01 Cucinodite
Transcript
01 Cucinodite
01 NUMERO #01— APRILE/16 in casa tua e in casa d’altri CUCINODITE GUADAGNARE CON LA PASSIONE CICCIO SULTANO IGLES CORELLI SPECIALE INTOLLERANZE: TIZIANA COLOMBO E MARCELLO FERRARINI UN UOVO A SORPRESA 5 ERRORI INFAMI SUL TUO SITO VINI DI PRIMAVERA I PLACIDI SEGRETI DI UNA SLOW COOKER LE IDEE DEGLI ALTRI COLPI DI GENIO IN SALDO Cucinodite La rivista dell’omonimo sito. Visita www.cucinodite.it. pagina – 2 Testi e foto Salvo eccezioni segnalate, sono tutti del sottoscritto: Giorgio Giorgetti, personal chef, sommelier e giornalista (e un pochino anche fotografo). Immagini altrui Ogni fotografia non mia è sempre citata accuratamente e riporta, quando reperibile, il link al sito o alla pagina dell’autore. Impaginazione e grafica Da un modello di BOXKAYU, liberamente adattato da me. In copertina Triglie con olio al rosmarino in zuppetta di ceci, cipollotto e pomodorini confit. 01 NUMERO #01— APRILE 2016 in casa tua e in casa d’altri CUCINODITE Questa pubblicazione, esclusivamente online e aperiodica, non deve essere considerata un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7/3/2001. Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia. APPRENDERE e s coprire Lo sai per quale motivo questa rivista di cucina non somiglia a nessun’altra? Perché ti parla di cucina amatoriale (ma non solo) come se fosse una professione. Magari la tua nuova professione. Per intenderci, non ti offre il piatto del mese, il menù rapido ed economico, la simpatica insalatona: c’è gente che lo fa meglio di me e, se è questo che t’interessa, vai pure da loro e amici come prima. Qui trovi come alimentare la tua passione ampliandone i confini. I limiti li traccerà la tua ambizione. Puoi desiderare di trasformarti in un amatore evoluto, in grado di stupire i suoi cari e i suoi amici, oppure diventare l’anfitrione di un ristorante privato e segreto o addirittura un personal chef: magari non hai bisogno di imparare ricette, ma di scoprire i trucchi per cogliere il successo, da come creare un sito internet accattivante a come scattare una foto ingolosente. Dipende da te. Io, numero dopo numero, desidero solo offrirti gli strumenti per i tuoi sogni. Ti va l’idea di scoprire quanto sei capace di fare? Giorgio Giorgetti creatore di CUCINODITE pagina – 3 p/ 0 5 . Passione da vendere p/ 0 8 . Igles Corelli, un garibaldino in cucina p/ 1 2 . Ciccio Sultano, cantastorie di Sicilia C H I C E R C A T R O V A p/ 1 6 . Le avventure di Nonna Paperina p/ 2 0 . La cucina dell’assenza p/ 2 3 . Nima, un sorriso ti salverà pagina – 4 p/ 2 5 . Se questo è un uovo p/ 3 0 . I 5 errori infami del tuo sito p/ 3 9 . Vini di primavera C H I C E R C A p/ 4 5 . S l o w c o o k e r, fà m o l o l e n t o ! p/ 5 2 . I blog degli altri p/ 5 4 . Early birds T R O V A CAMBIA VITA pagina – 5 P A SS I O N E D A V E N D E R E V oglio che la tua passione si trasformi in denaro e in gioia di vivere. Voglio che tu riesca a vivere, a vivere bene, con i desideri più forti che hai, quelli per cui lotti. E sai perché? Perché un giorno ti sei svegliato e ti sei accorto che la tua vita stava andando male, anzi malissimo. Che il tuo lavoro non bastava più a sostentarti e che lo portavi avanti per inerzia, aggrappandoti a esso con unghie e denti, pensando che la situazione sarebbe mutata, la crisi cessata, che presto sarebbe giunta un’età dell’oro in cui ogni cosa sarebbe tornata al suo posto e tu lì, a riprenderti tutte le soddisfazioni. Magari ci stai sperando proprio adesso. Oppure, ma è uguale, un giorno ti sei guardato allo specchio e la tua vita non ti piaceva più. Ci metti ore e ore per raggiungere il tuo posto di lavoro, tanto è distante da dove vivi. Il viaggio stesso è una seconda occupazione, ormai, che t’allontana da tutto ciò che ami, che ti disintegra il tempo e l’esistenza, mentre i finestrini appannati delle auto e dei treni ti nebulizzano i sogni. Oppure, ma è uguale, un pomeriggio assolato ti portano a un muro di calce e ti chiedono se vuoi bendarti gli occhi. Stanno per spararti addosso tutte le peggiori notizie che la tua vita lavorativa può sopportare. Anzi, perdonami, ma appena qualcuno griderà “Fuoco!”, potrai scordarti di avere una vera vita lavorativa. Oppure... Ma quanto ancora devono durare, i miei oppure? Tanto hai già capito che dentro qualcuno di questi, prima o poi, ci finirai anche tu. Se già non ci sei. Oppure no e allora meglio per te, non star neppure a leggere queste righe e vola via fortunato a goderti la primavera. A te che sei rimasto, invece, voglio raccontare una storia. Un giorno mi sono svegliato e del mio lavoro erano rimaste soltanto le briciole. Trova tutti i motivi che vuoi: la crisi, la sfiga, l’età che avanza e che ti rende sempre meno competitivo, i posti di lavoro che scarseggiano, le assunzioni inesistenti. . . Non importa: un giorno mi sono accorto che le briciole erano diventate troppo poche e che io mi ero smarrito nel bosco, tentando di seguirle ancora una volta. Il rischio di non riuscire più a mantenere me e la mia famiglia stava diventando reale, non era più soltanto un’improbabile ipotesi. Quanti si sono ritrovati come me? Facevo e faccio il giornalista, e forse l’hai capito guardando questa rivista. Ma io non sono il mio passato. Così come non dovrebbe esserlo per te. NASCERE DUE VOLTE SI PUò Il passato sta lì, mi guarda ma tace, si nutre di ricordi e rimpianti. Se precipito nel suo silenzio, sono finito, annegherei nell’illusione che il tempo possa scorrere all’indietro, possa esser riscritto. Invece la mia storia comincia proprio quando, pagina – 6 tirato uno spasmodico respiro appena sopra il pelo dell’acqua, ho compreso di non voler annegare. Anche tu non vuoi annegare: per questo siamo simili. L’unico salvagente che ho trovato, mentre il Titanic affondava, sono state le mie passioni. Sì, al plurale, perché nessuno di noi ne ha una sola. Ho capito che per risollevarmi non mi bastava più l'amore per il giornalismo, ma dovevo far lavorare in sinergia altri interessi. C’era la mia passione per vino, c’era quella per la cucina. Erano aspetti di me che dovevano accordarsi, trovare un modo comune di esprimersi. Soltanto così sarebbero diventati un valore che avrebbero potuto avere anche un riscontro economico. Che potevano cambiare la vita. Voglio che cominci anche tu, subito, il tuo viaggio con me alla ricerca del tuo salvagente. E per prima cosa devi parlare alle tue passioni, ma proprio a tutte. TU SEI DI PIù Se sei qui, è probabile che una di queste, magari la più prepotente, sia quella della cucina. Bene. Prendi un foglio di carta e scrivila in stampatello. Ma non fermarti: scrivi anche le altre. Se fai un lavoro diverso da quello del cuoco, del sommelier, dell’insegnante di cucina, comincia da lì. Magari immagini che fare il commercialista sia all’antitesi dei tuoi hobby e che anzi, proprio per questo, desideri il contrario. Immagini male: in quel campo hai un’esperienza che conta, che puoi usare sempre, in ogni settore. Essere ingegnere, operatore ecologico, maestro elementare, baby-sitter o ammaestratore di cani non è paglia! Ogni esperienza, ogni interesse che ti ha condotto dove sei ora, a questo bivio esistenziale, ti ha aiutato e continuerà ad aiutarti. Ma tu sei di più del tuo lavoro. Quindi, se vuoi cambiare vita come ho fatto io, parti recuperando tutto ciò che c’è di buono nella tua esistenza precedente. pagina – 7 Questo è il primo consiglio che ti offro, un’idea molto semplice che però ho preso in seria considerazione soltanto dopo molti errori e fraintendimenti, perdendo tempo a credere che, per cambiare vita, occorresse stravolgerla. E, non trovando mai il coraggio, non lo facevo mai. Fin quando la vita stessa mi ha messo di fronte a una scelta obbligata. Se vuoi che la tua sia una passione da vendere, insomma, comincia da qui. Da questo consiglio. Da un foglio di carta e da una matita. E dalla sincerità con te stesso. Smettila di rifugiarti nei soliti atteggiamenti. Non è più il momento. Tutto ciò che hai appreso negli anni è davvero servito a qualcosa e ancora ti servirà, perché è giunto il momento di sfruttare ogni esperienza, invece di subirle. UN BLOG E UNA RIVISTA È più facile dirlo che farlo, lo so. Per questo ho creato questa rivista e scrivo sul mio blog. Perché non basta dare ricette, insegnare tecniche di cottura, suggerire preparazioni e trucchetti. Oggi bisogna fare qualcosa di più, se si vuole aiutare davvero in cucina. Vuoi diventare personal chef, cuoco a domicilio, avviare una scuola di cucina o un ristorante privato? Vuoi cambiare davvero la tua vita? Allora saper cucinare non ti basterà. Lo so per esperienza, perché ho fatto molti errori mentre tentavo di dare una svolta alla mia esistenza, alcuni pagati a caro prezzo. Sì, lo so a che cosa stai pensando. Pensi a soldi che non ci sono, a debiti con le banche, a fallimenti improvvisi. . . No, ti assicuro che non è nulla di questo. Il pericolo peggiore che può capitarti, quando sei agli inizi, è IL NULLA. Vedere che, nonostante la tua passione e i tuoi sforzi, non succede proprio nulla e sei costretto a farti piacere ancora una volta il tuo vecchio lavoro o la tua vecchia vita. Ora, parliamoci chiaro: questo capita sempre, perché prima che le cose ingranino ce ne vuole. Ma il pericolo è che non capiti nulla perché abbiamo sbagliato modo di comunicare, di trasformare la passione in un valore anche e soprattutto per gli altri. Perché abbiamo pensato troppo in grande o troppo in piccolo. Hai un sito web? Sei sicuro che funzioni davvero? Ci sei nella prima pagina di Google oppure fai parte delle migliaia di persone invisibili che ogni giorno scompaiono da internet? E le foto dei tuoi piatti? Sei sicuro che riescano a superare la “prova disgusto”? E i tuoi testi? Davvero pensi che possano trasmettere ai futuri clienti la tua passione oppure no? E poi: come si apre una scuola di cucina? Come ci si deve comportare per essere in regola con il fisco? E se volessi aprire un ristorante privato? Devo per forza associarmi a uno dei tanti portali che li pubblicizzano? Tranquillo. Non sto per venderti nulla. Ma sono qui per dirti una cosa: questa rivista e il mio blog sono nati anche per regalarti dritte a 360° sul mondo della cucina amatoriale. Una cucina che vuole trasformarsi in passione da vendere. A partire da ora! T territorio e cibo pagina – 8 U N G A R I B A L D I N O I N C U C I N A CHILOMETRO ZERO? E PERCHé MAI? Igles corelli, due stelle michelin, invita cuochi e appassionati a riappropriarsi delle eccellenze di tutta l’italia IGLES CORELLI. Tutte le immagini del servizio sono di proprietà del Ristorante Atman. I gles Corelli, classe 1955, ha l’aspetto di chi fighetto non lo è stato mai, neppure da giovanissimo. Ha la faccia del lavoratore, del tipo che fatica non soltanto con la testa, ma che manipola la materia grezza delle cose e le trasforma. Un contadino, un fabbro, uno scultore. Anche uno chef? Sì, se la sua cucina è così vicina agli elementi che compongono l’universo; a quel fuoco, quella terra, quell’acqua e quell’aria che se li combini sei capace di crearci ogni cosa, dalla stella Michelin alla bistecca alla brace. Ecco, nelle sue foto m’appare così: come Vulcano, il dio mitologico, intento a forgiare un pensiero, a battere sull’incudine un’idea fino a renderla reale. In foto, dico, perché di persona non l’ho incontrato mai, purtroppo. Ho sentito la sua voce al telefono, però: piena, simpatica, entusiasta, convinta. Quella convinzione dei maestri che sono lì e insegnano con la loro stessa presenza, mica perché ti fanno tanti discorsi e tanti giri di parole. Se vuoi sapere tutto di lui, sei fortunato: centinaia di persone infinitamente più brave di me hanno raccontato ogni interessante istante della sua esistenza, dai suoi inizi al Trigabolo di Argenta (Ferrara, anni Ottanta) fino all’attuale Villa Rospigliosi di Spicchio di Lamporecchio, Pistoia, con il suo ristorante Atman trasmigrato dalla relativamente vicina Pescia nel maggio 2015. Qui, invece, leggerai il suo pensiero sui prodotti alimentari. Perché? Semplice: per imparare a capirli e sfruttarli. Se c’è una cosa che rende chi cucina un cuoco consapevole è proprio questa: comprendere gli ingredienti che tiene fra mestoli, mani e padelle. C’è quindi chi è maniaco del chilometro zero, chi adora alcuni prodotti e chi ne disprezza altri. E c’è chi, semplicemente, tanta differenza non l’avverte. E Corelli? «Io il chilometro zero non l’ho mai capito. Chi lo dice che la materia prima d’eccellenza sia dietro casa?» apre subito, secco secco. «Perché, mi chiedo, volersi impoverire così, a ogni costo? L’Italia è piena di materie prime fantastiche: se sposo il chilometro zero, ne perdo un sacco. No, anche l’idea che il prodotto vicino a casa inquina meno, costa meno, ecc. ecc. mi è sempre sembrata poco realistica. Suvvia, siamo in Italia! Poter godere a Lamporecchio di una specialità siciliana o piemontese non mi pare possa nuocere così tanto alla società. Anzi. Non per niente avevo battezzato come garibaldina la mia cucina: garibaldina perché persegue l’unità d’Italia, insomma». Quindi, se un cuoco vuol far bene, deve uscir di casa. «Deve esser curioso. E deve provare, sperimentare. Senza conoscenza non si fa nulla. Perché mica tutto quel che è del contadino o del piccolo produttore è per forza eccellente. Chi l’ha detto? Quindi provare e riprovare. E sfruttare chi ha assaggiato per pagina – 9 il d I grande valore un B U O N A M I C o te. Penso ai Presidi Slow Food, per esempio, ma anche all’esperienza di colleghi che senti, allo stringere rete con loro. Se fai il cuoco, anche soltanto per passione, devi avere amici con la tua medesima passione. Perché così vi scambiate informazioni, anche sui prodotti. Non trovi un pollo o una faraona che ti soddisfino appieno? Magari il tuo amico conosce un fornitore affidabile che può offrirti un’eccellente materia prima. Ma se non c’è reciproca collaborazione e amicizia, potresti non scoprirlo mai. Un consiglio a chi vuol cucinare con conoscenza di causa? Si faccia dei buoni amici e parli con loro». Ma questa curiosità, questo desiderio di scoprire e sperimentare, ha anche un ruolo sociale oppure vive soltanto nella testa dello spadellatore volenteroso? «Secondo me, e SURF SU INDUZIONE - Foto di Renzo Chiesa Saperi e Sapori, Argenta FE, 1992 www.atmanavillarospigliosi .it pagina – 10 pagina – 11 UN GRANDE PIATTO HA BISOGNO DI GRANDI PRODOTTI. E RICERCARLI è SPINTA IMPRESCINDIBILE PER OGNI CUOCO, PERCHè è UN reale DOVERE SOCIALE E CULTURALE credo secondo molti altri colleghi, uno chef ha almeno un dovere sociale e culturale: ritrovare prodotti perduti e cucinarli bene. Se non li cucini, se non li usi, se non li sfrutti, prima o poi li perdi. Se ti accontenti sempre della pera o della mela del supermercato, lasci svanire tutte le altre, comprese quelle a chilometro zero. Quindi, il cuoco è un po’ un ricercatore, un archeologo, un investigatore. Anche perché, ogni volta che un cibo scompare, cadono nell’oblio decine se non centinaia di ricette. Pensa a tutti i frutti dimenticati, per esempio. Pensa alla cacciagione: ma dove lo trovi, ormai, un piatto di cacciagione?». Ma tanti piatti sono ormai improponibili, con tutta questa smania del mangiar sano. «Vero, ma io