9-13 febbraio - Filtea-Cgil Federazione Italiana Lavoratori Tessili

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9-13 febbraio - Filtea-Cgil Federazione Italiana Lavoratori Tessili
Dipartimento Internazionale
http://www.cgil.it/internazionale/
RASSEGNA STAMPA
INTERNAZIONALE
09 – 13 febbraio 2009
A cura di Maria Teresa Polico
DIPARTIMENTO INTERNAZIONALE CGIL
RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE
09 - 13 febbraio 2009
INDICE
ARGOMENTO
Unione europea
TESTATA
Ritorno al futuro
Norme più severe per combattere il lavoro clandestino
The Economist
New Europe
Balcani
I lavoratori protestano mentre le ristrettezze economiche si diffondono nei
Balcani
Reuters
Francia
I sindacati ritengono che il capo dello stato non abbia proposto niente di
concreto
Le Monde
Gran Bretagna
Harman attacca le banche per discriminazioni sessuali
Financial Times
Romania
Le proteste in Europa orientale non sono contro i banchieri
Nesweek
Svizzera
La Svizzera dice un grande SI al patto europeo sui lavoratori migranti
International Herald Tribune
Africa
La vice di Mbeki entra a far parte del nuovo partito sudafricano
International Herald Tribune
America Latina e Caraibi
In Messico ogni giorno 6000 lavoratori perdono il posto di lavoro
The Economic Times
Medio e Vicino Oriente
La sinistra alla ricerca dell’anima
Ha’aretz
Stati Uniti e Canada
La GM taglia 10.000 posti di lavoro
Boston Globe
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The Economist
12/02/09
Ritorno al futuro
John Monks dice che i sindacati dovrebbero spingere per un ritorno ad un capitalismo più vecchio
AFP
Mentre i lavoratori edili inglesi sono scesi in sciopero questo mese per protestare contro i lavoratori
italiani e portoghesi che sono stati portati nei cantieri britannici, un’inattesa voce ha parlato per
difendere la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea (UE). John Monks è
un ex leader della British Trades Union Congress (TUC), che ora è alla guida della Confederazione
Europea dei Sindacati. Egli ha sottolineato che c’erano ingegneri britannici ascensoristi in un hotel
dove era a Bruxelles e, inoltre, che non c’erano di solito più imprenditori britannici che lavorano
all'estero di stranieri in Gran Bretagna. Egli ha delle riserve riguardo le regole sui "lavoratori
distaccati" che disciplinano queste materie. Ma questo, ha dichiarato, non è il momento del
protezionismo dei posti di lavoro.
Il capo dei sindacati europei può sembrare un improbabile alfiere del capitalismo del libero
mercato. Ma Monks ritiene che i sindacati abbiano un ruolo importante da svolgere in quanto il
capitalismo è rimodellato dalla crisi finanziaria. Più amministratore riflessivo che ampolloso leader,
non ha mai voluto veramente un linguaggio antagonista che aizza il lavoro contro il capitale e ha
visto gli accordi di contrattazione collettiva come una mera tregua nel conflitto di classe. Egli è
stato sempre molto felice dello stile consensuale del sindacalismo dell’ Europa continentale, dove i
lavoratori, specialmente in Germania, sono stati consultati nel processo decisionale a livello di
azienda e di fabbrica. Ha accolto con favore la crescita di un pragmatico, pacifico approccio in
Gran Bretagna dopo che Margaret Thatcher schiacciò sindacalismo militante negli anni 1980.
La visione che Monks ha del capitalismo si è forgiata nel mondo corporativistico degli anni ‘50,
delle Imperial Chemical Industries (ICI più tardi), con le sue generosi pensioni, indennità aggiuntive,
distribuzione degli utili e così via. Dopo esser cresciuto all'ombra di uno stabilimento ICI vicino a
Manchester, ha studiato storia economica, e ha pensato che le cose sono come sarebbero sempre
state. Nonostante i suoi dieci anni a capo del TUC, non aveva idea di come quel sobrio modello di
capitalismo fosse fondamentalmente superato. Monks confessa timidamente che fino a quando il
fidanzato di sua figlia non parteciò a un hedge fund nel 2005 non aveva idea di come funzionasse
la finanza moderna. Quando il giovane gli spiegò gli hedge fund, il private equity, il mezzanine
financing, leveraged e le offerte di vendita a breve, Monks spalancò gli occhi. Gradualmente
apparve chiaro perché la scena della vecchia solida industria di ICI e della General Motors stesse
andando nel modo in cui andava.
Aveva supposto che fino a questo punto si trattasse solo di rimodellare i sindacati ad affrontare un
mondo in cui i posti di lavoro nell’industria e i sindacati erano in declino. Il sindacalismo è in ritirata
in tutta Europa: in Gran Bretagna e in Germania il numero dei membri del sindacato è sceso di
circa la metà dal 1980. I sindacati tedeschi hanno tollerato anni senza aumenti delle retribuzioni in
termini reali mentre la Germania lottava per rimanere competitiva dopo il lancio dell'euro. In
Francia, i sindacati sono confinati al settore pubblico e in parte ad imprese di proprietà statale,
come Suez-Gaz de France e Renault. Le acciaierie, le miniere di carbone e cantieri sono stati
ancora una volta il cuore del sindacalismo britannico, ma ora è Tesco, il più grande datore di
lavoro del lavoro sindacalizzato, con 140.000 lavoratori sindacalizzati nei suoi negozi e depositi.
