PER LA CORTE D`APPELLO DI MILANO IL DERIVATO OTC E` UNA

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PER LA CORTE D`APPELLO DI MILANO IL DERIVATO OTC E` UNA
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Informazioni e osservatorio legale sugli strumenti finanziari derivati
PER LA CORTE D’APPELLO DI
MILANO IL DERIVATO OTC E’ UNA
SCOMMESSA LEGALMENTE
AUTORIZZATA
Corte d’Appello Milano - I sez. civ. Cons.
estensore Carla Romana Raineri
Anche le scommesse, per essere considerate valide, devono essere soggette a delle precise
regole, pena la loro nullità: è questo il senso dell’interessante pronuncia emessa dalla Corte
d’Appello di Milano (I^ sez. civile, sentenza n. 3459 del 18.9.2013, Presidente la dott.ssa
Sodano, relatrice la dott.ssa Raineri), gentilmente segnalataci dal prof. Daniele Maffeis.
La sentenza si contraddistingue per avere sposato una tesi schietta e perentoria con la quale
i Giudici milanesi, sgomberando il campo da ogni dissertazione capziosa, non hanno avuto
remore a definire giuridicamente il derivato over the counter come una “scommessa
legalmente autorizzata”.
La controversia era sorta dalla stipula di alcuni derivati swap fatti sottoscrivere dalla Cassa
di Risparmio di Parma e Piacenza, tra il 2004 e il 2005, ad una piccola azienda di gommisti
con sede nella provincia pavese.
In primo grado, l’azienda era riuscita nell’intento di convincere il Tribunale di Pavia ad
accertare la responsabilità pre-contrattuale della banca per violazione degli obblighi
informativi imposti dagli artt. 27-30 del vecchio regolamento-intermediari (delibera
CONSOB n. 11522 del 1998) con conseguente obbligo al risarcimento del danno per una
somma di poco inferiore a 90.000 euro.
L’istituto creditizio, non pago della sconfitta in prime cure, aveva impugnato la sentenza
dinanzi alla Corte d’Appello di Milano.
Il collegio di secondo grado, lungi dal prendere in alcuna considerazione le censure mosse
dalla banca all’indirizzo della pronuncia del Tribunale di Pavia, ha anzi rincarato la dose,
dichiarando la nullità dei contratti IRS ed ha così determinato delle conseguenze assai più
negative per l’istituto appellante, che ora dovrà rimborsare la società sua cliente di tutti i
differenziali negativi già addebitati in costanza del rapporto.
Non merita particolare rilievo una prima statuizione assunta dal collegio, riguardante la
controversa efficacia della nota autocertificazione di essere operatore qualificato, prevista
dall’art. 31 del citato regolamento CONSOB.
Sul tema, la Corte d’Appello di Milano si è richiamata all’assioma a suo tempo fissato
dall’unica sentenza emessa sinora dalla Cassazione (n. 12138 del 2009(1) secondo cui la
dichiarazione di possedere un’adeguata conoscenza ed esperienza in materia di strumenti
finanziari, ove rilasciata dal rappresentante legale di una società, costituisce una mera
presunzione semplice, ben superabile con l’allegazione di elementi di segno contrario
(ritenuti sussistenti nella fattispecie) e tali da privare di efficacia la medesima
autocertificazione.
Ma il suddetto rilievo è stato formulato solo incidenter tantum dai Magistrati della Corte
d’Appello di Milano e non ha assunto invero alcuna rilevanza decisiva in rapporto alla loro
ben più assorbente decisione di travolgere ogni efficacia dello swap mediante la pronuncia
della sua nullità.
I Giudici milanesi sono pervenuti a rintracciare l’invalidità genetica dei contratti derivati
sottoposti alla loro attenzione seguendo un articolato percorso logico-argomentativo che –
pur movendo, come altre sentenze in materia, dall’affermazione della centralità della
causa nel negozio di swap – si distingue per la sua esemplare limpidezza espressiva
osservata nella codificazione di alcune importanti definizioni concettuali.
Pertanto, pur non trattandosi della prima sentenza di merito che dichiara la nullità di un
derivato interest rate swap ravvisandovi la mancanza della causa, nondimeno la decisione
in commento si segnala per l’affermazione di princìpi inediti e che certamente faranno
discutere nell’attuale panorama giurisprudenziale delineatosi in materia di derivati.