questo lo capisco» prosegue Corelli. «Anzi, direi che oggi come oggi un cuoco deve proporre il cibo più sano possibile. Perché la vita non è più quella di una volta e la cucina deve sapersi adattare ad abitudini, a filosofie, a modi di vivere diversi. Sarebbe assurdo se non lo facesse: dopo tutto, la cucina è anche un po’ lo specchio dei tempi in cui si vive e si mangia. Non sto dicendo che, se trovi il prodotto perduto, poi lo devi per forza cucinare con una ricetta vetusta. No. Dico soltanto che un grande piatto ha bisogno di grandi prodotti. Punto e basta. E se vuoi fare un grande piatto senza avere grandi prodotti - prodotti dalla qualità eccellente, non per forza rari e costosi - sei un illuso». Quindi saresti per rinnovare la tradizione cucinaria, per rimodellarla sul nuovo pensiero salutista? «Ma no, io la tradizione non la tocco! Se ti metti a giocare con un piatto tradizionale, lo snaturi, non c’è verso. Magari ne razionalizzi la preparazione, un po’ come faceva Gualtiero Marchesi, ma tutto sommato non è più il piatto che ti preparava tua mamma o tua nonna, quella pietanza che i tuoi parenti più anziani ricordano. La tradizione è la tradizione, non la scalzi. Punto e basta. Vuoi fare il cuoco specializzato in piatti della tua zona? Va benissimo: ricerca prodotti davvero di qualità, studiati bene la ricetta, scoprine e sperimenta e combina più versioni, ritorna il più possibile alle origini. Fai, insomma, sia cucina sia cultura, perché in questo modo rivitalizzi la tradizione ed eviti che vada persa. Ma è inutile mettersi a stravolgere i piatti, alleggerirli, destrutturarli e compagnia bella. Sempre secondo me, si badi bene. Nel senso che io non lo faccio, mica lo proibisco». Perché, invece tu che cosa fai? «Vuoi sapere ciò che faccio io? Io ho un numero di ingredienti che combino, in modi e maniere che hanno a che fare con il mio gusto. La tradizione m’ispira, perché ho radici salde nel territorio, nella mia italianità. Ma non la ripropongo mai pedissequamente, non m’interessa. Io ricerco contrasti, perché il cervello ha bisogno di spinte, per ravvivare la sua curiosità. Non so se sia o no un buono spunto per altri, ma io faccio così». T BATTUTA DI FASSONE © Flavio Signani FEGATO GRASSO, CETRIOLI, ZENZERO territorio e cibo pagina – 12 C A N T A S T O R I E D I S I C I L I A C he cosa puoi chiedere a uno che la pensa così, che mette la sua terra, il suo cielo e il suo mare in tutto ciò che fa? Nulla, ti ha già detto tutto. Non hai neppure bisogno di assaggiarli, i suoi piatti. Li capisci con gli occhi, ti parlano, ti raccontano storie e leggende. Ciccio Sultano, due stelle Michelin, cuoco demiurgo, vive in un paradiso che non è luogo mentale, ma concreto. Poiché nel mondo esistono terre che prima di tutto sono racconti. Squarci di paesaggi che cantano labirintiche novelle fra boschi, monti, azzurri di cielo e mare, durezza di pietre e pieghe segrete di terra. La Sicilia è uno di questi: così ricca che non crederesti abbia bisogno di una voce, eppure celata, scontrosa, un’ombra che non t’aspetti sotto il suo sole implacabile. Della Sicilia puoi goderne ciecamente così, sostando alla gradevolezza della superficie, come galleggiando su un basso fondale, dove ancora ti pare di aver compreso ogni forma dell’acqua. Dove il mare è mare, il cielo è cielo e la terra un tessuto di architetture e culture. Il cuoco è un trasformatore Oppure puoi tentare di immergerti. Ed è qui che ti perdi. Perché la favola che pareva semplice diventa più complessa man mano affondi. I coralli si confondono con i sogni di un palazzo antico, le alghe scolorano in ombre di sirene. E ti chiedi quale storia stia davvero raccontando questa terra. Quale filo ti condurrà al cuore di questo labirinto, che a ogni passo diventa più gravido di risonanze, di sapori, di culture embricate fra loro come tegole. Se davvero ti lasci sprofondare nella Sicilia, senti l’esigenza di una voce, un filo d’Arianna che ti guidi in questa caverna di tesori, per non svaporare di fronte a tanta ricchezza. Per fortuna, la Sicilia il suo cantastorie l’ha trovato: Ciccio Sultano, ancor prima che chef, è un uomo innamorato della sua terra. La comprende perché la ama e il desiderio di scoprirla ogni giorno di più è foce e sorgente di tanto amore. È difficile trovare chi, meglio di lui, S U L T A N O CICCIO SULTANO. Tutte le immagini del servizio sono di proprietà del Ristorante Duomo di Ragusa Ibla. C I C C I O pagina – 13 A SINISTRA, TRIGLIA FARCITA CON PAN CHINOTTO. SOPRA, PASTA E BOTTARGA. www.CICCIOSULTANO.it suggerisca come sfruttare al meglio i prodotti locali, che contribuiscono a rinsaldare nel presente le autentiche radici di una terra. Ma come si riesce a farlo davvero, anche nella cucina di casa o, se questo è il tuo caso, nella professione di personal chef o di gestore di un ristorante privato? Che cosa privilegiare? La storia gastronomica del luogo dove vivo, la scoperta e la valorizzazione di un prodotto tipico, oppure mi devo lasciar guidare soltanto dalla mia voglia di osare e sperimentare tra i fornelli? «Non credo debba esistere una sorta di gerarchia dell’attenzione» dice Ciccio Sultano. «La mia vera identità, per esempio, è quella del cuoco. E come tale mi muovo e ragiono. Non sono uno storico, non sono un sociologo o un esploratore. La mia dimensione è quella del cuoco, quindi da tale posizione ascolto ciò che mi circonda, senza preclusioni. Ascolto la tradizione, assaggio i frutti della mia terra, mi lascio guidare dalla passione. . . Non vedo il senso di dare la preferenza a un aspetto piuttosto che a un altro. Un cuoco pensa a cucinare e si muove di conseguenza. Non ci sono gerarchie, ma armonia e circolarità». Cucinare è l’arte di variare, alterare, manipolare consistenze, temperature... Un cuoco, un qualsiasi cuoco appassionato che non cucina soltanto per la sopravvivenza quotidiana, dovrebbe avere un occhio di riguardo per i prodotti del proprio luogo. Soprattutto se è uno chef stellato. Che cosa può fare per salvaguardare ciò che si sta estinguendo o che vive ormai solo nei ricordi e nella storia? «Penso che ognuno di noi, nel nostro piccolo e qualsiasi attività svolga, debba pensare a un bene supremo. A questo proposito, mi piace citare il filosofo tedesco Immanuel Kant: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Per il bene di tutti e del futuro di tutti, noi cuochi dobbiamo rispettare la nostra terra, difendere i suoi frutti e tutelarne l’enorme patrimonio gastronomico. È una legge morale», afferma il grande chef siciliano. . . .MANIPOLARE LA Natura degli ingredienti che la nostra terra... Molti cuochi amatoriali (ma anche professionisti) che decidono di intraprendere la strada del personal chef o del gestore di un ristorante casalingo, amano specializzarsi nella cucina tradizionale, nel più pieno rispetto del territorio e delle usanze, soprattutto nella scelta delle ricette e nei piatti proposti. Altri sono più pagina – 14 il primo dialogo dovrebbe essere con il territorio, ma le suggestioni e gli spunti si possono cogliere ovun que, anche nella cucina di altre nazioni IL CARCIOFO IMBUFALITO SARDE A BECCAFICO CON ACQUA FREDDA DI LIMONE creativi, fantasiosi, vogliono essere meno legati al passato e più vicini all’alta cucina. Magari partono anche loro dalla tradizione, ma per interpretarla. Che cosa sarebbe meglio fare? Hai consigli da offrire? «Un consiglio vero e proprio no, se mi si chiede di indicare quale sarebbe la scelta migliore da fare. Sono due atteggiamenti personali, quello della ricerca filologica di un piatto tradizionale e quello della sua reinterpretazione, che hanno entrambi dignità di esistere. Tutto il cibo, se fatto bene, rispettato e amato, ha dignità di essere, dal semplice piatto di legumi cucinato secondo tutti i dettami della tradizione all’invenzione estemporanea del grande chef. La cosa importante non è tanto il filosofeggiare sul risultato finale, ma sul lavoro che vi è dietro. Se il processo ha richiesto amore, cura, attenzione e rispetto, questi valori si riscopriranno nel piatto, qualunque esso sia». La tua esperienza di chef è strettamente legata alla Sicilia, ma potrebbe adattarsi anche ad altre terre. Per te, che cosa significa interpretare una tradizione e fin dove ci si può davvero spingere senza snaturarla? «La mia cucina, lo ammetto, è molto legata alla Sicilia. Ma, non per questo, eseguo con pedanteria ciò che propongo. Mi piace guardare alla Sicilia, certo, ma mi piace anche condividere con chi siede alla mia tavola le seduzioni della cucina di tutto il mondo. Mi piace, insomma, pensare alla cucina con un atteggiamento di apertura dove, perché no, possono trovare posto echi di culture apparentemente distanti da noi. Ciò che voglio dire è che il legame con un territorio, anche quando è intenso, non deve mai diventare prigione, inaridimento o, peggio ancora, banalità». ... CHE il mare, CHE il cielo ci offrono Hai un metodo per cercare un prodotto tipico? «Mi piace essere aperto a tutto ciò che è buono. Proprio per questo sono un curioso, come l’Ulisse di Dante: sono spinto a varcare i limiti della conoscenza gastronomica. Alla fine, comunque, cerco sempre di stare sintonizzato con il meglio che mi sta attorno, che circonda la mia attività in questo luogo». Meglio togliere o meglio aggiungere, in cucina? Tu sei spesso stato definito un cuoco barocco: penso a ricette come gli gnocchi di patate al Ragusano con polpettine di seppia e maiale, che ospitano anche sugo di vongole e cozze e salsa alla carbonara. . . Sulla carta sembrerebbe un azzardo. «Prima di tutto, voglio dire che l’abbinamento di seppia e maiale esisteva già nella cucina tradizionale di Gela, quindi era un accostamento che già si conosceva, non è farina del mio sacco. Per il resto, tutti gli altri ingredienti dialogano fra loro con armonia: perché interrompere, quindi, un ordine naturalmente costituito? La mia non è stata che un’intuizione. . .». Infine, c’è qualcosa che vorresti dire sul legame con la tua terra? «Sì. Che non potrei vivere a lungo lontano da essa». T pagina – SCEGLIERSI UNA NICCHIA conviene, Anche e soprattutto nel cibo. Lo raccontano una foodblogger e uno chef che hanno saputo trasformare uno svantaggio APPARENTE in un’opportunità REALE UNIKPIX - ENVATO S P E C I A L E I N T O L L E R A N Z E 15 INTOLLERANZE pagina – 16 e infine al successo. I consigli di una food specialist che conta davvero nel mondo dell'ALIMENTAZIONE L ei magari è persino capace di dire di no, forse per modestia, forse per scaramanzia. Ma Tiziana Colombo, in arte Nonna Paperina, foodblogger di punta nel mondo delle intolleranze alimentari, ce l’ha proprio fatta. Due libri, uno sull’intolleranza al lattosio, un altro su quella al nichel, e persino una rivista a tiratura nazionale che si trova in tutte le edicole: Zero. Uno Zero che sta per Free, come in Gluten Free: zero lattosio, zero nichel, zero glutine e così via. Ma c’è anche un sottile gioco di parole, con quella “tolleranza zero” (che qui diventa INtolleranza zero) dello storico sindaco di New York Rudolph Giuliani. E, naturalmente, un blog, da cui tutto ebbe inizio: www.nonnapaperina.it. E un’associazione, più le mille partecipazioni, gli eventi organizzati con chef stellati e no. . . Insomma, che l’ammetta oppure no, Nonna Paperina ce l’ha fatta. Oggi è una food specialist che, senza tanti giri di parole, significa che la sua parola e il suo pensiero contano, pesano, sono da tenere in considerazione. Puoi non essere d’accordo, ma non puoi ignorarla. D’altra parte, chi mai avrebbe il coraggio di farlo? Perché il segreto del successo di Tiziana è davanti agli occhi del mondo: una passione smisurata sorretta da un impegno cento volte superiore. Superiore a cosa? Beh, senza dubbio alla media degli esseri umani, viste le attività in cui riesce a buttarsi e a condurre in porto trionfante. «Sarà perché ho la testa dell’imprenditrice e tutte le cose che faccio le affronto con questa testa. Dal 1988 sono direttore amministrativo dell’azienda di mio marito, la Scaglia Trasporti Srl a Basiano, in provincia di Milano. E quando mi sono lanciata in questa nuova avventura, l’ho affrontata da direttore amministrativo, da imprenditore. Se mi si chiede un consiglio, io dico sempre la medesima cosa: fate le cose per bene. Non importa che sia un hobby, un passatempo, una passione da cui non ci si aspetta di guadagnare nulla. . . Fate le cose per bene, come se fosse un lavoro vero e proprio, che vi fa piacere veder crescere e svilupparsi». E Tiziana è una forza della natura. Lo senti da come la sua voce t’incalza, quasi non avesse mai tempo da perdere, neppure per un’intervista. La sua energia quasi si tocca. «A 48 anni ho scoperto di essere intollerante al nichel e poi al lattosio. Già non mangiavo glutine perché mio figlio è celiaco. . . Insomma, ero predestinata! A parte gli scherzi, quando mi dissero che non potevo più mangiare un sacco di cose, mi crollò il mondo addosso. Adoro cucinare, adoro mangiare! Mi sentii morire». E invece? «E invece non mi diedi per vinta e cominciai ad affrontare la situazione. Mi documentai. Imparai che esiste un mondo oltre il nostro orticello. E che c’è altra gente come te, che sta tentando di reagire e di imparare a nutrirsi in un modo diverso. L E A V V E N T U R E D I N O N N A P A P E R I N A TIZIANA COLOMBO. Tutte le immagini del servizio sono tratte dal sito www.nonnapaperina.it. TIZIANA COLOMBO, dalla dirigenza aziendale al blog pagina – 17 CON LO CHEF ANTONINO CANNAVACCIUOLO www.NONNAPAPERINA.it A un certo punto, pensai che mettere in comune queste cose sarebbe stato importante». Molte persone, racconta Tiziana, si perdono di spirito: non si documentano e si avviluppano nella rassegnazione. Del tipo: me tapino, il destino mi ha condannato a una vita miseranda. «Io la vita da triste rinunciataria non la volevo fare. E così ho cominciato a imparare a come cambiare abitudini. In seguito, ho condiviso». PER I CUOCHI A DOMICILIO Ma secondo te, Tiziana, un personal chef fa bene a puntare sulla cucina per le intolleranze oppure no? Può essere un modo per ritagliarsi una nicchia privilegiata? «Io dico di sì, perché le intolleranze e le allergie non sono una moda. Un celiaco che mangia glutine sta male, non si sente più trend!». MA NON è UNO SCHERZO «Attenzione, però. Proprio perché la persona allergica o intollerante non sta giocando, non deve neppure giocare il cuoco a domicilio. Se ti presenti come esperto di alimentazione per intolleranti, devi fare sul serio. Devi conoscere non soltanto la materia, ma anche i tuoi strumenti. Penso alla celiachia: cucinare per un celiaco significa avere pentole, padelle, mestoli e così via che non devono mai essere contaminati dal glutine. Per quanto tu possa lavare le stoviglie, potrebbe sempre restare quella molecola di troppo che scatena la reazione allergica. Tanto che, se dovessi dare un consiglio, direi che occorre un set di strumenti pagina – 18 I N T O L L E R A N Z A Z E R O ! E per gli altri problemi? «Con un po’ di accortezza, l’intolleranza al lattosio e al nichel sono assai più gestibili della celiachia. Magari il nichel richiede un’attenzione in più, perché non si parla soltanto di cibi, ma anche di materiali. Prendi le pentole e padelle, per esempio. Bisogna