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anno 18 | numero 43 | 31 ottobre 2012 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
Aboliamo
il ministero
dell’Istruzione
Contro il neostatalismo che mortifica i docenti,
si può combattere solo a colpi di autonomia
e parità. Per ricominciare a fare scuola
EDITORIALI
SUL CORRIERE L’ELENCO DEI CIELLINI DI BERGAMO
La fissa della trasparenza produce
solo liste di proscrizione e oligarchie
S
e l’ideale di democrazia diventa la trasparenza per liberare il mondo da ogni male,
stiamo freschi. Ci sarà gente giù nei bunker a controllare che i selezionati in rete e
poi gli eletti – secondo l’originale visione di democrazia che ha il comico che spopola nei sondaggi – puntino il mouse dalla parte buona e facciano leggi buone. Soprattutto, niente inceneritori. E, giustamente, viva le sentenze che mandano in galera gli
scienziati per complicità con i terremoti! Manca qualcosa? Sì, manca che secondo il nuovo ddl anticorruzione potrebbe presto darsi il caso che dove c’è un ciellino, è sospetto.
Dove ce ne sono due, è monitorato. Dove ce ne sono tre, è “traffico di influenze”. Esagerazioni? Prendete il Corriere della Sera che nell’edizione di Bergamo del 17 ottobre scorso ha pubblicato una lista di professionisti ciellini “affiliati” al “sistema di potere” formigoniano. In effetti, si sta producendo una bella generazione di gente che sa contare solo
fino a due. E credete che l’ossessione a scoperchiare il vaso di Pandora porterà il mondo
nel verso giusto? Già nel mito greco accadeva che, scoperchiato ogni male, solo la speranza non fa in tempo a liberarsi prima che il vaso venga chiuso di nuovo.
Ps. La Repubblica esige una stretta di bulloni alla legge anticorruzione approvata in
Senato. Il Corriere della Sera la completa tosatura della Casta. Domanda: perché i due club
insistono in queste campagne? Credono alla
demagogia o puntano a creare filtri all’in- Credete che questa ossessione farà
gresso dei politici in parlamento e degli ingirare il mondo nel verso giusto?
vestitori in Italia? Il dubbio resta. Perché con
l’uno si finisce nell’oligarchia (solo i ricchi Già nel mito di Pandora accade che,
possono fare politica), con l’altro in bur(l)o- scoperchiato il vaso di tutti i mali,
crazia (solo i matti possono fare impresa).
solo la speranza non riesce a liberarsi
FORMIGONI MISTER 700 MILIONI
La miglior smentita dell’inchiesta
dell’Espresso l’ha scritta l’Espresso
C’
nella sciamanica capacità dei giornalisti dell’Espresso di rendere notizia ciò che non lo è. Prendete l’ultima copertina del settimanale che ritrae il governatore lombardo. “Mister 700 milioni. Roberto Formigoni è costretto a mollare. Ma in diciassette anni da governatore ha consentito ai suoi
amici di accumulare un tesoro. Grazie a un sistema di tangenti, appalti e consulenze”.
Il lettore è pienamente avvertito da un editoriale del direttore Bruno Manfellotto che il
materiale di cui è in possesso la rivista è davvero esplosivo, perché “non sono tutti Formigoni” (è il titolo del commento del direttore). Le vicende lombarde, spiega Manfellotto, non sono paragonabili a quelle pugliesi o emiliano-romagnole perché nel “sistema
Lombardia” gli amici di Formigoni «hanno lucrato un tesoretto di 700 milioni». Ora, il
lettore che anche per un attimo dimenticasse che Vendola ed Errani sono rinviati a giudizio, mentre Formigoni è indagato, rimarrebbe comunque
deluso dalla lettura del testo in cui non si trovano prove di
ruberie e maneggi, ma solo ipotesi e teorie, frutto di inchieste e non di sentenze, con molti più verbi al condizionale che
all’indicativo. E “Mister 700 milioni”, dov’è Mister 700 milioni? Non c’è, perché la miglior smentita all’Espresso la scrive il
settimanale stesso rivelando che – secondo suoi calcoli – quei
700 milioni sono 100, perché gli altri sono frutto di «affari leciti». Affari leciti? Come “affari leciti”? Se sono leciti dove sono le tangenti, dove sono i manigoldi, dove sono i rubagalline? E anche su quei 100, dove sono le prove?
Forse nella prossima puntata della “non-inchiesta”?
è qualcosa di ammirevole
FOGLIETTO
Meglio il Gauleiter?
Piuttosto che ai nemici
interni siamo pronti
a consegnarci allo
straniero. Come sempre
U
n anno fa in due libretti
ricchi d’intelligenza (L’inverno
di Monti di Giulio Sapelli e
L’uomo del Colle di Davide Giacalone)
si scriveva che l’Italia stava passando da Machiavelli a Guicciardini, dal
tentativo di darsi uno Stato all’inseguimento di un particulare dei singoli
sottomesso a influenze straniere. Il
clima nazionale, di fatto, è pienamente
investito da un’arietta continentale similcinquecentesca quando un’egemonia imperiale – quella distesa di Carlo
V e quella tentata di Filippo II – copre
un conflitto innanzitutto culturale tra
protestantesimo e cattolici, che oggi
si rivede – per fortuna con infinitamente minore cruenza – tra gli ultimi
secolaristi radicali e il neorazionalismo
ratzingeriano. La minaccia ottomana
di allora trova un riflesso nella tendenziale islamizzazione dell’Europa, che
se non affrontata creerà drammi tra
qualche decennio. Come allora, mentre
Francia e Inghilterra mantengono –
combattendo – un’autonomia, il resto
è dominato dai giochetti imperiali, da
partiti asburgici o spagnoli che operano nelle varie regioni. Alla fine si arriverà alla pace di Vestfalia e al nuovo
ordine che reggerà fino a Napoleone.
Intanto l’Italia però sparirà dalla scena: indipendente resterà solo Venezia.
In Lombardia, terra di mercanti, già
molti si acconciano a parlare tedesco:
meglio un Gauleiter che un Fiorito, si
scrive. Un’avvertenza: è
probabile che i prossimi
commissari saranno
non più riformisti in loden alla conte Firmian,
ma marescialli Radetzky, in alta uniforme,
ricchi di tasse e
repressioni.
Lodovico Festa
|
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SOMMARIO
abbiamo un tesoro
LA SETTIMANA
Un mosaico all’interno della
Villa romana del Casale a Piazza
Armerina, in provincia di Enna.
Dal 1997 fa parte dei Patrimoni
dell’umanità dell’Unesco
Il foglietto
Lodovico Festa...................................3
20
Non sono d’accordo
Oscar Giannino.............................. 13
anno 18 | numero 43 | 31 ottobre 2012 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
in vendita abbinata obbligatoria gratuita con il giornale
Boris Godunov
Renato Farina................................. 25
Le nuove lettere di
Berlicche.....................................................45
Passiamo
all’incasso
Aboliamo
il ministero
dell’Istruzione
carta dei diritti
Contro il neostatalismo che mortifica i docenti,
si può combattere solo a colpi di autonomia
e parità. Per ricominciare a fare scuola
Mamma Oca
Annalena Valenti..................... 55
Villa del Casale ai giapponesi, il Colosseo agli
americani, il Palatino ai russi, Ercolano all’Unesco.
Vendere. Alienare. Appaltare tutto quel ben di
Dio che noi non sappiamo far fruttare, convinti
che la cultura sia roba per pochi laureati. Appunti
per politici futuri da un cronista inviato in Sicilia
Post Apocalypto
Aldo Trento........................................ 60
|
Salvare la scuola italiana?
Si può se si punta
su autonomia e parità
Mattia Feltri......................................................................................................................................................................................................................................6
INTERNI
Sport über alles
Fred Perri................................................. 62
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano........................ 63
Diario
Marina Corradi............................66
VECCHIO RANCORE
Il vizietto
della caccia
al ciellino
C
aro direttore, una volta tanto sono indignato, pur predicando che non bisogna
indignarsi mai. È in atto una manovra
da parte dei giornali per staccare i simpatizzanti di Cl da Formigoni. Io ho stima, anche se non
sono di Cl e, abitando a Roma, non ho mai avuto l’opportunità di votare Formigoni, ma questa manovra mi pare ignobile perché vuol minare l’unità di una realtà nobile che ha portato la
Lombardia a diventare la Regione guida in Italia per tanti aspetti, in particolare perché ha
tentato di mettere in pratica la dottrina sociale
della Chiesa che riempie la bocca di tanti e viene praticata da pochi. Non facciamoci intimidire da alcuni (supposti) peccati che saranno forse stati commessi e invece rendiamoci conto che
è in atto una manovra nel nostro paese che non
solo attacca il nemico di sempre, i cattolici, ma
vuole azzerare qualsiasi concentrazione di potere politico. In teoria s’inneggia alla democrazia
ma in pratica si sta distruggendo la credibilità
di qualsiasi aggregazione democratica. Prova ne
sia che i giornali instillano stima e simpatia soltanto per i tecnici, che già – si prevede – riprenderanno in mano le sorti del paese, o per i denigratori della democrazia tipo Grillo.
Chi è l’organizzatore di questa campagna?
La solita oligarchia che decide le sorti del mondo e di quel paese “insignificante” che è l’Italia.
Un paese simpatico a tutti, eccetto che a loro per
il semplice fatto che è considerato un paese cattolico, menNon facciamoci intimidire da alcuni (supposti)
tre quei signori sono di cultupeccati e rendiamoci conto che è in atto una
ra protestante, puritana, capimanovra che non solo attacca i cattolici,
talista selvaggia e illuminista:
ma vuole azzerare qualsiasi potere politico
l’Italia per loro non deve alza-
RUBRICHE
Un sistema dal quale persino
la ’ndrangheta ha ancora
molto da imparare.
Curzio Maltese la Repubblica, 15 ottobre
La verità è che il movimento
sta tentando disperatamente di
non pagare dazio, di chiudere
la parentesi formigoniana così
come si licenzia un allenatore
che ha vinto tanto ma è
diventato ingombrante.
Caccia al ciellino. Un vizio sempre di moda
L’attacco a Formigoni e a Cl. Una lettera indignata
di Pippo Corigliano (Opus Dei) e la nostra risposta
Dario Di Vico Corriere della Sera, 17 ottobre
futuro duce). Garibaldi ha fatto la sua spedizione non solo con i Mille ma con i milioni che venivano dall’Inghilterra.
È importante che i cattolici, che sono buoni ma spesso ingenui, si facciano delle domande: come fa un australiano come Murdoch ad
accumulare giornali in America e in Inghilterra, fra cui il Times di Londra (sopportando due
mesi di sciopero), senza che nessuno gli torca un
capello? Come fa un ragazzo di famiglia povera come Obama a studiare in una costosissima
università fino a diventare presidente degli Stati Uniti? Se ci sono i burattini ci saranno pure i
burattinai. E oggi i burattinai hanno deciso che
le forze più o meno democratiche del nostro paese vengano azzerate.
di Luigi Amicone
G
razie a PiPPo Corigliano. Veramente,
la misura della violenza in atto
contro il popolo – tutto il popolo
– cattolico e non cattolico è il riproporsi,
a distanza di vent’anni, di una medesima
impostura. Allora, l’idolo delle “mani pulite” non superò l’esame della buona fede
quando si vide: 1) che nel 1993 un’intera classe politica non postcomunista venne eliminata per via giudiziaria e il parlamento sciolto; 2) che un anno dopo, 1994,
con le stesse armi giudiziarie e la compli-
Foto: AP/LaPresse
re la testa soprattutto quando i paesi anglosassoni si mettono nei guai con speculazioni finanziarie dissennate mentre il nostro paese non ne
è quasi contagiato (grazie anche al deprecato
Antonio Fazio).
Occorre avvisare i cattolici che c’è un disegno in questo senso e che non bisogna cadere
nella trappola del “ma qualcosa Formigoni e
Simone hanno fatto”. Il problema non è quello,
perché nessuno di noi è senza peccato. Il problema è che altri ci mettono i bastoni fra le ruote e
invece l’Italia, proprio perché è un paese cattolico, ha da insegnare al mondo intero tante cose,
purché si scelgano gli uomini giusti alla faccia
degli iettatori che gettano fango.
Nel supplemento del Corriere di venerdì 19
ottobre due vignette su due sfottono Formigoni
dandogli del mafioso e del sepolcro imbiancato.
Molta stampa è al servizio della grande oligarchia finanziaria che governa il mondo lasciando l’apparenza della libertà di voto e di parola.
Basta che tu voti e dici quello che vogliono loro,
altrimenti in men che non si dica diventi un Hitler, un mafioso, un dissoluto. La grande finanza internazionale e la comunicazione (stampa,
tv e affini), che da essa dipende, sono una tenaglia che ti strozza appena vai fuori strada. Come
ben illustra un recente libro intervista di Ettore
Bernabei (L’Italia del “miracolo” e del futuro,
edizioni Cantagalli) Lenin è stato creato da loro,
Hitler e Mussolini pure (qualche anno fa sono
venute fuori le ricevute dei pagamenti inglesi al
di Pippo Corigliano
INTERNI
In Lombardia
c’è un apparato di potere
da smantellare.
Ivan Berni la Repubblica Milano, 22 ottobre
L’attacco a Formigoni e al movimento fondato
da don Giussani dimostra solo che l’ingombrante
presenza del popolo cattolico è ancora sgradita
al club dei soliti noti. Una lettera indignata di
Pippo Corigliano (Opus Dei) e la nostra risposta
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Sicilia. Un modo per salvare la nostra storia
Villa del Casale ai giapponesi, il Colosseo agli americani,
il Palatino ai russi. Vendere per incassare e mettere
a frutto quel ben di Dio che abbiamo e lasciamo marcire
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cità del presidente Scalfaro venne eliminato il governo dell’imprenditore non postcomunista che aveva vinto le elezioni; 3)
che finalmente, anno 1996, salì al potere
la parte politica che era stata preservata
dalle inchieste e al potere salì pure il magistrato che era stato considerato l’“eroe”
di Mani pulite, prima come ministro, poi
come senatore, infine con un suo partito.
E così, per un breve periodo che arriva al
principiare del nuovo millennio – il periodo dei governi di sinistra e delle privatizzazioni che arricchirono alcuni e distrussero beni collettivi –, le inchieste della
magistratura si tacquero. Mentre per il
successivo decennio, che matura in questo fine 2012, di nuovo tutto in Italia torna sotto il segno di una giustizia manipolata in chiave di puro potere. Infatti, non
essendo capace la politica di compiere
le necessarie riforme (anche della giustizia), nel decennio che abbiamo alle spalle
la situazione sociale, politica, istituzionale, economica del nostro paese si deteriora rapidamente. Fino al punto da risultare
gravemente compromessa.
A partire dal 2007, la tenuta del
sistema-Italia viene messa a dura prova
dall’esplosione a livello planetario di una
crisi finanziaria causata da una certa spregiudicata e disonesta finanza anglo-americana. Il vaso comunicante della globalizza-
zione sferza l’economia e perciò anche sul
nostro paese si abbatte lo tsunami della
crisi delle istituzioni finanziarie occidentali. Tutto ciò accade nonostante l’Italia sia
uno dei pochi paesi al mondo in cui il pur
enorme debito pubblico è (in parte) compensato da uno dei più alti tassi di risparmio privato e sia il paese europeo meno
compromesso (grazie al metodo “italocentrico” del governatore di Bankitalia Fazio
e a un sistema bancario prevalentemente
autoctono) con i prodotti finanziari “spazzatura” che hanno messo in ginocchio il
sistema internazionale.
Dopo il fallimento del secondo governo Prodi e il nuovo, straordinario successo elettorale del famoso imprenditore non
postcomunista, l’Italia subisce un nuovo attacco. Causato sia dall’incapacità del
governo Berlusconi di affrontare i nodi della crisi. Sia dalla formidabile opposizione
politica fomentata dalle élite intellettuali,
armata dalla magistratura (con la complicità di un premier imprudente e “donnaiolo”), coagulata intorno al partito di Repubblica. Questo attacco raggiunge l’obiettivo
di distruggere l’immagine e la reputazione
italiana all’estero. Da questo attacco e dal
conseguente crollo della fiducia degli investitori, in un frangente delicato della crisi
europea, nell’estate del 2011 si scatena la
più micidiale delle campagne specula-
|
La Lombardia deve porre
al primo posto, e non solo
nella sanità, un’autentica lotta
di liberazione da Cl, sul piano
politico ed economico.
Marco Vitale il Fatto quotidiano, 7 settembre
«La caduta di Formigoni come
piccolo 25 Aprile della Regione
Lombardia». La speranza
che dalle macerie dell’ultimo
ventennio, in cui ha prevalso la
logica affaristica di Comunione e
Liberazione, spunti l’opportunità
di una rinascita di passione
politica e civile.
Carlo Brambilla incipit dell’intervista
all’architetto Vittorio Gregotti,
la Repubblica Milano, 16 ottobre
Pippo Corigliano, Luigi Amicone...................................................................................................................................14
I 70.000 euro spesi da Daccò
per l’organizzazione di cene e
convention nel corso del Meeting
di Rimini (…) la Procura le
qualifica «occasioni volte a
promuovere consenso elettorale»
non solo «per Formigoni», ma
anche «per il movimento di
Comunione e liberazione».
Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 2 agosto
|
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Educazione. Cattedre in rivolta
Non si risparmi sulla pelle dei docenti............................................................................. 20
Green Estate.........................................54
Per Piacere.............................................. 57
Mobilità 2000.................................. 59
Lettere al direttore................. 62
Taz&Bao..................................................... 64
26
ESTERI
REPORTAGE/1
ESTERI
Essere
cristiani
in Nigeria
Istituzioni contro jihadisti. Nomadi fulani
contro contadini berom. Settlers contro native
people. Una nazione, tre conflitti. Non sono solo
i terroristi di Boko Haram a fare stragi a Jos.
Racconto di un ordinario sabato di paura
da Jos (Nigeria) Rodolfo Casadei
L
a Peugeot 405 color amaranto davanti a noi rallenta all’improvviso.
Riparte nervosa. Oscilla incerta sulla carreggiata, poi imbocca lo sterrato
sulla sinistra, fra schizzi di fango rosso e
cespi di erba alta che si sposta al passaggio dei veicoli. Pochi minuti e uno spiazzo si apre a lasciar scorgere due-tre file di
edifici a un piano e altrettante di colline che si alzano gradualmente sullo sfondo. Sotto una veranda sei-sette soldati poltriscono seduti o appoggiati alla parete.
Li salutiamo con deferenza, contraccambiano con gesti misurati. Gli occhi vuoti delle finestre mostrano interni squallidi, inabitabili. Alla spicciolata da tutte le direzioni si avvicinano a noi uomini stanchi. Sguardi avviliti, rassegnati,
spaventati. Tranne quello del loro leader,
Patrick, che qui ci ha condotti: al cosiddetto campo per sfollati di Riyom, la località a mezz’ora di auto da Jos sul cui territorio rurale da quattro giorni si ripetono violenze efferate. I nomadi fulani hanno assalito nottetempo le case dei contadini berom uccidendo tutti quelli che trovavano dentro. Quando fanno così, vuol
dire che qualcuno gli ha ucciso il giorno
prima qualche mucca dei loro armenti,
che invadono senza chiedere il permesso
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i campi e le raccolte d’acqua dei coltivatori. «Uccidi la moglie a un fulani, e potrai
ancora metterti d’accordo con lui, se gli
paghi il danno che hai fatto. Ma uccidigli le mucche, e non avrai scampo: sterminerà te e tutta la tua famiglia», spiega Patrick. Ma può essere anche solo un
pretesto inventato per occupare l’area fin
tanto che ci sarà pascolo per i loro animali, in questa fine della stagione
delle piogge: il giorno dopo la
strage il panico spinge i vicini
lontano dai loro poderi; nelle
ore di luce i fulani sparano a
casaccio nella direzione in cui
i contadini sono fuggiti; altro
panico, e i berom si allontanano ancora di più dalle loro
proprietà; scende la notte, i
fulani assaltano altre case, e lo
schema che porta all’occupazione di fette sempre più grandi di territorio si ripete.
La strage nel villaggio
La ventina di uomini che si è
raccolta intorno a noi è il gruppo degli
sfollati. Mogli e figli sono andati a stare
coi parenti, loro sono qui quasi digiuni
a tenere d’occhio quel che succede alle
loro proprietà distanti pochi chilometri.
Patrick tira fuori le foto che ha scattato
Domenica,
alcuni cristiani
dopo la santa
Messa celebrata
nella chiesa di
Saint Finbarr,
ristrutturata
dopo l’attacco
kamikaze dello
scorso 11 marzo
Sopra, le cicatrici di alcune donne cristiane, sfigurate a colpi di
machete dagli islamisti. La loro unica colpa era di credere in Gesù.
A lato, da sinistra: padre Peter Umoren, parroco di Saint Finbarr,
con la targa dell’auto che Boko Haram ha utilizzato per l’attentato
contro la sua chiesa e che ha provocato la morte di 16 persone
più i due attentatori; la carcassa dell’autobomba
mercoledì mattina, prima di raccogliere i 14 cadaveri di quella notte e seppellirli in una fossa comune dopo un frettoloso funerale. Orrore allo stato puro. Ci
sono bambini fra i cinque e i dieci anni
sdraiati in pose varie sui tappeti di casa.
Angeli dormienti, se non fosse per il sangue nero rappreso sui vestiti, o macchie
di colore rosso sul volto. Una madre a torso nudo contro l’angolo di una parete di
casa, dal volto scende una cascata scura coagulata su collo e torace, i seni pie-
tosamente ricoperti dalle teste dei suoi
due bambini, un bebè e uno più grande.
Uccisi tutti insieme, mentre i figli cercavano protezione contro il corpo della mamma e la mamma tentava di ripararli. Le braccia sono ricadute e lasciano
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scoperte le loro facce sporche. «E i militari scrivono che gli attacchi sono da una
parte e dall’altra, che noi stiamo impedendo ai fulani di ritirarsi!», inveisce
Patrick. «Ho visto i loro rapporti, dicono che la maggior parte delle vittime
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Nigeria. La terra del martirio cristiano
Non sono solo i terroristi di Boko Haram a fare stragi
a Jos. Racconto di un ordinario sabato di paura
Rodolfo Casadei.................................................................................................................................................................................................... 26
Burkina Faso. Al centro del vulcano Africa............................... 32
Il rapporto. Dove soffre la Chiesa................................................................................36
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L’INTERVISTA
PALERMO DIETRO LE QUINTE
Bruno
Contrada
l’intervista
Le balle dei pentiti. Le accuse inverosimili. Il diritto
manomesso. E quella strana voglia del ’92 di infangare
tutto ciò che era stato “prima”. Dopo dieci anni da
detenuto, l’ex numero tre del Sisde non si arrende
Palermo
P
alermo, periferia nord ovest, una
palazzina di edilizia popolare. Bruno Contrada, l’ex numero tre del
Sisde condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, il volto che più ha incarnato nell’immaginario della stampa italiana l’idea di “servizi deviati”, abita in questo piccolo appartamento dagli anni Sessanta. Prima era in
affitto: lo ha riscattato solo nel 1982. L’altra proprietà è un villino a mare, e ha finito di pagare il mutuo ventennale mentre era in carcere. È stato accusato anche
di collezionare quadri e oggetti di valore. Non se ne vedono in casa: nel piccolo
corridoio che conduce allo studio le pareti sono coperte da librerie. Dalle teche fa
sfoggio di sé una collezione di soldatini
di piombo colorati. Contrada ci tiene moltissimo: «Non li ho potuti avere da piccolo, li ho adesso che sono vecchio», dice a
Tempi dirigendosi verso lo studiolo. Intorno alla scrivania, incorniciati, i tanti encomi raccolti durante la decennale carriera
nella polizia a Palermo. Attestati della Dea
(l’antidroga americana) e dei servizi segreti degli Stati Uniti, decine quelli del ministero dell’Interno. Gli ultimi risalgono al
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1992, poco prima del 24 dicembre, quan- di 63 anni, ha avuto un malore in aula.
do alle 7.30 del mattino fu raggiunto da Trasferito in ospedale, ha tentato il suiciuna perquisizione della direzione antima- dio. I periti medici che ne hanno accertafia e da un’ordinanza di custodia cautela- to le condizioni di salute per il tribunare spiccata dalla procura di Palermo. «Ebbi le hanno scritto: «Non sembra opportula sensazione di una saracineno sospendere la custodia causca che si abbassava sulla mia
telare in carcere. Sospendere
IL LIBRO
vita», ricorda. «Una sensazione
tale regime per sostituirlo con
di morte. Ero fisicamente vivo
i domiciliari, per problemi psinonostante tutto, ma è come se
chici, si potrebbe configurare
nella mia esistenza si fosse piancome una ferita all’amor protato uno spartiacque».
prio. Il sistema di detenzione
Dall’11 ottobre scorso Consi configura, paradossalmente,
trada è tornato un uomo libero.
come sistema di contenimenIn questa casa dal 2008 ha finito
to psichico». Il carcere, secondi scontare la sua pena ai domido i periti, sarebbe stato insomciliari. Dopo l’arresto del 1992
ma un luogo di cura e benesseha fatto tre anni di carcerazione LA MIA
re. Per fortuna in quella occapreventiva, dapprima nel carce- PRIGIONE
sione la custodia cautelare è stare militare di Forte Boccea di B. Contrada
ta invece sospesa. L’11 maggio
Roma. Poi, iniziato il processo, L. Leviti
2007 Contrada ha poi iniziato
Marsilio
in quello militare di Palermo: 16,50 euro
l’espiazione della condanna nel
«Siccome era dismesso, l’hanno
carcere di Santa Maria Capua a
riaperto appositamente per me. Sono sta- Vetere, sino al luglio 2008, quando è stato
to l’unico detenuto dal 12 aprile 1994 al trasferito ai domiciliari.
31 luglio 1995. Era il vecchio manicomio
Perché le è stata applicata una misura
borbonico». A processo abbondantemencautelare così lunga?
te in corso, in un momento di prostraVolevano che subissi il processo in stazione, nel giugno 1995 Contrada, all’età to di detenzione, il che mi ha portato
Foto: Fotogramma
Io, superpoliziotto antimafia, incastrato
dalla giustizia per un disegno “rivoluzionario”
|
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Bruno Contrada. Al servizio dello Stato
Io, superpoliziotto antimafia, incastrato dalla giustizia
per un disegno “rivoluzionario”. Dopo dieci anni
da detenuto, l’ex numero tre del Sisde non si arrende
Chiara Rizzo....................................................................................................................................................................................................................46
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L’ITALIA
CHELAVORA
l’italia che lavora
Il pronto
soccorso del
packaging
Unimballaggioprimaedopolasovrastampa
Le mode cambiano, le leggi pure, gli imballaggi
invecchiano e finiscono in discarica. Grazie alla
sovrastampa della famiglia Arici, dal 1978 non è
più così. La pancetta “si trasforma” in prosciutto
cotto, le aziende risparmiano e l’ambiente respira
O
gni anno le aziende fanno i conti con
chilometri e chilometri di imballaggi non più utilizzabili. Le ragioni? Tante e diverse: errori di stampa, nuove
normative che impongono aggiornamenti alle etichette, date di scadenza, prezzi
e ragioni sociali variate o semplicemente
la necessità di tenersi al passo con i gusti
che richiedono modifiche e aggiornamenti alla grafica del packaging. La conseguenza è chiara: migliaia di euro, a volte anche
milioni, gettati al vento. Oltre il danno la
beffa, perché quei materiali sono destinati
al macero e questo ha un costo.