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Monks ha capito che ci sono più forze importanti sul lavoro, come l'aumento del capitalismo
finanziario moderno e il mercato unico.
L'Unione europea, influenzata dal pensiero di centro-sinistra tra i socialdemocratici e i cristiano
democratici, ha la tendenza a favorire un’ "Europa sociale", che ammorbidisce i duri spigoli del
capitalismo praticato in America o in Gran Bretagna. Ma una sentenza della Corte di Giustizia nel
dicembre 2007 è sembrata ai sindacalisti che volesse mettere la libera circolazione dei lavoratori al
di sopra degli interessi dei sindacati e degli accordi sulla contrattazione collettiva nazionale. In un’
oscura controversia riguardo un’impresa lettone che impiega operai a basso costo in un cantiere
edile svedese, il più alto tribunale svedese ha stabilito che il diritto di sciopero non è tanto
importante quanto la libera circolazione dei lavoratori, dei beni e dei servizi. Nell’interptretare
questa direttiva sui lavoratori distaccati, il giudice si è espresso a favore della società lettone, e
contro gli scioperanti svedesi. Anche prima di una simile lite scoppiata in Gran Bretagna, Monks
era preoccupato che la direttiva fosse stata interpretata in modo da minacciare i rapporti di lavoro.
Il suo entusiasmo per la libera circolazione dei lavoratori è mitigato dalla paura che potrebbe
compromettere gli accordi nazionali sui salari.
Mettere indietro l'orologio
Egli ritiene che la crisi economica significhi che le condizioni ora sono mature per un attacco al
sindacato e non per indebolire il capitalismo, ma per rimodellarlo e riguadagnare influenza. Monks
è stupito di apprendere che gli investitori potrebbero vendere azioni non proprie, solo acquistarle a
meno quando le loro azioni avevano fatto scendere il prezzo. Cosa lo disgusta di più è che le
frange più selvagge del capitalismo finanziario, non solo sono popolate dagli hedge fund, dal
private equity e da altri speculatori (in una strizzatina d'occhio alla politica irlandese, li chiama " ala
provvisoria dei servizi finanziari"), ma da banche importanti. Egli si rammarica del fatto che
persino i sindacalisti - attraverso il loro interesse per i fondi pensione, sono coinvolti nella ricerca di
rendimenti elevati. Ma egli riserva la sua critica più forte alla città di Londra dove vede gli
investitori interessati a elaborare soltanto speculazioni, non disponibili ad assumere rischi
sostenendo imprese ordinarie. Almeno in America, egli osserva ammirato, gli investitori di capitale
di rischio sono di solito pronti a sostenere i costi di avviamento per l’innovazione.
Egli auspica che il paziente approccio di investitori come Warren Buffett sia di tornare allo stile,
come parte di un più ampio ritorno ad una più antiquata forma di capitalismo. Egli approva il modo
delle banche italiane e tedesche sostengono le piccole e medie imprese. Egli è un grande
ammiratore del boss della Rolls-Royce, Sir John Rose, che sta conducendo una campagna per
ottenere che il governo britannico prenda più seriamente la produzione. Ed egli osserva che
l'ossessione per i risultati a breve termine significa che, per anni, non è stato divertente essere
capo di una società pubblica britannica. "Due quarti fatti male e si è fuori", dice, è stato il modo per
troppo tempo. Prima della crisi, esprimere tale scetticismo nei confronti della finanza moderna
sembrava Luddista e anti-capitalista. Ma ora Monks si trova nella "corrente principale" e spera di
trarre vantaggio da essa.
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New Europe
09/02/09
Norme più severe per combattere il lavoro clandestino
Una
collaboratrice
domestica
LORRAIN/RIEDINGER Philippe
al
lavoro
©Belga/PHOTOPQR/LE
REPUBLICAIN
Mercoledì 4 febbraio, i deputati europei si sono pronunciati sulla direttiva che introduce sanzioni
contro i datori di lavoro che impiegano immigrati illegali. Le sanzioni previste dalla direttiva
potranno essere pecuniarie, amministrative e, nei casi più gravi, penali. La direttiva completa i testi
legislativi sul rimpatrio e la carta blu europea.
Abbiamo raccolto le opinioni dei partner sociali europei sulla direttiva “sanzioni”. L’unico punto di
disaccordo sono le norme che regolano i casi di subappalto. La relazione Fava verrà approvata
definitivamente il prossimo 18-19 Febbraio a Bruxelles.
Il lavoro “in nero” in Europa come altrove è un fattore di attrazione dell’immigrazione illegale. Ogni
anno entrano nel territorio europeo almeno 900 000 immigrati clandestini. Molti di loro trovano
lavoro in settori come l’edilizia, l’agricoltura, i servizi di pulizia e nel settore alberghiero.
