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Jean-Jeacques Rousseau Origine della
Filosofia
Jean-Jeacques Rousseau
Origine della disuguaglianza
1755
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Jean-Jacques Rousseau è stato un importante filosofo francese, le cui idee hanno
ispirato la Rivoluzione del 1789. Il Dialogo sull’origine della disuguaglianza esprime una
visione della storia umana come contrapposizione tra lo stato naturale originario, di
libertà e uguaglianza, e lo stato dell’uomo nella società moderna, di conflitto, infelicità e
disuguaglianza. La soluzione offerta è quella del contratto sociale e della democrazia.
Quella di Rousseau è una visione grandiosa, espressa con grande passione e verve
polemica, che conquista il lettore. Con questo testo, che fu criticato da Voltaire come
“contrario al genere umano”, e poi con il Contratto sociale, ha grandemente influenzato
il pensiero politico successivo. La critica alla proprietà privata anticipa quella di Marx.
L’idea di una società fondata su di un contratto fra il popolo e i suoi governanti è rimasta
ancora oggi come uno dei fondamenti delle concezioni democratiche. Il mito del buon
selvaggio ha percorso la letteratura e le arti fino ad oggi.
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PUNTI CHIAVE
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La storia della civiltà umana è una storia di decadenza dall’originaria perfezione
naturale

Gli uomini primitivi vivevano sotto la legge naturale, erano esseri solitari, perfetti
e felici

In natura le disuguaglianze erano minime e comunque indifferenti

Gli uomini sotto le leggi umane sono asserviti l’uno all’altro, viziosi e infelici

In società si sviluppano nuovi tipi disuguaglianze, morali e politiche
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In particolare è la proprietà privata, che nasce con l’agricoltura, ad originare il
caos

Per uscire dal caos originato dalla proprietà occorre fondare le istituzioni, i
governi, le leggi
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Le istituzioni nascono da un contratto fra il popolo e i suoi capi, quindi riflettono
la volontà generale

La forma migliore di governo, quella più vicina alla legge naturale, è la
democrazia
RIASSUNTO
Lo stato di natura
Per comprendere l’origine della disuguaglianza fra gli uomini si deve conoscere come la
natura li ha originariamente formati, in modo da stabilire se si tratti di un fenomeno
naturale o meno. È necessario dunque distinguere e separare nell’uomo tutto ciò che è
derivato dall’evoluzione successiva rispetto al suo stato primitivo, e seguire la storia
umana, per seguire con essa la storia delle disuguaglianze. In natura gli uomini erano
così come l’Autore li aveva creati. Seguivano la legge naturale che era stata data loro.
Non possedevano che due istinti: il primo li portava a perseguire la propria
conservazione e il proprio benessere, il secondo li portava alla pietà tramite la
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ripugnanza per la sofferenza degli altri esseri viventi e in particolare degli altri
esseri umani.
Per sopravvivere dovevano avere certe caratteristiche: erano forti, agili e veloci per
potersi difendere e procurare il cibo, avevano sensi acuti per anticipare i pericoli e
scoprire ciò che serviva loro, erano sani e non si ammalavano. In più, occupati dai
problemi della sopravvivenza e soddisfatti di placare i propri bisogni elementari, non si
curavano del domani, non pianificavano, non facevano ragionamenti complicati.
Bastavano a sé stessi, vivevano liberi, pacifici e sereni.
La natura provvedeva a loro: trovavano acqua nei ruscelli, giacigli sotto gli alberi e nelle
caverne, vie di fuga dai predatori arrampicandosi, e così via. L’uomo primitivo non è
debole e bisognoso di aiuto come quello civile, è in grado di fare tutto senza l’ausilio dei
moderni strumenti, meglio di lui. Soprattutto l’uomo selvaggio era solitario, viveva
sparso nei boschi con gli animali e senza quasi mai incontrare altri esseri umani. Se li
incontrava a mala pena li riconosceva e li salutava.