Dal 1978 c’è una piccola azienda di
Lainate, in provincia di Milano, che questi materiali li recupera quasi al cento per
cento. È la Rotoprint Sovrastampa di Giancarlo Arici. Il fatto che si chiami Rotoprint
fa capire che qualcosa c’entra con la stampa. Ma Sovrastampa? «Dico la verità, mi
sono inventato un lavoro, e ho inventato
pure una parola», dice sorridendo il direttore generale e fondatore Giancarlo Arici. Eppure è semplice, sostanzialmente la
Rotoprint “scrive” sopra una stampa già
esistente, recuperando migliaia di chilometri di imballaggi che senza la sua intuizione finirebbero in discarica. Quanti? Nel
2010 oltre 18 mila chilometri di materiali;
in poco più di due anni con questi imballaggi si potrebbe costruire una striscia lunga come la circonferenza della Terra.
Giancarlo ha settant’anni, ma di fare il
pensionato proprio non ha voglia. Il lavoro
lo diverte e appassiona ancora e i riconoscimenti piovono da tutto il mondo. Il primo
nel 1993, l’Oscar dell’imballaggio, l’anno
52
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scorso a Graz, in Germania, l’Innovation
Award dell’European Rotogravure Association. La settimana scorsa l’ultimo, a Chicago, il Technical Innovation Award. «Siamo appena tornati dall’America e anche
là, quando raccontiamo cosa facciamo,
rimangono a bocca aperta. Sono stati capaci di andare sulla Luna, ma non sono in
grado di imitare il nostro lavoro. Ci chiedono di vendere il nostro know-how, ma per
ora non se ne parla».
Una mattina davanti allo specchio
Tutto ha inizio più di quarant’anni fa: «Fin
dal 1963 lavoravo con gli altri 3 miei fratelli. Facevamo gli stampatori per conto terzi in uno scantinato di Lainate. Un giorno si presenta un cliente con una richiesta mai sentita prima: voleva cambiare il
prezzo su una confezione di ravioli così da
non buttar via l’imballaggio che aveva in
magazzino», racconta Arici. Facile da dirsi, ma all’epoca non esistevano macchinari in grado di esaudire quel desiderio. «Ma
a un’offerta di lavoro io non rispondo mai
di no. Niente è impossibile. Così la tecnologia l’ho inventata io. Ho provato e riprovato finché una mattina, mentre mi facevo la
barba, mi è venuta l’intuizione giusta e ho
risolto il problema».
Nel 1978 Giancarlo si separa dai fratelli e inizia a fare solo sovrastampe. Ed è la
sua fortuna. La Rotoprint nasce negli anni
in cui nascono leggi che vietano l’uso dei
coloranti nelle ricette alimentari. Così,
dall’oggi al domani, il lavoro arriva da tutta Italia, poi dall’Europa e a volte anche
dal mondo. «Il nostro è un lavoro di nic-
Sopra,unadellemacchineperla
sovrastampacostruitedaGiancarlo
Arici.Nell’altrapagina,lafamiglia
Arici,conpapàGiancarlo,lamoglie
FelicitaeilfiglioGiovanniLuca
chia, a questo livello siamo gli unici in tutta Europa e forse anche al mondo». Dopo
i coloranti il periodo della mucca pazza e
dell’aviaria: e via altre richieste. «Ognuna
era una sfida: dovevamo lavorare materiali
e formati sempre diversi e di soldi per macchine nuove non ce n’erano. Così le inventavo io. Provengo da una famiglia che lavorava la terra, ho imparato ad arrangiarmi
fin da bambino. E così nel lavoro. Trasformavo l’usato in base alle esigenze e per farlo usavo qualsiasi cosa: una volta anche un
freno di una Seicento». Mica male per uno
che non è nemmeno laureato.
Gli affari per la Rotoprint vanno sempre meglio, soprattutto quando alla fine
degli anni Novanta entra in azienda il
figlio Giovanni Luca. «Mio papà segue la
parte tecnica, io mi occupo di quella commerciale. Anche io non sono laureato, ma
spesso basta la determinazione per riusci-
re in qualcosa». Giovanni Luca è convinto che «se siamo qui è merito di papà, della sua intuizione. Oggi si parla di rispetto dell’ambiente: lui lo fa da quarant’anni. Salviamo materiali che sarebbero destinati al macero». Nella fabbrica di Lainate si
modificano imballaggi già stampati in formati tetrarex, scatole, astucci, blister, elopak oppure materiali in bobina come alluminio, carta, polietilene, poliestere e tetrapak. «In quarant’anni di lavoro ci siamo
costruiti un background che ci permette
di affrontare ogni richiesta. Siamo allenati a risolvere qualsiasi problema perché ci
è già capitato e sappiamo come affrontarlo. Ogni volta è una sfida nuova che non
rifiutiamo mai: il lavoro si accetta sempre.
E il risultato ha una precisione millimetrica». In questo modo la porchetta si “trasforma” in un salame Milano, la pancetta
in un prosciutto cotto, la pasta da un euro
diventa da 50 centesimi.
È difficile calcolare il risparmio reale di un’azienda, però Giovanni cerca di
spiegare quali sono i vantaggi. «La sovrastampa fa risparmiare più di quanto costa.
Anzitutto il tempo: per creare un imballaggio nuovo ci vogliono dalle 2 alle 4 settimane, noi nel giro di 24 ore siamo in grado
di avviare la macchina. Così, e questi sono
altri vantaggi, l’azienda può rispettare i
termini di consegna così da evitare possibili sanzioni e il prodotto non corre il pericolo di deteriorarsi. Infine il fattore ecologico: nessun materiale finisce in discarica».
Così si spiega il motto di famiglia: «Ogni
chilogrammo di materiale sovrastampato
è un chilogrammo risparmiato». Non male
come biglietto da visita.
impossibile da eliminare. «Incontro persone che sorridendo mi dicono che noi viviamo delle “disgrazie” altrui. Per far comprendere l’importanza della nostra specializzazione dico loro che se domani dovessimo chiudere sarebbero più le persone che
piangono di quelle che ridono. Noi siamo
una soluzione ai problemi, non la causa».
Nel “pronto soccorso del packaging”
di Lainate lavorano 15 persone pronte a
gestire qualsiasi emergenza che «otto volte su dieci ha la massima urgenza». Ma
un’azienda a conduzione familiare non
potrebbe andare avanti se non ci fosse la
precisione e l’ostinazione di una donna.
Giancarlo ne è convinto: «Se devo ringraziare qualcuno, questa è Felicita, siamo
sposati da 47 anni. È una donna di carattere, mi ha sostenuto, incoraggiato, spronato, soprattutto all’inizio di questa avventura. Lei segue la programmazione e le posso assicu«Quandomichieserodimodificareilprezzo
rare che quando ci prendiasopral’imballaggiolatecnologianonesisteva. mo un impegno, cascasse il
Cosìmelasonoinventata.Oggiriusciamo
mondo, lei lo fa rispettare».
a“scrivere”sopraqualsiasistampaesistente»
DanieleGuarneri
La precisione di Felicita
I clienti che si rivolgono alla Rotoprint
sono migliaia e il lavoro è talmente vario
che difficilmente finirà: le leggi cambiano ogni giorno, la fantasia degli addetti
marketing è inarrestabile, l’errore umano
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Rotoprint. La sovrastampa di Giancarlo Arici
Cambiano mode e leggi, gli imballaggi invecchiano e
finiscono in discarica. Grazie a una piccola azienda di
Lainate non è più così. Il pronto soccorso del packaging
Daniele Guarneri...................................................................................................................................................................................................52
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 18 – N. 43 dal 25 al 31 ottobre 2012
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli,
Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato
speciale), Benedetta Frigerio, Massimo
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Rizzo, Chiara Sirianni
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Un mosaico all’interno della
Villa romana del Casale a Piazza
Armerina, in provincia di Enna.
Dal 1997 fa parte dei Patrimoni
dell’umanità dell’Unesco
abbiamo un tesoro
Passiamo
all’incasso
Villa del Casale ai giapponesi, il Colosseo agli
americani, il Palatino ai russi, Ercolano all’Unesco.
Vendere. Alienare. Appaltare tutto quel ben di
Dio che noi non sappiamo far fruttare, convinti
che la cultura sia roba per pochi laureati. Appunti
per politici futuri da un cronista inviato in Sicilia
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U
n’ora libera. Sono due giorni che
consigliano: vada a vedere la Villa
del Casale. Non è tanto il nome da
zuppa surgelata, è che in Italia spesso è
così, si seguono le indicazioni o i suggerimenti sui siti dell’antica Roma, e gira e
rigira ci si imbatte in perimetri di millenari muri sbrecciati. Noi, qui, da feticisti
e amanti della storia, si va a vedere con
palpitazione l’ultimo ciottolo. Ma resta
un’ora libera soltanto prima di mettersi
in viaggio da Piazza Armerina, provincia
di Enna, verso Catania. Ci sono i famosi
mosaici, dicono, e uno si figura due fan-
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ciulli e due cacciatori da intuire nel diradarsi delle tessere. E però alla fine si cede.
Dieci euro il biglietto d’ingresso. Ed è –
chi già c’era stato lo sa, chi non c’è stato
lo sappia – la fine del mondo.
Tanti anni vissuti a Roma, a individuare al tatto le colonne originarie delle
Terme di Diocleziano, ora chiesa di Santa
Maria degli Angeli, dove celebrano i funerali dei militari italiani morti in missio-
ne; tanti anni a cercare gli affreschi fra
le muffe nella casa che fu di Augusto sul
Palatino; tanti anni a scrutare il punto
approssimativo, in piazza di Torre Argentina, dove Giulio Cesare fu ammazzato da
Bruto; tanti anni a compulsare le guide
per capire dove finisca la base antica del
Mausoleo di Adriano e dove cominci la
costruzione medievale di Castel Sant’Angelo; tanti anni a immaginarsi gli spalti del Circo Massimo, le
colonne dei Fori ImperiaFino a poco tempo fa Villa del Casale era la
li, a toccare il portone in
residenza e la latrina lussuosissima dei cani
bronzo di San Giovanni
randagi. Qualche ragazzo ci andava alla sera
in Laterano che era quello
del Senato sul Foro Romaa dar manforte ai mosaici, diciamo così
Foto: AP/LaPresse
da Piazza Armerina (Enna) Mattia Feltri
abbiamo un tesoro PRIMALINEA
Foto: AP/LaPresse
Quando si va in Sicilia
la tappa a Piazza Armerina
è fondamentale. Quanti
sanno che questo ombelico
del mondo ospita una
meraviglia pressoché
imparagonabile? Fino a poco
tempo fa era la residenza
e la latrina lussuosissima di
cani randagi. I ragazzi ci
andavano alla sera a dar
manforte ai mosaici con le
bombolette spray. Pensate
fosse un sacrilegio?
Lo era. Ma è il sacrilegio
la specialità della casa
no, tanti anni su e giù per i Sette Colli e
poi… E poi si finisce in Sicilia, nell’entroterra di Enna, a farsi mancare il fiato. Tremila e settecento metri quadrati – cioè
metà campo di calcio – di mosaici perfettamente conservati, quarantadue pavimenti policromi, centoventi milioni di
tessere in trentasette colori diversi (si è
calcolato che per posarle servirono oltre
ventimila ore di lavoro tutte smazzate
da schiavi nordafricani), stanze, corridoi, decine di colonne, terrazze, piscine.
Era la villa – si presume – dell’imperatore Massimiano Erculeo, padre di Massenzio che fu sconfitto da Costantino a Ponte Milvio (se Costantino avesse perso l’in-
troduzione del cristianesimo nell’Impero
avrebbe tardato di molto), e che lasciò a
Roma la sua meravigliosa Basilica a due
passi dal Colosseo.
C’è persino qualche turista. Anzi, ce
ne sono parecchi – trenta o quaranta –
per essere un giovedì d’ottobre, seppur di
tempra estiva. Americani, francesi, qualche tedesco. Italiani niente, si direbbe.
Una coppia parigina spiega che quando
si organizzò il viaggio in Sicilia, la tappa a Piazza Armerina era data come fondamentale e la coppia non è niente delusa. In Italia, per venire qua, bisogna avere trovato l’ago nel pagliaio: quanti sanno che questo ombelico del mondo ospita una meraviglia pressoché imparagonabile? Naturalmente non ci sono autostrade a otto corsie e indicazioni ossessive e golose a condurre qui. Neanche interpoderali, sia chiaro, ma
il senso d’avventura per
Un anno fa il sindaco pidiellino di Agrigento
arrivare alla meta è palpapensò di dare l’area in concessione con
bile. In paese le indicazioun’asta da Sotheby’s. Dal momento che era
ni per la villa sono numeun’idea eccellente, venne scartata fra i fischi
rose e impeccabili, ma
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Qui a due passi c’è un’altra Pompei
La villa è così ben conservata (a dimostrazione che la sbalorditiva Roma imperiale non c’è più non a causa del tempo, ma
dei miserabili saccheggi delle famiglie
nobili romane) perché fu scavata a fine
Ottocento e perché, negli ultimi anni, ci
hanno messo mano e soldi per ripulire i
mosaici e dare una copertura adeguata al
tesoro. Se n’è occupato Vittorio Sgarbi, e
secondo qualcuno il merito è suo, secondo altri ha colpa di aver tardato l’impresa (noialtri, visto che succede nel resto
d’Italia e soprattutto nel resto della Sicilia, tendiamo alla prima ipotesi). Fino a
poco tempo fa la villa era la residenza e
la latrina lussuosissima dei cani randagi. Qualche ragazzo ci andava alla sera
a dar manforte ai mosaici, diciamo così,
con le bombolette spray. Pensate fosse un
sacrilegio? Certo che lo era. Ma è il sacrilegio la specialità della casa. Poco sotto
la villa, c’è la città antica, d’epoca romana. È interrata. Poiché da queste parti
non c’erano i Colonna o i Barberini con
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la necessità di costruirsi palazzi all’altezza delle ambizioni, è praticamente certo che la città è intatta. Ci saranno altri
mosaici, sebbene non così sbalorditivi,
ci saranno decorazioni, case, vie, piazze.
Un’altra Pompei. Ma naturalmente non
ci sono denari per tirarla fuori, pulirla,
conservarla, renderla visitabile (e dare
così posti di lavoro persino produttivi).
Anche l’incredibile Segesta (a due passi
da Alcamo) è per metà sottoterra e arrivarci è un triplo salto mortale. A Eloro,
dalle parti di Noto, c’è un’intera cittadina greca chiusa al pubblico e sentinellata
per qualche ora al giorno da un annoiato custode. Andate su Google e guardate
che cosa sono, o che cosa potrebbero essere, tanto per restare sull’isola, l’Antiquarium di Himera (cioè Termini Imerese) o
Eraclea Minoa in provincia di Agrigento
o il Sollazzo dello Scibene ad Altarello di
Baida (Palermo). Invece si sbarca a Messina o si atterra a Catania e i pullman portano direttamente a Taormina.
Della Sicilia – che è terra di sapere e
di bellezza da quando fu colonizzata dai
greci, quasi duemila e ottocento anni fa, e
che è terra devastata e che si direbbe irrecuperabile – è giusto risaputa e visitata la
Valle dei Templi, ma la manutenzione è
costosissima e come al solito i quattrini
sono pochi. Un anno fa, il sindaco pidiellino di Agrigento, Marco Zambuto, pensò di dare l’area in concessione attraverso un’asta da Sotheby’s. Contava di ricavarne cento miliardi di euro con cui gestire nell’opulenza la zona archeologica.
Dal momento che era un’idea eccellente, venne scartata fra i fischi e gli insulti poiché – dicevano da destra a sinistra e
passando per gli intellettualoni indignati – il patrimonio culturale italiano è italiano, e italiano deve rimanere eccetera
eccetera. Considerato come teniamo noi i
nostri gioielli, come li lasciamo degradare, come li nascondiamo con cura, come
li rendiamo così invisitabili, la soluzione
migliore sarebbe invece la concessione.
«Date la Villa del Casale ai
Perché i turisti che portano denari, e i denari giapponesi o ai cinesi, fategli tirare fuori la città antiportano lavoro e possibilità di conservazione ca, fategli sfruttare l’area in
di opere, sono visti come rozzi imbecilli che
cambio di una cifra iniziale
si erano stancati del centro commerciale?
e di una percentuale sugli
Foto: AP/LaPresse
si sovrappongono a quelle per la pizzeria Totò e per la trattoria Trinacria. E sono
cartelli asettici, niente che stuzzichi, che
faccia salire il sangue agli occhi.
abbiamo un tesoro PRIMALINEA
Tremila e settecento
metri quadrati – cioè
metà campo di calcio –
di mosaici perfettamente
conservati, quarantadue
pavimenti policromi,
centoventi milioni di
tessere in trentasette
colori diversi (si è
calcolato che per posarle
servirono oltre ventimila
ore di lavoro tutte
smazzate da schiavi
nordafricani), stanze,
corridoi, decine di colonne,
terrazze, piscine
Foto: AP/LaPresse
incassi: vi daranno lavoro e vi renderanno
ricchi per generazioni». Questo dicevamo
a Villa Armerina e tutti sorridevano per
la bizzarria, ma avevano l’aria stuzzicata.
Per salvare la storia del mondo
Si dovrebbe fare così ovunque. Il Colosseo agli americani, il Palatino ai russi,
Ercolano all’Unesco. Vendere. Alienare.
Non soltanto per fare cassa, ma per salvare la storia del mondo: se fossimo capaci, e non lo siamo, la faremmo noi cassa, e tanta, con tutto il ben di Dio che
abbiamo e su cui lasciamo che defechino i cani. Con quell’approccio sussiegoso e insopportabile alla cultura che diffondiamo. Il vostro cronista avrà parlato
con non meno di tre ministri della Cultura. Ha detto loro: perché chi va sul Palatino, il colle su cui Romolo fondò Roma e
ammazzò il fratello, non ci capisce niente? Perché ci sono pochi cartelli a illustrare i resti e quei pochi sono scritti per
laureati specializzati in storia dell’arte e tecniche archeologiche? Perché vicino alla Coenatio Rotunda di Nerone ci
sono dettagliate descrizioni sui materiali, le modalità di costruzione, i particolari dello scavo e così via, e non c’è scritto che quella cosa lì era la sala da pranzo
dell’imperatore, una torretta che si innalzava su tutta la capitale e mentre Nerone cenava con gli ospiti girava su se stessa, a offrire il panorama a trecentosessanta gradi? Perché Roma non è disseminata
di cartelloni disegnati da grandi artisti e
incorniciati in ferro battuto a mostrare
come erano in origine le Terme di Caracalla o il mausoleo di Augusto (che per di
più cade a pezzi)? Perché la città si decora
di orrendi cantieri, per mesi o per anni,
chiusi alla vista, inaccessibili, dentro cui
lavorano archeologi come sommi sacerdoti? Il cronista ha detto a non meno di
tre ministri della Cultura: perché non li
aprite al pubblico, perché non consentite ai turisti di entrare – naturalmente
dove non corrano rischi di fare danno –,
di guardare in che cosa consistano le operazioni? Perché non mettete loro a disposizione una guida che in cambio di due o
cinque euro particolareggi su che cosa si
sta scavando, qual è l’importanza dei rinvenimenti, quali le tecniche, a che punto
si è? Perché tutto ciò che è bello in questa
bellissima Italia deve essere respingente? Perché ciò che è affascinante e diffondibile viene visto come una bestemmia
sulle sacralità professorali? Perché i turisti che portano denari, e i denari portano lavoro e possibilità smisurate di conservazione di opere d’arte e monumenti, sono sempre visti come dei rozzi imbecilli che si erano stancati di girare al centro commerciale? Non meno di tre ministri della Cultura hanno detto al cronista
che era vero, che aveva ragione e che tuttavia ci si scontra irrimediabilmente contro muri accademici e castali. Non c’è la
forza di abbatterli. Non c’è la forza di far
funzionare quella che sarebbe di gran
lunga la prima industria del paese. Non
c’è nemmeno la vergogna di mostrare al
pianeta come lasciamo marcire e sbriciolarsi i mille e mille capolavori che le epoche ci hanno lasciato in eredità, eredità
che dissipiamo come rampolli di terza
generazione, e senza nemmeno spassarcela come se la spassano
loro. C’è soltanto lo sbufSe fossimo capaci faremmo noi cassa,
fo altezzoso e ridicolo di
con tutto questo ben di Dio che lasciamo
chi reputa la cultura una
andare in malora. Con quell’approccio
religione oscura, e se ne
sussiegoso alla cultura che diffondiamo
sente il pontefice. n
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Da OlTRE CINQUaNT’aNNI
laVORIamO PER la TUa SICUREZZa
SUllE FERROVIE ITalIaNE
GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a
T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t
L’OBIETTORE
BUONA L’INTENZIONE, MALE IL MERITO
Anticorruzione, un’arma spuntata
che ci complicherà solo la vita
di Oscar Giannino
I
anticorruzione è cosa buona e giusta. Come idea, però, più che per la
NON SONO
sostanza. Ho scritto e ripeto che MaD’ACCORDO
rio Monti ha fatto bene a mettersi al seguito del Quirinale tirando
energicamente la giacchetta ai partiti della maggioranza perché capissero che contro la corruzione dilagante occorreva uno scatto di reni.
Malgrado l’apparenza delle statistiche giudiziarie, secondo le quali diminuirebbero sia i delitti di corruzione e concussione, sia i denunciati e i condannati con
sentenza definitiva per questi reati, la realtà appare del
tutto opposta agli italiani e agli osservatori stranieri. Il
fenomeno sembra più esteso che mai. Le nostre leggi, totalmente inadeguate. La realtà italiana largamente connivente e rassegnata.
I costi sono spaventosi, per quanto approssimativa
sia la stima della Corte dei conti di 60 miliardi di euro l’anno, a cui il governo ha aggiunto, con il rapporto
ad hoc predisposto dal ministero della Pubblica amministrazione (Pa), la valutazione di un freno alla crescita delle piccole e medie imprese dal 25 al 40 per cento,
secondo il settore di appartenenza. La concorrenza leale viene smantellata da chi tra i privati decide di godere del rapporto discrezionale con una Pa pronta a fare
gare, prezzi e bandi ad hoc per gli amici degli amici. Le
opere pubbliche salgono di costo, anzi spesso si fanno
solo quelle dietro le quali c’è corruzione, mentre i Comuni virtuosi non possono pagare i fornitori né realizzare alcunché, strangolati dal patto di stabilità interna.
Le multinazionali se ne vanno, e gli investimenti diretti
esteri preferiscono altri paesi.
Eppure, detto tutto questo, il più delle norme del ddl
anticorruzione ripetono vecchi errori e li amplificano, invece di sanarli. Si crede in Italia che bandire l’imperfettismo umano significhi moltiplicare fattispecie e pene
edittali. È la tendenza del formalismo strutturalista panpenale, che va per la maggiore da qualche decennio, e
che è l’esatto opposto di incentivi innanzitutto economici e reputazionali che premino la compliance spontanea
e la diffusione della sua cultura. Che, nel lungo tempo,
nel carattere di un popolo come nell’agire dei suoi operal disegno di legge
In ogni azienda ci sarà un responsabile per i reati
di corruzione commessi a sua insaputa. Voglio
vedere a che prezzo le imprese troveranno
manager disposti a sobbarcarsi evenienze simili
tori economici e dei suoi attori civili e politici ottiene risultati assai migliori della paura delle manette.
Che senso ha, per esempio, ripetere per la corruzione
l’errore commesso con la 231, per la responsabilità oggettiva penale delle imprese? Il responsabile anticorruzione
in ogni azienda sarà civilmente e penalmente responsabile per eventuali reati di corruzione commessi a sua insaputa. E sarà suo l’onere della prova di aver fatto tutto
ciò che si doveva per evitarli. Voglio vedere a che prezzo le imprese troveranno manager disposti a sobbarcarsi
evenienze simili. Che dire dell’introduzione della corruzione tra privati, con effetti tali da procurare nocumento
all’impresa? Bisognerà stare attenti d’ora in poi a praticare sconti pur di aggiudicarsi commesse di apparati e sistemi Ict: un pm potrebbe sostenere che è corruzione che
danneggia il compratore, in quanto la fornitura è intesa
a diminuirne la pianta organica di dipendenti.
Ancora: a cosa servono le black list anticorruzione?
Non è bastata la risibile esperienza pluridecennale dei
certificati antimafia? Continuo. Siete davvero convinti
che sia precisamente configurabile in concreto l’estremo che dia sostanza inequivoca al nuovo reato di traffico
d’influenze, e cioè allo scambio di voti per interessi alle
elezioni? Non devo essere il solo a dubitarne ma per primo l’estensore della norma. Che è evidentemente un puro spauracchio per politici, visto che la pena prevista può
essere inferiore a quella del millantato credito già oggi
indicata nel codice penale. Idem dicasi per la previsione
dell’induzione quale circostanza definitoria aggiuntiva
dei reati corruttivi. Sono tutti nuovi strumenti nella panoplia delle inchieste su politica, Pa e privati. In realtà aggiungono solo sapone scivoloso a pochissime fattispecie
di reato alle quali magari bisogna invece cambiare il tipo
di pena, con interdizioni lunghe e permanenti all’esercizio del diritto passivo di voto, come al godimento di diritti politici ed economici da parte di imprese e manager.
Obiettivo ampiamente mancato
Purtroppo le colpe sono anche dell’eterogenea maggioranza che sostiene Monti. Il centrodestra ha puntualmente riprovato a inserire nel testo norme ad personam per procedimenti in corso. Né ha un giustificato
motivo per resistere all’introduzione di fattispecie come l’autoriciclaggio, chiesto giustamente da anni dai
magistrati secondo quanto previsto in molti altri ordinamenti. E così, tra fughe in avanti indotte dalla magistratura per un verso, e freni contraddittori da parte della politica dall’altro, l’impressione data agli italiani e al
mondo intero è ancora una volta quella di penosi distinguo, pasticci e furbizie. Resteremo così lontanissimi, c’è
da scommetterci, dall’avere codici di comportamento,
livelli di trasparenza e di responsabilità disciplinare nella Pa capaci di scoraggiare davvero le sistematiche violazioni di un’idea anche solo elementare dell’etica civile.
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INTERNI
VECCHIO RANCORE
Il vizietto
della caccia
al ciellino
L’attacco a Formigoni e al movimento fondato
da don Giussani dimostra solo che l’ingombrante
presenza del popolo cattolico è ancora sgradita
al club dei soliti noti. Una lettera indignata di
Pippo Corigliano (Opus Dei) e la nostra risposta
C
sono indignato, pur predicando che non bisogna
indignarsi mai. È in atto una manovra
da parte dei giornali per staccare i simpatizzanti di Cl da Formigoni. Io ho stima, anche se non
sono di Cl e, abitando a Roma, non ho mai avuto l’opportunità di votare Formigoni, ma questa manovra mi pare ignobile perché vuol minare l’unità di una realtà nobile che ha portato la
Lombardia a diventare la Regione guida in Italia per tanti aspetti, in particolare perché ha
tentato di mettere in pratica la dottrina sociale
della Chiesa che riempie la bocca di tanti e viene praticata da pochi. Non facciamoci intimidire da alcuni (supposti) peccati che saranno forse stati commessi e invece rendiamoci conto che
è in atto una manovra nel nostro paese che non
solo attacca il nemico di sempre, i cattolici, ma
vuole azzerare qualsiasi concentrazione di potere politico. In teoria s’inneggia alla democrazia
ma in pratica si sta distruggendo la credibilità
di qualsiasi aggregazione democratica. Prova ne
sia che i giornali instillano stima e simpatia soltanto per i tecnici, che già – si prevede – riprenderanno in mano le sorti del paese, o per i denigratori della democrazia tipo Grillo.
