01 Cucinodite

Transcript

01 Cucinodite
01
NUMERO #01—
APRILE/16
in casa tua e in casa d’altri
CUCINODITE
GUADAGNARE
CON LA PASSIONE
CICCIO SULTANO
IGLES CORELLI
SPECIALE INTOLLERANZE:
TIZIANA COLOMBO
E MARCELLO FERRARINI
UN UOVO A SORPRESA
5 ERRORI INFAMI
SUL TUO SITO
VINI DI PRIMAVERA
I PLACIDI SEGRETI
DI UNA SLOW COOKER
LE IDEE DEGLI ALTRI
COLPI DI GENIO IN SALDO
Cucinodite
La rivista dell’omonimo sito.
Visita www.cucinodite.it.
pagina –
2
Testi e foto
Salvo eccezioni segnalate, sono tutti
del sottoscritto: Giorgio Giorgetti,
personal chef, sommelier e giornalista
(e un pochino anche fotografo).
Immagini altrui
Ogni fotografia non mia è sempre citata
accuratamente e riporta, quando reperibile,
il link al sito o alla pagina dell’autore.
Impaginazione e grafica
Da un modello di BOXKAYU,
liberamente adattato da me.
In copertina
Triglie con olio al rosmarino
in zuppetta di ceci, cipollotto
e pomodorini confit.
01
NUMERO #01—
APRILE 2016
in casa tua e in casa d’altri
CUCINODITE
Questa pubblicazione, esclusivamente
online e aperiodica, non deve essere
considerata un prodotto editoriale ai sensi
della legge n. 62 del 7/3/2001.
Quest’opera è distribuita con Licenza
Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
APPRENDERE
e
s coprire
Lo sai per quale motivo questa rivista di cucina non somiglia
a nessun’altra? Perché ti parla di cucina amatoriale
(ma non solo) come se fosse una professione. Magari la
tua nuova professione. Per intenderci, non ti offre il
piatto del mese, il menù rapido ed economico, la simpatica
insalatona: c’è gente che lo fa meglio di me e, se è questo che
t’interessa, vai pure da loro e amici come prima.
Qui trovi come alimentare la tua passione ampliandone
i confini. I limiti li traccerà la tua ambizione. Puoi desiderare
di trasformarti in un amatore evoluto, in grado di stupire
i suoi cari e i suoi amici, oppure diventare l’anfitrione di un
ristorante privato e segreto o addirittura un personal
chef: magari non hai bisogno di imparare ricette, ma di
scoprire i trucchi per cogliere il successo, da come creare
un sito internet accattivante a come scattare una foto
ingolosente. Dipende da te. Io, numero dopo numero,
desidero solo offrirti gli strumenti per i tuoi sogni.
Ti va l’idea di scoprire quanto sei capace di fare?
Giorgio Giorgetti
creatore di CUCINODITE
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3
p/ 0 5 . Passione da vendere
p/ 0 8 . Igles Corelli, un garibaldino in cucina
p/ 1 2 . Ciccio Sultano, cantastorie di Sicilia
C H I
C E R C A
T R O V A
p/ 1 6 . Le avventure di Nonna Paperina
p/ 2 0 . La cucina dell’assenza
p/ 2 3 . Nima, un sorriso ti salverà
pagina –
4
p/ 2 5 . Se questo è un uovo
p/ 3 0 . I 5 errori infami del tuo sito
p/ 3 9 . Vini di primavera
C H I
C E R C A
p/ 4 5 . S l o w c o o k e r, fà m o l o l e n t o !
p/ 5 2 . I blog degli altri
p/ 5 4 . Early birds
T R O V A
CAMBIA VITA
pagina –
5
P A SS I O N E
D A V E N D E R E
V
oglio che la tua passione si trasformi in
denaro e in gioia di vivere. Voglio che tu
riesca a vivere, a vivere bene, con i desideri
più forti che hai, quelli per cui lotti.
E sai perché? Perché un giorno ti sei
svegliato e ti sei accorto che la tua vita stava
andando male, anzi malissimo.
Che il tuo lavoro non bastava più a
sostentarti e che lo portavi avanti per
inerzia, aggrappandoti a esso con unghie
e denti, pensando che la situazione
sarebbe mutata, la crisi cessata, che presto
sarebbe giunta un’età dell’oro in cui ogni
cosa sarebbe tornata al suo posto e tu lì, a
riprenderti tutte le soddisfazioni.
Magari ci stai sperando proprio adesso.
Oppure, ma è uguale, un giorno ti
sei guardato allo specchio e la tua vita
non ti piaceva più. Ci metti ore e ore per
raggiungere il tuo posto di lavoro, tanto
è distante da dove vivi. Il viaggio stesso
è una seconda occupazione, ormai, che
t’allontana da tutto ciò che ami, che ti
disintegra il tempo e l’esistenza, mentre i
finestrini appannati delle auto e dei treni ti
nebulizzano i sogni.
Oppure, ma è uguale, un pomeriggio
assolato ti portano a un muro di calce e ti
chiedono se vuoi bendarti gli occhi. Stanno
per spararti addosso tutte le peggiori notizie
che la tua vita lavorativa può sopportare.
Anzi, perdonami, ma appena qualcuno
griderà “Fuoco!”, potrai scordarti di avere
una vera vita lavorativa.
Oppure... Ma quanto ancora devono
durare, i miei oppure? Tanto hai già capito
che dentro qualcuno di questi, prima o poi,
ci finirai anche tu. Se già non ci sei. Oppure
no e allora meglio per te, non star neppure
a leggere queste righe e vola via fortunato a
goderti la primavera.
A te che sei rimasto, invece, voglio
raccontare una storia. Un giorno mi sono
svegliato e del mio lavoro erano rimaste
soltanto le briciole. Trova tutti i motivi che
vuoi: la crisi, la sfiga, l’età che avanza e che
ti rende sempre meno competitivo, i posti
di lavoro che scarseggiano, le assunzioni
inesistenti. . . Non importa: un giorno mi
sono accorto che le briciole erano diventate
troppo poche e che io mi ero smarrito nel
bosco, tentando di seguirle ancora una volta.
Il rischio di non riuscire più a mantenere
me e la mia famiglia stava diventando reale,
non era più soltanto un’improbabile ipotesi.
Quanti si sono ritrovati come me?
Facevo e faccio il giornalista, e forse
l’hai capito guardando questa rivista.
Ma io non sono il mio passato. Così come
non dovrebbe esserlo per te.
NASCERE DUE VOLTE SI PUò
Il passato sta lì, mi guarda ma tace, si
nutre di ricordi e rimpianti. Se precipito
nel suo silenzio, sono finito, annegherei
nell’illusione che il tempo possa scorrere
all’indietro, possa esser riscritto. Invece
la mia storia comincia proprio quando,
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tirato uno spasmodico respiro appena sopra
il pelo dell’acqua, ho compreso di non voler
annegare. Anche tu non vuoi annegare: per
questo siamo simili.
L’unico salvagente che ho trovato,
mentre il Titanic affondava, sono state le mie
passioni. Sì, al plurale, perché nessuno di noi
ne ha una sola. Ho capito che per risollevarmi
non mi bastava più l'amore per il giornalismo,
ma dovevo far lavorare in sinergia altri
interessi. C’era la mia passione per vino,
c’era quella per la cucina. Erano aspetti di me
che dovevano accordarsi, trovare un modo
comune di esprimersi. Soltanto così sarebbero
diventati un valore che avrebbero potuto
avere anche un riscontro economico.
Che potevano cambiare la vita.
Voglio che cominci anche tu, subito,
il tuo viaggio con me alla ricerca del tuo
salvagente. E per prima cosa devi parlare alle
tue passioni, ma proprio a tutte.
TU SEI DI PIù
Se sei qui, è probabile che una di queste,
magari la più prepotente, sia quella della
cucina. Bene. Prendi un foglio di carta e
scrivila in stampatello. Ma non fermarti:
scrivi anche le altre. Se fai un lavoro
diverso da quello del cuoco, del sommelier,
dell’insegnante di cucina, comincia da lì.
Magari immagini che fare il commercialista
sia all’antitesi dei tuoi hobby e che anzi,
proprio per questo, desideri il contrario.
Immagini male: in quel campo hai
un’esperienza che conta, che puoi usare
sempre, in ogni settore. Essere ingegnere,
operatore ecologico, maestro elementare,
baby-sitter o ammaestratore di cani non è
paglia! Ogni esperienza, ogni interesse che
ti ha condotto dove sei ora, a questo bivio
esistenziale, ti ha aiutato e continuerà ad
aiutarti. Ma tu sei di più del tuo lavoro.
Quindi, se vuoi cambiare vita come ho fatto io,
parti recuperando tutto ciò che c’è di buono
nella tua esistenza precedente.
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Questo è il primo consiglio che ti offro,
un’idea molto semplice che però ho preso
in seria considerazione soltanto dopo molti
errori e fraintendimenti, perdendo tempo
a credere che, per cambiare vita, occorresse
stravolgerla. E, non trovando mai il coraggio,
non lo facevo mai. Fin quando la vita stessa mi
ha messo di fronte a una scelta obbligata.
Se vuoi che la tua sia una passione da
vendere, insomma, comincia da qui. Da
questo consiglio. Da un foglio di carta e da una
matita. E dalla sincerità con te stesso. Smettila
di rifugiarti nei soliti atteggiamenti. Non è più
il momento. Tutto ciò che hai appreso negli
anni è davvero servito a qualcosa e ancora
ti servirà, perché è giunto il momento di
sfruttare ogni esperienza, invece di subirle.
UN BLOG E UNA RIVISTA
È più facile dirlo che farlo, lo so. Per
questo ho creato questa rivista e scrivo sul
mio blog. Perché non basta dare ricette,
insegnare tecniche di cottura, suggerire
preparazioni e trucchetti. Oggi bisogna fare
qualcosa di più, se si vuole aiutare davvero in
cucina. Vuoi diventare personal chef, cuoco a
domicilio, avviare una scuola di cucina o un
ristorante privato? Vuoi cambiare davvero la
tua vita? Allora saper cucinare non ti basterà.
Lo so per esperienza, perché ho fatto molti
errori mentre tentavo di dare una svolta alla
mia esistenza, alcuni pagati a caro prezzo.
Sì, lo so a che cosa stai pensando. Pensi a
soldi che non ci sono, a debiti con le banche,
a fallimenti improvvisi. . . No, ti assicuro che
non è nulla di questo. Il pericolo peggiore
che può capitarti, quando sei agli inizi,
è IL NULLA. Vedere che, nonostante la
tua passione e i tuoi sforzi, non succede
proprio nulla e sei costretto a farti piacere
ancora una volta il tuo vecchio lavoro o la
tua vecchia vita.
Ora, parliamoci chiaro: questo capita
sempre, perché prima che le cose
ingranino ce ne vuole. Ma il pericolo è che
non capiti nulla perché abbiamo sbagliato
modo di comunicare, di trasformare la
passione in un valore anche e soprattutto
per gli altri. Perché abbiamo pensato
troppo in grande o troppo in piccolo.
Hai un sito web? Sei sicuro che
funzioni davvero? Ci sei nella prima
pagina di Google oppure fai parte delle
migliaia di persone invisibili che ogni
giorno scompaiono da internet?
E le foto dei tuoi piatti? Sei sicuro che
riescano a superare la “prova disgusto”?
E i tuoi testi? Davvero pensi che possano
trasmettere ai futuri clienti la tua
passione oppure no? E poi: come si apre
una scuola di cucina? Come ci si deve
comportare per essere in regola con il
fisco? E se volessi aprire un ristorante
privato? Devo per forza associarmi a uno
dei tanti portali che li pubblicizzano?
Tranquillo. Non sto per venderti nulla.
Ma sono qui per dirti una cosa: questa
rivista e il mio blog sono nati anche per
regalarti dritte a 360° sul mondo della
cucina amatoriale. Una cucina che vuole
trasformarsi in passione da vendere.
A partire da ora! T
territorio e cibo
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U N G A R I B A L D I N O
I N C U C I N A
CHILOMETRO ZERO? E PERCHé MAI? Igles corelli,
due stelle michelin, invita cuochi e appassionati
a riappropriarsi delle eccellenze di tutta l’italia
IGLES CORELLI. Tutte le immagini del servizio sono di proprietà del Ristorante Atman.
I
gles Corelli, classe 1955, ha l’aspetto di
chi fighetto non lo è stato mai, neppure
da giovanissimo. Ha la faccia del lavoratore,
del tipo che fatica non soltanto con la testa,
ma che manipola la materia grezza delle
cose e le trasforma. Un contadino, un fabbro,
uno scultore. Anche uno chef? Sì, se la
sua cucina è così vicina agli elementi che
compongono l’universo; a quel fuoco, quella
terra, quell’acqua e quell’aria che se li combini
sei capace di crearci ogni cosa, dalla stella
Michelin alla bistecca alla brace.
Ecco, nelle sue foto m’appare così: come
Vulcano, il dio mitologico, intento a forgiare
un pensiero, a battere sull’incudine un’idea
fino a renderla reale.
In foto, dico, perché di persona non l’ho
incontrato mai, purtroppo.
Ho sentito la sua voce al telefono, però:
piena, simpatica, entusiasta, convinta.
Quella convinzione dei maestri che sono
lì e insegnano con la loro stessa presenza,
mica perché ti fanno tanti discorsi e tanti
giri di parole. Se vuoi sapere tutto di lui, sei
fortunato: centinaia di persone infinitamente
più brave di me hanno raccontato ogni
interessante istante della sua esistenza, dai
suoi inizi al Trigabolo di Argenta (Ferrara,
anni Ottanta) fino all’attuale Villa Rospigliosi
di Spicchio di Lamporecchio, Pistoia, con
il suo ristorante Atman trasmigrato dalla
relativamente vicina Pescia nel maggio 2015.
Qui, invece, leggerai il suo pensiero sui
prodotti alimentari. Perché? Semplice: per
imparare a capirli e sfruttarli. Se c’è una cosa
che rende chi cucina un cuoco consapevole è
proprio questa: comprendere gli ingredienti
che tiene fra mestoli, mani e padelle.
C’è quindi chi è maniaco del chilometro zero,
chi adora alcuni prodotti e chi ne disprezza
altri. E c’è chi, semplicemente, tanta
differenza non l’avverte. E Corelli?
«Io il chilometro zero non l’ho mai capito.
Chi lo dice che la materia prima d’eccellenza
sia dietro casa?» apre subito, secco secco.
«Perché, mi chiedo, volersi impoverire così,
a ogni costo? L’Italia è piena di materie
prime fantastiche: se sposo il chilometro
zero, ne perdo un sacco. No, anche l’idea
che il prodotto vicino a casa inquina meno,
costa meno, ecc. ecc. mi è sempre sembrata
poco realistica. Suvvia, siamo in Italia! Poter
godere a Lamporecchio di una specialità
siciliana o piemontese non mi pare possa
nuocere così tanto alla società. Anzi. Non per
niente avevo battezzato come garibaldina
la mia cucina: garibaldina perché persegue
l’unità d’Italia, insomma».
Quindi, se un cuoco vuol far bene, deve
uscir di casa. «Deve esser curioso. E deve
provare, sperimentare. Senza conoscenza non
si fa nulla. Perché mica tutto quel che è del
contadino o del piccolo produttore è per forza
eccellente. Chi l’ha detto? Quindi provare e
riprovare. E sfruttare chi ha assaggiato per
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il
d I
grande valore
un B U O N A M I C o
te. Penso ai Presidi Slow Food, per esempio,
ma anche all’esperienza di colleghi che senti,
allo stringere rete con loro. Se fai il cuoco,
anche soltanto per passione, devi avere
amici con la tua medesima passione. Perché
così vi scambiate informazioni, anche sui
prodotti. Non trovi un pollo o una faraona
che ti soddisfino appieno? Magari il tuo
amico conosce un fornitore affidabile che può
offrirti un’eccellente materia prima. Ma se
non c’è reciproca collaborazione e amicizia,
potresti non scoprirlo mai. Un consiglio a chi
vuol cucinare con conoscenza di causa? Si
faccia dei buoni amici e parli con loro».
Ma questa curiosità, questo desiderio di
scoprire e sperimentare, ha anche un ruolo
sociale oppure vive soltanto nella testa dello
spadellatore volenteroso? «Secondo me, e
SURF SU INDUZIONE - Foto di Renzo Chiesa Saperi e Sapori, Argenta FE, 1992
www.atmanavillarospigliosi .it
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UN GRANDE PIATTO HA BISOGNO DI GRANDI PRODOTTI.
E RICERCARLI è SPINTA IMPRESCINDIBILE PER OGNI CUOCO,
PERCHè è UN reale DOVERE SOCIALE E CULTURALE
credo secondo molti altri colleghi, uno chef
ha almeno un dovere sociale e culturale:
ritrovare prodotti perduti e cucinarli bene.
Se non li cucini, se non li usi, se non li sfrutti,
prima o poi li perdi. Se ti accontenti sempre
della pera o della mela del supermercato,
lasci svanire tutte le altre, comprese
quelle a chilometro zero. Quindi, il cuoco
è un po’ un ricercatore, un archeologo, un
investigatore. Anche perché, ogni volta che
un cibo scompare, cadono nell’oblio decine
se non centinaia di ricette. Pensa a tutti i
frutti dimenticati, per esempio. Pensa alla
cacciagione: ma dove lo trovi, ormai, un piatto
di cacciagione?».