In ogni caso non aveva bisogno di loro, era abituato a fare senza, ed era completamente
autosufficiente. Proprio questo lo manteneva libero: bastando a sé stesso non formava
alcuna società e quindi non conosceva schiavitù, né disuguaglianza, né nessuno dei vizi
che nascono quando gli uomini vivono assieme e si paragonano l’uno con l’altro.
In questo stadio l’uomo non formava famiglie, non commerciava, neppure conosceva la
lingua. Pensava poco, aveva pensieri limitati ai propri bisogni, a ciò che desiderava e a
ciò che temeva, pensieri che riflettevano semplicemente il suo stato naturale e le
circostanze che doveva fronteggiare. Non aveva ulteriori curiosità, né passioni, né
desideri più grandi, né una ragione sviluppata oltre queste necessità.
Il passaggio dallo stato di natura alla civiltà
Hobbes si è ingannato, sostenendo che nello stato di natura “l’uomo è un lupo per gli
altri uomini”. Ha attribuito agli uomini primitivi i tratti propri dei suoi contemporanei.
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Senza capire che è stata la vita in società a corromperli. Al contrario l’uomo
primitivo, era buono e pacifico, conosceva la pietà e ignorava il vizio. Se subiva un danno
era interessato a difendersene o a ripararlo, ma non a punire il suo autore, non a
vendicarsi. È nella società che l’uomo diventa malvagio, la ragione spegne in lui la pietà
e si sviluppano l’ipocrisia e l’invidia. L’uomo primitivo non si paragonava a nessuno, non
dissimulava niente, ignorava l’idea che gli altri potevano avere di lui, non era divorato
dalle passioni: tutto questo gli era completamente alieno. La sua personalità, la sua
indole, la sua essenza erano diverse, ancora pure, non ancora corrotte.
Questo è provato dall’osservazione dei selvaggi e degli indigeni che si trovano nelle
Americhe: essi sono molto più vicini all’uomo naturale e in quanto tali più forti nel fisico
e più semplici nel pensiero. Non conoscono tutti i vizi che percorrono la società moderna
e rovinano la vita degli uomini contemporanei, la disuguaglianza è largamente inferiore
che nelle società occidentali.
Dato che in natura le relazioni umane sono pressoché nulle, le disuguaglianze sono
ridotte al minimo. Fioriscono invece quando gli uomini si riuniscono in società e con il
moltiplicarsi delle relazioni reciproche.
Come è avvenuto questo passaggio? Come mai gli uomini hanno abbandonato lo stato di
natura, in cui erano tutti uguali e liberi, e che corrispondeva a come l’Autore li aveva
creati e alla legge naturale che aveva dato loro? Come è iniziato il progresso che tanto
male ha fatto loro? Come è nata la società con le sue istituzioni?
Il confine ultimo dello stato di natura, passato il quale l’uomo è ormai definitivamente
perduto, è costituito dalla nascita della proprietà privata. La coltivazione delle terre,
portò alla loro divisione, da cui derivò l’istituzione della proprietà. Essa è dunque legata
al lavoro: quando un uomo mischia alle cose il proprio lavoro, ne diviene il legittimo
proprietario.
Ma la proprietà e l’agricoltura non vengono all’improvviso, sono precedute da altre
evoluzioni che le rendono possibili. In particolare dalla scoperta della lavorazione del
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ferro. Dal momento in cui alcuni si impegnarono in lavori di artigianato, ebbero
bisogno del sostegno degli altri, non potendosi procurare il cibo da soli. Di conseguenza
l’agricoltura si sviluppò per la necessità che alcuni potessero produrre cibo per tutti e
progredì grazie alle migliorie permesse dalla lavorazione del metallo.