Chi è l’organizzatore di questa campagna?
La solita oligarchia che decide le sorti del mondo e di quel paese “insignificante” che è l’Italia.
Un paese simpatico a tutti, eccetto che a loro per
il semplice fatto che è considerato un paese cattolico, menNon facciamoci intimidire da alcuni (supposti)
tre quei signori sono di cultupeccati e rendiamoci conto che è in atto una
ra protestante, puritana, capimanovra che non solo attacca i cattolici,
talista selvaggia e illuminista:
ma vuole azzerare qualsiasi potere politico
l’Italia per loro non deve alza14
aro direttore, una volta tanto
re la testa soprattutto quando i paesi anglosassoni si mettono nei guai con speculazioni finanziarie dissennate mentre il nostro paese non ne
è quasi contagiato (grazie anche al deprecato
Antonio Fazio).
Occorre avvisare i cattolici che c’è un disegno in questo senso e che non bisogna cadere
nella trappola del “ma qualcosa Formigoni e
Simone hanno fatto”. Il problema non è quello,
perché nessuno di noi è senza peccato. Il problema è che altri ci mettono i bastoni fra le ruote e
invece l’Italia, proprio perché è un paese cattolico, ha da insegnare al mondo intero tante cose,
purché si scelgano gli uomini giusti alla faccia
degli iettatori che gettano fango.
Nel supplemento del Corriere di venerdì 19
ottobre due vignette su due sfottono Formigoni
dandogli del mafioso e del sepolcro imbiancato.
Molta stampa è al servizio della grande oligarchia finanziaria che governa il mondo lasciando l’apparenza della libertà di voto e di parola.
Basta che tu voti e dici quello che vogliono loro,
altrimenti in men che non si dica diventi un Hitler, un mafioso, un dissoluto. La grande finanza internazionale e la comunicazione (stampa,
tv e affini), che da essa dipende, sono una tenaglia che ti strozza appena vai fuori strada. Come
ben illustra un recente libro intervista di Ettore
Bernabei (L’Italia del “miracolo” e del futuro,
edizioni Cantagalli) Lenin è stato creato da loro,
Hitler e Mussolini pure (qualche anno fa sono
venute fuori le ricevute dei pagamenti inglesi al
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futuro duce). Garibaldi ha fatto la sua spedizione non solo con i Mille ma con i milioni che venivano dall’Inghilterra.
È importante che i cattolici, che sono buoni ma spesso ingenui, si facciano delle domande: come fa un australiano come Murdoch ad
accumulare giornali in America e in Inghilterra, fra cui il Times di Londra (sopportando due
mesi di sciopero), senza che nessuno gli torca un
capello? Come fa un ragazzo di famiglia povera come Obama a studiare in una costosissima
università fino a diventare presidente degli Stati Uniti? Se ci sono i burattini ci saranno pure i
burattinai. E oggi i burattinai hanno deciso che
le forze più o meno democratiche del nostro paese vengano azzerate.
di Luigi Amicone
G
razie a Pippo
Corigliano. Veramente,
la misura della violenza in atto
contro il popolo – tutto il popolo
– cattolico e non cattolico è il riproporsi,
a distanza di vent’anni, di una medesima
impostura. Allora, l’idolo delle “mani pulite” non superò l’esame della buona fede
quando si vide: 1) che nel 1993 un’intera classe politica non postcomunista venne eliminata per via giudiziaria e il parlamento sciolto; 2) che un anno dopo, 1994,
con le stesse armi giudiziarie e la compli-
Foto: AP/LaPresse
di Pippo Corigliano
In Lombardia
c’è un apparato di potere
da smantellare.
Ivan Berni la Repubblica Milano, 22 ottobre
Un sistema dal quale persino
la ’ndrangheta ha ancora
molto da imparare.
Curzio Maltese la Repubblica, 15 ottobre
La verità è che il movimento
sta tentando disperatamente di
non pagare dazio, di chiudere
la parentesi formigoniana così
come si licenzia un allenatore
che ha vinto tanto ma è
diventato ingombrante.
Foto: AP/LaPresse
Dario Di Vico Corriere della Sera, 17 ottobre
cità del presidente Scalfaro venne eliminato il governo dell’imprenditore non postcomunista che aveva vinto le elezioni; 3)
che finalmente, anno 1996, salì al potere
la parte politica che era stata preservata
dalle inchieste e al potere salì pure il magistrato che era stato considerato l’“eroe”
di Mani pulite, prima come ministro, poi
come senatore, infine con un suo partito.
E così, per un breve periodo che arriva al
principiare del nuovo millennio – il periodo dei governi di sinistra e delle privatizzazioni che arricchirono alcuni e distrussero beni collettivi –, le inchieste della
magistratura si tacquero. Mentre per il
successivo decennio, che matura in questo fine 2012, di nuovo tutto in Italia torna sotto il segno di una giustizia manipolata in chiave di puro potere. Infatti, non
essendo capace la politica di compiere
le necessarie riforme (anche della giustizia), nel decennio che abbiamo alle spalle
la situazione sociale, politica, istituzionale, economica del nostro paese si deteriora rapidamente. Fino al punto da risultare
gravemente compromessa.
A partire dal 2007, la tenuta del
sistema-Italia viene messa a dura prova
dall’esplosione a livello planetario di una
crisi finanziaria causata da una certa spregiudicata e disonesta finanza anglo-americana. Il vaso comunicante della globalizza-
zione sferza l’economia e perciò anche sul
nostro paese si abbatte lo tsunami della
crisi delle istituzioni finanziarie occidentali. Tutto ciò accade nonostante l’Italia sia
uno dei pochi paesi al mondo in cui il pur
enorme debito pubblico è (in parte) compensato da uno dei più alti tassi di risparmio privato e sia il paese europeo meno
compromesso (grazie al metodo “italocentrico” del governatore di Bankitalia Fazio
e a un sistema bancario prevalentemente
autoctono) con i prodotti finanziari “spazzatura” che hanno messo in ginocchio il
sistema internazionale.
Dopo il fallimento del secondo governo Prodi e il nuovo, straordinario successo elettorale del famoso imprenditore non
postcomunista, l’Italia subisce un nuovo attacco. Causato sia dall’incapacità del
governo Berlusconi di affrontare i nodi della crisi. Sia dalla formidabile opposizione
politica fomentata dalle élite intellettuali,
armata dalla magistratura (con la complicità di un premier imprudente e “donnaiolo”), coagulata intorno al partito di Repubblica. Questo attacco raggiunge l’obiettivo
di distruggere l’immagine e la reputazione
italiana all’estero. Da questo attacco e dal
conseguente crollo della fiducia degli investitori, in un frangente delicato della crisi
europea, nell’estate del 2011 si scatena la
più micidiale delle campagne specula-
La Lombardia deve porre
al primo posto, e non solo
nella sanità, un’autentica lotta
di liberazione da Cl, sul piano
politico ed economico.
Marco Vitale il Fatto quotidiano, 7 settembre
«La caduta di Formigoni come
piccolo 25 Aprile della Regione
Lombardia». La speranza
che dalle macerie dell’ultimo
ventennio, in cui ha prevalso la
logica affaristica di Comunione e
Liberazione, spunti l’opportunità
di una rinascita di passione
politica e civile.
Carlo Brambilla incipit dell’intervista
all’architetto Vittorio Gregotti,
la Repubblica Milano, 16 ottobre
I 70.000 euro spesi da Daccò
per l’organizzazione di cene e
convention nel corso del Meeting
di Rimini (…) la Procura le
qualifica «occasioni volte a
promuovere consenso elettorale»
non solo «per Formigoni», ma
anche «per il movimento di
Comunione e liberazione».
Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 2 agosto
|
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15
VECCHIO RANCORE INTERNI
A lato, Antonio
Simone all’uscita
dal carcere
di San Vittore
(12 ottobre).
Sotto, la copertina
di Tempi nr. 4 del 1°
febbraio scorso sul
“caso Formigoni”
anno 18 | numero 4 | 1 febbraio 2012 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1 ne/Vr , contiene iP
settimanale diretto da luigi amicone
sta rivelazione si comprendono le mosse
di Gianfranco Fini culminate nella fallita
mozione di sfiducia all’esecutivo Berlusconi alla vigilia del Natale 2010). In men che
non si dica, sul tamburo di un’emergenza
che induce il sostanziale azzeramento del
parlamento, il Professore realizza o mette
in cantiere riforme di sistema che ci fanno riacquistare fiducia in Europa e ci evitano il default. Il prezzo di tutto ciò? Da
una parte il radicalizzarsi di tutti gli elementi di crisi recessiva (ulteriore aumento
delle tasse, inasprimento della repressione
fiscale, disoccupazione in crescita a ritmi
spagnoli, caduta verticale della produzione, della produttività e dei consumi, impoverimento generale delle famiglie). Dall’altra, la “distrazione” dell’opinione pubblica dalla severa attività del “governo tecnico” e il concentrarsi del discorso pubblico sulla guerra all’evasione fiscale (primo
semestre 2012) e contro la corruzione poliQuei cortocircuiti ricorrenti
tica (secondo semestre e vigilia di campaLa fine delle cosiddetta Seconda Repub- gna elettorale).
Attualmente l’opinione pubblica è
blica esplode nel “Generale Spread” e, dal
fatidico 16 novembre 2011, ci consegna ancora sovrastata da temi demolitori delalla best practice del governo Monti. Sug- la politica (“Casta”) e, in generale, del poligerito dall’Europa e nominato dal nostro tico che non abbia lo stigma del “nuopresidente della Repubblica. Dunque, con vismo”. Impossibile essere informati su
l’epilogo del “governo dei tecnici”, si con- come nascono le inchieste (non esistono
clude un’operazione che lo stesso Mario filtri all’inizio delle indagini dei pm, di
Monti ha rivelato a questo giornale esser- qui la concreta discrezionalità della teosi messa in moto fin dall’autunno 2010: ria dell’obbligo dell’azione penale che con«Nel mondo politico ci furono Massimo duce alla gogna pubblica e uccide politiD’Alema e diverse persone che, intorno a camente ogni indagato, per il fatto stesquell’epoca, nelle loro previsioni o scenari so che sia indagato e indipendentemensul futuro politico italiano di breve termi- te dal fatto che magari venga poi dichiane, mi prospettarono ipotesi che mi coin- rato innocente: chi può continuare a fare
volgessero», Tempi, 29 agosto 2012 (da que- politica con un sistema così?). Impossibile
poi discutere la sorprendente opacità o la lenta sofficità
Perché lo stile, il carattere e i collaboratori
di certe inchieste (caso Penadi Formigoni vengono attribuiti a Cl e non
ti o sistema Emilia Romasono valutati secondo il metro di misura
gna). Per converso, è inutile
rilevare l’incredibile asprezdella libertà personale del governatore?
tive subite dall’Italia dall’oscuro biennio
1992-1993. (Oscuro perché siamo di nuovo
lì, al biennio di “Mani pulite” e dei governi
“tecnici”; delle stragi di mafia in cui muoiono Falcone e Borsellino – maggio e luglio
’92 – e di speculazione – settembre ’92 –
contro la lira. Speculazione che costò ai cittadini italiani una doppia finanziaria per
un totale di 123 mila miliardi, una patrimoniale del 6 per mille sui depositi bancari e postali, 40 mila miliardi in riserve valutarie bruciate dall’allora banchiere centrale Carlo Azeglio Ciampi, subito dopo nominato presidente del Consiglio, poi ministro
del Tesoro e delle privatizzazioni nel governo Prodi, infine presidente della Repubblica. Speculazione che costò l’uscita della lira dal sistema monetario europeo e il
rientro nell’euro, il 25 novembre 1996, col
cambio di 990 lire per un marco tedesco,
negoziato dallo stesso Prodi).
Dal cardinale Scola a
Comunione e Liberazione, dalla
destra pulita di Gabriele Albertini
all’Assolombarda, c’è da
augurarsi che si levi una
sollecitazione univoca per indurre
Formigoni a levarsi di mezzo.
Gad Lerner la Repubblica, 11 ottobre
Forse anche la Chiesa dovrebbe
marcare pubblicamente le
distanze da quei politici che si
dicono cristiani, ma sembrano
fare un optional della coerenza
dei loro comportamenti
con i dettami del vangelo.
Marco Garzonio Corriere della Sera, 11 ottobre
È sempre più difficile reagire
al rimbalzare di immagini distorte
e schizofreniche, al palesarsi di
’ndrangheta e corruttele dietro
la retorica dell’eccellenza della
sanità, di vacanze ai Caraibi dietro
i ritiri religiosi ciellini.
Benedetta Tobagi
la Repubblica, 19 ottobre
za e rapidità di talune altre indagini (per
esempio quelle che in neanche una settimana, dal caso Lazio alla caduta della Lombardia, hanno coinvolto tutte le regioni e
dato al governo il destro per affondare la
scure contro le autonomie). Insomma, nella caduta della Prima come della Seconda Repubblica gli elementi ricorrenti sono
identici: il combinato tra crisi economica
e speculazione internazionale; la mobilitazione combinata di magistratura e media;
le retate combinate a un quadro politico
frutto di un voto ampiamente favorevole
al centrodestra. Per tutto questo la sostanza delle osservazioni di Pippo Corigliano
tiene alla prova dei fatti.
Meglio iscriversi al Wwf
Ed ecco la nostra postilla sui casi Simone, Formigoni, Comunione e Liberazione.
Simone ha già detto la sua e altro dirà. Per
quanto riguarda Formigoni: in 17 anni da
governatore della Lombardia, ha già ottenuto 11 proscioglimenti su 11 richieste di
rinvio a giudizio. È verosimile che anche
questa volta, alla fine di un iter ufficial|
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17
INTERNI VECCHIO RANCORE
Il fondatore
di Comunione
e Liberazione
don Luigi Giussani
con don Julián
Carrón, dal 2005
suo successore
alla guida del
movimento
mente avviato nel luglio scorso e che
verosimilmente si concluderà entro l’anno, Formigoni verrà per l’ennesima volta
rinviato a giudizio. Staremo a vedere. Ciò
che colpisce non è tanto l’inchiesta della
magistratura. Che ovviamente ha le sue
comprensibili e fondate ragioni. Colpiscono le modalità in cui si è sviluppato e incarognito il teorema Formigoni=Cl. Formigoni è un ciellino? Sì. C’entra Cl con la cultura di buon governo che ha portato la Lombardia a livelli ineguagliati, in ogni comparto, rispetto alle altre regioni italiane?
Sì. C’entra Cl con lo stile di vita, il carattere, la sensibilità di Formigoni e i collaboratori di cui si è circondato Formigoni
nel governo della Lombardia? Sì. Ma a patto che stile, carattere, sensibilità e collaboratori non siano attribuiti al movimento in quanto tale e siano valutati secondo
il metro di misura – ovvio – della libertà
personale di Formigoni e di ciascuno dei
suoi collaboratori. In altre parole: Cl c’entra con Formigoni allo stesso modo con cui
l’Azione cattolica o l’associazione Libera di
don Ciotti, il Wwf piuttosto che Aido, c’entrano con le attività professionali, da liberi
cittadini, svolte dai loro affiliati e associati.
Ieri la Cia, oggi il “sistema”
In realtà, come già anticipammo nel numero di Tempi del 1° febbraio di quest’anno,
la “pratica” Lombardia non sembra poter
essere sbrigata senza presupporre l’esistenza di un “sistema” dove la dimensione religiosa (Cl) è funzionale a quella politica (Formigoni in quanto ciellino). Insomma, non proprio gente disinteressata, che
non abbia poteri e soldi per muovere contro Formigoni e sollecitare la caduta della giunta regionale più efficiente e, probabilmente, in questa fase di crisi e scomparsa di leadership del centro-destra, degna
di essere indicata a modello di governo a
Roma. E comunque, il presupposto sbagliato da cui il teorema antiformigoniano par18
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te è che essendo Cl una realtà sociale radicata e importante in Lombardia, Cl è un
partito occupante e spartitore di prebende. Ma tale presupposto è semplicemente falso: primo, perché Cl non è un partito, come questa settimana ha scritto perfettamente il sociologo non ciellino e profondo conoscitore delle dinamiche di Cl
professor Salvatore Abbruzzese (ilsussidiario.net). Secondo, perché il movimento è
nato in Lombardia negli anni Cinquanta,
in Lombardia ha principalmente operato il
suo fondatore don Luigi Giussani, in Lombardia si è pacificamente affermato e diffuso e, perciò, in Lombardia piuttosto che in
Toscana, si è radicato in migliaia e migliaia di funzionari, insegnanti, medici, professionisti, studenti eccetera ciellini. Terzo,
perché Comunione e Liberazione, ultimo
nucleo storico dei movimenti nati nel ’68,
ha sempre escluso dai suoi metodi e dai
suoi insegnamenti disonestà e qualsiasi
tipo di violenza, e con ciò ha sempre insegnato ed esaltato il puro e semplice cristianesimo. Tutti possono utilmente informarsi in che cosa consista la vita di Comunione e Liberazione: nient’altro che educazione alla fede, scuole di catechesi, iniziative
culturali, presenza missionaria in scuole e
università, opere di carità. Con una caratteristica che le contraddistingue: contrariamente a tutti i fenomeni politici e settari, sono cose aperte a tutti e che non disdegnano nessuno.
È vero, i ciellini non sono meno incoerenti ed erranti di tutti gli altri uomini.
Ma si potrà ammettere che l’appartenenza a Cl non costituisce per sé “un sistema di potere”, così come l’essere soci del
Wwf potrebbe non costituire per sé una
minaccia all’ecosistema, anzi, potrebbe
addirittura esserne una garanzia? A questa domanda il mainstream tende a dare
una risposta allusiva negativa. Perché? La
ragione è la stessa per cui, sui medesimi
giornali che oggi la accusano di essere un
“sistema di potere”, negli anni Settanta Cl
veniva narrata come la “longa manus della Dc” o “finanziata dalla Cia”. Oggi, se si
va’ alla voce wikipedia “Comunione e Liberazione, aspetti politici-economici”, sembra la descrizione della tana di un cobra.
Cos’è che non si vuole ammettere? Il fatto
elementare che uno può essere di Cl o del
Wwf e commettere errori e persino reati?
No. Il problema è la politica. Il problema
sono i soldi. Il problema è l’impegno con
tutte le dimensioni della vita. Cose di cui
il ciellino non dovrebbe occuparsi. Perché
c’è già chi se ne occupa (loro, i padroni).
Perché tutto dev’essere losco?
È così complicato capire perché, in nome
della libertà e di tutte le libertà, a un certo punto della storia italiana Berlusconi era preferito a Prodi e Formigoni a tutti gli altri? È così strano che un cristianesimo che vuole rimanere fedele al Papa,
abbia votato a destra piuttosto che a sinistra, dove è tutto un fiorire di relativismo e di statalismo etico? Questa fissa di
riportare sempre allo zero di loschi interessi la considerazione sui motivi fondanti l’espressione anche elettorale dei ciellini, sembra la forma più sciatta e inautentica del fare giornalistico italiano. In verità, diceva Giussani già nel lontano 1975 (e
da allora, state tranquilli, l’insegnamento
di Cl è rimasto tale), all’indomani dell’aggressione di ciellini da parte di squadracce
di destra e di sinistra: «Comunione e Liberazione è un movimento ecclesiale la cui
preoccupazione fondamentale è quella di
dar vita ad ambiti in cui sia possibile una
reale esperienza cristiana e un lavoro di
educazione alla vita della fede. Noi crediamo che l’esperienza della fede non sia un
fatto intimistico, relegabile alla sfera della coscienza privata, ma un principio che
tende ad informare di sé ogni aspetto della vita. Anche le scelte culturali e politiche, che pure restano scelte storiche, contingenti e modificabili, non possono non
essere determinate in modo dialettico a
partire dall’esperienza viva della fede. Il
cristianesimo infatti, pur non essendo un
discorso politico, ha inevitabilmente una
rilevanza politica e un’incidenza sul sociale». Cosa c’è
Il problema è la politica. È la libertà di essere
di nuovo se non un potere
nel mondo secondo tutte le dimensioni della
più pervasivo, che invece di
vita. Cose di cui il cristiano non deve occuparsi usare la spranga usa il moraperché c’è già chi se ne occupa (loro, i padroni) lismo peloso e padronale? n
interni banchi di prova
C’è un
ministero
da abolire
È quello dell’Istruzione, che serve solo
a moltiplicare il centralismo burocratico.
Non è una boutade, ma la provocazione
(motivata) di insegnanti decisi a non farsi
ridurre a “impiegatucci” dalla scure dei tecnici
20
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Foto: AP/LaPresse
Docenti ordinari
della lezione è solo uno dei momenti che
caratterizzano questa professione. Per questo Diesse ha parlato di un provvedimento che umilia l’insegnante considerandolo
una «figurina senza identità, da muovere
e bastonare perché corrispondente ad un
ruolo impiegatizio scialbo
e ripetitivo».
Docenti della scuola statale
Il disegno di legge
per funzione e tipologia contrattuale
aumenta infatti di sei ore
Fonte: MIUR, La scuola in cifre 2009-2010, tabelle 1.3.2 e 1.3.3
l’orario di lavoro dei docenti, senza alcun aumen843
to salariale e “compensanMILA
795 Fino a termine
Fino a termine
do” la richiesta con quinMILA
didattiche
didattiche
dici giorni di ferie in più.
119.687
59.000
«Si tratta – spiega a Tempi
Fabrizio Foschi, presidenCon incarichi
Con incarichi
te di Diesse – di un calcoannuali
annuali
23.625
lo puramente economico.
23.000
La relazione tecnica resa
A tempo
A tempo
nota insieme al ddl lo dice
indeterminato
indeterminato
in maniera chiara: bisogna
610.371
624.000
recuperare qualcosa come
240 milioni di euro. Siamo
di fronte a un ragionamenA tempo
A tempo
to di questo tipo: siccome il
determinato
determinato
docente – vulgata comune
44.259
35.000
– lavora poco, noi lo facciaA tempo
A tempo
mo lavorare di più a parità
indeterminato
indeterminato
di stipendio».
45.098
54.000
Le sei ore in più non
2007/08 2009/10
comprendono
attività
Docenti di sostegno
U
n paese in braghe di tela deve rimboccarsi le maniche. Lavorare di più è
una necessità per tutti. Lo sa chi
passa ore in più alla scrivania, tira tardi la
sera in ufficio. E allora perché non dovrebbero lavorare di più anche gli insegnanti?
Per capire cosa sta succedendo nel mondo
della scuola bisogna partire da qui, da questo ragionamento apparentemente lineare
ma profondamente ottuso che non è difficile sentir fare nei giorni in cui il governo
mira a rivoluzionare il lavoro dei docenti. Le proteste per i tagli alla scuola sono
ormai il segnale certo che è ora di fare il
cambio dell’armadio: arrivano puntuali
ogni anno come l’autunno. Ma se anche
un’associazione professionale come Diesse, che dal 1987 si occupa di aggiornamento dei docenti e che da anni alle proteste
preferisce il dialogo con le istituzioni più
che le proteste, arriva a usare toni insolitamente duri qualcosa deve essere successo.
Quel qualcosa riguarda la professionalità
degli insegnanti ai quali, se il ddl licenziato dal governo dovesse restare così com’è,
dal prossimo anno scolastico sarà chiesto
di lavorare 24 ore anziché 18. Il punto, questo è il malumore che agita chi ha dedicato la vita alla cattedra, è che la maggior
parte dei docenti quelle ore le lavora già.
Perché, come sa chi nel mondo della scuola ci ha messo anche solo un piede, quello
i numeri della scuola
Il rapporto di Treellle
e Fondazione Rocca
I grafici contenuti in questo servizio
sono tratti dal rapporto I numeri da
cambiare, realizzato dall’associazione
Treellle e dalla Fondazione Rocca. Il
grafico qui sotto mostra che calcolando il costo di un’ora di didattica
frontale, gli insegnanti italiani sono in
svantaggio nei confronti della media
europea del 9,6 per cento nel caso
della scuola primaria, del 4,1 nella
secondaria di I grado e dell’11,8 per
cento nella secondaria di II grado. Col
ddl Stabilità il governo vuole portare
da 18 a 24 ore l’orario di insegnamento senza aumenti salariali.
Retribuzione oraria per ora contrattuale di didattica
frontale in dollari nel 2009
Scuola primaria
Scuola secondaria inferiore
Scuola secondaria superiore
Fonte: OCSE, Education at a glance (2011)
64,15
71,72
51,1
65,86
65,86
40,83
41,78
45,64
36,35
40
53,62
46,19
55,81
57,52
60
61,5
63,23
70,82
73,87
77,62
83,19
80
74,14
96,26
100
20
0
21
Foto: AP/LaPresse
UE
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na
ag
Sp
ia
al
It
ia
an
rm
Ge
cia
an
Fr
come gli scrutini o il ricevimento genitori,
che dunque si svolgono a parte. Ma la vera
sorpresa, che riguarda anche le vite di chi
ogni anno aspetta con ansia lo strapuntino
delle supplenze per poter entrare in classe, è in ciò che ogni insegnante può essere chiamato a fare in quelle sei ore in più.
Il governo distingue infatti alquanto perfidamente tra orario di cattedra e orario di
insegnamento. Se l’orario di cattedra rimane di 18 ore, le sei ore in più possono essere
utilizzate per coprire i cosiddetti spezzoni,
le ore di sostegno e non meglio precisati
impegni didattici che sembrano comprendere attività di recupero e potenziamento all’interno dell’istituto. «Gli spezzoni –
riprende Foschi – sono quelle ore che non
vengono coperte dagli insegnanti di ruolo nella scuola e per le quali tradizionalmente si chiamavano i supplenti. Se queste norme verranno attuate (e speriamo di
no) quelle ore non verranno più assegnate
a docenti esterni presi dalle graduatorie, i
cosiddetti precari, ma spalmati sui docenti interni». Stessa musica per gli insegnanti
di sostegno: «Spesso se ne rendono necessari altri, oltre a quelli già assegnati dal provveditorato. Le scuole non potranno più farne richiesta ma dovranno dividere le ore
tra gli insegnanti che hanno i titoli per
coprirle all’interno di ogni singolo istituto.
Per questo nel nostro comunicato abbiamo
parlato di corveé del docente: sono sei ore
non remunerate e decise sulla base di un
calcolo puramente economico».
Il governo entra così a gamba tesa su
un tema per cui associazioni come quella presieduta da Foschi si spendono da
anni. «Noi abbiamo sempre pensato quella del docente come a una vocazione, cui
fare liberamente corrispondere dal punto
di vista della professione una progressione
giuridica ed economica. In questo modo si
potrebbe affiancare alla figura del docen-
te classico di ruolo, quella di un docente che accetta di avere un incarico a tempo determinato, a fronte di uno stipendio
maggiore, per seguire un particolare progetto dentro la scuola. Niente di tutto questo, qui si è andati dietro a un taglio lineare senza nessun tipo di ragionamento sulla professione dell’insegnante». I 15 giorni
di ferie in più dovrebbero compensare lo
sforzo di quelli che, secondo le statistiche
internazionali, risultano i docenti meno
pagati d’Europa. «Ma quella dei 15 giorni è
una beffa, perché si tratta di ferie da prendere quando l’attività didattica è sospesa!».
