Da: Ricchi e Poveri La disuguaglianza nel mondo delle idee

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Da: Ricchi e Poveri La disuguaglianza nel mondo delle idee
Da:
Ricchi e Poveri
L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili
di Maurizio Franzini
Università Bocconi Editore. 2010
La disuguaglianza nel mondo delle idee
Chiudendo questo libro, confesserò un desiderio. Mi piacerebbe che come tra i redditi
anche tra le idee le disuguaglianze fossero più accettabili. Vi sono idee che, come
alcuni top incomes, svettano su tutte le altre senza che sia chiaro quali meriti
particolari esse abbiano e quale affidabile meccanismo ne abbia decretato il valore. Vi
sono, all’opposto, idee che navigano nelle posizioni di retroguardia e forse
meriterebbero di salire più in alto nella scala della considerazione generale. Anche nel
mondo delle idee, vi sono, probabilmente, ricchi senza meriti e poveri senza demeriti.
Provo allora a elencare alcune idee che a mio parere dovrebbero scendere di qualche
gradino e altre che, almeno io, collocherei un po’ più in alto.
Parecchi gradini dovrebbe perdere l’idea che il problema non è la disuguaglianza ma
la povertà. Sostenendola forse si intende dire altro, ma a me pare che significhi
soprattutto una cosa: la ricchezza non è mai un problema. Riecheggia qui il famoso
aforisma “arricchirsi è glorioso” attribuito a Deng Xiao Ping, e riproposto con toni
diversi da molti, anche dalla sinistra della terza via per bocca di suoi autorevoli
esponenti, specie anglo-sassoni. Se almeno si concedesse uno spazio al merito
(“arricchirsi con merito è glorioso”) si potrebbe anche concordare. Ma le ricchezze
accumulate senza merito e senza rispettare le condizioni delle disuguaglianze
accettabili sono un problema, eccome.
E lo sono non per moralismo, come
certamente potranno pensare coloro che vedono solo gloria nella ricchezza, ma perché
i ricchi senza merito, per effetto dei meccanismi della trasmissione intergenerazionale,
rischiano di generare molti altri ricchi senza meriti e perché la ricchezza senza meriti
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fornisce segnali distorti a tutta la società, incentiva la rincorsa al non-merito. Credo
che un genuino interesse per la meritocrazia dovrebbe portare a combattere queste
forme di ricchezza e non solo a criticare, come pure è giusto fare, le scuole perché
sono poco meritocratiche.
La seconda idea che vedrei con piacere in una posizione meno svettante di quella che
attualmente ricopre è quella secondo cui la disuguaglianza è il prezzo della crescita.
Non vi sono solide prove empiriche né analisi teoriche complessive (piuttosto che
singoli meccanismi) in grado di giustificare questa decisa presa di posizione. Un’idea
spesso associata a questa riguarda l’attribuzione alle disuguaglianze di un ruolo
insostituibile come generatrici di essenziali incentivi. Anche questa idea, in assenza
di qualificazioni, dovrebbe perdere posizioni. Che incentivi “buoni” può dare una
disuguaglianza che non premia l’impegno e il merito ma l’appartenenza a un
network? Mi piacerebbe, invece, che guadagnasse molte posizioni l’idea che tra
crescita e disuguaglianza non vi sono legami stretti, né in un senso né nell’altro.
Buone politiche e buone istituzioni possono consentire di combinare una crescita
elevata (e possibilmente priva di effetti negativi sull’uno o l’altro degli aspetti
rilevanti del benessere sociale) con una disuguaglianza accettabile.
La terza idea che farei scivolare in basso è quella che dipinge le società egualitarie
come noiose e tristi. Questa idea non distingue tra disuguaglianze alte o basse e tanto
meno tra disuguaglianze accettabili o no;
inoltre, venendo dal passato, sembra
equiparare l’egualitarismo al comunismo e se così fosse sarebbe più facile concordare.
Non è facile capire perché società accettabilmente disuguali debbano essere più tristi
e noiose di società con inaccettabili disuguaglianze, che difficilmente possono
riempire di allegria chi osserva da molto lontano ricchezze prive di meriti.
La quarta idea che farei regredire è quella che attribuisce tutti o gran parte dei mali di
cui soffriamo alla crescita e invoca politiche per frenarla, proponendo una felice
decrescita. Per quello che si è detto in questo libro molti dei nostri mali nascono e
consistono nelle disuguaglianze inaccettabilmente alte in cui siamo immersi e che si
sono probabilmente rafforzate nella loro negativa virulenza mentre la disuguaglianza
ufficiale segnalava una tranquillizzante stabilità. Affrontare seriamente questo
problema significa anche misurarsi con le cause del progressivo indebolimento della
capacità delle nostre istituzioni di garantire il progresso sociale ed economico.
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Infine l’idea che vorrei veder salire e molto decisamente in questa scala è, a questo
punto, del tutto ovvia, anche perché è l’idea da cui è nato questo libro. Discutere di
disuguaglianze accettabili è urgente, importante e piuttosto interessante.
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