ottobre 2009

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ottobre 2009
numero 51
ottobre 2009
ottobre 2009
2009
IN QUESTO NUMERO,
L’EDITORIALE
pag. 2
Mentre i mercati finanziari continuano a fornire rendimenti incoraggianti, ci si interroga sulla loro sostenibilità una volta che la montagna di re-leverage pubblico verrà riassorbita, ma soprattutto sul SE e
sul QUANDO lo sarà mai, con il rischio di generare il tanto temuto “double deep”…
CONTRIBUTI
“Mercato dei crediti: Rari Nantes in Gurgite Vasto”
Mirko Santucci – Swisscanto Asset Management
pag. 4
Non siamo più, come a inizio anno, di fronte a un’"occasione unica", quando le valutazioni sul mercato delle obbligazioni “corporate”, su base storica, non avevano rivali…
“Il mercato High Yield: struttura e outlook”
Alessandro Gandolfi, Carlo Micali, Maddalena Nocera – Pimco Europe
pag. 10
Le obbligazioni societarie sono classificate in base a un’ampia gamma di rating che riflettono il diverso
grado di solidità degli emittenti…
“Investire in ABS Europee”
Fabiana Gambarota e Luca Peviani – P&G SGR
pag. 15
Il mercato delle asset backed securities (ABS), cioè dei titoli obbligazionari creati attraverso operazioni
di cartolarizzazione di diversi tipi di attivi, è stato al centro dell’attenzione nel corso degli ultimi due anni…
“Mercato del credito: sfide e opportunità per investitori sofisticati”
Paolo Barbieri – Pioneer Alternative Investment Management
pag. 19
Il mercato globale del credito ha sempre offerto all’investitore sofisticato opportunità particolarmente
attraenti ed anche maggiori di quelle riscontrabili sul più conosciuto mercato azionario…
APPROFONDIMENTI
“L’impatto della crisi finanziaria sul costo del rischio di credito: un’analisi empirica”
dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia, Aprile 2009
pag. 24
Oggetto del presente approfondimento è analizzare le potenziali implicazioni sulla rischiosità dei prenditori di fondi, e quindi del costo del rischio di credito, della congiuntura del prossimo triennio, indagando
l’entità dell’effetto di feedback che la crisi produrrà nei bilanci delle banche sia in termini di incremento
del livello dei crediti non performing sia delle perdite su crediti…
PILLOLE
“La congiuntura economica e i mercati finanziari”
pag. 29
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L’EDITORIALE
asset class. Speriamo di fare cosa gradita a tutti i
lettori, ormai avvezzi con le terminologie e le
tecnicalità di questo mercato; certamente gli investitori lo hanno considerato il più appetibile in
termini di rendimento/rischio, affollando i collocamenti di bond corporate delle grandi aziende
italiane e decretando il successo dei “fondi a
scadenza”, proposti da numerosi asset managers
per consentire agli investitori di conoscere ex
ante rendimento cedolare e durata attesa del loro impiego.
M
entre i mercati finanziari continuano a
fornire rendimenti incoraggianti, ci si
interroga sulla loro sostenibilità una
volta che la montagna di re-leverage pubblico
verrà riassorbita, ma soprattutto sul SE e sul
QUANDO lo sarà mai, con il rischio di generare il
tanto temuto “double deep”, la “W” come la chiamano i previsori “letterologhi”.
Non si può certamente negare che su alcuni mercati, in primis quelli che vengono principalmente
mossi tramite derivati (azioni, petrolio, cambi), i
valori siano del tutto incoerenti con il ciclo economico e spesso anche tra di loro (in primis azioni
e petrolio vs curva dei rendimenti obbligazionari). Le volatilità realizzate si stanno comprimendo in modo significativo e lineare, ricordando
l’accumula di energia potenziale che si ottiene
tirando progressivamente l’elastico di una fionda…
In questo contesto di insicurezza tra occasioni
perdute negli ultimi sette mesi e perdurante estrema prudenza per le ancora aperte ferite inferte dalla crisi, gli investitori si accingono ad approvare, come sempre tra ottobre e novembre, i
loro documenti preventivi programmatici, che
oltre al budget comprendono le indicazioni
sull’allocazione degli attivi per il 2010 e, spesso,
per il triennio 2010 – 2012.
Chi ha saputo mantenere i nervi saldi vede oggi
premiata la sua coraggiosa coerenza, potendo
quindi confermare che la diversificazione rimane
il principio cardine di ogni allocazione, dopo averne dubitato diverse volte tra settembre 2008
e marzo 2009.
Gioiscono certamente le investment banks sopravvissute alla crisi, per le quali il “business as
usual” è già realtà, corroborando le banche commerciali sempre scricchiolanti causa sofferenze
ed alla faccia dell’economia reale, per la quale
non si vede ancora uno sprazzo di sereno, figuriamoci l’arcobaleno!
Perché la distruzione sia effettivamente creativa, come ci insegna il buon Schumpeter, almeno
altri due insegnamenti vanno tratti:
La classe di attività più interessante e segnaletica, proprio perché origine e vittima al tempo
stesso della crisi da deleverage iniziata
nell’estate 2007, è a nostro avviso il credito.
Proprio per questo abbiamo deciso di dedicare
ad essa questo numero di ANTEO, pubblicando
un interessante approfondimento empirico dei
colleghi della Associazione Prometeia sugli effetti della crisi sul costo del rischio di credito e
quattro contributi di case di investimento specializzate sui diversi segmenti del credito come
1.
2
la illiquidità di molte forme di investimento costituisce un fattore di rischio da
meglio considerare e misurare, ma un investitore istituzionale, se effettivamente attento ai risultati di medio – lungo
termine, è in grado di correre tale rischio,
ovviamente solo su una componente circoscritta dei suoi attivi e solo se la illiquidità è adeguatamente remunerata e
non vanificabile dal comportamento di
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a sollevare queste tematiche, non solo nella
spesso pletorica convegnistica, ma in concrete
soluzioni proposte a chi voleva innovare, pur dovendo rispettare normative (primarie e secondarie) ormai a dir poco obsolete.
altri investitori che non abbiano la stessa
attitudine (ribaltamento del rischio di
concentrazione sugli strumenti gestiti);
2. strategie di investimento robuste ed effettivamente orientate a soddisfare gli
obiettivi di generazione di flussi di cassa
e rivalutazione reale dei patrimoni devono essere mantenute con coerenza anche nei momenti di crisi. Tuttavia si è dimostrato che gli interventi tattici non
riescono ad essere tempestivi in questi
casi, data anche la lunghezza e la complessità che caratterizza i processi di investimento di molti investitori istituzionali. È quindi a nostro avviso necessario
provvedere sistematicamente a forme di
“assicurazione di portafoglio”, ovvero a
copertura sistematica delle perdite estreme che i fattori di rischio presenti nei
portafogli strategici (in primis azionario,
di tasso, di credito e di cambio). Se tutto
procederà nei canoni della normalità distributiva dei rendimenti (ipotesi base di
tutta la moderna teoria del portafoglio,
ovvero della frontiera efficiente e tutte
le sue declinazioni) saranno soldi spesi
bene (come una polizza caso morte per
un buon padre di famiglia), mentre qualora si rivedessero i “cigni neri”
dell’aneddotico Taleb si beneficerebbe di
ampie forme di sostegno al risultato di
breve termine.
Nel mondo delle fondazioni stiamo lavorando per
consentire di generare flussi di cassa adeguati e
di pianificare nel tempo il sostegno al territorio
in logica ALM, al fine di renderlo sostenibile nel
tempo e proporzionato al sostegno al capitale
delle banche di riferimento.
Lo sforzo di innovazione che stiamo producendo
ci appare talvolta vano, quando ci facciamo scoraggiare dalla constatazione che il campo di gioco della consulenza finanziaria italiana è
tutt’altro che livellato e che molti investitori, invece di puntare sulla qualità e sulla affidabilità e
competenza delle controparti badano solo a
spendere il meno possibile.
Molti concorrenti, in scia con altrettanti gestori,
continuano ad accettare questo gioco al massacro, che non gioverà a nessuno e incentiverà forme di “moral hazard”, che si ritorceranno alla fine
sui cittadini e sui lavoratori.
Lo scoramento lascia però prontamente spazio
all’impegno ed alla determinazione, grazie anche
al sostegno di tanti di voi, amici lettori del buon
ANTEO.
Vi lascio quindi alla lettura, non prima di avervi
salutato tutti cordialmente a nome di tutto il
team di Prometeia Advisor.
Quali advisor di molti investitori, previdenziali e
fondazioni di origine bancaria, siamo stati pronti
3
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CONTRIBUTI (1/4)
Mercato dei crediti: Rari Nantes in Gurgite Vasto
di garanzia dei depositi e delle emissioni
obbligazionarie sul mercato istituzionale
dei capitali;
Mirko Santucci
Swisscanto Asset Management
•
sottoscrivendo aumenti (forzati e non) di
capitale nel sistema bancario ed assicurativo in modo da rinforzarne la struttura
e gestire le perdite derivanti dal mondo
dei prodotti strutturati e dalle sofferenze derivanti dall’implosione del quadro
macroeconomico;
•
infine stimolando il quadro macroeconomico con incentivi in diversi settori industriali (si pensi a quello dell’auto in
primis).
N
on siamo più, come a inizio anno, di fronte
a un’"occasione unica", quando le valutazioni sul mercato delle obbligazioni “corporate”, su base storica, non avevano rivali se
non quelle degli anni bui della Grande Depressione (1930-1934): gli spread creditizi con rating
BBB, sul mercato americano, raggiunsero il picco
di 750 punti base rispetto alle Obbligazioni Statali (vedi fig. 1). Durante l’attuale crisi, lo scorso
novembre, il mercato dei crediti aveva raggiunto
livelli molto simili fino a toccare 741 punti base
rispetto alle obbligazioni Statali. A partire dallo
scorso Ottobre, a piu’ riprese, l’intervento dei
Governi è riuscito a “sbloccare” il mercato dei
crediti:
•
Questo ha favorito una turbo-ripartenza del
mercato dei crediti che nel giro di nove mesi è
ritornato ad assestarsi ai livelli addirittura inferiori (272 punti base) a quelli visti prima del crollo di Lehman Brothers (allora gli spread delle
BBB sul mercato statunitense erano attorno a
343 punti base).
dapprima, risolvendo il rischio liquidità
del sistema bancario grazie agli schemi
Fig. 1
Spread to Tsy (bp)
800
600
Lehman
400
200
US Recession
BBBs (to Tsy)
Fonte: Morgan Stanley Research, Swisscanto, Moody's, The Yield Book, NBER
4
ott-08
nov-03
dic-98
dic-93
gen-89
feb-84
mar-79
apr-74
mag-69
giu-64
lug-59
lug-54
ago-49
set-44
ott-39
nov-34
dic-29
gen-25
0
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sempre assai interessante all’interno di una classica fase di rallentamento dell’economia.