Tra le altre novità c’è l’obbligo, per i
docenti in commissione giudicante in un
concorso, di rimanere in servizio. Vengono poi dimezzati (del 50 per cento) i cosiddetti “comandi”, cioè i collocamenti temporanei fuori ruolo presso il
Foschi, presidente di Diesse: «Aumentando di ministero, gli Uffici scolastici regionali e le associazioni
sei ore l’orario dei docenti il governo ragiona professionali. Non vengono
così: siccome lavorano poco, noi li facciamo
toccati, invece, i distacchi
lavorare di più a parità di stipendio»
sindacali. A rischio non
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21
interni banchi di prova
c’è solo la professionalità dei docenti in
servizio, ma anche la possibilità di creare posti in futuro. Un concorso per dodicimila posti è già stato bandito, le iscrizioni chiudono il 7 novembre, e poi ce ne
dovrebbe essere un altro in primavera. «Il
rischio che salti, se dovesse essere approvato questo ddl così com’è, è alto: quali posti
pensano di mettere a concorso se di fatto
la forbice tra organico di diritto e organi-
co di fatto si riduce a zero?». Infine il ddl
prevede che le regioni possano assumere
dei precari per progetti scolastici di tempo determinato, rigorosamente con risorse proprie. «In pratica – osserva Foschi –
il ministero comincia a delegare all’esterno ciò che dovrebbe fare lui. E allora io mi
chiedo: ma perché il ministero non abolisce se stesso? Di fatto serve solo al centralismo burocratico. Se si passasse a una chia-
mata diretta da parte delle scuole, valutazione dei docenti da parte di enti esterni, cura dei programmi da parte di organismi culturali competenti, il ministero
non avrebbe più ragion d’essere e allora sì
che si risparmierebbe, invece che farlo sulla pelle dei docenti».
Diesse è fresca della convention nazionale in cui si sono riuniti 800 insegnanti per confrontarsi sul proprio lavoro e
MA QUALI ENTI COMMERCIALI
L’educazione
non si vende
Insieme a tutto il mondo del no profit le scuole
paritarie chiedono di non essere soggette
all’Imu. «A rischio c’è la nostra sopravvivenza»
D
Marco Masi, avvocato bolognese con un’esperienza
decennale nel mondo della giurisprudenza scolastica, è presidente della
Cdo opere educative, branca della Compagnia delle opere che associa circa 520
scuole non statali di ogni ordine e grado
in tutta Italia. A lui abbiamo chiesto di
fare il punto sulla situazione della parità scolastica, nei giorni in cui il disegno
di legge Stabilità autorizza la spesa di 233
milioni di euro per il rifinanziamento
delle scuole non statali. Una cifra che – a
meno di stravolgimenti in sede di dibattito parlamentare – andrà ad aggiungersi a
quanto stanziato dalla Finanziaria precedente, che per il 2013 aveva decurtato del
50 per cento le risorse destinate alle scuole paritarie. Un risultato che Masi accoglie
con soddisfazione, non senza sottolineare che al fondo storico di 530 milioni di
euro, è stato effettuato un taglio superiore
all’8 per cento. Le scuole paritarie potranno disporre dunque di 483 milioni di euro
(meno dell’1 per cento di quanto stanziato per la scuola statale, a fronte del 12 per
cento di alunni). Ma c’è un’altra “minaccia” sulla loro strada. E si chiama Imu.
al marzo scorso
Il governo intende confermare l’Imu
agli enti no profit. Come questo può
riguardare le scuole paritarie?
Il governo ha confermato l’esenzione degli edifici religiosi, ma l’ha confermata per gli enti (anche no profit) che svolgono attività commercia22
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le. Ora si aspettano precisazioni su cosa
si intenda per “attività con modalità non
commerciali”, ci potrebbero andare di
mezzo le scuole paritarie che per l’ordinamento italiano sono costrette a chiedere una retta, dato che come ben sa chi
per i figli sceglie scuole non statali, l’onere economico è in gran parte a carico delle famiglie. A differenza degli altri settori di welfare, infatti, non ci sono contributi pubblici o laddove ci sono coprono
una piccola parte dell’onere del servizio.
Dunque le scuole vengono catalogate
come enti commerciali?
Esatto. Noi proponiamo di cogliere
l’occasione di questo dibattito sull’Imu
per chiarire una volta per tutte che l’attività scolastica di una scuola paritaria senza scopo di lucro deve essere considerata come non commerciale anche ai fini
fiscali. Andrebbe chiarito che fare scuola, da parte di un ente no profit, ancorché dietro il pagamento di una retta, non
è attività commerciale, ma servizio pubblico. Un servizio riconosciuto come tale
dalla legge 62, che inserisce le paritarie
nel sistema nazionale di istruzione.
In cosa non è chiara la legge 62 sulla
parità scolastica, che (lo ricordiamo)
porta la firma di un ministro di sinistra
come Luigi Berlinguer?
Da un lato, proprio con la legge 62 del
2000, l’Italia riconosce un sistema di welfare in cui la scuola paritaria è uno dei
protagonisti e dall’altra dice che ai fini
fiscali quell’attività, anche se svolta da
un ente no profit, è di tipo commerciale.
Però la stessa attività, se fatta da una scuola statale, non è commerciale. Negli altri
paesi europei non esiste questa diversità
di regime, esiste soltanto la natura dell’attività (servizio pubblico) a prescindere dal
soggetto che lo eroga.
Vi riguarda anche l’innalzamento
dell’Iva alle cooperative sociali dal 6 al
10 per cento?
Questo riguarda quelle scuole paritarie che sono gestite da cooperative sociali e anche noi, come tutto il mondo del
sociale, auspichiamo che questo aspetto venga rivisto. Un salto dal 4 al 10 per
cento è enorme e si riverserebbe sui costi
sostenuti dalle famiglie.
C’è il rischio che le rette aumentino?
Il rischio è reale, dato che le rette dei
genitori sono la principale fonte di finanziamento delle paritarie.
Lo Stato però sblocca periodicamente
dei fondi per le paritarie. Da
quando succede?
parte
Marco Masi (Foe): «Fare scuola, da
di un ente no profit, ancorché chiedendo
una retta, non è attività commerciale,
ma servizio pubblico. Lo dice la legge»
Il finanziamento ha un’origine antica. Fin dal Testo unico sull’istruzione elementare
del 1928 esisteva una forma
aggiornarsi col metodo
«Questo ddl mette a rischio il concorso
delle “botteghe” dell’inseprevisto in primavera: quali posti possono
gnamento. In quell’occacrearsi se di fatto la forbice tra organico di
sione è intervenuto in web
diritto e organico di fatto si riduce a zero?»
conference il ministro Profumo, proprio nei giorni in
cui le prime novità sul ddl stabilità veni- nel merito. Ci siamo trovati in sintonia sul
vano riportate dai giornali. «Al ministro tema della formazione iniziale dei docenabbiamo chiesto di spiegarci nel dettaglio ti (laurea-abilitazione-tirocinio-concorso),
la novità delle 24 ore, ma non è entrato un percorso su cui stiamo lavorando da
a
7
9
200.464
Numero di alunni certificati disabili per ordine di scuola
Incidenza degli alunni iscritti
in scuole private nel 2009
50
40
Fonte: Elaborazioni su dati MIUR
Fonte: OCSE,Educationataglance(2011).Tab.C1.4–
“Private”include“government-dependent private”
e “independent private”
Scuola primaria
Scuola secondaria inferiore
Scuola secondaria superiore
anni come associazione». Diversa, invece
la concezione di scuola del ministro. «Profumo pensa alla scuola come a un centro
civico. Su questo non siamo d’accordo perché per noi la scuola è un luogo di istruzione e di educazione, costituita dal rapporto tra il docente e l’alunno, non un
“centro sociale” in cui organizzare attività
nei vari momenti della giornata».
Laura Borselli
S. secondaria
superiore
167.804
187.718
178.220
188.713
192.997
200.464
50
Scuola p
S. secondaria
inferiore
40
30
2004/05
2009/10
Scuola s
Scuola s
Scuola
primaria
Scuola
dell’infanzia
30
Incidenza
in scuole p
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2009/10
Numero di inseganti di sostegno
89.032
20
83.761
79.970
90.032
89.032
20
S. secondaria
superiore
S. secondaria
inferiore
Scuola
primaria
di sostegno pubblico alle elementari non
statali. La legge 62 del 2000 non stabiliva un finanziamento diretto alle scuole paritarie ma contestualmente furono
incrementati i fondi ai capitoli di bilancio dello Stato che prevedevano quei fondi. Un piccolo incremento ai fondi c’è stato nel 2002 e da allora c’è una riduzione costante anno dopo anno. I contributi
vanno in gran parte alla scuola dell’infanzia e primaria, qualcosa per i docenti di
sostegno e quasi niente alla scuola secondaria. Da un lato il sostegno alle paritarie
è radicato nella storia della scuola italiana, dall’altra però quel sostegno è oggetto ogni anno di tagli, incertezze e ritardo
nell’erogazione.
E cosa accade quest’anno?
La legge di stabilità prevede un parziale reintegro del taglio ma rimane comunque all’8 per cento in meno circa rispetto
al dato storico di dieci anni fa.
cia
an
Fr
ia
al
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21
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ia
al
It
2007/08
Scuola
dell’infanzia
2004/05
2005/06
Però si continua spesso a parlare di fondi “sottratti” alle statali per darli alle
paritarie...
Grazie a Dio in questi anni c’è stato
l’affermarsi di dati più che di schemi ideologici. Oggi la scuola paritaria accoglie
il 12 per cento dell’utenza e questo permette allo Stato un risparmio di 6 miliardi di euro all’anno. Senza contare l’onere
in carico agli enti locali che ci sarebbe ad
accogliere il milione di studenti che oggi
frequentano il servizio e le strutture delle scuole paritarie. A fronte di questo servizio il contributo di 500 milioni di euro
circa che lo Stato dà ogni anno alle scuole è irrisorio. La presenza di queste realtà oggi è una enorme risorsa per lo Stato.
Dal loro venir meno lo Stato subirebbe un
grande danno sia sotto il profilo economico che sociale.
La crisi sta determinando uno spostamento degli studenti dalle scuole pari-
2006/07
2007/08
tarie alle statali? Ci sono dei dati a questo proposito?
I dati dicono che dopo anni di progressivo aumento, da circa due anni c’è
un lieve calo complessivo dei ragazzi che
frequentano le paritarie. Poi c’è un dato
che le nostre scuole sperimentano quotidianamente: soprattutto nelle superiori, dove le rette sono ovviamente più alte,
le famiglie sono in difficoltà. Ricordiamo inoltre che in Italia chi manda i figli
alle paritarie non ha alcuna possibilità di
detrarre le spese per l’istruzione che sceglie per i propri figli.
In più questo ddl Stabilità prevede una
stretta sulle detrazioni per le famiglie...
Purtroppo sì. Noi apprezziamo molto il gesto del governo che sembra aver
sbloccato i fondi per le paritarie. E ora
auspichiamo che questo sia fatto completamente non solo per il 2013 ma per il
triennio a venire.
[lb]
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| 31 ottobre 2012 |
23
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IL BENE DEI FIGLI, LA SERIETÀ DEI GENITORI
Il bambino di Padova insegna
che il divorzio è una fregatura
di Renato Farina
C
on calma, con una certa angoscia però, abbandono il campo di battaglia della
politica dei leader e dei rapinosi assalti di magistrati e mass media alla Lombardia e ai Palazzi, e mi dirigo verso le steppe della nostra vita quotidiana. ParBORIS
GODUNOV
lo di divorzio. E di bambini. Il caso più famoso e ormai dimenticato (tranne che dal
piccolo) è quello di Padova. Accadde un paio di settimane fa, anzi un secolo addietro, che Alfonsino (lo chiamo così) sia stato portato via ai suoi affetti e infilato con la
rudezza del rapimento in una casa di accoglienza (la mia grande amica Alessandra
Mussolini dice che è il regno dello squallore senza amore). Il torto è apparso subito
essere della polizia, indotta da un ordine del giudice a tradurre il piccolo dalla scuola elementare in un luogo neutro. Infatti la mamma (e la zia e i nonni) non volevano
che vedesse il papà. Il papà desiderava essere un po’ padre anche lui, ma gli era stato
vietato. Salomone dei nostri giorni non taglia più il bambino a meAlfonsino ha detto: «Se mamma
tà. Ma lo conduce in territori senza “ricatti affettivi”.
Alfonsino ha scritto, o l’ha detto, non so bene: «Se si parlassero, e papà si parlassero, le cose
le cose andrebbero bene». Voleva dire: se si volessero ancora bene,
andrebbero bene». Voleva dire:
se fossimo una famiglia saremmo contenti. Ma perché è impossibile? Io credo che tutto questo sia dovuto alla tranquilla accettazio- se fossimo una famiglia saremmo
ne universale del valore supremo: il diritto individuale alla felicità contenti. Ma perché è impossibile?
è prima di tutto. Il diritto individuale! Ci si innamora, si prende un
impegno, si mette al mondo un figlio. Ma la brace si spegne, diventa cenere e intossica. Appare un’altra donna, un altro uomo: via col vento. Per decenni nei programmi
tv leggeri e in quelli pensosi tipo Maurizio Costanzo Show si è affermata l’idea che si
vive una volta sola, che se il sentimento scoppia e ti conduce da un’altra parte, devi
seguirlo. I bambini soffrono? Diventando grandi capiranno. E la legge deve sancire
questo diritto: il divorzio diventa un diritto. Il diritto di rinascere in cambio della lacerazione degli altri. D’accordo? Dai, ce la siamo bevuta tutti questa idea.
Il risultato è la storia di Padova. La radice però di questa character assassination
di Alfonsino sta nell’ideologia dell’egoismo per cui è immorale il sacrificio. L’accettare di tenere insieme la famiglia, rinunciando alle fragole, all’erba fresca e ai ruscelli,
ma percorrendo con dolore la valle spinosa della quotidianità per rispettare un impegno preso; la fatica di far prevalere l’amore al bambino e la compassione profonda
per l’altro che si fa fatica a sopportare trascinati da bagliori lontani. Qui non invoco
la tradizione ammuffita, ma la serietà della vita degli uomini, che hanno un compito, e sono disposti a morire per un bene più grande, che ha la faccia di un bambino.
Se mi capisce anche il dieci per cento, basta così, è tanto, e sono contento.
Ora in Parlamento si va verso una legge per il divorzio breve. Sembra puro buon
senso dinanzi allo sfacelo e alla durata dei matrimoni. Ma che roba è? Davvero dobbiamo rinunciare alla speranza e al grido della natura che ci fa dire che l’amore è per
sempre? Porre le premesse di una via d’uscita è la negazione di ogni certezza, di ogni
vincolo capace di essere più durevole del baluginio dei sentimenti. Secondo me questa è la politica. Cercare di dare forma sociale a un ideale. Il divorzio breve anzi brevissimo trionferà a colpi di maggioranza? Va bene. Okkei (con due kappa). Vero Boris?
Twitter: @RenatoFarina
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| 31 ottobre 2012 |
25
ESTERI
REPORTAGE/1
Essere
cristiani
in Nigeria
Istituzioni contro jihadisti. Nomadi fulani
contro contadini berom. Settlers contro native
people. Una nazione, tre conflitti. Non sono solo
i terroristi di Boko Haram a fare stragi a Jos.
Racconto di un ordinario sabato di paura
da Jos (Nigeria) Rodolfo Casadei
L
a Peugeot 405 color amaranto davanti a noi rallenta all’improvviso.
Riparte nervosa. Oscilla incerta sulla carreggiata, poi imbocca lo sterrato
sulla sinistra, fra schizzi di fango rosso e
cespi di erba alta che si sposta al passaggio dei veicoli. Pochi minuti e uno spiazzo si apre a lasciar scorgere due-tre file di
edifici a un piano e altrettante di colline che si alzano gradualmente sullo sfondo. Sotto una veranda sei-sette soldati poltriscono seduti o appoggiati alla parete.
Li salutiamo con deferenza, contraccambiano con gesti misurati. Gli occhi vuoti delle finestre mostrano interni squallidi, inabitabili. Alla spicciolata da tutte le direzioni si avvicinano a noi uomini stanchi. Sguardi avviliti, rassegnati,
spaventati. Tranne quello del loro leader,
Patrick, che qui ci ha condotti: al cosiddetto campo per sfollati di Riyom, la località a mezz’ora di auto da Jos sul cui territorio rurale da quattro giorni si ripetono violenze efferate. I nomadi fulani hanno assalito nottetempo le case dei contadini berom uccidendo tutti quelli che trovavano dentro. Quando fanno così, vuol
dire che qualcuno gli ha ucciso il giorno
prima qualche mucca dei loro armenti,
che invadono senza chiedere il permesso
26
| 31 ottobre 2012 |
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i campi e le raccolte d’acqua dei coltivatori. «Uccidi la moglie a un fulani, e potrai
ancora metterti d’accordo con lui, se gli
paghi il danno che hai fatto. Ma uccidigli le mucche, e non avrai scampo: sterminerà te e tutta la tua famiglia», spiega Patrick. Ma può essere anche solo un
pretesto inventato per occupare l’area fin
tanto che ci sarà pascolo per i loro animali, in questa fine della stagione
delle piogge: il giorno dopo la
strage il panico spinge i vicini
lontano dai loro poderi; nelle
ore di luce i fulani sparano a
casaccio nella direzione in cui
i contadini sono fuggiti; altro
panico, e i berom si allontanano ancora di più dalle loro
proprietà; scende la notte, i
fulani assaltano altre case, e lo
schema che porta all’occupazione di fette sempre più grandi di territorio si ripete.
La strage nel villaggio
La ventina di uomini che si è
raccolta intorno a noi è il gruppo degli
sfollati. Mogli e figli sono andati a stare
coi parenti, loro sono qui quasi digiuni
a tenere d’occhio quel che succede alle
loro proprietà distanti pochi chilometri.
Patrick tira fuori le foto che ha scattato
Domenica,
alcuni cristiani
dopo la santa
Messa celebrata
nella chiesa di
Saint Finbarr,
ristrutturata
dopo l’attacco
kamikaze dello
scorso 11 marzo
mercoledì mattina, prima di raccogliere i 14 cadaveri di quella notte e seppellirli in una fossa comune dopo un frettoloso funerale. Orrore allo stato puro. Ci
sono bambini fra i cinque e i dieci anni
sdraiati in pose varie sui tappeti di casa.
Sopra, le cicatrici di alcune donne cristiane, sfigurate a colpi di
machete dagli islamisti. La loro unica colpa era di credere in Gesù.
A lato, da sinistra: padre Peter Umoren, parroco di Saint Finbarr,
con la targa dell’auto che Boko Haram ha utilizzato per l’attentato
contro la sua chiesa e che ha provocato la morte di 16 persone
più i due attentatori; la carcassa dell’autobomba
Angeli dormienti, se non fosse per il sangue nero rappreso sui vestiti, o macchie
di colore rosso sul volto. Una madre a torso nudo contro l’angolo di una parete di
casa, dal volto scende una cascata scura coagulata su collo e torace, i seni pie-
tosamente ricoperti dalle teste dei suoi
due bambini, un bebè e uno più grande.
Uccisi tutti insieme, mentre i figli cercavano protezione contro il corpo della mamma e la mamma tentava di ripararli. Le braccia sono ricadute e lasciano
scoperte le loro facce sporche. «E i militari scrivono che gli attacchi sono da una
parte e dall’altra, che noi stiamo impedendo ai fulani di ritirarsi!», inveisce
Patrick. «Ho visto i loro rapporti, dicono che la maggior parte delle vittime
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REPORTAGE/1 ESTERI
A lato, Ignatius
Kaigama,
l’arcivescovo
cattolico di Jos.
A sinistra,
contadini berom
nel campo per
sfollati di Riyom
sono fulani!». Gli astanti commentano con incredulità, ma stranamente non
c’è nessun accenno di protesta. In lontananza echeggiano rombi, non si capisce
se di tuoni o di armi da fuoco. Uno degli
accompagnatori si avvicina a Patrick e gli
dice qualcosa all’orecchio. La sua espressione diventa ancora più cupa. «Hanno
ripreso a sparare qui vicino, non è sicuro che la strada asfaltata da cui siamo
arrivati adesso sia percorribile, potremmo dover aspettare qui. E non è detto che
non decidano di attaccare anche da questa parte». «Ci sono i soldati», gli facciamo notare, «perché dovrebbero osare tanto?». Ci fulmina: «Di questi soldati non ci
si può fidare: fra loro ci sono alcuni fulani. E poi è capitato altre volte di scoprire che i militari avevano ricevuto denaro
dagli assalitori per non opporre resistenza: ai primi colpi potrebbero ritirarsi e
lasciarci in balìa di chi attacca».
I conflitti nel Middle Belt
I soldati sono a una ventina di metri, si
spera che non abbiano sentito. Noi si torna dopo sbrigativi convenevoli alle auto e
si imbocca rapidamente prima lo sterrato e poi l’asfalto, scrutando ansiosamente
intorno. Un chilometro appena, e notiamo che sul ciglio della strada arriva gente che trascina borsoni e valigie: un’altra
comunità sta abbandonando il suo villaggio perché i colpi di fucile cadono sempre
più vicini. Le figure in movimento rimpiccioliscono attraverso il lunotto posteriore
mentre ci allontaniamo da loro. E da un
ordinario sabato di paura fra i campi e gli
stagni di Riyom, sud di Jos.
chiese bersaglio predestinato sono le pattuglie di boy-scout che, tesi come corde di
violino ma fieri in volto dall’alto dei loro
sedici-diciotto anni, la domenica mattina
nelle loro divise verdoline e pantaloni corti fermano le auto a distanza di sicurezza dalle chiese e controllano i bagagliai,
mentre i militari restano seduti a distanza di sicurezza sui muretti dei viali: visto
coi nostri occhi.
Il secondo conflitto è quello che oppone allevatori musulmani fulani e contadini cristiani berom o di altre etnie minori. Riguarda lo sfruttamento di terre e
acque, per le quali la competizione si fa sempre più
Il conflitto fra fulani e berom è fatto di
feroce man mano che la
agguati e rappresaglie implacabili. I primi,
loro disponibilità si riduguerrieri per nascita e formazione, segnano
ce per l’urbanizzazione crepiù punti nella classifica della crudeltà
scente, la pressione demografica, l’erosione naturale
Qui nel Middle Belt, nella fascia cen- dei terreni. È un conflitto fatto di agguatrale di stati che separano il Sud dal ti e rappresaglie implacabili, dove i fulaNord della Nigeria, si sovrappongono tre ni quasi sempre segnano più punti nella
conflitti. Quello dei Boko Haram, il più classifica della crudeltà perché guerrieri
recente, che vede l’enigmatica compa- per nascita e per formazione. Anche edigine jihadista nata nel Borno (estremo fici ecclesiastici e moschee fanno le spese
nord-est della Nigeria) attaccare stazio- di questa rivalità consolidata.
ni di polizia, caserme, simboli istituzionali nazionali e internazionali come la Nel mirino chiese e moschee
sede dell’Onu ad Abuja, autorità islami- Il terzo conflitto si svolge nel mondo
che percepite come troppo allineate ai urbano, e ha contenuti etnico-politici
governi locali o a quello federale, e chie- molto evidenti: oppone settlers e natise cristiane di ogni denominazione, ber- ve people, le due categorie in cui le legsaglio prediletto di autobomba pilota- gi dei 36 stati della Federazione nigeriate sull’obiettivo da uno o due attentatori na suddividono i loro abitanti, attribuensuicidi. Per odio teologico contro i cristia- do ai secondi maggiori diritti rispetto ai
ni, per coerenza con l’estremismo islami- primi per quanto riguarda proprietà fonsta che mira a ripulire il centro-nord del- diarie, accesso ai servizi pubblici, opporla Nigeria dalla presenza di fedi diver- tunità formative, borse di studio, posti
se da quella musulmana, dicono alcuni. nell’amministrazione pubblica, eccetePer l’obiettivo strategico di suscitare una ra. A Jos sono considerati settlers gli hauguerra civile su scala nazionale fra cri- sa, beneficiano invece dei privilegi degli
stiani e musulmani e provocare la rottu- indigeni berom, anaguta e afizere. I prira del paese. Perché manipolati da politi- mi sono musulmani, i secondi cristiaci e militari nordisti che vogliono mette- ni. Quando il governo centrale tenta di
re in difficoltà il presidente sudista Goo- nominare musulmani a cariche di un
dluck Jonathan, dicono altri. Perché gli qualche peso, i cristiani gridano all’inattacchi alle chiese hanno un ritorno pub- vasione islamica e insorgono; quando le
blicitario enorme per la causa jihadista elezioni locali puntualmente puniscono
nonostante il biasimo universale, attirano i loro candidati, i musulmani scendono
reclute e alzano la posta di un’eventuale in strada e provocano scontri; delle raptrattativa. Comunque sia, l’unica barrie- presaglie fra le due parti sempre fanno le
ra fra le autobomba dei Boko Haram e le spese chiese e moschee.
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| 31 ottobre 2012 |
29
ESTERI REPORTAGE/1
Com’è evidente, la religione in sé non
è la causa prima dei conflitti suddetti,
ma è certamente la categoria principale attorno a cui si organizzano gli schieramenti in lotta. E non solo per l’abilità
dei politici di un campo e dell’altro nello
strumentalizzarla per crearsi una base di
consenso. «La religione in questo paese è
una questione di identità molto sentita,
perché permette alle persone e ai gruppi
di identificarsi con un gruppo più ampio
di quello tribale o familiare», spiega Sani
Suleiman, musulmano hausa, program
manager dell’Ufficio Peace building and
conflict transformation della Commissione Giustizia e pace dell’arcidiocesi
cattolica di Jos. «Anche chi non ha un’autentica vita spirituale, anche chi non
pratica la morale che la sua confessione gli richiederebbe, ci tiene molto ad
affermare la sua appartenenza religiosa, perché si tratta di una grande identità di cui si sente fiero. Dunque chi suscita la violenza per perseguire i suoi obiettivi di potere ricorre principalmente alla
religione, perché sa che i conflitti centrati sull’identità sono quelli più duraturi e per i quali è più facile far schierare
la gente». La cronaca dà ragione a questa
lettura dei fatti: il minimo incidente che
oppone un cristiano a un musulmano,
la minima contestazione di un esito elettorale è suscettibile di evocare in poche
ore schiere contrapposte di migliaia di
maschi che assaltano la aree residenziali
del gruppo avverso e danno alle fiamme
auto ed edifici di culto.