esser sicuri che siano nichel free, se no vanifichi il risultato. Stai lì a prepararti un intero pranzo privo di nichel, poi cucini in una padella di ferro. . . Niente di fantascientifico o di trascendentale, s’intende. Esistono eccellenti aziende, anche e soprattutto italiane, che producono pentole e padelle a prova di nichel». CON LO CHEF FABIO SILVA da dedicare esclusivamente a questo tipo di cucina. Per dirla proprio tutta, se vuoi proporti come cuoco per celiaci, secondo me devi dedicarti soltanto a quello». pagina – 19 COME IL CACIO SUI MACCHERONI «Ciò che voglio soprattutto affermare, con queste mie sottolineature, è questo: se un cuoco vuole specializzarsi nella cucina delle intolleranze deve assolutamente essere sempre ben informato e non muoversi in modo pressappochista». Puoi fare qualche esempio? «Guarda, ti dico una cosa che sembra banale, invece ho conosciuto un sacco di persone intolleranti al lattosio che non la sanno: i formaggi duri molto stagionati, come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano. non hanno in pratica lattosio. In questi formaggi, la stagionatura ne ha trasformato la quasi totalità in acido lattico. Ciò significa che, in pratica, ne restano tracce infinitesimali, rendendoli ottimi per gli intolleranti». OFFRI CONTENUTI DI VALORE BUCATINI SENZA GLUTINE, POLPO, OLIVE Q U A N D O «Mi chiedi perché Nonna Paperina ha avuto successo. . . Pensaci, se guardi bene, tutto quello che ho fatto è stato informare attraverso tutti i canali possibili che ho trovato. Il blog, che non è fatto di chiacchiere, ma di cose concrete: tutto quello che devi sapere su una particolare intolleranza, per esempio, e poi ricette per tutti i gusti. L’associazione senza fini di lucro, che è diventata un punto di riferimento per tutti quelli che soffrivano di questi problemi. E poi pian piano è venuto tutto il resto, le collaborazioni, i libri, oggi la rivista. Che cos’è tutta questa roba? Informazione. Se offri valore, alla fine la gente si accorge di te, capisce che non sei lì a raccontar storie, ma per condividere cose utili e preziose». L ’ I N F O R M A Z I O N E INVOLTINI DI PEPERONI V A L E LA GRANDE PASSIONE MORTE AL PRESSAPPOCHISMO «È una cosa piccola, in apparenza, ma grande abbastanza da migliorarti la vita. Tantissime persone a cui il lattosio fa male si privano di questa gioia e di questi cibi, eccellenti anche per la salute, per il semplice fatto che sono formaggi, quindi latticini, quindi tabù. Ho scritto i miei due libri sull’intolleranza al lattosio e al nichel soprattutto per questo: perché mi sono accorto che tanta gente affronta le situazioni con pregiudizi, false notizie, convinzioni prese in prestito da altri, pressappochismo». Concludendo: «Se sei intollerante a un alimento, se hai un familiare che lo è, se vuoi specializzarti in questo tipo di cucina per il tuo lavoro, ricordati che l’informazione precisa e corretta è tutto». CAPESANTE CON FINOCCHI PIZZA SENZA GLUTINE CON OLIVE NERE Quindi ricapitoliamo: offrire informazioni di valore e pensare in modo imprenditoriale. «Sì, se no succede che resti prigioniero del tuo orticello e alla fine non tieni un blog, ma il diario della persona intollerante. Non serve a nulla. Non pensare che sia una strategia per far soldi. Se non ti muovi non aiuti, se non ti muovi e non lavori bene, non servi a nessuno. Non è che io mi sia buttata in quest’avventura per soldi: mi ci sono buttata perché la cucina mi appassiona e poi mi ha affascinato anche documentarmi sulle mie intolleranze. Poi ho condiviso. Perché senza una grande passione non puoi realizzare niente». T INTOLLERANZE M A R C E L L O www.atmanavillarospigliosi .it F E R R A R I N I L A C U C I N A D E L L ’ A SS E N Z A MARCELLO FERRARINI. Foto tratta dal sito www.freesenzaglutine.it. M etter sotto lente il successo di Marcello Ferrarini, chef votato per natura e talento al gluten free, non è facile. Forse il segreto sta tutto qui: è stato davvero uno dei primi, dei primissimi, a pensare che anche i celiaci meritassero qualcosa di più, dalla vita. Lo dico perché, tantissimo tempo fa, qualche celiaco vero l’ho conosciuto. Erano anni non sospetti, quando trovare un intollerante era come vedere una mosca bianca. Chi non sopportava il glutine, in quei giorni, era visto un po’ come una bestia rara. Era quello che, se voleva sgranocchiarti un grissino, doveva prendere e andare in farmacia, dove gli vendevano tristi affari lunghi e secchi, dalla consistenza punitiva e dal sapore ancora peggiore. Momenti tristi per l’umanità che non sopportava la proteina racchiusa nel cuore di tanti italici cereali. In quei giorni, insomma, nessuno avrebbe spezzato una lancia in favore di questi malati, che tiravano avanti a risi e risotti, sognando per tutta l’adolescenza di condividere una pizza con gli amici o una spaghettata di mezzanotte. Ecco, Marcello è stato fra i primi a credere che anche i figli di una cucina minore, così lillipuziana da esser inesistente, meritassero uno chef con i fiocchi. Una nicchia su chi nessuno avrebbe scommesso. E invece. . . E invece Marcello, figlio d’arte (nonno chef e mamma espertissima in cucina), che a 30 anni scopre di essere celiaco, su questa nicchia ci scommette proprio, perché è come scommettere su se stesso. «Posso dire di aver cominciato quasi per gioco» racconta. «Mi proponevo come cuoco a domicilio e poi ho visto che le cose stavano prendendo una piega interessante. Così ho fatto una scuola di cucina professionale e sono diventato chef. Lo chef dei celiaci, appunto, cominciando quando a loro pagina – il 22% al centro, il 19% al sud e l’11% nelle isole. e sono più donne che uomini, in un rapporto di 1 a 2 ci pensavano in pochi se non in nessuno». L’intolleranza al glutine è probabilmente una delle più punitive, per chi nasce all’ombra della dieta mediterranea: come hai deciso di affrontare la sfida? «Il vero problema del gluten free non è tanto il sapore in sé, quanto la consistenza delle preparazioni». Spiegami. «Il celiaco, che magari ha trascorso anni senza sapere di esserlo, soffrendo come un pazzo, conosce perfettamente la consistenza della pasta, del pane e della pizza. Quando riproponi le medesime cose in versione gluten free, si attende di percepirne la medesima consistenza ai denti e al palato. E invece il più delle volte non ce l’ha. Da lì la disillusione, il disincanto. L’idea di doversi sempre accontentare di un surrogato». A quanto dici, cucinare per celiaci non è semplicemente svicolare il glutine negli alimenti. «Ovvio. Sarebbe troppo facile. Esistono un sacco di ricette tradizionali che possono essere considerate gluten free, in quest’ottica ristretta. Un minestrone è gluten free, se non ci metti pasta. Una zuppa di grano saraceno è gluten free. Non è questo il problema. Il problema nasce quando proponi il pane. Quando dico a un celiaco: oggi ti faccio mangiare la pizza o un piatto di pasta. C’è una grande aspettativa, perché sono piatti proibiti, quelli per cui sei sempre stato disposto a stare un male cane pur di sgarrare». Quindi il segreto del successo è. . . «è far evitare al cliente lo sgarro. Proporre qualcosa che valga, organoletticamente parlando, tanto quanto lo strappo alla regola. E queste cose, gira e rigira, sono quelle che si possono ben immaginare: i prodotti della panificazione e qualche dolce, anche se l’uso ormai consueto della farina di riso ha dato un valido aiuto». Parliamo di ingredienti, appunto. Un tempo la situazione era disperata. «Lo era davvero. Oggi non è più così, per fortuna. Esistono farine alternative davvero eccellenti, ma per usarle bene occorre tecnica ed esperienza. Perché il problema, lo ripeto ancora, è la consistenza. Basta un albume in più o in meno, un grado d’umidità invece di un altro, ed ecco che cambia la percezione nella bocca. Se sbagli, ecco che scatta la delusione». Sei stato cuoco a domicilio e, in pratica, fra una dimostrazione e una lezione, uno showcooking e l’altro, ancora lo sei. Consigli per chi intraprende questo mestiere? «Parecchi. Innanzi tutto, puntare alle nicchie. Quella delle intolleranze è più nuova di quanto si pensi. Certo, tante cose sono state fatte e tante se ne faranno, ma c’è ancora posto per tutti. L’importante è porsi obiettivi precisi e non improvvisarsi. Vale quanto ho detto per la storia della consistenza: cucinare per chi è intollerante non significa proporre ricette senza un determinato alimento. Troppo facile. Significa invece regalargli un sogno, esaudire un desiderio, una golosità. E questo non è sempre facile da realizzare. Come dico sempre, io non cucino per conquistare i celiaci. Cucino per conquistare Foto di Alfonso Del Forno (https://www.facebook.com/alfonsodelforno). sono 172.197 i celiaci in italia. il 48% si trova al nord, Foto di Monica Bergomi (La luna sul cucchiaio): www.facebook.com/Lalunasulcucchiaio. 21 pagina – 22 https://it-it.facebook.com/chefmarcelloferrarini b y e , b y e , tri s tezza ! i loro accompagnatori. Lo scopo è di rendere impercepibile un’assenza così importante per noi italiani, senza farla in alcun modo rimpiangere a tutti i commensali». Come si ottiene un risultato così ambizioso? «Facendo gli chef per davvero. Sapere che il prodotto finale deve essere non soltanto buono, ma bello da vedere e presentarsi anche al tatto come quello “vero”. Se vogliamo cucinare per le persone intolleranti, dobbiamo essere capaci di stupirle, di far desiderar loro le nostre ricette e di non renderle un triste ripiego. La pasta deve essere pasta, il pane pane, la pizza pizza, non so se mi spiego. L’assenza del glutine, insomma, non si deve avvertire. Soltanto in questo modo sarà possibile cucinare davvero bene per questa nicchia sempre più importante, tanto da destare interesse persino nei normali ristoratori». T SOTTOBOSCO EXPRESS. Foto di Daniela Stratta - Chiediloalladany (https://www.facebook.com/danistratta). INTOLLERANZE U N T I S O R R I S O S A L V E R À NIMA SENSOR. Tutte le foto sono di 6SensorLabs (http://6sensorlabs.com). https://nimasensor.com/ M etti che soffri di celiachia e che sei invitato a un matrimonio, per ritrovarti circondato da una marea di assaggini, finger food, antipasti, sfiziosità e così via. Vorresti mangiar tutto, ma chi si fida? Il piatto di pasta a cui dire "no, grazie, sono intollerante al glutine" lo riconosci. Ma tutta questa robina? E poi, come fai a sapere se i cuochi non hanno contaminato anche i cibi che paiono più innocui? Se l'è chiesto Shireen Yates, CEO di 6SensorLabs e ha cominciato a sognare. «Certo che sarebbe bello se qualcuno inventasse un apparecchietto portatile per analizzare il cibo e scovare tracce di glutine. . .». Detto, fatto. O quasi. L'invenzione si chiama Nima ed è un rivelatore di glutine da tasca o da borsetta. È portatilissimo: è lungo 8,90 cm, largo 2,55 e alto poco meno di 8. In pratica, è più piccolo del mio smartphone. Come funziona? Così: Nima è dotato di capsule monouso in cui s'infila il cibo da analizzare. S'inserisce nell'apparecchio e si attendono due minuti d'orologio. Se nell'alimento ci sono tracce di glutine (inferiori a 20 ppm, 20 parti per milione), apparirà una piccola bocca imbronciata. Se invece è gluten free, eccoti un bel sorriso. La precisione? Oltre il 97 per cento. Grazie a un'app, si collega via Bluethoot con smartphone Android e iPhone. La produzione in serie non è ancora cominciata, ma le prevendite sono aperte da tempo e le prime ordinazioni partiranno verso la metà di quest'anno. E ora parliamo di costi: il Nima Starter Kit Nima (l'apparecchio, tre capsule monouso, un cavo micro-USB e una borsettina da trasporto) costa per adesso 199 dollari (circa 178 euro). Il problema? Per adesso Nima è venduto soltanto negli Stati Uniti. Ma l'apertura ai mercati internazionali non è esclusa, anzi! E non basta: entro il 2017, rivelano da 6SensorLabs, saranno lanciati rilevatori di arachidi e di lattosio. Ma le applicazioni potrebbero davvero essere innumerevoli, affermano, ed essere usato per identificare agenti patogeni, come l'Escherichia coli, triste protagonista di infezioni intestinali e urinarie, anche gravi. T A C A S A T U A I N C A S A D’ A L T R I pagina – • devo usare una doppia batteria di pentole, se un familiare • e se mi specializzASSI come cuoco per celiaci? soffre di celiachia? In questo caso, avrai una e una sola batteria di cucina, così come userai Sarebbe soltanto terrorismo psicologico. L’importante è che ogni strumento solo ed esclusivamente quegli strumenti per fare il tuo lavoro, che si spera di cucina sia lavato davvero bene. Fai attenzione soprattutto a quella consista nel preparare cibo per persone intolleranti al glutine. striscia bianca che si forma nelle pentole in cui cuoce la pasta e che non Anche qui, avere due set di pentole non serve: tanto, le dovresti usare sempre la lavastoviglie riesce a eliminare. soltanto per i tuoi clienti! • QUALI SONO I MATERIALI MIGLIORI PER EVITARE REAZIONI ALLERGICHE? • COME MI DEVO COMPORTARE SE IN UN GRUPPO DI CLIENTI Di certo il silicone è un ottimo materiale, a cui non si attacca nulla e che C’È UNA PERSONA CON INTOLLERA NZE ALIMENTARI? basta poco per risciacquare e lavare. Ma tutti i materiali sono buoni, basta Adatta a lei il tuo menù e non viceversa, a meno che gli ospiti non che s iano ben lavati e non porosi. Per questo è molto sconsigliabile usare superino la decina. Lei si sentirà gratificata e, finalmente, vivrà con gioia mestoli e altri utensili di legno. quest'occasione. Per gli altri, invece, sarà una piacevole sorpresa. T I E N I A M E N T E C H E . . . • A COSA DEVO STARE ATTENTO, IN CUCINA? • VOGLIO CUCINARE PER CHI È ALLERGICO AL NICHEL. Se se i allergico al lattosio, basta che eviti gli alimenti che lo contengono, CHE COSA MI SERVE DAVVERO? non hai bisogno di particolari accorgimenti. Se in casa hai un celiaco, È molto importante che le stoviglie siano nichel free: in caso contrario, i luoghi in cui la contaminazione avviene più spesso sono il forno e la vanificherai qualsiasi altra accortezza. Ma sei fortunato: esistono, anche in dispensa. Basta però separare gli alimenti in contenitori diversi e pulire Italia, prodotti garantiti nichel free dal produttore, basta cercarli. Preferisci bene il forno. Chi è allergico al nichel, invece, oltre agli alimenti deve pentole e padelle con le seguenti diciture: Healthy non Sitck (in caso di badare soprattutto al pentolame: scegli pentole nichel free. antiaderenti), PFOA Free, Heavy Metal free e, appunto, Nichel free. • QUALI SONO GLI UTENSILI DA USARE CON ACCORTEZZA? • CHE COSA DEVO FARE PER CONQUISTARE ALLA MIA CUCINA Quelli che hanno buchi o spazi molto piccoli, come gli scolapasta o i rebbi UNA PERSONA ALLERGICA A UN DETERMINATO ALIMENTO? delle forchette. Per quest’ultime, un’att enta pulizia è più che sufficiente Segui il consiglio di Marcello Ferrarini: proponi qualcosa che abbia il (ma attenzione che non sia rimasto del cibo tra i rebbi, appunto). sapore, ma soprattutto la consistenza, del piatto proibito. Un celiaco lo Per lo scolapasta, invece, sarebbe meglio comprarne uno diverso da quello conquisti, per esempio, con una pizza quasi identica a quella vera o con un usato per tutti gl i altri. Con tutti quei buchini, non si sa mai... piatto di pasta... senza glutine! 