Ma tanti piatti sono ormai improponibili,
con tutta questa smania del mangiar sano.
«Vero, ma io questo lo capisco» prosegue
Corelli. «Anzi, direi che oggi come oggi un
cuoco deve proporre il cibo più sano possibile.
Perché la vita non è più quella di una volta e
la cucina deve sapersi adattare ad abitudini,
a filosofie, a modi di vivere diversi. Sarebbe
assurdo se non lo facesse: dopo tutto, la
cucina è anche un po’ lo specchio dei tempi in
cui si vive e si mangia. Non sto dicendo che, se
trovi il prodotto perduto, poi lo devi per forza
cucinare con una ricetta vetusta. No. Dico
soltanto che un grande piatto ha bisogno di
grandi prodotti. Punto e basta. E se vuoi fare
un grande piatto senza avere grandi prodotti
- prodotti dalla qualità eccellente, non per
forza rari e costosi - sei un illuso».
Quindi saresti per rinnovare la
tradizione cucinaria, per rimodellarla sul
nuovo pensiero salutista? «Ma no, io la
tradizione non la tocco! Se ti metti a giocare
con un piatto tradizionale, lo snaturi, non c’è
verso. Magari ne razionalizzi la preparazione,
un po’ come faceva Gualtiero Marchesi,
ma tutto sommato non è più il piatto che ti
preparava tua mamma o tua nonna, quella
pietanza che i tuoi parenti più anziani
ricordano. La tradizione è la tradizione,
non la scalzi. Punto e basta. Vuoi fare il
cuoco specializzato in piatti della tua zona?
Va benissimo: ricerca prodotti davvero di
qualità, studiati bene la ricetta, scoprine e
sperimenta e combina più versioni, ritorna
il più possibile alle origini. Fai, insomma, sia
cucina sia cultura, perché in questo modo
rivitalizzi la tradizione ed eviti che vada
persa. Ma è inutile mettersi a stravolgere i
piatti, alleggerirli, destrutturarli e compagnia
bella. Sempre secondo me, si badi bene. Nel
senso che io non lo faccio, mica lo proibisco».
Perché, invece tu che cosa fai? «Vuoi sapere
ciò che faccio io? Io ho un numero di
ingredienti che combino, in modi e maniere
che hanno a che fare con il mio gusto. La
tradizione m’ispira, perché ho radici salde
nel territorio, nella mia italianità. Ma non
la ripropongo mai pedissequamente, non
m’interessa. Io ricerco contrasti, perché il
cervello ha bisogno di spinte, per ravvivare
la sua curiosità. Non so se sia o no un buono
spunto per altri, ma io faccio così». T
BATTUTA DI FASSONE
© Flavio Signani
FEGATO GRASSO, CETRIOLI, ZENZERO
territorio e cibo
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C A N T A S T O R I E
D I
S I C I L I A
C
he cosa puoi chiedere a uno che la pensa
così, che mette la sua terra, il suo cielo
e il suo mare in tutto ciò che fa? Nulla, ti ha
già detto tutto. Non hai neppure bisogno
di assaggiarli, i suoi piatti. Li capisci con
gli occhi, ti parlano, ti raccontano storie e
leggende. Ciccio Sultano, due stelle Michelin,
cuoco demiurgo, vive in un paradiso che non
è luogo mentale, ma concreto.
Poiché nel mondo esistono terre che prima
di tutto sono racconti. Squarci di paesaggi
che cantano labirintiche novelle fra boschi,
monti, azzurri di cielo e mare, durezza di
pietre e pieghe segrete di terra.
La Sicilia è uno di questi: così ricca che non
crederesti abbia bisogno di una voce, eppure
celata, scontrosa, un’ombra che non t’aspetti
sotto il suo sole implacabile.
Della Sicilia puoi goderne ciecamente così,
sostando alla gradevolezza della superficie,
come galleggiando su un basso fondale, dove
ancora ti pare di aver compreso ogni forma
dell’acqua. Dove il mare è mare, il cielo è cielo
e la terra un tessuto di architetture e culture.
Il cuoco è un trasformatore
Oppure puoi tentare di immergerti. Ed
è qui che ti perdi. Perché la favola che pareva
semplice diventa più complessa man mano
affondi. I coralli si confondono con i sogni
di un palazzo antico, le alghe scolorano in
ombre di sirene. E ti chiedi quale storia stia
davvero raccontando questa terra. Quale filo
ti condurrà al cuore di questo labirinto, che a
ogni passo diventa più gravido di risonanze,
di sapori, di culture embricate fra loro come
tegole. Se davvero ti lasci sprofondare nella
Sicilia, senti l’esigenza di una voce, un filo
d’Arianna che ti guidi in questa caverna
di tesori, per non svaporare di fronte a
tanta ricchezza. Per fortuna, la Sicilia il suo
cantastorie l’ha trovato: Ciccio Sultano, ancor
prima che chef, è un uomo innamorato della
sua terra. La comprende perché la ama e il
desiderio di scoprirla ogni giorno di più è foce
e sorgente di tanto amore.
È difficile trovare chi, meglio di lui,
S U L T A N O
CICCIO SULTANO. Tutte le immagini del servizio sono di proprietà del Ristorante Duomo di Ragusa Ibla.
C I C C I O
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A SINISTRA, TRIGLIA FARCITA CON PAN CHINOTTO. SOPRA, PASTA E BOTTARGA.
www.CICCIOSULTANO.it
suggerisca come sfruttare al meglio i
prodotti locali, che contribuiscono a
rinsaldare nel presente le autentiche
radici di una terra. Ma come si riesce a
farlo davvero, anche nella cucina di casa
o, se questo è il tuo caso, nella professione
di personal chef o di gestore di un
ristorante privato? Che cosa privilegiare?
La storia gastronomica del luogo dove
vivo, la scoperta e la valorizzazione di un
prodotto tipico, oppure mi devo lasciar
guidare soltanto dalla mia voglia di osare
e sperimentare tra i fornelli?
«Non credo debba esistere una
sorta di gerarchia dell’attenzione» dice
Ciccio Sultano. «La mia vera identità,
per esempio, è quella del cuoco. E come
tale mi muovo e ragiono. Non sono uno
storico, non sono un sociologo o un
esploratore. La mia dimensione è quella
del cuoco, quindi da tale posizione ascolto
ciò che mi circonda, senza preclusioni.
Ascolto la tradizione, assaggio i frutti
della mia terra, mi lascio guidare dalla
passione. . . Non vedo il senso di dare la
preferenza a un aspetto piuttosto che
a un altro. Un cuoco pensa a cucinare e
si muove di conseguenza. Non ci sono
gerarchie, ma armonia e circolarità».
Cucinare è l’arte di variare,
alterare, manipolare
consistenze, temperature...
Un cuoco, un qualsiasi cuoco
appassionato che non cucina soltanto
per la sopravvivenza quotidiana,
dovrebbe avere un occhio di riguardo
per i prodotti del proprio luogo.
Soprattutto se è uno chef stellato.
Che cosa può fare per salvaguardare
ciò che si sta estinguendo o che vive
ormai solo nei ricordi e nella storia?
«Penso che ognuno di noi, nel nostro
piccolo e qualsiasi attività svolga,
debba pensare a un bene supremo.
A questo proposito, mi piace citare
il filosofo tedesco Immanuel Kant:
“Due cose riempiono l’animo di
ammirazione e venerazione sempre
nuova e crescente, quanto più spesso
e più a lungo la riflessione si occupa
di esse: il cielo stellato sopra di me
e la legge morale dentro di me”. Per
il bene di tutti e del futuro di tutti,
noi cuochi dobbiamo rispettare la
nostra terra, difendere i suoi frutti
e tutelarne l’enorme patrimonio
gastronomico. È una legge morale»,
afferma il grande chef siciliano.
. . .MANIPOLARE LA Natura
degli ingredienti
che la nostra terra...
Molti cuochi amatoriali (ma
anche professionisti) che decidono di
intraprendere la strada del personal
chef o del gestore di un ristorante
casalingo, amano specializzarsi nella
cucina tradizionale, nel più pieno
rispetto del territorio e delle usanze,
soprattutto nella scelta delle ricette
e nei piatti proposti. Altri sono più
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il primo dialogo dovrebbe essere con il territorio,
ma le suggestioni e gli spunti si possono cogliere
ovun que, anche nella cucina di altre nazioni
IL CARCIOFO IMBUFALITO
SARDE A BECCAFICO CON
ACQUA FREDDA DI LIMONE
creativi, fantasiosi, vogliono essere meno
legati al passato e più vicini all’alta cucina.
Magari partono anche loro dalla tradizione,
ma per interpretarla. Che cosa sarebbe meglio
fare? Hai consigli da offrire? «Un consiglio
vero e proprio no, se mi si chiede di indicare
quale sarebbe la scelta migliore da fare. Sono
due atteggiamenti personali, quello della
ricerca filologica di un piatto tradizionale
e quello della sua reinterpretazione, che
hanno entrambi dignità di esistere. Tutto
il cibo, se fatto bene, rispettato e amato,
ha dignità di essere, dal semplice piatto di
legumi cucinato secondo tutti i dettami della
tradizione all’invenzione estemporanea
del grande chef. La cosa importante non è
tanto il filosofeggiare sul risultato finale, ma
sul lavoro che vi è dietro. Se il processo ha
richiesto amore, cura, attenzione e rispetto,
questi valori si riscopriranno nel piatto,
qualunque esso sia».
La tua esperienza di chef è strettamente
legata alla Sicilia, ma potrebbe adattarsi
anche ad altre terre. Per te, che cosa significa
interpretare una tradizione e fin dove ci si può
davvero spingere senza snaturarla? «La mia
cucina, lo ammetto, è molto legata alla Sicilia.
Ma, non per questo, eseguo con pedanteria
ciò che propongo. Mi piace guardare alla
Sicilia, certo, ma mi piace anche condividere
con chi siede alla mia tavola le seduzioni della
cucina di tutto il mondo. Mi piace, insomma,
pensare alla cucina con un atteggiamento di
apertura dove, perché no, possono trovare
posto echi di culture apparentemente distanti
da noi. Ciò che voglio dire è che il legame con
un territorio, anche quando è intenso, non
deve mai diventare prigione, inaridimento o,
peggio ancora, banalità».
... CHE il mare, CHE il cielo
ci offrono
Hai un metodo per cercare un prodotto
tipico? «Mi piace essere aperto a tutto ciò che
è buono. Proprio per questo sono un curioso,
come l’Ulisse di Dante: sono spinto a varcare
i limiti della conoscenza gastronomica.
Alla fine, comunque, cerco sempre di stare
sintonizzato con il meglio che mi sta attorno,
che circonda la mia attività in questo luogo».
Meglio togliere o meglio aggiungere, in
cucina? Tu sei spesso stato definito un cuoco
barocco: penso a ricette come gli gnocchi di
patate al Ragusano con polpettine di seppia
e maiale, che ospitano anche sugo di vongole
e cozze e salsa alla carbonara. . . Sulla carta
sembrerebbe un azzardo. «Prima di tutto,
voglio dire che l’abbinamento di seppia e
maiale esisteva già nella cucina tradizionale
di Gela, quindi era un accostamento che già
si conosceva, non è farina del mio sacco. Per
il resto, tutti gli altri ingredienti dialogano
fra loro con armonia: perché interrompere,
quindi, un ordine naturalmente costituito? La
mia non è stata che un’intuizione. . .».
Infine, c’è qualcosa che vorresti dire sul
legame con la tua terra? «Sì. Che non potrei
vivere a lungo lontano da essa». T
pagina –
SCEGLIERSI UNA NICCHIA conviene, Anche
e soprattutto nel cibo. Lo raccontano
una foodblogger e uno chef che hanno
saputo trasformare uno svantaggio
APPARENTE in un’opportunità REALE
UNIKPIX - ENVATO
S P E C I A L E
I N T O L L E R A N Z E
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INTOLLERANZE
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e infine al successo. I consigli di una food specialist
che conta davvero nel mondo dell'ALIMENTAZIONE
L
ei magari è persino capace di dire
di no, forse per modestia, forse per
scaramanzia. Ma Tiziana Colombo, in arte
Nonna Paperina, foodblogger di punta nel
mondo delle intolleranze alimentari, ce l’ha
proprio fatta. Due libri, uno sull’intolleranza
al lattosio, un altro su quella al nichel, e
persino una rivista a tiratura nazionale che
si trova in tutte le edicole: Zero. Uno Zero
che sta per Free, come in Gluten Free: zero
lattosio, zero nichel, zero glutine e così via.
Ma c’è anche un sottile gioco di parole, con
quella “tolleranza zero” (che qui diventa INtolleranza zero) dello storico sindaco di New
York Rudolph Giuliani.
E, naturalmente, un blog, da cui tutto
ebbe inizio: www.nonnapaperina.it. E
un’associazione, più le mille partecipazioni,
gli eventi organizzati con chef stellati e no. . .
Insomma, che l’ammetta oppure no,
Nonna Paperina ce l’ha fatta. Oggi è una
food specialist che, senza tanti giri di
parole, significa che la sua parola e il suo
pensiero contano, pesano, sono da tenere in
considerazione. Puoi non essere d’accordo,
ma non puoi ignorarla.
D’altra parte, chi mai avrebbe il coraggio di
farlo? Perché il segreto del successo di Tiziana
è davanti agli occhi del mondo: una passione
smisurata sorretta da un impegno cento
volte superiore. Superiore a cosa? Beh, senza
dubbio alla media degli esseri umani, viste le
attività in cui riesce a buttarsi e a condurre
in porto trionfante. «Sarà perché ho la testa
dell’imprenditrice e tutte le cose che faccio
le affronto con questa testa. Dal 1988 sono
direttore amministrativo dell’azienda di mio
marito, la Scaglia Trasporti Srl a Basiano,
in provincia di Milano. E quando mi sono
lanciata in questa nuova avventura, l’ho
affrontata da direttore amministrativo, da
imprenditore. Se mi si chiede un consiglio,
io dico sempre la medesima cosa: fate le cose
per bene. Non importa che sia un hobby, un
passatempo, una passione da cui non ci si
aspetta di guadagnare nulla. . . Fate le cose per
bene, come se fosse un lavoro vero e proprio,
che vi fa piacere veder crescere e svilupparsi».
E Tiziana è una forza della natura. Lo
senti da come la sua voce t’incalza, quasi
non avesse mai tempo da perdere, neppure
per un’intervista. La sua energia quasi si
tocca. «A 48 anni ho scoperto di essere
intollerante al nichel e poi al lattosio. Già
non mangiavo glutine perché mio figlio è
celiaco. . . Insomma, ero predestinata! A
parte gli scherzi, quando mi dissero che non
potevo più mangiare un sacco di cose, mi
crollò il mondo addosso. Adoro cucinare,
adoro mangiare! Mi sentii morire». E invece?
«E invece non mi diedi per vinta e cominciai
ad affrontare la situazione. Mi documentai.
Imparai che esiste un mondo oltre il nostro
orticello. E che c’è altra gente come te, che sta
tentando di reagire e di imparare a nutrirsi in
un modo diverso.
L E A V V E N T U R E D I
N O N N A P A P E R I N A
TIZIANA COLOMBO. Tutte le immagini del servizio sono tratte dal sito www.nonnapaperina.it.
TIZIANA COLOMBO, dalla dirigenza aziendale al blog
pagina –
17
CON LO CHEF ANTONINO CANNAVACCIUOLO
www.NONNAPAPERINA.it
A un certo punto, pensai che mettere
in comune queste cose sarebbe stato
importante». Molte persone, racconta Tiziana,
si perdono di spirito: non si documentano e si
avviluppano nella rassegnazione. Del tipo: me
tapino, il destino mi ha condannato a una vita
miseranda. «Io la vita da triste rinunciataria
non la volevo fare. E così ho cominciato a
imparare a come cambiare abitudini. In
seguito, ho condiviso».
PER I CUOCHI A DOMICILIO
Ma secondo te, Tiziana, un personal
chef fa bene a puntare sulla cucina per le
intolleranze oppure no? Può essere un modo
per ritagliarsi una nicchia privilegiata? «Io
dico di sì, perché le intolleranze e le allergie
non sono una moda. Un celiaco che mangia
glutine sta male, non si sente più trend!».
MA NON è UNO SCHERZO
«Attenzione, però. Proprio perché
la persona allergica o intollerante non
sta giocando, non deve neppure giocare
il cuoco a domicilio. Se ti presenti
come esperto di alimentazione per
intolleranti, devi fare sul serio. Devi
conoscere non soltanto la materia,
ma anche i tuoi strumenti. Penso
alla celiachia: cucinare per un celiaco
significa avere pentole, padelle, mestoli
e così via che non devono mai essere
contaminati dal glutine. Per quanto
tu possa lavare le stoviglie, potrebbe
sempre restare quella molecola di
troppo che scatena la reazione allergica.
Tanto che, se dovessi dare un consiglio,
direi che occorre un set di strumenti
pagina –
18
I N T O L L E R A N Z A
Z E R O !
E per gli altri problemi? «Con un po’
di accortezza, l’intolleranza al lattosio e al
nichel sono assai più gestibili della celiachia.
