università degli studi di macerata l`inserimento lavorativo
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO ITALIANO E COMPARATO Corso di Dottorato di ricerca in Legislazione Sociale Europea Ciclo XXIII L’INSERIMENTO LAVORATIVO DELLE PERSONE DISABILI Tutor: Chiar.mo Dottoranda: Prof. Guido Canavesi Dott.ssa Maria Agliata Coordinatore: Chiar.mo Prof. Guido Canavesi Anno 2012 INDICE CAPITOLO 1 1.1 L‟inserimento lavorativo dei disabili: la riforma del 1999 ed il collocamento mirato ........................................................................ pag. 1.2 L‟ambito di applicazione soggettivo della legge n. 68 del 1999: i soggetti beneficiari. ............................................................................... 1.3 7 L‟ambito di applicazione soggettivo della legge n. 68 del 1999: i datori di lavoro destinatari dell‟obbligo di assunzione. ........................ 1.4 5 11 I criteri di determinazione delle dimensioni aziendali ai fini della (conseguente) determinazione della consistenza della quota di riserva 12 1.5 I lavoratori computabili nella quota di riserva. ....................................... 15 1.6 Le modalità di assunzione dei disabili previste dalla legge n. 68 del 1999 18 1.6.1 Il collocamento dei disabili mediante la richiesta di avviamento agli Uffici competenti. ................................................................... 19 1.6.2 La tutela prevista in favore del disabile nel caso di illegittimo rifiuto all‟assunzione. .................................................................... 26 CAPITOLO 2 2.1 L‟altra modalità di collocamento dei disabili: l‟inserimento mediante convenzione. L‟evoluzione normativa........................................................................... 29 2.1.1 Le convenzioni di cui all‟art. 11, legge n. 68 del 1999. a) La convenzioni di inserimento lavorativo ................................. 31 2.1.2. Le convenzioni di cui all‟art. 11, legge n. 68 del 1999. b) La convenzione di integrazione lavorativa ................................ 33 2.2 Le convenzioni di cui all‟art. 12, legge n. 68 del 1999. ......................... 34 2.3 Le convenzioni di cui all‟art. 12 bis, legge n. 68 del 1999. .................... 37 2.4 Gli incentivi all‟assunzione previsti dall‟art. 13, legge n. 68 del 1999 ... 43 2.5 Le convenzioni quadro di cui all‟art. 14, d.lgs. n. 276. .......................... 50 1 CAPITOLO 3 3.1 Le misure di inserimento lavorativo in favore dei disabili attuate a livello locale: un tentativo d‟analisi. .................................................... pag. 3.2 L‟implementazione delle convenzioni previste dagli artt. 11, 12 e 12bis, legge n. 68 del 1999. .................................................................. 3.3 60 L‟implementazione della convenzione-quadro prevista dall‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003. ............................................................................. 3.4 59 66 Il Fondo regionale per l‟occupazione dei disabili di cui all‟art. 14, legge n. 68 del 1999 e le misure di inserimento lavorativo con esso realizzate: l‟analisi della disciplina regionale........................... 3.5 3.6 71 Le (ulteriori) misure di politica attiva in favore dell‟inserimento lavorativo delle persone disabili. .............................................................................. 79 Alcune osservazioni conclusive. ............................................................. 87 CAPITOLO 4 4.1 L‟evoluzione della disciplina antidiscriminatoria in ragione dell‟handicap: un tentativo di ricostruzione. Il panorama europeo ................................. 93 4.2 … e quello internazionale . ..................................................................... 96 4.3 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell‟handicap: l‟ambito di applicazione soggettivo. La problematica individuazione della nozione di handicap. ................... 4.4 98 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell‟handicap. Le caratteristiche della condotta vietata e l‟ambito di applicazione oggettivo. ...................................................... 4.5 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell‟handicap. Le cause di giustificazione e le deroghe......... 4.6 104 108 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell‟handicap. I principali strumenti previsti per la tutela dei disabili. L‟obbligo di adottare soluzioni ragionevoli ..... 111 4.7 .. e la tutela giurisdizionale: .................................................................... 114 4.8 Qualche osservazione conlusiva ............................................................. 116 2 BIBLIOGRAFIA ......................................................................................... 3 119 4 Capitolo 1 1.1 L’inserimento lavorativo dei disabili: la riforma del 1999 ed il collocamento mirato. L'accesso al lavoro delle persone disabili è oggi disciplinato dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, che si è “sostituita” alla previgente legge 2 aprile 1968, n. 482, abrogandola integralmente1. All'indomani della sua entrata in vigore, la legge n. 68 del 1999 è stata salutata come il provvedimento di realizzazione della tanto attesa riforma della disciplina del collocamento dei disabili. Essa, infatti, ha l‟obiettivo dichiarato di creare un sistema innovativo, capace di ovviare alle tante inefficienze2 mostrate da quello precedente - che aveva scontentato tutti i soggetti in esso coinvolti: i datori di lavoro, da un lato, ed i disabili, con le loro associazioni rappresentative, dall‟altro lato - e, soprattutto, capace di promuovere l‟(effettiva) integrazione delle persone affette da disabilità nel mondo del lavoro, attraverso un inserimento che non sia (solo) formale, ma (anche) sostanziale e proficuo per i lavoratori e che, al contempo, tenga adeguatamente conto delle esigenze produttive ed organizzative datoriali. Il fulcro dell‟impianto della legge n. 68 del 1999 è imperniato, quindi, sull‟idea che un‟effettiva tutela delle persone disabili non possa prescindere dalla realizzazione di un adeguato contemperamento tra gli (almeno in parte) opposti interessi in gioco: da un lato, il diritto al lavoro dei disabili, il cui fondamento è rinvenibile primariamente negli artt. 3, 4 e 38 Cost., e, dall‟altro lato, la libertà di iniziativa economica privata di cui all‟art. 41 Cost. 1 Cfr. l'art. 22, comma 1, lett. a), legge n. 482 del 1968. In concreto, i principali limiti erano stati ravvisati nella “mancanza di un equo compromesso” tra le aspettative dei soggetti tutelati e le ragioni dei soggetti onerati. In primo luogo “l‟aliquota impositiva pareva eccessiva: per la legge erano soggette le imprese occupanti più di 35 dipendenti, tenute ad assumere i soggetti protetti nella misura, la più elevata nel mondo, del 15 % del personale occupato. [...] In secondo luogo, il sistema era gestito del tutto burocraticamente, avviandosi al lavoro i protetti secondo l‟ordine di graduatoria risultante dagli elenchi, senza alcun riguardo alle particolari caratteristiche ed esigenze dello specifico ambiente di lavoro, non potendo l‟obbligato indicare requisiti desiderati di posizione lavorativa: cfr. in merito Pera G., voce Disabili (diritto al lavoro dei), in Enc. Giur. Treccani, vol. XII, 2001, p. 1. 2 5 In concreto, la sintesi tra queste diverse istanze è perseguita mediante l'introduzione di un sistema di “collocamento mirato”, definito come un insieme “di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzione dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione” (art. 2, legge n. 68 del 1999). Con tale espressione, dunque, il legislatore del 1999 si riferisce ad un complesso di “rinnovati meccanismi di inquadramento, formazione e assistenza del lavoratore”, i quali, nelle sue intenzioni, devono tener “conto tanto delle competenze dell'impresa quanto delle reali capacità e competenze del disabile, oltre che delle condizioni ambientali e familiari in cui quest'ultimo vive”3, al fine di realizzare inserimenti il più possibile soddisfacenti per entrambe le parti del rapporto. Si tratta, in definitiva, di una serie di strumenti, da concretizzarsi ed attuarsi nella prassi ad opera degli organismi competenti, preordinati a collocare “l‟uomo giusto” (il lavoratore disabile) al “posto giusto” (l‟impresa o un‟altra realtà lavorativa). Proprio il collocamento mirato rappresenta, a ben vedere, l‟istituto maggiormente rappresentativo del mutamento di prospettiva avvenuto nel passaggio dalla disciplina previgente a quella attuale: da un approccio di natura assistenziale, fondato sull'idea “che il disabile ha diritto ad un posto di lavoro in virtù di un intervento meramente assistenziale dello Stato, che scarica la responsabilità finale della tutela del diritto di alcuni cittadini sulle imprese”4, ad un approccio diverso, secondo cui la persona disabile è considerata (e trattata) non più come un soggetto improduttivo, un peso, ma bensì come un lavoratore a tutti gli effetti, una risorsa per il datore di lavoro e, più in generale, per la società. Se attraverso l‟introduzione del sistema di collocamento mirato, il legislatore sceglie di perseguire meccanismi di personalizzazione delle modalità di ingresso dei disabili nel mondo del lavoro, egli non abbandona, tuttavia, la previsione dell‟obbligo in capo ai datori di lavoro di assumere alle proprie dipendenze un certo numero di persone disabili 3 Cfr. Limena F., Il collocamento mirato dei soggetti disabili, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da Carinci F., il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, a cura di Cester C., vol. II, seconda ed., Utet, Torino, p. 236. 4 Limena F., op. cit., p. 235. 