Da prima gli uomini cominciarono a costruire capanne e riunirsi in gruppi e famiglie. Poi,
l’invenzione di strumenti che alleggerirono la vita, comportò anche la nascita di un
crescente tempo libero, che da prima fu impiegato nella ricerca di comodità e piaceri,
come la danza e il canto. Fu dalla danza e dal canto che emersero i primi paragoni, le
prime preferenze e le prime disuguaglianze morali fra gli uomini. Fu questo l’inizio del
declino, che dunque è legato alle arti, di pari passo con lo sviluppo delle passioni: quelli
che da prima erano semplici piaceri si trasformarono in bisogni irrinunciabili, e
portarono l’uomo a sviluppare vizi e sentimenti negativi, quali l’orgoglio, l’invidia, la
vanità e la vergogna.
Mano a mano che la società progredisce si formano sempre nuovi bisogni, cosicché
l’uomo si ritrova sempre più asservito ai suoi simili: bisognoso di loro e schiavo di questo
bisogno. Non conta che sia povero o ricco, in ogni caso è dipendente dagli altri. È questa
una condizione opposta alla libertà naturale. Infatti, mentre l’uomo naturale bastava a
sé stesso, non si paragonava a nessuno e viveva libero dal confronto, l’uomo in società è
soggetto ai giudizi altrui e si abitua a pensare a sé soltanto attraverso lo sguardo degli
altri. Diventa così ipocrita e impara a mostrarsi diverso da come è realmente, impara a
ingannare e mentire, ed è dominato dal desiderio di fare il proprio vantaggio anche
nuocendo agli altri.
Il contratto sociale
Dopo un po’ questa situazione di disuguaglianza e vizio sempre maggiori, e di crescente
lontananza dalle origini naturali, degenera in un tremendo disordine, al centro del quale
si pone la questione della proprietà. Di fatto, col progresso della società si genera il
conflitto riguardo alla proprietà: i ricchi in virtù del loro potere e i poveri in virtù dei loro
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bisogno credono entrambi di potersi prendere più di quel che gli spetta
legittimamente. Il punto di arrivo di questi contrasti insanabili è la tirannide seguita dalla
ribellione.
Questo caos trova soluzione con la fondazione delle istituzioni sociali, politiche e legali.
Esse furono il modo in cui i ricchi risolsero la situazione a loro vantaggio. Proponendo ai
poveri delle istituzioni che, dissero, avrebbero trattato tutti giustamente allo stesso
modo, ne ottennero il consenso, ma ciò che costruirono furono in realtà istituzioni a loro
difesa e per il proprio interesse.
Ciò nonostante, una volta usciti dallo stato di natura, leggi e istituzioni civili sono tutto
ciò che resta all’uomo. Poiché non si può tornare indietro è necessario accettarle per
conservare almeno parte della libertà ed evitare il peggio: la tirannide. Le istituzioni, le
leggi, e i magistrati si fondano su un patto fra il popolo e i suoi capi, che corrisponde a un
vero e proprio contratto, e obbliga entrambe le parti al rispetto della legge. Il governo
viene dunque dal popolo e corrisponde alla volontà generale, l’unione di tutte le volontà
del popolo in una sola.
La forma di governo cui questo patto dà vita rispecchia il grado di vicinanza o lontananza
dallo stato di natura che si è conservato: la democrazia è la forma di governo più
naturale perché conserva una maggiore uguaglianza, dal momento che in essa tutti sono
sottoposti alle leggi allo stesso modo. D’altronde la schiavitù e la tirannide non sono
naturali, non possono essere scelte liberamente, e di conseguenza il potere arbitrario
non può essere messo a fondamento dei governi o delle leggi: ecco perché la società non
può che fondarsi su un contratto sociale.
Da ultimo, Rousseau accenna a un’opera successiva, di carattere politico, dedicata a
illustrare meglio come si sviluppa e cresce una società, come vi si stabiliscono i rapporti
fra ricchi e poveri, potenti e impotenti, e quali forme di governo siano migliori o peggiori:
il Contratto Sociale, la sua opera politica più significativa, che uscirà nel 1761.
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CITAZIONI RILEVANTI
L’uomo allo stato di natura è buono
«Non si può dire che i selvaggi siano cattivi solo perché non sanno cosa voglia dire essere
buoni, perché ciò che impedisce loro di fare del male non sono né lo sviluppo
dell’intelligenza né il freno della legge, ma la calma delle passioni e l’ignoranza del vizio.»