Magari il nichel richiede un’attenzione in
più, perché non si parla soltanto di cibi, ma
anche di materiali. Prendi le pentole e padelle,
per esempio. Bisogna esser sicuri che siano
nichel free, se no vanifichi il risultato. Stai
lì a prepararti un intero pranzo privo di
nichel, poi cucini in una padella di ferro. . .
Niente di fantascientifico o di trascendentale,
s’intende. Esistono eccellenti aziende, anche e
soprattutto italiane, che producono pentole e
padelle a prova di nichel».
CON LO CHEF FABIO SILVA
da dedicare esclusivamente a questo tipo
di cucina. Per dirla proprio tutta, se vuoi
proporti come cuoco per celiaci, secondo me
devi dedicarti soltanto a quello».
pagina –
19
COME IL CACIO SUI MACCHERONI
«Ciò che voglio soprattutto affermare,
con queste mie sottolineature, è questo: se
un cuoco vuole specializzarsi nella cucina
delle intolleranze deve assolutamente essere
sempre ben informato e non muoversi in
modo pressappochista».
Puoi fare qualche esempio? «Guarda, ti
dico una cosa che sembra banale, invece ho
conosciuto un sacco di persone intolleranti
al lattosio che non la sanno: i formaggi
duri molto stagionati, come il Parmigiano
Reggiano o il Grana Padano. non hanno
in pratica lattosio. In questi formaggi, la
stagionatura ne ha trasformato la quasi
totalità in acido lattico. Ciò significa che,
in pratica, ne restano tracce infinitesimali,
rendendoli ottimi per gli intolleranti».
OFFRI CONTENUTI DI VALORE
BUCATINI SENZA GLUTINE, POLPO, OLIVE
Q U A N D O
«Mi chiedi perché Nonna Paperina ha
avuto successo. . . Pensaci, se guardi bene,
tutto quello che ho fatto è stato informare
attraverso tutti i canali possibili che ho
trovato. Il blog, che non è fatto di chiacchiere,
ma di cose concrete: tutto quello che devi
sapere su una particolare intolleranza,
per esempio, e poi ricette per tutti i gusti.
L’associazione senza fini di lucro, che è
diventata un punto di riferimento per tutti
quelli che soffrivano di questi problemi.
E poi pian piano è venuto tutto il resto, le
collaborazioni, i libri, oggi la rivista. Che
cos’è tutta questa roba? Informazione. Se
offri valore, alla fine la gente si accorge di te,
capisce che non sei lì a raccontar storie, ma
per condividere cose utili e preziose».
L ’ I N F O R M A Z I O N E
INVOLTINI DI PEPERONI
V A L E
LA GRANDE PASSIONE
MORTE AL PRESSAPPOCHISMO
«È una cosa piccola, in apparenza,
ma grande abbastanza da migliorarti la
vita. Tantissime persone a cui il lattosio fa
male si privano di questa gioia e di questi
cibi, eccellenti anche per la salute, per il
semplice fatto che sono formaggi, quindi
latticini, quindi tabù. Ho scritto i miei due
libri sull’intolleranza al lattosio e al nichel
soprattutto per questo: perché mi sono
accorto che tanta gente affronta le situazioni
con pregiudizi, false notizie, convinzioni
prese in prestito da altri, pressappochismo».
Concludendo: «Se sei intollerante a un
alimento, se hai un familiare che lo è, se vuoi
specializzarti in questo tipo di cucina per
il tuo lavoro, ricordati che l’informazione
precisa e corretta è tutto».
CAPESANTE CON FINOCCHI
PIZZA SENZA GLUTINE CON OLIVE NERE
Quindi ricapitoliamo: offrire
informazioni di valore e pensare in
modo imprenditoriale. «Sì, se no
succede che resti prigioniero del tuo
orticello e alla fine non tieni un blog,
ma il diario della persona intollerante.
Non serve a nulla. Non pensare che sia
una strategia per far soldi. Se non ti
muovi non aiuti, se non ti muovi e non
lavori bene, non servi a nessuno. Non è
che io mi sia buttata in quest’avventura
per soldi: mi ci sono buttata perché
la cucina mi appassiona e poi mi ha
affascinato anche documentarmi sulle
mie intolleranze. Poi ho condiviso.
Perché senza una grande passione non
puoi realizzare niente». T
INTOLLERANZE
M A R C E L L O
www.atmanavillarospigliosi .it
F E R R A R I N I
L A
C U C I N A
D E L L ’ A SS E N Z A
MARCELLO FERRARINI. Foto tratta dal sito www.freesenzaglutine.it.
M
etter sotto lente il successo di
Marcello Ferrarini, chef votato
per natura e talento al gluten free,
non è facile. Forse il segreto sta tutto
qui: è stato davvero uno dei primi, dei
primissimi, a pensare che anche i celiaci
meritassero qualcosa di più, dalla vita.
Lo dico perché, tantissimo tempo fa,
qualche celiaco vero l’ho conosciuto.
Erano anni non sospetti, quando trovare
un intollerante era come vedere una
mosca bianca. Chi non sopportava il
glutine, in quei giorni, era visto un po’
come una bestia rara. Era quello che,
se voleva sgranocchiarti un grissino,
doveva prendere e andare in farmacia,
dove gli vendevano tristi affari lunghi e
secchi, dalla consistenza punitiva e dal
sapore ancora peggiore.
Momenti tristi per l’umanità che non
sopportava la proteina racchiusa nel
cuore di tanti italici cereali.
In quei giorni, insomma, nessuno
avrebbe spezzato una lancia in favore di
questi malati, che tiravano avanti a risi e
risotti, sognando per tutta l’adolescenza
di condividere una pizza con gli amici
o una spaghettata di mezzanotte. Ecco,
Marcello è stato fra i primi a credere
che anche i figli di una cucina minore,
così lillipuziana da esser inesistente,
meritassero uno chef con i fiocchi.
Una nicchia su chi nessuno avrebbe
scommesso. E invece. . .
E invece Marcello, figlio d’arte
(nonno chef e mamma espertissima in
cucina), che a 30 anni scopre di essere
celiaco, su questa nicchia ci scommette
proprio, perché è come scommettere su
se stesso. «Posso dire di aver cominciato
quasi per gioco» racconta. «Mi
proponevo come cuoco a domicilio e poi
ho visto che le cose stavano prendendo
una piega interessante. Così ho fatto
una scuola di cucina professionale e
sono diventato chef. Lo chef dei celiaci,
appunto, cominciando quando a loro
pagina –
il 22% al centro, il 19% al sud e l’11% nelle isole.
e sono più donne che uomini, in un rapporto di 1 a 2
ci pensavano in pochi se non in nessuno».
L’intolleranza al glutine è probabilmente una
delle più punitive, per chi nasce all’ombra
della dieta mediterranea: come hai deciso
di affrontare la sfida? «Il vero problema del
gluten free non è tanto il sapore in sé, quanto
la consistenza delle preparazioni». Spiegami.
«Il celiaco, che magari ha trascorso anni
senza sapere di esserlo, soffrendo come un
pazzo, conosce perfettamente la consistenza
della pasta, del pane e della pizza. Quando
riproponi le medesime cose in versione gluten
free, si attende di percepirne la medesima
consistenza ai denti e al palato. E invece il più
delle volte non ce l’ha. Da lì la disillusione,
il disincanto. L’idea di doversi sempre
accontentare di un surrogato».
A quanto dici, cucinare per celiaci non
è semplicemente svicolare il glutine negli
alimenti. «Ovvio. Sarebbe troppo facile.
Esistono un sacco di ricette tradizionali che
possono essere considerate gluten free, in
quest’ottica ristretta. Un minestrone è gluten
free, se non ci metti pasta. Una zuppa di
grano saraceno è gluten free. Non è questo il
problema. Il problema nasce quando proponi
il pane. Quando dico a un celiaco: oggi ti
faccio mangiare la pizza o un piatto di pasta.
C’è una grande aspettativa, perché sono
piatti proibiti, quelli per cui sei sempre stato
disposto a stare un male cane pur di sgarrare».
Quindi il segreto del successo è. . . «è far
evitare al cliente lo sgarro. Proporre qualcosa
che valga, organoletticamente parlando, tanto
quanto lo strappo alla regola. E queste cose,
gira e rigira, sono quelle che si possono ben
immaginare: i prodotti della panificazione e
qualche dolce, anche se l’uso ormai consueto
della farina di riso ha dato un valido aiuto».
Parliamo di ingredienti, appunto. Un tempo
la situazione era disperata. «Lo era davvero.
Oggi non è più così, per fortuna. Esistono
farine alternative davvero eccellenti, ma per
usarle bene occorre tecnica ed esperienza.
Perché il problema, lo ripeto ancora, è la
consistenza. Basta un albume in più o in
meno, un grado d’umidità invece di un altro,
ed ecco che cambia la percezione nella bocca.
Se sbagli, ecco che scatta la delusione».
Sei stato cuoco a domicilio e, in pratica,
fra una dimostrazione e una lezione, uno
showcooking e l’altro, ancora lo sei. Consigli
per chi intraprende questo mestiere?
«Parecchi. Innanzi tutto, puntare alle nicchie.
Quella delle intolleranze è più nuova di
quanto si pensi. Certo, tante cose sono state
fatte e tante se ne faranno, ma c’è ancora
posto per tutti. L’importante è porsi obiettivi
precisi e non improvvisarsi. Vale quanto ho
detto per la storia della consistenza: cucinare
per chi è intollerante non significa proporre
ricette senza un determinato alimento.
Troppo facile. Significa invece regalargli un
sogno, esaudire un desiderio, una golosità.
E questo non è sempre facile da realizzare.
Come dico sempre, io non cucino per
conquistare i celiaci. Cucino per conquistare
Foto di Alfonso Del Forno (https://www.facebook.com/alfonsodelforno).
sono 172.197 i celiaci in italia. il 48% si trova al nord,
Foto di Monica Bergomi (La luna sul cucchiaio): www.facebook.com/Lalunasulcucchiaio.
21
pagina –
22
https://it-it.facebook.com/chefmarcelloferrarini
b y e , b y e ,
tri s tezza !
i loro accompagnatori. Lo scopo è di rendere
impercepibile un’assenza così importante
per noi italiani, senza farla in alcun modo
rimpiangere a tutti i commensali».
Come si ottiene un risultato così
ambizioso? «Facendo gli chef per davvero.
Sapere che il prodotto finale deve essere
non soltanto buono, ma bello da vedere
e presentarsi anche al tatto come quello
“vero”. Se vogliamo cucinare per le persone
intolleranti, dobbiamo essere capaci di
stupirle, di far desiderar loro le nostre ricette
e di non renderle un triste ripiego. La pasta
deve essere pasta, il pane pane, la pizza pizza,
non so se mi spiego. L’assenza del glutine,
insomma, non si deve avvertire. Soltanto
in questo modo sarà possibile cucinare
davvero bene per questa nicchia sempre
più importante, tanto da destare interesse
persino nei normali ristoratori». T
SOTTOBOSCO EXPRESS. Foto di Daniela Stratta - Chiediloalladany (https://www.facebook.com/danistratta).
INTOLLERANZE
U N
T I
S O R R I S O
S A L V E R À
NIMA SENSOR. Tutte le foto sono di 6SensorLabs (http://6sensorlabs.com).
https://nimasensor.com/
M
etti che soffri di celiachia e che sei
invitato a un matrimonio, per ritrovarti
circondato da una marea di assaggini, finger
food, antipasti, sfiziosità e così via. Vorresti
mangiar tutto, ma chi si fida? Il piatto di
pasta a cui dire "no, grazie, sono intollerante
al glutine" lo riconosci. Ma tutta questa
robina? E poi, come fai a sapere se i cuochi
non hanno contaminato anche i cibi che
paiono più innocui? Se l'è chiesto Shireen
Yates, CEO di 6SensorLabs e ha cominciato a
sognare. «Certo che sarebbe bello se qualcuno
inventasse un apparecchietto portatile
per analizzare il cibo e scovare tracce di
glutine. . .». Detto, fatto. O quasi.
L'invenzione si chiama Nima ed è un
rivelatore di glutine da tasca o da borsetta.
È portatilissimo: è lungo 8,90 cm, largo
2,55 e alto poco meno di 8. In pratica, è più
piccolo del mio smartphone. Come funziona?
Così: Nima è dotato di capsule monouso in
cui s'infila il cibo da analizzare. S'inserisce
nell'apparecchio e si attendono due minuti
d'orologio. Se nell'alimento ci sono tracce
di glutine (inferiori a 20 ppm, 20 parti
per milione), apparirà una piccola bocca
imbronciata. Se invece è gluten free, eccoti
un bel sorriso. La precisione? Oltre il 97 per
cento. Grazie a un'app, si collega via Bluethoot
con smartphone Android e iPhone.
La produzione in serie non è ancora
cominciata, ma le prevendite sono aperte
da tempo e le prime ordinazioni partiranno
verso la metà di quest'anno. E ora parliamo di
costi: il Nima Starter Kit Nima (l'apparecchio,
tre capsule monouso, un cavo micro-USB e
una borsettina da trasporto) costa per adesso
199 dollari (circa 178 euro). Il problema? Per
adesso Nima è venduto soltanto negli Stati
Uniti. Ma l'apertura ai mercati internazionali
non è esclusa, anzi! E non basta: entro il
2017, rivelano da 6SensorLabs, saranno
lanciati rilevatori di arachidi e di lattosio.
Ma le applicazioni potrebbero davvero
essere innumerevoli, affermano, ed essere
usato per identificare agenti patogeni, come
l'Escherichia coli, triste protagonista di
infezioni intestinali e urinarie, anche gravi. T
A
C A S A
T U A
I N
C A S A D’ A L T R I
pagina –
• devo usare una doppia batteria di pentole, se un familiare
• e se mi specializzASSI come cuoco per celiaci?
soffre di celiachia?
In questo caso, avrai una e una sola batteria di cucina, così come userai
Sarebbe soltanto terrorismo psicologico. L’importante è che ogni strumento
solo ed esclusivamente quegli strumenti per fare il tuo lavoro, che si spera
di cucina sia lavato davvero bene. Fai attenzione soprattutto a quella
consista nel preparare cibo per persone intolleranti al glutine.
striscia bianca che si forma nelle pentole in cui cuoce la pasta e che non
Anche qui, avere due set di pentole non serve: tanto, le dovresti usare
sempre la lavastoviglie riesce a eliminare.
soltanto per i tuoi clienti!
• QUALI SONO I MATERIALI MIGLIORI PER EVITARE REAZIONI ALLERGICHE?
• COME MI DEVO COMPORTARE SE IN UN GRUPPO DI CLIENTI
Di certo il silicone è un ottimo materiale, a cui non si attacca nulla e che
C’È UNA PERSONA CON INTOLLERA NZE ALIMENTARI?
basta poco per risciacquare e lavare. Ma tutti i materiali sono buoni, basta
Adatta a lei il tuo menù e non viceversa, a meno che gli ospiti non
che s iano ben lavati e non porosi. Per questo è molto sconsigliabile usare
superino la decina. Lei si sentirà gratificata e, finalmente, vivrà con gioia
mestoli e altri utensili di legno.
quest'occasione. Per gli altri, invece, sarà una piacevole sorpresa.
T I E N I
A
M E N T E
C H E . . .
• A COSA DEVO STARE ATTENTO, IN CUCINA?
• VOGLIO CUCINARE PER CHI È ALLERGICO AL NICHEL.
Se se i allergico al lattosio, basta che eviti gli alimenti che lo contengono,
CHE COSA MI SERVE DAVVERO?
non hai bisogno di particolari accorgimenti. Se in casa hai un celiaco,
È molto importante che le stoviglie siano nichel free: in caso contrario,
i luoghi in cui la contaminazione avviene più spesso sono il forno e la
vanificherai qualsiasi altra accortezza. Ma sei fortunato: esistono, anche in
dispensa. Basta però separare gli alimenti in contenitori diversi e pulire
Italia, prodotti garantiti nichel free dal produttore, basta cercarli. Preferisci
bene il forno. Chi è allergico al nichel, invece, oltre agli alimenti deve
pentole e padelle con le seguenti diciture: Healthy non Sitck (in caso di
badare soprattutto al pentolame: scegli pentole nichel free.
antiaderenti), PFOA Free, Heavy Metal free e, appunto, Nichel free.
• QUALI SONO GLI UTENSILI DA USARE CON ACCORTEZZA?
• CHE COSA DEVO FARE PER CONQUISTARE ALLA MIA CUCINA
Quelli che hanno buchi o spazi molto piccoli, come gli scolapasta o i rebbi
UNA PERSONA ALLERGICA A UN DETERMINATO ALIMENTO?
delle forchette. Per quest’ultime, un’att enta pulizia è più che sufficiente
Segui il consiglio di Marcello Ferrarini: proponi qualcosa che abbia il
(ma attenzione che non sia rimasto del cibo tra i rebbi, appunto).
sapore, ma soprattutto la consistenza, del piatto proibito. Un celiaco lo
Per lo scolapasta, invece, sarebbe meglio comprarne uno diverso da quello
conquisti, per esempio, con una pizza quasi identica a quella vera o con un
usato per tutti gl i altri. Con tutti quei buchini, non si sa mai...
piatto di pasta... senza glutine!