6 (art. 3, legge n. 68 del 1999). Anche sotto questo profilo, peraltro, la riforma del 1999 introduce delle significative novità, che rendono l‟obbligo in questione assolvibile con modalità più flessibili rispetto al passato e, in ogni caso, maggiormente compatibili con le esigenze tecnico-produttive datoriali. In particolare ci si riferisce, come si vedrà meglio nel prosieguo, alla possibilità di effettuare la richiesta di avviamento in via nominativa, oltre che numerica, in maniera molto più ampia che in passato e, dall‟altro lato, alla possibilità di coprire la quota di riserva mediante la stipula di convenzioni di inserimento lavorativo. Questi in estrema sintesi, i punti salienti della disciplina contenuta nella legge n. 68 del 1999. Nonostante le numerose innovazioni apportate, già dopo la sua entrata in vigore la legge in commento è stata soggetta a più di un rilievo critico, che ne ha stigmatizzato alcune potenziali lacune e contraddizioni. Ora, a distanza di più di 10 anni, le “luci” e “ombre” della legge n. 68 del 1999 appaiono, come è ovvio, più definite, più nette. Si procederà, dunque, all‟analisi della disciplina in essa contenuta, evidenziando di volta in volta le principali questione da essa poste, al fine di verificarne la tenuta e la efficacia. 1.2 L’ambito di applicazione soggettivo della legge n. 68 del 1999: i soggetti beneficiari. L‟art. 1, comma 1, legge n. 68 del 1999 ricomprende nella nozione di “disabile” categorie diverse di invalidi, quali: a) le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali ed i portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 %, accertata dalle competenti Commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile; b) le persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 %, accertata dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti; c) le persone non vedenti o sordomute, di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 382 e s. m. e 7 26 maggio 1970, n. 381 e s. m. i., in relazione alle quali, stante la gravità e specificità dell‟handicap, è fatta salva la disciplina speciale previgente5; d) le persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio - i c.d. “invalidi per la causale”6 - con minorazioni “ascritte dalla prima all'ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con d.p.r. 23 dicembre 1978, n. 915, e s. m” (art. 1, comma 1). A fini di completezza va, poi, rilevato come, oltre ai soggetti ora individuati, sono beneficiari della disciplina contenuta nella legge n. 68 del 1999 ulteriori categorie di persone. Sotto questo profilo occorre in primo luogo ricordare i c.d. “invalidi interni”, i lavoratori, cioè, che, assunti come normodotati, divengono inabili nel corso del rapporto di lavoro a causa di infortunio o malattia: essi sono computabili nella quota d'obbligo se hanno subito una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60 % o, in ogni caso, se sono divenuti inabili a causa di inadempimento del datore di lavoro delle norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro (art. 4, legge n. 68 del 1999). Ai sensi, poi, dell'art. l‟art. 18, comma 2, legge n. 68 del 1999, “in attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell'aggravarsi dell'invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, il cui status è riconosciuto ai sensi della legge 26 dicembre 1981, n. 763”, il legislatore attribuisce in favore di tali soggetti (normodotati) una quota di riserva, rapportata al numero di dipendenti occupati, e rispettivamente pari ad un punto percentuale per i datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di cinquanta dipendenti, e ad un'unità per quelli che occupano da cinquantuno a centocinquanta dipendenti [...]”. 5 Cfr. in merito l‟art. 1, comma 3, legge n. 68 del 1999, secondo cui “restano ferme le norme per i centralinisti telefonici non vedenti di cui alle leggi 14 luglio 1957, n. 594, e successive modificazioni, 28 luglio 1960, n. 778, 5 marzo 1965, n. 155, 11 aprile 1967, n. 231, 3 giugno 1971, n. 397, e 29 marzo 1985, n. 113, le norme per i massaggiatori e massofisioterapisti non vedenti di cui alle leggi 21 luglio 1961, n. 686, e 19 maggio 1971, n. 403, le norme per i terapisti della riabilitazione non vedenti di cui alla legge 11 gennaio 1994, n. 29, e le norme per gli insegnanti non vedenti di cui all'articolo 61 della legge 20 maggio 1982, n. 270. Per l'assunzione obbligatoria dei sordomuti restano altresì ferme le disposizioni di cui agli articoli 6 e 7 della legge 13 marzo 1958, n. 308”. 6 La definizione è di Pera G., op. cit., p. 2. 8 La ricomprensione di tali soggetti tra i beneficiari della disciplina prevista dalla legge n. 68 del 1999 risponde, a ben vedere, all'esigenza di non lasciare sguarnite di tutela categorie già protette dalla previgente legge n. 482 del 19687. Passando, ora, alla disamina della nozione di disabilità accolta dalla legge n. 68 del 1999, va osservato, in via preliminare e generale, come la stessa non contenga un‟espressa limitazione della soglia massima di tutelabilità8, a differenza della previgente legge n. 482 del 1968, la quale, all‟art. 1, comma 2, escludeva dal proprio ambito applicativo (e, quindi, di protezione) i soggetti che avessero perso ogni capacità lavorativa o che, per la natura e il grado di invalidità, potessero causare pregiudizio all‟incolumità ed alla salute degli altri lavoratori o alla sicurezza degli impianti. Peraltro, un “tetto” massimo pare comunque desumibile in via implicita, dall‟impianto complessivo della disciplina in commento, che, come si vedrà meglio nel prosieguo, esenta il datore di lavoro dal dovere di assumere persone disabili che non siano in grado di svolgere alcuna attività lavorativa utile per la propria organizzazione e/o siano pericolosi per sé o per gli altri lavoratori. Ciononostante, la mancata esplicita limitazione dei soggetti tutelati non è priva di significato: essa, infatti, ha l'effetto di non escludere a priori, in via automatica ed astratta, alcuna persona disabile (anche grave) dalla tutela prevista dalla legge n. 68 del 1999, estendendo così il più possibile il novero dei beneficiari9. Nella stessa ottica “estensiva” va letta la ricomprensione, in un‟unitaria definizione di disabilità, di una vasta gamma di tipologie di invalidità - inclusa quella psichica10 7 Si veda, in particolare, l'art. 8, legge n. 482 del 1968. Sulla ratio sottesa all‟art. 18, comma 2, legge n. 68 del 1999, cfr. Limena F., op. cit., p. 244. 8 Cfr. in merito Pera G., op. cit., p. 2; Nicolini C. A., I soggetti protetti, in Cinelli M., Sandulli P. (a cura di), Commento alla l. n. 68 del 1999, Giappichelli, Torino, 2000, p. 93 ss. e, in particolare, p. 103. 9 Si veda in tal senso Nicolini C. A., op. cit., p. 103. 10 Sulla possibilità di considerare i disabili psichici tra i destinatari della disciplina del collocamento “protetto” si era molto discusso in costanza della legge n. 482 del 1968. La giurisprudenza, dopo aver inizialmente negato tale possibilità, sul presupposto che detta legge definiva “invalidi civili” solo coloro i quali erano affetti da minorazioni fisiche, era infine pervenuta alla conclusione affermativa. In merito, occorre ricordare la fondamentale sentenza Corte cost., 2 febbraio 1990, n. 50, reperibile sul sito internet www.giurcost.org, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la disciplina sul collocamento obbligatorio nella parte in cui non considerava come invalidi civili anche i minorati psichici, sempre che avessero una residua capacità lavorativa che permettesse loro di essere impiegati in mansioni compatibili. Tale ricomprensione, peraltro, non era stata concretamente attuata, vista la mancanza di successivi interventi volti a realizzare gli adattamenti necessari alle strutture del collocamento, affatto inidonee ad inserire soggetti affetti da minorazioni quali quelle psichiche. Tali problematiche sembrano ora (almeno in parte) risolte, a fronte della espressa inclusione di tali tipologie di disabili tra i destinatari del collocamento “protetto” e della predisposizione, da parte del legislatore del 1999 di meccanismi tali da 9 estremamente differenti le une dalle altre. Ciascuna di tali tipologie è, peraltro, assistita da regole sue proprie sia relativamente alla percentuale di invalidità necessaria per accedere alle tutela previste dalla legge in commento - si pensi alla previsione del 45% stabilita per gli invalidi civili, contro quella del 33% stabilita per gli invalidi del lavoro - sia relativamente ai criteri di accertamento11. Tale previsione, che la legge n. 68 del 1999 si porta dietro dalla legge n. 482 del 196812, costituisce un'incongruenza interna alla suddetta definizione e, soprattutto, comporta una disparità di trattamento13 tra i lavoratori protetti, che finiscono per essere considerati diversamente a seconda del regime previdenziale-assicurativo a cui sono assoggettati. Infine, sempre sotto il profilo dell'individuazione dei soggetti beneficiari della legge n. 68 del 1999, occorre precisare come, per accedere concretamente ai meccanismi di tutela ivi contemplati, le persone disabili, così come sopra identificate, devono rivolgersi ai Centri per l‟impiego, che provvedono a compilare un'apposita lista dei soggetti disoccupati e in cerca di occupazione o occupati, ma in cerca di diversa occupazione. Tale lista, unica per tutte le diverse categorie di invalidità, è organizzata sotto forma di rendere effettivo, attraverso il collocamento mirato, (anche) il loro inserimento. 