettere, verso l’origine, sia che, nel volgersi al passato, all’atto come decorso, essa sprofonda in realtà verso il futuro: la possibilità d’atto, la forma dell’ora, che, come afferma Husserl, si porta con sé tutto il sistema delle aspettazioni verso un non-ancora che è ora passato o presente, costringe a pensare l’origine come futuro dell’atto di riflessione, cioè come quel riflesso che, scavalcando il nesso attualità / decorso d’atto, si pone di nuovo come possibilità primaria, come un rinnovato “ora”. In questo senso l’oggetto della mia riflessione non è tanto il “me stesso”, non è il che cosa ne è di me, o il che cosa io sono, ma, all’interno della materia (eventi, fatti, stati) in cui si trova sepolto, sono Io proprio in quanto inizio. Io in quanto Inizio, significa: non tanto libertà come punto oscuro, come polo puro, ma piuttosto la libertà, nel senso di Fichte, come Tätigkeit, come attività, come qualcosa che s’allunga, si flette, si sforza, di essere “atto”: l’Inizio richiede, di nuovo, un altro “ora”, un altro epicentro temporale, impone, appunto, di riiniziare, sbilancia l’io ad autoporsi come atto ulteriore rispetto a quello riflessivo, sospingendolo verso qualcosa che non è ancora. In questo senso la riflessione non è ricordo, né rimemorazione, né riproduzione fantastica di un oggetto, ma recupero di una possibilità originaria: l’atto esce dalla flessione, espatria dal circuito, per vedere l’origine della sua possibilità propria, origine del tempo che è di là a venire. La particolarità del percorso, viene svuotata dal suo passato, e dedotta nella sua origine: a differenza della colpa, però, non vi è il senso disgiuntivo di un aver potuto agire altrimenti, né l’emersione di una possibilità sorpassata eppure presente, ma l’apprendimento che il futuro sia l’origine stessa del decorso, che dietro la scia di atti, stati e d eventi, ci sia un tempo di inizio che dice futuro, incompletezza genetica di ciò che è fatto, e che quindi continua. E’ ciò per cui nel passato stesso si trova il futuro. Ma in quale passato? Non c’è dubbio che io rifletto su qualcosa che è trascorso: eppure io, come detto, non rifletto sulla cosa e nemmeno sul fatto, ma sull’atto del trascorso. Mentre la ritenzione è una flessione primaria e non riflessiva della memoria, giacché, tornando all’esempio della melodia, io la ascolto le note per la prima volta, la riflessione, invece, va decisamente indietro, ripercorrendo a ritroso la via verso qualcosa. Essa percorre sentieri e stradine per pervenire allo spiazzo designato: per sopraggiungere sul luogo dove accadde un evento. Allo stesso modo che noi attraversassimo una strada percorrendola nel senso opposto, noi non vediamo le stesse cose. La strada è la stessa. Ciò che si staglia ai lati resta immutato. Ma la prospettiva è opposta e il nostro sguardo associa le diverse dimensioni dello spazio e del tempo in verso contrario. La riflessione torna indietro e percorre la serie delle ritenzioni in modo divergente. Letteralmente le riflette, riflettendo così l’intera curva di un attualità decorsa. Essa vede questo versante per la prima volta. Vi sono dei riferimenti noti, che palesano la circostanza che si tratta di un ripercorrere e di un riflettere: cioè che si tratta di una coscienza secondaria rispetto a quella definita dall’impressione originaria. Eppure ciò che si manifesta affiora per la prima volta: è l’associazione stessa del tempo ad apparire. Infatti, la riflessione cammina sulle cuciture già emesse dal tempo, sulla serie delle associazioni che tengono insieme, avvinghiati in modo singolare, l’io, l’”ora” e la cosa, che tengono annodati insieme momenti di flusso e scampoli di movimento nella sottospecie di vissuti. La serie delle ritenzioni, oramai 34 Aristotele, Fisica, IV 14 223b 1-2, ed. it. cit., p. 235. Fichte, Wissenschaftslehre 1801-1802, in GA II 6, pp. 220 e ss. 35Cfr. 9 passate, (quasi fossero, per rifarci alla rappresentazione grafica di Brentano e di Husserl illustrata in precedenza, una serie di triangoli inclusi l’uno nell’altro), non viene propriamente ricordata; non viene fatta oggetto di ricordo. Essa è solo la via percorsa e riflettuta dalla coscienza nel suo tornare. Essa non torna sulla scia dei suoni, né su un episodio al fine di riprodurlo. Essa, gettando lo sguardo sulla scia dei suoni o su un episodio, quasi da presente a presente, da tempo a tempo, giacché si tratta di un primo sguardo, torna all’origine: all’impressione originaria. Non perché da essa vuole, a sua volta, al modo di una molla, riandare in avanti per ripercorrere il vissuto —e in questo si differenzia, abbiamo detto, dalla rammemorazione — ma perché in questo inedito percorso, in cui si guadagna una nuova prospettiva sul medesimo panorama, ci si riappropria di quella sfera originaria in cui l’io e il tempo giacciono insieme. Si sopraggiunge, cioè, all’inizio della linea che è l’inizio della possibilità del tirar-di-linea, ma vi si ci perviene avendo nello sguardo l’intera traiettoria e la conseguenza, aldilà della quale l’atto di riflessione è partito. La riflessione, mira quindi al futuro, a ciò che non è mai stato discoperto, apre lo sguardo al rinnovamento della possibilità entro le pareti finite di una direzione già tracciata: essa mira quindi al futuro anteriore, nel senso realistico della