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ESPLORAZIONIpagina –
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N U O V E
I D E E ,
N U O V I
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Q U E S T O
È
U N
U O V O
I
n quanti modi puoi cucinare un uovo? Così,
di getto, penso alle frittate, alle uova sode e
alla coque, all’uovo in camicia e all’occhio di
bue (leggi tegamino), alle uova strapazzate,
alle omelette. . . Ok, sono sicuro di essermi
scordato qualcosa, ma il punto è un altro: puoi
cucinare le uova in così tante maniere, che
può mancarti la voglia di sperimentarne altri.
Perché qualche altro modo c'è e, se
ben padroneggiato, ti schiude un mondo di
possibilità per stupire i tuoi ospiti, sia che tu
cucini per mestiere o per passione.
Oh, non temere: non mi metterò a insegnarti
a schiudere nel piatto l'uovo perfetto o a
calcolare i giusti minuti per farne uno sodo.
Nessuna lezioncina su igiene e precauzioni.
Voglio soltanto mostrarti tre modi diversi
di intendere le uova, con tre esempi d'uso
che possano ispirarti. Magari li conosci già,
anche se non hai mai avuto il tempo o la
voglia di provarli. Perciò, se riuscirò a dartene
l'occasione, mi riterrò soddisfatto.
EFFETTO MORBIDO
Mai sentito parlare dell'uovo morbido?
È probabile di sì. L'uovo morbido è il risultato
di una cottura prolungata, che conferisce al
nostro alimento una consistenza impossibile
da ottenersi con i sistemi tradizionali.
L'effetto, in soldoni, è questo: albume
addensato con leggerezza, ma non sfilacciato
e sfaldato come nell'uovo in camicia; tuorlo
rappreso soltanto in parte, ancora liquido ma
cremoso, dalla consistenza golosa. La magia
della preparazione è soprattutto l'equilibrio
che si crea, appunto, fra le due consistenze
dell'albume e del tuorlo, che in ogni altro tipo
di cottura sono sempre sbilanciate, a favore
dell'uno e dell'altro. Qui, invece, è come se i
piatti della bilancia s'equilibrassero: l'albume
contiene il tuorlo, ma non lo prevarica mai
come gusto; il tuorlo si rassoda il giusto per
farsi crema, per non spandersi nel piatto, ma
ancora a rischio scarpetta.
S P U N T I
pagina –
26
UOVO MORBIDO, con lamelle di asparago di Cantello crudo, burro fuso, Parmigiano Reggiano e aceto balsamico.
pagina –
27
Quello che ci frega, nelle cotture
tradizionali, è la temperatura: l'albume
coagula attorno ai 65 °C, ma gli basta superare
gli 80 °C per compattarsi del tutto. Anche il
tuorlo comincia a coagularsi verso i 65 °C,
ma se tocca i 70 °C si rassoda. Insomma,
basta davvero poco per spezzare l'idillio fra
bianco e rosso.Quindi, per ottenere albume
e tuorlo parimenti coagulati ma non sodi,
preservandone la golosa cremosità, devo
rendere costante la temperatura che mi serve
davvero (ossia 65 °C), per il tempo necessario
a farle raggiungere il cuore dell'uovo.
E, poiché non posso piantare una sonda
nel guscio, mi affido all'esperienza di un
sacco di altri cuochi che hanno sperimentato:
un'ora basterà. Detto questo, prendi una
pentola piena d'acqua (almeno 3-4 litri) e un
termometro da cucina. Io ne uso uno a sonda
(è proprio quello della foto a sinistra), ma ne
puoi usare anche uno più economico.
Metti le uova nell'acqua fredda e accendi
il fuoco.Dopo qualche minuto comincia a
misurare la temperatura: attenzione, quando
foto
del
mio
miglior
amico
( in
cucina )
si arriva verso i 63-64 °C è il momento di
cominciare ad abbassare il gas o aggiungere
un po' d'acqua a temperatura ambiente,
in modo da non far mai superare i fatidici
65 °C. Ci vuole pazienza e un po' d'abilità
per continuare con questo giochetto un'ora
intera. E anche per sgusciare l'uovo, alla fine,
occorre un po' di manualità e delicatezza:
non scordarti ti passarlo sotto l'acqua fredda
del rubinetto, per bloccare la cottura ma,
soprattutto, per non scottarti le dita. Il
risultato di tanta fatica, però, ti stupirà.
Come lo puoi gustare? Io l'ho provato su
fettine di asparagi bianchi, un po' di burro
fuso, del Parmigiano e un goccio d'aceto
balsamico: te l'ho mostrato nella pagina
precedente. Ma è fantastico sulle fondute di
formaggio oppure con il tartufo.
Da provare in una leggera zuppetta di frutti
di mare (possono bastare le sole vongole),
magari con qualche crostino.
Non hai che da sperimentare.
pagina –
28
il soffice gelo
Esiste un sistema molto più facile per
ottenere un grande risultato con un piccolo
tuorlo: congelarlo. L'idea è venuta a Dario
Bergamini, nel suo blog La scienza in cucina
(http://bit.ly/1Vnd6T5).
La sfida: trovare un impiego culinario per i
tuorli d'uovo congelati. Ma che cos'hanno di
tanto particolare? Facile: la congelazione li fa
restare crudi ma, una volta scongelati, sono
diventati più pastosi. La bassa temperatura,
insomma, opera una sorta di coagulazione
del tuorlo e lo rende più denso, cremoso e
viscoso, pur preservandolo crudo e senza
albume, a differenza di quanto capita con
l'uovo morbido.
Come fare? Davvero semplicissimo: io ho
usato dei pirottini di silicone, ho separato i
rossi dai bianchi (che ho usato per altre cose),
li ho ricoperti con una pellicola da cucina
e li ho ficcati in freezer. Dopo 3-4 ore sono
pronti per il consumo: basta scongelarli a
temperatura ambiente. Più si tengono in
freezer, più diventano sodi. Se superi la
settimana, si coagulano del tutto e sono più
difficili da usare. Ma basta aguzzare l'ingegno
e qualcosa si trova sempre, se si vuole.
sistema per friggere un tuorlo d'uovo
senza rischiare che ti squagli fra le dita:
una volta scongelato, puoi prenderlo
in mano delicatamente, ricoprirlo con
l'impanatura che preferisci e friggerlo
velocemente: fuori croccante, dentro
cremosissimo. Proprio come in questa
pagina, sopra un trono di asparagi verdi.
più compatto e concentrato. E più acqua
tolgo, più diventerà sodo. Ma come la
levo, tutta quest'acqua? Come da secoli
si elimina da altri alimenti deperibili:
con il sale. Se un trancio di merluzzo
fresco diventa un conservabilissimo
pezzo di baccalà grazie alla salatura,
probabilmente la medesima cosa capiterà
a un rosso d'uovo.
MARINATURA BREVE E LUNGA
Qui, nella foto sopra, vedi una carbonara
perfetta, vellutata pur senza panna, scaturita
dalla tecnica di Alessia Vicari, chef nota
soprattutto per le sue apparizioni su Gambero
Rosso Channel, che con questa ricetta ha
raccolto il guanto lanciato da Bergamini. Ma
puoi pensare a cose ancor più esaltanti: che
ne dici di un raviolone farcito proprio con
un tuorlo intero? Oppure, puoi usare questo
L'uovo marinato, lo sanno (quasi) tutti,
lo ha inventato Carlo Cracco. L'idea può
apparire scontata, una volta compresa,
ma farsela venire in mente è stato
davvero un colpo di genio.
Il tuorlo, che dell'uovo è la parte più
complessa e gustosa, è ricchissimo
d'acqua. Se la tolgo, ciò che rimane sarà
Allora prendi del sale grosso e dello
zucchero di canna, in egual misura, e
mescolali in una ciotola. Per le quantità,
vai pure a occhio: dipende da quanti
tuorli vuoi marinare. Io ti consiglio
di cominciare da tre, come direbbe la
buonanima di Massimo Troisi: in questo
modo, potrai sperimentare differenti
gradi di marinatura in un colpo solo.
D O M A N D E
E
R I S P O S T E
pagina –
• Posso fare un uovo morbido con un normale forno elettrico?
In teoria sì. In pratica, il forno si gestisce peggio di una pentola sul
Comincia con lo spargere uno strato di
sale e zucchero nel tuo recipiente di ceramica:
dovrai ricoprirne uniformemente il fondo.
Con le dita, sagoma tante buchette quanti
sono i tuoi tuorli: faranno un po' da nido.
Sguscia le uova, separa i rossi dai bianchi (li
userai per altro) e, con delicatezza, magari
aiutandoti con un cucchiaio, deponi ciascun
tuorlo nella sua buchetta/nido.
o come accompagnamento a piatti a base
di formaggio, come la classica fonduta
valdostana, tanto per dirne uno.
Se però spingi fino a una settimana
l'essiccazione dell'uovo, ecco che ti ritrovi
fra le mani qualcosa di davvero insolito: un
uovo da grattuggiare o da sminuzzare sui
tuoi piatti. Lo puoi provare su un risotto agli
asparagi, per esempio.
Ok, hai portato a termine il compito più
difficile. Da qui in avanti è una passeggiata.
Prendi il restante mix di sale e zucchero
e ricopri con delicatezza i tuorli, fino a
sommergerli completamente. Non ti resta che
attendere. Più le ore trascorrono, più il sale
e lo zucchero assorbiranno acqua dall'uovo e
più lo asciugheranno.
Se invece la marinatura arriva a 15 giorni
(ecco il perché dei tre tuorli), ottieni una
vera e propria "bottarga" d'uovo: l'acqua
sarà stata assorbita praticamente del tutto e
il tuorlo sarà duro, compattissimo. Provalo
sui primi piatti di pesce, per esempio, come
degli spaghettoni in bianco alla seppia o ai
totani, oppure su semplici tagliolini all'uovo,
magari affettandoci sopra del tartufo bianco e
rendendo il tutto ancor più goloso e prezioso.
Per avere "l'uovo alla Cracco" sono
sufficienti 3-4 ore: il sale e lo zucchero
avranno assorbito parecchia acqua e
l'uovo si sarà parzialmente coagulato.
Con un cucchiaio, quindi, rimuovilo con
delicatezza e sciacqualo nell'acqua fresca,
per eliminare l'eccesso di sale. In questa
forma, le uova marinate si conservano un
paio di giorni in frigorifero. Si possono usare
in molti modi, soprattutto nelle insalate
Ma, a questo punto, è il momento di
far entrare in campo la fantasia: hai fra
le mani il tuorlo grattugiabile di un uovo,
che puoi aggiungere come fosse formaggio
potenzialmente sopra qualsiasi pietanza,
facendo strabuzzare gli occhi a ogni tuo
commensale. Sorprendili con questa finta
bottarga che. . . non sa di pesce! T
fornello. Devi scaldarlo a 65 °C (e non è detto che sia semplice raggiungere
tale precisione), inserire una bacinella d'acqua alla medesima temperatura
(con dentro almeno un uovo) e sperare che tutto resti a 65 °C per un'ora,
controllando con un termometro a sonda. Quasi un terno al lotto.
• E SE USO UNA SLOW COOKER?
Le pentole slow cooker, molto spesso, non hanno termometri che indichino
la temperatura. Saresti costretto a usare un termometro a sonda piuttosto
preciso. Inoltre, mantengono in modo assai ballerino i gradi raggiunti,
che di solito superano di molto i 65 °C. E non c'è modo di intervenire.
Altro terno al lotto, insomma. Inutile: l'ideale sarebbe avere un bagno
termostatico. Se t'interessa, di slow cooker parlo a pagina 45.
• UN UOVO CONGELATO è anche pastorizzato?
No. La congelazione non pastorizza un bel nulla. Alcuni agenti patogeni
possono sopravvivere anni persino a bassissime temperature. Se usi tuorli
congelati, quindi, devi riservare loro le medesime precauzioni igieniche che
avresti con quelli freschi.
• quanto posso conservare un tuorlo congelato?
Anche sei mesi. Devi però tenere presente che più tempo trascorre nel
freezer, più perde acqua e diventa compatto e sodo.
• QUANTO DURA LA BOTTARGA D'UOVo?
Difficile stabilirlo con precisione. In teoria, parecchio tempo: dopo tutto, si
tratta di un alimento a cui è stata del tutto tolta l'acqua, lasciando soltanto
l'elemento secco, assai meno deperibile. Però un minimo di precauzione
ci vuole. Io conservo i tuorli interi in un barattolo di vetro in frigorifero
per non più di uno o due mesi, a scanso di rischi. Possono anche essere
congelati singolarmente: di sicuro durano molto di più.
29
WEB & FOOD
I 5
D E L
pagina –
30
E R R O R I I N F A M I
T U O S I T O
V U O I AFFOSSA RE L A TUA ATTI VI Tà S U INTERNET?
ALLO RA TAGL I ATI DA SOLO L E G A M BE CON QUESTE
T E RRIFICANTI CA Z Z ATE CH E TUTTi DOVREBBERO EVITARE
T
e l’hanno cantata in tutte le solfe: se non
sei su internet, non esisti. E allora tu, da
quel bravo panettiere, cuoco, personal chef,
maestra o maestro di cucina che sei, hai
pensato che fosse l’ora di creare un sito tutto
tuo, che ti presentasse al mondo. Che magari
ampliasse la tua ristretta cerchia di contatti,
che male non fa, vero? Anzi, diciamocela
tutta. Oggi far volantinaggio o chiedere
porta a porta se a qualcuno serve un cuoco a
domicilio o un corso di cucina, non è l’azione
più furba del mondo. Soprattutto se nel
frattempo campi con un altro lavoro.
L'idea del sito, quindi, ti conquista. Ti sei
guardato in giro e ti sei fatto qualche idea.
Hai visto ciò che ti piace e qualche amico ti
ha rivelato che farsi un blog è facile davvero.
Molto più semplice di quanto la gente
immagini. Oppure no?
Beh, lascia che te lo dica: oppure no.
Creare dal nulla il sito per la tua attività
non è la cosa più elementare del mondo. Ci
vuole lavoro, impegno e, soprattutto, occorre
svicolare dagli errori che potrebbero rovinare
la tua immagine, invece di sostenerla.
Scusa, che cosa hai detto? Il cugino del
cognato di un tuo amico afferma che non devi
credere a tutte le baggianate sul marketing
online che trovi un po’ dappertutto? Che
basta affidarsi a una delle tante eccellenti
piattaforme gratuite per risolvere la faccenda
in una o due ore al massimo? Benissimo.
Credi pure a lui, che magari neppure ce l’ha
un sito internet. Se invece ce l’ha, buttaci un
occhio per vedere quanto è affidabile la sua
opinione: se ha commesso almeno 2 dei 5
errori infami che ti sto per elencare,
NON SEGUIRE I SUOI CONSIGLI!
1. IL SITO è LA VETRINA
DELLA MIA ATTIVITà
Questo errore l’abbiamo fatto tutti, chi più chi
meno. Nel mazzo mi ci metto pure io, perché
anche il sottoscritto ha buttato via un bel po’
di tempo, prima di vedere la luce.
Ti faccio il quadro e dimmi se sbaglio: sei un
aspirante foodblogger, un novello cuoco a
domicilio, vuoi aprire o pubblicizzare la tua
scuola di cucina, vuoi far conoscere al mondo
il tuo ristorante privato e allora ti sei detto:
bene, mi faccio un sito dove dico due cose su
chi sono e che cosa faccio, un bell’indirizzo,
un numero di telefono e - mi voglio rovinare
- pure il link a una pagina su Facebook, che
non guasta mai. Che ci vuole? In fin dei conti,
sono due robe in croce. Dopo tutto, il sito mi
serve come vetrina, tanto per far capire che su
internet ci sono anch’io e che se vuoi cercarmi
con Google, mi trovi.
Ti faccio i miei complimenti, perché
sei davvero un omettino dell’Ottocento,
a pensarla così. Consolati, perché sei in
buona compagnia. Sai quanti amici ho che la
pensano come te? Quasi tutti. E se dici loro
che il giro del fumo non è quello, ti guardano
come se l’ingenuo fossi tu, che la fai difficile
difficile. Allora lascia che ti riveli un segreto
di Pulcinella: internet è una rete mondiale.
Significa che collega ogni giorno miliardi
di persone. Secondo te, perché proprio la
tua vetrina dovrebbe spiccare fra miliardi
TUTTE le immagini di questo servizio sono state rubate da http://someoneatethis.tumblr.com/.
Someone ate this significa "qualcuno lo ha mangiato..."
pagina –
31
M A
C H E
di altre? Eh, dirai tu, mica mi devono
trovare quelli di Nairobi o di Pechino.
Mi basta che mi scoprano quelli del
mio paesello. . . Beh, se il tuo paesello è
Milano, o Roma, o Napoli, o Bari, sei già
messo male. Stiamo parlando di centinaia
di migliaia di persone. Ripeto: perché
proprio la tua homepage dovrebbe
sbucare dal nulla? Perché tu dovresti
essere più bello di altri, ammesso e non
concesso che tu appaia davvero fra le
prime pagine di Google?