11 Per gli invalidi civili, l'accertamento dell'invalidità viene effettuato dalle commissioni mediche per l'invalidità civile di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (“Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”), mediante l'impiego dei criteri medico-legali derivanti dalla classificazione internazionale delle menomazioni elaborate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, così come previsto dal d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509 (“Norme per la revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti”), nonché dei benefici previsti dalla legislazione vigente per le medesime categorie, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 26 luglio 1988, n. 291”); per gli invalidi del lavoro, invece, la sussistenza del requisito è accertata dall'INAIL in base alle “disposizioni vigenti”, vale a dire, al momento, dal d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 (“Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”) ed ai criteri medico-legali in esso contenuti. 12 Cfr. Pera G., op. cit., p. 2 s. 13 V. in merito Pera G., op. cit., p. 2, che osserva come tale disparità trovi probabilmente la sua origine in una iniziale considerazione di maggiore meritevolezza di tutela della invalidità per causa di lavoro rispetto a quella per causa comune (rectius, civile). La disparità in questione, peraltro, pare destinata ad attenuarsi, quantomeno con riferimento ai (diversi) criteri di accertamento medico-legali, a seguito dell‟entrata in vigore della legge n. 80 del 2006 (di conv., con modif., del d.l. n. 4 del 2006) la quale, all‟art. 6, ha demandato alle Regioni l‟adozione di disposizioni di semplificazione e unificazione delle procedure di accertamento sanitario di cui alla legge n. 295 del 1990, per l‟invalidità civile, la cecità, la sordità, l‟handicap e l‟handicap grave, di cui alla legge n. 104 del 1992. Tali procedure - se previste ed attuate - dovrebbero stabilire sede, forma e data unificata a tutti gli scopi per i quali è previsto un accertamento legale delle varie ipotesi di disabilità sopra elencate: su tale questione si veda, più diffusamente, Limena F., op. cit., p. 243. 10 graduatoria che tiene conto, dei seguenti criteri (elencati in ordine di importanza): anzianità di iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio; situazione economica; carichi di famiglia; difficoltà di locomozione nel territorio14. Più di un Autore ha considerato positivamente l‟unicità della lista in questione, in quanto elemento volto alla realizzazione di una sostanziale uguaglianza tra le varie categorie protette, a differenza, in questo caso, di quanto stabilito dalla disciplina previgente, che prevedeva che gli invalidi fossero iscritti in liste distinte e separate, a seconda della causa della disabilità (art. 19, legge n. 482 del 1968)15. 1.3 L’ambito di applicazione soggettivo della legge n. 68 del 1999: i datori di lavoro destinatari dell’obbligo di assunzione. Sul versante datoriale, destinatari della disciplina in commento e, in particolare, dell‟obbligo previsto dall‟art. 3, legge n. 68 del 1999, di assunzione di una certa percentuale di lavoratori disabili, sono tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati, che impiegano più di 15 lavoratori. La misura dei lavoratori disabili da collocare non è uguale per tutti i soggetti obbligati, ma varia in proporzione alle dimensioni aziendali datoriali: nella misura del 7% dei lavoratori occupati, per i datori di lavoro che impiegano più di 50 dipendenti; 2 lavoratori, per i datori di lavoro che impiegano da 50 a 36 dipendenti; 1 lavoratore, per i datori di lavoro che impiegano da 35 a 15 dipendenti (art. 3, comma 1, legge n. 68 del 1999). Con riferimento ai datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti, occorre precisare che l‟obbligo di assunzione scatta solo in caso di nuove assunzioni (art. 3, comma 2), così come per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell‟assistenza e della riabilitazione, organismi per i quali la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e/o adibito allo svolgimento di funzioni e mansioni amministrative (art. 3, comma 3). Ancora, per i servizi di polizia e della protezione civile, l‟obbligo di assunzione dei 14 15 Cfr. Limena F., op. cit., p. 240 s. Cfr. sul punto Pera G., op. cit., p. 2; Limena F., op. cit., p. 241 s. 11 disabili è previsto nei soli servizi amministrativi (art. 3, comma 4)16. Dalla disamina della disciplina ora illustrata si evince come, rispetto alla legge n. 482 del 1968, che poneva l‟obbligo di assunzione solo in capo ai datori di lavoro alle cui dipendenze erano impiegati più di 35 lavoratori, la legge n. 68 del 1999 allarghi la cerchia dei soggetti obbligati, ricomprendendo anche le realtà aziendali di piccole e medie dimensioni. Tale ampliamento, peraltro, è accompagnato da alcuni accorgimenti finalizzati ad evitare che il rispetto della quota di riserva si riveli eccessivamente oneroso per quei datori di lavoro che, per loro natura, stante le loro dimensioni ridotte, si presume possano essere sono meno attrezzati ad accogliere lavoratori disabili: in questo senso vanno lette sia la modulazione dell‟intensità dell‟obbligo di assunzione in rapporto alla consistenza dell‟organico aziendale, sia, con specifico riferimento ai datori di lavoro con meno di 15 dipendenti, la previsione dell‟insorgenza dell‟obbligo in questione solo in caso di nuove assunzioni. 1.4 I criteri di determinazione delle dimensioni aziendali ai fini della (conseguente) determinazione della consistenza della quota di riserva. Ai fini della determinazione delle dimensioni aziendali – e, quindi, della consistenza della quota d‟obbligo – l‟art. 4, legge n. 68 del 1999, stabilisce, in primo luogo, la non computabilità dei lavoratori occupati ai sensi della stessa legge n. 68 del 1999, di quelli con contratto a termine di durata non superiore a 9 mesi, dei soci di cooperativa e dei dirigenti. All‟indomani dell‟entrata in vigore della disciplina in commento, qualche dubbio si era posto con riferimento alla considerazione o meno nell‟organico aziendale dei lavoratori impiegati con contratti di formazione e lavoro e con contratti di apprendistato, vista la 16 Per completezza, occorre ricordare altresì come alla quota di riserva così come individuata (e modulata) dall‟art. 3, legge n. 68 del 1999, deve aggiungersi, in via transitoria, la quota relativa alle categorie individuate dall‟art. 18, comma 2, della legge in parola, disposizione che, come precedentemente rilevato, pone a favore di soggetti normodotati, già tutelati dalla legge n. 482 del 1968, una quota di riserva pari ad un‟unità per i datori di lavoro che impiegano da 51 a 150 dipendenti e ad un punto percentuale per quelli di maggior consistenza occupazionale. I soggetti beneficiari individuati sono: gli orfani ed i coniugi superstiti di coloro i quali siano deceduti per causa di lavoro, di guerra, di servizio, ovvero in conseguenza dell‟aggravarsi dell‟invalidità riportata per tali cause, nonché i coniugi ed i figli di soggetti riconosciuti invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro, dei profughi italiani rimpatriati, il cui status sia stato riconosciuto ai sensi della legge n. 763 del 1981. 12 loro mancata espressa menzione nella legge n. 68 del 1999 - diversamente, come appena visto, da altre tipologie di prestatori di lavoro. Proprio a fronte di tale “silenzio” normativo, alcuni commentatori avevano ritenuto di considerare i lavoratori esclusi dall‟elenco di cui all‟art. 4, legge n. 68 del 1999 rilevanti ai fini della determinazione dell‟organico aziendale17. Altri, invece, avevano concluso in senso opposto: ciò in base all‟argomentazione che le suddette tipologie di lavoratori erano tradizionalmente considerate non computabili, come risultante dalle normative ad esse specificamente dedicate18, le quali, per la loro specialità, dovevano essere ritenute prevalenti rispetto alla disciplina generale sul collocamento di cui alla legge n. 68 del 199919. Tale questione, peraltro, è stata definitivamente risolta dall‟entrata in vigore del d.p.r. 10 ottobre 2000, n. 333, il regolamento di esecuzione della legge n. 68 del 1999, il quale ha aderito al secondo degli orientamenti interpretativi prospettati, sancendo espressamente la non computabilità dei lavoratori impiegati con contratto di formazione e lavoro, di apprendistato, di reinserimento, nonché dei lavoratori interinali e dei lavoratori a domicilio (art. 3, comma 1, d.p.r. n. 333 del 2000)20. Riguardo, poi, ai lavoratori part-time, va richiamato il criterio generale contenuto nell‟art. 6, d.lgs. 25.2.2000, n. 61, che ne prevede la computabilità in proporzione all‟orario svolto21. 17 Cfr. Biagi M., Disabili e diritto del lavoro, in Guida al lavoro, 1999, 9, p. 12. Cfr. in merito l‟art. 3, comma 10, legge n. 863 del 1984, relativamente ai lavoratori impiegati con i c.f.l., e l‟art. 21, comma 7, legge n. 56 del 1987, con riferimento ai lavoratori apprendisti. 19 Cfr. Maresca A., Rapporto di lavoro dei disabili e assetto dell’impresa, in Cinelli M., Sandulli P. (a cura di), Diritto al lavoro dei disabili. Commentario alla legge n. 68 del 1999, Giappichelli, Torino, 2000, p. 44; Fantini L., sub art. 4, in Santoro Passarelli G., Lambertucci P. (a cura di), in Le nuove leggi civili commentate, Cedam, Padova, 2000, p. 1376. 20 In un‟ottica sistematica, va rilevato come tale opzione interpretativa sia stata successivamente confermata anche dal d.lgs. n. 276 del 2003, il quale con riferimento al contratto di apprendistato ed a quello di inserimento - che, in qualche misura, ha sostituito il contratto di formazione e lavoro, quantomeno nel settore privato - ha confermato l‟esclusione di tali tipologie di lavoratori ai fini della determinazioni delle dimensioni dell‟impresa: cfr. in merito Limena F., op. cit., 2007, p. 249. 