24 ESPLORAZIONIpagina – 25 N U O V E I D E E , N U O V I S E Q U E S T O È U N U O V O I n quanti modi puoi cucinare un uovo? Così, di getto, penso alle frittate, alle uova sode e alla coque, all’uovo in camicia e all’occhio di bue (leggi tegamino), alle uova strapazzate, alle omelette. . . Ok, sono sicuro di essermi scordato qualcosa, ma il punto è un altro: puoi cucinare le uova in così tante maniere, che può mancarti la voglia di sperimentarne altri. Perché qualche altro modo c'è e, se ben padroneggiato, ti schiude un mondo di possibilità per stupire i tuoi ospiti, sia che tu cucini per mestiere o per passione. Oh, non temere: non mi metterò a insegnarti a schiudere nel piatto l'uovo perfetto o a calcolare i giusti minuti per farne uno sodo. Nessuna lezioncina su igiene e precauzioni. Voglio soltanto mostrarti tre modi diversi di intendere le uova, con tre esempi d'uso che possano ispirarti. Magari li conosci già, anche se non hai mai avuto il tempo o la voglia di provarli. Perciò, se riuscirò a dartene l'occasione, mi riterrò soddisfatto. EFFETTO MORBIDO Mai sentito parlare dell'uovo morbido? È probabile di sì. L'uovo morbido è il risultato di una cottura prolungata, che conferisce al nostro alimento una consistenza impossibile da ottenersi con i sistemi tradizionali. L'effetto, in soldoni, è questo: albume addensato con leggerezza, ma non sfilacciato e sfaldato come nell'uovo in camicia; tuorlo rappreso soltanto in parte, ancora liquido ma cremoso, dalla consistenza golosa. La magia della preparazione è soprattutto l'equilibrio che si crea, appunto, fra le due consistenze dell'albume e del tuorlo, che in ogni altro tipo di cottura sono sempre sbilanciate, a favore dell'uno e dell'altro. Qui, invece, è come se i piatti della bilancia s'equilibrassero: l'albume contiene il tuorlo, ma non lo prevarica mai come gusto; il tuorlo si rassoda il giusto per farsi crema, per non spandersi nel piatto, ma ancora a rischio scarpetta. S P U N T I pagina – 26 UOVO MORBIDO, con lamelle di asparago di Cantello crudo, burro fuso, Parmigiano Reggiano e aceto balsamico. pagina – 27 Quello che ci frega, nelle cotture tradizionali, è la temperatura: l'albume coagula attorno ai 65 °C, ma gli basta superare gli 80 °C per compattarsi del tutto. Anche il tuorlo comincia a coagularsi verso i 65 °C, ma se tocca i 70 °C si rassoda. Insomma, basta davvero poco per spezzare l'idillio fra bianco e rosso.Quindi, per ottenere albume e tuorlo parimenti coagulati ma non sodi, preservandone la golosa cremosità, devo rendere costante la temperatura che mi serve davvero (ossia 65 °C), per il tempo necessario a farle raggiungere il cuore dell'uovo. E, poiché non posso piantare una sonda nel guscio, mi affido all'esperienza di un sacco di altri cuochi che hanno sperimentato: un'ora basterà. Detto questo, prendi una pentola piena d'acqua (almeno 3-4 litri) e un termometro da cucina. Io ne uso uno a sonda (è proprio quello della foto a sinistra), ma ne puoi usare anche uno più economico. Metti le uova nell'acqua fredda e accendi il fuoco.Dopo qualche minuto comincia a misurare la temperatura: attenzione, quando foto del mio miglior amico ( in cucina ) si arriva verso i 63-64 °C è il momento di cominciare ad abbassare il gas o aggiungere un po' d'acqua a temperatura ambiente, in modo da non far mai superare i fatidici 65 °C. Ci vuole pazienza e un po' d'abilità per continuare con questo giochetto un'ora intera. E anche per sgusciare l'uovo, alla fine, occorre un po' di manualità e delicatezza: non scordarti ti passarlo sotto l'acqua fredda del rubinetto, per bloccare la cottura ma, soprattutto, per non scottarti le dita. Il risultato di tanta fatica, però, ti stupirà. Come lo puoi gustare? Io l'ho provato su fettine di asparagi bianchi, un po' di burro fuso, del Parmigiano e un goccio d'aceto balsamico: te l'ho mostrato nella pagina precedente. Ma è fantastico sulle fondute di formaggio oppure con il tartufo. Da provare in una leggera zuppetta di frutti di mare (possono bastare le sole vongole), magari con qualche crostino. Non hai che da sperimentare. pagina – 28 il soffice gelo Esiste un sistema molto più facile per ottenere un grande risultato con un piccolo tuorlo: congelarlo. L'idea è venuta a Dario Bergamini, nel suo blog La scienza in cucina (http://bit.ly/1Vnd6T5). La sfida: trovare un impiego culinario per i tuorli d'uovo congelati. Ma che cos'hanno di tanto particolare? Facile: la congelazione li fa restare crudi ma, una volta scongelati, sono diventati più pastosi. La bassa temperatura, insomma, opera una sorta di coagulazione del tuorlo e lo rende più denso, cremoso e viscoso, pur preservandolo crudo e senza albume, a differenza di quanto capita con l'uovo morbido. Come fare? Davvero semplicissimo: io ho usato dei pirottini di silicone, ho separato i rossi dai bianchi (che ho usato per altre cose), li ho ricoperti con una pellicola da cucina e li ho ficcati in freezer. Dopo 3-4 ore sono pronti per il consumo: basta scongelarli a temperatura ambiente. Più si tengono in freezer, più diventano sodi. Se superi la settimana, si coagulano del tutto e sono più difficili da usare. Ma basta aguzzare l'ingegno e qualcosa si trova sempre, se si vuole. sistema per friggere un tuorlo d'uovo senza rischiare che ti squagli fra le dita: una volta scongelato, puoi prenderlo in mano delicatamente, ricoprirlo con l'impanatura che preferisci e friggerlo velocemente: fuori croccante, dentro cremosissimo. Proprio come in questa pagina, sopra un trono di asparagi verdi. più compatto e concentrato. E più acqua tolgo, più diventerà sodo. Ma come la levo, tutta quest'acqua? Come da secoli si elimina da altri alimenti deperibili: con il sale. Se un trancio di merluzzo fresco diventa un conservabilissimo pezzo di baccalà grazie alla salatura, probabilmente la medesima cosa capiterà a un rosso d'uovo. MARINATURA BREVE E LUNGA Qui, nella foto sopra, vedi una carbonara perfetta, vellutata pur senza panna, scaturita dalla tecnica di Alessia Vicari, chef nota soprattutto per le sue apparizioni su Gambero Rosso Channel, che con questa ricetta ha raccolto il guanto lanciato da Bergamini. Ma puoi pensare a cose ancor più esaltanti: che ne dici di un raviolone farcito proprio con un tuorlo intero? Oppure, puoi usare questo L'uovo marinato, lo sanno (quasi) tutti, lo ha inventato Carlo Cracco. L'idea può apparire scontata, una volta compresa, ma farsela venire in mente è stato davvero un colpo di genio. Il tuorlo, che dell'uovo è la parte più complessa e gustosa, è ricchissimo d'acqua. Se la tolgo, ciò che rimane sarà Allora prendi del sale grosso e dello zucchero di canna, in egual misura, e mescolali in una ciotola. Per le quantità, vai pure a occhio: dipende da quanti tuorli vuoi marinare. Io ti consiglio di cominciare da tre, come direbbe la buonanima di Massimo Troisi: in questo modo, potrai sperimentare differenti gradi di marinatura in un colpo solo. D O M A N D E E R I S P O S T E pagina – • Posso fare un uovo morbido con un normale forno elettrico? In teoria sì. In pratica, il forno si gestisce peggio di una pentola sul Comincia con lo spargere uno strato di sale e zucchero nel tuo recipiente di ceramica: dovrai ricoprirne uniformemente il fondo. Con le dita, sagoma tante buchette quanti sono i tuoi tuorli: faranno un po' da nido. Sguscia le uova, separa i rossi dai bianchi (li userai per altro) e, con delicatezza, magari aiutandoti con un cucchiaio, deponi ciascun tuorlo nella sua buchetta/nido. o come accompagnamento a piatti a base di formaggio, come la classica fonduta valdostana, tanto per dirne uno. Se però spingi fino a una settimana l'essiccazione dell'uovo, ecco che ti ritrovi fra le mani qualcosa di davvero insolito: un uovo da grattuggiare o da sminuzzare sui tuoi piatti. Lo puoi provare su un risotto agli asparagi, per esempio. Ok, hai portato a termine il compito più difficile. Da qui in avanti è una passeggiata. Prendi il restante mix di sale e zucchero e ricopri con delicatezza i tuorli, fino a sommergerli completamente. Non ti resta che attendere. Più le ore trascorrono, più il sale e lo zucchero assorbiranno acqua dall'uovo e più lo asciugheranno. Se invece la marinatura arriva a 15 giorni (ecco il perché dei tre tuorli), ottieni una vera e propria "bottarga" d'uovo: l'acqua sarà stata assorbita praticamente del tutto e il tuorlo sarà duro, compattissimo. Provalo sui primi piatti di pesce, per esempio, come degli spaghettoni in bianco alla seppia o ai totani, oppure su semplici tagliolini all'uovo, magari affettandoci sopra del tartufo bianco e rendendo il tutto ancor più goloso e prezioso. Per avere "l'uovo alla Cracco" sono sufficienti 3-4 ore: il sale e lo zucchero avranno assorbito parecchia acqua e l'uovo si sarà parzialmente coagulato. Con un cucchiaio, quindi, rimuovilo con delicatezza e sciacqualo nell'acqua fresca, per eliminare l'eccesso di sale. In questa forma, le uova marinate si conservano un paio di giorni in frigorifero. Si possono usare in molti modi, soprattutto nelle insalate Ma, a questo punto, è il momento di far entrare in campo la fantasia: hai fra le mani il tuorlo grattugiabile di un uovo, che puoi aggiungere come fosse formaggio potenzialmente sopra qualsiasi pietanza, facendo strabuzzare gli occhi a ogni tuo commensale. Sorprendili con questa finta bottarga che. . . non sa di pesce! T fornello. Devi scaldarlo a 65 °C (e non è detto che sia semplice raggiungere tale precisione), inserire una bacinella d'acqua alla medesima temperatura (con dentro almeno un uovo) e sperare che tutto resti a 65 °C per un'ora, controllando con un termometro a sonda. Quasi un terno al lotto. • E SE USO UNA SLOW COOKER? Le pentole slow cooker, molto spesso, non hanno termometri che indichino la temperatura. Saresti costretto a usare un termometro a sonda piuttosto preciso. Inoltre, mantengono in modo assai ballerino i gradi raggiunti, che di solito superano di molto i 65 °C. E non c'è modo di intervenire. Altro terno al lotto, insomma. Inutile: l'ideale sarebbe avere un bagno termostatico. Se t'interessa, di slow cooker parlo a pagina 45. • UN UOVO CONGELATO è anche pastorizzato? No. La congelazione non pastorizza un bel nulla. Alcuni agenti patogeni possono sopravvivere anni persino a bassissime temperature. Se usi tuorli congelati, quindi, devi riservare loro le medesime precauzioni igieniche che avresti con quelli freschi. • quanto posso conservare un tuorlo congelato? Anche sei mesi. Devi però tenere presente che più tempo trascorre nel freezer, più perde acqua e diventa compatto e sodo. • QUANTO DURA LA BOTTARGA D'UOVo? Difficile stabilirlo con precisione. In teoria, parecchio tempo: dopo tutto, si tratta di un alimento a cui è stata del tutto tolta l'acqua, lasciando soltanto l'elemento secco, assai meno deperibile. Però un minimo di precauzione ci vuole. Io conservo i tuorli interi in un barattolo di vetro in frigorifero per non più di uno o due mesi, a scanso di rischi. Possono anche essere congelati singolarmente: di sicuro durano molto di più. 29 WEB & FOOD I 5 D E L pagina – 30 E R R O R I I N F A M I T U O S I T O V U O I AFFOSSA RE L A TUA ATTI VI Tà S U INTERNET? ALLO RA TAGL I ATI DA SOLO L E G A M BE CON QUESTE T E RRIFICANTI CA Z Z ATE CH E TUTTi DOVREBBERO EVITARE T e l’hanno cantata in tutte le solfe: se non sei su internet, non esisti. E allora tu, da quel bravo panettiere, cuoco, personal chef, maestra o maestro di cucina che sei, hai pensato che fosse l’ora di creare un sito tutto tuo, che ti presentasse al mondo. Che magari ampliasse la tua ristretta cerchia di contatti, che male non fa, vero? Anzi, diciamocela tutta. Oggi far volantinaggio o chiedere porta a porta se a qualcuno serve un cuoco a domicilio o un corso di cucina, non è l’azione più furba del mondo. Soprattutto se nel frattempo campi con un altro lavoro. L'idea del sito, quindi, ti conquista. Ti sei guardato in giro e ti sei fatto qualche idea. Hai visto ciò che ti piace e qualche amico ti ha rivelato che farsi un blog è facile davvero. Molto più semplice di quanto la gente immagini. Oppure no? Beh, lascia che te lo dica: oppure no. Creare dal nulla il sito per la tua attività non è la cosa più elementare del mondo. Ci vuole lavoro, impegno e, soprattutto, occorre svicolare dagli errori che potrebbero rovinare la tua immagine, invece di sostenerla. Scusa, che cosa hai detto? Il cugino del cognato di un tuo amico afferma che non devi credere a tutte le baggianate sul marketing online che trovi un po’ dappertutto? Che basta affidarsi a una delle tante eccellenti piattaforme gratuite per risolvere la faccenda in una o due ore al massimo? Benissimo. Credi pure a lui, che magari neppure ce l’ha un sito internet. Se invece ce l’ha, buttaci un occhio per vedere quanto è affidabile la sua opinione: se ha commesso almeno 2 dei 5 errori infami che ti sto per elencare, NON SEGUIRE I SUOI CONSIGLI! 1. IL SITO è LA VETRINA DELLA MIA ATTIVITà Questo errore l’abbiamo fatto tutti, chi più chi meno. Nel mazzo mi ci metto pure io, perché anche il sottoscritto ha buttato via un bel po’ di tempo, prima di vedere la luce. Ti faccio il quadro e dimmi se sbaglio: sei un aspirante foodblogger, un novello cuoco a domicilio, vuoi aprire o pubblicizzare la tua scuola di cucina, vuoi far conoscere al mondo il tuo ristorante privato e allora ti sei detto: bene, mi faccio un sito dove dico due cose su chi sono e che cosa faccio, un bell’indirizzo, un numero di telefono e - mi voglio rovinare - pure il link a una pagina su Facebook, che non guasta mai. Che ci vuole? In fin dei conti, sono due robe in croce. Dopo tutto, il sito mi serve come vetrina, tanto per far capire che su internet ci sono anch’io e che se vuoi cercarmi con Google, mi trovi. Ti faccio i miei complimenti, perché sei davvero un omettino dell’Ottocento, a pensarla così. Consolati, perché sei in buona compagnia. Sai quanti amici ho che la pensano come te? Quasi tutti. E se dici loro che il giro del fumo non è quello, ti guardano come se l’ingenuo fossi tu, che la fai difficile difficile. Allora lascia che ti riveli un segreto di Pulcinella: internet è una rete mondiale. Significa che collega ogni giorno miliardi di persone. Secondo te, perché proprio la tua vetrina dovrebbe spiccare fra miliardi TUTTE le immagini di questo servizio sono state rubate da http://someoneatethis.tumblr.com/. Someone ate this significa "qualcuno lo ha mangiato..." pagina – 31 M A C H E di altre? Eh, dirai tu, mica mi devono trovare quelli di Nairobi o di Pechino. Mi basta che mi scoprano quelli del mio paesello. . . Beh, se il tuo paesello è Milano, o Roma, o Napoli, o Bari, sei già messo male. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone. Ripeto: perché proprio la tua homepage dovrebbe sbucare dal nulla? Perché tu dovresti essere più bello di altri, ammesso e non concesso che tu appaia davvero fra le prime pagine di Google? Scommetto che mi stavi rispondendo così: «Sono uno chef davvero bravo e uso materie di primissima qualità», «La mia scuola di cucina è davvero condotta bene», «Il mio ristorante privato è l’unico a fare vera cucina del territorio» e via dicendo. Guarda, ci credo. Credo fermamente in tutto quanto mi dici di te. Peccato che ci creda solo io. Nessun potenziale cliente ha la possibilità di saperlo, però. Anche perché il tuo sitovetrina, ammettiamolo, è identico a tutti gli altri: una piccola presentazione, qualche foto né bella né brutta (se va bene), un indirizzo, un numero di telefono. Più che una vetrina, sembra un giorno di Quaresima. «Ma l’importante è essere su internet. . .». Che l’importante sia partecipare vallo a raccontare a quelli delle Olimpiadi. Se sei su internet per C O S’ È ? far numero, puoi anche lasciar perdere e risparmiarti la fatica. Non ti servirà a nulla. Tu devi essere su internet per farti notare. Se non ti fai notare, hai perso. Della tua partecipazione non frega a nessuno. E nessuno ti noterà mai, se il tuo sito si limiterà a essere una vetrina, ossia un grosso e anonimo biglietto da visita virtuale che non attira nessuno, che non incuriosirà nessuno. Stampati in testa questa massima: IL SITO È UNO SPECCHIO Scrivitela su un post-it e appiccicatela in bagno, così la vedi tutte le mattine. Se vuoi che qualcuno s’interessi a te, il tuo sito deve rispecchiarti. Deve essere una tua estensione, un veicolo per comunicare agli altri le tue passioni, i tuoi interessi, la tua personalità, la tua ricerca. Tutte quelle cose, insomma, che ti rendono unico. Non ho detto che sia facile. Ma questo è l’obiettivo a cui devi mirare. E pensare al tuo sito come a una semplice, onesta, insignificante vetrina, simile a miliardi di altre, non t’aiuta. Anzi, ti sputtana subito. Se il tuo sito è come tutti gli altri, anche tu sei come tutti gli altri. E se sei come tutti gli altri, allora non sei nessuno. Ricordatelo sempre: il sito è uno specchio, non una vetrina. pagina – 32 2. Un sito gratuito basta e avanza Questo infame errore è figlio del precedente. Come vedrai, questi sbagli colossali sono tutti incatenati fra loro, come i pezzi del domino: parti con un mattone storto e tutta la torre che costruirai la puoi fin d’ora regalare ai pisani, così fanno il paio. Certo, se pensi che il tuo sito, invece di rispecchiare l’intera tua personalità, debba esser solo un ipertrofico biglietto da visita, allora prego, accomodati pure e inanella la tua seconda, preziosissima cazzata per quella collana di cazzate che presto userai come collare del tuo fallimento. Con il quale potrai buttarti a mare. «Ma scusa», mi dirai, «io non ho un euro e non so neppure se quest’attività mi porterà mai un soldo. E tu sei qui a dirmi che non dovrei approfittare delle risorse a costo zero che riesco a procurarmi? Non mi proporrai mica di spendere migliaia di euro con un’agenzia, vero?». No, non lo farei mai. Sia per quello che hai appena detto e che è verissimo, sia perché un’agenzia - ammesso e non concesso che faccia un buon lavoro - non sarà mai in grado di darti un sito che ti rispecchi davvero. E poi ti chiederà sul serio un sacco di soldi. Ma di quest’argomento parleremo un’altra volta quando, fra le altre cose, ti rivelerò come lavora il 98% delle agenzie e che cosa ti propineranno per un sito da 1.500/1.700 euro. Ora mi limito a dirti che, se apri un sito gratuito, commetti una cazzata. Perché proprio una cazzata? Perché le cazzate, quando le fai, non te ne accorgi subito. Anzi, magari ti sembrano una figata pazzesca, ti fanno sentire furbo, intelligente, addirittura accorto e prudente. «Guardali lì, tutti quei cretini che buttano via tempo e denaro per i loro siti. Io ho frugato due minuti su internet e ho trovato chi me ne regalava a manciate! E vuoi saperlo? In un paio d’ore al massimo ho fatto e finito il mio. Figo, non è vero?». No, per nulla. Ma per il momento non te ne accorgi. Lo dico per esperienza. Già, perché questa è stata la mia seconda cazzata (la prima è stata credere che il sito sia una vetrina). Un giorno mi sono distrattamente chinato e. . . zac! Eccoti la cazzata che ti prende alle spalle proprio quando non ci pensavi più! Vuoi sapere in che modo mi sono metaforicamente chinato, lasciando del tutto indifese le terga? Quando mi sono cercato su Google. Proprio così. Lo ricordo come se fosse ieri. Prima clicco “personal chef Varese”. . . Toh, non ci sono. Ehi, ma sono già arrivato a sfogliare fino alla ventesima pagina e ancora non ci sono! Oddio, forse ho preteso troppo. . . vediamo di abbassare un po’ la cresta. Proviamo “personal chef Cantello”, che è il paesello dove abito io, giusto 3.000 anime a dir tanto e voglio vedere se ci sono altri cuochi a domicilio, fra di loro. Niente neppure qui. Ma com’è possibile? Ok, andiamo giù pesante: “Giorgio Giorgetti pagina – 33 P R I M A R E G O L A : I L S I TO è I L T U O S P E C C H I O , NO N U NA V E T R I NA . S E CO NDA R E G O L A : NO N M E NT I R E M A I , NE P P U R E A T E ST ES S O. T E R Z A R E G O L A : FO R M A E CO NT E NU TO VA NNO D I PA R I PAS S O. personal chef”. Se non appaio adesso. . . ecco, appunto, non ci sono! Coooosa? Non ci sono neppure con il mio nome e cognome? Ma non ci credo! volte meglio. Perché il nostro caro Google almeno i siti di Blogger li rispetta: tutti gli altri no. Magari perché Blogger è di sua proprietà? Mah. . . Credici, invece. E te lo dico io com’è possibile. Te lo dico perché l’ho scoperto, come hai letto, a mie spese: Google snobba i siti gratuiti. Bada bene: non è che non li indicizza, ossia non li legge e non li mette fra le sue pagine. Però pensa che sia roba di poco conto. Perché sono gratuiti? No, perché sono sottositi. Spesso sotto sotto sottositi. Hai presente una scatola di pastina da 500 grammi? Ecco, Google vede molto bene la scatola, ma pensa che ogni singolo grano di pastina non sia, dopo tutto, molto importante. Se proprio non ha altro da mettere in pagina, magari ti ci ficca pure, foss’anche in decimillesima posizione. Ma non è che ti considera poi tanto. . . Torniamo a noi. Ora che hai visto con i tuoi occhi, sarò un po’ più tecnico e ti illustrerò a parole - dato che ormai non ne esiste più traccia - com’era il mio primo sito su Wix. Avevo scelto Wix perché aveva siti più eleganti e moderni degli altri. Inoltre, avevano anche una caratteristica importante che mi aveva convinto: sono siti responsive, che nel gergo dei webmaster significa “un modello in grado di adattarsi ai dispositivi mobili”. Sto mentendo? Ok, allora, se hai un sito gratuito, vai su Google e provaci tu stesso. Mettici pure il tuo nome e cognome e la città in cui operi. Visto? E pensa che il tuo eventuale (ora davvero molto, ma molto eventuale) cliente non ha il tuo nome e non sa neppure che sei un personal chef o che hai una scuola di cucina. Guarda un po’, va così male che, se avevi un comunissimo blog di quelli che ti apri in cinque minuti con Blogger (noto anche come Blogspot), era cento Una figata, insomma! Ed era gratis. Ecco il mio link: giorgiogiorgetti.wix. com/personalchefvarese. Che cos’ha che non va, questo link? Che io SEMBRO essere in primo piano, ma in realtà sono stato sbattuto in un sottodominio di un dominio immenso come quello di Wix, che è come dire esser ficcato in un sottoscala o, ancor meglio, esser grano di pastina fra migliaia di altri granelli. La colpa è tutta di quel “wix.” che annulla la mia presenza e che mi pianta nella sua batteria intensiva di polli d’allevamento, tutti uguali, senza caratteristica di spicco alcuna. Senza caratteristica di spicco per Google, intendo, che non è proprio in grado (anzi, diciamo che non ha tempo pagina – 34 D I S G U S T A M I ! da perdere) di frugare fra tutti quei volatili identici fra loro e starnazzanti. Per farla corta: potevo metterci il mio nome e cognome, il luogo dove lavoravo e, appunto, la mia professione, ma non mi vedeva nessuno. Ce ne sarebbero altri, di motivi, che dovrebbero tenerti lontano dai siti gratuiti. Ma non credi che questo basti e avanzi? Capisci anche tu che, a questo punto, c’è una cosa sola che puoi fare, mi dispiace: devi rimboccarti le maniche e farti il sito da solo. Difficile? Ni. Dipende. Ma questa è un’altra storia e bella lunga. Ne parleremo in altri momenti. Se mi segui sul blog, vedrai che il modo per farlo esiste e può persino essere appassionante. 3. LE IMMAGINI NON CONTANO. CONTA LA QUALITà DEL CIBO Se ragioni così e ne sei persino convinto, non perdere più tempo. Molla qui l’articolo e dedicati ad altro. Che so? Ad aprire un sito gratuito, per esempio. Guardiamoci negli occhi: io credo in te e nella tua bravura. Per me sei il più grande chef, insegnante di cucina, foodblogger, ristoratore, pasticciere, fornaio del mondo. Te lo sto dicendo con sincerità e con tutto il cuore. Ma, come ti ho detto prima, sono l’unico ad avere in te una fiducia così cieca. Sono la tua dannatissima cieca fortuna. Tutti gli altri invece ci vedono benissimo, come la sfiga. E vedono le foto che metti sul tuo sito. Foto di merda, cibo di merda: un’equazione pagina – 35 che abbatte ogni eufemismo. Su Pinterest, su Instagram e su Facebook esistono pagine e pagine che collezionano le foto più ributtanti prese proprio da siti di chef, di foodblogger, di appassionati che, come te, s’illudono che le immagini non abbiano alcun peso, in confronto alla qualità dei loro manicaretti. E questo è un ragionar da stupidi: poiché nessuno può condividere in rete profumi e sapori, gli occhi restano l’unica porta dell’appetito, oltre che dell’anima. No, quello che ti propongo è di curare le immagini che fai tu. Di guardarle con occhio critico e, se fanno schifo, di non pubblicarle. Ora, può capitare che tu faccia parte di quella rarissima selezione di esseri umani che ritengono perfetta e innamorante qualsiasi cosa da loro prodotta, cacca compresa. Però ne dubito, ne dubito fortemente assai. E se io vedo una foto ripugnante, sento che anche il cibo è ripugnante. Non si scappa. Se pensi il contrario, sei un illuso e un ingenuo. Perché tu, come essere umano, sei attratto dal bello, dal fresco, dal pulito. Infatti, non ricordo una pubblicità del Cornetto Algida in cui frotte di nonnine con treppiede zampettano come tacchine zoppe su una spiaggia assolata. . . Non la ricordo perché non l’hanno fatta e non la faranno mai! Indovina perché? Prova sul campo: stai notando le foto di quest'articolo? Non ti disgustano? Non ti stanno rendendo addirittura difficile seguire il discorso? Bene, ho detto tutto. . . Il primo: le immagini non contano, conta la qualità del cibo (già sentito?). Perciò, quando mostri una foto immonda, che grida vendetta al cospetto di dio e degli uomini, mostri un Cornetto Algida azzannato da una geriatrica dentiera. Fa schifo la dentiera, fa schifo il gelato. «Senti, amico» dirai «avrai anche tutte le ragioni del mondo, ma io faccio il cuoco, mica il fotografo. O mi stai dicendo che dovrei cercarmene uno? I soldi me li dai tu, vero?». Beh, certo, se tu avessi al tuo seguito un fotografo professionista non sarebbe male. Ma immagino che non tutti siano così fortunati, La verità è che tu pubblichi foto ripugnanti per questi quattro veri motivi: Il secondo: meglio di così non le so fare. Non sono un fotografo. Il terzo: le gente che ha mangiato questo piatto l’ha adorato, mica sono stati a vedere se era bello o brutto. Il quarto: sì, adesso devo preoccuparmi anche delle immagini? Il primo pensiero è un errore infame. Te l’ho già rivelato. Se in testa ti circolano cose come il terzo pensiero, allora sei scemo. Scusami, sai, ma è inutile girarci tanto attorno. Dimmi come fa uno sconosciuto su internet ad assaggiare per davvero un tuo piatto. Se me lo dici e mi convinci, allora lo scemo sono io. Il secondo pensiero è lecito. Se hai fatto solo quello, sei sulla buona strada. Perché hai ragione: non sei un fotografo professionista e neppure puoi pagartene uno. Aspetta, cosa stai dicendo? Sì, bravo, mi hai anticipato: devi imparare a fare da te foto migliori. pagina – 36 Impossibile? Assolutamente no. Basta un po’ di autocritica, qualche attrezzo giusto e buona volontà. Non ti prometto che diventerai il genio della fotocamera, ma scatti decenti ne tirerai fuori, vai tranquillo. Il quarto pensiero è. . . ok, è umano. L’ho fatto anch’io, prima di prendere in mano la mia reflex e di convincermi che dovevo lavorare per raggiungere un risultato. Puoi farlo, questo pensiero, ma per cinque minuti. Poi rimboccati le maniche e vai a fotografare! Questo discorso delle foto mi porta al quarto, inverecondo, vergognosissimo e infame errore. . . Così infame che, ogni volta, non credo che a qualcuno venga in mente di farlo. . . E invece. . . 4. FOTO BELLE, MA NON DEI MIEI PIATTI Attenzione, attenzione, perché lo dico subito per non essere frainteso poi: qui non ti parlerò di chi ruba foto dai siti altrui, spacciandole per proprie. Quello non è un errore, è stupidità. E la stupidità sarà argomento di altri articoli. Qui esamino soltanto le cazzate: quelle azioni che paiono furbe lì per lì (e lecite, e oneste), ma che poi si rivelano armi a doppio taglio, capaci di affossare tutti i nostri sforzi. Quindi, ti parlo di chi usa foto professionali che non hanno nulla a che vedere con le proprie realizzazioni, pur facendo finta di sì. Questo far finta, di solito, significa non dire nulla, tacere. Tanto, chi vuoi che abbia il coraggio di fartelo notare. . . pagina – 37 Di solito capita così: quando ho aperto il mio sito (gratuito), vi ho trovato incluse parecchie belle immagini. Le tengo: sono graziose, fanno scena e attirano i potenziali clienti. Che male c’è se non illustrano proprio i miei piatti? Oppure: internet è pieno di posti dove regalano foto molto ben fatte, non infrangi nessun copyright e le puoi usare liberamente. E sono meglio di qualsiasi cosa io possa scattare. . . Bello, vero? Bello, sì. Però è una cazzata. Ormai sai che cosa intendo per cazzata: quell’idea che sembra furba ma, quando meno te l’aspetti, t’aggredisce con tutta la sua violenza enteroclismatica. Ti racconto questa: un giorno vedo sul sito di cucina di un mio conoscente una bellissima foto di patate soffiate. Per chi non sapesse che cosa sono, pensi a una fettina di patata fritta che, invece di essere modello Pai o San Carlo, è molto più scenograficamente gonfia. Niente di trascendentale, per carità, ma io non le avevo mai fatte e, tra la bellezza della foto (ignoravo che il mio amico fosse così abile) e la ricetta che non avevo mai sperimentato, mi erano rimaste in mente. Un giorno capita che ci sentiamo al telefono e mi tornano in mente le patate. «Ma le patate soffiate ti sono venute al primo colpo?», dico. U N B U O N D E N T I F R I C I O è S E M P R E U T I L E, P R I M A O P O I «Ma per patate soffiate intendi quelle sottili sottili che si gonfiano?» «Sì, quelle. . .» e stavo per dire «quelle che ho visto sul tuo sito». Ma lui mi precede: «Mai fatte le patate soffiate, non saprei neppure dove cominciare». Mettiamo che ti capiti con un cliente, che dici? Oppure, hai sul tuo sito immagini di piatti alla food design, mentre tu a malapena sai usare il coppapasta. E il cliente che pensa: ma allora quelle foto non sono sue! Già, non sono tue. Certo, se pensi che il tuo sito sia una vetrina, allora il tuo ragionamento va bene. Peccato che il tuo sito sia uno specchio che, agli occhi del mondo, riflette la tua personalità. Perché è questo il peccato più grave: basi su una menzogna il tuo rapporto con il cliente. E non ha senso: è come se su Facebook mettissi la foto di Robert Redford da giovane e la spacciassi per tua. Non scherzo, è la medesima cosa. Se menti, appariranno menzogne. E le menzogne hanno le gambe corte, soprattutto in cucina. Ma a proposito di bugie. . . 