Hemingway - Unitre Varedo

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Hemingway - Unitre Varedo
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by Roberto Romano’
Dos s i e r
Hemingway
a Cuba
E
ra il 1956, anno lontano e felice, quando andai a Cuba non ancora conquistata o li­
berata da Fidel Castro per passare qual­che settimana nella Finca Vigìa di Ernest
Hemingway, allora chiamato Mr. Papa, a San Francisco de Paula.
Mi venne a prendere all’aeroporto Rancho Bojeros Mary Hemingway. “È il posto più vi­
cino all’infer­no che si può immaginare’’, mi disse aprendosi un passaggio nella folla,
con la sua stola di visone co
me usava in quegli anni e gli
occhi azzurri rigati di blu in
una delle sue rare civetterie
. Ci portò alla Finca l’autista
factotum Juan e solo quan­
do arri vammo a casa Mary
mi disse che Hemingway era
nei Mari del Perù a girare “Il
vecchio e il mare”. L’indoma­
ni, mi disse, Juan mi avrebbe
accompa­gnato ad incontrarlo
al suo arrivo sulla Pilar.
E infatti l’indomani arrivò, alla
lunga larga spiaggia dorata
bordata di palme e di banani
, e scese sul pontile pericolan­
te che si spingeva nel tiepi­
do mare immobile avviandosi
verso una capanna piantata a
caso in mezzo all’insenatura.
Aveva la barba già bianca,
strana e poetica sul viso anco­
ra giovane, e gli occhi intrisi
di melanconia ancora più di
come li avevo visti a Venezia
dopo il safari assassino. Mi
abbracciò forte, uno di quegli
hug che facevano scricchiola­
re le ossa e davano il corag­
gio di andare avanti; subito
cominciò a parlare, come se ci
fossimo lasciati cinque minuti
prima. La macchina ci portò
alla Finca lungo la strada tre­
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pidante di verde e croccante di sole.
Il cancello con la scritta UNINVITED
VISITORS WILL NOT BE RECEIVED
era chiuso; Juan lo aprì e salimmo il
largo viale bordato di mango e di ibi­
schi con La Casita dove dormivano gli
ospiti e su in cima la Torre Bianca piena
di gatti dove Mary gli aveva ar­redato
uno studio che Hemingway non usava
mai, la piscina col sentiero di palme, il
roseto di Mary, il ronzio di colibrì tra le
foglie pesanti, finché comparve la casa
a un piano in stile coloniale spagnolo
non ancora diventata famosa nelle fo­
tografie dei biografi e nei melanconici
giri turistici.
I gradini bianchi che conducevano
all’ingresso eranono già un po’ sgreto­
lati, il grande soggiorno aveva ancora le
sue tre poltrone e un divano, lo scaffale
a sette scomparti era pieno di dischi e
le pareti erano coperte di teste imbalsa­
mate ricordo del safari e dei quadri che
Hemingway guardava così volentieri,
cinque André Masson, un Paul Klee e
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due Juan Gris. La famo­
sa “Fattoria” di Mirò della
quale Hemingway scrisse:
“Ha in sé tutto quello
che si sente per la Spagna
quando si è sul posto e tut­
to quello che si sente quan­
do se ne è lontani e non ci
si può andare” e una “Natu­
ra Morta” di Braque ruba­
ta poi mentre Hemingway
era ricoverato nella Clinica
Mayo erano nella camera
da letto, col tavolo enorme
coperto di boccette di me­
dicine e di cumuli di lettere
e la scaffalatura di libri con
una dozzina di grossi cas­
setti per le fotografie e la
corrispondenza, da cui una
sera felice Hemingway in­
ginocchiato per terra pre­
se il Valentine fatto da sua
madre quando ancora cer­
cava di capirlo.
In un angolo, con gli occhi offuscati dalla com­
mozione, vidi il leggio inclinato con la macchi­
na per scrivere portatile sulla quale, in piedi e
senza bisogno di computer, scrisse il romanzo di
Venezia e “Il vecchio e il mare”.