21 Così recita, infatti, l‟art. 6, comma 1, d.lgs. n. 61 del 2000: “in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno […] con arrotondamento all'unità della frazione di orario superiore alla metà di quello pieno”. Tale regola subisce, peraltro, un‟eccezione, contenuta nell‟art. 3, comma 5, d.p.r. n. 333 del 2000, secondo cui “i datori di lavoro pubblici o privati che occupano da 15 a 35 dipendenti, che assumono un lavoratore disabile, con invalidità superiore al 50 per cento o ascrivibile alla quinta categoria, in base alla tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1997, n. 246, con contratto a tempo parziale, possono computare il lavoratore medesimo come unità, a 18 13 Sempre con riferimento alla determinazione delle dimensioni aziendali, occorre altresì richiamare l‟ulteriore regola contenuta nell‟art. 4, d.p.r. n. 333 del 2000, in base alla quale detta determinazione va effettuata tenendo conto dei lavoratori complessivamente occupati, non assumendo quindi rilevanza alcuna la loro dislocazione nella sede principale piuttosto che in eventuali sedi secondarie. Infine, ulteriore questione - strettamente connessa a quella della individuazione della consistenza delle dimensioni datoriali - riguarda la necessità di precisare le conseguenze che l‟eventuale riduzione dell‟organico aziendale al di sotto dei 15 dipendenti comporta in ordine al rispetto della quota di riserva. In questo caso, l‟obbligo di assunzione viene meno; non è chiaro, tuttavia, se il datore di lavoro sia esentato anche dal mantenere impiegati i lavoratori disabili precedentemente assunti. In costanza della previgente legge n. 482 del 1968, si era ritenuto che detto obbligo venisse meno, in considerazione del fatto che, con la riduzione di personale, venivano a mancare anche le condizioni in relazione alle quali il legislatore aveva ritenuto di imporre l‟obbligo di assunzione di persone disabili22. Ad analoga determinazione si era pervenuti altresì con riferimento a quei disabili che, a causa delle riduzioni delle dimensioni occupazionali, eccedessero la quota obbligatoriamente prescritta23. Ora, in costanza della disciplina vigente, tale conclusione appare ricavabile dallo stesso disposto normativo e, in particolare, dall‟art. 10, comma 4, legge n. 68 del 1999, secondo cui nei casi di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4 e 24, legge n. 223 del 1991 e di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo irrogato nei confronti del disabile assunto obbligatoriamente, detto licenziamento è annullabile se “al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista dall‟art. 3”. Occorre, quindi, rispettare le percentuali di lavoratori disabili sull‟organico residuale dell‟azienda, nulla più. prescindere dall'orario di lavoro svolto”. 22 Cfr. in merito Limena F., op. cit., p. 249, che opera una esaustiva ricostruzione della questione, nonché, in giurisprudenza, Tribunale di Parma, 18 ottobre 1980, in Orient. Giur. Lav., 1983, p. 702 ss. 23 Cfr. Cass., 2 agosto 1975, n. 2958, in Foro it., 1975, I, c. 2203. 14 1.5 I lavoratori computabili nella quota di riserva. Passando ora all'individuazione dei lavoratori computabili nella quota d‟obbligo prevista dall‟art. 3, legge n. 68 del 1999, va in primo luogo osservato come, in base al disposto dell'art. 7 - secondo cui ai fini dell'adempimento del suddetto obbligo “i datori di lavoro assumono i lavoratori facendone richiesta di avviamento agli uffici competenti, ovvero attraverso la stipula di convenzioni (...)” - sembrano poter essere presi in considerazione solo i disabili assunti con le modalità e le forme previste dalla legge n. 68 del 1999, e non anche quelli “chiamati” direttamente dai datori di lavoro, al di fuori dei canali “istituzionali” in essa contemplati. Ai sensi, poi, dell'art. 18, comma 1, possono essere computati “i soggetti già assunti ai sensi delle norme sul collocamento obbligatorio” di cui alla previgente legge n. 482 del 1968, i quali devono essere mantenuti comunque “in servizio anche se superano il numero di unità da occupare in base alle aliquote stabilite” dalla legge n. 68 del 1999. Ancora, in base all'art. 4, comma 3, legge n. 68 del 1999, sono ricomprensibili nella quota d‟obbligo anche i lavoratori disabili a domicilio o impiegati con modalità di telelavoro, purché la quantità di lavoro loro affidata sia tale da procurare “una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro”, secondo quanto stabilito dall'art. 11, legge 18 dicembre 1973, n. 877 e dal contratto collettivo nazionale applicato ai lavoratori dell'azienda. Qualche dubbio ha, invece, sollevato la possibilità di computare i lavoratori disabili assunti con contratto di lavoro a tempo parziale, di apprendistato e di formazione e lavoro. Quanto ai lavoratori part time, sebbene la legge n. 68 del 1999 non fornisca alcuna indicazione in merito, non sembrano rinvenirsi in essa ostacoli - né di ordine letterale, avuto riguardo alla sua formulazione, né di ordine logico-sistematico, avuto riguardo al suo impianto complessivo - alla possibilità di impiegarli per coprire la quota d'obbligo24, con l‟unica precisazione che essi dovranno essere considerati in proporzione all'orario di lavoro svolto rispetto all'orario normale. 24 Ad analoga conclusione era pervenuta anche la giurisprudenza formatasi sul punto in costanza della disciplina previgente: cfr., ex plurimis, Cass., 26 giugno 2000, n. 8637, in Mass. Foro It., 2000; Cass., 22 novembre 2001, n. 14823, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, II, p. 756. Sulla computabilità dei lavoratori part time ai fini della copertura della quota di riserva di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999, cfr., in dottrina, Tursi A., op. cit., 1999, I, p. 757; Limena F., op. cit., 2007, p. 251. 15 Tale opzione interpretativa è stata confermata dalla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 26.6.2000, n. 4125, la quale, dopo aver stabilito che ai fini dell'individuazione della base di computo, i contratti part time devono computarsi “in proporzione all'orario svolto riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate nell'azienda, con arrotondamento alla unità della frazione di orario superiore a quello normale”, prevede espressamente che “ai fini del computo dei lavoratori disabili occupati part time a copertura della quota di riserva, dovrà considerarsi singolarmente l'orario prestato da ciascun lavoratore, rapportato al normale orario a tempo pieno, con arrotondamento ad unità qualora l'orario prestato sia superiore al 50 % dell'orario ordinario”. Con riferimento, invece, ai lavoratori apprendisti ed a quelli assunti con contratto di formazione e lavoro, in costanza della legge n. 482 del 1968 essi erano espressamente ritenuti computabili nella quota d‟obbligo, ai sensi rispettivamente dell'art. 3, comma 18, legge n. 863 del 1984 e dell‟art. 16, comma 1, legge n. 1967 del 1997. Ora, anche a seguito dell‟abrogazione della legge n. 482 del 1968 - la quale si è inevitabilmente ripercossa sulle disposizioni normative che, come quelle sopra citate, ad essa facevano esplicito riferimento - pare comunque potersi ancora concludere nel senso di ricomprendere tali tipologie di lavoratori nella base di computo per la copertura della quota di riserva di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 199926. Ciò è indirettamente desumibile dall‟art. 11, comma 6, legge n. 68 del 1999, il quale menziona espressamente sia il contratto di apprendistato che quello di formazione e lavoro nel momento in cui prevede la possibilità per la Commissione provinciale tripartita, in sede di stipula delle convenzioni di inserimento previste dalla legge n. 68 del 1999, di proporre deroghe ai “limiti di età e di durata” previsti dalla disciplina dell'una e dell'altra tipologia contrattuale, allo scopo evidente di rendere il più possibile vantaggiosa l‟assunzione di lavoratori disabili. Peraltro, se la previsione di cui all‟art. 11, comma 6, “chiude” - risolvendola in senso affermativo - la questione della computabilità di tali tipologie di lavoratori ai fini dell‟assolvimento dell‟obbligo di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999, ne “apre” un‟altra: se, cioè, tale possibilità di ricomprensione debba essere riconosciuta solo ai disabili inseriti mediante convenzione, oppure anche a quelli assunti mediante richiesta di avviamento. 25 26 La Circolare n. 41 del 2000 è consultabile sul sito internet www.lavoro.gov.it. In tal senso, cfr. Limena F., op. cit., 2007, p. 250. 16 Sebbene la formulazione letterale dell‟art. 11, comma 6, sembri far propendere per la prima delle due interpretazioni - riferendosi detta disposizione solo al caso di lavoratori disabili impiegati con contratto di apprendistato o di formazione e lavoro attraverso la stipula di una convenzione - essa appare insoddisfacente, oltre che non esente da contraddizioni, prima tra tutte la sua contrarietà con la ratio della legge n. 68 del 1999, volta alla realizzazione di un collocamento il più possibile mirato ed efficace. In quest‟ottica, allora, ed all‟esito di un‟operazione ermeneutica che tenga in adeguato conto l‟impianto complessivo della disciplina in commento e lo scopo a cui essa tende, sembra preferibile ipotizzare un‟interpretazione estensiva della previsione di cui all‟art. 11, comma 6, legge n. 68 del 1999, considerando computabili nella quota d‟obbligo anche i disabili assunti con contratto di apprendistato o di formazione e lavoro mediante richiesta di avviamento, e non solo quelli inseriti mediante convenzione. Ulteriore questione riguarda, infine, la considerazione ai fini della copertura della quota di riserva anche dei c.d. “invalidi interni”, vale a dire, come già chiarito in precedenza, dei lavoratori assunti come normodotati e divenuti disabili nel corso del rapporto di lavoro. Nella vigenza della legge n. 482 del 1968, con l'art. 9, comma 3, legge n. 638 del 1983 (di conversione del d.l. n. 463 del 1983), il legislatore ne aveva espressamente sancito la computabilità, a condizione, tuttavia, che si trattasse di inabilità alle mansioni ingenerata da causa di lavoro o di servizio, e di grado non inferiore al 60%. Tale disposizione è stata poi abrogata dall'art. 22, legge n. 68 del 1999. Quest‟ultima legge, peraltro, contiene una previsione analoga a quella abrogata all'art. 4, comma 4, secondo cui coloro i quali divengono inabili allo svolgimento di attività lavorativa a causa di infortunio o malattia, possono essere computati nella quota di riserva solo se la riduzione della capacità lavorativa subita sia superiore al 60%, e sempre che l'inabilità non sia stata causata da responsabilità del datore di lavoro, giudizialmente accertata, per violazione della normativa in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro. La ratio dell'esclusione dalla computabilità nella base di calcolo della quota d‟obbligo degli invalidi divenuti tali a causa di inadempimento datoriale è evidente: essa mira ad evitare la situazione paradossale per cui il datore di lavoro, il cui comportamento illegittimo abbia causato in concreto l'invalidità del lavoratore, si trovi avvantaggiato 17 (dovendo assumere un disabile in meno) dal proprio illegittimo comportamento27. 