potenzialità. In questo senso, essa non implica il ricordo: è possibile riflettere anche su contenuti primari, in corso di movimento, avere una quasi-riflessione su una quasi-attualità, su un sistema di ritenzioni correnti. La riflessione è dunque un movimento di ritorno. Eppure essa, è un ritornare dove non siamo mai stati. E’ uno sguardo originario gettato sull’associazione del tempo. La riflessione non è un ricordo essa si muove sul piano delle ritenzioni. Essa è coscienza di un’ “ora” che non è adesso, eppure non è una coscienza di un “ora” passata. Questo problema qui deriva dalla natura specifica della riflessione, in quanto, essa sembra voler seguire per intero, la struttura del tempo. Abbiamo definito infatti all’inizio del paraagrafo il movimento riflessivo una reversione all’interno di una irreversibilità. Un ritornare all’inizio nella controcorrente di un andamento irreversibile. In termini fisici, ciò sembra ricalcare la difficoltà di conciliare la reversibilità microscopica con l’irreversibilità macroscopica36. Infatti, la riflessione torna mostrando reversibile il ricorso alla possibilità originaria. Ma questa avviene, e può avvenire, solo perché opera sulla irreversibilità degli eventi. Sembra voler sorpassare il fatto ma ne acclara il suo esser accaduto. Essa, se vogliamo, manifesta il tempo, perché si pone sulla soglia estrema di uno sdoppiamento impossibile: quello di un altro io all’interno dell’io: un io che ritorna per sorpassarsi nel suo inizio, un io che converte il proprio corso superando l’ossessione, il dovere e la colpa, coincidendo con se stesso, facendo coincidere la propria “ora” con il presente, autopresentandosi in qualche modo, che cerca di risalire e di ricucire il disallineamento dei tempi. Uno sdoppiamento dell’io dunque per una sovrapposizione conclusiva, di un “io sono io” uguale nel tempo, un cogito ergo sum apodittico prima e dopo l’esperienza temporale del sum cogitans. La riflessione non percorre questo sdoppiamento impossibile. Essa non conduce ad una ripetizione dell’oggetto temporale né tantomeno del soggetto temporale. Essa si ferma sulla soglia di questa duplicazione. Essa si ferma sulla soglia. Sulla soglia, cioè dell’identità dell’Io. 7. LA MEMORIA COME RICAPITOLAZIONE DEL MONDO Come si è potuto evincere da questa breve analisi, la memoria pur presupponendo un passato come suo oggetto interno, si estende sino ai limiti della costituzione del tempo interno che sono poi i limiti della stessa identità dell’io, completando o addirittura realizzando il presente e rinvenendo il futuro autentico del proprio – sempre di nuovo possibile – inizio. Se la ritenzione è il ricordo primario del presente che passa, la testimonianza propria che vi è un presente vivente, corrente, capace di accogliere il senso di una melodia, il ricordo è il tentativo di comunicazione con un oggetto temporale distaccato con Cfr. K. Denbigh, Three Concepts of Time, Springer Verlag, Berlin 1981, pp. 34 e ss.; e cfr. M. Dorato, Time and Reality. Spacetime Physics and the Objectivity of temporal Becoming, Clueb, Bologna 1995, pp. 17 e ss. 36 10 l’altro-in-me tangente al flusso attuale dei vissuti e la rimemorazione un tentativo di cogliere l’intero percorso temporale passato, un intero segmento di storicità interna, di narrazione, per coglierne o riprodurne l’identità oltre che per comprendere se non il perché il poiché dell’attuale presente. La riflessione infine è un andare indietro verso il futuro, un tornare dove non siamo mai stati, ma che è l’origine, irriflessa, del nostro agire, capire, pensare, parlare, tanto libera quanto temporalmente associata alle cose, irreversibili, che le hanno determinate. Lì si nasconde, pur nel passato, il senso del futuro: ripercorrendo, per la prima volta, all’indietro, la strada che già abbiamo percorso una volta in modo irriflesso. In questo senso, si potrebbe dire nel senso di Benjamin, che è nel passato che vi è redenzione, perché solo lì vi è ritorno, e, al contempo, la salvezza del futuro: quelle schegge messianiche rimaste inesplose ma che conformano l’èschaton della loro esplosività37. In questa memoria, sta una certa ripresa della indivisibile storia umana. Ognuno, come monade infinitesimale, per utilizzare un termine mutuato da Leibniz, caro a Husserl e presente ancora in Benjamin, è, in altre parole, una singolare ed irripetibile ricapitolazione della storia mondo, capace di ricordare il proprio inizio, tanto intimo quanto comune, tanto proprio quanto già da sempre accomunato (secondo il senso husserliano della Vergemeinschaftung38) a quello degli altri, lungo tempi – fin da ora – lontanissimi; E in questa ricapitolazione di memoria, ogni volta di nuovo, si fa largo il rinnovato sforzo di esercitare l’origine per trasformarla in telos, destino comune e convergente dell’intera umanità39. Pier Paolo Fiorini Prof. a contratto European School of Economics Dottore di ricerca in Filosofia PUG e in Filosofia del diritto Univ. “La Sapienza” di Roma Cfr. Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino 1997. Husserl, Zur Phän. der Intersub., III, p.668. Cfr. D. Zahavi, Die transzendentale Intersubjektivität bei Husserl, pp. 54 e ss. E cfr. Husserl, Zur Phän. der Intersub., II, p. 360. 39 Cfr. Husserl, La crisi delle scienze europee, Milano, Il Saggiatore 1997. 37 38 11