IL PORTAVOCE DEGLI ULEMA
«Anche noi musulmani siamo vittime»
«Un uomo come Kaigama dovrebbe essere a capo dello Stato in un
paese come il nostro. Con lui vincerebbe la pace. La democrazia ha fallito, la
Nigeria ha bisogno di qualcuno che faccia rispettare le leggi, che governi con
giustizia». A parlare così dell’arcivescovo cattolico di Jos non è un integralista
cristiano, ma nientemeno che il portavoce del locale Consiglio degli Ulema,
Sani Umaru. Cui non pare vero che a un giornale di ispirazione cristiana
interessi ascoltare l’altra campana: quella dei musulmani hausa, bistrattati
come responsabili delle violenze a sfondo religioso che così spesso esplodono nella città di Jos. Responsabilità che Umaru non nega, ma che chiede di
inquadrare più correttamente: «Quando le campagne d’odio si ripetono senza
tregua, la gente accumula armi per difendersi. Non capisce che qualcuno sta
preparando un’esplosione di violenza interreligiosa per i suoi interessi. Se si
viene a sapere che nel quartiere vicino i tuoi fratelli di fede sono attaccati,
immediatamente parte la spedizione in loro soccorso. Un tempo queste lotte
si conducevano con coltelli, archi, frecce e lance; oggi ci troviamo davanti a
mitragliatori kalashnikov, lanciarazzi, bombe: tutte cose che la gente non può
essersi procurata da sé. La manipolazione è evidente».
Umaru rivendica i diritti negati ai musulmani: «È assurdo che io sia considerato un settler: io e miei genitori siamo nati qui, mia nonna è nata qui. Quando
facevo le elementari, ci diedero da compilare un modulo dove si doveva
dichiarare lo stato d’origine. Io scrissi: Plateau State; la maestra non accettò:
“tu non sei originario di questo stato, scrivi un’altra regione”. Ci vollero pressioni di personaggi influenti per far cambiare idea alla scuola. Ma ancora oggi
noi hausa non riusciamo a ottenere dalle autorità un certificato di indigenità,
così siamo svantaggiati sia quando andiamo all’ospedale e dobbiamo pagare
più dei residenti, sia se cerchiamo occupazione nella funzione pubblica».
Umaru è scioccato dalla piega che hanno preso gli eventi: «Nonostante l’ingiustizia politica che si è manifestata sin dai tempi del colonialismo britannico, la
convivenza fra cristiani e musulmani, fra hausa e berom, fra nordisti e sudisti
a Jos è sempre stata gradevole. Gli anziani erano rispettati, così come il valore dell’ospitalità: sempre si veniva invitati a casa di una persona con la quale
si entrava in rapporto nella vita. La situazione è precipitata con le violenze del
2001: per la prima volta abbiamo visto giovani che fermavano la gente per
la strada, chiedevano di recitare a memoria brani del Corano o
del Vangelo, e uccidevano chi non ci riusciva». Ma questo non
ha confuso le idee di Umaru e di altri musulmani come lui: «È
chiaro che la causa dei nostri problemi non è il cristianesimo.
Il problema è la politica. Occorre creare un partito che accetti
[rc]
indifferentemente cristiani e musulmani». La manodopera dei disordini
Ma c’è un altro decisivo fattore, oltre alla
solidarietà identitaria, di cui tenere conto per capire la facilità con cui prendono
corpo le violenze di strada: «Se lei guarda fuori dalla mia finestra, vedrà decine
di giovani che ciondolano lungo GomSani Umaru, portavoce del
walk Road senza fare nulla. Loro sono la
Consiglio degli Ulema locale
manodopera dei disordini “a sfondo religioso” che si ripetono in
no fare lo stesso con me», spiega Ignatius
questa città», spiega Becky «La mancanza di educazione e di prospettive
Kaigama, l’arcivescovo cattolico di Jos. «Il
Adda-Dontoh, consulente
problema che ci riempie di frustrazione
dell’Ufficio Peace building di lavoro fa di quelle decine di giovani
è che noi leader religiosi abbiamo individella Commissione Giusti- che ciondolano per la strada il bacino di
duato le soluzioni per una pace duratura
zia e pace. «La mancanza pesca ideale di mestatori in cerca di sicari»
fra le comunità fondata sulla giustizia,
di educazione e di prospettive di lavoro ne fa il bacino di pesca ide- dosi coi sicari del campo avverso». I teppi- ma non abbiamo gli strumenti per metale di politici e mestatori in cerca di sica- sti vengono reclutati su base etnica e reli- terle in atto. Noi non abbiamo il potere
ri. Dovrebbe vedere quando l’auto di qual- giosa, con rare ma significative eccezioni: di modificare le normative che riguardache personaggio importante rallenta vici- l’allettamento finanziario infrange cer- no settlers e nativi, né le risorse finanziarie per creare un fondo che indennizzi i
no a loro. Tutti corrono sorridendo verso te barriere.
i finestrini, e da dentro una mano allun«I miei rapporti coi leader religiosi fulani che hanno perso il loro bestiame e
ga banconote da 500 naire. Quando verrà musulmani sono ottimi, posso andare i berom che hanno perso le coltivazioni.
il momento, quei giovani mostreranno la da loro quando voglio ed essere ricevuto Queste cose toccherebbero ai politici. Ma
loro gratitudine incendiando e scontran- con tutti gli onori, così come loro posso- i politici non si muovono». n
30
| 31 ottobre 2012 |
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ESTERI REPORTAGE/2
Viaggio al centro del v u
Il Burkina Faso è tra i paesi più poveri al mondo.
Qui si campa di stenti e l’aspettativa di vita arriva
appena a 54 anni. Mancavano solo le infiltrazioni
qaediste e la guerra in Mali. Che rischiano di
scatenare un sanguinoso conflitto confessionale
da Ouagadougou (Burkina Faso) Alessandro Turci - foto di Federica Miglio
I
Burkina Faso è, nell’immaginario collettivo e nelle statistiche di varie istituzioni globali, tra i paesi più poveri
al mondo. Ma a guardare le cose da vicino si scopre una realtà più variegata e
complessa. Ouaga, come tutti chiamano
32
l
| 31 ottobre 2012 |
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la capitale Ouagadougou, negli ultimi tre
anni è diventata un alveare di motociclette di fabbricazione cinese che intasano le
strade, le poche asfaltate e le molte di terra, quasi a ogni ora del giorno. Si tratta di
un rapido e incontrollato sviluppo metro-
politano, nel quale la cooperazione internazionale e il suo indotto giocano ancora un ruolo determinante, che segna una
differenza clamorosa tra il tenore di vita
cittadino e quello rurale. La mortalità
infantile nelle campagne è altissima, in
un paese in cui l’aspettativa di vita arriva
appena a 54 anni.
v ulcano Africa
Il Burkina Faso è uno tra i paesi
più poveri al mondo, con una
mortalità infantile altissima e
un’aspettativa di vita che arriva
appena a 54 anni. Ouagadougou,
la capitale, è diventata un alveare
di motociclette cinesi. È il primo
segno di una clamorosa differenza
tra il tenore di vita cittadino e
quello rurale. Nel centro della
città sta sorgendo la più grande
moschea di tutto il Sahel (in alto)
In questo scenario il Burkina Faso si
trova, con tutti i suoi problemi non risolti
e le speranze future, nel mezzo di un guado pieno d’incognite. L’imminente guerra delle forze panafricane per la riconquista del nord del Mali è la principale
di queste: si tratta della partita decisiva
per il controllo del Sahel. A Ouaga trovia-
mo un grande campo profughi che ospita i rifugiati maliani scampati al conflitto del marzo scorso tra i Tuareg nazionalisti, alleati con gli islamisti di Ansar Eddine, e le truppe regolari di Bamako. La nuova guerra per restituire al Mali l’integrità
territoriale è ormai pronta, preparata col
sostegno occidentale sin dall’estate scorsa.
Chiesta sempre con maggiore insistenza
dalla Francia di Hollande e ben vista ufficiosamente dagli Stati Uniti, la missione
militare ora è anche benedetta dall’Onu
e avrà a Ouagadougou un punto strategico di coordinamento. I confini settentrionali del Burkina Faso sono infatti la porta
per entrare nell’impervio nord del Mali,
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ESTERI REPORTAGE/2
In campagna vige la legge
della strada, le autorità
spesso non intervengono
e la gente è costretta
a farsi giustizia da sola.
A destra, la sequenza di
un linciaggio di un ragazzo
sorpreso a rubare. Dopo
il pestaggio, la vittima è
abbandonata al suo destino.
L’ambulanza interviene solo
se qualcuno paga la benzina
La difficile condizione rurale (nelle foto sotto e a destra) sta
portando la popolazione burkinabè ad abbandonare la periferia
per spostarsi verso le città. La capitale ha vinto negli ultimi tre
anni il premio di città più pulita d’Africa. La plastica è raccolta
e riciclata da cooperative di lavoro femminili (sopra a sinistra)
autoproclamatosi Azawad e attualmente sotto il controllo dei ribelli tra i quali
la fazione islamista che ha preso il sopravvento su quella nazionalista. Nel cielo della capitale ogni giorno si vedono aerei
militari che atterrano e partono, e d’altronde le truppe burkinabè hanno già raggiunto Bamako congiungendosi alla forza multilaterale dell’Ecowas (la Comunità
economica degli Stati dell’Africa Occiden34
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tale) composta da Mali, Nigeria – che ben
conosce la furia fondamentalista di Boko
Haram – e Costa d’Avorio.
La pace religiosa è stata tradizionalmente uno dei tasselli forti della società burkinabè. I cristiani (cattolici e protestanti) hanno sempre vissuto accanto ai
musulmani maggioritari e agli animisti
minoritari. Ma la guerra in Mali e le preoccupanti infiltrazioni qaediste da parte
di Aqmi (Al Qaeda per il Maghreb islamico), hanno portato anche qui il vento della destabilizzazione. Le autorità hanno
ammesso la loro impotenza rispetto alla
minaccia concreta di sequestri e attentati,
specie verso obiettivi occidentali. L’ambasciata americana, che sorge fuori dal centro città, è diventata un luogo off-limits,
mentre nel cuore di Ouaga un vasto cantiere annuncia la costruzione della più
Le autorità hanno ammesso la loro impotenza
rispetto alla minaccia di sequestri e attentati
verso obiettivi occidentali. L’ambasciata
americana (in basso a sinistra) è un luogo
off-limits. Qui sotto, place de la Revolution
grande moschea di tutto il Sahel.
Ma Ouaga non è solo guerra e carestia. La città ha vinto per tre volte un premio significativo, quello di città più pulita d’Africa. La raccolta differenziata è una
tangibile realtà scaturita da un progetto
ambientale d’avanguardia che parla italiano, perché avviato e sostenuto da Regione Piemonte, e ora portato avanti dalla
municipalità e soprattutto da coopera-
tive femminili locali. Il riciclaggio oltre
a creare lavoro evita ulteriori danni economici; la plastica abbandonata è un flagello africano che porta ad avvelenare il
bestiame e a contaminare i corsi d’acqua
in una situazione già segnata, come quella del Sahel, dalla carestia quasi endemica
e dal costante flusso di profughi. La guerra del Mali ne ha creati, sino ad ora, circa
400 mila, che si sono aggiunti a quelli della lunga guerra civile ivoriana.
Giustizia privata
La difficilissima condizione rurale, quella che come si diceva mette il paese al vertice di tutte le statistiche più deprimenti,
spinge sempre più persone verso la capitale. Per le situazioni limite che le autorità non riescono a intercettare vige la legge della strada. Spesso la gente si fa giustizia da sola, come quando sorprende
un ladro e dopo averlo linciato lo abbandona al suo destino. L’ambulanza di prassi viene a prendere il ferito solo se qualcuno si fa carico di pagare la benzina
del tragitto. Anche sotto questo aspetto il Burkina Faso è una cartina di tornasole emblematica per capire il futuro
dell’Africa nel quadro delle nuove urba-
nizzazioni. Le malattie classiche come
la malaria e l’Aids incominciano a essere
affiancate da malattie metaboliche tipiche della mezza età e molto diffuse nelle società occidentali. Le previsioni dicono che colesterolo e tumori (sta cambiando l’alimentazione e lo stile di viaggio,
con le moto che si sostituiscono alle biciclette e agli spostamenti a piedi) rappresenteranno la nuova sfida per l’Organizzazione mondiale della sanità che dovrà
dotare il continente di strumenti di prevenzione adeguati.
Tuttavia, tra le voci in cima all’agenda dell’Organizzazione adesso non c’è la
salute pubblica ma le armi; toccherà ad
esse decretare se il Sahel graviterà nell’orbita della sharia o in quella di repubbliche democratiche, e meno democratiche,
in cerca di un contraddittorio sviluppo
tra vecchi e nuovi mali.
Il Burkina Faso sembra dirci che la
tragedia africana sa trovare sempre nuovi scenari nei quali rinnovarsi, anche se
questa volta l’Occidente potrà giocare un
ruolo fondamentale per evitare la deriva
di una guerra di religione che, dilagando
nel Sahel, rischierebbe di contagiare l’intera parte boreale del continente. n
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ESTERI LA CHIESA CHE SOFFRE
Le colonie
dell’odio
Il fronte dell’intolleranza religiosa si espande
e sfrutta canali sempre più sofisticati. Dalle
rivolte per la democrazia nei paesi arabi
fino ai Caschi blu in Congo. E i tagliagole
non sono solo islamici. Il rapporto 2012 di Acs
di Ubaldo Casotto
P
anche di
chi professa una fede diversa, sta
così a cuore ai cristiani? «Perché il
cristianesimo è appassionato dell’uomo»,
ha risposto monsignor Sante Babolin, presidente italiano di Aiuto alla Chiesa che
soffre, presentando il Rapporto 2012 sulla
Libertà religiosa nel mondo. «Dobbiamo
illuminare la questione della libertà religiosa nel mondo – ha detto Alberto Negri,
inviato del Sole 24 Ore – come fa questo
rapporto: sebbene redatto da una fondazione cattolica, non si limita a denunciare le violazioni subìte dalle comunità cristiane ma fa un quadro della situazione
in 196 paesi con riferimento alla condizione dei fedeli di ogni credo». Con loro,
martedì scorso, 16 ottobre, a
Roma, nella sede della Stampa estera, c’erano Francesco
Greco, ambasciatore italiano
presso la Santa Sede, Christine
du Coudray Wiehe, responsabile Acs per l’Africa, l’islamologo gesuita padre Samir Khalil Samir e John Dayal, segretario generale dell’All India
Christian Council.
Rispetto all’ultimo rapporto del 2010
sono due le novità. La prima, Aiuto alla
Chiesa che soffre è diventata una fondazione di diritto pontificio. La seconda, nei
paesi del Nord Africa c’è stata la cosiddetta primavera araba. La prima dice dell’interesse della Chiesa per la libertà religiosa e di Benedetto XVI, che l’ha definita
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erché la libertà religiosa,
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A lato, copti egiziani uccisi dai
militari nell’ottobre scorso
durante una protesta contro
l’inerzia delle forze dell’ordine
davanti agli attacchi ai cristiani.
Sotto, la copertina del Rapporto
2012 sulla Libertà religiosa nel
mondo, elaborato da Aiuto alla
Chiesa che soffre (Acs), appena
elevata da Benedetto XVI a
Fondazione di diritto pontificio
«un’acquisizione di civiltà politica e giuridica» che «tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona gode di uno statuto speciale». Infatti,
«quando la libertà religiosa è riconosciuta,
la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e si rafforzano l’ethos e
le istituzioni dei popoli». Quando è negata
«si offende la dignità umana e si minacciano la giustizia e la pace».
Della seconda e delle sue
conseguenze ha parlato padre
Samir. Lo studioso egiziano ha
detto che «la primavera araba
ha destato una grande speranza, un movimento popolare e
giovanile nato per rovesciare
le dittature. In Tunisia come
in Egitto. Si trattava di un
movimento laico, di cristiani
e islamici, i Fratelli Musulmani sono arrivati in piazza Tahrir dopo molte settimane, e gli estremisti salafiti dopo ancora».
Poi «è apparsa la realtà, sino al caso più
tragico: la Siria». La preoccupazione di
Samir è che regimi certamente dittatoriali, ma che permettevano l’esistenza delle minoranze religiose siano ora sostitu-
iti da regimi fondamentalisti. «I cristiani
– ha detto – chiedono l’uguaglianza con
gli altri e il rispetto della loro fede. Ed è
quanto promesso dai nuovi governi. Nessuno però si fida. Stiamo prendendo una
direzione pericolosa e rischiamo di tornare a un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso». La situazione peggiore per i cristiani
è in Arabia Saudita, ha ricordato padre
Samir, dove «più di due milioni di cristiani, in maggioranza cattolici, soprattutto
lavoratori stranieri, non possono neanche radunarsi nelle case private per pregare». Purtroppo, ha aggiunto, quello che
sembrava un caso estremo sta facendo
scuola anche negli altri paesi musulmani «e va espandendosi».
Proselitismo immobiliare
Dell’espansione dell’islam “arabo” nel
continente africano ha parlato Christine du Coudray Wiehe, documentando
«il timore di molti vescovi per l’evoluzione di un islamismo di stampo jihadista»
in paesi dove l’islam tradizionale aveva
un volto più moderato. Du Coudray ha
parlato di una «arabizzazione dello sti-
«In Congo la presenza dell’Onu
è sinonimo di costruzione
di moschee. Le forze armate
delle Nazioni Unite provengono
solo da paesi islamici e sono
il mezzo, anche economico, della
diffusione dell’islam più radicale»
le di vita, come se per essere musulmani si debba essere culturalmente arabi».
Ha quindi passato in rassegna la situazione di vari paesi. Che la colonizzazione
islamista non sia un fatto spontaneo, ma
risponda a piani di potere religioso e politico è dimostrato, per la Du Coudray, dai
casi del Congo e del Ciad. In Congo, ha
denunciato, «la presenza dell’Onu è sinonimo di costruzione di moschee. I Caschi
blu provengono solo da paesi islamici
e sono lo strumento, anche economico,
della diffusione dell’islam più radicale».
In Ciad, nei territori a maggioranza cristiana, vengono costruite moschee dove
non ci sono fedeli. La spiegazione? «Convertiamo il suolo aspettando la conversione degli uomini».
L’intervento della Du Coudray è culminato con il caso della Nigeria, diventata il «simbolo della violenza fondamentalista nel continente». Qui la setta
dei Boko Haram ha compiuto numerosi
attacchi a istituzioni e chiese, col dichiarato obiettivo di cancellare la presenza
cristiana. Nonostante gli attacchi, ha concluso la Du Coudray, «la Chiesa in Africa
è attore principale del dialogo interreli-
gioso e non smette di promuovere la formazione dei giovani: fattore cruciale per
estirpare l’odio e le tensioni».
India, i pogrom dimenticati
Particolarmente drammatica è stata la
testimonianza dell’indiano John Dayal:
«Parlate giustamente – ha detto – della
radicalizzazione dell’islam, ma in India si
sono radicalizzati anche indù e buddisti,
e noi cristiani siamo le prime vittime di
queste radicalizzazioni». La lista delle violenze anticristiane commesse dai nazionalisti indù è lunghissima: 170 attacchi gravi nel 2011. «In Stati come Karnataka, Rajasthan, Gujarat, Madhya Pradesh and Chhattisgarh vengono commesse ogni anno circa mille violenze contro i
cristiani», ha spiegato Dayal. «Forse vi siete già dimenticati dell’Orissa: 5.300 chiese distrutte, 56 mila persone scappate
dai loro villaggi per salvarsi». In sette stati, tra cui l’Orissa, prosegue l’applicazione delle cosiddette leggi anticonversione.
«Ironicamente chiamate Freedom of Religion Act – ha detto Dayal – queste norme
violano la libertà religiosa garantita dalla Costituzione e sono usate per colpire
e intimidire chiunque voglia convertirsi
dall’induismo a un’altra religione». Infine, la mancata giustizia per i pogrom del
2008 nel distretto di Kandhamal, sempre
in Orissa. «Il più devastante attacco alla
comunità cristiana degli ultimi tre secoli.
È stata emessa una sola condanna su trenta accuse di omicidio. Tutte le altre sono
state lasciate cadere».
Lapidario il commento di Francesco
Greco: «La situazione è peggiorata, il
numero dei paesi a rischio è aumentato, le comunità religiose più colpite sono
quelle cristiane». L’appiglio di speranza
cui si aggrappa l’ambasciatore è che «nel
contempo è aumentata anche la consapevolezza di governi e istituzioni che hanno iniziato a dotarsi di strumenti più
adeguati», coscienti che la difesa della
libertà religiosa non è solo una questione
di diritti e valori, ma anche «un interesse
delle nazioni», perché da essa dipende «la
stabilità e la pace». Pensate a cosa potrebbe succedere, ha esemplificato Dayal, se
due paesi dotati di armi atomiche come
il Pakistan e l’India, già in tensione fra
loro, finissero definitivamente in mano
ai fondamentalisti.
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ESTERI LA TRAGEDIA E IL MIRACOLO
Le due anime
di Claire Ly
Il regime di Pol Pot le ha
ucciso padre, fratelli e marito.
Sopravvissuta al lager e al
genocidio dei cambogiani, è
fuggita in Francia. Dove lei,
buddista, ha incontrato
Gesù Cristo. «Un Dio che
conosceva la mia stessa
sofferenza». Oggi un libro
racconta la sua storia
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te stipata nel piccolo teatro del complesso, la sera del 17 ottobre, e ha presentato
il suo nuovo libro, Mangrovia. Una donna,
due anime, edito da Pimedit (159 pagine,
13 euro). Una canzone di Joan Baez, spezzoni di Urla del silenzio, il film di Roland
Joffé sul regime di Saloth Sar, conosciuto alle cronache più buie della storia con
l’epiteto Pol Pot. Tra il 1975 e il 1979, il
suo regime di stampo leninista-maoista,
rurale e autarchico ha deportato la popolazione nelle grandi aree rurali, costringendola a pesanti privazioni, maltrattamenti, lavori da bestie da soma. Tra campi di sterminio, malattie, malnutrizione e omicidi sommari, si stimano circa 2
milioni di morti su una popolazione che
allora era di 8. Un quarto di cambogiani,
in appena quattro anni di dittatura.
Un computo da rabbrividire. In un territorio di circa 181 mila chilometri quadrati sono state rinvenute: 189 prigioni,
380 fosse comuni di cambogiani giusti-
In alto, Claire
Ly, cambogiana,
sopravvissuta
a 2 anni di lavori
forzati in un campo
di Pol Pot.
Il regime dei khmer
rossi le ha fucilato
il padre, il marito
e due fratelli
ziati, 19.408 fosse comuni di cambogiani
morti per fame e stenti. «C’è solo dolore
in Cambogia, non c’è domani in Cambogia», ripetono le parole di Joan Baez mentre Claire Ly racconta dell’assassinio dei
suoi, eliminati «perché borghesi, perché
intellettuali». Perché contrari alle prospettive di un’ideologia che voleva imporre
l’uguaglianza tra le diverse classi sociali.
Tutti insieme, a lavorare la terra, ciascuno
Foto: AP/LaPresse
C
laire Ly non odia. Ed è strano. Scampata per il rotto della cuffia alla follia omicida del regime cambogiano dei khmer rossi – che le hanno fucilato
il padre, il marito e due fratelli –, costretta a diventare contadina quando aveva un
figlio per mano e uno in grembo, dopo un
passato da insegnante di filosofia, Claire Ly non lascia trasparire nemmeno un
accenno d’odio, uno sguardo offuscato,
la smania di vendetta. A 66 anni, docente all’Istituto di Scienze e Teologia delle
Religioni di Marsiglia, dopo il lungo travaglio dell’esule – sbarcò in Francia a 37
anni –, la conversione al cattolicesimo e il
battesimo il 24 aprile 1983, si può pensare a un’astratta acquisizione di calma, un
placido equilibrio interiore, un impermeabile nirvana. Nulla di più errato. È la sua
storia a narrarlo.
Ospitata dal Pime (Pontificio istituto
missioni estere di Milano), Claire Ly ha
raccontato la sua vita a una folla di gen-
Tra il 1975 e il 1979 il regime di Pol Pot ha deportato la popolazione urbana nelle
grandi aree rurali, costringendola a pesanti privazioni e maltrattamenti. Tra
malattie, campi di sterminio e omicidi sommari, si stimano circa 2 milioni di morti
Foto: AP/LaPresse
In Cambogia sono state rinvenute
189 prigioni, 380 fosse comuni
di cambogiani giustiziati, 19.408
fosse comuni di cambogiani morti
per fame e stenti. Tra malattie,
campi di sterminio e omicidi
sommari, si stima che il regime di
Pol Pot abbia ucciso circa 2 milioni
di persone su una popolazione di 8
uguale all’altro, indipendentemente da
quello che era stato. Pol Pot volle fare tabula rasa, polverizzando privilegi di casta e
di ceto. E ci riuscì. Claire Ly era poliglotta.
Conosceva la lingua khmer quanto il francese (la Cambogia fu protettorato di Parigi
dal 1863 al 1941) ma, per sopravvivere, le
conveniva stare zitta.
Così fece per i due anni di lavori forzati che le erano stati comminati in quanto
intellettuale. La filosofia buddista predica il distacco e la disaffezione, per scampare dalla schiavitù del mondo. Ma nella tragedia di un popolo oppresso, schiacciato sotto il tacco duro del comunismo
più perverso, Claire Ly non riusciva a sopportare il dolore senza un grido di rivolta: «Perché tutto questo? Perché proprio
a me?». Un urlo silenzioso, perché «dovevo mantenere queste cose nel segreto del
mio cuore». L’impassibilità, il distacco dalle sofferenze, insegnata dal buddismo ha
la sua radice nell’idea di karma: le fatiche che si scontano oggi sono conseguenze di errori e malefatte compiuti nel passato. «Ma non potevo accettare che le persone che amavo fossero morte per colpa
dei loro peccati». L’ingiustizia non trovava risposta, e «scivolavo nei tre sentimenti peggiori della morale buddista: l’odio,
la collera e la vendetta».
Quando odiavo il dio occidentale
Tuttavia, la filosofia apre una via d’uscita:
«Tra i consigli di Shakyamuni, il Buddha,
per superare i momenti di tentazione, vi
è quello di creare un “feticcio”, un oggetto mentale sul quale scaricare tutte le colpe, tutti gli odi repressi e giustificati per
liberarsi dalla gravità del male». A questo
oggetto, Claire Ly diede un nome: il “dio
degli occidentali”. «Il comunismo deri|
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ESTERI LA TRAGEDIA E IL MIRACOLO
Claire Ly, ospite del Pime, ha
presentato il suo libro edito da
Pimedit Mangrovia. Una donna,
due anime. È la storia di due
cambogiane, una cristiana
l’altra buddista, scampate
al regime di Pol Pot, che si
rivedono per rivivere il passato
sotto la luce della nuova fede
L’esilio a Marsiglia
L’inizio della conversione è proprio qui,
nel rinfacciare il proprio male a un’entità accolta perché presente. Un dolore che
non schiaccia, ma apre. Con la caduta del
regime di Pol Pot e l’invasione delle truppe vietnamite del territorio cambogiano,
Claire Ly si carica delle poche cose in suo
possesso, prende i figli e parte. Direzione:
Marsiglia, in Francia, complice la conoscenza della lingua, che tuttavia non riesce
a evitarle di sentirsi straniera, non voluta, sanguisuga del sistema assistenzialista
dell’Eliseo. «Avevo perso quello che Albert
Camus chiamava il “rapporto tra la terra e
il piede”. In Francia ci si riempie la bocca
del termine “integrazione”. A me fa paura.
Significa “disintegrarsi” da ciò che era prima, dalla cultura delle origini. Preferisco il
termine “adozione”, dove il rapporto è gio40
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«Buddha non ha mai preteso di essere
un Dio, ma un maestro, un uomo perfetto.