1.6 Le modalità di assunzione dei disabili previste dalla legge n. 68 del 1999. Coerentemente con la ratio ad essa sottesa, di contemperare il più efficacemente possibile l‟effettività del diritto al lavoro riconosciuto ai disabili e le esigenze tecnicoproduttive dei datori di lavoro, la legge n. 68 del 1999 predispone un sistema di collocamento (almeno in parte) diverso e maggiormente versatile rispetto a quello previgente, che era imperniato sull‟assolvimento dell‟obbligo di assunzione solamente attraverso l‟avviamento da parte degli uffici competenti, previa richiesta inoltrata dai datori di lavoro28. Il legislatore del 1999, provvede, in primo luogo, all‟ampliamento delle modalità di collocamento dei disabili. Sono, infatti, previsti due diversi “canali”: il primo, mutuato con alcune importanti differenze - dalla legislazione previgente, consiste nella richiesta di avviamento ai Centri per l‟impiego; il secondo, invece, è costituito dall‟inserimento del disabile mediante la stipulazione di una delle convenzioni all‟uopo previste dalla legge (art. 7, comma 1, legge n. 68 del 1999). Quest‟ultimo canale di avviamento che, come si vedrà nel prosieguo, permette al datore di lavoro di concordare con i Centri per l‟impiego tempi e modalità di assunzione più flessibili, rappresenta una delle maggiori novità della nuova disciplina, ed uno principali strumenti di realizzazione del “collocamento mirato”. Passiamo ora all‟analisi della disciplina relativa all‟una ed all‟altra delle modalità di 27 In merito agli invalidi “interni” va rilevato, a fini di completezza, come la legge n. 68 del 1999 abbia introdotto una serie di ulteriori importanti previsioni, sostanzialmente finalizzate a tutelare il lavoratore che in costanza del rapporto lavorativo si trova a dover affrontare la sua nuova condizione di disabilità. Sul tema, va in primo luogo richiamato l'art. 1, comma 7, secondo cui “i datori di lavoro ... sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei soggetti che, non essendo disabili al momento dell'assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali disabilità”. La disciplina in commento, poi, dopo aver stabilito espressamente che l'infortunio o la malattia intervenuti in costanza di rapporto e comportanti l'insorgenza dell'invalidità non possono costituire giustificato motivo di licenziamento, riconosce agli invalidi il diritto ad essere adibiti a mansioni equivalenti o addirittura inferiori nell'ipotesi in cui la sopravvenuta inabilità sia incompatibile con le mansioni fino a quel momento svolte. L'eventuale assegnazione di mansioni inferiori, da considerarsi come extrema ratio, comporta comunque la conservazione del trattamento economico rapportato alle mansioni precedentemente svolte. In base alla disciplina ora illustrata, dunque, pare potersi desumere che il datore di lavoro può licenziare legittimamente il lavoratore divenuto inabile solo nel caso di mancanza di mansioni equivalenti o inferiori a cui poterlo adibire, all‟esito, quindi del tentativo di ricollocarlo all'interno dell'organizzazione aziendale: cfr. in merito Fantini L., op. cit., p. 1378 s. 28 Cfr. Limena F., op. cit., 2007, p. 253. 18 inserimento citate. 1.6.1 Il collocamento dei disabili mediante la richiesta di avviamento agli Uffici competenti. Ai sensi dell‟art. 9, legge n. 68 del 1999, la richiesta di avviamento di lavoratori disabili da parte dei datori di lavoro obbligati deve essere presentata agli Uffici competenti, vale a dire i Centri per l‟impiego, “entro sessanta giorni”29 dall‟insorgenza del suddetto obbligo di assunzione. Rispetto alla disciplina di cui alla legge n. 482 del 1968, in base alla quale il datore di lavoro obbligato poteva assolvere i propri obblighi assuntivi solo attraverso richiesta di avviamento numerica, salve alcune limitate e marginali ipotesi di richiesta nominativa per alcune tipologie di lavoratori, individuate dall‟art. 16, comma 6, legge n. 482 del 196830, la legge n. 68 del 1999 offre la possibilità di ricorrere alla richiesta (oltre che numerica, anche) nominativa in misura, se non generalizzata, comunque molto più consistente che in passato. La possibilità di effettuare richieste nominative (invece che numeriche) non è la stessa per tutti i datori di lavoro, ma varia in proporzione alle loro dimensioni aziendali: in misura intera, per i datori di lavoro che hanno alle loro dipendenze da 15 a 35 lavoratori, nonché per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi; nella misura del 50%, per i datori di lavoro che occupano da 36 a 50 dipendenti; nella misura del 60%, per i datori di lavoro con più di 50 lavoratori (art. 7, comma 1, legge n. 68 del 1999). La richiesta nominativa, inoltre, appare l‟unica possibile - peraltro “veicolata” attraverso la convenzione ex art. 11, legge n. 68 del 1999, per il collocamento dei disabili psichici (art. 9, comma 4, legge n. 68 del 1999). La previsione dell‟ampliamento del ricorso alla chiamata nominativa è, a ben vedere, espressione della volontà del legislatore del 1999 di favorire la realizzazioni di 29 L‟art. 2, comma 12-quater, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni nella l. 26 febbraio 2011, n. 10, ha elevato il termine di cui al comma 1 dell‟art. 9 a 90 giorni per i datori di lavoro del settore minerario, con l'esclusione del personale di sottosuolo e di quello adibito alle attività di movimentazione e trasporto del minerale, al quale si applicano le disposizioni dell'art. 5, comma 2, della legge n. 68 del 1999. 30 Si trattava dei lavoratori c.d. “di concetto” e dei lavoratori destinati a posti di fiducia connessi con la vigilanza e la custodia delle sedi, degli opifici, dei cantieri o comunque di beni. 19 assunzioni il più possibile “personalizzate” e, in quanto, tali rispondenti alle esigenze di entrambe le parti. Sulla scorta di tale considerazione, all‟indomani dell‟entrata in vigore della legge n. 68 del 1999, alcuni commentatori hanno criticato la scelta, in essa operata, della mancata generalizzazione del ricorso alla richiesta nominativa, il quale, come visto, è contenuto entro determinati limiti31. Tali critiche, a ben vedere, non appaiono condivisibili: ciò per il motivo che una previsione quale quella auspicata presenta il concreto rischio di emarginazione di quei disabili che, pur rientrando tra i potenziali beneficiari del sistema di collocamento previsto dalla legge n. 68 del 1999, sono affetti, in concreto, da alterazioni psico-fisiche tali da essere difficilmente assumibili spontaneamente dai datori di lavoro. Per contro, il meccanismo congegnato dalla legge n. 68 del 1999, che da un lato mantiene l‟obbligo in capo ai datori di lavoro di assumere un certo numero di lavoratori disabili e, tuttavia, dall‟altro lato, offre una serie di strumenti di flessibilizzazione e personalizzazione delle suddette assunzioni - consistenti nella possibilità di assumere tramite convenzioni, con tutte le agevolazioni che l‟impiego di tale strumentazione comporta, inclusa la possibilità di assumere in via nominativa, e con l‟ulteriore possibilità di adoperare tale ultima modalità di richiesta anche per la quota di soggetti protetti che, al di fuori delle convenzioni, dovrebbe essere assunta con criterio numerico - sembra contemperare adeguatamente tutti i vari interessi coinvolti: quello dei lavoratori disabili, ad essere assunti e, a monte, ad avere assicurata un‟equa distribuzione delle occasioni di lavoro tra ciascuno di loro; quello dei datori di lavoro, a realizzare delle assunzioni il più possibile rispondenti alle proprie esigenze aziendali. In quest‟ottica, allora, l‟ampliamento della possibilità di ricorrere alla richiesta nominativa va interpretata come una “ulteriore agevolazione riconosciuta al datore di lavoro nello scegliere chi vuole assumere, pur nei limiti percentuali previsti. Scopo della legge [n. 68 del 1999] è, infatti, quello di agevolare i datori di lavoro, se lo vogliono, su un terreno tradizionalmente difficile, quale è quello del collocamento obbligatorio; quest‟ultimo deve comunque essere attuato e, pertanto, laddove i datori di lavoro non vogliano avvalersi degli strumenti di flessibilità che il legislatore del 1999 ha 31 Biagi M., op. cit., 1999, p. 13. 