Gli svantaggi di lavorare “in nero”
Il lavoro clandestino rappresenta indubbiamente un fattore negativo non solo per l’economia
europea ma anche per i lavoratori stessi. Oltre a determinare perdite per le finanze pubbliche e a
falsare la concorrenza tra imprese, il lavoro clandestino rappresenta uno svantaggio per i lavoratori
non dichiarati che non possono godere della copertura sanitaria e del diritto alla pensione. I
cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente sono in una posizione ancora più vulnerabile in quanto
rischiano, se fermati, di essere espulsi verso il loro paese d’origine. La clandestinità porta spesso
alla non reazione da parte degli immigrati ad abusi che altrimenti non verrebbero perpetrati:
pagamenti ben al di sotto del minimo salariale, orari di lavoro disumani ed altre imposizioni di furbi
datori di lavoro.
Con la nuova direttiva, assumere lavoratori clandestini costerà molto caro, ed in alcuni casi si
prevede pure la prigione. Un sistema di pene armonizzate, che vanno dalle sanzioni pecuniarie a
quelle penali, è stato creato con l’obiettivo di dissuadere i datori di lavoro ad assumere, in nero,
clandestini.
La Confederazione europea degli imprenditori, rappresentata a Bruxelles da Business Europe,
concorda con gli obiettivi principali di questa direttiva: “Il lavoro clandestino rappresenta una forma
di concorrenza sleale per gli imprenditori onesti”, ha dichiarato Marcus Schwenke, consulente
presso la Business Europe.
La Confederazione europea dei sindacati (CES) teme invece che misure così severe rendano il
lavoro nero ancora più « sotterraneo », come ha dichiarato Catelene Passchier, Segretaria
confederale della CES. Sviluppare migliori vie d’accesso per l’immigrazione legale potrebbe
essere una soluzione alternativa più efficace.
Più responsabilità per i datori di lavoro
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Dato il numero elevato di subappalti in molti settori dove si impiega manodopera clandestina, la
direttiva ha voluto specificamente determinare e individuare le responsabilità. Se un datore di
lavoro è un subappaltatore “gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie affinché
l’appaltante principale e tutti i subappaltatori intermedi siano considerati come responsabili”.
Questa disposizione è necessaria, secondo la CES, perché molti lavoratori clandestini sono
assunti direttamente dai subappaltatori o da agenzie ad interim.
Per Marcus Schwenke, la direttiva “preme” troppo sui datori di lavoro: “È impossibile per un datore
di lavoro controllare la legalità di tutti i suoi partner contrattuali”. Questa disposizione sarebbe
dunque sproporzionata e rappresenterebbe un “peso amministrativo per le imprese e
implicherebbe sanzioni troppo severe”.
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Reuters
09/02/09
I lavoratori protestano mentre le ristrettezze economiche si diffondono
nei Balcani
Di Olja Stanic
Bania Luka, Bosnia. Centinaia di lavoratori si sono radunati lunedì nei Balcani per chiedere il
pagamento dei salari e il sostegno del governo per compensare il crollo dei prezzi dei metalli nella
crisi finanziaria globale che ha colpito la regione con forza piena. In Bosnia, i lavoratori del
produttore di alumina Birac, hanno protestato nella piazza principale di Bania Luka, dove c’è la
sede del governo, portando cartelli nei quali si leggeva “La Fabbrica è la Nostra Vita” e “Chi darà
da mangiare ai nostri bambini?”. Nella capitale di Montenegro Podgorioca, i lavoratori del settore
dell’alluminio hanno chiesto di essere pagati e il riavvio immediato del la produzione interrotta.
I paesi dell’ex Yugoslavia che non fanno parte dell’Unione europea sono stati risparmiati da alcuni
effetti immediati della crisi finanziaria a causa del loro isolamento dalle economie dell’Europa
occidentale. Le manifestazioni di lunedì hanno fatto ricordare che queste regioni relativamente
povere che hanno sofferto in passato dei contraccolpi dell’instabilità politica non sono immuni dalle
sofferenze che si diffondo in Europa.
La Birac occupa circa 1.100 persone. Ma anche i posti di lavoro di circa 1.000 minatori nella vicina
Milici potrebbero essere colpiti, oltre ai posti di lavoro nelle ferrovie e nei trasporti, mentre le
miniere di bauxite vendono l’intera produzione alla Birac.
“Se l’impianto di alluminio smette di funzionare, anche noi smetteremo di funzionare”, ha affermato
Mirko Dukic, il leader sindacale dei minatori. “Non posso sapere quello che accadrà a noi e alle
nostre famiglie se il governo non ci aiuterà”.
La società è stata obbligata a fermare la produzione all’inizio di gennaio dopo il taglio delle
forniture di gas dalla Russia. Da allora ha soltanto ripristinato la produzione di zeolite, un prodotto
chimico utilizzato nella produzione di detergenti.