Scommetto che mi stavi rispondendo
così: «Sono uno chef davvero bravo e
uso materie di primissima qualità», «La
mia scuola di cucina è davvero condotta
bene», «Il mio ristorante privato è
l’unico a fare vera cucina del territorio»
e via dicendo. Guarda, ci credo. Credo
fermamente in tutto quanto mi dici di
te. Peccato che ci creda solo io. Nessun
potenziale cliente ha la possibilità di
saperlo, però. Anche perché il tuo sitovetrina, ammettiamolo, è identico a
tutti gli altri: una piccola presentazione,
qualche foto né bella né brutta (se va
bene), un indirizzo, un numero di
telefono. Più che una vetrina, sembra un
giorno di Quaresima.
«Ma l’importante è essere su
internet. . .». Che l’importante sia
partecipare vallo a raccontare a quelli
delle Olimpiadi. Se sei su internet per
C O S’ È ?
far numero, puoi anche lasciar perdere e
risparmiarti la fatica.
Non ti servirà a nulla.
Tu devi essere su internet per farti notare.
Se non ti fai notare, hai perso. Della tua
partecipazione non frega a nessuno.
E nessuno ti noterà mai, se il tuo sito
si limiterà a essere una vetrina, ossia
un grosso e anonimo biglietto da visita
virtuale che non attira nessuno, che non
incuriosirà nessuno.
Stampati in testa questa massima:
IL SITO È UNO SPECCHIO
Scrivitela su un post-it e appiccicatela
in bagno, così la vedi tutte le mattine.
Se vuoi che qualcuno s’interessi a te, il
tuo sito deve rispecchiarti. Deve essere
una tua estensione, un veicolo per
comunicare agli altri le tue passioni, i
tuoi interessi, la tua personalità, la tua
ricerca. Tutte quelle cose, insomma, che ti
rendono unico.
Non ho detto che sia facile. Ma questo è
l’obiettivo a cui devi mirare. E pensare
al tuo sito come a una semplice, onesta,
insignificante vetrina, simile a miliardi
di altre, non t’aiuta. Anzi, ti sputtana
subito. Se il tuo sito è come tutti gli
altri, anche tu sei come tutti gli altri. E
se sei come tutti gli altri, allora non sei
nessuno. Ricordatelo sempre: il sito è uno
specchio, non una vetrina.
pagina –
32
2. Un sito gratuito
basta e avanza
Questo infame errore è figlio del precedente.
Come vedrai, questi sbagli colossali sono tutti
incatenati fra loro, come i pezzi del domino:
parti con un mattone storto e tutta la torre
che costruirai la puoi fin d’ora regalare ai
pisani, così fanno il paio.
Certo, se pensi che il tuo sito, invece di
rispecchiare l’intera tua personalità, debba
esser solo un ipertrofico biglietto da visita,
allora prego, accomodati pure e inanella la
tua seconda, preziosissima cazzata per quella
collana di cazzate che presto userai come
collare del tuo fallimento. Con il quale potrai
buttarti a mare.
«Ma scusa», mi dirai, «io non ho un euro
e non so neppure se quest’attività mi porterà
mai un soldo. E tu sei qui a dirmi che non
dovrei approfittare delle risorse a costo zero
che riesco a procurarmi? Non mi proporrai
mica di spendere migliaia di euro con
un’agenzia, vero?».
No, non lo farei mai. Sia per quello che hai
appena detto e che è verissimo, sia perché
un’agenzia - ammesso e non concesso che
faccia un buon lavoro - non sarà mai in grado
di darti un sito che ti rispecchi davvero. E
poi ti chiederà sul serio un sacco di soldi.
Ma di quest’argomento parleremo un’altra
volta quando, fra le altre cose, ti rivelerò
come lavora il 98% delle agenzie e che cosa
ti propineranno per un sito da 1.500/1.700
euro. Ora mi limito a dirti che, se apri un sito
gratuito, commetti una cazzata.
Perché proprio una cazzata?
Perché le cazzate, quando le fai, non
te ne accorgi subito. Anzi, magari ti
sembrano una figata pazzesca, ti fanno
sentire furbo, intelligente, addirittura
accorto e prudente. «Guardali lì, tutti
quei cretini che buttano via tempo e
denaro per i loro siti. Io ho frugato due
minuti su internet e ho trovato chi me ne
regalava a manciate! E vuoi saperlo? In
un paio d’ore al massimo ho fatto e finito
il mio. Figo, non è vero?».
No, per nulla. Ma per il momento non
te ne accorgi. Lo dico per esperienza.
Già, perché questa è stata la mia seconda
cazzata (la prima è stata credere che il
sito sia una vetrina). Un giorno mi sono
distrattamente chinato e. . . zac! Eccoti la
cazzata che ti prende alle spalle proprio
quando non ci pensavi più!
Vuoi sapere in che modo mi sono
metaforicamente chinato, lasciando
del tutto indifese le terga? Quando mi
sono cercato su Google. Proprio così. Lo
ricordo come se fosse ieri.
Prima clicco “personal chef Varese”. . .
Toh, non ci sono. Ehi, ma sono già
arrivato a sfogliare fino alla ventesima
pagina e ancora non ci sono! Oddio,
forse ho preteso troppo. . . vediamo di
abbassare un po’ la cresta. Proviamo
“personal chef Cantello”, che è il paesello
dove abito io, giusto 3.000 anime a dir
tanto e voglio vedere se ci sono altri
cuochi a domicilio, fra di loro. Niente
neppure qui. Ma com’è possibile? Ok,
andiamo giù pesante: “Giorgio Giorgetti
pagina –
33
P R I M A R E G O L A : I L S I TO è I L T U O S P E C C H I O , NO N U NA V E T R I NA .
S E CO NDA R E G O L A : NO N M E NT I R E M A I , NE P P U R E A T E ST ES S O.
T E R Z A R E G O L A : FO R M A E CO NT E NU TO VA NNO D I PA R I PAS S O.
personal chef”. Se non appaio adesso. . .
ecco, appunto, non ci sono! Coooosa?
Non ci sono neppure con il mio nome e
cognome? Ma non ci credo!
volte meglio. Perché il nostro caro Google
almeno i siti di Blogger li rispetta: tutti gli
altri no. Magari perché Blogger è di sua
proprietà? Mah. . .
Credici, invece. E te lo dico io com’è
possibile. Te lo dico perché l’ho scoperto,
come hai letto, a mie spese: Google
snobba i siti gratuiti. Bada bene: non è
che non li indicizza, ossia non li legge
e non li mette fra le sue pagine. Però
pensa che sia roba di poco conto. Perché
sono gratuiti? No, perché sono sottositi.
Spesso sotto sotto sottositi. Hai presente
una scatola di pastina da 500 grammi?
Ecco, Google vede molto bene la scatola,
ma pensa che ogni singolo grano di
pastina non sia, dopo tutto, molto
importante. Se proprio non ha altro da
mettere in pagina, magari ti ci ficca pure,
foss’anche in decimillesima posizione.
Ma non è che ti considera poi tanto. . .
Torniamo a noi. Ora che hai visto
con i tuoi occhi, sarò un po’ più tecnico
e ti illustrerò a parole - dato che ormai
non ne esiste più traccia - com’era il
mio primo sito su Wix. Avevo scelto
Wix perché aveva siti più eleganti e
moderni degli altri. Inoltre, avevano
anche una caratteristica importante che
mi aveva convinto: sono siti responsive,
che nel gergo dei webmaster significa
“un modello in grado di adattarsi ai
dispositivi mobili”.
Sto mentendo? Ok, allora, se hai un
sito gratuito, vai su Google e provaci
tu stesso. Mettici pure il tuo nome e
cognome e la città in cui operi. Visto? E
pensa che il tuo eventuale (ora davvero
molto, ma molto eventuale) cliente non
ha il tuo nome e non sa neppure che sei
un personal chef o che hai una scuola di
cucina. Guarda un po’, va così male che,
se avevi un comunissimo blog di quelli
che ti apri in cinque minuti con Blogger
(noto anche come Blogspot), era cento
Una figata, insomma! Ed era gratis.
Ecco il mio link: giorgiogiorgetti.wix.
com/personalchefvarese. Che cos’ha che
non va, questo link? Che io SEMBRO
essere in primo piano, ma in realtà sono
stato sbattuto in un sottodominio di
un dominio immenso come quello di
Wix, che è come dire esser ficcato in un
sottoscala o, ancor meglio, esser grano di
pastina fra migliaia di altri granelli. La
colpa è tutta di quel “wix.” che annulla la
mia presenza e che mi pianta nella sua
batteria intensiva di polli d’allevamento,
tutti uguali, senza caratteristica di spicco
alcuna. Senza caratteristica di spicco per
Google, intendo, che non è proprio in
grado (anzi, diciamo che non ha tempo
pagina –
34
D I S G U S T A M I !
da perdere) di frugare fra tutti quei volatili
identici fra loro e starnazzanti. Per farla corta:
potevo metterci il mio nome e cognome,
il luogo dove lavoravo e, appunto, la mia
professione, ma non mi vedeva nessuno.
Ce ne sarebbero altri, di motivi, che
dovrebbero tenerti lontano dai siti gratuiti.
Ma non credi che questo basti e avanzi?
Capisci anche tu che, a questo punto, c’è una
cosa sola che puoi fare, mi dispiace: devi
rimboccarti le maniche e farti il sito da solo.
Difficile? Ni. Dipende. Ma questa è un’altra
storia e bella lunga. Ne parleremo in altri
momenti. Se mi segui sul blog, vedrai che il
modo per farlo esiste e può persino essere
appassionante.
3. LE IMMAGINI NON CONTANO.
CONTA LA QUALITà DEL CIBO
Se ragioni così e ne sei persino convinto,
non perdere più tempo. Molla qui l’articolo
e dedicati ad altro. Che so? Ad aprire un sito
gratuito, per esempio.
Guardiamoci negli occhi: io credo in te e
nella tua bravura. Per me sei il più grande
chef, insegnante di cucina, foodblogger,
ristoratore, pasticciere, fornaio del mondo.
Te lo sto dicendo con sincerità e con tutto
il cuore. Ma, come ti ho detto prima, sono
l’unico ad avere in te una fiducia così cieca.
Sono la tua dannatissima cieca fortuna. Tutti
gli altri invece ci vedono benissimo, come la
sfiga. E vedono le foto che metti sul tuo sito.
Foto di merda, cibo di merda: un’equazione
pagina –
35
che abbatte ogni eufemismo. Su Pinterest, su
Instagram e su Facebook esistono pagine e
pagine che collezionano le foto più ributtanti
prese proprio da siti di chef, di foodblogger,
di appassionati che, come te, s’illudono che
le immagini non abbiano alcun peso, in
confronto alla qualità dei loro manicaretti.
E questo è un ragionar da stupidi: poiché
nessuno può condividere in rete profumi
e sapori, gli occhi restano l’unica porta
dell’appetito, oltre che dell’anima.
No, quello che ti propongo è di curare le
immagini che fai tu. Di guardarle con occhio
critico e, se fanno schifo, di non pubblicarle.
Ora, può capitare che tu faccia parte di quella
rarissima selezione di esseri umani che
ritengono perfetta e innamorante qualsiasi
cosa da loro prodotta, cacca compresa. Però
ne dubito, ne dubito fortemente assai.
E se io vedo una foto ripugnante, sento
che anche il cibo è ripugnante. Non si scappa.
Se pensi il contrario, sei un illuso e un
ingenuo. Perché tu, come essere umano, sei
attratto dal bello, dal fresco, dal pulito. Infatti,
non ricordo una pubblicità del Cornetto
Algida in cui frotte di nonnine con treppiede
zampettano come tacchine zoppe su una
spiaggia assolata. . . Non la ricordo perché non
l’hanno fatta e non la faranno mai! Indovina
perché? Prova sul campo: stai notando le foto
di quest'articolo? Non ti disgustano? Non ti
stanno rendendo addirittura difficile seguire
il discorso? Bene, ho detto tutto. . .
Il primo: le immagini non contano,
conta la qualità del cibo (già sentito?).
Perciò, quando mostri una foto immonda,
che grida vendetta al cospetto di dio e degli
uomini, mostri un Cornetto Algida azzannato
da una geriatrica dentiera. Fa schifo la
dentiera, fa schifo il gelato. «Senti, amico»
dirai «avrai anche tutte le ragioni del mondo,
ma io faccio il cuoco, mica il fotografo. O
mi stai dicendo che dovrei cercarmene
uno? I soldi me li dai tu, vero?». Beh, certo,
se tu avessi al tuo seguito un fotografo
professionista non sarebbe male. Ma
immagino che non tutti siano così fortunati,
La verità è che tu pubblichi foto ripugnanti
per questi quattro veri motivi:
Il secondo: meglio di così non le so
fare. Non sono un fotografo.
Il terzo: le gente che ha mangiato
questo piatto l’ha adorato, mica sono
stati a vedere se era bello o brutto.
Il quarto: sì, adesso devo preoccuparmi
anche delle immagini?
Il primo pensiero è un errore infame. Te
l’ho già rivelato. Se in testa ti circolano cose
come il terzo pensiero, allora sei scemo.
Scusami, sai, ma è inutile girarci tanto
attorno. Dimmi come fa uno sconosciuto su
internet ad assaggiare per davvero un tuo
piatto. Se me lo dici e mi convinci, allora lo
scemo sono io.
Il secondo pensiero è lecito. Se hai fatto
solo quello, sei sulla buona strada. Perché hai
ragione: non sei un fotografo professionista
e neppure puoi pagartene uno. Aspetta, cosa
stai dicendo? Sì, bravo, mi hai anticipato:
devi imparare a fare da te foto migliori.
pagina –
36
Impossibile? Assolutamente no. Basta
un po’ di autocritica, qualche attrezzo
giusto e buona volontà.
Non ti prometto che diventerai
il genio della fotocamera, ma scatti
decenti ne tirerai fuori, vai tranquillo.
Il quarto pensiero è. . . ok, è umano.
L’ho fatto anch’io, prima di prendere
in mano la mia reflex e di convincermi
che dovevo lavorare per raggiungere un
risultato. Puoi farlo, questo pensiero,
ma per cinque minuti. Poi rimboccati le
maniche e vai a fotografare!
Questo discorso delle foto mi porta al
quarto, inverecondo, vergognosissimo
e infame errore. . . Così infame che, ogni
volta, non credo che a qualcuno venga
in mente di farlo. . . E invece. . .
4. FOTO BELLE, MA
NON DEI MIEI PIATTI
Attenzione, attenzione, perché lo dico
subito per non essere frainteso poi: qui non
ti parlerò di chi ruba foto dai siti altrui,
spacciandole per proprie. Quello non è
un errore, è stupidità. E la stupidità sarà
argomento di altri articoli. Qui esamino
soltanto le cazzate: quelle azioni che paiono
furbe lì per lì (e lecite, e oneste), ma che poi
si rivelano armi a doppio taglio, capaci di
affossare tutti i nostri sforzi.
Quindi, ti parlo di chi usa foto
professionali che non hanno nulla a che
vedere con le proprie realizzazioni, pur
facendo finta di sì. Questo far finta, di
solito, significa non dire nulla, tacere.
Tanto, chi vuoi che abbia il coraggio di
fartelo notare. . .
pagina –
37
Di solito capita così: quando ho aperto il
mio sito (gratuito), vi ho trovato incluse
parecchie belle immagini. Le tengo: sono
graziose, fanno scena e attirano i potenziali
clienti. Che male c’è se non illustrano proprio
i miei piatti? Oppure: internet è pieno di
posti dove regalano foto molto ben fatte, non
infrangi nessun copyright e le puoi usare
liberamente. E sono meglio di qualsiasi cosa
io possa scattare. . . Bello, vero?
Bello, sì. Però è una cazzata. Ormai sai
che cosa intendo per cazzata: quell’idea che
sembra furba ma, quando meno te l’aspetti,
t’aggredisce con tutta la sua violenza
enteroclismatica. Ti racconto questa: un
giorno vedo sul sito di cucina di un mio
conoscente una bellissima foto di patate
soffiate. Per chi non sapesse che cosa sono,
pensi a una fettina di patata fritta che, invece
di essere modello Pai o San Carlo, è molto più
scenograficamente gonfia.
Niente di trascendentale, per carità, ma
io non le avevo mai fatte e, tra la bellezza
della foto (ignoravo che il mio amico fosse
così abile) e la ricetta che non avevo mai
sperimentato, mi erano rimaste in mente. Un
giorno capita che ci sentiamo al telefono e
mi tornano in mente le patate. «Ma le patate
soffiate ti sono venute al primo colpo?», dico.
U N
B U O N
D E N T I F R I C I O
è
S E M P R E
U T I L E,
P R I M A
O
P O I
«Ma per patate soffiate intendi quelle sottili
sottili che si gonfiano?» «Sì, quelle. . .» e stavo
per dire «quelle che ho visto sul tuo sito». Ma
lui mi precede: «Mai fatte le patate soffiate,
non saprei neppure dove cominciare».
