L`OSSO, L`ANIMA - Bartolo Cattafi

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L`OSSO, L`ANIMA - Bartolo Cattafi
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BARTOLO CATTAFI
L'OSSO, L'ANIMA
MONDADORI
MILANO 1964
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DELLE PENE
Alla prova dei fatti
non ci fu di che essere allegri:
torti, errori, viltà,
debolezze del cuore,
insanie che inquinarono la mente.
Pagammo in disparte nascondendo
le voci, l’ammontare,
i conti d’impossibile chiusura.
Vorremmo un’era
forte, aperta, precisa,
di pubblica chiarezza per le pene.
Non più pagare mediante equivalenze,
con conguagli privati, silenziosi,
ma tormenti, tenaglie squillanti
maschera gogna ruota rogo.
Visibile a tutta la città
la corda che ci tira per il collo.
LA SEDE ADATTA
L’anima dilata
deforma questi oggetti della terra,
carica le cose d’assoluto,
altera colori, sconvolge
volumi, valori, affida
nobili poteri a corpi vili.
Muove fuochi e pensieri all’infinito
mentre il cerchio è già scritto nel suo giro
e l’immobile centro allunga raggi
i monotoni raggi fino al limite.
L’anima non trasmodi
non faccia movimenti esagerati,
se li fa taccia
– non si lagni quando
casca nel concavo, in un fosso,
o sbatte sulla piatta superficie.
Quello che lei vuol fare
è un altro discorso.
E questa non è la sede adatta.
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UN 30 AGOSTO
Si vide subito che si metteva bene:
eventi macroscopici nessuno,
il sole ad un passo da settembre
diede la prima razione
alle isole di fronte,
il mare mandò lampi di freschezza,
il caldo soltanto fra tre ore,
un immenso celeste, ancora un giorno
per l’uva e gli altri frutti di stagione,
tra i pochi rumori di paese
l’ossigeno sibilando disse
di non farcela più con quel suo cuore.
Di primo mattino la morte di mia madre.
OGGI
Oggi ignorando tutto
di questo giorno,
se d’Avvento o Passione,
ignorando i colori, le pianete,
m’inginocchio nella tua casa
sotto la tenda che portiamo ovunque
per aprirla per chiuderla a tua offesa,
aprirla ancora, nei boschi
in fuga, su secche, su frangenti,
dal capolinea a un punto della corsa.
Non frugarmi, non chiedere.
Tu sai il perché d’un labbro
che tremando si sporge più dell’altro.
Accoglimi.
Assieme ai pesci sguazzanti all’ingrasso
nell’acqua del Giordano
nella tua conca di marmo,
ai due cani
ringhiosi clandestini
che baruffano nell’angolo più buio
della tua navata.
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L’OSSO
Avanti, sputa l’osso:
pulito, lucente, levigato,
senza frange di polpa,
l’immagine del vero,
ammettendo che in questo
unico osso avulso dal contesto
allignino chiariti, concentrati,
quesiti fin troppo capitali.
Credo che tu non possa
farcela; saresti
cenere nella fossa,
anima da qualche parte.
A EDI, A TEA
Edi di sangue lupo
di sangue bracco Tea
mie amiche d’infanzia
morte da tre decenni
scioccamente uccise
a fucilate una
l’altra da chissà che ruota
che assurdo strumento.
Noi tre spersa pattuglia
in giro per quell’età.
Mie sorelle maggiori
d’anni bontà pazienza
ringhiose soltanto in mia difesa
come un tempo vi cerco
negli angoli più bui
ma non per gioco
chiede aiuto ai suoi angeli qualcuno
divenuto adulto
adulta creatura mansueta
che non ringhia non mugola e trema
a orecchie basse
la coda tra le gambe.
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A VITTORIO
Mio amico
oggi è il dieci settembre
millenovecentosessantadue
e fa ancora caldo
benché siano le undici di sera.
La città è Milano
la stessa città dove tu vivi.
Seduto a questo tavolo bruciato
dalle cicche, senza più vernice,
bollato dal fondo dei bicchieri,
nella casa che tu conosci.
Ti scrivo per dirti
che quanto prima me ne vado.
Da uomo a uomo voglio dirti grazie
e chiederti scusa delle cose
che fui costretto a darti
quello che fu possibile cavare,
la farina la crusca
uscite dal mio sacco,
di cui ci sarà presto l’inventario.
Vorrei che tu fermassi nella mente
la mia vera sostanza soprattutto
che dalla tua ebbe
luce, vento, profilo
– ignoro che profitto seppe trarne
la mia greve difficile sostanza.
E rientri nei calcoli la sola
verde foglia velenosa,
forma di lancia
rivolta di più verso il mio petto
(conosci i modi offerti dalla vita
di saggiare la morte, tu, con le tue mani,
di attrarla a te, puntartela sul petto
per insania, viltà verso la vita?).
Tutto fu cotto ad un vero fuoco.
Ed ora
tutto è in un fermo vetro trasparente.
Questa amicizia fu per me qualcosa
che non può con l’altro
connettersi, eguagliarsi
nell’amalgama,
bigia spuma, buon sasso,
sabbia sfuggente,
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e tu fosti ineguagliabile qualcuno
alta onda smagliante nel gran mare,
cuore saldo e preciso
illimitato cuore fantasioso.
Questa immagine ho avuto,
questa mi porto chiusa dentro il sacco.
Dovrei dirti di come me la passo,
l’ansia, l’affanno
– buffi gesti del muscolo cardiaco –,
l’aria che manca se di poco m’affaccio
al luogo dove andrò.
Comunque ti formulo la mia
speranza-promessa:
appena posso
da una cella celeste o infernale
farti una buona
tenace, terrestre compagnia.
Ti dovevo tanto. Ti saluto.
THRINAKIE
Omero ne parla perché Ulisse
l’incontrò sul mare,
la Terra dei Tre Capi.
Ricca, fiera, boscosa,
America avanti lettera,
favole correvano
da un cateto all’altro.
Dovevano ancora venire
le agavi e le arance,
i paladini d’Angelica,
i sonni sull’amaca.
Ora è un triangolo arido,
figura piana e montuosa
di marina solitudine,
terra di molti mali
di problemi scottanti
non per colpa del sole.
Se vi sbarchi è come
un approdo in Nordafrica
o al Partenone
in un’aria di semicolonia,
e si è metà dentro metà fuori
di un chiaro capitolo di storia.