Gesù, che si è detto Dio, paradossalmente
è più umano, più vicino alle mie debolezze»
cato nella libertà assoluta delle due parti».
Nel 1980 Claire Ly è in Francia. «A quel
tempo pensavo a Gesù come a un maestro
grande quanto Buddha». Fino all’incontro
con il Vangelo: «È stato un brano di Giovanni ad accendere il mio interesse: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Che fa da contraltare alla frase di Luca,
che dipinge Gesù come nato sfollato: “Per
loro non c’era posto nell’alloggio”. Il Dio
dei cristiani conosceva la mia stessa sofferenza. Buddha non ha mai preteso di essere un Dio, ma un maestro. Era l’immagine dell’uomo perfetto, senza difetto, e per
questo fin troppo lontano da me. È un ideale. Gesù, che si è detto Dio, paradossalmente è più umano. Soffre nella carne, è
vicino alle mie debolezze. San Tommaso
dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno
dei chiodi e non metto il mio dito nel
segno dei chiodi e non metto la mia mano
nel suo fianco, io non credo”, e lo afferma
non perché incredulo, ma perché ha bisogno che Dio prenda sul serio la sua integrità umana. Vuole vedere i segni del dolore,
perché i suoi siano illuminati».
La conversione al cattolicesimo non è
stata un’inversione. Claire Ly non ha fatto tabula rasa della sua antica tradizione,
radicata nel terreno delle pianure della
Cambogia. È stata attratta da Cristo, Claire
Ly, e non ha dovuto rinnegare nulla dell’insegnamento del Buddha. «L’incontro tra
la saggezza orientale, vissuta secondo la
via di mezzo insegnata da Shakyamuni, e
l’amore folle di un Dio venuto a prendermi nel deserto del genocidio di Pol Pot»
si sono abbracciati, permettendo la rivelazione senza
disintegrare alcunché. «Ed è
per questo che, ad oggi, mi muovo molto
perché gli immigrati si sentano a casa nei
loro luoghi d’esilio. Perché io sono la testimonianza vivente che due culture diverse
possono convivere in una stessa anima».
Una nuova certezza
Questo è il senso profondo dell’ultimo
libro di Claire Ly, Mangrovia. La mangrovia è una foresta tropicale irrigata alternativamente da correnti d’acqua salata e di
acqua dolce. È un fiorente habitat di specie
animali e vegetali che, sviluppandosi sulla costa, protegge dalla furia degli tsunami. Non è facile vivere tra due acque, così
come non è facile vivere tra due anime. Su
questo parallelismo si gioca tutta la trama
del libro. Ravi, buddista, e Soraya, cristiana, sono due cambogiane, entrambe scampate al massacro di Pol Pot, entrambe esuli in Francia. Tornano insieme periodicamente a Phnom Penh e a Battambang, città d’origine, per rivivere insieme il passato
sotto la luce nuova della diversa fede. Così,
le anime di Claire Ly si sdoppiano in due
maschere che dialogano delle proprie certezze, le verificano e le mettono sul piatto del giudice: il cuore, che non risparmia
dall’inquietudine. «Ho finalmente la certezza che il mio Dio Testimone non è il
frutto della mia immaginazione, ma che
è Lui, il Dio di Gesù Cristo. Non è una certezza assoluta, stranamente è una certezza
che si presenta, sempre, come una ferita».
Daniele Ciacci
Foto: AP/LaPresse, Daniele Ciacci
va dal marxismo, che a sua volta si è formato nell’età industriale europea», spiega la cambogiana. Con questa entità, Claire Ly ci ha fatto a pugni costantemente,
per due anni. Gli parlava, gli rinfacciava
ogni malignità, l’assurda reprimenda per
un dolore da lui causato a un popolo inerme. Finché la stagione dei campi di lavoro finì e lei divenne una compagna contadina, secondo i khmer rossi. «Quel giorno
stesso, a tarda sera, ho chiesto al “dio degli
occidentali” di applaudire alla mia vittoria. “Non vedi come sono stata brava?”, gli
dicevo. Eppure non lo ha fatto. Dio è rimasto in un silenzio assordante. Non lo sentivo semplicemente come assenza di rumore, ma come un’assenza abitata». L’irruzione di qualcosa – o di qualcuno – di indicibile. Nel male assoluto, il Dio degli occidentali si era fatto presenza.
ESTERI DISORIENTAMENTO POPOLARE
Tra la crisi che non arretra e i dissidi interni
sulle ricette per la crescita, così nell’Unione si
avanza per piccoli passi (e un po’ a tentoni)
mentre là fuori infuria la rivolta. Cronache dal
congresso del Ppe a Bucarest, la Atene dell’Est
42
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«V
Bucarest (Romania)
ogliamo l’unione bancaria
e
politica. In Europa ci vuole
più libertà economica e di
educazione, dobbiamo togliere gli ostacoli
al mercato unico e perseguire nella cornice dei valori cristiani i nostri tre obiettivi:
occupazione, occupazione, occupazione.
Per aiutare i giovani però servono austerità e crescita, due facce della stessa medaglia che non si possono contrapporre. Non
si esce dalla crisi economica senza grandi sforzi». Antonio López-Istúriz, segretario generale del Partito popolare europeo,
riassume bene le linee che guidano l’azione della forza politica più importante
d’Europa. Al Congresso di Bucarest del 17
e 18 ottobre, che si è tenuto nel prestigioso
Palazzo del Parlamento fatto costruire dal
dittatore comunista Nicolae Ceausescu, lo
spagnolo è stato rieletto segretario generale, Wilfried Martens confermato presidente e sono stati scelti dieci nuovi vicepresidenti, tra i quali, per la quarta volta, il
pidiellino Antonio Tajani. La posizione di
López-Istúriz è quella messa nero su bian-
Foto: European People’s Party - EPP
È difficile
governare
quest’Europa
la svuotata da molti relatori con interventi formali, ha riacquistato concretezza solo
fuori dall’imponente Parlamento (il secondo edificio più grande del mondo), dove i
romeni sono scesi in piazza per manifestare contro il presidente e la situazione economica, bloccando il centro di Bucarest.
Foto: European People’s Party - EPP
Al Congresso di Bucarest Antonio
López-Istúriz è stato confermato
segretario del Ppe e Wilfried Martens
presidente. Dieci i vicepresidenti
eletti (foto sotto), tra i quali
l’italiano Antonio Tajani del Pdl
co nella nuova piattaforma politica approvata in Romania (l’ultima era del 1992),
che costituirà il programma operativo e
valoriale con cui il Ppe si presenterà alle
elezioni del Parlamento europeo del 2014.
Ma l’unità testimoniata dal programma
e dal manifesto non trova riscontro nelle
proposte anticrisi dei capi di Stato che hanno partecipato al Congresso (dalla Merkel
a Samaras, da Rajoy a Kenny) e dai singoli delegati. La stessa stracitata crisi, paro-
Misure concrete. Sì, ma quali?
“La risposta è più Europa”. È questo il titolo del Congresso del Ppe che compare sui
manifesti che dall’aeroporto al centro tappezzano tutta la capitale romena. Ma cosa
significa “più Europa”? Per il premier greco Antonis Samaras significa che «l’Unione ha il dovere di consentire alla Grecia di diventare una storia di successo».
Per Mariano Rajoy, premier spagnolo, più
Europa significa «più solidarietà perché la
responsabilità è di tutti». Per il presidente del Partito democratico cipriota Anastasiades ci vuole più Europa per «risolvere i
problemi di Cipro, che sono europei». Per
Jyrki Katainen, primo ministro finlandese,
Fredrik Reinfeldt, premier svedese, e Angela Merkel, cancelliere tedesco, più Europa
invece significa «più austerità, più regole
comuni e più responsabilità delle nazioni». Tra l’Europa del Nord e quella del Sud
e dell’Est, dunque, non c’è la guerra, come
sottolineato dal recente conferimento del
Nobel per la pace, ma la situazione non è
affatto rose e fiori. Se poi durante gli interventi dei capi di Stato la differenza si è
giocata sulle sfumature – a parte discorsi
eclatanti come quello del premier polacco
Donald Tusk, che ha tuonato
«più Europa significa meno
ipocrisia» – nei singoli seminari di studio le differenze
sono emerse con più forza.
Così, dopo un’ora di
discussioni su crescita, occupazione e giovani, l’eurodelegato Jean-Pierre Houdin
se ne esce così a una sessione sull’economia: «Colleghi, i cittadini non ci credono più. Ci vuole una linea
politica chiara». Poi prende
la parola un delegato romeno: «Il Ppe si batte per una
ripresa demografica dell’Europa. Giusto,
ma come? Ci vogliono proposte concrete».
Di seguito una deputata olandese: «Cosa
stiamo facendo concretamente contro la
disoccupazione?». Domande che rimangono senza risposta. E se si chiede chi ha provocato la crisi, qualcuno risponde gli Stati Uniti, qualcuno l’irresponsabilità dei
governi che hanno fatto debiti, altri le banche e la finanza. E mentre i segretari di Pdl
e Udc Angelino Alfano e Pier Ferdinando
Casini propongono di «creare gli Stati Uniti d’Europa», in centro a Bucarest le strade
vengono bloccate da pesanti proteste.
Il giorno prima dell’arrivo dei delegati, infatti, il premier romeno ha annunciato che nelle casse statali sono rimasti
soldi per pagare le pensioni per altri tre
mesi. Poi basta. La Romania, che è entrata
nell’Unione Europea nel 2007 ma non fa
parte dell’Eurozona, ha ottenuto nel 2009
da Fmi, Banca mondiale e Ue un prestito di
20 miliardi di euro in cambio di tagli drastici a spese e servizi. Questo non è servito
a risollevare l’economia del paese e nell’ultimo anno si sono succeduti ben tre governi. L’ultimo ha tagliato i fondi per i disabili e ha interrotto i finanziamenti che permettevano alle Ong di realizzare progetti a favore di rom, bambini abbandonati e
sieropositivi. A fronte di un progetto sociale che ottiene il via libera da Bruxelles, le
associazioni romene anticipano i fondi, il
governo le rimborsa dopo 45 giorni e a sua
volta viene poi rimborsato dai fondi comunitari. Dopo cinque anni, ad agosto il processo si è fermato: lo Stato non paga più le
Ong sia perché, dicono alcuni, «ha finito
i soldi e dirotta i fondi europei su progetti che ritiene più importanti», sia perché,
sostengono altri, «il nuovo governo ritarda anni nei pagamenti e non sa neanche
come si richiede un finanziamento». L’impressione è che «sia stata data una Ferrari a
chi sa guidare a malapena la bicicletta. Siamo messi forse peggio della Grecia ed era
meglio se ci commissariavano. Ma se cade
la Romania, cade anche l’Europa».
Eppure qualcosa è stato fatto
Forse non cadrà l’Europa, ma la situazione
della Romania è emblematica dell’incapacità di dare una risposta concreta alla crisi.
Del resto, «la sfida del Ppe è simile a quella del centrodestra in Italia, che rischia di
essere un contenitore importante senza un
contenuto», spiega a Tempi Mario Mauro,
presidente del gruppo Pdl all’Europarlamento. Così, se da una parte, come dice la
Merkel, «mi deprimo quando guardo alle
cose che ancora dobbiamo fare», dall’altra
qualcosa è stato fatto, come rivendica con
orgoglio il vicepresidente del Ppe Antonio
Tajani: «Abbiamo dato troppo spazio in
passato alla finanza e ai servizi, ora dobbiamo concentrarci sull’industria. Abbiamo approvato una misura contro il ritardo
dei pagamenti da parte degli Stati membri alle imprese, abbiamo costituito la rete
degli ambasciatori delle pmi e presentato
un documento sulla internazionalizzazione delle pmi. Queste cose incidono ma poi
tocca ai governi implementarle».
Leone Grotti
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NEL DETTAGLIO
QUIZ (PRE)ISTORICO
Ecco un diabolico indovinello
per rottamatori grandi e piccini
M
io caro Malacoda, oggi ti faccio un quiz (pre)istorico con identikit incorporato. Devi indovinare il personaggio in questione e tirarne le logiche conclusioni politiche. Iniziamo.
Dicembre 1948: l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo. Lui non ha influenzato la decisione, ma c’era già.
1972 – Giulio Andreotti diventa, per la prima volta, presidente del Consiglio, lui
entra (per la prima volta?) in una redazione giornalistica. In Italia, dopo il Sessantotto,
arrivano “gli anni di piombo”: terrorismo, rapimenti, gambizzazioni, ferimenti, uccisioni, “processi del popolo”. Lui ne scrive da cronista.
1981 – Giovanni Spadolini è il primo “laico”, nel senso di non dc, a Palazzo Chigi. L’inflazione in Italia è al 21,7 per cento. A Torino un certo Gianni Agnelli che si fa
chiamare “l’Avvocato” lascia la vicepresidenza del Museo dell’Automobile. Lui varca
le porte della redazione del giornale di cui quel medesimo Avvocato è editore.
1982 – L’Italia vince i Mondiali di calcio (Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati,
Scirea… Non sai chi sono? Ma quanti an1998 – In America il presidente è Clinton,
ni hai?). Presidente della Repubblica è Sandro Pertini. La mafia uccide il prefetto di
disinvolto frequentatore di stagiste. Lui
Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa. Roberintervista il suo ex editore miliardario che,
to Calvi viene trovato impiccato a Londra
sul giornale del miliardario Ingegnere, dice:
sotto un ponte. Lui fa l’inviato per il gior«Assurdo colpire un leader con un sexgate» nale di un signore che mette l’orologio sopra il polsino.
1987 – Un socialista diventa presidente del Consiglio, si chiama Bettino Craxi. La
soubrette Raffaella Carrà lascia la Rai e trasloca sulle emittenti private di un certo Silvio Berlusconi. Leonardo Sciascia attacca i “professionisti dell’antimafia”. Lui dopo essersi occupato di America si interessa di politica italiana sul cui proscenio recita anche come ministro della Pubblica istruzione l’onorevole Franca Falcucci.
1988 – In Italia c’è un partito che si chiama Socialdemocratico, in quell’anno il suo
segretario, Franco Nicolazzi, si dimette e gli succede Antonio Cariglia. In Unione Sovietica (c’era ancora) c’è un partito che si chiama Pcus, il suo segretario si chiama Michail Gorbaciov e promette sfracelli. Lui vola a Mosca come corrispondente, non più
del giornale del miliardario Avvocato, ma di un altro miliardario, Ingegnere.
1990 – In Padania (non c’era ancora) la Lega Nord di Umberto Bossi tiene la sua prima assemblea nazionale. Lui torna dall’editore con l’orologio.
1996 – Un ex pm di Milano diventa ministro dei Lavori pubblici, si chiama Antonio
Di Pietro. Lui rilascia il miliardario Avvocato per il miliardario Ingegnere.
1998 – In Italia c’è (ancora) un partito che si chiama Pds, il suo segretario è Massimo D’Alema. In America il presidente è Bill Clinton, disinvolto frequentatore di stagiste servizievoli. Lui intervista il suo ex editore (il miliardario dell’orologio) il quale,
sul giornale del miliardario Ingegnere, dichiara: «È assurdo colpire un leader con un
sexgate». Non si sa se lui all’epoca condivida il giudizio, in seguito dimostrerà di no.
2012 – Il citato Massimo D’Alema (classe 1949) dopo aver attraversato la Prima e
la Seconda Repubblica ha annunciato il ritiro. Lui (classe 1948), che di Repubblica ne
ha vissuta tanta, che cosa dovrebbe fare secondo te?
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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LE NUOVE
LETTERE DI
BERLICCHE
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L’INTERVISTA
PALERMO DIETRO LE QUINTE
Bruno
Contrada
Le balle dei pentiti. Le accuse inverosimili. Il diritto
manomesso. E quella strana voglia del ’92 di infangare
tutto ciò che era stato “prima”. Dopo dieci anni da
detenuto, l’ex numero tre del Sisde non si arrende
Palermo
P
una
palazzina di edilizia popolare. Bruno Contrada, l’ex numero tre del
Sisde condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, il volto che più ha incarnato nell’immaginario della stampa italiana l’idea di “servizi deviati”, abita in questo piccolo appartamento dagli anni Sessanta. Prima era in
affitto: lo ha riscattato solo nel 1982. L’altra proprietà è un villino a mare, e ha finito di pagare il mutuo ventennale mentre era in carcere. È stato accusato anche
di collezionare quadri e oggetti di valore. Non se ne vedono in casa: nel piccolo
corridoio che conduce allo studio le pareti sono coperte da librerie. Dalle teche fa
sfoggio di sé una collezione di soldatini
di piombo colorati. Contrada ci tiene moltissimo: «Non li ho potuti avere da piccolo, li ho adesso che sono vecchio», dice a
Tempi dirigendosi verso lo studiolo. Intorno alla scrivania, incorniciati, i tanti encomi raccolti durante la decennale carriera
nella polizia a Palermo. Attestati della Dea
(l’antidroga americana) e dei servizi segreti degli Stati Uniti, decine quelli del ministero dell’Interno. Gli ultimi risalgono al
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alermo, periferia nord ovest,
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1992, poco prima del 24 dicembre, quan- di 63 anni, ha avuto un malore in aula.
do alle 7.30 del mattino fu raggiunto da Trasferito in ospedale, ha tentato il suiciuna perquisizione della direzione antima- dio. I periti medici che ne hanno accertafia e da un’ordinanza di custodia cautela- to le condizioni di salute per il tribunare spiccata dalla procura di Palermo. «Ebbi le hanno scritto: «Non sembra opportula sensazione di una saracineno sospendere la custodia causca che si abbassava sulla mia
telare in carcere. Sospendere
IL LIBRO
vita», ricorda. «Una sensazione
tale regime per sostituirlo con
di morte. Ero fisicamente vivo
i domiciliari, per problemi psinonostante tutto, ma è come se
chici, si potrebbe configurare
nella mia esistenza si fosse piancome una ferita all’amor protato uno spartiacque».
prio. Il sistema di detenzione
Dall’11 ottobre scorso Consi configura, paradossalmente,
trada è tornato un uomo libero.
come sistema di contenimenIn questa casa dal 2008 ha finito
to psichico». Il carcere, secondi scontare la sua pena ai domido i periti, sarebbe stato insomciliari. Dopo l’arresto del 1992
ma un luogo di cura e benesseha fatto tre anni di carcerazione LA MIA
re. Per fortuna in quella occapreventiva, dapprima nel carce- PRIGIONE
sione la custodia cautelare è stare militare di Forte Boccea di B. Contrada
ta invece sospesa. L’11 maggio
Roma. Poi, iniziato il processo, L. Leviti
2007 Contrada ha poi iniziato
Marsilio
in quello militare di Palermo: 16,50 euro
l’espiazione della condanna nel
«Siccome era dismesso, l’hanno
carcere di Santa Maria Capua a
riaperto appositamente per me. Sono sta- Vetere, sino al luglio 2008, quando è stato
to l’unico detenuto dal 12 aprile 1994 al trasferito ai domiciliari.
31 luglio 1995. Era il vecchio manicomio
Perché le è stata applicata una misura
borbonico». A processo abbondantemencautelare così lunga?
te in corso, in un momento di prostraVolevano che subissi il processo in stazione, nel giugno 1995 Contrada, all’età to di detenzione, il che mi ha portato
Foto: Fotogramma
Io, superpoliziotto antimafia, incastrato
dalla giustizia per un disegno “rivoluzionario”
Foto: Fotogramma
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BRUNO CONTRADA L’INTERVISTA
anni dopo ha presieduto il tribunale che
mi ha condannato: è anomalo che proprio il giudice che aveva assolto Mutolo e
Riccobono dopo aver studiato le mie indagini – indagini che avevano portato quei
due davanti a lui in giudizio e in base alle
quali era stata richiesta una condanna –
poi mi abbia condannato in quanto “amico” e favoreggiatore di Riccobono.
L’altro suo grande accusatore è il pentito Pino Marchese.
Un altro criminale, legato alla famiglia di Totò Riina e di Leoluca Bagarella,
di cui era cognato. Avevo indagato molte volte sulla famiglia di Marchese. Lui mi ha mosso l’accusa più grave: che io, da dirigente della Criminalpol, nel
1981 avrei avvertito Riina di
un blitz della polizia nel suo
covo a Borgo Molara, un sobborgo di Palermo, e che gli
avrei così dato la possibilità
di fuggire.
Sopra, Contrada a processo
a Padova nel 1994 e, a lato, oggi
nella sua casa popolare a Palermo
un notevole danno ai fini della difesa. Il
processo poteva benissimo svolgersi con
me in stato di libertà, invece per difendermi ho dovuto affidarmi solo ai ricordi,
senza poter consultare atti o documenti
per aiutarmi a ricostruire le operazioni
di cui ero stato protagonista.
Il suo è stato un processo controverso:
migliaia di fascicoli, una sentenza di primo grado, due sentenze da diverse corti
d’appello (una di assoluzione, l’altra di
condanna), due della Cassazione, una
richiesta di revisione appena respinta.
Eppure lei vuole continuare la sua battaglia per dimostrare la sua innocenza.
Cosa non è stato ancora chiarito, secondo lei?
Sono numerosi i punti controversi. A
cominciare dai pentiti che sono stati usati contro di me.
Foto: AGF
Il suo primo e principale accusatore
è stato il pentito Gaspare Mutolo, che
l’accusa di essere stato al soldo del suo
boss, Rosario Riccobono. I giudici gli
hanno creduto. Cosa non tornerebbe?
Mutolo è uno dei mafiosi che ho più
perseguito nel corso della mia attività di
polizia a Palermo. L’avevo più volte indagato, denunziato e arrestato, in quanto
ladro, rapinatore, estorsore, trafficante di
droga e killer di mafia. Le fanfaronate dette da Mutolo sono infinite, sia sulla mafia
che su persone esterne a Cosa Nostra.
Mi accusa di aver ricevuto da Riccobono favori come un’auto per un’amante e
un appartamento in via Jung a Palermo.
Queste accuse sono state completamente
escluse dalla seconda sentenza d’appello
che mi ha condannato definitivamente: i
giudici le hanno ritenute non provate, né
rispondenti al vero, e sono cadute.
Eppure secondo i giudici i mancati riscontri ai due episodi – auto e apparta-
È mai stato dimostrato che
c’era un’operazione da fare
in quel covo?
mento – non pregiudicano l’attendibilità
di Mutolo.
È rimasta l’accusa, che Mutolo riporta de relato, di un mio presunto rapporto con il suo capocosca: e questo malgrado per tutta la mia attività investigativa
io abbia perseguito tanto Mutolo quanto Riccobono. C’è una cosa che per me
è anomala. Sulla base di indagini condotte da me, Mutolo nel ’77 fu giudicato
davanti alla corte d’assise per associazione a delinquere di stampo mafioso e per
l’omicidio di un poliziotto, Gaetano Cappiello, un ragazzo che mi era molto caro.
Cappiello aveva 22 anni ed era napoletano come me: fu ucciso a colpi di lupara durante un’operazione contro la cosca
Riccobono. Sia Mutolo che Riccobono
furono assolti per insufficienza di prove,
una formula adottata spesso dall’autorità giudiziaria palermitana nei confronti
dei mafiosi, in quegli anni. La cosa piuttosto anomala per me è che quella sentenza d’assoluzione fu scritta dal giudice a
latere Francesco Ingargiola, lo stesso che
Non solo non è mai stata dimostrata l’esistenza
dell’operazione andata a vuoto, ma è stato pure provato
che il blitz a Borgo Molara
non fu mai organizzato né in quel periodo, né dopo. Lo hanno testimoniato in
aula tutti i funzionari di polizia e gli ufficiali dei carabinieri che dirigevano uffici o reparti adibiti alla cattura dei latitanti. La cosa ancor più grave, però, è che
lo stesso Marchese, nell’ottobre del ’92,
in uno degli interrogatori resi da pentito
alla procura di Palermo, aveva dichiarato
che nel 1981 Riina era fuggito da quella
villa, riparando a San Giuseppe Jato (Pa)
presso i Brusca, perché le cosche avversarie nella guerra di mafia, cioè i Gambino-Inzerillo, avevano individuato il covo
di Borgo Molara. Solo un mese dopo, nel
novembre ’92, Marchese ha cambiato versione e ha inserito la storia della mia soffiata.
Ma nonostante il riscontro dell’operazione inesistente, anche Marchese è ritenuto attendibile dai giudici.
Il riscontro ritenuto “obiettivo” all’accusa di questo criminale è stata la descrizione particolareggiata della villa di Totò
Riina. È chiaro che Marchese la conoscesse: era della cosca Riina, era parente del boss,
«Non solo non è stata dimostrata l’esistenza
lo andava a trovare e gli
del blitz nel covo di Riina andato a vuoto per faceva da autista. Ma quela mia presunta soffiata, ma è stato provato sto non dimostra affatto la
che non fu mai progettato né allora, né dopo» veridicità dell’accusa nei
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L’INTERVISTA BRUNO CONTRADA
miei confronti di collusione con il capo
mafia, un’accusa completamente assurda.
UNA RIVELAZIONE INVOLONTARIA DEL PM
Contro di lei hanno deposto anche pentiti del calibro di Francesco Marino
Mannoia e Tommaso Buscetta.
Qui sotto,
il pm superstar
di Palermo
Antonio
Ingroia sul
palco di un
evento a
Bologna in
occasione
del 110mo
anniversario
della nascita
della Fiom
Bruno Contrada e il suo difensore Giuseppe Lipera hanno
da poco presentato un ricorso straordinario in Cassazione per
un errore commesso a loro dire dalla Suprema corte nel rigettare, il 5 giugno scorso, la richiesta di revisione del processo. Per
la nostra Costituzione e per la Carta europea dei diritti dell’uomo, l’imputato ha sempre il diritto di far esaminare testimoni a
sua discolpa. Ma un potenziate teste a favore di Contrada sarebbe sfuggito alla sua difesa perché il pm si sarebbe sottratto
al dovere di includerlo negli atti del processo. A rivelarlo è stato,
involontariamente, lo stesso procuratore aggiunto Antonio
Ingroia, che ha condotto l’accusa in primo grado, nel suo libro
Nel labirinto degli dei. «Ingroia – spiega Contrada a Tempi –
racconta che ad un certo punto si presentò da lui il pentito Vincenzo Scarantino (lo stesso che poi sarà smentito sulla strage di
via d’Amelio) per rilasciare dichiarazioni sul mio conto. Ingroia
dispose indagini che dimostrarono che le accuse di Scarantino
contro di me erano false. Io però non ne ho mai saputo nulla:
quegli atti non sono mai entrati al mio processo, ma così è stata
ulteriormente limitata la mia possibilità di difendermi. Non
dimentichiamo che l’accusa non ha solo il dovere di raccogliere
le prove a carico, ma anche quelle a discolpa dell’imputato.
Avrei potuto provare che almeno un pentito si era presentato
volontariamente per dire falsità. Perché queste prove non sono
state presentate davanti ai giudici?».
[cr]
Il suo caso giudiziario è “da scuola”: lei
è stato condannato per la convergenza
molteplice.
O molteplicità convergente, in base
all’articolo 192 del codice di procedura
penale.
Vuole spiegare cosa significa a chi non
frequenta le aule dei tribunali?