I correnti credit spreads rimangono comunque su
un livello elevato, su base storica, se paragonati
alle precedenti crisi "normali": infatti se si effettua un confronto con le 15 recessioni (si veda la
fig. 1) che hanno colpito l’economia statunitense
dal 1925, si evince che oggi siamo passati da una
situazione anomala (“once in a lifetime”) per il
mercato creditizio ad una più "normale", anche se
Cos’è cambiato sul mercato delle obbligazioni
societarie nell’ultimo anno?
Riassumendo in un’istantanea: un’impennata dell'offerta superata da un’esplosione della domanda.
Fig. 2 Volume emissioni societarie non finanziarie (EUR Mld)
300
250
2001
200
2003
2002
2004
150
2005
2006
100
2007
2008
50
2009
A partire dall’inizio dell’anno, le aziende non finanziarie investment grade hanno fatto ricorso
alle emissioni per più di 210 miliardi di euro, più
del doppio di quanto in media il mercato dei crediti ha fatto registrare dalla nascita dell’Euro.
December
November
October
September
August
July
June
May
April
March
February
January
0
In secondo luogo, le banche stanno ancora finanziandosi sui mercati dei capitali a spread superiori alle aziende. Questo pone un limite all'espansione dei propri bilanci, in quanto sarebbe
antieconomico finanziarsi a spread superiori a
quelli a cui si presta.
Perché?
In terzo luogo, le aziende si sono rivolte ai mercati obbligazionari per le proprie esigenze di rifinanziamento, pagandone però il prezzo. I rimborsi totali dei prestiti investment grade ammontano a 348 miliardi di euro (138 miliardi per i non finanziari) e a 361 miliardi (140 miliardi per i non finanziari), rispettivamente per il 2009 e il 2010.
Anzitutto il sistema bancario ha dovuto diminuire
fortemente la massa dei prestiti bancari a fronte
della crisi creditizia che ha attanagliato il settore
negli ultimi tre anni: la scelta é da un lato, se accettare nuovi impieghi a più elevati spreads, ma
questo significherebbe comunque maggiori requisiti di capitale e di liquidità, oppure favorire il
prolungamento della scadenza dei prestiti sul
mercato obbligazionario, svolgendo un ruolo da
advisors.
Infine, gli elevati spreads a cui le aziende si sono
rifinanziati sul mercato non hanno in alcun modo
incrementato
il
loro
costo
medio
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dirizzati sul mercato istituzionale dei capitali.
Questo processo, che è iniziato solo recemente
in Europa dopo l’introduzione dell’Euro, è ancora
lontano dai livelli raggiunti sul mercato americano dove vengono canalizzati più del 60% dei prestiti.
d’indebitamento, grazie al livello, storicamente
basso, dei tassi d’interesse in generale.
In altre parole, la cedola pagata dagli emittenti è
ancora relativamente interessante per tutto il
ciclo per gli emittenti e per gli investitori: Imperial Tobacco, con rating BBB, ha di recente emesso una obbligazione a tre anni in euro ad uno
spread rispetto all curva Libor di 300 punti base.
Da un lato, questo è assai appetibile per la comunità degli investitori, grazie al valore relativo rispetto alle obbligazioni governative; dall’altro,
l’azienda paga soltanto una cedola del 5%, un costo non alto, se considerato sull’intero ciclo creditizio.
In termini di rendimenti, il 2009 passerà alla storia per essere stato l’anno dei crediti: le emissioni
obbligazionarie investment grade hanno fornito
finora una performance superiore al 10% rispetto alle emissioni obbligazionarie Statali.
È lecito allora chiedersi se le emissioni obbligazionarie
societarie
forniscano
ancora
un’adeguata remunerazione rispetto al rischio di
default che in teoria si corre acquistando titoli di
debito societario.
Questo produce un’offerta di valore interessante
sia per gli emittenti (che beneficiano di costi di
finanziamento sopportabili), sia per gli investitori (che ottengono rendimenti discreti in un contesto di bassi rendimenti).
Riteniamo che i credit spread sugli investment
grade continuino a sovracompensare il tasso
d’insolvenza atteso. Infatti, nella tabella qui sotto,
si può notare che gli spread sulle obbligazioni societarie investment grade in euro stanno ancora
scontando il fatto che il 6% delle aziende sarà
insolvente entro 5 anni senza alcun valore di recupero, mentre per quelle denominate in dollari
tale valore è del 10%.
Quanto alle prospettive future, ci attendiamo
che il mercato dei crediti, e specialmente in Euro,
diventerà sempre piu’ il punto di riferimento per
il rifinanziamento delle aziende:
Il processo di deleveraging e di ricapitalizzazione
del sistema bancario richiederà tempo e quindi
comporterà che sempre più prestiti verranno in-
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Tab. 1
Tasso d'insolvenza implicito nei credit spreads
Spread Medio 5 anni
Recovery media
Zero Recovery
iBoxx Euro
Societarie
140
12%
7%
Finanziarie
135
11%
6%
Non Finanziarie
150
12%
7%
AA
104
9%
5%
A
128
10%
6%
BBB
207
17%
10%
iBoxx Dollaro
Societarie
214
18%
10%
Finanziarie
191
16%
9%
Non Finanziarie
251
20%
12%
AA
134
11%
6%
A
192
16%
9%
BBB
300
23%
14%
iBoxx Sterlina Societarie
222
17%
10%
Finanziarie
197
16%
9%
Non Finanziarie
258
20%
12%
AA
202
16%
9%
A
195
15%
9%
BBB
276
20%
12%
Recovery media: Emissioni Investment Grade 44%, Emissioni High Yield 38%
grade raggiunsero un tasso d’insolvenza del
4,5% (su base cumulativa quinquennale), mentre
le aziende con rating high yield (al di sotto di
BBB-) toccarono il 39%;
Se si confrontano questi risultati con i tassi di insolvenza annui storici di Moody’s si nota che il
picco delle insolvenze più alto di sempre si è verificato proprio nel periodo della Grande Depressione, quando le aziende con rating investment
Fig. 3
Tassi di insolvenza annui storici di Moody’s: investment grade (a sinistra), high yield (a
destra)
Investment Grade
High Yield
5.00%
45.00%
4.50%
40.00%
4.00%
35.00%
3.50%
30.00%
3.00%
25.00%
2.50%
2.00%
20.00%
1.50%
15.00%
1.00%
10.00%
0.50%
5.00%
0.00%
1920
-0.50%
1930
1940
1950
1960
1970
1980
1990
2000
0.00%
1920
2010
1930
1940
1950
1960
1970
1980
1990
2000
2010
Fonte: Swisscanto, Moody’s
delle proprie obbligazioni societarie senior dopo
l’insolvenza), tale tasso di insolvenza implicito è
1,5 volte maggiore del massimo tasso di insolvenza mai raggiunto nella storia (4,45%).
Pertanto, confrontando il tasso di insolvenza implicito negli attuali credit spread e assumendo
l’ipotesi di assenza di recupero (si ricordi che in
realtà la recovery media è del 44% del valore
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In parole povere, siamo convinti che uno scenario
apocalittico sia già stato scontato sul mercato
delle obbligazioni societarie e che i credit spreads sovracompensino il rischio di default.
I mercati creditizio e azionario stanno attraversando un simile ciclo di boom/crollo (boom and
bust cycle) e di solito questo è legato alla leva finanziaria dell'economia.
Riteniamo inoltre che le obbligazioni societarie
investment grade forniscano ancora un miglior
investimento rispetto alle azioni sotto il profilo
del rapporto rischio/rendimento.
Per meglio visualizzarlo, l’abbiamo associato
all’idea di un orologio (fig 4).
Questo orologio del credito parte e si arresta con
la riduzione del debito.
Fino al momento in cui i tassi di insolvenza impliciti degli spread non si avvicineranno ulteriormente ai livelli storici di insolvenza cumulativa
quinquennale, il miglioramento del mercato azionario continuerà ad avere un ritardo rispetto alla
ripresa sul mercato creditizio.
Dapprima (dalle 12:00 alle 15:00) c’è un periodo
nel quale l'obbiettivo principale è ridurre il debito
del sistema (le aziende interessate). In questo
periodo gli obbligazionisti ottengono maggiori
benefici rispetto agli azionisti, dal momento che
la riduzione del debito può essere perseguita essenzialmente in tre modi:
Perché? Perché il rimborso e la remunerazione
delle obbligazioni e delle cedole hanno la precedenza rispetto alle azioni nella struttura del capitale: finché non avremo una situazione in cui il rischio di rifinanziamento di tali obbligazioni societarie non verrà più considerato essere dal
mercato così tangibile, è assai difficile che gli azionisti riescano a ottenere rendimenti superiori
rispetto ai detentori delle obbligazioni senior.
Questo lo si può dimostrare anche attraverso il
concetto di riduzione del debito nella struttura
finanziaria delle società, oppure attraverso il
concetto del ciclo del boom/crollo (boom & bust
cycle). L’espressione "boom/crollo" si riferisce a
un notevole aumento del valore di una particolare categoria di asset (nel nostro caso, le obbligazioni societarie, ma nel 1600 i primi furono i tulipani olandesi) seguito da un crollo allorché il
prezzo cala per un mutamento della situazione
economica o per la revisione di attese che si rivelano irrealistiche. Nel caso attuale, il crollo si è
verificato a causa della riduzione forzata del debito dei mercati finanziari e in particolare delle
banche e delle irrealistiche attese sul rimborso
dei debiti subprime.
•
attraverso l’emissione di azioni (positivo
per il mercato creditizio, non per
l’azionario);
•
attraverso la riduzione dei dividendi e il
mantenimento della liquidità (positivo
per il mercato creditizio, non per
l’azionario);
•
attraverso l’incremento del cash flow
operativo (difficle nell’attuale contesto
macroeconomico).
Successivamente (dalle 15:00 alle 18:00) c’è un
periodo di crescita positiva in cui l’utile operativo
cresce più del debito: in questo periodo sia il
mercato creditizio, sia il mercato azionario ne
traggono beneficio.