Mettiamo che ti capiti con un cliente, che
dici? Oppure, hai sul tuo sito immagini di
piatti alla food design, mentre tu a malapena
sai usare il coppapasta. E il cliente che pensa:
ma allora quelle foto non sono sue! Già, non
sono tue. Certo, se pensi che il tuo sito sia
una vetrina, allora il tuo ragionamento va
bene. Peccato che il tuo sito sia uno specchio
che, agli occhi del mondo, riflette la tua
personalità. Perché è questo il peccato più
grave: basi su una menzogna il tuo rapporto
con il cliente. E non ha senso: è come se su
Facebook mettissi la foto di Robert Redford da
giovane e la spacciassi per tua. Non scherzo,
è la medesima cosa. Se menti, appariranno
menzogne. E le menzogne hanno le gambe
corte, soprattutto in cucina.
Ma a proposito di bugie. . .
5. I miei testimonial?
Solo modelle, of course
Lo so che non ci credi, ma ti scongiuro di
farlo. L’ho visto, con i miei occhi: c’è chi usa
pagina –
38
immagini di fighi e fighe raccattate da
internet per testimoniare la bontà della
sua cucina. Sì, proprio così! Tanto, chi
vuoi che se ne accorga, pensa la volpe?
Oh, certo, sappiamo tutti che, ovunque tu
vada, lavori sempre e soltanto per manzi
e puledre di prim’ordine!
E ci crediamo, tranquillo. Oh, se
ci crediamo! Ora: se mi hai combinato
un’assurdità di questo tipo, tu hai
davvero qualcosa che non va e devi farti
un profondo esame di coscienza. Oppure
rivolgerti a uno specialista, perché tanto
normale non sei.
Continuo a dirti che il tuo sito
è il tuo specchio e tu menti così
spudoratamente? Ma chi potrebbe
mai prenderti sul serio, se ti abbassi a
queste cose? O forse pensi che la gente
sia scema? Fantastico: in un colpo solo
hai mentito e dato dello stupido al tuo
potenziale cliente. Sei un genio del web
marketing: presto, offrite un Nobel a
questo diversamente astuto!
A parte gli scherzi: se menti, ti tagli
le gambe da solo. Sempre. Il brutto di
queste cose, però, è che non sai quando
ti fregheranno. Magari da subito, perché
nessuno prenderà mai sul serio un
poveretto che fa queste cose. Oppure un
giorno, davanti a un cliente.
Eppure c’è chi lo fa, con effetti a volte
talmente ridicoli, che non si capisce se è
autoironico o imbecille. Come quello che,
sotto foto di cotanto quarto di bue, scrive
(giuro che è vero, potessi morire in questo
istante): “con lo chef Tal dei Tali la mia
ragazza ha finalmente provato l’orgasmo
culinario!”.
Non hai testimonial? Ok, non li hai.
Punto e basta. Magari sei alle prime armi,
magari non ti ha ancora filato nessuno.
Non è un crimine. Succede. Ma mettere la
foto di una modella non solleverà le sorti
della tua immagine: passerai soltanto
come uno che non ha rispetto di sé e degli
altri. E, soprattutto, insinuerai il sospetto
che - finto il testimonial - forse è finto
anche tutto il resto. Eppoi, se ci pensi
bene, dei testimonial veri ce li hai, non
hai bisogno di cercarli fra le riviste di
moda. Dove sono? Ma i tuoi amici e i tuoi
parenti, e chi se no? Vuoi dire che non
hai mai cucinato per loro? O insegnato
una ricetta? Quelli sono i tuoi più veri
testimoni, possono giurare davanti al
mondo che pensano di te tutto il bene
possibile e, soprattutto, belli o brutti che
siano, avranno facce e corpi normali.
Saranno credibili. Saranno veri.
Perché è questo che devi mostrare sul tuo
sito: verità, realtà. Anche e soprattutto
quando è difficile. La verità potrà anche
essere scomoda, ma cadrai sempre in
piedi. Con la menzogna, invece, fai pochi
passi. Sempre.
Ecco, questi sono gli errori che,
appena li compi, t’infamano subito. E
sai perché? Perché sono tutti figli di una
pessima madre: il mio sito è la vetrina
della mia attività. Non è così. Il tuo sito è
lo specchio in cui ti rifletti e attraverso il
quale t’osservano gli altri. Se il tuo sito è
simile a quello di tanti altri, sei solo uno
dei tanti. Se è pieno di menzogne, sei solo
un bugiardo; se è sciatto, allora sei sciatto
in tutto. Il sito sei tu. Deve essere te.
Pensaci: è l’unico modo che hai per farti
conoscere davvero, per distinguerti dagli
altri. Cosa non facile, ne convengo. Ma
non impossibile. Prendere coscienza di
questi cinque errori (ed evitarli o tentare
di correggerli) è il primo passo.
Il prossimo seguirà. T
BICCHIERI & BOTTIGLIE
pagina –
39
quando
la
s tagio ne
V I N I
D I
P R I M A V E R A
L
a primavera è una buona stagione per
bere vino. Cambia la cucina, che si fa più
leggera, essenziale, fresca. Restano in cantina
i rossi importanti, si stappano le bottiglie più
spensierate. Il cibo e il vino si uniscono in
matrimoni poco formali. I bicchieri invitano
più alla compagnia che alla meditazione;
gli incontri romantici si sprecano, si
moltiplicano, perché più che promesse eterne,
in primavera sbocciano flirt, avventure,
temerarità, provocazioni, scappatelle.
Sarà quindi per colpa di tutto questo
pizzicorino che ci elettrifica la pelle e il
cuore, che per me la primavera è soprattutto
la stagione delle bollicine. Stanno bene con
quasi ogni piatto di questi mesi e scuse per
non berne a tutto pasto non esistono proprio.
Bollicine nobili, come quelle del Metodo
Classico, oppure più popolari e schiette, come
quelle degli spumanti Metodo Charmat, a me
piacciono entrambe, le amo sempre.
E così mi metto a parlarne subito subito,
per qualche riga. . . .
BOLLICINE
Il Metodo Classico, lo sai, è quello dello
Champagne, che in Francia chiamano Metodo
Champenoise. È il medesimo modo con cui
si fanno i grandi spumanti italiani, quelli del
Trentino, quelli della Franciacorta, tanto per
stare sui notissimi. Non te lo spiego, tanto
non t’interessa e poi c’è Wikipedia. Ti basti
sapere che il suo trucco è di far fermentare
il vino, già fermentato una prima volta, per
una seconda volta dentro la bottiglia. Basta
buttarvi dentro altri lieviti e qualcosa che li
sfami: il frutto di quest’operazione è un vino
elegante, profumato di pane e di brioche.
I suoi profumi floreali e fruttati sono stati
tirati a lucido, come in un vestito d’alta moda.
Fai un po’ fatica a riconoscerli, tanto sono
luminosi ed affilati, ma quando li carpisci non
vorresti smettere di goderne.
Il Metodo Charmat usa invece strumenti
più moderni. È il metodo, ma lo sai, con cui si
chiama
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40
crea il Prosecco. Anche qui il vino
fermenta due volte: non in una bottiglia,
però, ma in una grande autoclave. Qui
nascono vini prêt-à-porter, più giovani
dei precedenti, magari meno sofisticati
ed eleganti, ma carichi di profumi
primaverili che riconosci subito, che ti
frizzano sul palato, ti corrono su per il
naso e per la schiena.
Se vuoi giocare, questi sono i vini che in
primavera aiutano i tuoi flirt a prendere
pieghe spensierate.
Abbinamenti: nella stagione degli
amori, tutto è lecito. Ti dico dove le
bollicine non mi piacciono: sui formaggi,
tutti. Quelli stagionati e quelli freschi.
Trovo che gli spumanti esaltino troppo
le loro caratteristiche più dure (l’acidità,
la piccantezza, la sapidità) e li rendano
fastidiosi. Ma tu, se sei in vena di
trasgressioni, fai pure. La stagione è bella
per questo. Molti adorano il Parmigiano
con gli spumanti, io no. Ma è questione di
gusto, non ti detto legge.
Vogliamo andare sul figo? Spumante
Metodo Classico sempre la sera, come
una petite robe noire, qualunque cosa
tu serva, dall’aperitivo al secondo
piatto, magari una carne non troppo
impegnativa con una salsa leggera e
bianca, che non sfigura mai.
Dove mi piacciono: sul pesce, sulle
carni bianche. Banale? Non ti do torto,
ma è così, non è che posso mettermi a
inventare gli innamoramenti per far
l’originale. Un economico Prosecco lo puoi
bere con gusto anche su un’insalata molto
informale se, oltre all’olio extravergine
d’oliva che iddio comanda, ci metti
qualche proteina un po’ “grassa”, tipo
tonno, tipo sgombro, tipo uova sode.
Per le bevute in compagnia,
informali, spensierate, una
bottiglia di minor impegno ma
profumatissima va benissimo.
Bollicine sì, ma niente Metodo
Classico. . . Come lo capisci? Dal
fatto che, sull’etichetta, c’è sempre
scritto Metodo Classico, mentre sulle
bollicine made in Charmat non c’è
scritto nulla in proposito.
BIANCHI E PROFUMATI,
pieni zeppi di fiori
La primavera, come l’estate, è la
stagione dei vini bianchi. Sono buoni,
belli e bravi tutti, ma proprio tutti, e
non c’è periodo migliore dell’anno
per scoprirne di nuovi, di mai
assaggiati. Quando li voglio abbinare
un po’ alla cieca, senza seguire nessun
metodo ma soltanto un po’ l’istinto,
uso un sistema davvero grossolano
e folle, ma che trovo funzioni più di
quanto s'immagini: metto i bianchi
del Nord accanto alle carni bianche,
quelli del Centro (tra Emilia Romagna
e Lazio comprese) sui primi piatti e
sul pesce quelli del Sud. Lo so, ci sono
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LA PRIMAVERA è LA STAGIONE DELL'ISTINTO, ANCHE NELLA
SCELTA DEI VINI. SEGUI LA TUA ISPIRAZIONE E LASCIATI
INCANTARE DA COLORI, PROFUMI E FRESCHI SAPORI
in questo momento centinaia di sommelier
buonanima che si rivoltano nella tomba e
altrettanti vivi e vegeti che fanno harakiri.
Eppure funziona ed è una buona bussola per
risolvere un pranzo o una cena, se di vino non
mastichi proprio nulla.
Primavera uguale vini bianchi e siamo
d’accordo. Vini bianchi tutti, ma non è che
qualcuno spicca? Ok, trattieniti, sto per
dirlo: per me i veri vini della primavera sono
i bianchi aromatici. Beh, dirai, ma tutti i
vini profumano. Sì, però, adesso ti racconto
questo: ci sono vini fatti con acini talmente
profumati che, anche dopo la fermentazione e
l’affinamento in botte e bottiglia, continuano
a emanare i medesimi profumi. Quali?
Di solito sono vini dolci, come il Moscato
d’Asti, il Brachetto d’Acqui, qualche Malvasia
(dolce), ma ne esiste almeno uno che è tra i
principi dei secchi: il Traminer aromatico,
che in tedesco è Gewürztraminer. Ora, non
è che questi vini sappiano per forza d’acino
d’uva. Sanno di acino d’uva complesso, ossia
ricco di sentori vegetali molto riconoscibili e
caratteristici. Il moscato, per esempio, non sa
soltanto d’uva, ma anche di rosa, di salvia, di
frutta bianca. Alcune malvasie, come quella
di Castelnuovo don Bosco, sanno di rosa
canina e di lampone. E il Traminer aromatico
sa spesso di frutta esotica, come il litchi, di
pesca. . . Ecco, a me il Gewürztraminer fa
sempre venire in mente la primavera.
Con che cosa lo gusto? Io lo amo sui frutti
di mare e sui crostacei. Secondo me, sull’astice
è insuperabile. Un piatto di gamberoni al
lardo e una bottiglia di Traminer possono
facilitare qualsiasi conquista. Se ti capita in
mano un esemplare in cui avverti spiccata la
dolcezza, provalo su piatti dolci e forti come
i tradizionali tortelli di zucca mantovani,
oppure alcune preparazioni etniche ricche di
spezie calde, ma non eccessivamente piccanti.
Altri bianchi primaverili? Quelli
semiaromatici. Che cosa sono? Sono un po’
i cugini dei vini aromatici. L’acino del loro
vitigno, a differenza dei primi, non ha grandi
aromi. Sa d’uva, appunto. Non è un acino
dai profumi complessi come potrebbe esser
quello di un moscato o di un traminer. Però
a questi acini, quando sono pestati e rotti
e messi a fermentare, succede un piccolo
miracolo: si spezzano le cellette in cui erano
racchiusi aromi molto ma molto caratteristici
che, a contatto con l’aria, reagiscono e si
evolvono in profumi molto eccitanti. Te ne
dico tre: il Sauvignon, il Sylvaner e, guarda
caso, il Prosecco di cui abbiamo parlato
prima. Capisci ora perché è meglio usare il
metodo Charmat per quest’ultimo, sapendo
che questo sistema amplifica i profumi che
nascono dall’acino?
I profumi di questi vini sono sempre
freschissimi e sanno sempre di brezza.
Abbinarli senza sbagliare? Pesce, pesce,
pesce, dai primi ai secondi, in tutti i modi.
E più il pesce è cucinato semplicemente, più
gradirai i profumi del vino.
Ah, dimenticavo, anche se è ormai sulla bocca
di tutti: sembra che tra Sauvignon e asparagi
ci sia in corso un amorazzo che si ripete a ogni
buona stagione. . .
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42
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ROS S I COM E U N A RISATA
Qui lo dico e qui l’annego (in un
bicchiere): per me i rossi della
primavera son quelli dell’Emilia.
Poi pensala come ti pare.
Il Lambrusco, per esempio, mi fa
venire in mente la natura che torna
in pista e nel bicchiere mi pare una
risata di gioia. Io credo che gli emiliani
l’abbiano inventato apposta così,
pensando alle risa, alle conversazioni
a voce troppo alta e festosa, al liscio
suonato sull’aia, alla gente che balla e
s’abbraccia. I rossi frizzanti, insomma,
danno gioia, punto e basta. E chi non
li ama, mi perdoni, sotto sotto ha
qualcosa che non va, una propensione
alla musoneria e al pessimismo che
sarebbe meglio lasciare all’inverno.
Ma non c’è soltanto l’Emilia che fa
dei buoni vini rossi e frizzanti. C’è
l’Oltrepò Pavese, con i suoi Bonarda,
Barbera, Sangue di Giuda, Buttafuoco;
c’è un vino marchigiano che è una festa,
la Vernaccia di Serrapetrona. Scoprili e
diventeranno tuoi amici.
Con chi vuoi farli accoppiare? Con
quasi tutto quello che vuoi. Lascia stare
le cose eleganti, tipo il pesce che qui
proprio non c’entra. Bevili su qualcosa
di altrettanto compagnone: taglieri
di salumi e formaggi, gnocco fritto,
crescentine e tigelle, piadine, pasta
pasticciata, tortelloni di tutti i tipi.
Bevili quando senti il bisogno di piatti
più pesanti, di quelli che fanno tavolata, e
non ti tradiranno mai.
E se le bollicine rosse proprio non ti vanno?
Va bene, hai vinto: ecco il consiglio che fa
per te. Bevi un vino fatto con uva schiava.
Sì, hai capito bene e non è neppure una
rarità: lo sono alcuni noti ed eccellenti vini
del Trentino Alto Adige. Il Lago di Caldaro,
primo fra i primi.
Lo puoi trovare anche con il nome tedesco,
Kaltererseen. Poi il Santa Maddalena, nei
pressi di Bolzano.
Poi, puoi provare qualcosa di diverso,
magari spostandoti in Veneto per gustarti
un Valpolicella, scelto fra quelli meno
alcolici, meno robusti. Ecco, il Valpolicella
è il vino a tutto pasto che ti salva la serata,
Un altro vino, questa volta piemontese:
il Ruché di Castagnole Monferrato, non
sempre molto semplice da trovare.
I M ES I D E L L E ROS E
Ok, adesso ti svelo una delle mie
debolezze: i vini rosati. Mi piacerebbe
che lo divenissero anche per te. Un
motivo c’è: il vino rosato è un vino
versatile, tanto da accompagnare
piatti semplici ma saporiti come
dovrebbero esser quelli primaverili,
senza essere al tempo stesso troppo
impegnativo, troppo “caldo” insomma.
Molta gente non li sopporta, perché
ancora transita dalle parti del “né
carne, né pesce”, non sono bianchi,
non sono rossi. Ma è proprio questo
il loro bello: la loro doppia identità,
come quella di un supereroe, li rende
insuperabili in moltissime occasioni.
Quando sei indeciso, quando un bianco
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non ti basta, ma un rosso sarebbe troppo,
eccoti arrivare la soluzione: un rosato che,
diciamolo, è anche bellissimo da vedere.
In Italia, i rosati più interessanti si trovano,
per tradizione, in Puglia. E te li consiglio
tutti. Per fortuna, però, l’amore per questo
vino è aumentato con gli anni e anche altre
regioni hanno cominciato a produrlo, con
sorprese che t’invito a scoprire da solo,
provando le varie bottiglie.
Con che cosa li abbini? Io li amo con i
secondi di carne bianca, in bianco, anche
con salse e maionesi, ma la morte loro è
senza dubbio sulle grandi zuppe e brodetti
di pesce della nostra tradizione: in questo
campo, sono insuperabili. Mi piacciono
anche sui primi un po’ grossolani: non
parlo per forza dei pasticci di lasagne alla
bolognese, che magari amerebbero di più un
Lambrusco, ma su quelle paste al forno con
verdure varie e besciamella, pesto di basilico
e così via. . . Quelle teglie che, insomma,
fanno primavera ma non ancora estate e
non più inverno.