Significa il sovvertimento di una regola base dell’aritmetica. Zero più zero più
zero quanto fa in matematica? Sempre spiegare. Bisogna anche tenere in consizero. Secondo questo principio pseudogiu- derazione il periodo in cui sono iniziate
ridico, invece, se un pentito come Mutolo le indagini. Era il 1992, c’erano cambiadice una menzogna, ma questa menzogna menti politici in corso e in qualche modo
è confermata da un altro pentito come si voleva anche, secondo me, dimostrare
Marchese e poi da altri più celebri, come che pure a livello investigativo tutti quelBuscetta o Marino Mannoia diventa una li che c’erano stati fino a quel momento
verità processuale. È sempre una menzo- non erano bravi e puliti come quelli che
gna in realtà, e teniamo presente che i col- sarebbero venuti dopo. Per questo la prilaboratori di giustizia hanno modo di con- ma cosa che andava fatta era la distruziofrontarsi tra loro quanto vogliono, anche ne dell’immagine. Un po’ come nella Russe non dovrebbero farlo
secondo la legge.
«Il dolore maggiore sono i dubbi su di me
Ma per quale ragione
crede di essere stato accusato ingiustamente?
È molto complesso da
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attribuiti a Boris Giuliano, Falcone, Borsellino.
Accuse false addebitate a “santi civili”. Che
però non potevano confermare né negare»
sia di Stalin: prima di condannare Leone Trotzky, che era
stato il capo dell’Armata rossa, l’eroe di Russia, il popolo andava preparato; e infatti Trotzky fu prima di tutto
descritto come traditore. C’è
una cosa che mi ha fatto più
male di altro, ed è che al processo si è voluto dimostrare
che un collega, per me anche
un fratello, come il capo della squadra mobile Boris Giuliano, e poi poliziotti come
Ninni Cassarà e Beppe Montana, o gli
stessi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dubitassero di me. Sono tutte persone che sono state uccise dalla mafia. E
giustamente sono i santi civili di oggi.
Ma non potevano confermare o negare
le accuse che mi sono state mosse: accuse false, dalle quali è infangato il mio animo (nel suo libro, La mia prigione, uscito il 17 ottobre scorso per i tipi di Marsilio, Contrada smonta nel dettaglio anche
le accuse secondo le quali Falcone, Borsellino e Giuliano avrebbero nutrito dubbi
nei suoi confronti, ndr). È così che è iniziata, prima di ogni condanna, la distruzione di tutto ciò che ero stato.
Chiara Rizzo
Foto: AP/LaPresse
E maggiore è il calibro criminale,
maggiore è anche il peso dato alle sue
parole nelle aule di giustizia. Di Marino
Mannoia vorrei dire una cosa: il primo
interrogatorio in cui mi accusa risale al
1994, eppure lui aveva iniziato la sua collaborazione con la giustizia nel 1993. Inoltre io ero già in carcere da un anno, e la
notizia del mio arresto era stata per settimane su tutti i giornali. Eppure lui fino
all’inizio del ’94 non ricorda nemmeno la
mia esistenza. Durante il processo di primo grado, in aula, è emerso un altro fatto. Il mio avvocato ha interrogato Marino
Mannoia, lui si è confuso e ha rivelato che
di me aveva in realtà già parlato ai pm il
3 aprile 1993. È vero, ma né io né il tribunale lo sapevamo, perché la procura di
Palermo non aveva ritenuto utile allegare quell’interrogatorio agli atti del dibattimento. Ebbene quel giorno, a domanda specifica sul mio conto del procuratore
capo di Palermo Giancarlo Caselli, Marino Mannoia aveva risposto che non aveva
mai sentito parlare di me come una persona legata a Cosa Nostra. È poi emerso, solo
durante il processo d’appello, che la stessa
cosa Marino Mannoia l’aveva detta anche
il giorno prima, al procuratore capo di
Caltanissetta. Ma anche questo interrogatorio è finito per anni nel dimenticatoio.
L’interrogatorio a discolpa
“dimenticato” da Ingroia
L’ITALIA
CHE LAVORA
Il pronto
soccorso del
packaging
Le mode cambiano, le leggi pure, gli imballaggi
invecchiano e finiscono in discarica. Grazie alla
sovrastampa della famiglia Arici, dal 1978 non è
più così. La pancetta “si trasforma” in prosciutto
cotto, le aziende risparmiano e l’ambiente respira
O
con
chilometri e chilometri di imballaggi non più utilizzabili. Le ragioni? Tante e diverse: errori di stampa, nuove
normative che impongono aggiornamenti alle etichette, date di scadenza, prezzi
e ragioni sociali variate o semplicemente
la necessità di tenersi al passo con i gusti
che richiedono modifiche e aggiornamenti alla grafica del packaging. La conseguenza è chiara: migliaia di euro, a volte anche
milioni, gettati al vento. Oltre il danno la
beffa, perché quei materiali sono destinati
al macero e questo ha un costo.
Dal 1978 c’è una piccola azienda di
Lainate, in provincia di Milano, che questi materiali li recupera quasi al cento per
cento. È la Rotoprint Sovrastampa di Giancarlo Arici. Il fatto che si chiami Rotoprint
fa capire che qualcosa c’entra con la stampa. Ma Sovrastampa? «Dico la verità, mi
sono inventato un lavoro, e ho inventato
pure una parola», dice sorridendo il direttore generale e fondatore Giancarlo Arici. Eppure è semplice, sostanzialmente la
Rotoprint “scrive” sopra una stampa già
esistente, recuperando migliaia di chilometri di imballaggi che senza la sua intuizione finirebbero in discarica. Quanti? Nel
2010 oltre 18 mila chilometri di materiali;
in poco più di due anni con questi imballaggi si potrebbe costruire una striscia lunga come la circonferenza della Terra.
Giancarlo ha settant’anni, ma di fare il
pensionato proprio non ha voglia. Il lavoro
lo diverte e appassiona ancora e i riconoscimenti piovono da tutto il mondo. Il primo
nel 1993, l’Oscar dell’imballaggio, l’anno
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gni anno le aziende fanno i conti
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scorso a Graz, in Germania, l’Innovation
Award dell’European Rotogravure Association. La settimana scorsa l’ultimo, a Chicago, il Technical Innovation Award. «Siamo appena tornati dall’America e anche
là, quando raccontiamo cosa facciamo,
rimangono a bocca aperta. Sono stati capaci di andare sulla Luna, ma non sono in
grado di imitare il nostro lavoro. Ci chiedono di vendere il nostro know-how, ma per
ora non se ne parla».
Una mattina davanti allo specchio
Tutto ha inizio più di quarant’anni fa: «Fin
dal 1963 lavoravo con gli altri 3 miei fratelli. Facevamo gli stampatori per conto terzi in uno scantinato di Lainate. Un giorno si presenta un cliente con una richiesta mai sentita prima: voleva cambiare il
prezzo su una confezione di ravioli così da
non buttar via l’imballaggio che aveva in
magazzino», racconta Arici. Facile da dirsi, ma all’epoca non esistevano macchinari in grado di esaudire quel desiderio. «Ma
a un’offerta di lavoro io non rispondo mai
di no. Niente è impossibile. Così la tecnologia l’ho inventata io. Ho provato e riprovato finché una mattina, mentre mi facevo la
barba, mi è venuta l’intuizione giusta e ho
risolto il problema».
Nel 1978 Giancarlo si separa dai fratelli e inizia a fare solo sovrastampe. Ed è la
sua fortuna. La Rotoprint nasce negli anni
in cui nascono leggi che vietano l’uso dei
coloranti nelle ricette alimentari. Così,
dall’oggi al domani, il lavoro arriva da tutta Italia, poi dall’Europa e a volte anche
dal mondo. «Il nostro è un lavoro di nic-
Sopra, una delle macchine per la
sovrastampa costruite da Giancarlo
Arici. Nell’altra pagina, la famiglia
Arici, con papà Giancarlo, la moglie
Felicita e il figlio Giovanni Luca
chia, a questo livello siamo gli unici in tutta Europa e forse anche al mondo». Dopo
i coloranti il periodo della mucca pazza e
dell’aviaria: e via altre richieste. «Ognuna
era una sfida: dovevamo lavorare materiali
e formati sempre diversi e di soldi per macchine nuove non ce n’erano. Così le inventavo io. Provengo da una famiglia che lavorava la terra, ho imparato ad arrangiarmi
fin da bambino. E così nel lavoro. Trasformavo l’usato in base alle esigenze e per farlo usavo qualsiasi cosa: una volta anche un
freno di una Seicento». Mica male per uno
che non è nemmeno laureato.
Gli affari per la Rotoprint vanno sempre meglio, soprattutto quando alla fine
degli anni Novanta entra in azienda il
figlio Giovanni Luca. «Mio papà segue la
parte tecnica, io mi occupo di quella commerciale. Anche io non sono laureato, ma
spesso basta la determinazione per riusci-
Un imballaggio prima e dopo la sovrastampa
re in qualcosa». Giovanni Luca è convinto che «se siamo qui è merito di papà, della sua intuizione. Oggi si parla di rispetto dell’ambiente: lui lo fa da quarant’anni. Salviamo materiali che sarebbero destinati al macero». Nella fabbrica di Lainate si
modificano imballaggi già stampati in formati tetrarex, scatole, astucci, blister, elopak oppure materiali in bobina come alluminio, carta, polietilene, poliestere e tetrapak. «In quarant’anni di lavoro ci siamo
costruiti un background che ci permette
di affrontare ogni richiesta. Siamo allenati a risolvere qualsiasi problema perché ci
è già capitato e sappiamo come affrontarlo. Ogni volta è una sfida nuova che non
rifiutiamo mai: il lavoro si accetta sempre.
E il risultato ha una precisione millimetrica». In questo modo la porchetta si “trasforma” in un salame Milano, la pancetta
in un prosciutto cotto, la pasta da un euro
diventa da 50 centesimi.
È difficile calcolare il risparmio reale di un’azienda, però Giovanni cerca di
spiegare quali sono i vantaggi. «La sovrastampa fa risparmiare più di quanto costa.
Anzitutto il tempo: per creare un imballaggio nuovo ci vogliono dalle 2 alle 4 settimane, noi nel giro di 24 ore siamo in grado
di avviare la macchina. Così, e questi sono
altri vantaggi, l’azienda può rispettare i
termini di consegna così da evitare possibili sanzioni e il prodotto non corre il pericolo di deteriorarsi. Infine il fattore ecologico: nessun materiale finisce in discarica».
Così si spiega il motto di famiglia: «Ogni
chilogrammo di materiale sovrastampato
è un chilogrammo risparmiato». Non male
come biglietto da visita.
impossibile da eliminare. «Incontro persone che sorridendo mi dicono che noi viviamo delle “disgrazie” altrui. Per far comprendere l’importanza della nostra specializzazione dico loro che se domani dovessimo chiudere sarebbero più le persone che
piangono di quelle che ridono. Noi siamo
una soluzione ai problemi, non la causa».
Nel “pronto soccorso del packaging”
di Lainate lavorano 15 persone pronte a
gestire qualsiasi emergenza che «otto volte su dieci ha la massima urgenza». Ma
un’azienda a conduzione familiare non
potrebbe andare avanti se non ci fosse la
La precisione di Felicita
precisione e l’ostinazione di una donna.
I clienti che si rivolgono alla Rotoprint Giancarlo ne è convinto: «Se devo ringrasono migliaia e il lavoro è talmente vario ziare qualcuno, questa è Felicita, siamo
che difficilmente finirà: le leggi cambia- sposati da 47 anni. È una donna di caratno ogni giorno, la fantasia degli addetti tere, mi ha sostenuto, incoraggiato, spromarketing è inarrestabile, l’errore umano nato, soprattutto all’inizio di questa avventura. Lei segue la programmazione e le posso assicu«Quando mi chiesero di modificare il prezzo
rare che quando ci prendiasopra l’imballaggio la tecnologia non esisteva. mo un impegno, cascasse il
Così me la sono inventata. Oggi riusciamo
mondo, lei lo fa rispettare».
a “scrivere” sopra qualsiasi stampa esistente»
Daniele Guarneri
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GREEN ESTATE
CINEMA
TRATTORIA LA RESCA, VESCOVATO (CR)
Imperdibile carrello di bolliti
Tutti i santi giorni,
di Paolo Virzì
Bella commedia
all’italiana
di Tommaso Farina
L
a rinascita dell’interesse verso un certo tipo di cucina, magari servita a prezzo conveniente, ha sancito la vittoria morale di alcuni ristoratori che, 20-25 anni fa, si erano becIN BOCCA
cati la nomea di “inattuali”, perché non seguivano le mode. Si
ALL’ESPERTO
sa com’è andata: oggi alcuni di questi locali hanno la fila fuori,
mentre tanti altri che si adeguavano al vento ed erano “al passo coi tempi” sono finiti malinconicamente chiusi.
È aperta e felicemente cucinante la Trattoria La Resca di Vescovato (Cremona),
sulla strada Padana Inferiore, a cinque minuti di macchina dal casello di Cremona della A21. Il biglietto da visita non lascia dubbi sulla vocazione di Luciano Battisti, il patron di origine veronese: “Carrello arrosti e bolliti misti”. È inutile negarlo: in questa saletta semplice, abbastanza calda e simpatica, conviviale, si viene per
farsi prendere per la gola da quello che, più che un carrello, pare un Orient Express. Dodici pezzi: otto di bolliti (reale, cappello di prete, testina, lingua naturale, lingua scarlatta, cotechino, gallina, ripieno della gallina) e quattro di arrosti al
forno (vitello, coppa di maiale, lonza, spalla). A corredo, verdure, salsa verde, salsa
rossa, crema di cren (la radice piccante simile al rafano) e mostarda di pere e mele. Imperdibile.
In ogni caso c’è anche altro. Si parte con un antipasto di salumi. Poi si prosegue
con le tagliatelle ai quattro sughi (pomodoro, ragù, fegatini, funghi) della tradizione popolare veronese. O coi cremonesi marubini in brodo; gli strozzapreti zucca
e cipolle o al sugo d’anatra; la pasta e fagioli. Se non vi va giù il bollito, di secondo
potete scegliere una costata di manzo, una tagliata di puledro oppure il baccalà alla vicentina, altro piatto qui famoso. Di dolce, crostata di fichi, o torta Cremona. Da
bere, vini “a voce”, come del resto è il menù. Ma qui il conto è senza sorprese: per
due portate abbiamo speso 18 euro. Voi preventivatene qualcuno in più, ma non
molti. Simpatico e professionale il servizio.
Per informazioni
Trattoria La Resca
Via Padana Inferiore, 7
Vescovato (Cremona)
Tel. 0372830627
Chiuso il lunedì
e mercoledì sera
l’energia di sorgenia
Nasce la Carta della
qualità dei servizi
«Con questa iniziativa vogliamo dimostrare in modo concreto e con impegni seri e verificabili che il cliente è il valore
principale di una società energetica che opera nel mercato libero come la nostra»: così
Riccardo Bani, direttore generale di Sorgenia ha commentato il lancio della Carta del| 31 ottobre 2012 |
Bella, bella commedia
all’italiana, forse il miglior
HOME VIDEO
Che cosa piove dal cielo?,
di Sebastián Borensztein
Profondo e ironico
L’incontro imprevisto tra un
ferramenta argentino e un immigrato cinese.
Storia d’amicizia raccontata a
metà tra il fiabesco e il surreale. Due tipi totalmente diversi si
incontrano. Il primo è un commerciante burbero e arrabbiato con la vita. L’altro è timido e
con un passato difficile. Si trovano per caso e nonostante i
problemi linguistici imparano a
conoscersi e a darsi una mano.
Bello, profondo, ironico: un racconto positivo sui casi della vita
che spalancano il cuore.
HUMUS IN FABULA
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Lei fa la musicista, lui il
portiere di notte. Si vogliono bene e desiderano dei
figli. Che non arrivano.
film di Virzì dai tempi di
Ovosodo. Funzionano tante cose: la caratterizzazione
dei personaggi, l’uno all’opposto dell’altra, gli attori
splendidi e verosimili, la sceneggiatura, un bel mix di realismo e surreale. Lei è siciliana, passionale ed emotiva.
Ama la musica e parla fin
troppo. Lui è uno spettacolo: fa il portiere di notte per
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la qualità dei servizi. Risultato
di un lungo lavoro che ha fatto tesoro dell’esperienza acquisita negli anni dal primo
operatore privato nel mercato italiano dell’energia, «uno
degli elementi più significativi della carta è il nostro impegno a emettere fatture sui consumi effettivi nell’80 per cento
dei casi». È la prima volta che
accade nel settore: di fatto con
la promozione del documento
Sorgenia s’impegna a garantire standard di servizio superiori a quelli previsti dalla normativa del mercato dell’energia e
che potranno essere costante-
mente verificati grazie ad un
Osservatorio costituito ad hoc
in accordo con le associazioni
dei consumatori. La Carta definisce infatti una serie di indicatori di qualità più stringenti
rispetto alle soglie minime fissate dall’Autorità per l’energia
elettrica e il gas; attraverso di
essa l’azienda si impegna inoltre a garantire obiettivi quali
tempi certi di attivazione a seguito della sottoscrizione di un
contratto e un tempo medio di
attesa di 40 secondi per parlare con un operatore del call
center. Un beneficio atteso anche in bolletta che, come spie-
gato da Bani, verrà basata sulla lettura reale del contatore in
almeno l’80 per cento dei casi – la lettura dei dati di consumo viene infatti effettuata dai
distributori locali –; nel caso
di contatori telegestiti non si
avranno mai comunque più di
due bollette consecutive basate su letture stimate. Sono solo
alcune delle novità che, dal piano di rateizzazione alla richiesta di informazione e ricezione di reclami, si affiancano con
la Carta della qualità dei servizi alle numerose iniziative a tutela dei diritti del consumatore
già intraprese dalla società.
STILI DI VITA
pubblicità di questi tempi
dedicarsi alla lettura, è appassionato di martiri cristiani, è riflessivo e ha la virtù
dei grandi uomini (e mariti):
la pazienza. Si vogliono bene
e desiderano un bimbo che
però stenta ad arrivare. Che
fare? E, soprattutto, come
andare avanti? Bella storia,
sceneggiata dallo stesso regista con Francesco Bruni regista di Scialla!: è un racconto
positivo su una coppia moderna un po’ scoppiata e nevrotica ma che tiene per una
miracolosa dedizione dell’uno
verso l’altra.
visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Conviventi e reversibilità
Vivo da trent’anni con il mio compagno, oggi molto malato. Ho diritto alla pensione di reversibilità?
Pina M.
Il diritto alla pensione di reversibilità è automatico solo per il
coniuge che ha contratto matrimonio civile o religioso. La con-
invia il tuo quesito a
[email protected]
All’Ikea i bimbi
sono fuori moda
Il regista
Paolo Virzì
di Annalena Valenti
D
ice: non comprerai ancora cose
all’Ikea con quella
pubblicità pro gay? Dico:
MAMMA
OCA
non si fa di tutto per vendere? Dice lo spot, “basta
poco per cambiare”, basta dare al pubblico quello che vuole, basta togliere la
donna dal catalogo destinato all’Arabia Saudita (per protesta le donne non
andranno più all’Ikea?), basta dare al
pubblico occidentale quello che vuole. I bambini non tirano, non se ne fanno più e le famiglie non hanno soldi.
Le campagne Ikea di una volta erano
incentrate su “i più importanti della casa” e in tanti ci siamo riempiti
la casa di mobili carini, e, pur sapendo che non sarebbero durati una vita,
ma molto meno, abbiamo arredato camerette “in crescita” senza svuotare il
portafogli, ma oggi, chi ha figli, non
ha soldi inutili.
Basta toglierli, i bambini. Nel nuovo spot ce ne sono due, le pagine del
catalogo dedicate a loro sono in tutto
una decina. Poi sono passati ai single,
ma oggi chi riesce a farsi una casa da
solo? Rimangono in famiglia anche fino ai 40 anni. Il nuovo spot, per vendere a chi? Gente di una certa età, tra cui
una che, tra tutte le cose che si possono buttare in una casa per fare spazio,
butta i libri, coppie di amici di varia
natura, due bambini di non si sa chi, e
tutti insieme poi si ritrovano nel cortile di una triste casa di ringhiera.
mammaoca.wordpress.com
vivenza more uxorio non è stata
ancora disciplinata. In passato
sentenze della Corte Costituzionale hanno precisato varie volte che in caso di convivenza more uxorio il convivente superstite
non rientra nei beneficiari della
pensione di reversibilità.
Ho 15 anni di contributi versati
nel 1992 con la contribuzione volontaria. Sono ancora validi nella
situazione odierna per richiedere
una pensione?
Luca G.
A seguito dell’entrata in vigore
della riforma Fornero, allo stato attuale, non è più possibile ac-
cedere alla pensione di vecchiaia
con 15 anni di contribuzione maturata entro il 31/12/1992. Infatti la Riforma Fornero ha stabilito che dal 1° gennaio 2012
si può accedere alla pensione di
vecchiaia esclusivamente in presenza di 20 anni di contribuzione e di un’età anagrafica minima, per l’anno 2012, di 62 anni,
se lavoratrici dipendenti e 63 anni e 6 mesi se lavoratrici autonome, e 66 anni se lavoratori dipendenti o autonomi. Qualora
il lavoratore e/o lavoratrice entro il 31/12/2011 abbia perfezionato il requisito anagrafico (65
se uomo, 60 se donna) nonché
il requisito di 15 anni può accedere alla pensione di vecchiaia
trascorsi 12 mesi (se lavoratore
dipendente) o 18 mesi (se lavoratore autonomo) dal momento
del perfezionamento dei requisiti
richiesti sino al 31/12/2011.
Dal 2004 sono stata riconosciuta
invalida al 100 per cento e percepisco la pensione. Cosa succederà
quando compirò 65 anni?
Continuerà a prendere la pensione sotto forma di Assegno sociale Inps. Il passaggio avviene
d’ufficio e Lei non dovrà presentare alcuna domanda.
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PER PIACERE
luca barisonzi
Storia di un alpino caparbio rinato
dopo un attentato in Afghanistan
AMICI MIEI
libri/1
La contraffazione
uccide l’economia
Il libro nero della contraffazione
di Antonio Selvatici (Pendragon,
230 pagine, 15 euro) è la prima
indagine giornalistica sulla contraffazione: le cifre da capogiro,
i legami con la criminalità organizzata e gli intrecci internazionali di un business che replica illegalmente non solo le note
griffe dell’abbigliamento, ma anche armi, prodotti agroalimentari, sigarette, giocattoli, parti
di ricambio delle auto, permessi
di soggiorno. Si tratta di un furto che vale alcuni miliardi di euro l’anno e di cui fanno le spese
i consumatori, il fisco e un’importante fetta di prodotti made in Italy, in un trasferimento
illecito di ricchezza che sottrae
risorse all’Oc­cidente e alimenta l’economia di un colosso economico quale la Cina, paese dal
quale proviene la principale quota mondiale di prodotti contraffatti. Chiamando in causa gli organismi preposti al controllo a
livello italiano, europeo e mondiale, questo libro offre una serie di spunti su possibili misure
alternative per arginare un fenomeno che necessita urgentemente di essere contrastato.
libri/2
Il Cile di Pinochet
e un diplomatico
in prima linea
1974: mentre in tutto il mondo
centinaia di migliaia di persone manifestano contro il golpe
di Pinochet, che da un anno ha
precipitato il Cile nel buio di una
dittatura sanguinaria, a Santiago Emilio Barbarani, giovane diplomatico italiano, tiene in scacco la temibile Dina, la polizia
segreta, proteggendo e salvando centinaia di rifugiati politici.
Due anni vissuti pericolosamen-
di Laura Borselli
«T
ornando in tenda, una sera, i miei occhi furono catturati dal buio che sovrastava la mia testa, milioni di stelle illuminavano il cielo. Era uno spettacolo. Sembrava
quasi difficile trovare spazi bui tra una stella e l’altra. Fa così effetto tanta maestosità in un luogo tormentato». Luca Barisonzi ha
poco più di vent’anni quando annota queste cose nella sua testa. È
un alpino ed è partito per l’Afghanistan perché questo fanno gli alpini: vanno dove la patria li chiama per conquistare spazi di normalità in terre in cui regnano la guerra e la morte. Quegli spazi di
normalità vanno dal far sorridere un bambino afghano regalandogli dei biscotti all’addestrare i soldati dell’esercito locale. Poi arriva il giorno in cui uno di quei soldati tira fuori una pistola e prima
che tu possa anche solo insospettirti ti spara colpendo il tuo midollo spinale e uccidendo il commilitone che è accanto a te. È quello
che è accaduto il 18 gennaio 2011, quando in un attentato il caporalmaggiore Luca Sanna è stato ucciso e il caporalmaggiore Luca
Barisonzi ferito gravemente. Il medico americano che soccorre Barisonzi esclude ogni possibilità di operazione: secondo lui recuperare l’uso delle braccia e delle gambe è impossibile. È la caparbietà
di un medico del Celio a dare una speranza al ragazzo. L’operazione di decompressione del midollo viene effettuata in tempo e oggi,
dopo mesi di riabilitazione faticosissima e non ancora conclusa, Luca comincia a spingere da solo la carrozzina e a mangiare autonomamente. Ma la vittoria di Luca comincia prima di questi pur importantissimi traguardi. Comincia in quegli attimi che sembrano
infiniti sprofondato nella polvere del deserto. Un dolore lancinante
al collo, lo smarrimento. «Solo per un secondo ho pensato che stavo
morendo. Solo per un secondo. Poi mi sono fatto coraggio». Il coraggio di Luca, quello che rende davvero prezioso il libro che ha scritto
(La patria chiamò, Mursia, 117 pagine, 12 euro) è
stato quello di non mollare e di non essere lasciato solo. Dalla famiglia, dalla ragazza Sarah, dalla
compagnia solida e alta degli alpini. Grazie a loro
e grazie alla propria limpida forza Luca può dire
che non si pente di nulla. Guarda la sua vita con
l’amore di chi non recrimina perché ama troppo
il presente. La forza di chi si inchina di fronte alla
maestosità che sovrasta i nostri tormenti.
te quelli di Barbarani, tra spie,
intrighi, scontri politici, storie
d’amore, colpi di mano, sparatorie e un delitto da risolvere: nel
giardino dell’Ambasciata viene
trovato il corpo martoriato di
Lumi Videla, militante del Mir,
movimento rivoluzionario di sinistra. Uccisa in Ambasciata,
dicono i golpisti; torturata ed
eliminata, affermano gli oppositori. Tra mille difficoltà e spesso
a rischio della propria vita Barbarani si trova a gestire l’inchiesta giudiziaria e contemporaneamente la difficile situazione
dei rifugiati bloccati in Ambasciata. E per farlo dovrà ricorre-
re a tutta la sua intelligenza, al
suo fascino e a una buona dose
di audacia. Oggi Barbarini racconta la storia che ha vissuto in
prima persona. Mette in pagina
fatti veri (Chi ha ucciso Lumi Videla, Mursia, 312 pagine, 19 euro) per disseppellire una pagina sconosciuta degli anni della
guerra fredda, scritta con il ritmo di una spy-story in cui le vicende umane si intrecciano con
l’analisi politica della situazione che portò al golpe, la denuncia della crudeltà del regime,
le contraddizioni dei movimenti e il ruolo della diplomazia a
Santiago.
il libro
fotografia
Gli scatti gentili
di Berengo Gardin
La VI edizione del Festival Per
sentieri e remiganti porta a Torino il lavoro di uno fra i più
noti e importanti maestri della fotografia italiana: il 7 novembre Gianni Berengo Gardin
inaugura al Museo Regionale di Scienze Naturali la mostra “Sguardi gentili”. Il tema
della gentilezza, che ha caratterizzato l’edizione primaverile del Festival, torna e si svela
nelle straordinarie 40 immagini in mostra. Lungo il percorso
della mostra il pubblico potrà
ritrovare facilmente la gentilezza, racchiusa nei baci degli
amanti, nelle carezze dei compassionevoli, fra cui Fratel Ettore al dormitorio della Stazione Centrale di Milano; nei balli
di chi festeggia un giorno speciale o un giorno qualunque ma
indimenticabile per quel giro di
spensieratezza; nelle feste e nei
gesti degli sposi; nei viaggi giocosi dei bimbi dell’asilo Olivetti e sul tram di una città che va
verso la modernità ma ha ancora il sapore della lentezza e
della misura per l’uomo. (Nella foto in alto: Berengo Gardin,
Gran Bretagna, 1977).