Segue poi un periodo di crescita non positivo
(dalle 18:00 alle 21:00), in cui il debito cresce più
dell’utile operativo: in tale periodo, invece, sono
gli azionisti a trarne il maggior beneficio, mentre
gli obbligazionisti assistono a un deterioramento
degli indicatori di merito creditizio delle aziende.
Infine, alle 21:00 la festa finisce: la bolla esplode
e ognuno ne subisce le conseguenze.
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Fig. 4
Fonte: Swisscanto
del pomeriggio, ovvero nell’era dei crediti e non
ancora in quella delle azioni.
Attualmente riteniamo che le società, finanziarie
e non, abbiano finalmente superato il loro "Mezzogiorno di fuoco" e abbiano già avviato la riduzione del debito, anche se in modi completamente differenti a seconda dei settori in cui operano.
È stato interessante notare come le prime siano
state le banche, ed in alcuni casi con l’aiuto dei
Governi, e solo quando la crisi di illiquidità ha colpito il mercato creditizio, le societaà industriali
con alta ciclicità, per rassicurare il mercato finanziario hanno intrapreso lo stesso percorso.
Inoltre, abbiamo analizzato i rendimenti e la volatilità storici delle obbligazioni societarie e delle
azioni. È interessante notare che, negli ultimi 35
anni, i rendimenti totali non solo sono stati più
alti per i crediti che per le azioni (7,78% contro
5,49%), ma sono anche incorsi in assai minore
volatilità (7,45% contro 15,91%).
Infine, se calcoliamo l'indice di Sharpe delle due
categorie di asset, le obbligazioni societarie hanno offerto un rendimento annuo per unità di rischio assai superiore (1,04%) rispetto alle azioni
(0,35%).
Di conseguenza, dal momento che siamo in una
fase manifestatamente di “deleveraging” del sistema, crediamo ancora di essere tra le 12 e le 3
1973-2009
Rendimento annualizzato
Volatilità annualizzata
Sharpe
ratio
S&P 500
5.49%
15.91%
0.35
Lehman Corp USD
7.76%
7.45%
1.04
Fonte: Swisscanto, Bloomberg, Barclays Capital
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CONTRIBUTI (2/4)
Il mercato High Yield: Struttura e Outlook
high yield sono emesse da società che presentano un livello di qualità di credito inferiore rispetto alle società con un rating più alto che rientrano nella categoria investment grade. Il mercato
high yield mondiale è dominato al 90% dalle emissioni americane, tuttavia le emissioni europee e asiatiche sono aumentate nel corso degli
ultimi anni.
Alessandro Gandolfi, Carlo Micali, Maddalena Nocera
Pimco Europe
L
e obbligazioni societarie sono classificate
in base a un’ampia gamma di rating che riflettono il diverso grado di solidità degli
emittenti. In generale possono essere classificate come investment grade e high yield (o “speculative” o “ad alto rendimento”). Le obbligazioni
Storicamente le obbligazioni di tipo speculativo
venivano emesse da società di nuovissima costituzione, che operavano in un settore particolarmente competitivo o volatile oppure che presentavano fondamentali problematici.
Moody's
Investment grade
Massima qualità
Aaa
(Qualità migliore, livello minimo di rischio di investimento)
Standard & Poor’s
AAA
Alta qualità
(Spesso indicate come obbligazioni high grade)
Aa
AA
Qualità medio alta
(Molte caratteristiche di investimento positive)
A
A
Qualità media
(Obbligazioni senza protezione né sufficiente garanzia)
Baa
BBB
Ba
BB
Speculative
(Generalmente non presentano le caratteristiche di
un investimento opportuno)
B
B
Fortemente speculative
(Caratteristiche mediocri)
Caa
CCC
Estremamente speculative
(Prospettive piuttosto negative)
Ca
CC
Insolvenza imminente
(Prospettive estremamente negative)
C
C
Insolventi
C
D
High Yield
Parzialmente speculative
(Presentano elementi speculativi)
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L’analisi di credito è fondamentale per effettuare qualsiasi scelta di investimento in obbligazioni
high yield e si concentra sulle caratteristiche individuali e sui fondamentali degli emittenti, nonché sul rischio di insolvenza. Oggi il mercato high
yield è ampio e consente ai portfolio manager di
ottenere una notevole diversificazione rispetto
ai settori e agli emittenti.
Oggi ci sono anche molte società che operano in
un settore con un grado di leva finanziaria tradizionalmente associato alle società di categoria
speculativa. Un rating creditizio di tipo speculativo indicava una maggiore probabilità di insolvenza, pertanto il grado di rischio più elevato di
queste obbligazioni spesso è compensato da interessi o dividendi più alti. I rating possono essere rivisti al ribasso se la qualità creditizia
dell’emittente si deteriora, oppure possono essere rivisti al rialzo se i fondamentali migliorano.
Secondo PIMCO le ragioni principali per investire
in obbligazioni high yield sono la diversificazione
e la possibilità di conseguire elevati rendimenti
per unità di rischio su un intero ciclo economico. Il
comparto delle obbligazioni high yield (rappresentato di seguito dall’Indice Barclays Capital US
High Yield) presenta una bassa correlazione con
molte altri settori di investimento (vedi tabella
qui di seguito) offrendo infatti la possibilità di diversificare l’asset allocation.
Le obbligazioni ad alto rendimento possono essere utilizzate per diversificare un portafoglio di
investimento, infatti la loro performance ha una
bassa correlazione con le obbligazioni
investment grade, o ad esempio i titoli governativi. Come nel caso delle azioni, i prezzi dei titoli
di questo comparto più sensibili all’andamento
del ciclo economico e degli utili societari rispetto
alle oscillazioni quotidiane dei tassi di interesse.
Tali obbligazioni, pertanto, condividono con le azioni alcune caratteristiche comportamentali, ma
il loro rendimento complessivo dovrebbe essere
meno volatile in quanto il rendimento implicito
normalmente è molto più alto.
Finora, il 2009 è stato un anno particolarmente
positivo per chi ha investito nell’alto rendimento;
il mercato high yield globale (rappresentato
dall’indice Merrill Lynch) infatti ha finora generato un rendimento del 51,58% dall’inizio dell’anno
a fine settembre. Il comparto high yield, ad esempio, è stato quello più remunerativo per un
investitore americano da inizio anno.
Correlazione dei rendimenti mensili: 31/1/1991 - 30/6/2009
Alto rend.globale 1
Alto
rend.globale
1,00
Azioni USA
Azioni non USA
Azioni USA 2
0,58
1,00
Azioni non USA 3
0,54
0,78
1,00
Ipoteche
4
Obbl.globali 5
Globali Inv.grade
6
Ipoteche
Obbl.globali
0,14
0,09
-0,05
1,00
-0,01
0,00
-0,13
0,78
1,00
0,46
0,30
0,15
0,78
0,75
Globali Invest.grade
1,00
Fonte: Merrill Lynch Global High Yield Index 1, Standard & Poor's 500 2, Morgan Stanley Capital Int'l Europe Asia Far East Index 3,
Citigroup Mortgage Index 4, JPMorgan Global Index 5, Barclays Capital Global Aggregate Credit Index 6
11
ottobre 2009
Sector Index Returns
60
Total Return (%)
50
40
48.5
3Q '09
Y T D '09
24.3
30
14.9
20
10
0
- 10
7.5
19.3
14.8
15.6
High Y ield
S&P 500
10.2
2.1
- 2.3
T reasuries
Investment
Grade
Corporates
Emerging
Markets
Fonte: Bloomberg Financial Markets
Le iniziative politiche a sostegno dell’economia e
a supporto della liquidità nei mercati finanziari,
come l’acquisto di mutui ipotecari e titoli governativi da parte della Federal Reserve (Fed), hanno contribuito a rinnovare la propensione al rischio e a rafforzare la stabilità economica durante il terzo trimestre.
In tutto questo periodo, i fattori tecnici sono stati un aspetto fondamentale per gli investitori e
negli ultimi mesi hanno spinto i rendimenti al rialzo, dato che ingenti volumi di liquidità precedentemente accantonati si sono riversati verso i
comparti più rischiosi. Ci sono ancora molti investimenti nei fondi monetari e nei depositi bancari,
ben al di sopra dei valori medi, pertanto è probabile che nel breve termine il supporto dei fattori
tecnici resti positivo.
I titoli non governativi hanno continuato a rivalutarsi; le condizioni tecniche positive (quali la ricerca di rendimenti più alti in un periodo con tassi
relativamente ridotti) e le politiche del governo
hanno spinto gli investitori a disinvestire dalla
liquidità a favore di attività più rischiose e a più
alto rendimento. La corsa al rendimento ha avvantaggiato le obbligazioni a più basso rating ed
appartenenti a settori ciclici.
Anche se le insolvenze hanno già superato i livelli
massimi del 2001/2002 e si avvicinano al livello
record del 1991, sono in fase di decelerazione e si
stabilizzeranno nei prossimi mesi. Prevedibilmente il numero di insolvenze inizierà a scendere
rispetto ai livelli massimi nel quarto trimestre
2009/inizio del primo trimestre 2010, ma resterà
alto e al di sopra della media a lungo termine per
tutto il 2010, in considerazione delle aspettative
di crescita economica debole. Secondo S&P, il
tasso di insolvenza delle obbligazioni societarie
high yield in Europa toccherà i livelli massimi di
poco inferiori al 15% entro la fine di quest’anno;
si tratta del tasso di insolvenza più alto in Europa.
In considerazione dell’incremento senza precedenti della performance dell’alto rendimento
dall’inizio dell’anno, che ha seguito quello peggiore in termini di rendimento che ha presentato
difficoltà senza precedenti, le opinioni in merito
alla futura direzione del mercato dell’alto rendimento divergono.
12
ottobre 2009
Reco very Rates
Recovery Rate (% of Par)
70
60
50
40
30
20
10
0
89
91
93
95
97
99
Rec overy rate
01
03
05
07
09
Average Rec overy Rate
Fonte: JP Morgan
Anche i valori di recupero (i cosiddetti recovery
rate) sono ancora ben al di sotto dei livelli precrisi. Per la prima volta dagli anni ottanta, il recupero medio dei titoli high yield è stato al di sotto
del 20% del valore nominale dell’emissione.
se rileviamo valori interessanti in determinate
emissioni.