Ok, ci siamo capiti: se vuoi far centro in
primavera, anche senza sapere nulla di vini,
la guida agile e breve per niubbi è questa
qui. Gli esperimenti e le scoperte, invece,
saranno a carico tuo. Ma sarà un peso
davvero dolce da portare! T
STRUMENTI
L A
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45
P E N T O L A
F À M O L O
S L O W
L E N T O
L
a slow cooker è una pentola elettrica che
fatica ancora un po’ a trovare una giusta
collocazione nelle cucine italiane. Gira che
ti rigira, pare ancora qualcosa che solo gli
americani. In realtà, i suoi punti di forza sono
parecchi. Il primo, non da poco, è che spesso
è il primo passo per far pratica con la cucina
a fuoco lento. Non è un caso se si chiama così.
Qualcuno dice o pensa che sia anche il primo
passo per cuocere a bassa temperatura ma, te
lo spiegherò fra qualche riga, non è proprio
vero. Voglio però cominciare dandoti qualche
pensiero spicciolo sulla cottura in genere,
senza troppi termini tecnici che potrebbero
non interessarti affatto.
Prendi lo spezzatino. Mai fatto un
comunissimo spezzatino di carne con le
patate? Bene. Di solito, i tagli che si usano per
C O O K E R
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46
T U T T I I S E G R E T I P E R R I S CO P R I R E I L FAS C I NO D E L L A COT T U RA
L E NTA E FA R R I V I V E R E I G RA ND I C L AS S I C I D E L L A NOST RA P I ù
FA M I L I A R E T RA D I Z I O NE C U C I NA R I A
fare questo piatto non sono un granché.
Ci sono macellerie che li preparano
apposta scegliendoli fra i meno pregiati
in assoluto e va benissimo così, perché
sono quelli che ci vogliono.
Ora, se cuoci il tuo spezzatino a una
temperatura parecchio alta, superiore
ai 100 °C, se insomma alzi un po’ troppo
il gas per far prima a cuocere, noterai
che i cubetti di carne si restringono,
rattrappendosi. La carne, per quanto
cotta, è dura, stopposa e dà ben poche
soddisfazioni. Perché? Perché l’alta
temperatura ha fatto indurire le fibre
muscolari, quasi le avesse contratte come
molle in una morsa.
“Ma tutte le ricette dicono di rosolare
per bene i bocconcini di carne. E come
la rosoli, la carne, se la padella non è
ben calda?”. Dici bene. Rosolare è quasi
indispensabile, in casi come questi. Se
però, finita la rosolatura, non abbassi la
fiamma di molto e non attendi il tempo
necessario per cuocere con lentezza, le
fibre muscolari che si erano contratte
con la rosolatura non riusciranno mai a
distendersi. E mangerai uno spezzatino
con i crampi.
Se ci pensi, la medesima cosa accade
con il bollito. Di solito, credendo di
far bene, agiamo così: in una pentola
capace, abbiamo portato l’acqua a
100 °C, abbiamo messo la carne e a
tale temperatura (grado più, grado
meno) l’abbiamo mantenuta fino a
cottura. Lo scopo era buono: volevamo
imprigionarne i succhi e gli umori per
non diluirli nell’acqua e, sopratutto,
desideravamo cuocere i grasselli, cosa
che succede soltanto se la temperatura di
cottura supera i 60 °C.
Però, lo ammetterai, il risultato è un
compromesso, più che un vero successo:
il nostro lesso è cotto, è saporito, ha
grasselli morbidi e vellutati, gustosissimi,
ma è al tempo stesso asciutto, contratto,
non proprio il massimo della digeribilità.
Non per nulla, la tradizione ha sempre
accompagnato il bollito misto con salse
che aggiungono umidità della carne e
che stimolano i succhi gastrici: pensa
alla salsa verde, ai bagnet di vario colore,
alle mostarde, alle senapi e così via. Non
è un caso, quindi, e non è una semplice
questione di gusto: il lesso, anche il
migliore, è sempre un compromesso fra
gusto e fibrosità. Un compromesso che
occorre correggere con un aiuto esterno:
le salse, appunto.
Ma non c’è modo di avere la botte
piena e la moglie ubriaca? In teoria,
sì: basterebbe che la temperatura a cui
cuoce la carne superasse i 60 °C, ma non
oltrepassasse i 70-75. Dopo i 75 °C, infatti,
le fibre si accorciano, la polpa si contrae,
diventa più compatta e, ammettiamolo, è
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persino brutta da vedere, con quel colorito
grigiastro tipico del bollito.
Detto questo, ti attenderai che ti riveli
il miracolo della slow cooker: stai a vedere
che questa pentola riesce a controllare
la temperatura? No, per nulla. Però fa
una cosa davvero interessante: scalda il
cibo con estrema lentezza, più di quanto
tu potresti ottenere ponendola sul più
piccolo fornello che possiedi.
Il vero miracolo della slow cooker (se
così non fosse, l’avrebbero chiamata in
un altro modo) è proprio il tempo. Calore
che si diffonde per ore e che non provoca
choc termici alla carne, per esempio,
dando alle fibre muscolari la possibilità
di distendersi e di ammorbidirsi. Inoltre,
la temperatura non è così bassa come si
pensa, e lo vedremo fra un attimo: è più
che sufficiente per i nostri scopi, quali
ammorbidire un trancio di carne grassa.
Ma, prima di addentrarci nei dettagli
più interessanti, diamo un po’ un’occhiata
allo strumento.
CARATTERISTICHE
La pentola slow cooker è figlia un po’
meticcia dei bollitori elettrici per il riso
che, mi racconta Wikipedia, nacquero
in Giappone verso il 1950. E che in
Giappone qualcuno s’inventasse una
pentola elettrica per cuocere il riso ci sta
tutta, direi. Da lì alla slow cooker il passo
deve esser stato breve: in fin dei conti,
bastava sostituire il riso con qualsiasi
altra cosa. Il suo funzionamento è
addirittura elementare. Di solito i
modelli base (quelli che ti consiglio
di acquistare) hanno una semplice
manopola con quattro posizioni:
spento, bassa temperatura (1 o
Low), alta temperatura (2 o High)
e mantenere al caldo. Niente timer.
Se proprio vuoi, ne puoi acquistare
uno a parte per pochi euro. Ma,
personalmente, ti consiglio di lasciar
perdere: è inutile.
La comprensione del tutto è
istintiva: spento è spento, bassa
temperatura significa che la pentola
cuoce a bassa temperatura, alta
temperatura cuoce come una normale
pentola sul fornello e la funzione
mantenere al caldo tiene in caldo la
pietanza finché non spegni.
Come è fatta: una pesante teglia
di ceramica è collocata in un
rivestimento di alluminio, lo stesso
che ospita comandi e fili elettrici.
Gli ingredienti vanno sempre nel
recipiente di ceramica. Lo sottolineo
perché ho scoperto che c’è gente che
non lo sa e cerca disperatamente di
cuocere nel rivestimento d’alluminio.
Sì, esistono persone così, non
m’invento mai nulla. Alla fine, copri
con il coperchio in dotazione.
Come funziona: si gira la manopola
sulla posizione desiderata, di solito
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la prima, quella della bassa temperatura. Ma
anche la seconda posizione ha il suo perché.
La prima slow cooker fu inventata nel 1970
e commercializzata l’anno dopo negli Stati
Uniti con il marchio Crock-Pot, tuttora leader
del settore. Ne esistono di eccellenti anche di
altrie marche, naturalmente. La mia, la vedi
nelle foto, è di Russell Hobbs ed è anch’essa un
classico, ma ne esistono versioni Electrolux,
Kenwood e così via: poiché l’apparecchio
è tecnicamente molto semplice, è difficile
prendere una bidonata. Il prezzo dipende dal
volume: di solito siamo sui 45 euro per una
pentola da 2,5 litri (perfetta per due persone)
ai 70 per i 3,5 litri (famiglia nucleare di due
adulti e due ragazzini) e ai quasi 90 per 4,7
litri (per 5 persone adulte), per lo meno
rimanendo fra le marche leader.
Quanta elettricità consuma? Poca,
davvero poca. Il motivo è semplice: tu
consumi molta energia elettrica quando devi
portare il più velocemente possibile una
resistenza alla massima temperatura che
può raggiungere. Per questo motivo i ferri
da stiro sono così esosi, D’altra parte, un
ferro da stiro che impiega ore a scaldarsi non
avrebbe molto senso. L’attesa di ore e ore ha
invece senso e ragione in una pentola che,
guarda caso, si chiama slow cooker. Proprio
per questo motivo, la resistenza elettrica si
scalda con enorme lentezza e, raggiunto un
certo limite, si ferma. Fai quindi conto che
questa pentola consumi più o meno come una
vecchia lampadina a incandescenza. Il costo,
insomma, è accettabile, a fronte dei benefici.
Ma c’è di più: questo apparecchio è anche
molto sicuro proprio perché così elementare.
Se lo tieni accesa tutta la notte, non rischi la
vita come potrebbe capitare con una padella
su un fornello acceso. Il peggio che può
succedere è che un corto circuito tolga la
corrente alla tua abitazione.
Quali temperature raggiunge? E in
quanto tempo? Su quest’argomento c’è
parecchia ritrosia, anche in Rete, quasi fosse
un segreto di Fatima.
C U O C I L I
C O S ì
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49
C A R N E
P O L L A M E
P E S C E
Metti la slow cooker sulla posizione 2 o High e lascia scaldare
il contenitore di ceramica vuoto per 20 minuti.
Nel frattempo, rosola la carne in una padella molto calda, con
un poco d'olio. Appena la slow cooker è calda, metti la carne e
gli altri ingredienti.
Copri, porta in posizione 1 o Low e attendi con pazienza.
Il preriscaldamento del recipiente di ceramica (20 minuti
vuoto in posizione 2 o High) è sempre consigliato.
Il pollo, soprattutto le parti che tendono ad asciugarsi di più
(come il petto), viene molto bene nella slow cooker. Se puoi, togli
sempre la pelle, perché il grasso si liquefà e ristagna. Mangerai
meglio e più sano. La gallina, sempre un po' coriacea e dedicata
di solito al brodo, è un'autentica riscoperta.
Ungere sempre la base del contenitore di ceramica con olio o
burro. Per il resto, si può proseguire come per una normale
cottura in forno.
Non amo il pesce cucinato in questo modo quindi non lo faccio
neppure mai nella slow cooker. Faccio eccezione per il baccalà
o per lo stoccafisso ammollati: vengono infatti assai bene,
perché la cottura lenta ammorbidisce ed esalta.
Coniglio e agnello in umido sono eccellenti nella slow
cooker. La cottura lenta, inoltre, esalta i tagli di manzo non
eccelsi, come la punta di petto, il biancostato, il reale.
Stinchi e cosciotti di ogni tipo sono buonissimi.Tutto
questo, ovviamente, dovrà esser cotto in umido: stracotti,
brasati, stufati e così via, dal coniglio alle olive all’agnello alle
albicocche secche allo stracotto al Barolo allo stinco di maiale
alla birra. Questo è ciò che puoi far bene con queste pentole.
Per gli arrosti, lascia perdere.
Naturalmente, più il volatile è grasso, più importante eliminare
le parti grasse. Oca e anatra possono essere cotte superbamente,
ma occorre dimenticarsi della loro pelle.
Ottimi come sempre i volatili da cortile tendenzialmente magri,
come la faraona, le quaglie e i piccioni. La selvaggina
da penna (e la cacciagione in genere, anche da pelo) è invece
sconsigliabile per il forte odore della carne che, nella pentola
chiusa e per la cottura lenta, tende a ristagnare.
Pesci di grosse dimensioni e tranci considerevoli, come quelli
di cernia, dovrebbero venire altrettanto bene. Meglio però non
superare le due ore di cottura in posizione 1.
V E R D U R E
L E G U M I
u s i
Per istinto, uno potrebbe pensare che le verdure si spappolino,
con una cottura così lenta e prolungata. In realtà, è vero il
contrario. Le verdure a radice, a bulbo e a tubero, come le
carote, le patate e le cipolle, sono molto più coriacee della
carne: se fai lo spezzatino con le patate e metti nella slow
cooker tutto assieme, mangerai carne stracotta e patate crude.
Il modo migliore è quindi pretrattarle, anche se le unisci a un
minestrone. Tagliale in piccoli pezzi e saltali in una padella
calda per 3-5 minuti, prima di aggiungerle al resto.
I fagioli secchi, dopo il necessario ammollo (di solito una notte
nell'acqua fredda), devono essere sbollentati in acqua bollente
per 10 minuti: sono infatti ricchi di lectina, una proteina tossica
che può essere eliminata soltanto da una cottura molto profonda
del legume, a eccezione delle lenticchie.
Piselli e mais, invece, tendono a sfaldarsi e val la pena
aggiungerli mezz'ora prima del termine della cottura.
Ottima per la cottura dei cereali integrali, la slow cooker
tende a scuocere riso e pasta normali, a eccezion fatta per il riso
parboiled. Se quindi si prepara un minestrone o una zuppa,
prima cuocere la parte con le sole verdure e poi, in una pentola
sul fornello, finire la cottura aggiungendo la pasta o il riso.
Tutti gli altri ortaggi, tagliati e lavati, possono essere cucinati
senza problemi.
E
C E R E A L I
Per questo, se si cucinano legumi secchi, sarebbe meglio usare
la posizione 2, oppure armarsi di notevole pazienza e prolungare
anche fino a 10 ore la cottura in posizione 1.
Tra i molluschi, prediligere quelli usati per ricette tradizionali
che richiedono cotture lunghe, come i polpi e le grosse seppie
in umido. Mai cuocere per ore i frutti di mare.
div E R S I
La slow cooker può essere usata come bagnomaria molto
delicato: la cosa davvero importante è prescaldare il contenitore
di ceramica, come sempre.
Zuppe e vellutate, oltre che minestroni e passati, vengono
benissimo anche (soprattutto) se cotti a lungo, persino per
un'intera notte o un intero giorno.
Si possono addensare salse e creme, preparare budini
(usando magari stampi di silicone da mettere a bagnomaria nel
contenitore di ceramica).
In poche parole, tutte le cotture a bagnomarie sono possibili:ma,
a meno che la ricetta non richieda temperature davvero molto
basse e costanti, un fornello a gas consuma meno.
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50
Così mi sono armato di termometro a sonda e
ho voluto toccare con mano.
Ho messo nella pentola circa 1,5 litri
d’acqua di rubinetto (17 °C) e ho impostato la
prima posizione, a bassa temperatura. Dopo
la prima ora, l’acqua aveva raggiunto i 46 °C.
Il riscaldamento è davvero lento! Alla fine
della seconda ora, l’acqua era a 69 °C.
• terza ora
• quarta ora
• quinta ora
• sesta ora
79 °C
84 °C
87 °C
87 °C
La temperatura da raggiungere e che
resta costante nel tempo è dunque sugli 84-88
°C. Vale la pena ragionarci un attimo, quindi.
La prima ora, che porta un litro e mezzo
d’acqua da 17 a 46 °C, è un’ora persa. Anzi, a
ben vedere è un’ora che favorisce e di molto
la proliferazione batterica, che raggiunge il
suo picco verso i 37 °C. A questo punto, tanto
conviene mettere in pentola gli ingredienti
a una temperatura più elevata di quella
ambiente, magari già sui 70 °C. In questo
modo, si dovrebbe raggiungere molto prima
la velocità “di crociera”.
I L L I B R O P I ù
C O M P L E T O S U L L A
C U C I N A L E N T A , C O N
R I C E T T E E C O N S I G L I *
* Il libro Slow cooking per tutti (2013) è di Cristina Scateni ed è edito da Ponte alle Grazie.
Ragioniamo un attimo anche sulla
temperatura massima toccata dalla nostra
slow cooker, che per la maggior parte delle
ore è di poco inferiore ai 90 °C.
Innanzi tutto, non la possiamo certo definire
bassa temperatura, considerando che
dopo il 75 °C le fibre muscolari della carne
cominciano a rapprendersi. Però è raggiunta
molto gradualmente e ciò equivale a
bassissimo choc termico: le fibre si cuociono,
ma senza picchi repentini, quindi restando
morbide e distese. Inoltre, c’è garanzia
che, a quella temperatura, non vi sia alcuna
proliferazione batterica (che s’interrompe
a 65 °C e il pericolo cessa definitivamente a
75 °C). Consapevoli di questa situazione, è il
momento di cucinare!
Perché, infatti, una volta compreso il gioco
delle temperature, è possibile ricavarne
consigli molto semplici e pratici.
Prima di tutto, val la pena riscaldare il
contenitore di ceramica vuoto, di modo che
non parta a freddo. Bastano 20 minuti sulla
posizione 2 o High: con la mia Russell Hobbs,
le pareti del recipiente raggiungono i 58 °C
e l'interno della pentola i 51 °C. Parlando
di cottura lenta può sembrare paradossale,
pagina –
51
ma così facendo si risparmia un'ora buona!
Tra l'altro, considerando quanto la pentola
impieghi a riscaldarsi, vietato inserire
cibi congelati: farebbero fatica persino a
intiepidirsi. E allora il rischio sarebbe duplice:
trovarsi una cena cruda e una proliferazione
batterica molto alta, pericolosa per la salute.
