arte IV AMT
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IL LAOCOONTE Kevin Ferrari - IV AMT Siamo qui oggi nel cortile dei Musei Vaticani, a Roma, per presentarvi un’opera marmorea antichissima, modello per i neoclassici: il Laocoonte. Quest’opera è alta 242 cm ed è ispirata ad un episodio della guerra fra i Troiani e gli Achei. Più precisamente si ispira a Laocoonte, principe troiano e sacerdote di Apollo. Gli Achei sapevano di non poter oltrepassare le resistentissime mura dei Troiani; perciò Ulisse, figura di rilievo tra gli Achei, escogitò lo stratagemma del cavallo. Si trattava di donare un cavallo di legno ai Troiani, facendolo passare come dono per la dea Atena. All’interno erano nascosti, come sappiamo, i soldati greci. Laocoonte non si fidava degli Achei, perciò non voleva far entrare il cavallo nella città, temendo un inganno. Laocoonte scagliò una freccia contro il ventre del cavallo e si sentì rimbombare: capì così che il ventre era vuoto. Poseidone, però, mandò due serpenti marini contro i figli di Laocoonte e questo convinse i Troiani a far entrare il cavallo, poiché interpretarono quell’evento come un segno di approvazione per il dono. Quindi, fecero entrare il cavallo nella città: sappiamo tutti come andò a finire. Gli scultori di quest’opera marmorea di cui ci occupiamo oggi provengono da Rodi e sono Agesandro, Atanadoro e Polidoro. La data di esecuzione si aggira attorno al I secolo a.C. La statua si perse e fu ritrovata ilo 14 gennaio del 1506. Quel giorno Felice De Fredis si trovava nella sua vigna sul Colle Oppio, quando all’improvviso il terreno sotto di lui cedette e l’uomo cadde in una stanza segreta sotterranea. Qui giaceva, in pezzi, il gruppo del Laocoonte. Capì subito l’inestimabile valore della statua, perciò si fece portare i pezzi di fianco al suo letto per tenerli sotto controllo. Anche se De Fredis fece di tutto per tenersi la sua preziosa scoperta, papa Giulio II fece valere la sua autorità per prendere la statua e collocarla nel “Cortile delle statue”, all’interno del Giardino del Belvedere. Durante le campagne d’Italia Napoleone portò via il “Laocoonte” dal Giardino del Belvedere e lo mise al Museo del Louvre, ma dopo la sua caduta fu riportato in Vaticano nel 1815, sotto la cura di Antonio Canova, uno degli scultori più importanti del Neoclassicismo. Quando quest’opera fu ritrovata nel 1506, presentava il padre e il figlio minore senza il braccio destro. Molti artisti e scultori ritenevano che il braccio del padre fosse steso verso l’alto, ma il grande Michelangelo, dopo molti studi sulla tensione dei muscoli, ipotizzò invece che il braccio fosse piegato. Nel 1905 fu ritrovato il braccio originario, senza la mano, proprio nella posizione ipotizzata da Michelangelo. Quest’opera fu restaurata molte volte, ma l’ultimo intervento e il più importante fu effettuato fra il 1957 e il 1959: si ripristinò l’aspetto originale, riunendo il braccio alla statua. Questo gruppo marmoreo è l’esempio più rilevante del concetto di “imperturbabilità”, uno dei concetti più importanti delle opere neoclassiche. L’ “imperturbabilità” non è “indifferenza”, anzi è la capacità di non mostrare le proprie emozioni, dominando i sentimenti: infatti, Laocoonte non si dispera inutilmente per la perdita dei figli, ma continua a combattere e riusciamo a percepire la sua fatica solo attraverso il suo corpo, poiché ogni muscolo è contratto e la bocca è aperta come se respirasse affannosamente per la fatica, ma non è deformata come se stesse gridando. Laocoonte non deve soltanto essere di esempio agli artisti come opera, ma deve essere di esempio a tutti noi, perché molte persone sono abituate a disperarsi e a scendere subito dal “treno della vita”, rassegnandosi, aspettando di riprendere in seguito il viaggio, ma molti non sanno che la vita non aspetta nessuno: perciò dobbiamo, anche se colpiti, rialzarci, continuare a combattere e goderci la vita, sperando che dopo la pioggia ci sia davvero l’arcobaleno. J.L. David: IL GIURAMENTO DEGLI ORAZI Riccardo Giunco - IV AMT Sono qui in visita al Museo del Louvre e scrivo questo articolo di fronte ad un dipinto di Jacques Louis Davis, Il giuramento degli Orazi. E’ un dipinto neoclassico, realizzato nel 1784, olio su tela, e misura 330 x 425 cm. Jacques Louis David