A fronte della notevole incertezza che circonda
l’andamento dell’economia futura, PIMCO ritiene
che un’analisi rigorosa di ogni titolo di credito e
dei rischi correlati sia necessaria. Continuiamo a
preferire il settore dei servizi di pubblica utilità,
reso interessante da stati patrimoniali solidi e
attività di alta qualità. È nostra intenzione continuare a concentrarci sul settore sanitario che
conta su dinamiche demografiche positive, flussi
di cassa tendenzialmente stabili e valutazioni
che sembrano interessanti in un orizzonte a lungo termine.
Oggi gli spread si trovano al di sotto di 800 punti
base, un livello estremamente più basso rispetto
all’inizio dell’anno (circa 1.800 punti base); a nostro giudizio le valutazioni oggi riflettono un calo
delle insolvenze molto più rapido delle previsioni.
Pertanto, a nostro parere, gli attuali valori degli
spread sono al massimo neutrali per questa categoria di investimento nel suo complesso, anche
1 Year Default Forecast (%)
8
Moo dy's Default Rate Fo recasts by Industry
7
6
5
4
3
2
1
Tr
Ad
M
ed
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na
nc
e
U
til
iti
es
0
Fonte: Moody’s
13
ottobre 2009
I settori a maggiore rischio di default nei prossimi mesi sono sicuramente quelli legati ai consumi,
mentre i settori difensivi legati alle infrastrutture potrebbero essere maggiormente in grado di
fare fronte ad una ripresa economica debole.
di credito, grazie al sostegno della politica su
scala globale.
I consumatori sono vincolati da un livello di debito elevato, risparmi contenuti, una crescita debole del reddito e prospettive non rosee per
l’occupazione, pertanto non deve sorprendere il
fatto che manteniamo un approccio cauto sui
settori collegati ai consumi. I settori ciclici, in
particolare quello della vendita al dettaglio, appaiono vulnerabili a fronte del rallentamento
dell’economia e dalle dinamiche di compressione
degli spread determinate da fattori tecnici
dall’inizio dell’anno. Analogamente, intendiamo
continuare a sottopesare i titoli del settore costruzioni, visto l’eccesso di capacità, la contrazione delle condizioni di credito e l’indebolimento
delle valutazioni durante la recente corsa al rischio. Infine, guardando oltre il mercato dell’alto
rendimento tradizionale, intendiamo continuare
a conservare una posizione modesta sui prestiti
bancari, dove le valutazioni meritano, e su selezionate valute dei mercati emergenti alla luce del
previsto declino a lungo termine del dollaro USA.
A minacciare il mercato del credito vi è anche il
rischio dei cosiddetti “fallen angles” ovvero del
downgrade improvviso ad high yield di emissioni
con rating elevato. Un fenomeno che potrebbe
avere conseguenze significative per l’enorme
massa di emissioni in circolazione e che è già stato sperimentato dal mercato all’inizio del 2009,
come nel caso di UPM-Kymmene e della Renault
che hanno entrambe sofferto a causa di una diminuzione della domanda e di cash flow negativi.
Nel campo dell’energia intendiamo rafforzare
l’esposizione sul settore pipeline; le solide garanzie ed i fattori tecnici positivi rendono questo
settore interessante. Inoltre, continuiamo a rilevare buone opportunità in termini di valore relativo nel settore finanziario, su determinati titoli
14
ottobre 2009
CONTRIBUTI (3/4)
Investire in ABS Europee
• CMBS: mutui commerciali
- “Corporate”
Fabiana Gambarota e Luca Peviani
P&G SGR
• SME: finanziamenti a piccole imprese
• Leasing: finanziamenti leasing
• CLO: prestiti garantiti ad imprese per
operazioni di leverage buyout
I
l mercato delle asset backed securities (ABS),
cioè dei titoli obbligazionari creati attraverso
operazioni di cartolarizzazione di diversi tipi
di attivi, è stato al centro dell’attenzione nel corso degli ultimi due anni. Le note vicende che hanno interessato il mercato dei mutui sub-prime
americani, con tutto quello che ne è conseguito,
hanno, comprensibilmente, portato a puntare i
riflettori anche sul mercato delle ABS europee
perdendo però di vista le specificità di questo
ampio mercato. Le ABS europee, infatti, sono estremamente diversificate per tipologia di asset
sottostanti, non presentano un segmento paragonabile a quello dei mutui sub-prime (con la sola
eccezione dei non-conforming inglesi, che, tuttavia, sono solo un sottosettore di uno dei vari
mercati europei), mantengono specificità regionali molto marcate che lo proteggono da fenomeni di contagio generalizzato. In particolare le
ABS presenti sul mercato europeo possono
essere raggruppate in 4/5 grandi famiglie, in
funzione del collaterale sul quale sono costruite:
- Finanziamenti al consumo:
• Auto-loans: finanziamenti per acquisto
di auto
• Credit cards: finanziamenti al consumo
attraverso carte di credito
- Altri attivi finanziari:
• CDO: cartolarizzazioni di obbligazioni
corporate, ABS, fondi hedge, etc
La crisi della finanza strutturata, partita nel
2007 dal mercato americano ed estesasi in Europa nel 2008, ha portato ad un blocco del mercato delle nuove emissioni, impedendo agli originators di farvi ricorso, sia per le esigenze di funding che per il trasferimento del rischio al mercato. Paradossalmente però il mercato primario
non ha mai smesso di produrre: tuttavia tutte le
operazioni del 2008 (invero anno record in termini di volumi) sono state ritenute dagli stessi
originators che le hanno poi utilizzate per le operazioni di rifinanziamento in BCE.
- Immobiliare:
• RMBS: mutui a privati (questa è la fetta
principale del mercato)
15
ottobre 2009
Parallelamente a quanto avvenuto sul primario,
anche il mercato secondario ha vissuto un tracollo di dimensioni mai sperimentate nel corso della
relativamente breve storia, neanche con riferimento alla precedente crisi del 2001-2002. In
particolare il secondario ha subito una drastica
riduzione delle condizioni di liquidità con la
scomparsa della domanda a cui si contrapponeva
una crescente pressione alle vendite da parte di
investitori costretti a smontare i propri portafogli. La conseguenza di questo disequilibrio domanda-offerta è stato un generalizzato e mai
sperimentato allargamento degli spread che ha
colpito in maniera indifferenziata le varie asset
classes, le diverse aree geografiche, i diversi titoli, prescindendo totalmente da considerazioni
fondamentali, pur molto diverse da asset ad asset, da area a area, da titolo a titolo.
16
ottobre 2009
ha iniziato ad apparire come un vasto spazio di
opportunità per gestori attivi, dotati delle specifiche conoscenze. Nuovi operatori si sono sostituiti, ancora in modo molto parziale ma segnando
un’inversione di tendenza, a quelli che nel corso
del 2008 hanno abbandonato il mercato. In particolare, dati gli elevati livelli di spread che consentono facilmente e senza utilizzo di leva il raggiungimento di ritorni “double digit”, diversi gestori hedge sono entrati nel settore lanciando
fondi ad-hoc od orientando le proprie strategie di
credito in questo spazio. Infatti, anche con riferimento al rischio corporate, il mondo della finanza strutturata appare in una fase più acerba
nel processo di ritorno degli spread a situazioni
meno esasperate, con ovvie considerazioni di relative value che stanno orientando le allocazioni
dei fondi credito.
Nei primi mesi del 2009 questa situazione, totalmente dominata da considerazioni tecniche, è
andata progressivamente migliorando ridando
spazio ad una maggior razionalità nel comportamento degli operatori di mercato. In particolare
ha iniziato a trovare spazio la convinzione che il
“gap” tra prezzi di secondario e fondamentali
fosse così ampio da scontare fenomeni di deterioramento dei fondamentali alquanto implausibili, anche in scenari marcatamente pessimisti.
Soprattutto, un numero esiguo ma crescente di
operatori, partendo da un approccio fondamentale strettamente bottom-up, ha iniziato a dubitare che l’omologazione dei prezzi di secondario
a prescindere dalle specificità dei singoli asset
trovasse un fondamento razionale, date le caratteristiche di specificità proprie del mercato europeo. In sostanza il mercato delle ABS europee
17
ottobre 2009
18
ottobre 2009
CONTRIBUTI (4/4)
Mercato del credito: sfide ed opportunità per investitori sofisticati
sta
limitarsi
all’analisi
fondamentale
dell’emittente, ma è indispensabile inoltrarsi
nell’analisi tecnico-legale degli strumenti disponibili (l’esame approfondito del prospetto di ogni
strumento di debito emesso dalle grosse società
è di per se stesso un’eccellente fonte di opportunità), studiare meticolosamente la struttura del
passivo degli emittenti (la varietà delle fonti di
indebitamento delle società, in particolare sul
mercato USA, è davvero impressionante), valutare attentamente gli asset che garantiscono ciascuna emissione (si pensi che alcune strategie
hanno come obiettivo il default dell’emittente ed
il subentro nella proprietà degli asset) ed individuare, infine, gli strumenti migliori per mettere in
atto l’idea di investimento, tra le infinite possibilità di intervento, di hedging e di arbitraggio offerte dal mercato dei derivati che, in questo settore ancor più che in altri, possono essere particolarmente sofisticati e complessi da valutare.
Paolo Barbieri
Pioneer Alternative Investment Management
I
l mercato globale del credito ha sempre offerto all’investitore sofisticato opportunità particolarmente attraenti ed anche maggiori di
quelle riscontrabili sul più conosciuto mercato
azionario. Infatti, mentre in entrambi i mercati la
base di partenza resta sempre un’approfondita
analisi fondamentale delle società emittenti, per
la corretta valutazione del cosiddetto rischio
specifico, il mercato del credito offre tuttavia
una scelta di strumenti molto più ampia, sia per
effetto della sempre più complessa struttura del
passivo delle società, sia per l’esistenza di un
mercato derivato particolarmente ampio, liquido
e ricco di prodotti (si pensi ad esempio al larghissimo ricorso che si è fatto negli scorsi anni alle
cosiddette securitizzazioni o all’enorme sviluppo
dei Credit Default Swap).