Un primo significativo principio affermato dalla Corte d’Appello di Milano attiene alla
precisa individuazione dei doveri che incombono su ogni soggetto intermediario nella
negoziazione di strumenti derivati over the counter (ossia negoziati al di fuori dei mercati
regolamentati).
Secondo la Corte meneghina, “l’intermediario, allorché negozia un interest rate swap, deve
prestare una specifica consulenza al cliente, indipendentemente dalla conclusione di un
apposito contratto consulenziale, sul solo presupposto che la natura stessa dello strumento
finanziario richiede che nella definizione dei contenuti – e quindi delle condizioni dell’alea
– l’intermediario si raffiguri il miglior interesse del cliente, del tutto irrilevante restando il
motivo che lo abbia indotto a contrattare, sia esso di copertura, ovvero speculativo”.
Come si vede, sembrerebbe che per la prima volta un organismo giudiziario mostri di
provare una sostanziale indifferenza verso la natura del derivato, laddove nel recente
passato diverse pronunce non avevano mancato di attribuire una decisiva importanza alla
funzione economica concretamente perseguita dallo swap (se di copertura o
speculativo)(2).
Sul punto, il consesso milanese, distanziandosi dalla precedente giurisprudenza, ritiene
fuorviante e nient’affatto dirimente l’indagine circa la sussistenza di una “causa concreta”
nel contratto di swap ed anzi, muove dalla opposta constatazione secondo cui “il
Legislatore del TUF menziona tali contratti indipendentemente dall’intento
dell’investitore, sia esso di copertura o speculativo, imponendo, così, all’interprete di
ricercare una comune ratio legis del loro riconoscimento legislativo”.
I Giudici lombardi non si sono limitati a questo ma hanno inteso inchiodare le banche ad
un loro preciso dovere comportamentale di carattere generale, spesso eluso nella fase
antecedente alla stipula dei contratti derivati, ossia quello di prefigurarsi sempre “il
migliore interesse del cliente” in relazione all’acquisto di questo genere di prodotti
finanziari, senza poter limitarsi a rilasciare una consulenza in termini generici e astratti.
Seguendo i suggerimenti di una saggia dottrina, la Corte qui ha deciso di definire
l’intermediario, nel momento della negoziazione di derivati o.t.c., come un soggetto
“titolare di un ufficio di diritto privato” consistente nel compimento di un “atto gestorio”
posto in essere nella sua veste di mandatario.
Un ulteriore aspetto alquanto significativo della pronuncia in rassegna si ravvisa nella
chiarezza adamantina con la quale i Giudici milanesi hanno fornito la loro definizione della
natura giuridica del contratto derivato OTC.
Per loro, il derivato è “un contratto rientrante nella categoria della scommessa legalmente
autorizzata la cui causa, ritenuta meritevole dal legislatore dell’intermediazione
finanziaria (per via dell’espresso richiamo operato dall’art. 1, comma 3, TUF, n.d.r.),
risiede nella consapevole e razionale creazione di alee che, nei derivati cd. simmetrici,
sono reciproche e bilaterali”.
E che il derivato consista né più né meno che in una scommessa sarebbe indirettamente
confermato dal fatto che il cosiddetto capitale nozionale di uno swap solitamente non
coincide con una somma realmente impegnata ma rappresenta null’altro che una base di
calcolo, di carattere fittizio, utile soltanto a “definire il perimetro dell’evento da cui i flussi
differenziali vengono a dipendere”.
Il derivato OTC, in fin dei conti, ha ad oggetto uno scambio di differenziali a determinate
scadenze “ma la sua causa risiede in una scommessa che ambo le parti assumono”.
E dunque, se il derivato è una scommessa legalmente autorizzata – afferma la Corte
d’Appello milanese – che vede da una parte il cliente e dall’altra la banca (che ne è sempre
controparte diretta), affinché il contratto sia valido occorre che l’alea assunta dai giocatori
coinvolti nella scommessa abbia due caratteristiche imprescindibili: essa deve presentarsi
razionale e consapevole.
Quanto al primo dei suddetti requisiti, l’alea non può che essere razionale per entrambi gli
scommettitori e tale elemento va affermato – non si stancano di ripetere i Giudici della
Corte d’Appello – “a prescindere dall’intento che ha determinato la conclusione del
contratto. Sia esso di mera copertura , ovvero speculativo”.
La stessa alea può definirsi razionale soltanto quando “gli scenari probabilistici e le
conseguenze del verificarsi degli eventi devono, invero, essere definiti e conosciuti ex ante,
con certezza”.