nasce nel 1748 a Parigi. Si iscrive all’Accademia Reale di Pittura e nel 1774 vince il “Prix de Rome”. L’anno dopo va a Roma e vi rimane fino al 1780. Durante un viaggio a Napoli, nel 1779, rifiuta l’esperienza fatta in precedenza per poter guardare l’antico “con gli occhi di Raffaello”. Tornato successivamente a Parigi, diventa pittore ufficiale di Napoleone Bonaparte; è esiliato a Bruxelles dopo la caduta dell’impero napoleonico e muore nel 1825. Ma ritorniamo al quadro: è stato commissionato dal Conte d’Angiviller che desiderava regalarlo al re Luigi XVI. David ha un grande interesse per l’arte classica: in questo dipinto lo dimostra con i vestiti e l’architettura alle spalle delle figure umane. La leggenda narra di tre fratelli di parte romana (Orazi) e di altri tre fratelli albani (Curiazi) che combattono per determinare la vittoria tra Roma e Alba Longa. Vincono gli Orazi, grazie ad un fratello che si salva nel duello. La scena principale nel quadro è il giuramento degli Orazi davanti al padre. La scena si svolge davanti a un portico con tre archi a tutto sesto che incorporano ognuno un gruppo di persone e che sono, da sinistra a destra: gli Orazi, il padre e il gruppo delle donne. L’attenzione cade sul padre con le spade in mano e sui figli riuniti, con le mani protese verso le spade per accettare le armi e per combattere contro i Curiazi. Per concludere, David rappresenta i valori morali della romanità, una delle caratteristiche del Neoclassicismo. Ora continuo la mia visita al Museo… A.Canova: AMORE E PSICHE Leonardo D’Alcamo - IV AMT In questo articolo parliamo di una delle opere più belle del Neoclassicismo. Innanzitutto, questo gruppo marmoreo, Amore e Psiche, è ispirato alla favola di Apuleio L’asino d’oro. La favola narra di una ragazza (Psiche) che deve superare molte prove per riconquistare Eros, il suo innamorato. Intraprende un viaggio nell’Ade, l’ultima delle prove. Infatti, dopo aver superato molte prove, verso la fine della storia gliene viene imposta un’altra da Proserpina, la divinità principale dell’Ade, che le chiede di portare sulla terra un vasetto senza aprirlo. Psiche, però, sta affrontando tutte queste prove perché il suo uomo (Eros/Cupido/Amore) era stato mandato da sua madre (Venere), sentitasi minacciata dalla bellezza di Psiche, a farla innamorare di un uomo non particolarmente avvenente, anzi “il più brutto sulla terra”; però, per un imprevisto, Cupido, nello scoccare la freccia, perde l’equilibrio, la tira sul suo piede e si innamora di lei. A questo punto iniziano ad incontrarsi di notte e Amore le chiede di non guardarlo mai. La ragazza, spinta dalla curiosità, una notte lo guarda e lui l’abbandona. Psiche, pentita e disperata per quello che ha fatto, chiede di essere sottoposta a delle prove per riavere Amore. Però, dopo aver superato molte prove, Psiche apre quel vasetto che Proserpina le aveva detto di tenere chiuso e sviene. Amore, impietositosi, la rianima con una saetta e la bacia teneramente. Di tutta questa favola, decisamente sentimentale, Canova, uno dei più grandi scultori del Neoclassicismo, non rappresenta il bacio dei due innamorati, bensì il momento precedente, l’attimo prima, per creare quella suspense e per dare quel senso di delicatezza e di semplicità tipiche del movimento. Anche la simmetria è una caratteristica dello stile neoclassico e Canova non si dimentica di questo aspetto che però si può cogliere solo nella visione frontale dell’opera. Da questa prospettiva, infatti, si può notare che le due teste, una vicina all’altra, sono il centro di due direttrici ad X. Le ali spiegate verso l’alto di Amore sembra che sollevino il corpo abbandonato di Psiche e che le due figure trovino un equilibrio solo nell’abbraccio. Si può cogliere anche la direzione delle ali di Amore e delle braccia di Psiche, e la posizione della gamba ferma al suolo del giovane e del corpo, in particolare il ventre, di Psiche: tutti giochi geometrici che parlano di perfezione delle forme, ma anche di tenerezza e moralità, proprio in stile neoclassico. Quest’opera non è particolarmente grande, con dimensioni pari a 155 x 168 cm; si trova al Louvre ed è stata realizzata tra il 1788 e il 1793. Adesso avete un motivo in più, oltre alla Gioconda, per visitare lo splendido Museo del Louvre a Parigi!