Con la stessa commozione, ora, ho visto la foto­
grafia del tavolino sul quale una mano pietosa e
amorosa, una mano consapevole della reliquia di
cui disponeva, ha posato gli occhiali, forse una
delle molte paia, che Hemingway usava per leg­
gere: occhiali minuscoli, come quelli di Joyce ma
soprattutto come quelli che Hemingway usava
quando vestiva l’uniforme di inviato speciale du­
rante tutte le sue guerre.
La fotografia degli occhiali splende come una
stella tra quelle delle stanze come sono sistema­
te adesso e come si possono vedere dalla finestra
durante il giro turistico, un po’ diverse da come
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erano, ma intrise di una presenza carismatica, come se Hemingway potesse comparire
per prendere uno dei suoi fogli, per indossare un paio di scarpe, per mostrarci le lance
Masai che gremivano l’ingresso del suo salottino al Gritti quando tornò da quel sciagu­
rato safari.
In questo libro quasi ogni immagine è di quelle che circondavano i suoi gesti negli anni
Cinquanta. Le barche nella baia di Cojimar sono ancora senza motore, con la vela arro­
tolata su un fianco proprio come quella che usò il pescatore disperato nel breve romanzo
caro a molti di noi, la Terraza è quella che Hemingway vedeva quando d’estate andava a
imbarcarsi sulla sua Pilar, Gregorio Fuentes de Betancourt che fu il suo marinaio e An­
selmo Hernandez, che posò
per i fotografi di Life quan­
do venne lanciato il romanzo
finché Heminvway lo difese
cacciandoli perché non pren­
desse un’insolazione, sono gli
stessi suoi fedeli amici, solo
molto più vecchi,
così vecchi che non se ne co­
nosce l’età: Anselmo è il viejo
e basta.
Le fotografie di Cojimar del
tempo di Hemingway, pate­
tiche come le immagini di
Firenze o di Roma nell’Otto­
cento, esistono perché Raul
Corral, un fotografo che si
firma Corrales, ha sposato
una figlia di un pescatore di
Cojimar ed è rimasto a vivere
nella baia felice fin dalla fine
degli anni Quaranta, diven­
tando amico di Hemingway
che d’estate teneva lì la sua
Pilar spostandola d’inverno
dietro il promontorio, a Bar­
lovento. Antonio Soccol, che è
un reporter e grande fotogra­
fo veneziano egli stesso, lo ha
conosciuto perché è direttore
della sezione
Fotografia del Consiglio di
Stato di Cuba e così è il re­
sponsabile della parte icono­
grafica della Rivoluzione di
Cuba.
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Quando è venuto a Mila­
no a rappresentare Cuba
alla sezione culturale del
SICOF (o Salone Italiano
Cine Ottica Foto) è stato
ospite di Soccol e forse gli
ha aperto le vie per otte­
nere dal Ministero della
Cultura e dal Direttore del
Museo Hemingway il per­
messo per fotografare la
casa.
Credo che queste foto­
grafie piacerebbero a Mr.
Papa: le guarderebbe coi
suoi occhi pazienti che
hanno conosciuto tanta
gloria e tanta disperazione e riconoscerebbe i suoi marlin, i suoi pescispada, i suoi pesca­
tori, le sue barche, la sua adorata Pilar e soprattutto quella distesa tragica e inafferrabile
di azzurro che coi suoi misteri e la sua sconfinata bellezza lo sedusse come a suo tempo
aveva sedotto Herman Melville e come ha sedotto tanti uomini magari lontani dal genio.
Forse la fotografia che lo commuoverebbe di più è quella della festa per il trofeo. Il “Tor­
neo Hemingway di pesca d’altura” , da lui fondato nel 1950, dura cinque giorni verso la
metà di maggio. Nel 1960 vi ha preso parte anche Fidel Castro insediato a Cuba dal 2 gen­
naio 1959, quando è entrato a Santiago mentre Che Guevara entrava all’Habana. Castro
vinse il trofeo, come quello che aveva preso più pesci, sei pesci, e Hemingway su Esquire
testimoniò che era il massimo che fosse mai riuscito a pescare lui stesso, consegnò la
coppa a Fidel Castro fra un turbinio di fotografi, in assenza di Che Guevara che aveva un
attacco d’asma.