Inoltre, a differenza del mercato azionario, dove
pressoché tutte le informazioni sono oramai
pubblicamente disponibili e l’accesso al mercato
è aperto a chiunque in tempo reale, gli scambi nel
credito avvengono ancora in larga parte su mercati non centralizzati e soprattutto grazie
all’attività dei market maker e dei broker/dealer:
è, in sostanza, un mercato riservato agli operatori professionali, dove la conoscenza personale
dei diversi intermediari e l’essere riconosciuto
come un cliente o una controparte degna di attenzione è condizione indispensabile per operare
con successo. In altri termini, se anche un bravo
analista individuasse una certa particolare emissione con caratteristiche particolarmente allettanti, la sua analisi risulterebbe inutile se – attraverso una rete di opportune conoscenze (Street
Gli hedge fund hanno tra le loro caratteristiche
fondative la capacità di estrarre valore da situazioni di inefficiente formazione dei prezzi, ed ovviamente un mercato così complesso e ricco di
strumenti ha sempre attratto un elevato numero
di fondi hedge, operanti con strategie diverse. A
ben pensarci, pochi altri mercati offrono ad un
hedge fund l’opportunità di esprimere al meglio
le proprie capacità analitiche, tecniche e di relazione.
Consideriamo innanzitutto le capacità di analisi e
quelle tecniche: nel mercato del credito non ba19
ottobre 2009
connections, dove la street con la maiuscola identifica, ovviamente, Wall Street), non gli fosse
possibile individuare qualche tranche dimensionalmente interessante di tale emissione ed un
broker/dealer in grado di quotarne il prezzo con
uno spread ragionevole.
genere, il passaggio dalla prima alla seconda fase
non è quasi mai graduale, ma è contrassegnato
da shock sistemici, con improvviso inaridimento
della liquidità nel sistema, violento allargamento
degli spread e conseguente rapido innalzamento
nel numero dei default.
Proprio questa complessità ed eterogeneità di
strumenti rende possibile ai fondi hedge di operare sul mercato del credito con strategie diverse tra loro: la strategia “Long/Short Credit”, che è
in sostanza simile all’analoga strategia azionaria,
ma adopera bond e loan invece di azioni e fa largo
impiego di CDS per assumere posizioni corte; la
strategia “Distressed Securities”, i cui gestori
acquistano bond e loan di società in situazione
fallimentare per acquistarne gli asset o l’intera
società a prezzi particolarmente vantaggiosi,
oppure acquistano, a prezzi distressed, bond e
loan di società ancora non insolventi, ma che il
mercato ritiene evidentemente vicine al default,
quando ne ritengano tale evenienza poco probabile; la strategia “Structured Credit”, in cui la capacità di analisi fondamentale si combina con le
conoscenze tecniche dei prodotti strutturati di
credito (CDO, MBS, ABS e simili) per estrarre valore da inefficienze di prezzo, e molte altre ancora.
Lo scorso anno è stato uno degli esempi più rappresentativi di questo brusco cambio di fase del
ciclo: lo spread to worst (che sinteticamente definisce la differenza di rendimento tra i titoli degli emittenti migliori e di quelli peggiori), che - a
fronte di una media degli ultimi 20 anni di poco
inferiore ai 600bps – aveva toccato un minimo
storico nel primo trimestre del 2007 vicino ai
250bps – sostanzialmente il mercato non remunerava il rischio di prestare soldi a debitori poco
solventi - per poi schizzare verso gli 800bps nel
primo trimestre del 2008, dopo il salvataggio di
Bear Sterns, e addirittura oltre i 1700bps dopo il
default della Lehman Brothers (questo significa
semplicemente che se il bond emesso da una società con rating massimo rendeva il 4% nel 2007,
il bond di una società in gravi difficoltà finanziarie avrebbe reso il 6,50%. A novembre dello
scorso anno, ipotizzando che il bond migliore
rendesse ancora il 4%, il peggiore avrebbe reso il
21% !).
Per inciso, l’esistenza di tante strategie rende
possibile la costruzione di portafogli che, combinando opportunamente insieme gestori hedge
operanti con diverse strategie, riescono a generare performance positive nelle varie fasi del ciclo del credito.
Per dare un’idea della gravità della crisi finanziaria del 2008, basti osservare che nel 2002, dopo i
fallimenti di Enron e WorldCom e i conseguenti
timori sulla veridicità dei conti della corporate
America, lo spread to worst aveva di poco superato i 1000bps.
A questo proposito, vale la pena di ricordare che
il mercato del credito è per sua natura ciclico, alternando periodi di abbondante liquidità, facile
ed economico accesso al credito e di conseguenza bassi premi per il rischio, a periodi di cosiddetto credit crunch, in cui il credito viene centellinato e molte società trovano estremamente difficile non solo ampliare il ricorso al capitale di credito, ma anche rifinanziare il debito in scadenza. In
Nel corso del 2009, tuttavia, la situazione è profondamente mutata e l’aggressiva reazione al
rialzo dei mercati, sia azionari che del credito,
che hanno messo a segno vistosi recuperi, pone
alcuni interrogativi: in primo luogo, se tale reazione sia sostenibile nel medio periodo e quindi
gli attuali prezzi di mercato riflettano più o meno
correttamente i fondamentali; poi, quanto siano
fondate le aspettative di ripresa economica sui
20
ottobre 2009
rities. Qui di seguito esponiamo alcune semplici
considerazioni a supporto di questa tesi.
cui tali prezzi si basano; ed infine, quella che dal
nostro punto di vista è forse la questione più importante, se dopo una siffatta reazione il mercato del credito offra ancora delle opportunità interessanti o se invece la straordinaria finestra di
opportunità che si era creata tra la fine del 2008
e l’inizio del 2009 non debba ritenersi ormai
chiusa.
In primo luogo, i credit spread, ancora vicini agli
800bps,
rappresentano
certamente
un’eccellente opportunità per quei gestori capaci
di distinguere il merito creditizio dei diversi emittenti, soprattutto perché, quando il mercato
esprime fluttuazioni di ampiezza così elevata
come quelle che abbiamo osservato in precedenza (da 250bps ad oltre 1700bps e poi di nuovo giù
a 800bps), in genere lo fa in modo piuttosto indiscriminato, senza guardare alla qualità dei singoli
emittenti, lasciando perciò ampi margini di manovra per chi, come i gestori dei fondi long/short
credit (o almeno dei migliori tra questi), sia in
grado di analizzare i fondamentali dei singoli debitori e di trarne quindi profitto.
Per quanto riguarda le prime due questioni, il
numero e la varietà delle diverse opinioni già espresse in argomento da economisti, operatori di
mercato e commentatori vari ci suggeriscono
una particolare sobrietà. Ci limiteremmo pertanto ad osservare che il sin qui efficacissimo effetto di spinta fornito dalle eccezionali misure straordinarie prese dai vari governi e dalla enorme
massa di liquidità messa in campo dalle banche
centrali non potrà durare in eterno e perciò dovrà
essere prima o poi sostituito o da una ripresa dei
consumi privati, o da una ripresa degli investimenti da parte delle imprese, o da una combinazione di questi due fattori. Qualora ciò non accadesse, all’economia in convalescenza verrebbe a
mancare l’ossigeno necessario per guarire del
tutto e ricominciare, se non proprio a correre, a
camminare sulle proprie gambe.
Un po’ più complesse le considerazioni in materia
di distressed securities, anche a causa della minore familiarità dell’investitore europeo, rispetto
a quello americano, su questa strategia di investimento. Soffermiamoci però su alcune semplici
osservazioni: l’ammontare nominale delle obbligazioni in default è, già adesso, di gran lunga superiore a quello dei cicli precedenti (oltre $72bn
da inizio d’anno a fine settembre, contro i circa
$56bn sia del 2001 che del 2002), con un numero
di fallimenti tuttavia molto inferiore (65 da inizio
d’anno, contro i 138 del 2001), il che indica ovviamente un ammontare medio dei default molto
più elevato che in passato. Già questa prima osservazione sembra suggerire che la materia prima per i gestori di distressed securities, già ampia, è destinata ad aumentare visibilmente: se il
numero di società che richiederanno il chapter 11
(la procedura di protezione dai creditori prevista
dalla legge fallimentare americana) nei prossimi
mesi raggiungesse quello del 2001, in costanza di
importo medio dei default, l’ammontare complessivo della cosiddetta defaulted paper potrebbe raddoppiare.
In quanto alle prospettive e le opportunità che il
mercato del credito offre all’investitore accorto,
invece, è nostra opinione che queste siano assolutamente eccezionali e che lo resteranno ancora
per un discreto arco di tempo. Certo, gli affari
pressoché miracolosi che in qualche caso è stato
possibile realizzare all’acme della crisi sono
scomparsi: abbiamo avuto notizia di un hedge
fund che è riuscito ad acquistare al 60% del valore nominale un’obbligazione di un emittente BBB
che conteneva un’opzione put alla pari, a favore
del sottoscrittore, esercitabile 2 mesi dopo
l’acquisto! Ma le prospettive restano a nostro
avviso particolarmente rosee, in particolare per
le strategie long/short credit e distressed secu-
21
ottobre 2009
possa essere sufficiente a ridurne sensibilmente
l’indebitamento.
Si potrebbe obiettare che il picco nei default si è
visto tra marzo ed aprile e che da allora la curva è
in lenta discesa. Tuttavia, questo argomento appare piuttosto debole: molti bank loan (finanziamenti di elevato importo, spesso legati ad operazioni di leveraged buy-out, sindacati tra varie
banche) effettuati tra il 2005 ed il 2006 sono
stati strutturati in modo covenant-lite, cioè senza le normali protezioni che di norma consentono
ai creditori di chiedere il rimborso anticipato nel
caso in cui la situazione economico-finanziaria
del debitore si deteriori o il valore degli asset a
garanzia scenda sensibilmente. Queste protezioni (covenant), normalmente presenti durante
le precedenti crisi finanziarie, sortivano l’effetto
di accelerare i default e di concentrarne il numero nella fase acuta della crisi o immediatamente
dopo, quando – scattando le condizioni previste
dai covenant - le richieste di rimborso anticipato
venivano avanzate ma non potevano essere soddisfatte dalle società in piena crisi di liquidità,
appalesandone quindi subito lo stato di insolvenza. In assenza di covenant, invece, la verifica sulla
solvibilità del debitore vi sarà solo al momento
della scadenza del prestito, cioè tra il 2010 ed il
2011, considerato che la gran parte di questi prestiti avevano durata quinquennale e, come detto,
sono stati organizzati tra il 2005 ed il 2006. Questo lascia pensare ad un ciclo di default più lungo
dell’usuale e/o ad una seconda fase acuta di default a partire dal 2010, anche perchè proprio
quelle operazioni di leverage buy-out sopra richiamate, organizzate nel picco del ciclo, contemplavano spesso livelli di indebitamento abnormemente elevati e nulla lascia presagire che –
anche in una fase di modesta ripresa - la generazione di cash-flow da parte di quegli emittenti
Queste sono le ragioni per cui riteniamo che gli
hedge fund operanti con la strategia “distressed
securities” avranno ancora un lungo periodo per
mettere a frutto le loro capacità. In aggiunta, va
osservato che il numero degli attori sul mercato
e la quantità di capitale a loro disposizione è significativamente inferiore rispetto al passato,
sia perchè molti hedge fund sono stati consistentemente ridimensionati dai riscatti e, in alcuni
casi, dalle perdite del 2008, sia perchè i proprietary trading desk delle banche di investimento,
che rappresentavano forse la parte preponderante di questo mercato che – come si è detto – è
sostanzialmente riservato agli operatori professionali, sono stati spesso chiusi del tutto o comunque anch’essi pesantemente ridimensionati.