La Birac, con proprietà di maggioranza dell’Ukio Bank Investment Group della Lituania, ha sentito
dallo scorso anno gli effetti del rallentamento economico, quando i prezzi dell’alluminio e
dell’allumina sono iniziati a diminuire nel mercato mondiale.
“La crisi è iniziata ad agosto e trae origine dalla crisi economica globale”, ha affermato Predrag
Tomic, presidente del sindacato della Birac. “L’intero processo di produzione è stato messo in
questione, come le condizioni di vita di circa 6.000 persone”.
L’alumina è un materiale grezzo fatto di bauxite che è utilizzato nella produzione di alluminio.
I DEBITI AUMENTANO
I lavoratori della Birac a Bania Luka, la città più grande della Repubblica Serba di Bosnia, ha
chiesto al governo di aiutare la società ad evitare la chiusura riprogrammando i debiti da pagare e
concedendo sussidi per il gas, l’elettricità e il trasporto.
“Il datore di lavoro non può risolverlo da solo, ha bisogno che il governo aiuti la produzione che è
stata ridotta ad una capacità minima del 20%”, ha affermato Tomic.
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Nella capitale montenegrina Podgorica, i lavoratori dell’alluminio hanno chiesto che i loro salari
siano pagati e l’avvio immediato della produzione alla Kombiant Aluminijuma Podgorica (KAP), un
impianto di alluminio di proprietà russa.
I lavoratori del metallo della città centrale di Niksic e i lavoratori del tabacco provenienti da
Podgorica hanno affermato che si riuniranno di fronte al principale edificio governativo del
Montenegro al più tardi lunedì.
L’impianto di alumina della Bosnia ha accumulato debiti per l’elettricità, per il gas e per il trasporto
stimati per 80 milioni di marka (53 milioni di dollari), Il leader sindacale Tomic ha affermato che il
prezzo dell’alumina è sceso da 435 dollari per tonnellata ad agosto a 170 dollari di oggi, mentre i
costi di produzione sono rimasti gli stessi, di 320 dollari.
I dirigenti sindacali chiedono che il governo della repubblica serba riprogrammi il pagamento dei
debiti degli ultimi tre mesi.
Ad agosto, la Birac ha realizzato il suo primo profitto dopo anni di perdite, che è spiegato con
l’investimento nella modernizzazione. Nel 2007, la produzione alla Birac è scesa a circa 300.000
tonnellate di alumina, al disotto di 470.000 tonnellate nel 2005.
(Ulteriori informazioni da Dusko Mihailovic da Podogorica; Scritto da Daria Sito-Sucic; redatto da
Nick Vinocur)
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Le Monde
07/02/09
I sindacati ritengono che il capo dello stato non abbia proposto nulla di
concreto
“Deludente” per la CFDT, “Bidonata” per FO, “Apparenza” per Solidaires, “Sbaglio” per la CGT, il
servizio televisivo del capo dello stato non ha convinto, anche se certi ammettono che ci sono
“delle piste di lavoro”, secondo l’espressione della CFDT.
Mentre gli otto sindacati organizzatori delle manifestazioni del 29 gennaio dovevano incontrarsi
lunedì 9 febbraio per discutere sul da farsi, eccoli impegnati e sollecitati da Nicola Sarkozy.
Proponendo di incontrare le parti sociali il 18 febbraio per discutere dell’ “agenda sociale 2009”, il
capo dello stato spera di ritardare, ossia di rendere inutile una nuova giornata d’azione.
La sua strategia è chiara: metterli nuovamente sotto pressione proponendogli molteplici temi per il
negoziato; estensione della protezione dalla disoccupazione per i giovani per coloro a contratto
CDD, migliorare l’indennizzo della disoccupazione parziale, distribuzione dei profitti tra il lavoratore
e l’azionista…O trovate delle soluzioni e concludete gli accordi, oppure lo stato si assumerà le sue
responsabilità, ha detto loro, conformemente a quanto ha fatto dopo l’inizio del quinquennio.
Per il momento, i sindacati rispondono che Sarkozy non ha proposto niente di “concreto e (d’)
immediato”. Per la CFTC, “Occorreranno atti concreti al di là delle parole pronunciate in
televisione”.”Tutto è rinviato a più tardi, e se si deve discutere con il padronato della distribuzione
dei profitti, questo sarà molto lungo”, spiega il segretario generale di FO, Jean-Claude Mailly.
Al di là dei problemi di tempo, i sindacati criticano l’ostinazione del capo dello stato a continuare la
stessa politica. “Ci rinvia la patata bollente chiedendoci di negoziare, mantenendo delle decisioni
che non sono neutrali come la non sostituzione di un funzionario su due o il dispositivo di ore
supplementari”, ritiene Bernard Thibault. Per il segretario generale della CGT, il discorso di
Sarkozy è contraddittorio: “Racconta ai francesi che la crisi, della quale non conosce né la durata e
né le dimensioni, non ha precedenti e, nello stesso tempo, mantiene la sua politica e le riforme
decise prima della crisi”. Thibault non vede nulla di concreto per i lavoratori. “Il punteggio è 8 a 0, 8
a favore del padronato con la soppressione della tassa professionale mentre non c’è nulla per i
lavoratori”, aggiunge.