20 predisposto, sanno che andranno comunque incontro all‟obbligo di adempiere alla legge, attraverso i “canali residuali” che la medesima ha previsto, ossia un avviamento di tipo numerico”. L‟alternativa, insomma, “sarà o agire e scegliere, o subire e accettare il lavoratore direttamente selezionato dagli uffici competenti, con l‟auspicio che questi ultimi abbiano fatto buon uso di tutti gli strumenti messi a disposizione dalle norme ed abbiano così provveduto ad individuare un lavoratore “mirato”, senza ricadere negli scempi degli avviamenti numerici del passato”32. Nell‟ipotesi, poi, in cui il datore di lavoro opti comunque per il ricorso alla richiesta numerica, essa, diversamente rispetto al passato, deve contenere l‟indicazione, oltre che della categoria, anche della qualifica del lavoratore da avviare, la quale può essere concordata con gli Uffici competenti: ciò è (indirettamente) desumibile dall‟art. 9, comma 2, legge n. 68 del 1999, secondo cui “in caso di impossibilità di avviare lavoratori con la qualifica richiesta, o con altra concordata con il datore di lavoro, gli Uffici competenti avviano lavoratori di qualifiche simili, secondo l'ordine di graduatoria e previo addestramento o tirocinio da svolgere anche attraverso le modalità previste dall'articolo 12”. La previsione dell‟indicazione, nella richiesta di avviamento, della categoria e della qualifica del lavoratore da assumere costituisce, a ben vedere, uno dei più importanti interventi realizzati dal legislatore del 1999 per correggere le storture evidenziate dal previgente sistema del collocamento obbligatorio, dimostratosi incapace, sotto più profili, di realizzare inserimenti soddisfacenti, sia per l‟una che per l‟altra parte del rapporto. La “vecchia” disciplina, infatti, nulla prevedeva circa il contenuto della richiesta di avviamento, con la conseguenza che, da un lato, questa si appalesava nella maggior parte dei casi del tutto generica, contenendo di norma la sola indicazione della categoria di appartenenza dell‟invalido da assumere e, dall‟altro lato, l‟eventuale specificazione datoriale (anche) della qualifica professionale e delle mansioni, non era considerata almeno secondo l‟orientamento assolutamente prevalente33 - vincolante per gli Uffici del collocamento, i quali, quindi, potevano avviare un lavoratore qualsiasi, nel solo 32 Cfr. Limena, op. cit., 2007, p. 256 s. Cfr., ex plurimis, Cass. 9 giugno 1990, n. 5602, in Dir. Prat. Lav., 1990, p. 1375; Cass. 20 agosto 1993, n. 8824, in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, p. 340; contra, sembra, T.A.R. Sicilia, Sez. Catania, 1 settembre 1994, n. 1952, in Giur. Amm. Sic., 1994, p. 820. 33 21 rispetto della graduatoria contenuta nelle liste di collocamento, ed a prescindere, invece, dalla verifica della corrispondenza della professionalità del lavoratore individuato con la qualifica richiesta dal datore di lavoro. La situazione ora descritta aveva ingenerato, come è facilmente intuibile, un nutrito contenzioso34, determinato dalla circostanza della oggettiva difficoltà per i datori di lavoro di inserire nella propria organizzazione aziendale lavoratori inidonei allo svolgimento dell‟attività lavorativa loro domandata, senza possibilità di far valere la richiesta, eventualmente inoltrata, di un lavoratore con altra professionalità e, in ogni caso, senza possibilità di rifiutarne l‟assunzione, se non nelle limitate ipotesi di (dimostrata) impossibilità di inserimento del disabile per motivi di sicurezza degli impianti e/o di incolumità del disabile stesso, oltre che degli altri lavoratori nonché, infine, per la mancanza assoluta di mansioni a cui il disabile poteva essere adibito35. Con l‟introduzione della previsione contenuta nell‟art. 9, comma 2, legge n. 68 del 1999, il legislatore ha tentato di congegnare il collocamento mediante richiesta di avviamento numerico - quello, tra i meccanismi di inserimento, meno idoneo, per sua natura, ad essere “personalizzato” sulla base dei concreti interessi in gioco - in modo tale da permettere ai datori di lavoro di specificare, attraverso l‟indicazione della categoria e della qualifica36 che il disabile da avviare deve possedere, le proprie esigenze aziendali, le quali devono essere tenute in debito conto dagli uffici competenti, che devono procedere all‟avviamento nel rispetto, per quanto possibile, delle determinazioni datoriali: ciò con l‟evidente scopo di realizzare un inserimento proficuo non solo per i datori di lavoro, ma anche per i lavoratori disabili, che in questo modo, sono collocati in un contesto lavorativo che ha effettivamente bisogno della loro prestazione lavorativa, con conseguente piena attuazione del loro diritto al lavoro. Rebus sic stantibus, pare potersi ritenere superato l‟orientamento giurisprudenziale37 34 Cfr., ex plurimis, Cass. 20 agosto 1993, n. 8824, cit., nonché Cass. 2 dicembre 1994, n. 10324, in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, p. 288. 35 Cass. 27 giugno 1997, n. 5749, in Giust. Civ., 1997, I, p. 3055, con nota di Zoli C.; Cass. 9 novembre 1995, n. 11681, in Orient. Giur. Lav., 1996, p. 371, nonché Cass. 20 agosto 1993, n. 8824, cit. 36 Cfr. in merito Limena F., op. ult. cit., p. 258, secondo cui “il riferimento alla qualifica … consente di identificare la prestazione attesa dal datore di lavoro sotto il profilo qualitativo delle capacità tecnicoprofessionali di cui il lavoratore avviato deve essere provvisto, ovviando così agli effetti negativi dell‟avviamento numerico, nei limiti in cui tale ultima forma di avviamento residua ancora nell‟attuale sistema del collocamento obbligatorio”. 37 V. supra, note nn. 25, 26 e 27. 22 formatosi in costanza della disciplina previgente, secondo cui il datore di lavoro era esonerato dall‟obbligo di assunzione del disabile solo nei limitati casi in cui essa comportasse in concreto un pregiudizio alla salute ed all‟incolumità dello stesso e degli altri lavoratori, o un pregiudizio per la sicurezza degli impianti, ovvero quando la tipologia della menomazione lo rendesse incollocabile in altri settori marginali dell‟azienda, potendo ora il soggetto obbligato “rifiutare l‟assunzione di un lavoratore con qualifica diversa da quella richiesta, anche se con i limiti derivanti dalla norma di cui all‟art. 9, comma 2, secondo cui, nel caso di impossibilità di avviare lavoratori con qualifica richiesta, o con altra concordata con il datore di lavoro, gli Uffici competenti avviano lavoratori con qualifiche simili, secondo l‟ordine di graduatoria e previo addestramento o tirocinio da svolgere anche attraverso le modalità previste dall‟art. 12”38. Ora, in base alla disposizione citata, qualora i Centri per l‟impiego ravvisino l‟impossibilità di soddisfare la domanda dei datori di lavoro per mancanza di lavoratori in possesso della qualifica richiesta, devono convocare il datore di lavoro, al fine di individuare soluzioni alternative, verificando l‟esistenza e la disponibilità di prestatori con qualifiche simili rispetto a quella inizialmente richiesta. A questo punto, possono verificarsi tre diverse ipotesi. Se la verifica congiunta ha esito positivo, verranno avviati lavoratori con qualifiche simili, in base all‟ordine della graduatoria e, se del caso, previo svolgimento di tirocinio o di addestramento, anche mediante la stipula della convenzione di cui all‟art. 12, legge n. 68 del 1999, al fine di dotare il disabile delle capacità e professionalità necessarie per ricoprire il ruolo individuato. Se, invece, la verifica ha esito negativo, nel senso che non è individuato alcun lavoratore disabile che possa soddisfare la richiesta formulata dal datore di lavoro e, quindi, non risulta possibile procedere all‟avviamento per causa non imputabile al 38 Cfr. Limena, op. cit., p. 258, la quale osserva anche che le prime pronunce intervenute sulla questione (C. app. Torino, 21 dicembre 2004, n. 1720, e Trib. Ferrara 16 luglio 2005, n. 255, entrambe in Mass. Giur. Lav., 2006, p. 156) corroborino l‟interpretazione sopra illustrata, secondo cui “il diritto all‟assunzione del disabile sussiste solo se compatibile con il posto di lavoro indicato dal datore di lavoro, il quale non pare obbligato a reperire una qualsiasi altra mansione al solo scopo di collocare, ad ogni costo, il lavoratore affetto da disabilità; questo in quanto, nello spirito della legge n. 68 del 1999, non esiste un diritto all‟assunzione tout court, bensì il diritto ad un collocamento realmente mirato, il più possibile compatibile con la residua capacità lavorativa”. 23 datore di lavoro, quest‟ultimo può presentare domanda di esonero parziale (ai sensi dell‟art. 5, co. 4, legge n. 68 del 1999 e 7, co. 8, d.p.r. n. 333 del 2000). Infine, può accadere anche che il datore di lavoro convocato non si presenti senza giustificato motivo - o, comunque, nei 30 giorni successivi alla data di convocazione oppure che, l‟accordo venga raggiunto, ma non sia possibile realizzarlo per impossibilità a stipulare la convenzione di cui all‟art. 12: in questo caso, il servizio competente deve comunque procedere all‟avviamento, sulla base delle indicazioni contenute nelle schede professionali, nel prospetto informativo e nella richiesta di avviamento medesima (art. 7, co. 7, d.p.r. n. 333 del 2000). Tale ultima ipotesi - rectius, la modalità con cui essa viene regolamentata - ha suscitato perplessità tra i commentatori, i quali hanno criticato la scelta, operata dal legislatore del 1999, di accostare due comportamenti che hanno natura diversa e che, quindi, avrebbero forse dovuto essere trattati diversamente: da un lato un “comportamento certamente diretto ad eludere gli obblighi di legge (la mancata presentazione del datore di lavoro alla convocazione dell‟ufficio), che potrebbe meritare la conseguenza - di sapore quasi sanzionatorio - di un avviamento obbligato gestito interamente “d‟ufficio” e”, dall‟altro lato, “un comportamento quantomeno neutro, come quello della mancata stipulazione di una convenzione di inserimento lavorativo”, il quale potrebbe, in concreto, essere determinato “dalle più svariate ragioni, non ultimo il fatto che le parti non sono state in grado di individuare la qualifica richiesta”39. In entrambi i due casi sopra illustrati, infatti, il d.p.r. n. 333 del 2000 prevede che l‟avviamento avvenga d‟ufficio, obbligando, sembra, il datore di lavoro ad assumere il lavoratore, anche in mancanza di mansioni proficuamente assegnabili. Infine, sempre con riferimento alla chiamata numerica, va segnalata un‟ulteriore novità, introdotta dall‟art. 9, legge n. 68 del 1999, consistente nella avvenuta equiparazione tra l‟invio della richiesta di avviamento e quello del prospetto informativo, documento contenente indicazioni sul numero complessivo dei dipendenti, dei lavoratori computabili nella quota di riserva, dei posti di lavoro e delle mansioni disponibili per i disabili, che i datori di lavoro obbligati devono avviare periodicamente agli uffici 39 Cfr. Limena F., op. ult. cit., p. 259. 