Quindi, si sta creando una situazione di abbondante materia prima e scarsità di attori, che appare evidentemente ideale per consentire a chi
operi opportunamente con questa particolare
strategia di investimento dei ritorni particolarmente attraenti.
Tuttavia, anche per mitigare facili entusiasmi, va
aggiunto che i primi dati mostrano un livello medio di recovery rate (la percentuale del valore
nominale di un’obbligazione che il creditore riesce a recuperare da un debitore insolvente) molto basso e comunque inferiore alle crisi precedenti (17% a settembre 2009, contro 23% nel
2001 e 26% nel 2002): questo significa che soltanto gli operatori più capaci e meglio attrezzati
da un punto di vista analitico potranno operare
con profitto in questo ciclo, mentre chi si basasse passivamente sui dati delle crisi precedenti
rischierebbe spiacevoli sorprese.
22
ottobre 2009
Fig. 1
CS High Yield Index II Spread to Worst
2 000
1 800
Spread to worst
1 600
1 400
1 200
1 000
800
600
400
200
gen-09
gen-08
gen-07
gen-06
gen-05
gen-04
gen-03
gen-02
gen-01
gen-00
gen-99
gen-98
gen-97
gen-96
gen-95
gen-94
gen-93
gen-92
gen-91
gen-90
gen-89
gen-88
gen-87
-
Fonte: Bloomberg
Fig. 2
80
Defaults $bn
72.3
70
56 55.6
60
50
40
160
19.4
3.2
2007
2006
2005
2003
2002
7.3
138
140
116
120
100
87
86
80
49 51
60
8
10
1980
1981
40
20
2001
2000
1999
N. of Defaults
2004
8.6
8
1998
1997
1996
1993
1995
4.7 3.4 7.2 4.8 5.2
1994
8.2
1992
1991
5
1990
1987
1986
1985
1984
1983
1982
1980
0
1981
3.6
0.3 0.1 1.1 0.6 1 2.5
1989
10.3
10
22.9
15.1
1988
20
24.9
22
2009
28.3
22.9 22
2008
30
62
33
23
23 27 28
17 18
65
61
31
47
37
20 16
18
29
26
42
21 18
11
Fonte: JP Morgan, Moody's Investors Service
23
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
1986
1985
1984
1983
1982
0
ottobre 2009
APPROFONDIMENTI
L’impatto della crisi finanziaria sul costo del rischio di credito:
un’analisi empirica1
degli intermediari creditizi è stata eseguita una
simulazione mediante l’utilizzo di modelli econometrici stimati a partire dai tassi di decadimento Banca d’Italia, messi in relazione con un
set di variabili macroeconomiche in grado di esprimere l’evoluzione della congiuntura economica. Tali modelli sono stati disaggregati per circa 100 cluster geo-settoriali di clientela e sono
stati utilizzati per prevedere l’evoluzione della
rischiosità e quindi della verosimiglianza di nuovi
passaggi a sofferenza per il triennio 2009 – 11.
dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia, Aprile 2009
1
O
ggetto del presente approfondimento è
analizzare le potenziali implicazioni sulla
rischiosità dei prenditori di fondi, e quindi
del costo del rischio di credito, della congiuntura
del prossimo triennio, indagando l’entità
dell’effetto di feedback che la crisi, generata dal
sistema bancario e poi trasmessa al sistema reale, produrrà nei bilanci delle banche sia in termini
di incremento del livello dei crediti non performing sia delle perdite su crediti.
Nei paragrafi seguenti sono presentate sia la
metodologia sia la struttura dei modelli utilizzati,
congiuntamente ai risultati dell’analisi, con focus
disaggregati per segmenti di clientela, settori di
attività economica e area geografica in relazione
allo scenario di base Prometeia di questo Rapporto di Previsione.
Dall’osservazione degli ultimi dati storici di fonte
pubblica si osserva, infatti, che il forte deterioramento dello scenario economico si è già riflesso in un crescente livello di rettifiche e accantonamenti dei principali gruppi bancari nazionali,
con particolare evidenza nell’ultimo trimestre del
2008, oltre che in un innalzamento dei tassi di
decadimento per importi a livello di sistema, in
particolare per le imprese non finanziarie2. Ulteriori elementi a sostegno dell’incremento della
rischiosità dei portafogli bancari si registrano
dalla crescita del fenomeno delle sofferenze nel
sistema bancario nei primi mesi del 20093.
La metodologia utilizzata
L’evoluzione delle variabili rappresentative della
rischiosità creditizia oggetto dell’analisi sono
rappresentate dal tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa (per teste) pubblicati dalla
Banca d’Italia4. Come noto, tale variabile è calcolata come rapporto fra il numero dei prenditori
entrati in sofferenza rettificata nel corso del periodo considerato e il numero di soggetti finanziati - e censiti in Centrale dei rischi - non considerati in situazione di "sofferenza rettificata"
all’inizio di ogni periodo di osservazione.
A partire da tali variabili, sono stati stimati modelli econometrici multifattoriali basati su una
selezione di variabili macroeconomiche con potenziale legame con il fenomeno del default5. Le
Al fine di quantificare i possibili impatti
sull’evoluzione della rischiosità dei portafogli
1
Il lavoro è stato sviluppato con la collaborazione di Giovanni
Ulivi.
2
4
Audizione del Governatore della Banca d’Italia alla Camera dei
Deputati – marzo 2009.
3
Fonte: Bollettino Statistico Banca d’Italia: le tavole riportano i
dati con cadenza trimestrale, a partire dal 1990.
5
Cfr. Bollettino statistico Banca d’Italia.
24
I modelli utilizzati sono derivati dall’impianto metodologico di
ottobre 2009
tica fiscale, la politica dei redditi, il tasso di occupazione e il tasso di interesse a medio/lungo
termine) ed estera (ovvero la politica monetaria,
il tasso di cambio dollaro/euro, il prezzo del petrolio, il Pil delle principali aree economiche (Ue,
Stati Uniti e Paesi in via di sviluppo…)7.
serie storiche, inizialmente di passo trimestrale,
sono state normalizzate su cadenza annuale per
permetterne il confronto con i dati macroeconomici, e coprono come periodo di stima circa 20
anni (dal 1985 al 2007)6.
I modelli sono declinati per cluster di clientela
che ricalcano la settorizzazione proposta dalla
Banca d’Italia (ovvero società non finanziarie,
famiglie produttrici e consumatrici, pubblica
amministrazione e società finanziarie), distinguendo per 15 branche di attività economica (o 5
macro branche per le famiglie) e per macro area
territoriale (Nord Est, Nord Ovest, Centro e Sud,
per tutti i settori tranne le società non finanziarie
su cui si è distinta anche la componente territoriale insulare).
7
I fattori macroeconomici utilizzati come potenzialmente
predittivi del tasso di decadimento (e quindi del rischio di credito),
di cui si fornisce anche una interpretazione della elasticità al rischio
attesa, sono i seguenti:
Al fine di rappresentare l’impatto del rischio sistematico dei prenditori di fondi dell’economa
italiana è stato necessario individuare un set di
variabili macroeconomiche in base alla loro potenziale capacità di spiegare l’andamento del
tasso di decadimento e quindi il rischio di default
delle controparti appartenenti al cluster di riferimento.
•
Tasso d’interesse: un incremento del tasso
d’interesse ha effetti negativi sul Pil per effetto di
minori investimenti. Questo incide positivamente
sul tasso di default.
•
Pil Europa, Pil Usa e Pil dei paesi in via di sviluppo: un
aumento del Pil favorisce le esportazioni quindi una
maggiore attività economica,
che incide
negativamente sul tasso di default.
•
Redditi pro-capite da lavoro dipendente (relativo al
settore Industria): per questo fattore occorre differenziare l’effetto per tipologia di prenditore.
L’effetto che avrà per le famiglie consumatrici sarà
economicamente positivo e quindi negativo per ciò
che riguarda i tassi di default. Per gli altri settori, le
retribuzioni dell’industria in senso stretto
influenzano le retribuzioni degli altri in misura
differenziata. Essi rappresentano in ogni caso un
costo di produzione che incide positivamente sul
tasso di default.
•
Tasso di cambio: per questo fattore macro occorre
fare una distinzione tra le branche economiche prevalentemente
esportatrici
e
quelle
prevalentemente importatrici. Per le prime
l’aumento del tasso di cambio comporterà una
diminuzione delle esportazioni e quindi avrà un
effetto negativo sulla situazione economica. Il
segno atteso sul tasso di default per queste branche
è quindi positivo. Sono prevalentemente
importatrici le branche energetici ed edilizia della
tipologia di prenditori imprese; per esse un aumento
del tasso di cambio significa una riduzione dei costi
di produzione (materie prime, semilavorati, energia)
e quindi il segno atteso è negativo.
•
Spesa Pubblica: un suo aumento stimola l'attività
economica quindi l'occupazione, che incide
negativamente sul tasso di default.
•
Prezzo del Petrolio (Brent): un aumento del prezzo
del petrolio aumenta il costo delle materie prime, ciò
aumenta i costi e quindi la probabilità di default.
•
Contributi sociali: questo fattore macro
rappresenta un costo per le attività produttive,
quindi impatta positivamente sui tassi di
decadimento.
•
Imposte delle Imprese: rappresentano un costo per
le attività produttive, impattano positivamente sui
tassi di decadimento delle imprese.
•
Tasso di Occupazione: influenza positivamente il
complessivo delle risorse economiche delle famiglie
diminuendo i tassi di decadimento. Il segno atteso è
negativo.
