la fine del Lungo Ottocento e l`inizio del Secolo Breve

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la fine del Lungo Ottocento e l`inizio del Secolo Breve
La prima guerra mondiale:
la fine del Lungo
Ottocento e l’inizio
del Secolo Breve
CLAUDIO CAPPON
I
VICEPRESIDENTE DELLA UER
(UNIONE RADIOTELEVISIONI PUBBLICHE EUROPEE)
1.
o non sono un accademico, ma un manager del mondo dei media, tuttavia i fatti della
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1a guerra mondiale fanno parte della mia educazione e del mio immaginario sin da
quando, ragazzo, ascoltavo affascinato i racconti di mio nonno che quella guerra
aveva combattuto e nella quale aveva sofferto ed era stato gravemente ferito.
da allora la passione per la «grande guerra», come si chiamava in italia, non mi
ha mai abbandonato e l’ho coltivata come potevo per tutta la vita.
con questa premessa non mi avventurerò, pertanto, a parlare da storico, non
ne ho le credenziali, soprattutto nei confronti degli studiosi che siedono a questo
tavolo, ma cercherò di prospettare un punto di vista sul particolare destino che ha
avuto ed ha la memoria della grande guerra in italia, con riferimento in particolare
all’immaginario popolare, a confronto con quello di altri paesi coinvolti.
la 1a guerra mondiale, come sappiamo, costituisce un evento di portata gigantesca che ha segnato la storia d’europa degli ultimi 100 anni, sconvolgendo
regimi, frontiere, culture, modi di vita, segnando, per alcuni l’inizio di quel «secolo
breve», concluso con la fine del comunismo e per altri l’inizio di una nuova guerra
dei trenta anni terminata nella catastrofe, militare, economica e morale della 2a
guerra mondiale.
le conseguenze di quella guerra sono ancora oggi visibilissime negli assetti
statali del continente (come certo è ben evidente anche qui in ungheria), al punto
che per alcuni non tutte le ferite di quella tragedia sono state sanate e superate.
negli ultimi anni, nella mia qualità di vice presidente dell’uer ho viaggiato a lungo
in molti paesi d’europa e, anche personalmente ho potuto constatare come siano
forti e presenti le tracce di quegli sconvolgimenti. insomma la 1a guerra mondiale
[LA PRIMA GUERRA MONDIALE: LA FINE DEL LUNGO OT TO CENTO E L’INIZIO DEL SECOLO BREVE]
è uno spartiacque fra mondi, segna un prima ed un dopo; un fossato che divide un
mondo prospero e fiducioso del 1914 dagli anni bui del primo dopoguerra, secondo
la bella definizione di benedetto croce, nella sua storia dell’idea di libertà.
e’ evidente e naturale pertanto che il centenario di questo grande fatto storico
sia ricordato in tutta europa, con eventi, manifestazioni, iniziative culturali e mediatiche anche da parte dei mass-media.
la memoria di questo evento, tuttavia, non è vissuta ugualmente e con eguale
intensità in tutti i paesi coinvolti e anche se queste celebrazioni appaiono tutte accomunate da un senso di «pietas» per l’immane tragedia, per i caduti e per i sacrifici
enormi vissuti, emergono specificità culturali e nazionali, che sono espressione di
quelle diversità che arricchiscono, ma anche dividono il nostro continente.
2.
in questo contesto il caso dell’italia, ad esempio, mi sembra particolarmente significativo. infatti le «celebrazioni», se così vogliamo chiamarle, che si svolgono nel nostro paese - pur pesantemente coinvolto, con oltre 600.000 morti in guerra e pur
parte dei 4 grandi vincitori – appaiono decisamente un po’ «sottotono», rispetto a
quanto fatto in altri paesi e anche sostanzialmente poco sentite dalla popolazione.
se paragoniamo, ad esempio, ciò che viene proposto in gran bretagna (dove
la bbc sta preparando una monumentale raccolta degli «War diaries») o francia
(dove basta passeggiare per gli champs elysées per essere avvolti dai ricordi della
guerra) la differenza è netta e sembra indicare un coinvolgimento emotivo molto
inferiore.
anche in italia, ovviamente ci sono iniziative ed eventi ma certo non c’è il «pathos» che si respira in altri paesi.
in francia quando, pochi anni fa, è morto l’ultimo fante della guerra (che peraltro era, curiosamente, un italiano emigrato, lazzaro ponticelli) c’è stata una cerimonia imponente agli invalides, con il presidente della repubblica sarkozy e la
diretta televisiva sulle reti più importanti.
in italia, la testimonianza degli ultimi sopravvissuti è stata raccolta da qualche specialista e pubblicata da case editrici di nicchia, letta dai cultori della materia
ma resta sconosciuta ai più e soprattutto ai mass media.
3.
la mia interpretazione è che – per l’italia – la memoria della 1a guerra mondiale,
pur forte ancora nelle famiglie ed in alcuni luoghi (soprattutto nel veneto e nel trentino), è collettivamente segnata a livello pubblico da ciò che è accaduto successivamente, come diretta conseguenza dell’evento bellico, e cioè l’avvento del fascismo, il ventennio di dittatura, l’alleanza con la germania nazista e la tragica catastrofe della 2a guerra mondiale.