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MOBILITÀ 2000
DI NESTORE MOROSINI
LA CITY CAR FIAT IN VERSIONE NATURAL POWER
Con Panda a metano
risparmio ed efficacia
S
Panda Natural Power. È la
vettura che porta al debutto nel
mondo delle automobili bi-fuel
(benzina-metano) il motore bicilindrico turbo TwinAir che quando funziona
a benzina ha una potenza di 85 cavalli
mentre a metano ne sprigiona 80. Siamo
di fronte a una city car ecologicamente
corretta e dal costo di esercizio davvero
contenuto che favorisce chi la guida ani chiama
che nelle zone ad accesso regolamentato
o a pagamento.
La Panda Natural Power è proposta
a prezzi che partono da 13.950 euro. I
gruppi sospensioni innalzano l’altezza
da terra e permettono l’alloggiamento
dei grossi serbatoi del metano (da 72 litri
totali) nella zona sottoscocca, evitando
di cannibalizzare troppo spazio all’interno della vettura (cala solo la capacità
La Fiat Panda
a metano provata
su percorsi sterrati
ha dato ottimi
risultati per quel
che riguarda
la tenuta di strada
del bagagliaio da 225 a 189 litri) e di conservare quello della benzina da 35 litri.
Considerando che 72 litri di metano equivalgono a circa 12 chilogrammi
di questo gas, e che questo è venduto a
circa 0,97 euro/kg, per un pieno che mediamente assicura un’autonomia di poco inferiore a 400 chilometri occorrono
all’incirca 11 euro. Se si unisce all’autonomia garantita dal serbatoio a benzina,
la Natural Power può percorrere secondo la casa quasi 900 chilometri senza bisogno di rifornirsi.
Con un interruttore si può commutare il tipo d’alimentazione e dell’indicatore di livello del serbatoio. Su strada, pur
adottando lo stesso gruppo sospensioni
della 4x4, la Natural Power ha un assetto
più incline a cedere alle lusinghe del rollio rispetto alla consanguinea a trazione
integrale. A livello di rendimento il TwinAir Turbo della Natural Power, abbinato al cambio a 5 marce, imprime una velocità di 168 km/h rivelandosi all’altezza
della situazione a livello di spontaneità
d’erogazione, specie in ripresa.
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UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
QUANDO TUTTO È CONFUSO
Dai fantasmi
della mente
ci salva la realtà
di Aldo Trento
C
aro padre Aldo, è da un po’ che mi
scoppia dentro questa domanda, e te la
voglio consegnare tutta. A te che ogni
giorno lotti come un eroe e vivi come un santo.
Quello di cui sono certo è che la mia vita, a rileggerla adesso, è stata da subito e da sempre
investita da un bisogno di affezione grandissimo, una necessità vitale di essere voluto bene.
Il mio bisogno affettivo è una spinta ad agire
potentissima, che se non trova un legame totale a cui darsi diventa scomposto e irrequieto,
fuori controllo. A rileggere adesso tutta la mia
vita, ti dicevo, è proprio “a causa” di questa urgenza viscerale che ho fatto tante cavolate, come l’uso della droga o il portare avanti una vita scapestrata. Questo bisogno è la cosa che
forse più mi caratterizza e mi appartiene.
Da qualche anno mi sono scoppiate delle grandi crisi d’ansia, con ossessioni, idee fisse e pensieri che si rincorrono veloci e che mi fanno
creare una realtà parallela rispetto a quella
che vivo. Questa dinamica, unita a un senso di
angoscia terribile da farmi piangere, è diventata così pressante che ho avuto bisogno di andare dallo psichiatra. Ho scoperto di non essere come credevo, che posso passare giorni
interi a piangere per l’angoscia… proprio io che
credevo di essere un duro.
Tempo fa un’amica mi disse che il più grande
rimedio per l’ansia è restare attaccati alla realtà. È vero, me ne sono accorto, ma la questione è esattamente questa: spessissimo io non riesco a vedere la realtà, è come se la mia testa
fosse dentro una campana di vetro che mi isola dal resto del mondo. Il tutto con un arrovellarsi di emozioni contrastanti e scomposte. È
tremendo perché arrivo a perdere ogni capacità di giudizio, non colgo i segni di cosa Dio vuole da me e cosa dovrò fare nella vita. Tutto mi
si perde fra le mani, faccio un casino dopo l’altro e chi mi è vicino ne soffre. Io sono la prima
vittima di me stesso e della mia testa. Ti faccio
un esempio. Sto con una ragazza da un anno e
mezzo circa. Fin dall’inizio era evidente chi me
l’aveva fatta incontrare, mi era evidente che
seguivo l’ipotesi di un Altro e non la mia. Ho
pensato, «ecco, su quest’Altro posso costruire qualcosa». Dopo poco tempo mi è tornata
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POST
APOCALYPTO
«Rimanere in
ginocchio davanti
al Santissimo
aiuta a restare
in piedi durante
la giornata».
A fianco, padre
Aldo Trento in
un momento di
preghiera nella
clinica Divina
Provvidenza,
Asunción
in mente una ragazza con cui mi ero lasciato
da poco. Nel tempo questi pensieri sono cresciuti, e ora mi trovo a non sapere più distinguere qual è la realtà dalla finzione, cosa c’è di
vero nei pensieri che mi vengono e cosa di creato dalla mia testa. È come se la mia ansia si
prendesse gioco di me: appena inizio un’ipotesi di strada la mia mente e le mie emozioni mi
strattonano via dalla realtà, così che tutta la
mia vita è stata una serie di aborti. Vedo i miei
amici sposarsi o seguire una strada che riconoscono, e ogni volta per me è come un pugno in
faccia. Non ti nascondo che a volte vorrei farla
finita, perché mi chiedo: ma che futuro posso
avere se non riesco a distinguere la realtà dal-
le emozioni e dai pensieri? Cosa posso fare io,
così come sono, per vivere e seguire i segni del
Mistero? Che valore ha una vita come la mia
che non può costruire nulla di stabile e duraturo perché dominata da emozioni e pensieri?
Lettera firmata
R
ingrazia la tua amica per averti pro-
vocato a prendere sul serio la realtà. In
questo modo ti ha offerto la possibilità
di un cammino per non farti vincere dalle fantasie, dalle ossessioni, dalle idee fisse che ti tormentano. E questo cammino è lento, richiede
tanta pazienza e qualcuno che si ponga al tuo
fianco per indicarti la realtà e ciò di cui è se-
Tre regole mi aiutano nella lotta quotidiana
contro le ossessioni che mi assillano. “Calli
alle ginocchia”: stare nella realtà in ginocchio
per riuscire a stare in piedi; “Calli nel cervello”:
guardare la realtà chiamando le cose con
il loro nome; “Calli nelle mani”: lavoro fisico,
per creare un vincolo concreto con la realtà
sico che è per me il mezzo più potente per creare un vincolo concreto con la realtà. Vivendo
in questa maniera, accompagnato da un amico
“forte” e appassionato alla realtà, in questi 23
anni ho potuto sperimentare la grazia di questa malattia perché mi ha permesso di imparare cosa vuol dire mendicare la grande presenza
del Mistero. Una presenza che ogni giorno si fa
visibile in ogni dettaglio della vita. Certamente tutto questo, senza la mia libertà chiamata a
decidere in ogni istante, non sarebbe possibile.
Sono strumento di Dio
gno. Leggendo la tua lettera mi risulta sempre
più chiara la provocazione di una cara amica.
Provocazione che da 23 anni mi accompagna
e che si è resa talmente concreta da darmi tre
regole fondamentali per vivere la realtà. Tutta la battaglia che vivo giornalmente consiste nel non lasciarmi vincere dalle fantasie, dalle ossessioni che in certi momenti mi sembrano
spaventose. La prima regola: “calli alle ginocchia”, ossia lo stare nella realtà in ginocchio per
poter stare in piedi; la seconda: “calli nel cervello”, vale a dire guardare in faccia la realtà chiamando le cose, le circostanze con il loro nome,
vivendo la realtà che sono chiamato a vivere.
La terza: “calli nelle mani”, vuol dire il lavoro fi-
Ho sperimentato la verità di quanto don Giussani ripeteva: «Le circostanze sono fattori costitutivi della propria vocazione. Non esiste una
situazione privilegiata rispetto a un’altra, perché tutto ci è dato per la maturazione del nostro io». Dio si è servito di me e della condizione in cui ero per mostrare la sua infinita
Misericordia a quanti soffrono. L’impatto quotidiano con la realtà è diventato lentamente
il cammino sicuro che permette di guardarmi
come mi guarda Dio. Il solo fatto di esistere mi
permette di guardarmi con affetto. Se io sono e continuo ad essere è solo perché un Mistero mi fa in ogni momento. Allora la battaglia che la realtà mi chiede di vivere è quella di
non togliere mai lo sguardo dalla Sua presenza
che si rivela in ogni cosa. E non è una cosa automatica questa posizione, ma un cammino costellato di santi che mi accompagnano. Alcuni giorni fa ho celebrato il matrimonio di una
giovane donna, ammalata terminale di cancro
e cosciente della gravità della sua situazione.
Giunto all’omelia mi sono permesso di chiederle quale fosse stato il momento più bello e importante della sua vita. E lei, sorprendendomi e
commuovendo tutti, mi ha risposto: «Padre, la
malattia. Mi ha permesso di avvicinarmi a Gesù che per me era un estraneo». Ma non è finito qui l’Avvenimento, perché giunti alla comunione ho preso la pisside e sono andato a dare
l’Eucaristia agli ammalati. Giuseppe è eccezionale, è paralizzato e cieco. Vedendo che piangeva gli ho chiesto il perché. E lui, con tutta
semplicità, mi ha detto: «Sono felice perché i
miei amici lo sono, e la loro gioia è la mia». Ancora una volta ho toccato con mano che non
esiste nulla che non possa essere occasione
che il Mistero ci dona per riconoscerlo come la
consistenza di tutto, come una risorsa donata
alla libertà per dire «Tu o Cristo mio».
[email protected]
C
arissimo padre Aldo, ne I Dieci Coman-
damenti scrivi: «Non sopportiamo ciò
che tiene quella ferita aperta, che sia
depressione o una malattia, o magari l’innamorarci di qualcuno di cui non dovremmo. Vogliamo eliminare in fretta i problemi. Magari moralisticamente vogliamo essere bravi. Don
Giussani su questo era radicale: mai invitava a
tirarsi indietro, ma sempre ad andare a fondo,
ad affrontare ciò che ci si pone come sfida». E
poi ancora: «Quando l’autocoscienza dell’io non
è più il rapporto con il Mistero ma piuttosto
i suoi antecedenti biologici o psichici, allora è
evidente che la vita non ha alcun senso, perché
l’uomo si trasforma in “una passione inutile”. Il
quinto comandamento esalta, ricorda all’uomo
la sua dignità, la sua grandezza. (…) dimenticarsi di questa verità è la condanna a una vita
priva di senso, alla mancanza di autostima, alla noia di vivere». Come è vero! Che lotta che è
per me! Mio padre soffre da quando sono nata
di quello che i medici chiamano un disturbo di
personalità di tipo paranoico-narcisistico. Che
dolore e quanta sofferenza, ma l’abbraccio di
Cristo è sempre stato forte, fino a farmi incontrare il movimento. Ora mio padre sta meglio,
finalmente si cura, sono cambiate molte cose.
Ma anche nelle mie giornate migliori tutta questa sofferenza non se ne va, resta lì, come un
tarlo che mi fa perdere la bussola. E se si trasforma in domanda allora è una grande risorsa, quando non accade è una vera croce. A volte prego perché mi sia tolta, vorrei non essere
come sono, imparare a sorridermi, a guardarmi con letizia, dare il giusto peso a questi fatti,
a riconoscere che Cristo mi ama, c’è. Poi mi accorgo che tutto questo mi costringe a un dialogo serrato con Cristo che porta a momenti di
letizia così profonda da farmi dire: «Se questa
ferita mi tiene così legata a te, non togliermela mai». Vorrei diventare capace di dire di sì, di
offrire, di percorrere la mia strada senza perdere tempo in inutili lamentele, in dubbi, scoprendo dove porta e cosa Lui vuole fare di me.
Antonia
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LETTERE
AL DIRETTORE
Il carcere non è un
nostro pallino, è la linea
divisoria dai cialtroni
Signora, grazie della buona battaglia e grazie del bene che ci vuole.
2
Appello a Formigoni.
Caro Roberto, si ricomincia anche in
politica, ma il segno del nuovo inizio deve essere chiaro, evidente. Oggi significa tre punti essenziali: 1) difendiamo il buon governo della cosa
pubblica, a costo di dare un mandato
temporaneo a dei tecnici, purché abbiano come obiettivo il riconoscimento
e lo sviluppo delle cose che vanno bene; 2) chiamiamo a raccolta le culture
politiche che si riconoscono nella necessità di allearsi ad ampio raggio, i liberali, i cattolici, i riformatori, facendola finita con gli alleati estremisti che
si sono dati uno spazio nel bipolarismo
esasperato: a sinistra il massimalismo
(Vendola ma anche il Pd milanese), a
destra l’egoismo delle comunità chiu-
Pare che il vecchio leader di Servire
il Popolo si rimetta in pista. E a noi
che dire “rottamatori” dice niente,
piace il vecchio leader pensante.
2
«Il mio lavoro non è l’opera di un singolo. Lo alimentano infatti con il meglio della loro vita tutti quelli che gli
appartengono» (Charles Péguy). Roberto, sono/siamo tutti con te! Carlo Grignani via internet
L’ho detto e lo ripeto: anche se
avesse rubato un tir carico carico
di camicie a fiori e a pois, nemmeno
Iddio può cancellare ciò che il grande riformismo formigoniano e vittadiniano e cesaniano e bossiano e di
tutti i funzionari, assessori, segretari, impiegati, portaborse di regione, hanno realizzato per il bene del
popolo che vive in Lombardia.
2
“+Stato +tasse -società = contenti?”.
Ma come, allora durante il Meeting
di Rimini ai bocconiani che domande
avete fatto? Sono andato a rileggerle: avete steso un bel tappeto rosso…
Contenti voi forse (io no di sicuro). Mi
sa che Monti prima di curare l’orto
abbia già predisposto il suo successore avatar per continuare a fare gli interessi di qualcuno. Infatti lo spread
va giù… Scommettiamo?
Valerio Biondi via internet
Lei ha ragione, gentil Biondi. Ma noi
non abbiamo torto. Le domande non
erano come dice lei (rilegga). Da
tappetino era, semmai, la titolazione. Ma vuoi non essere regale con
chi ti serve lo scoop sul piatto Meeting? Invero è Monti che si è involuto e imbrodato nel mite stato di
polizia. Avanti così e campa (politicamente parlando) giusto per vedere Todi 3. Ma dalla Bocconi. Grazie.
2
In una cronaca giornalistica proveniente da Lecco arriva la brutta notizia che i detenuti di quel carcere sono
a caccia di lavoro. Si tratta di una situazione deplorevole e purtroppo comune a molte altre carceri. Dalla direzione del carcere di Lecco si risponde
che non c’è lavoro per i carcerati perché mancano i mezzi. È una risposta
di prammatica che non convince nessuno. Per fare il pane o i dolci o per
allevare cavalli, come si fa nel carcere
modello di Bollate, non servono grandi mezzi. Per contro, nella generalità delle caceri i detenuti, oziando forzatamente, lamentano che le ore sono
lunghissime in cella, e che stare senza
far nulla è terribile. Le istituzioni hanno non solo il dovere morale, ma anche l’interesse economico di intervedi Fred Perri
LA GIUSTA DIMENSIONE DI UNA VICENDA
SPORT
ÜBER
ALLES
Un gesto coraggioso merita applausi
ma non trasforma un Farina in Messi
L’
Alla guida c’era
una signora che, tramite un auricolare, stava parlando con non so chi. Bene, era presto,
ero assonnato e non volevo fare conversazione. Però
la sciura, nei quindici minuti del tragitto, ha discusso di biscotti per cani e di cibo per cani, come se parlasse di biscotti per bambini e cibo per bambini. Mi
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altro giorno ho preso un taxi.
sono molto incattivito. Così, quando in settimana ho
letto i soliti moralisti Spe (servizio permanente effettivo) che sproloquiavano di Simone Farina a cui nessuno ha offerto un posto in Italia, «neanche per insegnare ai bambini», ho avuto un momento di rabbia
feroce (continuavo a pensare ai biscotti per cani). Non
ce l’ho con lui, ci mancherebbe. Simone Farina ha fat-
Foto: AP/LaPresse
N
Cl e non ho neanche intenzione di diventarlo, ma sono cattolica (della generazione che ha visto la guerra). Mi pare che l’attacco a Formigoni vada al di là, nei suoi obiettivi, della semplice lotta politica. Mi
sembrerebbe opportuno, perciò, che mandaste tante lettere
ai giornali – in specie Avvenire – così come era accaduto al
tempo del caso Boffo. La mia impressione è che si voglia togliere di mezzo i cattolici dalla vita pubblica. Si sta creando
un caos. Ad ogni modo, non abbiamo paura.
Ps. Grazie, anche, a voi per Tempi, che
io cerco di far conoscere.
Silvia de Manincor
on sono di
se (il leghismo ideologico); 3) gratuità
nella politica, ovvero chi guida i processi di composizione non deve essere
l’uomo che governerà; un rapporto tra
formazione politica e classe dirigente, che serve a garantire il controllo,
l’espulsione dei corrotti, le regole che
permettono la partecipazione dal basso nella politica. Io e i miei amici crediamo che tu, Roberto, puoi far valere
la tua esperienza come promotore del
nuovo corso, magari mettendo intorno
a te gente non interna al potere. Aldo Brandirali
[email protected]
nire. I prodotti realizzati dai carcerati
sono a costo zero. Se gran parte della
popolazione degli oltre sessantamila
detenuti venisse impiegata nella produzione di beni collocabili sul mercato
migliorerebbe addirittura il Pil nazionale, e i carcerati condurrebbero una
vita più dignitosa. Bruno Mardegan Milano
Il carcere non è un nostro pallino. È
la cartina tornasole di un mondo. In
Norvegia, Breivik, 77 volte assassino, condannato a 21 anni di carcere, è ristretto in una cella cinque
stelle lusso di 142 metri quadrati. All’eurodeputato Mario Mauro è
stato detto dalle autorità giudiziarie: «Non si sorprenda per come lo
trattiamo, i suoi avvocati lo volevano pazzo, ma noi sappiamo che non
è pazzo e perciò lo abbiamo condannato; condannato per rieducarlo,
perché possa un giorno comprendere il male che ha fatto ed essere reinserito nella società». Incredibile, no? Ci dicessero anche questo
i nostri conta balle di giustizia. In
Italia non c’è certezza di razionalità
della pena, ma c’è certezza di 2 metri quadrati a detenuto. E di “fine
pena mai”. A dimostrazione del fatto che la Costituzione italiana parla di “funzione rieducativa delle pena” come viatico per l’al di là. Ma su
queste cose i forcaioli nostrani non
riflettono mai. Cialtroni.
2
Foto: AP/LaPresse
Chiedo a Tempi un impegno che io
non so come impostare. Sono certa,
se vorrete, che la vostra rivista potrà
giocare al meglio. Cerco di essere bre-
LEGGERE IL VANGELO IRROBUSTISCE
Alle anime bisognose di forza
io consiglio la vitamina V
di Pippo Corigliano
CARTOLINA
DAL
PARADISO
I
miei genitori erano brave persone ma non erano praticanti.
Quando
avevo 8 anni trovai un vangelo in casa, lo apersi e trovai il brano
di san Luca: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi
odiano»… con quel che segue. Rimasi colpito e andai a leggerlo a mia
madre che non fece commenti. Ancora oggi penso che leggere il Vangelo, e in generale il Nuovo Testamento, sia il punto di riferimento
per la mia vita. Qualcuno mi ha dato il consiglio di lasciare il segno
dove sono arrivato e riprendere ogni giorno, per qualche minuto,
non di più. Finita l’Apocalisse ricomincio da Matteo. Non ne so fare
a meno: se non lo faccio mi manca qualcosa. Dico ai ragazzi scherzando che, come un medico, prescrivo la vitamina V (il Vangelo) da
assumere una volta al dì, come si scrive sulle ricette. Se faranno questo, la loro anima s’irrobustirà e saranno dei cristiani forti. Nei quattro Vangeli, negli Atti degli Apostoli, nelle lettere di san Paolo eccetera, c’è tutto: poesia, racconti, consigli, ideali, significati profondi, la
scienza di vivere. Non c’è romanzo d’avventure che regga il confronto. Tutta la cultura occidentale ha lì la sua radice profonda. Ci sono
perfino situazioni comiche. Come la donna malata che tocca Gesù in
mezzo alla folla che lo preme e Gesù chiede: «Chi mi ha toccato?», lasciando stupefatti i discepoli, o gli amici di un paralitico che lo calano davanti a Gesù da un tetto sfondato. Un buon consiglio a chi mi
chiede cosa fare per l’anno della fede: leggere il Vangelo.
ve. Scrivo da genitrice e mi domando:
noi cosa ne pensiamo della proposta
di aumentare le ore di insegnamento
dei docenti, del messaggio che passa il
ministro? Forse qualcuno dei nostri figli ha insegnanti bravi, che vorremmo
più numerosi e più apprezzati. La proposta va in direzione opposta, mi pare.
Mi piacerebbe che gli insegnanti non
fossero soli a “difendere” la categoria, mi piacerebbe che i genitori riaf-
fermassero il ruolo degli insegnanti e
dicessero a quelli che fanno davvero il
“loro mestiere”: siamo con voi, ci interessa la vostra professionalità, capiamo il vostro impegno e vorremmo che
poteste lavorare meglio (il di più è poco garantito dalle ore). Che dice direttore, Tempi ci può provare? Terry Torre via internet
Detto fatto, la copertina è vostra.
to un bel gesto, denunciando la corruzione. Chapeau.
Applausi. Premi. Ma non è che improvvisamente si è
trasformato in Messi o Madre Teresa. Quando è diventato un eroe nazionale, aveva quasi trent’anni e la sua
carriera si era svolta tra serie minori per poi terminare con il Gubbio. Con questo club ha rescisso, consensualmente, il contratto. Per i moralisti è una vendetta, l’hanno costretto all’esilio per punizione, per
aver rotto il muro di omertà. E se invece, più semplicemente, fosse solo un bravo ragazzo che come calciatore è un po’ pippa? E per insegnare ai bambini l’onestà sono sempre convinto che bastino dei genitori che
sappiano fare bene il loro mestiere.
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taz&bao
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La nullità
del presente
Una generazione che deprime la generazione precedente,
che non riesce a vederne le grandezze e il significato
necessario, non può che essere meschina e senza fiducia
in se stessa… Nella svalutazione del passato è implicita
una giustificazione della nullità del presente.
Antonio Gramsci Quaderni, XXVIII
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
LA FINESTRA ALL’ANGOLO
Quella stanza d’ospedale
di Marina Corradi
M
ilano, ottobre. Quando passo dall’incrocio fra Porta Nuova e via Fatebenesorelle non posso non alzare gli occhi a una finestra d’angolo, al secondo piano dell’ospedale. Non so che reparto ospiti adesso, quell’ala. Vent’anni fa
in quella stanza fu ricoverato mio figlio, di neanche due mesi; ero caduta per strada con lui tra le braccia, e aveva battuto la testa sull’asfalto. Un incubo la corsa in
ambulanza, con la sirena accesa. Poi la sala d’attesa davanti alla Tac – le mura grigie
che, mentre con mio marito aspettavamo l’esito, mi era sembrata una cella di prigione. Pietro aveva un ematoma: benché ottimisti i medici lo ricoverarono in osservazione. Gli steccarono un braccino perché fosse pronto per introdurre una flebo, nel
caso occorresse operare d’urgenza. Sembrava un passero con un’ala rotta.
Che interminabile notte. Gli stavo accanto, nella penombra, con gli occhi spalancati. Dentro di me preghiere e promesse si affastellavano, disordinate. Ogni ora
passava una infermiera: puntava una torcia sulle pupille del bambino, cercando i
segni di una emorragia cerebrale. Finalmente
Quell’alba al Fatebenefratelli mi rivelò – era novembre – un chiarore annunciò un’alba incerta. Pietro dormiva. Ma mentre quella
che cosa aveva passato, mia madre,
luce grigiastra rischiarava la stanza, mi folgoaccanto a una figlia che si andava
rò un ricordo: lì, proprio in quella stessa stanspegnendo. Avrei voluto abbracciarla, za, io c’ero già stata. La riconoscevo dalla posizione angolare e dalle due finestre, una su
ora, dirle: scusami, io non sapevo
Porta Nuova, l’altra sulla via laterale.
Molti, molti anni prima. Proprio lì – allora era un altro reparto – era stata ricoverata mia sorella quattordicenne, dimagrita, malata di qualcosa che i medici non
trovavano. Io avevo otto anni, uscivo da scuola e raggiungevo mia sorella e mia madre in ospedale. Mia madre era più pallida ancora di mia sorella – come se già avesse capito. E dopo un mese anche i medici capirono. In quella stanza a mia madre e
mio padre fu comunicata la diagnosi.
E poi, dopo, mia madre mai più tornata come prima. Assente, lontana, talvolta anche crudele. Come perduta. Da adolescente, che angoscia il suo bel viso trasfigurato da un dolore che si era fatto malattia. E che rancore, verso una madre che
credevo mi avesse abbandonato. Ma io non avevo capito davvero. Non avevo provato. Quell’alba nella stanza d’angolo del Fatebenefratelli di colpo mi rivelò che cosa aveva passato, mia madre, accanto a una figlia bambina che si andava spegnendo. Ora che mio figlio dormiva vicino a me, sospeso al filo di una diagnosi, soltanto
ora capivo. Avrei voluto abbracciare mia madre, ora, dirle: scusami, io non sapevo.
E senza che nemmeno lo volessi ho visto l’allargarsi, dentro di me, dopo
tanto rancore, di un incondizionato perdono.
Mio figlio lo riportai a casa, sanissimo. Quella finestra la guardo sempre, quando passo di lì. (Strano caso davvero, mi dico,
a distanza di vent’anni, ritrovarsi proprio nella stessa stanza d’ospedale). La mia finestra è anonima, uguale a tante altre allineate nel grigiore di Milano. Le grazie operano e poi si nascondono, dietro le apparenze delle
cose banali. Chi non stia attento direbbe che non è
successo niente.
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