24 competenti (art. 2, comma 4, d.p.r. n. 333 del 2000)40. In base, infatti, al comma 3 del citato art. 9, “la richiesta di avviamento al lavoro si intende presentata anche attraverso l'invio agli uffici competenti dei prospetti informativi periodici”. Tale previsione - che, a ben vedere, riguarda il rapporto tra i due atti fondamentali dell‟avviamento obbligatorio, la richiesta di avviamento “vera e propria” ed il prospetto informativo periodico - va ad incidere su un dibattito, sorto in costanza della disciplina previgente, sulla possibilità o meno di considerare i prospetti periodici (precedentemente chiamati “denunce”) come richieste di avviamento al lavoro41. Ci si chiedeva, in particolare, se, nel caso di omissione di un‟esplicita richiesta formale di avviamento, fosse o meno legittimo considerare le denunce manifestazioni di volontà per facta concludentia del datore di lavoro di richiedere l‟avviamento dei lavoratori eventualmente necessari alla copertura della quota di riserva. Sul punto, la giurisprudenza pressoché unanime aveva risposto in senso negativo: ciò sul presupposto che la concreta costituzione del rapporto di lavoro tra il datore di lavoro ed il disabile da assumere, seppur discendente dall‟assolvimento di un obbligo di legge, doveva pur sempre ricollegarsi ad un atto espressivo della volontà delle parti, che non poteva essere rinvenibile nel (né sostituito col) mero invio delle denunce periodiche, non essendo all‟uopo sufficiente il semplice atto di avviamento da parte degli Uffici competenti42. La richiesta di avviamento e la denuncia erano, dunque, considerate atti separati e distinti l‟uno dall‟altro, riconoscendosi solo alla prima l‟idoneità ad esprimere la (magari generica, ma pur sempre) inequivoca manifestazione di volontà diretta all‟assunzione. Ciò comportava, nella pratica, l‟impossibilità, nel caso di mancato inoltro della richiesta di avviamento da parte del datore di lavoro, di procedere alla costituzione del rapporto di lavoro43. Ora, invece, con l‟introduzione della norma di cui all‟art. 9, comma 3, il legislatore sembra aver sancito un‟equiparazione tra i due atti di base del collocamento, 40 Cfr. in merito, Maresca A., Rapporto di lavoro dei disabili e assetto dell‟impresa, op. cit., p. 27 ss.; Pera G., op. cit., p. 5; Limena F., op. cit., p. 251; Garofalo D., voce Disabili (Lavoro dei), in Nov. Dig., 2009, aggiornamento, p. 770. 41 Cfr. ancora gli Autori citati nella nota precedente. 42 Cfr., ex plurimis, Cass. 24 dicembre 1995, n. 5666, in Riv. It. Dir. Lav., 1996, II, p. 527. 43 Cfr. sul punto la pronuncia citata nella nota precedente. 25 prevedendo che, in mancanza dell‟invio della richiesta di avviamento vera e propria, esso possa considerarsi effettuato “anche” attraverso l‟inoltro del prospetto periodico. La ratio di tale norma è, a ben vedere, individuabile nella necessità di rendere il sistema di collocamento (obbligatorio) dei disabili maggiormente efficiente rispetto al passato, ovviando alla eventuale inerzia del datore di lavoro che non rispetti l‟obbligo di presentazione della richiesta di avviamento e che, come visto, almeno secondo l‟orientamento interpretativo prevalente formatosi in costanza della disciplina previgente, impediva l‟inizio del processo di avviamento e la (conseguente) concreta instaurazione del rapporto lavorativo44. 1.6.2 La tutela prevista in favore del disabile nel caso di illegittimo rifiuto all’assunzione. Questione particolarmente importante - e problematica - è quella dell‟individuazione della tutela accordata al disabile in caso di illegittimo rifiuto alla sua assunzione45: è questo, il caso del datore di lavoro che, una volta effettuata la richiesta, rifiuti ingiustificatamente di impiegare il lavoratore protetto individuato dagli Uffici competenti46. 44 L‟equiparazione della richiesta di avviamento con il prospetto informativo, che, secondo alcuni in dottrina (cfr. Limena F., op. cit., p. 255, nonché, sembra, Ciucciovino S., op.ult. cit., p. 1407 ss.) è peraltro da intendersi come ipotesi “residuale”, tenuto conto che l‟art. 9, comma 3, prevede che il prospetto informativo vale “anche” come richiesta di avviamento” e, quindi, solo nel caso in cui una richiesta di avviamento non sia separatamente presentata dal datore di lavoro, è, in concreto resa possibile anche dalla previsione, introdotta dal legislatore del 1999, di contenuti più analitici e circostanziati dei prospetti informativi rispetto alle “vecchie” denunce periodiche. 45 Per una compiuta ricostruzione della questione, cfr. Speziale V., Situazioni delle parti e tutela in forma specifica nel rapporto di lavoro, in W.P. C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2004, n. 23, p. 41 ss.; cfr. altresì Pera G., op. cit., p. 2; Garofalo D., Disabili e lavoro. Profilo oggettivo, e sanzioni, in Dir. Prat. Lav., 1999, n. 38; Id., voce Disabili (Lavoro dei), in Dig. Disc. Priv. Sez. Comm., IV ed., aggiornamento, 2009, p. 774 ss.; Tursi A., La nuova disciplina del diritto al lavoro dei disabili, in Riv. giur. lav.,1999, I, p. 764 ss. 46 Per rifiuto illegittimo all‟assunzione si intende un rifiuto sprovvisto di qualsivoglia valida giustificazione: sotto questo profilo, a seguito dell‟entrata in vigore della disciplina del 1999, devono considerarsi legittimi e, in quanto tali, non comportanti né tutela al disabile né l‟applicazione della sanzione ex art. 15, legge n. 68 del 1999, le seguenti ipotesi: rifiuto all‟assunzione derivante dall‟impossibilità di adibire il disabile ad un‟attività non pregiudizievole per se stesso, per gli altri lavoratori o per gli impianti, ovvero dalla incollocabilità in qualsiasi posizione aziendale; rifiuto all‟assunzione del lavoratore in possesso di una qualifica differente rispetto a quella indicata dal datore di lavoro. Controversa è, invece, la qualificazione del rifiuto ove il disabile avviato possegga una qualifica simile o analoga a quella richiesta, in mancanza di previo tirocinio, da svolgere secondo le modalità dell‟art. 12, legge n. 68 del 1999. Secondo la giurisprudenza, deve considerarsi legittimo il rifiuto all‟assunzione del disabile con capacità professionali non compatibili con le mansioni indicate nel prospetto, ovvero incompatibile con mansioni diverse da quelle indicate nel prospetto informativo e nella 26 Vigente la legge n. 482 del 1968, il prevalente orientamento giurisprudenziale formatosi sul tema aveva sostanzialmente riconosciuto al disabile illegittimamente estromesso una tutela meramente risarcitoria e, per contro, aveva negato una tutela in forma specifica, consistente nella possibilità di ottenere una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro ex art. 2932 c. c47. A fondamento di tale conclusione, erano state poste una serie di argomentazioni, la principale delle quali era che la richiesta di avviamento, così come caratterizzata dalla legge n. 482 del 1968, aveva un contenuto del tutto generico e, in quanto tale, era inidonea ad individuare con precisione gli elementi essenziali del rapporto lavorativo a cui l‟attuazione dell‟obbligo di assunzione era preordinato - primi fra tutti l‟inquadramento, le mansioni, ed il trattamento retributivo - rendendone così impraticabile la costituzione iussu iudicis48. Ora, anche a seguito dell‟entrata in vigore della legge n. 68 del 1999, la giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sul tema sembra aver sostanzialmente recepito le determinazioni e conclusioni formulate con riferimento alla disciplina previgente, continuando, quindi, a negare la tutela in forma specifica ex art. 2932 c.c.49. Peraltro, come osservato da più parti in dottrina50, l‟opzione interpretativa di riconoscere al disabile il solo diritto al risarcimento del danno per mancata assunzione, e non la costituzione iussu iudicis del rapporto di lavoro ex art. 2932 c.c., se coerente con richiesta di avviamento. È, invece, considerato illegittimo il rifiuto di assunzione motivato dall‟assoggettamento del disabile avviato ad un accertamento sulla sua idoneità a svolgere una specifica mansione: cfr. in merito la ricostruzione operata da Garofalo D., op. cit. 2009, p. 775, nonché le pronunce dallo stesso citate nelle note da 91 a 101. 47 Cfr. ex plurimis Cass., 7 marzo 1990, n. 1770, in Not. Giur. Lav., 1990, I, p. 334; Cass., 25 ottobre 1996, n. 9319, in Lav. Giur., 1997, p. 422; Cass., 16 maggio 1998, n. 4953, in Not. Giur. Lav., 1998, II. Per il riconoscimento di una tutela in forma specifica ex art. 2932 c.c. cfr., invece, Trib. Milano, 20 novembre 1991, in Riv. Crit. Dir. Lav., 1992, p. 380; Trib. Milano, 21 giugno 2000, in Lav. Giur., 2001, p. 88 nonché, in dottrina, Pera G., Assunzioni obbligatorie e contratto di lavoro, Giuffrè, Milano, 1965, p. 211 ss. 48 Cfr. ancora Cass., 7 marzo 1990, n. 1770, cit., nonché Cass., 25 ottobre 1996, n. 9319, cit. 49 Cfr. in merito, ad es., C. App. Roma, 16 aprile 2007, in Guida al lavoro, n. 26, p. 45; Cass. 13 gennaio 2009, n. 488, in Guida al lavoro, 2009, n. 7, p. 23. 