Quelle fotografie hanno fatto il giro del mondo ma ce n’è una preziosa che ritrae lo schie­
ramento dei pescatori con le loro bandiere sulla banchina che conduce al tempietto dove
è stata posta la te­
sta fatta col bron­
zo ricavato dalle
eliche fuse delle
barche e inaugu­
rata un anno dopo
la morte di Papa
mentre le orche­
strine
suonava­
no le chitarre e le
bancarelle vende­
vano panini, ron e
birra.
È uno schiera­
mento che si ri­
pete ogni anno,
anche se le orche­
strine sono sosti­
tuite dagli ampli­
ficatori: Gregorio
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Fuentes sfila davanti ai compagni più giovani e va a deporre una corona di alloro e di fiori
ai piedi del monumento.
Questa fotografia, ne sono sicura, commuoverebbe Hemingway con lo schieramento quàsi
militare di uomini pacifici e disarmati come luì sognava fossero i soldati, impegnati solo
in avventure che dimostrassero coraggio e onore. Al fondo di quello schieramento è come
se Hemingway uscisse dal bronzo delle eliche fuse per abbracciare il suo Gregorio e ascol­
tare, vivere con lui altre favole di mare senza fine e senza tempo.
Fernanda Pivano, 14 marzo 1990; in “Ernest Hemingway e il vecchio e il mare ediz. A&A
Foto di copertina: Hemingway a Cayo Guillermo
Le fotografie di queste pagine si riferiscono alla Finca Vigia, la casa di Hemingway a San Francisco de Paula, vicino alla Havana
Tutte sono tratte da “Hemingway rediscovered”, by Norberto Fuentes, Photo Roberto Herrera Sotalongo
Plexuss Publishing Limited - Paris, 1987
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un duro
fragile
1899
Nasce il 21 luglio a Oak Park, nei pressi di Chicago, nello
Stato dell’Illinois. Suo padre era Clarence Edmond Hemingway, medi­
co chirurgo, sua madre era Grace Hall, cantante lirica.
1917 Ernest finisce le scuole superiori
decidendo di non andare
all’Università e preferendo il lavoro al giornale “Kansas City Star”.
Vuole partecipare alla I Guerra Mondiale come volontario, ma l’Eser­
cito lo scarta per un difetto all’occhio sinistro. Quando Ernest scopre
che la Croce Rossa cerca autisti di ambulanze si offre volontario.
Finito l’addestramento viene destinato al fronte italiano e con la rac­
comandazione di indossare degli occhiali (da lui disattesa).
Parte con la nave “Chigago” per l’Europa; sbarca a Bordeaux in Fran­
cia e dopo essere stato a Parigi raggiunge in treno l’Italia.
1918
Il 7 giugno, a soli 18 anni, è a Milano e viene subito manda­
to al fronte. Prima a Schio, sotto le Dolomiti. Chiamerà questo periodo
quello dello “Schio Country Club” perché non c’era azione.
Scrive anche qualche “pezzo” per il giornale dei soldati italiani “Ciao”.
Viene a sapere che la Croce Rossa ha istituito delle cucine da campo
per i soldati impegnati nei combattimenti; si offre di andarci a lavora­
re. Lo mandano a Fossalta di Piave (un paese semidistrutto e in piena
zona di guerra) dove, fra l’altro, porta generi alimentari alle truppe
con una bicicletta (una sua idea).
Poco dopo la mezzanotte dell’8 Luglio, a Fossalta di Piave, viene seria­
mente ferito ad una gamba per lo scoppio di un colpo di mortaio e pal­
lotole di mitraglia (è il primo americano ferito in territorio italiano).
Nonostante il dolore aiuta gli altri e questo gli fa ottenere la Croce di
guerra americana, la Medaglia d’argento italiana e la promozione a
Tenente.
Portato a Milano in Ospedale conosce una giovane Crocerossina, l’a­
mericana Agnes von Kurowsky di origine tedesca, di cui si innamora;
la loro storia dura tutto il periodo della sua convalescenza e cioé per
tre mesi (ha ben 227 ferite). Al loro amore si riferisce uno dei suoi ro­
manzi più famosi “A Farewell to Arms” (Addio alle armi) pubblicato
nel 1929 e tradotto in italiano da Cesare Pavese e Fernanda Pivano.