I fattori macroeconomici che sono stati ritenuti
rilevanti per l’analisi sono distinti tra quelli di origine interna alla nostra economia (ovvero la polistima del rischio sistematico del modello di portafoglio proprietario Prometeia. Il legame tra fattori macroeconomici e tassi di decadimento è basato sulla seguente specificazione funzionale tra la
serie storica delle differenze dei fattori sintetici e le serie storiche
delle differenze dei fattori macroeconomici:
∆ykt = f ( β k , ∆X t ) + ε kt = β k ∆X t + ε kt
dove ∆ykt è la variabile dipendente indice di rischio del cluster k
al tempo t in differenze prime;
βk è il vettore dei parametri stimati calcolati per il cluster k;
∆Xt sono i regressori (fattori macro).
cfr. Prometeia “CreditRiskPro Technical Document “ (2008).
6
Per completezza d’analisi è stato necessario costruire le serie
aggregate del Sud (Italia Meridionale con Italia Insulare) e del Nord
(Italia Centrale con Italia Nord Orientale e Italia Occidentale), sommando gli impieghi vivi e il flusso delle sofferenze rettificate e calcolando il tasso di decadimento come loro rapporto. Per permettere il successivo confronto con le serie macroeconomiche (in parte
disponibili solo su base annuale) le serie trimestrali dei tassi di decadimento sono state annualizzate attraverso il calcolo della somma dei tassi sui quattro trimestri e, al fine di incrementare la profondità storica disponibile, integrate con dati annuali fonte Banca
d’Italia (serie storiche dal 1985 al 1989).
Tra i numerosi contributi in letteratura sul legame tra fattori
macroeconomici e rischio di default si rinvia a Wilson,“Portfolio
Credit Risk”, Risk, September 1997 (part I) and October 1997 (part
II) e Pesaran et al. “Macroeconomic Dynamics and Credit Risk: A
Global Perspective” mimeo (2003).
25
ottobre 2009
quindi colte sia dalle variabili macroeconomiche
effettivamente incluse nel modello dalla long list
predefinita che dal peso relativo del parametro
di elasticità stimato rispetto alle variazioni del
tasso di decadimento. Nella tab. 1 sono riportate
le numerosità dei modelli per i vari settori di attività economica e il numero di occorrenze con cui
le variabili macroeconomiche sono state selezionate per i vari modelli con segno coerente con la
teoria economica.
La stima è stata effettuata tramite regressioni
lineari adottando un processo di selezione delle
variabili esplicative della varianza del tasso di
decadimento strutturato in due fasi:
•
•
in primo luogo, si è considerata
l’analisi delle correlazioni tra la variabile dipendente e i fattori macroeconomici e determinate le variabili esogene maggiormente candidate ad essere inserite nel modello secondo criteri di significatività economica e statistica e di ridotta multicollinearità
indotta tra i regressori del modello;
A titolo illustrativo, nel settore delle società non
finanziarie le tre variabili più rilevanti nei modelli
sono risultate la variazione nel Pil Europa (che
risulta significativo in 65 sui 75 modelli con un
contributo medio alla varianza spiegata pari al
40 per cento), la variazione nel livello dei tassi di
interesse (che risulta significativo in 56 su 75
modelli con un contributo medio pari al 27 per
cento) e il reddito pro-capite da lavoro dipendente (che risulta significativo in 42 su 75 modelli
con un contributo medio pari al 27 per cento),
successivamente, i modelli sono stati
identificati utilizzando la procedura
statistica di tipo stepwise e si sono
stimati i parametri mediante una stima OLS8.
Le specificità della dipendenza dal ciclo economico dei singoli cluster di clientela risultano
3
30
4
4
23
2
2
1
1
mentre significative differenziazioni sono presenti a livello di singola branca di attività economica. Ad esempio la branca dell’edilizia (settore
maggiormente dipendente dal ciclo economico
interno) risulta significativamente dipendente
dalla dinamica della spesa pubblica, mentre la
branca “macchine industriali e mezzi di trasporto” (più orientata all’esportazione) risulta maggiormente legata alla dinamica della domanda
estera (Pil Europa e Paesi in via di sviluppo).
8
Il processo sopra esposto è stato seguito per tutti i cluster individuati a meno di quelli appartenenti alle tipologie di prenditori
“famiglie consumatrici” e “famiglie produttrici”. Per queste due tipologie si è adottato un processo di stima a due stadi che ha permesso
di inserire tra le variabili dei modelli specifici anche la variazione
prevista dei modelli delle società non finanziarie che influenza in
modo diretto il tasso di occupazione nella stima. Il tasso di occupazione risulta infatti economicamente rilevante ai fini dell’analisi in
quanto è la variabile che me-glio permette di considerare la rischiosità delle imprese come fattore che influenza quella delle famiglie
consumatrici (e produttrici). Questa considerazione deriva dall’idea
che all’aumentare del rischio delle imprese, e quindi dei default
stessi, l’occupazione tende a diminuire facendo aumentare le probabilità di default delle famiglie.
26
Prezzo petrolio
5
17
Tasso di
cambio
3
4
17
18
Redditi lavoro
dipendente
Imposte alle
imprese
15
57
Contibuti
sociali
4
19
64
3
2
1
Spesa pubblica
4
19
54
1
2
1
Pil Usa
Famiglie consumatrici
Famiglie produttrici
Società non finanziarie
Società finanziarie
Altro
Pubblica Amministrazione
Pil Pvs
Settore
Pil Europa
4
20
75
4
2
1
Numerosità e struttura dei modelli stimati
Tasso di
interesse
Numero modelli
Tab. 1
6
ottobre 2009
to nell’anno successivo alla crisi per poi segnalare un graduale recupero), ottenendo la conferma
che le variazioni in aumento del tasso decadimento previste potrebbero essere le più significative degli ultimi 25 anni.
I risultati dell’analisi
Analizzando le variazioni nei livelli dei tassi di decadimento sull’orizzonte di previsione a livello di
settore di attività economica si registra un impatto significativo per il settore delle società non
finanziarie, che vede il tasso di decadimento aumentare di circa il 60 per cento nel 2009 per poi
ridurre la crescita nel biennio successivo9 , portandone il livello a fine 2011 a livelli paragonabili a
quelli della crisi del 1992 (3.3%). Più contenuti
risultano gli incrementi per le famiglie produttrici
(+31% nel 2009) e per le famiglie consumatrici
(+37%), in coerenza con la minore dipendenza dal
ciclo economico rispetto alle imprese con dimensione più rilevante.
Fig. 1
Confronto con la crisi del
1992-93 – tassi di variazione
del tasso di decadimento
50%
2009
40%
30%
20%
1993
10%
2010
2008
2011
0%
I settori di attività economica maggiormente
colpiti dalla crisi in termini di incremento della
rischiosità risultano essere quelli appartenenti
all’Industria (+63 per cento nel 2009), maggiormente esposti alla dinamica avversa del commercio internazionale e della domanda estera,
mentre di minore entità, benché significativa, risulta l’impatto sul settore dell’Edilizia (+42 per
cento), che beneficia più di altri settori degli interventi di spesa pubblica e della riduzione del
livello dei tassi di interesse. A livello territoriale,
le variazioni più significative sono registrate nel
cluster del Sud e Isole (+50 nel 2009 vs il 44 per
cento complessivo), confermando una maggiore
fragilità del tessuto economico e quindi una
maggiore vulnerabilità agli effetti negativi del
ciclo economico.
-10%
1992
1994
1995
-20%
crisi del '93
crisi attuale
Al fine di avere indicazioni circa il possibile impatto dell’incremento della rischiosità delle controparti sui portafogli bancari è stata eseguita
una ulteriore simulazione, ottenuta tramite la
ponderazione delle variazioni dei tassi di decadimento per teste previsti sulla base degli impieghi vivi di sistema a dicembre 2008 nell’intento
di ottenere una proxy semplificata della possibile variazione delle perdite attese e quindi delle
rettifiche su crediti che dovrebbero essere effettuate dagli intermediari per fronteggiare le
variazioni di rischio delle controparti. I risultati,
riportati nella Tab. 3, devono essere valutati con
cautela in quanto l’esercizio implica sia una costanza nelle politiche di allocazione del portafoglio da parte degli intermediari nel periodo di analisi sia che la variazione del tasso di nuove sofferenza si traduca in egual misura all’incremento
dei default nell’accezione dell’accordo di Basilea
2 e dei criteri contabili IAS, che comprendono anche, come noto, posizioni ad incaglio e impagate
(past due).
Abbiamo confrontato (fig. 1) le variazioni previste
del tasso di decadimento complessivo sul triennio 2009-11 con la dinamica registrata dalla variabile negli anni successivi alla crisi del 1992 (che
aveva evidenziato un incremento del 20 per cen-
9 Si noti che la formulazione della forma funzionale delle relazioni utilizzate , derivati da modelli di stima della volatilità e correlazione tra tassi di default, implica ad una potenziale sottostima
degli effetti di ritardo con cui il fenomeno delle sofferenze si trasmette ai portafogli bancari rispetto all’inizio dei periodi di crisi (cfr.
nota 5).
27
ottobre 2009
La variazione complessiva dei tassi di decadimento ponderate per i volumi è pari al 60 per
cento nell’anno 2009, in sensibile aumento rispetto alla simulazione per teste (44 per cento);
ciò è dovuto alla rilevanza della quota dei finanziamenti al settore delle società non finanziarie,
che registra la variazione più elevata. A parità di
ammontare di garanzie complessive del portafoglio crediti (e quindi in costanza dei parametri di
Loss Given Default medi) ciò si tradurrebbe in
una crescita proporzionale nel costo del rischio
di credito nei portafogli bancari, inteso come
rapporto tra rettifiche di valore del portafoglio
crediti e impieghi.
Tab. 2
La capacità da parte degli intermediari di ridurre
il rischio di incorrere in svalutazioni (di portata
significativa) a conseguenza della crisi in atto dipenderà in ultima istanza dall’efficacia delle politiche creditizie di riallocazione del portafoglio
crediti che saranno intraprese nei prossimi mesi
sia in termini di erogazione che soprattutto di
monitoraggio e di riduzione dell’esposizione al
default verso i prenditori più rischiosi.