Il suo omologo della CFDT, Francois Chereque, ritiene che “ci sarà delusione”. Dispiacendosi
come gli altri che il capo dello stato “persiste nel continuare a diminuire l’occupazione nel settore
pubblico”, gli chiederà di abbandonare lo scudo fiscale e i dispositivi sulle ore supplementari che,
secondo lui, distruggono l’occupazione.
Senza aspettare il “vertice” all’Eliseo, il segretario generale di FO ha fatto una proposta ad altri
sindacati: Ha proposto: “Mettiamoci sotto pressione per il 18 febbraio precisando la data di una
prossima mobilitazione che noi manterremo o che annulleremo in funzione dei risultati degli
incontri all’Eliseo”. Alcuni hanno accettato. “Bisogna tenere in vista una nuova giornata d’azione”,
ritiene Gérard Aschieri (FSU), una data che giungerà dopo il lungo periodo di vacanze scolastiche.
Sostenitore di un’azione più rapida, Solidaires intende “allargare ancora la mobilitazione popolare,
il più presto possibile”. Per il sindacato, “il presidente della repubblica non è pronto né a un
cambiamento politico, né tantomeno a discutere del contenuto”.
Non si tratta dunque di ritornare al suo gioco, tanto più che l’invito del 18 febbraio non riguarda che
le cinque confederazioni dette “rappresentative” e le organizzazioni padronali. Un modo per
dividere il fronte sindacale ancora solido.
Rémi Barroux
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Financial Times
10/02/09
Harman attacca le banche per discriminazioni sessuali
Di Jim Pickard, corrispondente politico
Ieri le banche sono state accusate da Harriet Harman, deputata laburista, di incoraggiare un
ambiente di lavoro sessista nel quale lo staff femminile è pagato meno e i dirigenti maschi portano
i clienti nei club di lap dance.
Nell’ultimo attacco violento del governo contro il settore bancario, il ministro per la parità ha
promesso un giro di vite sulle paghe ingiuste e discriminatorie delle donne che lavorano nel settore
dei servizi finanziari.
Harman ha condannato l’industria di “discriminazione e di maltrattamenti” e di utilizzare club di lap
dance per passatempi aziendali.
Il divario salariale tra l’uomo e la donna nel settore è del 40%, quasi il doppio della media
nazionale del 23%, ha affermato ad un incontro del TUC, il Congresso dei Sindacati inglese.
Ha ordinato un’indagine alla Equality and Human Rights Commission per investigare la “cultura
maschilista al vertice dell’industria finanziaria”.
L’industria delle banche ha sottolineato di essere stato un datore di lavoro al femminile. Nel 2007,
secondo la British Bankers’ Association, c’erano 194.000 donne e 121.000 uomini a lavorare nelle
banche. Ma la signora Harman ha affermato: “La metà delle persone che lavora nel settore dei
servizi finanziari sono donne – ma quasi tutti i dirigenti sono uomini”.
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Nesweek
07/02/09
Le proteste in Europa orientale non sono contro i banchieri
Di William Inderhill
La crisi finanziaria sfiderà la fede dell’opinione pubblica nella democrazia e nel libero mercato? Per
i governi dell’Europa orientale che vacillano, è una questione urgente. Alcune delle manifestazioni
di strada più furiose in Europa nell’ultimo mese, sono scoppiate nelle capitali della regione, mentre
la recessione indebolisce le fragili economie nazionali. Le proteste non sono riuscite a rovesciare
un governo, ma sono le peggiori manifestazioni dal crollo del comunismo di 20 anni fa.
I politici locali possono trarre poco conforto dalle ondate di proteste che sono ovunque. Di sicuro, il
rallentamento dell’economia ha anche causato le manifestazioni di massa in Francia e in Grecia –
ma a differenza delle democrazie affermate nell’Europa occidentale, paesi come la Lituania o la
Bulgaria hanno poco o non hanno alcuna tradizione in materia di proteste dell’opinione pubblica. E
per una generazione che è cresciuta con la promessa di un futuro migliore, qualsiasi
rivendicazione è esaltata dalla delusione delle aspettative.
Non è difficile capire il malcontento. I recenti buoni risultati della regione sono sfumati, annientando
le ipotesi di una prosperità in aumento. Gli analisti dicono che l’economia lituana, dopo due anni di
crescita con doppi zeri e con un’espansione della spesa alimentata dal credito, potrebbe vedere
una contrazione del 10% quest’anno – il peggior dato in Europa. Il tasso di crescita della Romania,
che ha raggiunto l’8% nel 2008, è destinato a dimezzarsi. La caduta dei prezzi sta portando a
profondi tagli di bilancio. Tra i più colpiti potrebbe esserci l’Ungheria e la Lituania, i due stati
europei che sono stati obbligati a cercare aiuto al Fondo Monetario Internazionale. Per rispondere
alle condizioni rigorose dei loro prestiti, la Lituania sta licenziando il 10% del personale del governo,
mentre l’Ungheria ha congelato la paga del settore pubblico.