5. I miei testimonial? Solo modelle, of course Lo so che non ci credi, ma ti scongiuro di farlo. L’ho visto, con i miei occhi: c’è chi usa pagina – 38 immagini di fighi e fighe raccattate da internet per testimoniare la bontà della sua cucina. Sì, proprio così! Tanto, chi vuoi che se ne accorga, pensa la volpe? Oh, certo, sappiamo tutti che, ovunque tu vada, lavori sempre e soltanto per manzi e puledre di prim’ordine! E ci crediamo, tranquillo. Oh, se ci crediamo! Ora: se mi hai combinato un’assurdità di questo tipo, tu hai davvero qualcosa che non va e devi farti un profondo esame di coscienza. Oppure rivolgerti a uno specialista, perché tanto normale non sei. Continuo a dirti che il tuo sito è il tuo specchio e tu menti così spudoratamente? Ma chi potrebbe mai prenderti sul serio, se ti abbassi a queste cose? O forse pensi che la gente sia scema? Fantastico: in un colpo solo hai mentito e dato dello stupido al tuo potenziale cliente. Sei un genio del web marketing: presto, offrite un Nobel a questo diversamente astuto! A parte gli scherzi: se menti, ti tagli le gambe da solo. Sempre. Il brutto di queste cose, però, è che non sai quando ti fregheranno. Magari da subito, perché nessuno prenderà mai sul serio un poveretto che fa queste cose. Oppure un giorno, davanti a un cliente. Eppure c’è chi lo fa, con effetti a volte talmente ridicoli, che non si capisce se è autoironico o imbecille. Come quello che, sotto foto di cotanto quarto di bue, scrive (giuro che è vero, potessi morire in questo istante): “con lo chef Tal dei Tali la mia ragazza ha finalmente provato l’orgasmo culinario!”. Non hai testimonial? Ok, non li hai. Punto e basta. Magari sei alle prime armi, magari non ti ha ancora filato nessuno. Non è un crimine. Succede. Ma mettere la foto di una modella non solleverà le sorti della tua immagine: passerai soltanto come uno che non ha rispetto di sé e degli altri. E, soprattutto, insinuerai il sospetto che - finto il testimonial - forse è finto anche tutto il resto. Eppoi, se ci pensi bene, dei testimonial veri ce li hai, non hai bisogno di cercarli fra le riviste di moda. Dove sono? Ma i tuoi amici e i tuoi parenti, e chi se no? Vuoi dire che non hai mai cucinato per loro? O insegnato una ricetta? Quelli sono i tuoi più veri testimoni, possono giurare davanti al mondo che pensano di te tutto il bene possibile e, soprattutto, belli o brutti che siano, avranno facce e corpi normali. Saranno credibili. Saranno veri. Perché è questo che devi mostrare sul tuo sito: verità, realtà. Anche e soprattutto quando è difficile. La verità potrà anche essere scomoda, ma cadrai sempre in piedi. Con la menzogna, invece, fai pochi passi. Sempre. Ecco, questi sono gli errori che, appena li compi, t’infamano subito. E sai perché? Perché sono tutti figli di una pessima madre: il mio sito è la vetrina della mia attività. Non è così. Il tuo sito è lo specchio in cui ti rifletti e attraverso il quale t’osservano gli altri. Se il tuo sito è simile a quello di tanti altri, sei solo uno dei tanti. Se è pieno di menzogne, sei solo un bugiardo; se è sciatto, allora sei sciatto in tutto. Il sito sei tu. Deve essere te. Pensaci: è l’unico modo che hai per farti conoscere davvero, per distinguerti dagli altri. Cosa non facile, ne convengo. Ma non impossibile. Prendere coscienza di questi cinque errori (ed evitarli o tentare di correggerli) è il primo passo. Il prossimo seguirà. T BICCHIERI & BOTTIGLIE pagina – 39 quando la s tagio ne V I N I D I P R I M A V E R A L a primavera è una buona stagione per bere vino. Cambia la cucina, che si fa più leggera, essenziale, fresca. Restano in cantina i rossi importanti, si stappano le bottiglie più spensierate. Il cibo e il vino si uniscono in matrimoni poco formali. I bicchieri invitano più alla compagnia che alla meditazione; gli incontri romantici si sprecano, si moltiplicano, perché più che promesse eterne, in primavera sbocciano flirt, avventure, temerarità, provocazioni, scappatelle. Sarà quindi per colpa di tutto questo pizzicorino che ci elettrifica la pelle e il cuore, che per me la primavera è soprattutto la stagione delle bollicine. Stanno bene con quasi ogni piatto di questi mesi e scuse per non berne a tutto pasto non esistono proprio. Bollicine nobili, come quelle del Metodo Classico, oppure più popolari e schiette, come quelle degli spumanti Metodo Charmat, a me piacciono entrambe, le amo sempre. E così mi metto a parlarne subito subito, per qualche riga. . . . BOLLICINE Il Metodo Classico, lo sai, è quello dello Champagne, che in Francia chiamano Metodo Champenoise. È il medesimo modo con cui si fanno i grandi spumanti italiani, quelli del Trentino, quelli della Franciacorta, tanto per stare sui notissimi. Non te lo spiego, tanto non t’interessa e poi c’è Wikipedia. Ti basti sapere che il suo trucco è di far fermentare il vino, già fermentato una prima volta, per una seconda volta dentro la bottiglia. Basta buttarvi dentro altri lieviti e qualcosa che li sfami: il frutto di quest’operazione è un vino elegante, profumato di pane e di brioche. I suoi profumi floreali e fruttati sono stati tirati a lucido, come in un vestito d’alta moda. Fai un po’ fatica a riconoscerli, tanto sono luminosi ed affilati, ma quando li carpisci non vorresti smettere di goderne. Il Metodo Charmat usa invece strumenti più moderni. È il metodo, ma lo sai, con cui si chiama pagina – 40 crea il Prosecco. Anche qui il vino fermenta due volte: non in una bottiglia, però, ma in una grande autoclave. Qui nascono vini prêt-à-porter, più giovani dei precedenti, magari meno sofisticati ed eleganti, ma carichi di profumi primaverili che riconosci subito, che ti frizzano sul palato, ti corrono su per il naso e per la schiena. Se vuoi giocare, questi sono i vini che in primavera aiutano i tuoi flirt a prendere pieghe spensierate. Abbinamenti: nella stagione degli amori, tutto è lecito. Ti dico dove le bollicine non mi piacciono: sui formaggi, tutti. Quelli stagionati e quelli freschi. Trovo che gli spumanti esaltino troppo le loro caratteristiche più dure (l’acidità, la piccantezza, la sapidità) e li rendano fastidiosi. Ma tu, se sei in vena di trasgressioni, fai pure. La stagione è bella per questo. Molti adorano il Parmigiano con gli spumanti, io no. Ma è questione di gusto, non ti detto legge. Vogliamo andare sul figo? Spumante Metodo Classico sempre la sera, come una petite robe noire, qualunque cosa tu serva, dall’aperitivo al secondo piatto, magari una carne non troppo impegnativa con una salsa leggera e bianca, che non sfigura mai. Dove mi piacciono: sul pesce, sulle carni bianche. Banale? Non ti do torto, ma è così, non è che posso mettermi a inventare gli innamoramenti per far l’originale. Un economico Prosecco lo puoi bere con gusto anche su un’insalata molto informale se, oltre all’olio extravergine d’oliva che iddio comanda, ci metti qualche proteina un po’ “grassa”, tipo tonno, tipo sgombro, tipo uova sode. Per le bevute in compagnia, informali, spensierate, una bottiglia di minor impegno ma profumatissima va benissimo. Bollicine sì, ma niente Metodo Classico. . . Come lo capisci? Dal fatto che, sull’etichetta, c’è sempre scritto Metodo Classico, mentre sulle bollicine made in Charmat non c’è scritto nulla in proposito. BIANCHI E PROFUMATI, pieni zeppi di fiori La primavera, come l’estate, è la stagione dei vini bianchi. Sono buoni, belli e bravi tutti, ma proprio tutti, e non c’è periodo migliore dell’anno per scoprirne di nuovi, di mai assaggiati. Quando li voglio abbinare un po’ alla cieca, senza seguire nessun metodo ma soltanto un po’ l’istinto, uso un sistema davvero grossolano e folle, ma che trovo funzioni più di quanto s'immagini: metto i bianchi del Nord accanto alle carni bianche, quelli del Centro (tra Emilia Romagna e Lazio comprese) sui primi piatti e sul pesce quelli del Sud. Lo so, ci sono pagina – 41 LA PRIMAVERA è LA STAGIONE DELL'ISTINTO, ANCHE NELLA SCELTA DEI VINI. SEGUI LA TUA ISPIRAZIONE E LASCIATI INCANTARE DA COLORI, PROFUMI E FRESCHI SAPORI in questo momento centinaia di sommelier buonanima che si rivoltano nella tomba e altrettanti vivi e vegeti che fanno harakiri. Eppure funziona ed è una buona bussola per risolvere un pranzo o una cena, se di vino non mastichi proprio nulla. Primavera uguale vini bianchi e siamo d’accordo. Vini bianchi tutti, ma non è che qualcuno spicca? Ok, trattieniti, sto per dirlo: per me i veri vini della primavera sono i bianchi aromatici. Beh, dirai, ma tutti i vini profumano. Sì, però, adesso ti racconto questo: ci sono vini fatti con acini talmente profumati che, anche dopo la fermentazione e l’affinamento in botte e bottiglia, continuano a emanare i medesimi profumi. Quali? Di solito sono vini dolci, come il Moscato d’Asti, il Brachetto d’Acqui, qualche Malvasia (dolce), ma ne esiste almeno uno che è tra i principi dei secchi: il Traminer aromatico, che in tedesco è Gewürztraminer. Ora, non è che questi vini sappiano per forza d’acino d’uva. Sanno di acino d’uva complesso, ossia ricco di sentori vegetali molto riconoscibili e caratteristici. Il moscato, per esempio, non sa soltanto d’uva, ma anche di rosa, di salvia, di frutta bianca. Alcune malvasie, come quella di Castelnuovo don Bosco, sanno di rosa canina e di lampone. E il Traminer aromatico sa spesso di frutta esotica, come il litchi, di pesca. . . Ecco, a me il Gewürztraminer fa sempre venire in mente la primavera. Con che cosa lo gusto? Io lo amo sui frutti di mare e sui crostacei. Secondo me, sull’astice è insuperabile. Un piatto di gamberoni al lardo e una bottiglia di Traminer possono facilitare qualsiasi conquista. Se ti capita in mano un esemplare in cui avverti spiccata la dolcezza, provalo su piatti dolci e forti come i tradizionali tortelli di zucca mantovani, oppure alcune preparazioni etniche ricche di spezie calde, ma non eccessivamente piccanti. Altri bianchi primaverili? Quelli semiaromatici. Che cosa sono? Sono un po’ i cugini dei vini aromatici. L’acino del loro vitigno, a differenza dei primi, non ha grandi aromi. Sa d’uva, appunto. Non è un acino dai profumi complessi come potrebbe esser quello di un moscato o di un traminer. Però a questi acini, quando sono pestati e rotti e messi a fermentare, succede un piccolo miracolo: si spezzano le cellette in cui erano racchiusi aromi molto ma molto caratteristici che, a contatto con l’aria, reagiscono e si evolvono in profumi molto eccitanti. Te ne dico tre: il Sauvignon, il Sylvaner e, guarda caso, il Prosecco di cui abbiamo parlato prima. Capisci ora perché è meglio usare il metodo Charmat per quest’ultimo, sapendo che questo sistema amplifica i profumi che nascono dall’acino? I profumi di questi vini sono sempre freschissimi e sanno sempre di brezza. Abbinarli senza sbagliare? Pesce, pesce, pesce, dai primi ai secondi, in tutti i modi. E più il pesce è cucinato semplicemente, più gradirai i profumi del vino. Ah, dimenticavo, anche se è ormai sulla bocca di tutti: sembra che tra Sauvignon e asparagi ci sia in corso un amorazzo che si ripete a ogni buona stagione. . . pagina – 42 pagina – 43 ROS S I COM E U N A RISATA Qui lo dico e qui l’annego (in un bicchiere): per me i rossi della primavera son quelli dell’Emilia. Poi pensala come ti pare. Il Lambrusco, per esempio, mi fa venire in mente la natura che torna in pista e nel bicchiere mi pare una risata di gioia. Io credo che gli emiliani l’abbiano inventato apposta così, pensando alle risa, alle conversazioni a voce troppo alta e festosa, al liscio suonato sull’aia, alla gente che balla e s’abbraccia. I rossi frizzanti, insomma, danno gioia, punto e basta. E chi non li ama, mi perdoni, sotto sotto ha qualcosa che non va, una propensione alla musoneria e al pessimismo che sarebbe meglio lasciare all’inverno. Ma non c’è soltanto l’Emilia che fa dei buoni vini rossi e frizzanti. C’è l’Oltrepò Pavese, con i suoi Bonarda, Barbera, Sangue di Giuda, Buttafuoco; c’è un vino marchigiano che è una festa, la Vernaccia di Serrapetrona. Scoprili e diventeranno tuoi amici. Con chi vuoi farli accoppiare? Con quasi tutto quello che vuoi. Lascia stare le cose eleganti, tipo il pesce che qui proprio non c’entra. Bevili su qualcosa di altrettanto compagnone: taglieri di salumi e formaggi, gnocco fritto, crescentine e tigelle, piadine, pasta pasticciata, tortelloni di tutti i tipi. Bevili quando senti il bisogno di piatti più pesanti, di quelli che fanno tavolata, e non ti tradiranno mai. E se le bollicine rosse proprio non ti vanno? Va bene, hai vinto: ecco il consiglio che fa per te. Bevi un vino fatto con uva schiava. Sì, hai capito bene e non è neppure una rarità: lo sono alcuni noti ed eccellenti vini del Trentino Alto Adige. Il Lago di Caldaro, primo fra i primi. Lo puoi trovare anche con il nome tedesco, Kaltererseen. Poi il Santa Maddalena, nei pressi di Bolzano. Poi, puoi provare qualcosa di diverso, magari spostandoti in Veneto per gustarti un Valpolicella, scelto fra quelli meno alcolici, meno robusti. Ecco, il Valpolicella è il vino a tutto pasto che ti salva la serata, Un altro vino, questa volta piemontese: il Ruché di Castagnole Monferrato, non sempre molto semplice da trovare. I M ES I D E L L E ROS E Ok, adesso ti svelo una delle mie debolezze: i vini rosati. Mi piacerebbe che lo divenissero anche per te. Un motivo c’è: il vino rosato è un vino versatile, tanto da accompagnare piatti semplici ma saporiti come dovrebbero esser quelli primaverili, senza essere al tempo stesso troppo impegnativo, troppo “caldo” insomma. Molta gente non li sopporta, perché ancora transita dalle parti del “né carne, né pesce”, non sono bianchi, non sono rossi. Ma è proprio questo il loro bello: la loro doppia identità, come quella di un supereroe, li rende insuperabili in moltissime occasioni. Quando sei indeciso, quando un bianco pagina – 44 non ti basta, ma un rosso sarebbe troppo, eccoti arrivare la soluzione: un rosato che, diciamolo, è anche bellissimo da vedere. In Italia, i rosati più interessanti si trovano, per tradizione, in Puglia. E te li consiglio tutti. Per fortuna, però, l’amore per questo vino è aumentato con gli anni e anche altre regioni hanno cominciato a produrlo, con sorprese che t’invito a scoprire da solo, provando le varie bottiglie. Con che cosa li abbini? Io li amo con i secondi di carne bianca, in bianco, anche con salse e maionesi, ma la morte loro è senza dubbio sulle grandi zuppe e brodetti di pesce della nostra tradizione: in questo campo, sono insuperabili. Mi piacciono anche sui primi un po’ grossolani: non parlo per forza dei pasticci di lasagne alla bolognese, che magari amerebbero di più un Lambrusco, ma su quelle paste al forno con verdure varie e besciamella, pesto di basilico e così via. . . Quelle teglie che, insomma, fanno primavera ma non ancora estate e non più inverno. Ok, ci siamo capiti: se vuoi far centro in primavera, anche senza sapere nulla di vini, la guida agile e breve per niubbi è questa qui. Gli esperimenti e le scoperte, invece, saranno a carico tuo. Ma sarà un peso davvero dolce da portare! T STRUMENTI L A pagina – 45 P E N T O L A F À M O L O S L O W L E N T O L a slow cooker è una pentola elettrica che fatica ancora un po’ a trovare una giusta collocazione nelle cucine italiane. Gira che ti rigira, pare ancora qualcosa che solo gli americani. In realtà, i suoi punti di forza sono parecchi. Il primo, non da poco, è che spesso è il primo passo per far pratica con la cucina a fuoco lento. Non è un caso se si chiama così. Qualcuno dice o pensa che sia anche il primo passo per cuocere a bassa temperatura ma, te lo spiegherò fra qualche riga, non è proprio vero. Voglio però cominciare dandoti qualche pensiero spicciolo sulla cottura in genere, senza troppi termini tecnici che potrebbero non interessarti affatto. Prendi lo spezzatino. Mai fatto un comunissimo spezzatino di carne con le patate? Bene. Di solito, i tagli che si usano per C O O K E R pagina – 46 T U T T I I S E G R E T I P E R R I S CO P R I R E I L FAS C I NO D E L L A COT T U RA L E NTA E FA R R I V I V E R E I G RA ND I C L AS S I C I D E L L A NOST RA P I ù FA M I L I A R E T RA D I Z I O NE C U C I NA R I A fare questo piatto non sono un granché. Ci sono macellerie che li preparano apposta scegliendoli fra i meno pregiati in assoluto e va benissimo così, perché sono quelli che ci vogliono. Ora, se cuoci il tuo spezzatino a una temperatura parecchio alta, superiore ai 100 °C, se insomma alzi un po’ troppo il gas per far prima a cuocere, noterai che i cubetti di carne si restringono, rattrappendosi. La carne, per quanto cotta, è dura, stopposa e dà ben poche soddisfazioni. Perché? Perché l’alta temperatura ha fatto indurire le fibre muscolari, quasi le avesse contratte come molle in una morsa. “Ma tutte le ricette dicono di rosolare per bene i bocconcini di carne. E come la rosoli, la carne, se la padella non è ben calda?”