Variazioni tassi di decadimento ponderati per teste
2009
2010
2011
2008
TDEC
TDEC
Var. %
TDEC
Var. %
TDEC
Var. %
Tipologia di clientela
Famiglie consumatrici
Famiglie produttrici
Società non finanziarie
Società finanziarie
Totale
0.9%
1.9%
1.8%
1.1%
1.2%
1.3%
2.5%
2.8%
1.5%
1.8%
37.5%
30.5%
60.8%
31.2%
44.0%
1.4%
2.7%
3.3%
1.6%
2.0%
9.4%
8.4%
14.7%
10.2%
11.3%
1.5%
2.9%
3.3%
1.5%
2.0%
4.4%
4.4%
2.6%
-3.2%
3.8%
Ramo di attività economica
Trasporti e servizi
Industria
Edilizia
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Commercio
Totale attività produttive
1.5%
2.0%
2.1%
1.6%
1.9%
1.8%
2.4%
3.3%
3.0%
2.4%
2.5%
2.7%
64.8%
63.7%
42.2%
46.8%
32.9%
50.1%
2.8%
3.9%
3.2%
2.7%
2.7%
3.1%
14.3%
16.4%
9.7%
13.1%
9.5%
12.8%
2.8%
4.0%
3.4%
2.8%
2.8%
3.2%
2.0%
3.9%
4.7%
5.2%
1.8%
3.1%
Area
Italia Nord-occidentale
Italia Nord-orientale
Italia Centrale
Italia Meridionale ed Insulare
Totale
1.2%
1.1%
1.2%
1.6%
1.2%
1.6%
1.5%
1.8%
2.4%
1.8%
37.9%
44.2%
46.0%
49.7%
44.0%
1.8%
1.7%
2.0%
2.7%
2.0%
9.5%
11.0%
11.3%
13.6%
11.3%
1.8%
1.7%
2.1%
2.8%
2.0%
3.4%
3.2%
3.7%
4.7%
3.8%
Tab. 3
Variazioni tassi di decadimento ponderati per importi
Tipologia di clientela
Famiglie consumatrici
Famiglie produttrici
Società non finanziarie
Società finanziarie
Totale
2009
2010
2011
2008
TDEC
TDEC
Var. %
TDEC
Var. %
TDEC
Var. %
0.9%
1.9%
1.7%
1.1%
1.4%
1.3%
2.5%
2.9%
1.4%
2.3%
37.5%
30.9%
67.4%
33.7%
59.1%
1.4%
2.7%
3.3%
1.6%
2.6%
9.4%
8.5%
15.9%
9.1%
14.5%
1.5%
2.8%
3.4%
1.5%
2.7%
4.4%
4.3%
3.2%
-4.3%
2.9%
28
ottobre 2009
PILLOLE
Nell’Uem prosegue il miglioramento della produzione industriale grazie all’orientamento espansivo delle politiche economiche e all’esaurirsi della fase di più intenso aggiustamento delle scorte.
Le vendite hanno mostrato segnali di indebolimento anche nei paesi dell’area euro in cui i consumi nella prima parte dell’anno avevano mostrato una certa tenuta. Il Giappone si caratterizza
per un miglioramento molto più netto dei ritmi
produttivi grazie anche al recupero della domanda estera. In tutte le aree l’inflazione continua a
mantenersi su livelli storicamente bassi e le attese di medio-lungo periodo restano in linea con
gli obiettivi delle Banche centrali.
a cura di:
Ugo Speculato e Francesco Amoroso,
Amoroso Prometeia
L
a congiuntura economica e i mercati finanziari
I risultati delle indagini congiunturali per
il mese di settembre hanno evidenziato
miglioramenti più contenuti rispetto ai mesi precedenti, confermando le incertezze sull’intensità
della ripresa economica globale. Elementi di stabilizzazione per gli Usa arrivano dal mercato immobiliare e da quello manifatturiero che sembrano convalidare le attese di un andamento
dell’attività produttiva più favorevole nella seconda parte dell’anno. Segnali incoraggianti giungono anche dall’andamento delle vendite al dettaglio (Fig. 1), sebbene per il futuro rimangano
perplessità per il venir meno delle misure temporanee a sostegno dei consumi. Alcuni dati recenti
sono tuttavia meno positivi, come quelli sul mercato del lavoro.
Segnali di ripresa non emergono invece dal mercato del credito, caratterizzato da una crescita
degli impieghi pressoché nulla per l’Uem e addirittura negativa negli Usa (per le banche commerciali).
Gli spread sui mercati interbancari si sono ulteriormente ridotti portandosi, sulla scadenza a 3
mesi, tra i 10 e i 15 punti base negli Usa e nel Regno Unito e quindi in linea con i valori medi precrisi; nell’Uem invece gli spread sono su livelli lievemente più elevati, intorno ai 25 punti base.
Tuttavia il sostegno delle Banche centrali sembra essere ancora una delle ragioni del miglioramento delle condizioni di prezzo sui mercati della
liquidità, caratterizzati da volumi di scambio sui
mercati ancora contenuti.
Fig. 1: vendite al dettaglio (var.% annuale)
10
8
6
4
2
0
-2
(medie mobili a 3 mesi)
Nella seconda metà di settembre si è attenuata
la fase di rialzo dei mercati azionari che ha caratterizzato, tranne che per il mercato giapponese,
tutto il terzo trimestre (Fig. 2). A seguito della
diffusione di dati macroeconomici che hanno evidenziato miglioramenti più contenuti rispetto
ai mesi precedenti, sono divenute più forti le incertezze sull’intensità della ripresa economica.
-4
-6
-8
-10
gen-05
mar-06
Usa
mag-07
lug-08
Uem
Giappone
set-09
Fonte: Thomson Reuters; dati al 26/10/09
29
ottobre 2009
nell’Uem, sopra i valori di medio-lungo termine
(Fig. 3).
Fig. 2: indici azionari (30/6/09=100)
130
Gli spread tra i rendimenti dei titoli corporate e
quelli governativi hanno proseguito la fase di
flessione per tutte le categorie di rating, soprattutto per quelle con un merito creditizio inferiore,
in virtù anche di una ritrovata propensione al rischio. La riduzione ha interessato anche i differenziali tra i rendimenti dei titoli dei paesi emergenti e quelli dei titoli di Stato Uem e Usa; a livello regionale, il calo maggiore si è osservato per i
titoli dell’America Latina, anche a riflesso della
buona performance dei mercati azionari dell’area
(Fig. 4).
125
120
115
110
105
100
95
90
giu-09
ago-09
Usa
set-09
Uem
Uk
ott-09
Giappone
Fonte: Thomson Reuters, indici Datastream; dati al
Fig. 4: differenziali di rendimento tra obbligazioni di imprese Uem e Usa e ri-spettivi titoli di
Stato e tra titoli sovrani dei paesi emergenti e
titoli di Stato dei paesi industrializzati
(per cento)
26/10/09
Gli indici azionari hanno comunque registrato variazioni trimestrali positive e già dai primi giorni
di ottobre i corsi hanno ripreso ad aumentare,
tornando così sul profilo di crescita in atto da
marzo.
14
12
Il rialzo sui mercati azionari continua a essere
10
Fig. 3: rapporto tra prezzi e utili azionari
8
35
6
30
4
25
2
20
0
giu-04
15
ott-05
feb-07
Uem Investment Grade
Est Europa sov. vs. Uem
America Latina sov. vs. Usa
10
giu-08
ott-09
Usa Investment Grade
Asia sov. vs. Usa
5
Fonte: elaborazioni prometeia su dati Thomson Reuters,
0
Indici Bank of America/Merrill Lynch, all maturities; dati al
'73
'77
'82
'86
'91
Uem
media Uem (dal '73)
'95
'00
'05
26/10/09
'09
Usa
media Usa (dal '73)
La Banca centrale europea ha mantenuto, in linea
con le attese, i tassi di politica monetaria invariati. All’asta di fine settembre di rifinanziamento a
più lungo termine ha aderito un numero di banche
inferiore alla precedente asta di giugno e sono
stati richiesti circa 74 miliardi di euro, nettamente inferiori ai 442 miliardi dell’asta precedente e
Fonte: elaborazioni prometeia su dati Thomson Reuters,
indici Datastream; dati al 26/10/09
guidato dalla riduzione del premio per il rischio
che, dall’analisi di alcuni indicatori, potrebbe essere stata eccessiva. Il rapporto tra prezzi e utili
azionari è aumentato e si è portato, in particolare
30
ottobre 2009
ai circa 130 miliardi previsti dagli analisti. E’ inoltre proseguito il programma di acquisto di covered bond, che ha quasi raggiunto quota 20 miliardi dei 60 miliardi previsti dal piano.
Riguardo le prospettive nei mercati azionari, al
rialzo di questi mesi potrebbe aver contribuito
anche l’elevata liquidità immessa nell’ultimo anno
dalle Banche centrali, che potrebbe essere stata
riversata su attività finanziarie prima sottovalutate. Le aspettative di redditività sono comunque ulteriormente migliorate negli ultimi mesi,
sia negli Usa che nell’Uem, ma solo relativamente
all’orizzonte di breve periodo, cosi com’è aumentata la percentuale di società che hanno rivisto al
rialzo, rispetto al mese precedente, le aspettative di utili sempre per i prossimi 12 mesi. Le aspettative per il medio termine sono invece risultate stabili (Fig. 6).
Durante i mesi estivi si è osservata una progressiva revisione al ribasso delle attese del mercato
sui tassi di breve termine. La più recente curva
dei tassi future evidenzia attese per tassi a 3
mesi intorno all’1.70 per cento negli Usa e al 2 per
cento nell’Uem alla fine del 2010. I mercati dei
derivati scontano inoltre spread tra tassi interbancari e tassi Overnight Indexed Swap, per la
scadenza trimestrale, intorno ai 15-20 punti base
a metà del prossimo anno.
Le indagini qualitative effettuate dalla Reuters
(Fig. 5) confermano le previsioni Prometeia sui
tassi di politica monetaria, che dovrebbero rimanere invariati almeno fino alla metà del 2010.
Fig. 6: crescita attesa degli utili per azione
(var.% media annualizzata)
20
15
Fig. 5: Survey Reuters sui tassi di politica
monetaria (per cento)
10
2.50
5
2.00
0
1.50
-5
ott-04
1.00
gen-06
Usa (a 12 mesi)
Usa (a 3-5 anni)
0.50
apr-07
lug-08
ott-09
Uem (a 12 mesi)
Uem (a 3-5 anni)
Fonte: Thomson Reuters/IBES, indici Morgan Stanley; dati
al 26/10/09
0.00
IV-09
I-10
Usa
II-10
Uem
III-10
IV-10
Uk
I-11
II-11
Nella tabella 1 vengono infine riportati i rendimenti da inizio anno fino al 23 ottobre e le indicazioni di portafoglio:
Giappone
Fonte: Thomson Reuters, dati al 26/10/09
31
ottobre 2009
32