Tornato al fronte vi rimane per una quarantina di giorni; poi viene
smobilitato. Di nuovo in America è accolto da eroe; diviene collabora­
tore del “Toronto Star”.
1921 si sposa con Hadley Richardson, la sua prima moglie.
A dicembre partono per l’Europa; lui è il corrispondente dall’estero del
“Toronto Star”.
Vivono in Spagna, Svizzera e Francia, dove si stabiliscono.
Qui, a Parigi, conosce Gertrude Stein, Ezra Pound, James Joyce, Fran­
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cis Scott Fitzgerald.
1924
E’ in questo periodo che scrive il suo primo romanzo, “In
Our Time” . Francis Scott Fitzgerald nota questo giovane scrittore e
lo aiuta ad avere una buona casa editrice.
1926 viene pubblicato il romanzo che lo rende famoso: “Fiesta”,
dedicato alla Spagna. Divorzia da Hadley e si sposa con Pauline Pfeif­
fer con la quale torna in America andando a vivere a Key West, in Flo­
rida. In questo periodo suo padre si suicida e la cosa ferisce molto il
nostro Ernest. Tornato a vivere in Europa pubblica “Addio alle armi”.
1932 pubblica “Death in the Afternoon” (Morte nel pomeriggio),
dedicato alle corride. Va in Spagna durante la Guerra Civile Spagno­
la come corrispondente del giornale dell’Esercito americano “First
Army”, ma ben presto combatte tra le file dei repubblicani.
Nel
1937 pubblica “To Have and Have Not” (Avere e non avere)
1938 “The Fifth Column and the First Forty Nine Stories” (La
quinta colonna e I quarantanove racconti).
Nel
1939 va a vivere a Cuba in una fattoria nei pressi dell’Avana.
1940 divorzia da Pauline e sposa Martha Gellhorn, una giovane
giornalista molto ambiziosa con la quale aveva già da tempo una rela­
zione. Nell’ottobre delllo stesso anno viene pubblicato “Per chi suona
la campana” dedicato alla Guerra Civile Spagnola; un atto di accusa
contro tutti coloro che in nome della pace portano la morte. Questo
romanzo, se ce ne era bisogno, lo rende ancora più famoso e gli fa ave­
re anche l’inimicizia di una certa parte politica del mondo (che fino ad
allora lo aveva osannato) che non gradisce la sua imparziale visione
dei fatti ed il suo disprezzo per le atrocità della guerra da chiunque sia
fatta. Allo scoppio della II Guerra Mondiale torna in Europa al segui­
to dell’Esercito americano, di nuovo come corrispondente di guerra;
sbarca fra i primi in Normandia ed entra a Parigi coi primi partigiani.
Viene decorato con la Bronze Star per il suo coraggio (insieme a dei
partigiani libera il famoso albergo “Ritz” dai tedeschi e lo tiene occu­
pato fino all’arrivo delle truppe liberatrici).
1946 si sposa per la quarta ed ultima volta, dopo aver divorziato
da Martha, con Mary Welsh anche lei una giornalista.
1950 pubblica “Across the River and into the Trees” (Di là dal
fiume e tra gli alberi).
1952 pubblica “The Old Man and the Sea” (Il vecchio ed il mare)
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1953
vince il Premio Pulitzer.
1954
Tanto è il successo di questo romanzo che nel gli viene con­
ferito il Premio Nobel per la Letteratura.
Ernest non partecipa alla cerimonia adducendo come scusa di soffrire
ancora dei postumi di un incidente aereo occorsogli in Africa; in realtà
attraversa un periodo di crisi nervosa. Manda un discorso che viene
letto il 10 dicembre di quell’anno dall’Ambasciatore degli Stati Uniti
in Svezia, John C. Cabot. Registra il discorso per lasciarne ai posteri
il ricordo:
«Nessuno scrittore che sa quali grandi scrittori non hanno ricevuto il
Premio può accettarlo se non con umiltà.
Non è necessario elencare questi scrittori.