. Dici bene. Rosolare è quasi indispensabile, in casi come questi. Se però, finita la rosolatura, non abbassi la fiamma di molto e non attendi il tempo necessario per cuocere con lentezza, le fibre muscolari che si erano contratte con la rosolatura non riusciranno mai a distendersi. E mangerai uno spezzatino con i crampi. Se ci pensi, la medesima cosa accade con il bollito. Di solito, credendo di far bene, agiamo così: in una pentola capace, abbiamo portato l’acqua a 100 °C, abbiamo messo la carne e a tale temperatura (grado più, grado meno) l’abbiamo mantenuta fino a cottura. Lo scopo era buono: volevamo imprigionarne i succhi e gli umori per non diluirli nell’acqua e, sopratutto, desideravamo cuocere i grasselli, cosa che succede soltanto se la temperatura di cottura supera i 60 °C. Però, lo ammetterai, il risultato è un compromesso, più che un vero successo: il nostro lesso è cotto, è saporito, ha grasselli morbidi e vellutati, gustosissimi, ma è al tempo stesso asciutto, contratto, non proprio il massimo della digeribilità. Non per nulla, la tradizione ha sempre accompagnato il bollito misto con salse che aggiungono umidità della carne e che stimolano i succhi gastrici: pensa alla salsa verde, ai bagnet di vario colore, alle mostarde, alle senapi e così via. Non è un caso, quindi, e non è una semplice questione di gusto: il lesso, anche il migliore, è sempre un compromesso fra gusto e fibrosità. Un compromesso che occorre correggere con un aiuto esterno: le salse, appunto. Ma non c’è modo di avere la botte piena e la moglie ubriaca? In teoria, sì: basterebbe che la temperatura a cui cuoce la carne superasse i 60 °C, ma non oltrepassasse i 70-75. Dopo i 75 °C, infatti, le fibre si accorciano, la polpa si contrae, diventa più compatta e, ammettiamolo, è pagina – 47 persino brutta da vedere, con quel colorito grigiastro tipico del bollito. Detto questo, ti attenderai che ti riveli il miracolo della slow cooker: stai a vedere che questa pentola riesce a controllare la temperatura? No, per nulla. Però fa una cosa davvero interessante: scalda il cibo con estrema lentezza, più di quanto tu potresti ottenere ponendola sul più piccolo fornello che possiedi. Il vero miracolo della slow cooker (se così non fosse, l’avrebbero chiamata in un altro modo) è proprio il tempo. Calore che si diffonde per ore e che non provoca choc termici alla carne, per esempio, dando alle fibre muscolari la possibilità di distendersi e di ammorbidirsi. Inoltre, la temperatura non è così bassa come si pensa, e lo vedremo fra un attimo: è più che sufficiente per i nostri scopi, quali ammorbidire un trancio di carne grassa. Ma, prima di addentrarci nei dettagli più interessanti, diamo un po’ un’occhiata allo strumento. CARATTERISTICHE La pentola slow cooker è figlia un po’ meticcia dei bollitori elettrici per il riso che, mi racconta Wikipedia, nacquero in Giappone verso il 1950. E che in Giappone qualcuno s’inventasse una pentola elettrica per cuocere il riso ci sta tutta, direi. Da lì alla slow cooker il passo deve esser stato breve: in fin dei conti, bastava sostituire il riso con qualsiasi altra cosa. Il suo funzionamento è addirittura elementare. Di solito i modelli base (quelli che ti consiglio di acquistare) hanno una semplice manopola con quattro posizioni: spento, bassa temperatura (1 o Low), alta temperatura (2 o High) e mantenere al caldo. Niente timer. Se proprio vuoi, ne puoi acquistare uno a parte per pochi euro. Ma, personalmente, ti consiglio di lasciar perdere: è inutile. La comprensione del tutto è istintiva: spento è spento, bassa temperatura significa che la pentola cuoce a bassa temperatura, alta temperatura cuoce come una normale pentola sul fornello e la funzione mantenere al caldo tiene in caldo la pietanza finché non spegni. Come è fatta: una pesante teglia di ceramica è collocata in un rivestimento di alluminio, lo stesso che ospita comandi e fili elettrici. Gli ingredienti vanno sempre nel recipiente di ceramica. Lo sottolineo perché ho scoperto che c’è gente che non lo sa e cerca disperatamente di cuocere nel rivestimento d’alluminio. Sì, esistono persone così, non m’invento mai nulla. Alla fine, copri con il coperchio in dotazione. Come funziona: si gira la manopola sulla posizione desiderata, di solito pagina – 48 la prima, quella della bassa temperatura. Ma anche la seconda posizione ha il suo perché. La prima slow cooker fu inventata nel 1970 e commercializzata l’anno dopo negli Stati Uniti con il marchio Crock-Pot, tuttora leader del settore. Ne esistono di eccellenti anche di altrie marche, naturalmente. La mia, la vedi nelle foto, è di Russell Hobbs ed è anch’essa un classico, ma ne esistono versioni Electrolux, Kenwood e così via: poiché l’apparecchio è tecnicamente molto semplice, è difficile prendere una bidonata. Il prezzo dipende dal volume: di solito siamo sui 45 euro per una pentola da 2,5 litri (perfetta per due persone) ai 70 per i 3,5 litri (famiglia nucleare di due adulti e due ragazzini) e ai quasi 90 per 4,7 litri (per 5 persone adulte), per lo meno rimanendo fra le marche leader. Quanta elettricità consuma? Poca, davvero poca. Il motivo è semplice: tu consumi molta energia elettrica quando devi portare il più velocemente possibile una resistenza alla massima temperatura che può raggiungere. Per questo motivo i ferri da stiro sono così esosi, D’altra parte, un ferro da stiro che impiega ore a scaldarsi non avrebbe molto senso. L’attesa di ore e ore ha invece senso e ragione in una pentola che, guarda caso, si chiama slow cooker. Proprio per questo motivo, la resistenza elettrica si scalda con enorme lentezza e, raggiunto un certo limite, si ferma. Fai quindi conto che questa pentola consumi più o meno come una vecchia lampadina a incandescenza. Il costo, insomma, è accettabile, a fronte dei benefici. Ma c’è di più: questo apparecchio è anche molto sicuro proprio perché così elementare. Se lo tieni accesa tutta la notte, non rischi la vita come potrebbe capitare con una padella su un fornello acceso. Il peggio che può succedere è che un corto circuito tolga la corrente alla tua abitazione. Quali temperature raggiunge? E in quanto tempo? Su quest’argomento c’è parecchia ritrosia, anche in Rete, quasi fosse un segreto di Fatima. C U O C I L I C O S ì pagina – 49 C A R N E P O L L A M E P E S C E Metti la slow cooker sulla posizione 2 o High e lascia scaldare il contenitore di ceramica vuoto per 20 minuti. Nel frattempo, rosola la carne in una padella molto calda, con un poco d'olio. Appena la slow cooker è calda, metti la carne e gli altri ingredienti. Copri, porta in posizione 1 o Low e attendi con pazienza. Il preriscaldamento del recipiente di ceramica (20 minuti vuoto in posizione 2 o High) è sempre consigliato. Il pollo, soprattutto le parti che tendono ad asciugarsi di più (come il petto), viene molto bene nella slow cooker. Se puoi, togli sempre la pelle, perché il grasso si liquefà e ristagna. Mangerai meglio e più sano. La gallina, sempre un po' coriacea e dedicata di solito al brodo, è un'autentica riscoperta. Ungere sempre la base del contenitore di ceramica con olio o burro. Per il resto, si può proseguire come per una normale cottura in forno. Non amo il pesce cucinato in questo modo quindi non lo faccio neppure mai nella slow cooker. Faccio eccezione per il baccalà o per lo stoccafisso ammollati: vengono infatti assai bene, perché la cottura lenta ammorbidisce ed esalta. Coniglio e agnello in umido sono eccellenti nella slow cooker. La cottura lenta, inoltre, esalta i tagli di manzo non eccelsi, come la punta di petto, il biancostato, il reale. Stinchi e cosciotti di ogni tipo sono buonissimi.Tutto questo, ovviamente, dovrà esser cotto in umido: stracotti, brasati, stufati e così via, dal coniglio alle olive all’agnello alle albicocche secche allo stracotto al Barolo allo stinco di maiale alla birra. Questo è ciò che puoi far bene con queste pentole. Per gli arrosti, lascia perdere. Naturalmente, più il volatile è grasso, più importante eliminare le parti grasse. Oca e anatra possono essere cotte superbamente, ma occorre dimenticarsi della loro pelle. Ottimi come sempre i volatili da cortile tendenzialmente magri, come la faraona, le quaglie e i piccioni. La selvaggina da penna (e la cacciagione in genere, anche da pelo) è invece sconsigliabile per il forte odore della carne che, nella pentola chiusa e per la cottura lenta, tende a ristagnare. Pesci di grosse dimensioni e tranci considerevoli, come quelli di cernia, dovrebbero venire altrettanto bene. Meglio però non superare le due ore di cottura in posizione 1. V E R D U R E L E G U M I u s i Per istinto, uno potrebbe pensare che le verdure si spappolino, con una cottura così lenta e prolungata. In realtà, è vero il contrario. Le verdure a radice, a bulbo e a tubero, come le carote, le patate e le cipolle, sono molto più coriacee della carne: se fai lo spezzatino con le patate e metti nella slow cooker tutto assieme, mangerai carne stracotta e patate crude. Il modo migliore è quindi pretrattarle, anche se le unisci a un minestrone. Tagliale in piccoli pezzi e saltali in una padella calda per 3-5 minuti, prima di aggiungerle al resto. I fagioli secchi, dopo il necessario ammollo (di solito una notte nell'acqua fredda), devono essere sbollentati in acqua bollente per 10 minuti: sono infatti ricchi di lectina, una proteina tossica che può essere eliminata soltanto da una cottura molto profonda del legume, a eccezione delle lenticchie. Piselli e mais, invece, tendono a sfaldarsi e val la pena aggiungerli mezz'ora prima del termine della cottura. Ottima per la cottura dei cereali integrali, la slow cooker tende a scuocere riso e pasta normali, a eccezion fatta per il riso parboiled. Se quindi si prepara un minestrone o una zuppa, prima cuocere la parte con le sole verdure e poi, in una pentola sul fornello, finire la cottura aggiungendo la pasta o il riso. Tutti gli altri ortaggi, tagliati e lavati, possono essere cucinati senza problemi. E C E R E A L I Per questo, se si cucinano legumi secchi, sarebbe meglio usare la posizione 2, oppure armarsi di notevole pazienza e prolungare anche fino a 10 ore la cottura in posizione 1. Tra i molluschi, prediligere quelli usati per ricette tradizionali che richiedono cotture lunghe, come i polpi e le grosse seppie in umido. Mai cuocere per ore i frutti di mare. div E R S I La slow cooker può essere usata come bagnomaria molto delicato: la cosa davvero importante è prescaldare il contenitore di ceramica, come sempre. Zuppe e vellutate, oltre che minestroni e passati, vengono benissimo anche (soprattutto) se cotti a lungo, persino per un'intera notte o un intero giorno. Si possono addensare salse e creme, preparare budini (usando magari stampi di silicone da mettere a bagnomaria nel contenitore di ceramica). In poche parole, tutte le cotture a bagnomarie sono possibili:ma, a meno che la ricetta non richieda temperature davvero molto basse e costanti, un fornello a gas consuma meno. pagina – 50 Così mi sono armato di termometro a sonda e ho voluto toccare con mano. Ho messo nella pentola circa 1,5 litri d’acqua di rubinetto (17 °C) e ho impostato la prima posizione, a bassa temperatura. Dopo la prima ora, l’acqua aveva raggiunto i 46 °C. Il riscaldamento è davvero lento! Alla fine della seconda ora, l’acqua era a 69 °C. • terza ora • quarta ora • quinta ora • sesta ora 79 °C 84 °C 87 °C 87 °C La temperatura da raggiungere e che resta costante nel tempo è dunque sugli 84-88 °C. Vale la pena ragionarci un attimo, quindi. La prima ora, che porta un litro e mezzo d’acqua da 17 a 46 °C, è un’ora persa. Anzi, a ben vedere è un’ora che favorisce e di molto la proliferazione batterica, che raggiunge il suo picco verso i 37 °C. A questo punto, tanto conviene mettere in pentola gli ingredienti a una temperatura più elevata di quella ambiente, magari già sui 70 °C. In questo modo, si dovrebbe raggiungere molto prima la velocità “di crociera”. I L L I B R O P I ù C O M P L E T O S U L L A C U C I N A L E N T A , C O N R I C E T T E E C O N S I G L I * * Il libro Slow cooking per tutti (2013) è di Cristina Scateni ed è edito da Ponte alle Grazie. Ragioniamo un attimo anche sulla temperatura massima toccata dalla nostra slow cooker, che per la maggior parte delle ore è di poco inferiore ai 90 °C. Innanzi tutto, non la possiamo certo definire bassa temperatura, considerando che dopo il 75 °C le fibre muscolari della carne cominciano a rapprendersi. Però è raggiunta molto gradualmente e ciò equivale a bassissimo choc termico: le fibre si cuociono, ma senza picchi repentini, quindi restando morbide e distese. Inoltre, c’è garanzia che, a quella temperatura, non vi sia alcuna proliferazione batterica (che s’interrompe a 65 °C e il pericolo cessa definitivamente a 75 °C). Consapevoli di questa situazione, è il momento di cucinare! Perché, infatti, una volta compreso il gioco delle temperature, è possibile ricavarne consigli molto semplici e pratici. Prima di tutto, val la pena riscaldare il contenitore di ceramica vuoto, di modo che non parta a freddo. Bastano 20 minuti sulla posizione 2 o High: con la mia Russell Hobbs, le pareti del recipiente raggiungono i 58 °C e l'interno della pentola i 51 °C. Parlando di cottura lenta può sembrare paradossale, pagina – 51 ma così facendo si risparmia un'ora buona! Tra l'altro, considerando quanto la pentola impieghi a riscaldarsi, vietato inserire cibi congelati: farebbero