Di non minore importanza appare il richiamo alla necessaria consapevolezza che deve
avere il cliente circa il grado dell’alea assunta con la sottoscrizione del derivato.
Secondo la Corte lombarda, ogni soggetto che acquista uno swap deve essere messo al
corrente fin dal momento dell’acquisto del prodotto di alcuni elementi essenziali che danno
sostanza alla consapevolezza del rischio da questi assunto: il valore dello swap al momento
della negoziazione, gli scenari di probabilità e le modalità di calcolo del mark to market.
Si tratta di elementi sui quali l’intermediario non può in alcun modo chiamarsi fuori dalle
sue responsabilità adducendo non ben precisate difficoltà tecniche nella relativa
determinazione (come spesso viene fatto a proposito dei criteri di calcolo del valore del
MTM).
Poiché è la stessa banca ad avere predisposto lo strumento derivato, essa non può attestare
di essersi disinteressata dal prevedere i concreti e possibili scenari futuri connessi al
funzionamento dello swap e le prevedibili conseguenze collegate a ciascuno di essi.
Più in particolare, secondo la Corte d’Appello di Milano, l’intermediario che vende un
prodotto IRS legato all’andamento futuro dei tassi variabili ha, al contrario, il dovere di
elaborare uno scherma di scenari probabilistici e razionali sul previsto andamento degli
stessi tassi (avvalendosi della curva del tasso forward) ed è tenuto a darne preventiva
delucidazione al cliente.
Non possono sfuggire le conseguenze per certi versi “rivoluzionarie” che quest’ultima
affermazione della Corte d’Appello – qualora trovasse diffusa applicazione – potrebbe
determinare tra gli operatori del diritto nel campo degli strumenti derivati.
Difatti, in tempi di tassi euribor così bassi come non mai, quante volte gli intermediari,
dopo avere venduto swap che addossavano interamente sul cliente le conseguenze di tale
scenario, si sono difese asserendo che “non sarebbe stato possibile per loro prevedere uno
scenario di tassi d’interesse così bassi nel medio-lungo periodo”?
Quante volte un’impresa mutuataria, anziché sentirsi tutelata dal prodotto IRS, ha provato
sconcerto per il fatto stesso che, in tempi di interessi così bassi, essa abbia finito per pagare
dei pesantissimi differenziali alla banca, proprio per avere quest’ultima predisposto uno
swap la cui finalità dichiarata era quella di proteggere il cliente (soltanto) nell’opposto
scenario di rialzo dei tassi?
Ebbene, secondo la sentenza in commento, l’intermediario non potrà più legittimamente
scusarsi per non avere potuto prevedere un certo tipo di scenario, dalla cui
materializzazione sono poi scaturiti degli effetti perniciosi nel meccanismo matematico
sotteso allo swap.
Con una affermazione stentorea che forse rappresenta il nucleo centrale della pronuncia, i
Giudici milanesi hanno infatti affermato che “tutti gli elementi dell’alea e gli scenari che
da essa derivano costituiscono ed integrano la causa stessa del contratto, perché
appartengono alla “causa tipica” del negozio (…) In difetto di tali elementi il contratto
deve ritenersi nullo per difetto di causa”.
Nella fattispecie sottoposta al loro esame, i Giudici hanno concluso per la nullità radicale
degli swap in quanto è apparso dimostrato che la società-cliente, al momento della
conclusione dei contratti, non conoscesse nemmeno il valore del mark to market del
prodotto, dovendosi dunque escludere in radice che essa potesse concludere la scommessa
conoscendone il grado di rischio assunto.
Inoltre, dalla mancata indicazione del MTM al momento della stipula dello swap, la Corte
d’Appello ha ravvisato un ulteriore profilo di nullità del contratto, avendo l’intermediario
in questo modo potuto occultare il suo compenso, rappresentato dai cd. costi impliciti, il
che avrebbe determinato anche una violazione dell’art. 1709 cod. civ. in materia di
mandato oneroso.
In conclusione, la sentenza in commento ha il pregevole merito di fare chiarezza in una
materia per nulla scevra da difficoltà interpretative.
Il derivato OTC è una scommessa che consente ai giocatori di fare valere degli interessi
ritenuti meritevoli dal nostro ordinamento ad una precisa ed imprescindibile condizione:
entrambi i giocatori devono conoscere in partenza su cosa scommettono e cosa rischiano in
caso di perdita.
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Sentenza integrale (pdf)