Tutti qui possono fare la loro personale lista secondo la loro conoscen­
za e la loro coscienza.
Sarebbe impossibile per me chiedere all’Ambasciatore del mio Paese di
leggere un discorso nel quale uno scrittore dice tutte le cose che sono
nel suo cuore.
Le cose che un uomo scrive possono non essere immediatamente chia­
re e in questo a volte lui è fortunato; ma a volte sono abbastanza chia­
re e da questo e dal grado dell’alchemia che lui possiede resisterà o
sarà dimenticato.»
1960 una infermità agli occhi gli fa temere la cecità.
1961 con il peggiorare delle sue condizioni di salute lascia Cuba e
va a vivere a Ketchum, nell’Idaho.
Qui trascorre i suoi ultimi momenti di vita continuando ad entrare ed
uscire dalle cliniche, ma senza compiere significativi miglioramenti.
Avviene anche un primo tentativo di suicidio fermato giusto in tempo
da Mary.
Il suo stato depressivo ha superato il livello di guardia e all’indomani
dalla dimissione dalla Mayo Clinic, in cui ha subito l’ennesimo elettro­
shock, decide di togliersi la vita.
Mary Welsh racconterà che la sera prima il grande scrittore sembrava
sereno, l’aveva portata fuori a cena e aveva cantato con lei una vecchia
canzone prima di coricarsi; la mattina dopo fu svegliata dal rumore
del suo fucile.
E’ il 2 luglio
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Curious)

il nomignolo con cui gli amici chiamavano Hemingway era “Papa”

in “A Moveable Feast” (Festa Mobile - romanzo uscito postumo) Hemingway ricorda le ambulanze che
aveva guidato nella I Guerra Mondiale; racconta che spesso i freni si bruciavano per le strade di montagna. Furono più tardi sostituite da delle Fiat con freni migliori e un buon cambio.

Agnes von Kurowsky ebbe da Hemingway una proposta di matrimonio; la donna, che era di alcuni anni
più grande del giovane soldato, rifiutò e quando lui fu di nuovo in America gli scrisse una lettera dicendo che aveva trovato un altro uomo. Si sa che i due passeggiavano per Milano soffermandosi spesso al
Duomo e alla Galleria. Naturalmente a lei pensa Hemingway quando descrive la sua eroina in “Addio alle
armi” che è, guardacaso, una Crocerossina di cui si innamora un soldato ferito.
Nessun uomo è un' Isola, intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata dall'onda del
Mare, l'Europa ne è diminuita, come se
un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica,
o la tua stessa Casa.
Ogni morte di un uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all'umanità.
E così non mandare mai a chiedere
per chi suona la campana:
Essa suona per te.
tomba di Ernest Hemingway a Ketchum, Idaho;
vicino c’è quella di Mary
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da “Per chi suona la campana”
il Vecchio
e il Mare
Era un vecchio che
pescava da solo su
una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai
che non prendeva un
pesce . . .
da Il vecchio e il mare
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Cojimar
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Gregorio Fuentes
poco prima
della sua
morte,
nel 2002
Il vecchio aveva insegnato a pescare al ragazzo e il
ragazzo gli voleva
bene
da Il Vecchio e il mare
c on Sp en cer Tracy s u l s et de
Il vecchio e il mare - 19 55
La casa sorgeva sulla parte più
alta della stretta lingua di terra tra la baia e il mare aperto.
Aveva resistito a tre uragani
ed era una costruzione solida
come una nave. L’ombreggiavano alte palme da cocco piegate dagli alisei, e uscendo di
casa dal lato dell’oceano potevi scendere per la scogliera,
traversare la striscia di rena
bianca ed entrare nella Corrente del Golfo.
il “Pilar”
da Isole nella corrente
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s u l “ P i l a r ” S ul “ P i l ar” con la mog lie Mary e lo s kip p er Greg o rio Fu e nte s
a l F l o r i d i t a - H a v a n a c o n F i d e l C a s t r o co n Greg orio F u entes
co n Mary
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s u l “Pilar”
co n M ary s u l “Pilar”
co n G r e g o r i o Fue nte s
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