Nonostante questa rude introduzione al libero mercato, esiste un piccolo segnale secondo il quale i
manifestanti anelano ad un ritorno alla sicurezze del governo comunista. “Quello che non vedi è la
gente con manifesti che dicono GIU’ IL CAPITALISMO O TORNIAMO AL COMUNISMO”, afferma
Zilvinas Silenas dell’Istituto Lituano per il Libero Mercato. “Molto probabilmente gli saranno chiesti
ai cambiamenti delle imposte sui redditi”.
Quello che ha adirato i manifestanti è l’incompetenza politica come i sacrifici economici, In Lituania,
dove 14 governi hanno governato per 20 anni dall’indipendenza, la coalizione di centro destra sta
ricevendo un colpo per non essere riuscita a controllare un mercato in rapido rialzo, non per la sua
fede nel libero mercato. “Qui, si tratta di una delusione per il modo in cui la politica è cambiata:
bustarelle, corruzione, nepotismo e conflitto di interessi”, afferma Boyko Todorov del Centro Studi
per la Democrazia a Sofia in Bulgaria, scena di violente proteste in strada nello scorso mese. La
questione non è la sola prosperità. Quello che si chiede forse è maggiore democrazia, non meno
democrazia.
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International Herald Tribune
08/02/09
La Svizzera dice un grande SI al patto europeo sui lavoratori migranti
Di Jonathan Lynn
Gli elettori svizzeri hanno espresso domenica un clamoroso “SI” ad un accordo che estende il
diritto dei cittadini europei a vivere e lavorare in Svizzera, nonostante i timori dei lavoratori
immigrati e dei senza lavoro nella recessione che si sta aggravando.
I risultati ufficiali hanno mostrato che il 59.6% degli elettori ha sostenuto l’accordo, rinnovando un
accordo esistente che ammette i lavoratori migranti in Svizzera e lo estende ai nuovi stati membri
dell’Europa, la Bulgaria e la Romania. I lavoratori svizzeri hanno però accesso ai paesi europei.
“La maggioranza degli elettori ha ammesso che l’apertura è l’unica strategia corretta per
un’economia che è fortemente orientata al commercio estero, persino in tempi difficili per
l’economia”, ha affermato la Federazione dei Datori di Lavoro Svizzeri, affermando che un posto di
lavoro in Svizzera su tre dipende dai legami con l’Unione europea.
“Questo accordo è un accordo importante per le relazioni tra l’Unione europea e la Svizzera”, ha
affermato il presidente della commissione europea, Jose Barroso in una dichiarazione che saluta il
risultato.
Il voto in Svizzera contrasta con un aumento del sentimento protezionista in altri paesi europei, con
i lavoratori del settore dell’energia in Gran Bretagna in sciopero la scorsa settimana contro la
decisione di portare lavoratori italiani e portoghesi a lavorare in una raffineria di petrolio, e gli
scioperi in Francia che chiedono aumenti della paga e la tutela del posto di lavoro.
MINACCIA PERICOLOSA
L’opposizione agli immigrati ha condotto ad un referendum nell’ambito del sistema di democrazia
popolare della Svizzera che sfida i piani del governo di rinnovare l’accordo esistente del 2002 con
l’Unione europea.
Il Partito populista del Popolo Svizzero, (SVP), il più grande partito svizzero, che ha chiesto di
votare “NO” contro la proposta del governo, ha condotto una campagna contro gli immigrati con
manifesti di corvi con becchi lunghi e sguardi minacciosi che beccano una piccola mappa della
Svizzera.
L’SVP era sostenuto da gruppi di cittadini a Ginevra e da aree dove si parla l’italiano che risentono
del grande numero di persone che attraversano la frontiera in Francia e in Italia ogni giorno per
andare a lavorare in Svizzera.
Nelle elezioni soltanto tre piccoli cantoni dove si parla tedesco e il cantone Ticino dove si parla
italiano hanno votato contro il patto, con gli altri 22 cantoni dove si parla francese e tedesco che
hanno votato a favore.
“E’ un grande sollievo, è veramente la Svizzera che amiamo, è la Svizzera che rispetto”, ha
affermato il giornalista rumeno Miruna Coca-Cozma alla televisione della Reuters mentre
festeggiava con amici rumeni.
Gli altri principali partiti svizzeri, i gruppi datoriali e i sindacati avevano sostenuto l’accordo, che è
collegato a svariati altri accordi su aree come il trasporto e l’agricoltura.
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Le notizie di venerdì che la disoccupazione svizzera era balzata in due anni al 3.3% a gennaio,
avevano portato molti a prevedere un risultato difficile nel referendum di domenica.
L’SVP aveva avvertito che gli stranieri che perdono i loro posti di lavoro rimangono in Svizzera per
trarre dei benefici, ma gli elettori erano attenti a non danneggiare i legami con l’Unione europea, il
più grande partner commerciale della Svizzera fino ad oggi, che rappresenta circa l’80% delle
importazioni svizzere e il 60% delle sue esportazioni.