Ultima annotazione: la pentola, ormai lo si
è capito, è fatta per evitare choc termici. Ciò
significa che lo spesso recipiente di ceramica
incamera e trattiene molto calore. Non
metterlo quindi caldo sotto l'acqua fredda
e neppure ficcalo di botto in frigorifero:
sono cose che potrebbero rovinarlo
irrimediabilmente.
Una delle domande più frequenti che
sento in giro è sul tempo di cottura: se in una
ricetta tradizionale un brasato deve cuocere
2 ore, quanto dovrà cuocere in una slow
cooker? In Rete si trovano strani calcoli, ma
la verità è che soltanto l'esperienza potrà
darti risposte esatte. Fai comunque conto
che carne e verdure possono cuocere molto a
lungo senza soffrirne, anzi. Per esperienza,
non stare mai sotto le 5-6 ore, anche se
naturalmente dipende dai tagli e dal tipo
di carne: un petto di pollo a dadini cuocerà
molto più velocemente di un chilo di polpa
per brasato.
Come vedi, piuttosto che tediarti con
ipotetiche tabelle, ti do l'unico consiglio
decente possibile: assaggia ogni tanto e non
darti troppa pena se qualcosa sta un'ora in
più. Meglio che un'ora in meno. Dopo tutto,
i grandi piatti "lenti" della nostra tradizione
sono nati proprio così, scordandoseli vicino
alle braci calde di un camino. T
I BLOG DEGLI ALTRI
pagina –
L A U R E N
C A R I S
C O O K S
UN sito di cucina CURATO IN OGNI DETTAGLIO,
CON UN'OTTIMA STRATEGIA DI PUBBLIC RELATION,
belle immagini E UN USO ORIGINALE DEI VIDEO. DA IMITARE
laurencariscooks.com
M
oltissimi siti e blog di cucina badano più
alle ricette che a tutto il resto.
"La gente vuole sostanza, non bada ai
fronzoli", si pensa. E si sbaglia. Non perché
le persone siano così tanto interessate alla
forma, quanto perché un bel sito, gradevole
e agile, innesca similitudini positive, che
con il cibo s'abbinano da dio: se il sito è bello
e ordinato, anche il cibo sarà bello, buono
e ben fatto. Di contro, sito sciatto, piatti
sciatti e sporchi: è umano, è istintivo. Ma
come imparare a costruire il nostro blog
per renderlo appetitoso quanto le nostre
ricette? Armandoci di attenzione e modestia
e guardando gli esempi migliori che troviamo
in rete. Che magari non soltanto propongano
un sito elegante, ma anche furbo, attento alla
comunicazione e al desiderio di renderlo una
piccola macchina per far soldi.
Lauren Caris è una sana ragazza
americana, belloccia ma con un'evidente
passione per il buon cibo, vegetariana
dichiarata e autrice di un blog di tutto
rispetto. Tanto che ho deciso di mostrarlo
su questa rivista, affinché sia modello alle
tue eventuali e future iniziative. Il blog di
Lauren, infatti, ha tutte le caratteristiche
che dovrebbe possedere un blog di cucina di
successo. Appena lo si apre, si sente subito
che nulla, qui, è lasciato al caso. Partiamo
dal tema: Lauren ha scelto una struttura
dal design molto semplice ed elegante, con
nessun elemento in grado di distrarre dalle
immagini e dai testi (niente colori, tanto per
capirci, o caratteri strani). Per aumentare
questa sensazione d'ordinata pulizia, Lauren
ha deciso di non ricorrere ad affiliazioni.
Nel caso tu non lo sapessi, ogni volta che in
un sito trovi quei banner di prodotti e servizi
che sembrano seguire i tuoi interessi (quelli
di Amazon sono fra i più pervicaci, ma non
sono gli unici), sei di fronte a un'affiliazione:
qualcuno pagherà il proprietario del sito ogni
volta che tu cliccherai sul banner. Alla nostra
Lauren, però, non interessa guadagnare così.
Ma a che cosa è interessata Lauren?
Clicchiamo in alto a destra, su work with
me. Si apre una pagina che dice chiaramente
i motivi che hanno condotto la nostra
foodblogger ad aprire il suo sito: sviluppare
ricette per i brand che glielo chiederanno
(e farsi pagare per questo) e produrre video
pubblicitari o dimostrativi in tema food. È
disposta anche ad ospitare offerte di omaggi
pubblicitari ai visitatori del sito, ma ci tiene
a specificare che accetta soltanto proposte da
marchi che lei conosce e da prodotti che usa e
apprezza. Niente spazio a cose sconosciute.
52
pagina –
53
R E G A L A
P U N T I D I FO RZA E R I FLES S I O NI
• Sito elegante e ordinato, molto pulito. l'equazione è questa , non
ci piove : Sito bello, cibo buono.
• REGALARE CONVIENE, SE IN CAM BIO SI OTTIENE UN'E-MAIL VALIDA. MEGLIO
UN POTENZIALE CLIENTE IN LISTA , CHE (FORSE) UNA MANCIATA DI EURO ORA.
• IMMAGINI BELLE E CON VINCENTI: CHI HA FATTO QUESTO SITO è ATTENTO AI
PARTICOLARI IN TUTTO CIò CHE FA E NON LASCIA NULLA AL CASO.
LA SENSAZIONE CHE EMANA: LAUREN MERITA FIDUCIA PER DAVVERO.
• CONDIVIDERE FUNZIONA: SE GIRANO LE MIE FOTO E I MIEI TESTI , è molto
pi ù facile che giri ANCHE IL MIO NOME.
• IL VIDEO è IL MEZZO VINCENTE PER CONQUISTARE NUOVO PUBBLICO.
E
C O N D I V I D I
Che strategia usa per perseguire questi
obiettivi? Del sito sobrio ed elegante ho già
parlato. Guardiamo le foto, tutte molto ben
fatte. Si capisce che Lauren è una persona
attenta ai particolari e che non sottovaluta
nulla: le sue immagini parlano della sua
precisione, del suo amore per il bello. Ma
andiamo oltre. Una cosa balza subito agli
occhi: Lauren ci invita a iscriverci e a ricevere
subito in regalo un suo ricettario formato pdf.
Non lo vende, fai attenzione, ma lo regala.
Perché? Perché così acquisisce qualcosa di
molto più prezioso di una manciatina di
euro: la tua e-mail. E con la tua e-mail in
mano può cominciare a fidelizzarti, può
farsi apprezzare sempre più, tanto che tu, un
giorno, ti ritrovi già convinto della bravura
di Lauren, magari comprandole un libro più
costoso o, se vivessi dalle sue parti, un corso o
qualcosa di simile.
Vale la pena vedere il suo regalo: poche ricette
ben fotografate che di certo non avresti mai
acquistato ma, gratis, ti fanno piacere. E lei ha
conquistato qualcosa di prezioso: il canale più
semplice per contattarti.
Regalare, insomma, è una buona strategia
per fare pubbliche relazioni, soprattutto se
allunga la lista delle persone che, domani,
potrebbero diventare clienti. Ma anche
condividere è una buona idea: Lauren non
nega il permesso di usare le sue foto e le sue
ricette, anzi. Ma chiede il favore di un link
o, nel caso di uso intensivo, un accordo con
lei per come usare tale materiale. Se il mio
nome gira, insomma, è molto più importante
che proteggere la mia opera. Tanto più che
Lauren non vende foto!
I video, infine, sono il fiore all'occhiello
del sito. Non perché siano impeccabili,
ma perché mostrano come sia possibile
realizzare qualcosa con strumenti casalinghi.
Qui c'è davvero qualcosa da imparare, a
dimostrazione che - con un po' di buona
volontà - è possibile ottenere ottimi risultati
anche senza essere professionisti. Ti consiglio
quindi di studiarti bene questi video,
partendo dall'ultimo per giungere al primo:
potrai apprezzare il viaggio d'esperienza e
maturazione che Lauren ha compiuto video
dopo video, non accontentandosi mai dei
risultati ottenuti. Se cerchi un buon esempio
per il tuo blog, questo è un buon posto!T
EARLY BIRDS
pagina –
LE MIGLIORI OFFERTE DEL MOMENTO, CREATE DA GENIALI
START-UP E PRESENTATE SU KICKSTARTER E INDIEGOGO,
LE PIù NOTE PIATTAFORME CROWFUNDING.
COGLI L'ATTIMO (E GLI SCONTI)!
è L'UCCELLO MATTINIERO CHE ACCHIAPPA IL VERME!
M E A T E R
M
eater, creato da Joseph Cruz e da Teemu
Nivala, degli Apption Labs (http://
apptionlabs.com), ha raccolto quasi due
milioni di dollari in liberi finanziamenti,
soltanto presentandosi su Kickstarter e
Indiegogo. L'idea è geniale: Meater è il primo
e unico termometro da forno (o da barbecue
o da qualsiasi cosa tu voglia) che funziona
totalmente senza fili, in modalità wi-fi o
bluetooth, avvertendo il cuoco quando la
temperatura desiderata raggiunge il cuore
dell'alimento. Il tutto grazie a una comoda e
moderna app per smartphone, naturalmente.
Quali sono i vantaggi? Poter fare altro, per
esempio intrattenere gli amici, senza badare
alla fiorentina sulla griglia, al pollo sul
barbecue, all'arrosto nel forno e così via,
senza nessuna preoccupazione.
Non appena il cibo è cotto a puntino, infatti,
squilla il telefono e si può andare a toglierlo
dal fuoco. Sulla carta, insomma, i risultati
dovrebbero essere eccezionali: cotture
perfette, nessun tipo di sonda o di cavo,
http://bit.ly/1kiQnKP
altissima precisione dei sensori e mani e
attenzione libere per fare qualsiasi altra cosa,
anche qualcosa di molto distraente: tanto, alla
fine, ci sveglierà la soneria.
L'uso è semplice: si prende il termometro,
che assomiglia a un sottile scalpello, e lo si
pianta nell'alimento. Si accede alla app sullo
smartphone e si regola la temperatura al
cuore desiderata (o consigliata dalla stessa
app) e si mette a cuocere. Una singola sonda
Meater, con tanto di ricaricatore e app, costa
59 dollari (poco più di 53 euro) e viene spedito
dagli Usa per 15 dollari (13,5 euro). Il ceppo
con quattro sonde costa invece 169 dollari
(152,15 euro) più le spese di spedizione: oltre
a tutte le funzioni base, permette anche di
regolare le sonde direttamente dal ceppo,
senza usare smartphone, e di collegarsi
direttamente in modalità wi-fi con il router di
casa. La produzione è quasi cominciata e già
ad aprile 2016 partiranno le spedizioni. T
54
EARLY BIRDS
pagina –
55
cuochi a domicilio, è IL MOMENTO DI trEMARE!
O N E C O O K
O
k, non è detto che questo apparecchio
possa davvero sostituire un personal
chef. Però, però. . . difficile prevedere dove
possa condurre questa strada. Perché
OneCook fa davvero un mucchio di cose
tutto da solo: cuoce a vapore, lessa, frigge,
brasa, arrostisce e via così. Al mondo,
soltanto per quest'aspetto, non esiste robot
da cucina in grado di stargli alla pari. Ma,
ovviamente, non basta. OneCook non
è nato per sostituire pentole e padelle e
vaporiere: è nato per sostituire il cuoco!
Tu, insomma, lo imposti da qualsiasi device
(dal desktop allo smartphone) e lui esegue
l'intera ricetta desiderata senza che tu debba
intervenire. Come funziona? Così: metti
tutti gli ingredienti in apposite scatoline e
collocale nella macchina secondo istruzioni.
Fatto questo, si dà il via alle danze: OneCook
elabora un processo via l'altro, fino al piatto
finito. Molte ricette si trovano già nella app,
ma altre si possono aggiungere e persino
personalizzare, altre ancora possono essere
consigliate analizzando le nostre preferenze
http://kck.st/1WsmyW2
e i nostri gusti. Insomma, un portento per
la cucina casalinga. Naturalmente, ricette
complesse non hanno qui la loro soluzione
ma, ripeto, per la cucina di tutti i giorni è
davvero come avere un cuoco in casa.
Ma i creatori hanno voluto strafare,
organizzando (negli Usa, of course) un vero
e proprio servizio a domicilio di ingredienti
freschi già dosati per un buon numero di
ricette. Insomma, ordini, ricevi, inserisci nel
robot e il gioco è fatto. Puoi sistemare tutto la
mattina e trovare la cena pronta la sera, dopo
il lavoro. Mica male! Oltre che sul link di
Kickstarter, maggiori informazioni si trovano
su http://onecook4.me/.
La produzione di questo gioellino
tecnologico è appena avviata e i primi ordini
saranno evasi verso agosto 2016. Costo?
Ancora per pochissimo tempo il prezzo di
lancio sarà di 299 dollari (268 euro) più le
spese postali. Se la cena per te è un peso,
quest'apparecchio può cambiarti l'esistenza.T
EARLY BIRDS
pagina –
GATTO DI SILICONE? MAI PIù SENZA!
S U N N Y
S I D E
U P
E G G S
http://bit.ly/1Y1Uqdi
M
a chi l'ha detto che tutte le invenzioni
sui siti crowfunding debbano essere
genialate fantascientifiche?
Cindy Ho, designer di San Francisco, ha
conquistato il pubblico con semplici ma
simpaticissimi stampi di silicone per uova al
tegamino dalla faccia di micetto. Strafacendo,
ne ha persino inventata una versione mignon
per le uova di quaglia! Uova purrfect, le chiama
lei, per fare il verso alle fusa: il modo migliore
per cominciare la giornata, pensando al nostro
pet preferito.
Il funzionamento è elementare: si
sgusciano le uova centrando con i tuorli gli
occhi del gatto e il gioco è fatto. L'albume
si spanderà per il resto della maschera,
sagomandosi alla perfezione. Fin troppo
facile, a dire il vero.
A sua difesa, Cindy afferma che, anche se
tutto pare un gioco da ragazzi, realizzare il
prototipo non è stato una passeggiata. Prima
ha dovuto trovare il tipo di silicone giusto,
poi ha dovuto sagomarlo in maniera tale
che l'uovo non tracimasse per ogni dove. . .
Insomma, soldi meritati e successo anche,
a questo punto. Se sei avido di maggiori
informazioni, clicca su www.eggaddiction.
com/ e goditi un po' di ricette e qualche
video che non c'entra nulla con le simpatiche
mascherine. E ora parliamo di costi: lo stampo
grande per uova di gallina costa 12 dollari
(meno di 11 euro), mentre assieme a uno
stampo piccolo per uova di quaglia si toccano i
19 dollari (17 euro).
Naturalmente occorre aggiungere le
spese di spedizione, che per l'Italia non sono
poche: ben 13 dollari, in pratica più di uno
stampo. Ma se si è fanatici di gatti (e di uova al
tegamino) è un gadget da non lasciarsi proprio
scappare.T
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pagina –
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www.cucinodite.it
E
C O S ì
V U O I
C A M B I A R
V I T A ?
Eccoci qui, alla fine del primo numero di una rivista molto poco tipica: un giornale di cucina senza ricette! Proprio così. Le ricette, infatti, le puoi raccattare ovunque.
Ciò che invece trovi qua faticherai a rintracciarlo sulla Rete e da qualsiasi altra parte.
E non parlo soltanto delle notizie, dei consigli, degli articoli che hai potuto leggere in queste pagine. Anche, naturalmente, ma non solo.
Parlo dell'opportunità vera, reale, che da tempo sogni di afferrare e che sempre rimandi: guadagnare con la tua passione, anzi con le tue passioni.
Oggi è il momento di farlo, perché io sono qui per aiutarti a compiere i primi, difficili passi. Il mio blog e questa rivista, sempre più a ogni numero, saranno un punto di
riferimento costante, così come lo diventeranno i manuali e le guide che, di volta in volta, ti regalerò per aiutarti.
Ti hanno detto che il mondo della cucina è ormai inflazionato, i pretendenti a un posto al sole non si contano. Vero. Ma c'è ancora spazio, se saprai conquistartelo. Se non
commetterai gli errori che ho commesso io all'inizio, perché nessuno mi diceva tante cose. Se conoscerai davvero le storie e gli stratagemmi delle persone che, in questo campo,
ce l'hanno fatta davvero. E non avevano nulla di più di te, te l'assicuro. Erano soltanto decise, determinate e informate.
Perché saper cucinare non basta. È necessario imparare a costruire un sito o, per lo meno, un blog che attiri i potenziali clienti. È necessario imparare a esprimersi, con testi
e foto. È necessario capire quando è il momento di investire qualche euro e quando è meglio risparmiarli. Quando fare pubblicità e come riuscire a farla gratuitamente, ma
in maniera efficace. Nessun corso da cuoco ti prepara a tutto questo. Io sì. Che tu voglia aprire una scuola di cucina, tenere corsi sul vino, tentare la via del ristorante privato o
diventare personal chef e cuoco a domicilio, ci sono molte cose che devi ancora apprendere. Qui e sul mio blog le troverai tutte. Dovrai soltanto leggerle e metterle in pratica:
oggi è il momento di cambiare la tua vita. Di fare sul serio. Per davvero.