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paradossalmente, in italia, si è parlato, scritto e celebrato moltissimo (spesso
in maniera enfatica e con intenti propagandistici) nel periodo tra le due guerre, ma
dopo il 1945, l’argomento è diventato quasi tabù.
la «grande guerra» non era più il sinonimo di una gloriosa vittoria, che completava il ciclo del risorgimento nazionale, con i suoi martiri ed eroi, ma un fatto
storico certo importante ma quasi dimenticato in pubblico, semicancellato dalla
memoria.
spesso, anzi, la guerra era solo una enorme tragedia che aveva generato il fascismo che della guerra aveva fatto il proprio «marchio» e si era presentato, come
noto, all’atto della conquista del potere come rappresentante «dell’italia di vittorio
veneto», contrapposta all’italia «codarda» dei liberali tradizionali e a quella «bolscevica» dei socialisti/comunisti. la stessa divisa dei fascisti, la famosa «camicia nera»
era, come sappiamo, la divisa delle truppe d’assalto italiane, «gli arditi».
nei giorni scorsi sono stato, nella mia qualità di vice presidente della uer a lubiana e trieste e ho colto l’occasione per un breve giro sul carso, il luogo dove più
duramente si è svolta la lotta sul fronte italiano. ebbene, a parte i grandiosi e un po’
funebri monumenti realizzati durante il fascismo, i ricordi e le tracce «viventi» sono
in fondo scarse, anche se, più recentemente, si stanno attrezzando alcuni percorsi
storico-turistici.
ma fa una certa impressione, almeno a me come italiano, vedere che nel carso
sloveno, nei luoghi delle più feroci battaglie della 1a guerra mondiale, gli unici memoriali evidenti riguardano la guerra partigiana del 1943/45 contro i tedeschi e i
fascisti italiani.
evidentemente la Jugoslavia non aveva interesse a ricordare quella che, per le
popolazioni slave, era stata vissuta come una invasione italiana.
ma anche sul carso italiano, a poche centinaia di metri, pur esistendo ovviamente monumenti e ricordi (sul san michele ad esempio) appaiono molto più
curati e «freschi» i tributi ai combattenti ungheresi che non a quelli italiani.
certamente, nel mondo della ricerca e dello studio il tema della guerra ha continuato ad essere approfondito ma, a livello popolare gli unici libri – parlo per
quella che è stata la mia percezione personale – che si trovavano o si leggevano
quando ero giovane erano quelli di lussu «un anno sull’altipiano» feroce critica al
militarismo di guerra scritta durante il ventennio e condizionata dall’intransigente
antifascismo dell’autore. esisteva poi nella letteratura popolare qualche libro sugli
alpini, un po’ bonario e un po’ romantico ma, per molti anni, la grande guerra è virtualmente scomparsa dalla divulgazione popolare, secondo quel fenomeno di rimozione e di più generale perdita del valore di nazione in italia che qualcuno ha definito «morte della patria».
e’ stato mario monicelli, con il capolavoro intitolato appunto «la grande
guerra» del 1959 a segnare di nuovo l’immaginario della mia generazione.
il film – che oggi forse si definirebbe buonista – dà una interpretazione della
guerra come specchio dell’italiano comune, secondo i canoni della commedia all’italiana, spesso codardo ed infingardo, ma in fondo «brava gente» ed alla fine eroe
quasi suo malgrado.
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e’ insomma lo specchio dei vizi e delle asserite virtù nazionali, trasferito sul
grande schermo ma con nulla della «tragicità» e della spietatezza delle rappresentazioni di altri paesi e di altre cinematografie (basti pensare ad «orizzonti di gloria»
di stanley Kubrick, pressoché coevo), ma anche estraneo ad una rappresentazione
epica o gloriosa od anche ai grandi e corali film d’azione americani.
non a caso quando fu presentato a venezia nel 1959 le reazioni della critica
furono tiepide e quelle del pubblico, invece, entusiastiche.
4.
vorrei tuttavia aggiungere che questa memoria divisa tra un’esaltazione militarista
prima e una sorta di rimozione vergognosa dopo, è ora – complice anche il tempo
– in via di superamento, sempre in un contesto comunque poco «nazionale» e «nazionalista».
emerge progressivamente (pur in un distacco emotivo e in un’ignoranza
ancora diffusa) una interpretazione e valutazione, non so se più meditata, ma certo
più pacata.
in molti luoghi, soprattutto quelli di montagna più spettacolari e conosciuti,
si stanno attrezzando e ripristinando località, sentieri, percorsi della memoria, dedicati ad italiani e «austriaci» contemporaneamente.
pochi giorni fa è uscito nelle sale italiane un nuovo film: «torneranno i prati»,
diretto da ermanno olmi che ritorna sulle memorie della guerra.
e’ un film fortemente anti bellico, secondo la cultura politica e religiosa del
suo autore ma privo di spunti polemici o di rabbia, tutto mirato a recuperare il
valore dell’uomo e del suo dolore.
la grande guerra, allontanandosi nel tempo, nella coscienza degli italiani,
sfuma come evento militare, nazionale e politico sia pure controverso per essere
letto come un grande, tragico episodio della universale «faticosa storia degli uomini»
(per citare carducci), come stimolo alla pietà e come invito alla pace.
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