Circa il 21% dei 7.6 milioni di residenti in Svizzera ha nazionalità straniera, molti dei quali ricoprono
lavori poco pagati che gli svizzeri sarebbero restii a fare.
(Ulteriori informazioni di Anne Richardson e Jeremy Smith da Bruxelles; redazione di Matthew
Jones)
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International Herald Tribune
08/02/09
La vice di Mbeki entra a far parte del nuovo partito sudafricano
Reuters
Di Paul Simao
Il Sunday Times ha informato che l’ex vice presidente del Sud Africa, la signora Phumzile MlamboNgcuka, si sta preparando a lasciare il principale partito, l’African National Congress, e ad entrare
a far parte del partito scissionista.
I funzionari di Mlambo-Ngcuka, che è stata vicepresidente durante la presidenza di Thabo Mbeki
fino a che non fu estromesso dall’ANC come presidente dello stato lo scorso settembre, non sono
stati immediatamente disponibili a commentare la sua probabile defezione per entrare nel
Congresso del Popolo (COPE).
Dovrebbe essere il membro dell’ANC di alto profilo ed ex funzionario di governo ad entrare nel
nuovo partito che è stato formato alla fine dello scorso anno da un gruppo di ex ministri filo Mbeki.
Mlambo-Ngcuka è stata tra coloro che hanno rassegnato le dimissioni insieme a Mbeki.
“Al Sunday Times è stato detto che lei inizialmente era intenzionata a ritirarsi pubblicamente
dall’ANC il 24 gennaio quando COPE lanciò il suo manifesto elettorale a Port Elizabeth”, ha
affermato il quotidiano sudafricano in un articolo in prima pagina.
“Alti funzionari di partito hanno affermato che il suo annuncio pubblico ha dovuto essere rimandato
per la seconda volta venerdì”.
Il COPE si è impegnato a contestare le elezioni generali attese in Aprile e ha segnalato che
cercherà di trarre vantaggio dalla preoccupazione tra gli elettori della classe media e tra gli
imprenditori per l’influenza dei sindacati e dei comunisti nell’ANC.
Mlambo-Ngcuka, una volta considerata un possibile successore a Mbeki, potrebbe aiutare il nuovo
partito ad allargare la propria basa tra le donne. Il partito è guidato dall’ex ministro per la difesa
Mosiuoa Lekota, e dagli altri fedelissimi di Mbeki che coprono alte cariche.
LA DATA DELLE ELEZIONI
Ma rimangono dubbi che il COPE possa guadagnarsi una sufficiente forza di trazione da essere un
serio contendente all’ANC, che ha ottenuto i due terzi dei voti nelle precedenti elezioni ed è atteso
che entrerà nella campagna con un deciso vantaggio finanziario.
Il presidente Kgalema Motlante, che ha sostituito Mbeki, è atteso che annunci la data delle elezioni
la prossima settimana.
Ma COPE potrebbe ancora guadagnarsi i voti dei neri per negare all’ANC una maggioranza
parlamentare. Si parla anche che il nuovi partito stia formando una coalizione con altri partiti
dell’opposizione, inclusa l’Alleanza Democratica, che è fortemente sostenuta dai bianchi.
Il COPE ha accennato che abbraccerà molto dell’agenda economica di Mbeki e ammorbidirà
alcune delle politiche più controverse del governo, che includono la distribuzione della proprietà
terriera e l’empowerment economico dei neri.
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Spera anche di ottenere un vantaggio sugli scandali per corruzione che hanno perseguitato l’ANC
e il suo leader, Jacob Zuma.
Lo scorso mese la Corte d’Appello del Sud Africa reintegrò le accuse di corruzione, frode e altro
contro Zuma dopo aver deciso che la corte più bassa aveva sbagliato ad archiviare il processo.
La decisione della corte più bassa ha provocato la rimozione di Mbeki, che è stato accusato
dall’ANC di cercare di utilizzare il caso per diffamare Zuma.
I lavori nel processo a Zuma sono fissati che riprenderanno nell’Alta Corte di Pietermaritzburg il 25
agosto.
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The Economic Times
11/02/09
In Messico ogni giorno 6000 lavoratori perdono il posto di lavoro
Messico. Un rapporto dell’Istituto Messicano per il Welfare (IMSS) ha svelato che a partire dal 1
novembre 2008 i lavoratori che perdono ogni giorno il posto di lavoro sono quasi 6000.
Le statistiche aggiornate che recentemente hanno riferito di un aumento del tasso di
disoccupazione nell’ultimo trimestre del 2008 di mezzo milione di posti di lavoro, ora indicano nel
periodo di novembre – gennaio un dato più alto.
La ricerca ha indicato che soltanto nelle grandi città sono stati persi 128.122 posti di lavoro lo
scorso gennaio mentre l’attuale crisi economica mondiale ha un profondo impatto in questo campo,
soprattutto su lavoratori giornalieri.