(p. 61)
È la ragione che perverte l’uomo
«La compassione sarà tanto più energica quanto più l’animale che guarda si identificherà
intimamente con l’animale che soffre. Ora, è evidente che questa identificazione è
dovuta essere infinitamente più stretta nello stato di natura che nello stato di ragione. È
la ragione che genera l’egoismo ed è la riflessione che lo rafforza; è questa che fa
ripiegare l’uomo su sé stesso e lo allontana da tutto ciò che lo angoscia e lo affligge. È la
filosofia che lo isola; è in virtù della filosofia che egli, vedendo un uomo soffrire, dice in
cuor suo: crepa, se vuoi – io sono al sicuro.» (p. 63)
I mali portati dal progresso e dalla proprietà
«[..] ma dal momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro, dal momento
che era utile a uno solo di avere provviste per due – da quel momento l’uguaglianza
disparve, s’introdusse la proprietà, il lavoro divenne necessario e le vaste foreste si
cambiarono in ridenti campagne che bisognò innaffiare col sudore degli uomini e nelle
quali presto si videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria.»
(p.80)
La nascita della disuguaglianza e del vizio
«Colui che cantava o danzava meglio, il più bello, il più forte, il più destro o il più
eloquente divenne quello che era tenuto più in considerazione, e questo fu il primo
passo verso la disuguaglianza e nello stesso tempo verso il vizio: da queste prime
preferenze nacquero da una parte la vanità e il disprezzo e dall’altra la vergogna e
l’invidia[..]» (p. 78)
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Il caos originato dalla proprietà
«Fu così che, poiché i più potenti o i più miserabili, facevano della loro forza o dei loro
bisogni una specie di diritto sul bene altrui, equivalente, secondo loro, a quello di
proprietà, la rottura dell’uguaglianza fu seguita dal più orribile disordine.» (p. 85)
Il contratto sociale
«Senza entrare ora in ricerche, che sono ancora da farsi, sulla natura del patto
fondamentale di ogni governo, mi limito seguendo l’opinione comune a considerare qui
l’istituzione del corpo politico come un vero e proprio contratto fra il popolo e i capi che
egli si sceglie» (p. 96)
La democrazia
«Coloro la cui ricchezza o le cui capacità erano meno sproporzionate e si erano meno
allontanati dallo stato di natura mantennero insieme l’amministrazione comune e
formarono una democrazia. [..] Questi ultimi restarono sottomessi soltanto alle leggi, gli
altri ben presto obbedirono a dei padroni» (p. 98)
L’AUTORE
Jean Jacque Rousseau (Ginevra, 1712 – Ermenonville, 1778) è stato un filosofo, scrittore
e musicista francese. Esponente di spicco, ma con tratti particolarmente originali ed a
volte contrastanti, dell’Illuminismo, ha avuto con le sue idee una profonda influenza
sulla Rivoluzione francese, ma anche sul nascente Romanticismo. Più in generale il suo
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pensiero e le sue opere hanno influenzato la filosofia politica, sociale ed
economica successiva, soprattutto riguardo alla critica della proprietà privata, e alla
concezione positiva della democrazia e dello stato, fondata sull’idea del contratto
sociale. Le sue idee hanno ispirato Marx, i socialisti e i democratici. Le sue opere più
importanti sono il Discorso sulla disuguaglianza degli uomini, l’Emilio o dell’educazione, il
Contratto sociale e le Confessioni. Ha inoltre contribuito all’Enciclopedia, redigendo la
voce “Economia politica”, testo di riferimento per chi si è successivamente occupato
dell’argomento.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Jean-Jeacques Rousseau, Origine della disuguaglianza, Feltrinelli, Milano, 2014, p. 107,
traduzione e cura di Giulio Preti.
Titolo originale: Discours sur l’origine de l’inégalité parmi les hommes
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