fatica persino a intiepidirsi. E allora il rischio sarebbe duplice: trovarsi una cena cruda e una proliferazione batterica molto alta, pericolosa per la salute. Ultima annotazione: la pentola, ormai lo si è capito, è fatta per evitare choc termici. Ciò significa che lo spesso recipiente di ceramica incamera e trattiene molto calore. Non metterlo quindi caldo sotto l'acqua fredda e neppure ficcalo di botto in frigorifero: sono cose che potrebbero rovinarlo irrimediabilmente. Una delle domande più frequenti che sento in giro è sul tempo di cottura: se in una ricetta tradizionale un brasato deve cuocere 2 ore, quanto dovrà cuocere in una slow cooker? In Rete si trovano strani calcoli, ma la verità è che soltanto l'esperienza potrà darti risposte esatte. Fai comunque conto che carne e verdure possono cuocere molto a lungo senza soffrirne, anzi. Per esperienza, non stare mai sotto le 5-6 ore, anche se naturalmente dipende dai tagli e dal tipo di carne: un petto di pollo a dadini cuocerà molto più velocemente di un chilo di polpa per brasato. Come vedi, piuttosto che tediarti con ipotetiche tabelle, ti do l'unico consiglio decente possibile: assaggia ogni tanto e non darti troppa pena se qualcosa sta un'ora in più. Meglio che un'ora in meno. Dopo tutto, i grandi piatti "lenti" della nostra tradizione sono nati proprio così, scordandoseli vicino alle braci calde di un camino. T I BLOG DEGLI ALTRI pagina – L A U R E N C A R I S C O O K S UN sito di cucina CURATO IN OGNI DETTAGLIO, CON UN'OTTIMA STRATEGIA DI PUBBLIC RELATION, belle immagini E UN USO ORIGINALE DEI VIDEO. DA IMITARE laurencariscooks.com M oltissimi siti e blog di cucina badano più alle ricette che a tutto il resto. "La gente vuole sostanza, non bada ai fronzoli", si pensa. E si sbaglia. Non perché le persone siano così tanto interessate alla forma, quanto perché un bel sito, gradevole e agile, innesca similitudini positive, che con il cibo s'abbinano da dio: se il sito è bello e ordinato, anche il cibo sarà bello, buono e ben fatto. Di contro, sito sciatto, piatti sciatti e sporchi: è umano, è istintivo. Ma come imparare a costruire il nostro blog per renderlo appetitoso quanto le nostre ricette? Armandoci di attenzione e modestia e guardando gli esempi migliori che troviamo in rete. Che magari non soltanto propongano un sito elegante, ma anche furbo, attento alla comunicazione e al desiderio di renderlo una piccola macchina per far soldi. Lauren Caris è una sana ragazza americana, belloccia ma con un'evidente passione per il buon cibo, vegetariana dichiarata e autrice di un blog di tutto rispetto. Tanto che ho deciso di mostrarlo su questa rivista, affinché sia modello alle tue eventuali e future iniziative. Il blog di Lauren, infatti, ha tutte le caratteristiche che dovrebbe possedere un blog di cucina di successo. Appena lo si apre, si sente subito che nulla, qui, è lasciato al caso. Partiamo dal tema: Lauren ha scelto una struttura dal design molto semplice ed elegante, con nessun elemento in grado di distrarre dalle immagini e dai testi (niente colori, tanto per capirci, o caratteri strani). Per aumentare questa sensazione d'ordinata pulizia, Lauren ha deciso di non ricorrere ad affiliazioni. Nel caso tu non lo sapessi, ogni volta che in un sito trovi quei banner di prodotti e servizi che sembrano seguire i tuoi interessi (quelli di Amazon sono fra i più pervicaci, ma non sono gli unici), sei di fronte a un'affiliazione: qualcuno pagherà il proprietario del sito ogni volta che tu cliccherai sul banner. Alla nostra Lauren, però, non interessa guadagnare così. Ma a che cosa è interessata Lauren? Clicchiamo in alto a destra, su work with me. Si apre una pagina che dice chiaramente i motivi che hanno condotto la nostra foodblogger ad aprire il suo sito: sviluppare ricette per i brand che glielo chiederanno (e farsi pagare per questo) e produrre video pubblicitari o dimostrativi in tema food. È disposta anche ad ospitare offerte di omaggi pubblicitari ai visitatori del sito, ma ci tiene a specificare che accetta soltanto proposte da marchi che lei conosce e da prodotti che usa e apprezza. Niente spazio a cose sconosciute. 52 pagina – 53 R E G A L A P U N T I D I FO RZA E R I FLES S I O NI • Sito elegante e ordinato, molto pulito. l'equazione è questa , non ci piove : Sito bello, cibo buono. • REGALARE CONVIENE, SE IN CAM BIO SI OTTIENE UN'E-MAIL VALIDA. MEGLIO UN POTENZIALE CLIENTE IN LISTA , CHE (FORSE) UNA MANCIATA DI EURO ORA. • IMMAGINI BELLE E CON VINCENTI: CHI HA FATTO QUESTO SITO è ATTENTO AI PARTICOLARI IN TUTTO CIò CHE FA E NON LASCIA NULLA AL CASO. LA SENSAZIONE CHE EMANA: LAUREN MERITA FIDUCIA PER DAVVERO. • CONDIVIDERE FUNZIONA: SE GIRANO LE MIE FOTO E I MIEI TESTI , è molto pi ù facile che giri ANCHE IL MIO NOME. • IL VIDEO è IL MEZZO VINCENTE PER CONQUISTARE NUOVO PUBBLICO. E C O N D I V I D I Che strategia usa per perseguire questi obiettivi? Del sito sobrio ed elegante ho già parlato. Guardiamo le foto, tutte molto ben fatte. Si capisce che Lauren è una persona attenta ai particolari e che non sottovaluta nulla: le sue immagini parlano della sua precisione, del suo amore per il bello. Ma andiamo oltre. Una cosa balza subito agli occhi: Lauren ci invita a iscriverci e a ricevere subito in regalo un suo ricettario formato pdf. Non lo vende, fai attenzione, ma lo regala. Perché? Perché così acquisisce qualcosa di molto più prezioso di una manciatina di euro: la tua e-mail. E con la tua e-mail in mano può cominciare a fidelizzarti, può farsi apprezzare sempre più, tanto che tu, un giorno, ti ritrovi già convinto della bravura di Lauren, magari comprandole un libro più costoso o, se vivessi dalle sue parti, un corso o qualcosa di simile. Vale la pena vedere il suo regalo: poche ricette ben fotografate che di certo non avresti mai acquistato ma, gratis, ti fanno piacere. E lei ha conquistato qualcosa di prezioso: il canale più semplice per contattarti. Regalare, insomma, è una buona strategia per fare pubbliche relazioni, soprattutto se allunga la lista delle persone che, domani, potrebbero diventare clienti. Ma anche condividere è una buona idea: Lauren non nega il permesso di usare le sue foto e le sue ricette, anzi. Ma chiede il favore di un link o, nel caso di uso intensivo, un accordo con lei per come usare tale materiale. Se il mio nome gira, insomma, è molto più importante che proteggere la mia opera. Tanto più che Lauren non vende foto! I video, infine, sono il fiore all'occhiello del sito. Non perché siano impeccabili, ma perché mostrano come sia possibile realizzare qualcosa con strumenti casalinghi. Qui c'è davvero qualcosa da imparare, a dimostrazione che - con un po' di buona volontà - è possibile ottenere ottimi risultati anche senza essere professionisti. Ti consiglio quindi di studiarti bene questi video, partendo dall'ultimo per giungere al primo: potrai apprezzare il viaggio d'esperienza e maturazione che Lauren ha compiuto video dopo video, non accontentandosi mai dei risultati ottenuti. Se cerchi un buon esempio per il tuo blog, questo è un buon posto!T EARLY BIRDS pagina – LE MIGLIORI OFFERTE DEL MOMENTO, CREATE DA GENIALI START-UP E PRESENTATE SU KICKSTARTER E INDIEGOGO, LE PIù NOTE PIATTAFORME CROWFUNDING. COGLI L'ATTIMO (E GLI SCONTI)! è L'UCCELLO MATTINIERO CHE ACCHIAPPA IL VERME! M E A T E R M eater, creato da Joseph Cruz e da Teemu Nivala, degli Apption Labs (http:// apptionlabs.com), ha raccolto quasi due milioni di dollari in liberi finanziamenti, soltanto presentandosi su Kickstarter e Indiegogo. L'idea è geniale: Meater è il primo e unico termometro da forno (o da barbecue o da qualsiasi cosa tu voglia) che funziona totalmente senza fili, in modalità wi-fi o bluetooth, avvertendo il cuoco quando la temperatura desiderata raggiunge il cuore dell'alimento. Il tutto grazie a una comoda e moderna app per smartphone, naturalmente. Quali sono i vantaggi? Poter fare altro, per esempio intrattenere gli amici, senza badare alla fiorentina sulla griglia, al pollo sul barbecue, all'arrosto nel forno e così via, senza nessuna preoccupazione. Non appena il cibo è cotto a puntino, infatti, squilla il telefono e si può andare a toglierlo dal fuoco. Sulla carta, insomma, i risultati dovrebbero essere eccezionali: cotture perfette, nessun tipo di sonda o di cavo, http://bit.ly/1kiQnKP altissima precisione dei sensori e mani e attenzione libere per fare qualsiasi altra cosa, anche qualcosa di molto distraente: tanto, alla fine, ci sveglierà la soneria. L'uso è semplice: si prende il termometro, che assomiglia a un sottile scalpello, e lo si pianta nell'alimento. Si accede alla app sullo smartphone e si regola la temperatura al cuore desiderata (o consigliata dalla stessa app) e si mette a cuocere. Una singola sonda Meater, con tanto di ricaricatore e app, costa 59 dollari (poco più di 53 euro) e viene spedito dagli Usa per 15 dollari (13,5 euro). Il ceppo con quattro sonde costa invece 169 dollari (152,15 euro) più le spese di spedizione: oltre a tutte le funzioni base, permette anche di regolare le sonde direttamente dal ceppo, senza usare smartphone, e di collegarsi direttamente in modalità wi-fi con il router di casa. La produzione è quasi cominciata e già ad aprile 2016 partiranno le spedizioni. T 54 EARLY BIRDS pagina – 55 cuochi a domicilio, è IL MOMENTO DI trEMARE! O N E C O O K O k, non è detto che questo apparecchio possa davvero sostituire un personal chef. Però, però. . . difficile prevedere dove possa condurre questa strada. Perché OneCook fa davvero un mucchio di cose tutto da solo: cuoce a vapore, lessa, frigge, brasa, arrostisce e via così. Al mondo, soltanto per quest'aspetto, non esiste robot da cucina in grado di stargli alla pari. Ma, ovviamente, non basta. OneCook non è nato per sostituire pentole e padelle e vaporiere: è nato per sostituire il cuoco! Tu, insomma, lo imposti da qualsiasi device (dal desktop allo smartphone) e lui esegue l'intera ricetta desiderata senza che tu debba intervenire. Come funziona? Così: metti tutti gli ingredienti in apposite scatoline e collocale nella macchina secondo istruzioni. Fatto questo, si dà il via alle danze: OneCook elabora un processo via l'altro, fino al piatto finito. Molte ricette si trovano già nella app, ma altre si possono aggiungere e persino personalizzare, altre ancora possono essere consigliate analizzando le nostre preferenze http://kck.st/1WsmyW2 e i nostri gusti. Insomma, un portento per la cucina casalinga. Naturalmente, ricette complesse non hanno qui la loro soluzione ma, ripeto, per la cucina di tutti i giorni è davvero come avere un cuoco in casa. Ma i creatori hanno voluto strafare, organizzando (negli Usa, of course) un vero e proprio servizio a domicilio di ingredienti freschi già dosati per un buon numero di ricette. Insomma, ordini, ricevi, inserisci nel robot e il gioco è fatto. Puoi sistemare tutto la mattina e trovare la cena pronta la sera, dopo il lavoro. Mica male! Oltre che sul link di Kickstarter, maggiori informazioni si trovano su http://onecook4.me/. La produzione di questo gioellino tecnologico è appena avviata e i primi ordini saranno evasi verso agosto 2016. Costo? Ancora per pochissimo tempo il prezzo di lancio sarà di 299 dollari (268 euro) più le spese postali. Se la cena per te è un peso, quest'apparecchio può cambiarti l'esistenza.T EARLY BIRDS pagina – GATTO DI SILICONE? MAI PIù SENZA! S U N N Y S I D E U P E G G S http://bit.ly/1Y1Uqdi M a chi l'ha detto che tutte le invenzioni sui siti crowfunding debbano essere genialate fantascientifiche? Cindy Ho, designer di San Francisco, ha conquistato il pubblico con semplici ma simpaticissimi stampi di silicone per uova al tegamino dalla faccia di micetto. Strafacendo, ne ha persino inventata una versione mignon per le uova di quaglia! Uova purrfect, le chiama lei, per fare il verso alle fusa: il modo migliore per cominciare la giornata, pensando al nostro pet preferito. Il funzionamento è elementare: si sgusciano le uova centrando con i tuorli gli occhi del gatto e il gioco è fatto. L'albume si spanderà per il resto della maschera, sagomandosi alla perfezione. Fin troppo facile, a dire il vero. A sua difesa, Cindy afferma che, anche se tutto pare un gioco da ragazzi, realizzare il prototipo non è stato una passeggiata. Prima ha dovuto trovare il tipo di silicone giusto, poi ha dovuto sagomarlo in maniera tale che l'uovo non tracimasse per ogni dove. . . Insomma, soldi meritati e successo anche, a questo punto. Se sei avido di maggiori informazioni, clicca su www.eggaddiction. com/ e goditi un po' di ricette e qualche video che non c'entra nulla con le simpatiche mascherine. E ora parliamo di costi: lo stampo grande per uova di gallina costa 12 dollari (meno di 11 euro), mentre assieme a uno stampo piccolo per uova di quaglia si toccano i 19 dollari (17 euro). Naturalmente occorre aggiungere le spese di spedizione, che per l'Italia non sono poche: ben 13 dollari, in pratica più di uno stampo. Ma se si è fanatici di gatti (e di uova al tegamino) è un gadget da non lasciarsi proprio scappare.T 56 pagina – 57 www.cucinodite.it E C O S ì V U O I C A M B I A R V I T A ? Eccoci qui, alla fine del primo numero di una rivista molto poco tipica: un giornale di cucina senza ricette! Proprio così. Le ricette, infatti, le puoi raccattare ovunque. Ciò che invece trovi qua faticherai a rintracciarlo sulla Rete e da qualsiasi altra parte. E non parlo soltanto delle notizie, dei consigli, degli articoli che hai potuto leggere in queste pagine. Anche, naturalmente, ma non solo. Parlo dell'opportunità vera, reale, che da tempo sogni di afferrare e che sempre rimandi: guadagnare con la tua passione, anzi con le tue passioni. Oggi è il momento di farlo, perché io sono qui per aiutarti a compiere i primi, difficili passi. Il mio blog e questa rivista, sempre più a ogni numero, saranno un punto di riferimento costante, così come lo diventeranno i manuali e le guide che, di volta in volta, ti regalerò per aiutarti. Ti hanno detto che il mondo della cucina è ormai inflazionato, i pretendenti a un posto al sole non si contano. Vero. Ma c'è ancora spazio, se saprai conquistartelo. Se non commetterai gli errori che ho commesso io all'inizio, perché nessuno mi diceva tante cose. Se conoscerai davvero le storie e gli stratagemmi delle persone che, in questo campo, ce l'hanno fatta davvero. E non avevano nulla di più di te, te l'assicuro. Erano soltanto decise, determinate e informate. Perché saper cucinare non basta. È necessario imparare a costruire un sito o, per lo meno, un blog che attiri i potenziali clienti. È necessario imparare a esprimersi, con testi e foto. È necessario capire quando è il momento di investire qualche euro e quando è meglio risparmiarli. Quando fare pubblicità e come riuscire a farla gratuitamente, ma in maniera efficace. Nessun corso da cuoco ti prepara a tutto questo. Io sì. Che tu voglia aprire una scuola di cucina, tenere corsi sul vino, tentare la via del ristorante privato o diventare personal chef e cuoco a domicilio, ci sono molte cose che devi ancora apprendere. Qui e sul mio blog le troverai tutte. Dovrai soltanto leggerle e metterle in pratica: oggi è il momento di cambiare la tua vita. Di fare sul serio. Per davvero.