Secondo la fonte, la società che ha lasciato una maggiore quantità di lavoratori senza lavoro è
stata la CEMEX,. considerata uno dei cementifici più importante al mondo, che ha tagliato 18.786
posti di lavoro.
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Ha’aretz
12/02/2009
La sinistra alla ricerca dell’anima
Editoriale
Nonostante la mancanza di chiarezza riguardo il nuovo governo, una cosa sta diventando
dolorosamente chiara – l’intero blocco di sinistra ha subito una sconfitta clamorosa alle elezioni.
Il Partito Laburista, i cui fondatori ottennero grandi cose nei primi giorni della nascita dello stato, è
diminuito a 13 seggi al parlamento, la Knesset, ed ora è il quarto partito più grande dopo Yisrael
Beiteinu. Il Meretz, che aveva sperato di crescere nella nuova incarnazione, ha ricevuto una
piccola delusione, ridotto a soli tre seggi alla Knesset, a stento sufficienti per entrare in parlamento.
Questo crollo totale può naturalmente essere spiegato dal sostegno di molti elettori di sinistra a
Tzipi Livni, per fermare Benjamin Netanyahu del Likud. Questa spiegazione non dovrebbe essere
messa da parte, ma non è la sola ragione. I due partiti di sinistra hanno sofferto una crisi e i loro
leaders – Ehud Barak e Haim Oron – non sono riusciti a leggere i profondi cambiamenti nella
mappa politica israeliana e hanno portato i loro partiti ad una fine mortale.
La crisi di identità del Labor era nota da molti anni. Persino l’assassinio di Yitzhak Rabin, le
differenze tra questo partito e il Likud sono state impercettibili. Per due volte i suoi leader (Amaram
Mitzna e Amir Peretz) hanno fatto un’azione ideologica in favore della pace e del cambiamento
sociale, e per due volte i membri del partito si sono rifiutati di sostenere il loro capo ed hanno
lasciato che fallisse. Questa volta Barak ha portato il Partito Laburista alle elezioni con un
argomento debole in base al quale egli era capace e il più qualificato a “rispondere al telefono alle
3 del mattino”.
Il Meretz ha altri problemi. Da quando è stato formato, come fusione al Mapam, il movimento dei
Diritti dei Cittadini e lo Shinui, la sua ideologia si è dissolta. I suoi leader talentuosi, ispirati e
coraggiosi, hanno lasciato il partito senza una dirigenza che li trattenesse dall’affondare.
Oron sbagliò quando fece leader Yossi Beilin del Meretz del Meretz. Beilin simbolizzava una
politica di pace, ma si alienò il partito da gruppi di grande interesse. Oron fallì ancora quando si
presentò nella campagna elettorale come un uomo che “ognuno ama”.
I due partiti non sono riusciti a dare un’alternativa convincente. Devono riabilitare e ricostruire se
stessi all’opposizione come seria alternativa di sinistra al blocco di destra che ha vinto le elezioni. I
loro leaders sono responsabili di questo fallimento – Barak e Oran devono mettersi da parte.
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Boston Globe
11/02/09
La General Motors taglia 10.000 posti di lavoro nel mondo
Southfield, Michigan. La General Motors Corporation, la più grande casa automobilistica
americana, taglierà 10.000 posti di lavoro retribuiti a livello globale e ridurrà la paga del 10% per
dimostrare la sua vitalità e cercherà di mantenere 13.4 miliardi di dollari sotto forma di prestiti da
parte del governo.
La casa automobilistica situata a Detroit ha affermato ieri che i tagli rappresentano circa il 14%
delle 73.000 posizioni della General Motors nel mondo e comprendono 3.400 dei 29.500 lavoratori
americani della società.
La società ridurrà inoltre la retribuzione della maggior parte dei lavoratori dipendenti americani a
partire da maggio almeno fino alla fine dell’anno – e abbasserà gli stipendi dei dirigenti del 10% e
di molti altri del 3 al 7%. La General Motors ha detto che all’estero, i salari e i benefit saranno rivisti.
La società dovrà entro il prossimo martedì presentare al Dipartimento del tesoro un piano per
ristrutturare, ripristinare gli utili e per rimborsare i prestiti americani entro la fine del 2011. Il
direttore generale della Generale Motors, Rick Wagoner, ha già ridotto il suo stipendio annuo di 1
dollaro.
La Generale Motors e la Chrysler LLC, entrambe in attesa dell’incontro con il presidente Obama
sulla cosiddetta car czar per controllare la loro ristrutturazione, devono firmare gli accordi
preliminari per ridurre i posti dei pensionati, altri costi e per scambiare i titoli e i debiti in azioni
prima della scadenza del termine.
La General Motors ha iniziato ad offrire la scorsa settimana buyouts a 62.000 lavoratori
sindacalizzati ed è in contatto con il sindacato americano dell’auto riguardo il livellamento dei
benefit. Le famiglie che hanno quei buyouts hanno affermato che la casa automobilistica mira ad
oltre 10.000 posti di lavoro e si aspetta che accetterà più della metà.
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