50 A tale conclusione giunge Garofalo D., voce Disabili (lavoro dei), cit., p. 775-776, il quale ravvisa come tale soluzione, proposta da qualche isolata pronuncia con riferimento alla legge n. 482 del 1968, se “opinabile alla luce della vecchia disciplina, è viceversa assolutamente coerente con la nuova in relazione alla indicazione della qualifica che il disabile da avviare deve possedere, non ravvisandosi quali elementi difettino per la costituzione iussu iudicis del rapporto di lavoro negato”. Dello stesso avviso Pera G., op. cit., p. 2; Speziale V., op. cit., p. 43 ss.; Tursi A., op. cit., 1999, p. 767; contra, invece, Bianchi D‟Urso F., Vidiri G., Luci ed ombre sulla nuova disciplina delle assunzioni obbligatorie, in Mass. Giur. Lav., 2000, p. 736 s., sul presupposto che l‟attuazione coattiva dell‟obbligo di assunzione contrasterebbe con lo spirito della legge n. 68 del 1999, contrario, a loro dire, a soluzioni imposte con la forza. 27 l‟impostazione della normativa previgente, che nulla prevedeva in ordine alla indicazione della qualifica del disabile, non può invece ritenersi tale rispetto alla nuova disciplina contenuta nella legge n. 68 del 1999 e, in particolare, con la già menzionata previsione di una maggiore specificità dei contenuti della richiesta di avviamento, che deve indicare (non solo la categoria, ma anche) la qualifica del disabile da assumere. Ciò posto, allora, e considerato ulteriormente che, ai sensi dell‟art. 10, comma 1, legge n. 68 del 1999 - il quale sancisce l‟applicabilità al lavoratore avviato del trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi - può desumersi (oltre alla qualifica anche) il trattamento economico che sarebbe spettato al lavoratore illegittimamente estromesso, non sembrerebbero (più) rinvenirsi ostacoli all‟attuazione in forma specifica dell‟obbligo di assunzione ex art. 2932 c.c., stante la possibilità di determinare gli elementi essenziali del costituendo contratto di lavoro51. 51 Cfr. in merito Speziale V., op. cit., p. 43 ss. 28 Capitolo 2 2.1 L’altra modalità di collocamento dei disabili: l’inserimento mediante convenzione. L’evoluzione normativa. Come già detto, l‟altra modalità di collocamento dei disabili prevista dalla legge n. 68 del 1999 è costituita dall‟inserimento mediante la stipulazione di una delle convenzioni all‟uopo predisposte. Quest‟ultimo “canale” di avviamento rappresenta una delle principali manifestazioni della “nuova” logica del collocamento mirato sottesa alla legge n. 68 del 1999 e, al contempo, uno dei suoi più compiuti strumenti di realizzazione: ciò per il motivo che esso è congegnato in modo tale da effettuare inserimenti che contemperino il più efficacemente possibile le (almeno in parte) diverse esigenze dei soggetti coinvolti (disabili e datori di lavoro)52. Attualmente, la legge n. 68 del 1999 prevede tre diverse tipologie di convenzione che, in base ad un‟autorevole ricostruzione53, si differenziano tra loro a seconda che a) il datore di lavoro assuma e utilizzi il disabile (art. 11); b) il datore di lavoro assuma il disabile, ma lo distacchi per un certo periodo presso un soggetto terzo che lo utilizza (art. 12); c) il datore di lavoro posticipi l‟assunzione del disabile, perché assunto e utilizzato da un soggetto terzo, assumendolo poi alla scadenza della convenzione (all‟art. 12bis). A fini di completezza, occorre ricordare come alle sopra indicate tipologie convenzionali il legislatore ne abbia poi aggiunta un‟altra, con caratteristiche peculiari sue proprie, disciplinata dall‟art. 14, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Come si illustrerà meglio nel prosieguo, tale ultima disposizione offre, in particolare, la possibilità, al fine di favorire l‟inserimento lavorativo dei lavoratori c.d. svantaggiati e dei disabili, di stipulare tra gli uffici competenti per il collocamento obbligatorio individuati ai sensi dell‟art. 6, comma 1, legge n. 68 del 1999, le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul 52 Cfr. le osservazioni di Garofalo D., op. cit., p. 815, secondo cui lo strumento convenzionale è quello a cui il legislatore “ha affidato in buona parte l‟attuazione del collocamento mirato dei disabili, come definito nell‟art. 2”. In merito, cfr. anche Canavesi G., Collocamento dei disabili e ruolo degli enti non profit nella legislazione statale, in DL Marche, 1999, 2-3, p. 173 ss., nonché Limena F., op. ult. cit., p. 260 s. 53 Cfr. Garofalo D., op. cit., p. 816. 29 piano nazionale, le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative sociali ed i consorzi di cui all‟art. 8, legge 8 novembre 1991, n. 381, convenzioni “quadro” su base territoriale, aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro da parte delle imprese associate o aderenti, alle cooperative sociali medesime. La disciplina in materia di convenzioni, così come ora individuata, è il frutto di una serie di interventi modificativi avvenuti in tempi (relativamente) recenti, e consistiti, in particolare: nell‟integrale sostituzione (ex art. 1, comma 37, lett. a), legge. n. 247 del 2007) della disciplina contenuta nell‟art. 12, legge 12 marzo 1999, n. 68; nell‟introduzione in quest‟ultimo provvedimento normativo di una nuova disposizione, l‟art. 12 bis, contenente una nuova modalità di inserimento mediante convenzione (ex art. 1, comma 37, lett. b), legge n. 247 del 2007); e, infine, nell‟abrogazione dell‟art. 14, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (ex art. 1, comma 38, legge n. 247 del 2007), poi peraltro reintrodotto dall‟art. 39, comma 11, d.l. 25 giugno 2008, n. 112. Attraverso tale opera di “restyling” il legislatore si è proposto di risolvere alcune delle criticità emerse nel sistema di inserimento mediante convenzione così come originariamente congegnato. In particolare, le maggiori perplessità, rilevate da più parti54, avevano riguardato, oltre che il meccanismo di inserimento predisposto dall‟art. 12, legge n. 68 del 1999, rivelatosi nella prassi sostanzialmente ineffettivo, anche la modalità incentivante rappresentata dalla convenzione quadro di cui all‟art. 14. Del sistema convenzionale originario, della sua evoluzione e, infine, della sua caratterizzazione attuale, si darà ora conto, cercando di evidenziarne sia le luci, che le ombre: sia, cioè, i punti di forza, che le questioni problematiche (ancora) irrisolte. 54 Sulla versione previgente dell‟art. 12, legge n. 68 del 1999, sull‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, nonché sulle problematiche da essi poste si tornerà diffusamente più avanti, nel testo. In generale, per una disamina critica sull‟art. 12, si vedano per tutti Pera G., op. cit., p. 7 ss.; Canavesi G., op. cit., p. 180 ss.; Limena F., op. ult. cit., p. 266 ss.; Tursi A., Le nuove convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 70 ss. Con riferimento, invece, all‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, cfr., ex plurimis, Cimaglia M. C., L’esperienza applicativa dell’art. 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 131 s.; Slataper S., Le convenzioni con le cooperative sociali per favorire l’inserimento dei soggetti svantaggiati, in Miscione M., Ricci M. (a cura di), Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, I. Organizzazione e disciplina del mercato del mercato del lavoro, Titoli I e II, Artt. 1-19, 2004, Ipsoa, Milano, p. 298; Cocanari F., Art. 14 – Molte preoccupazioni, la necessità di una proposta, reperibile sul sito internet www.cisl.it. 30 2.1.1 Le convenzioni di cui all’art. 11, legge n. 68 del 1999. a) La convenzione di inserimento lavorativo. Ai sensi dell‟art. 11, comma 1, legge n. 68 del 1999, gli uffici competenti, sentito il Comitato tecnico, possono stipulare con i datori di lavoro (anche non obbligati all‟assunzione55) convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma, espressamente finalizzato al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla legge in parola, ed a favorire l‟effettiva realizzazione del diritto al lavoro dei disabili. Il comma 2 dell‟art. 11 prevede, poi, che la convenzione deve stabilire sia le tempistiche che le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. L‟indicazione dei “tempi” e dei “modi” dei costituendi rapporti di lavoro ha lo scopo evidente di flessibilizzare gli inserimenti, adattandoli alle (e personalizzandole sulle) concrete esigenze dei soggetti coinvolti nell‟operazione di inserimento. Quanto ai tempi, il legislatore sembra prevedere la possibilità di derogare alle scadenze ordinariamente previste per le assunzioni obbligatorie, sostanzialmente permettendo ai datori di lavoro di ritardare e/o scaglionare la costituzione dei rapporti di lavoro con i disabili, senza con ciò incorrere nella violazione dell‟obbligo di assunzione di cui all‟art. 3, legge, n. 68 del 1999, e nelle conseguenti sanzioni. Quanto alle modalità, il comma 2 dell‟art. 11 offre espressamente la possibilità di convenire il ricorso alla chiamata nominativa, allo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, all'assunzione con contratto di lavoro a termine56, nonché, infine, allo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo57, con la precisazione, tuttavia, che l'esito negativo della prova, “qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro”. 55 Ciò è desumibile dall‟art. 11, comma 3, legge n. 68 del 1999, secondo cui “la convenzione” di cui al comma 1 “può essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle assunzioni”. 56 In merito alle assunzioni a termine dedotte in convenzione, ci si è chiesti se le stesse possano o meno essere considerate delle ipotesi speciali e, conseguentemente, siano o meno soggette alla disciplina ed ai limiti previsti in materia di contratto a tempo determinato prima dalla legge n. 230 del 1962 e, ora, dal d.lgs. n. 368 del 2001: cfr. in merito Pera G., op. ult. cit., p. 8, nonché Maresca A., op. cit., p. 56, i quali sembrerebbero propendere per la seconda conclusione. Sul punto, peraltro, sono recentemente intervenute alcune pronunce di merito, che hanno concluso come sia la stessa convenzione a costituire la giustificazione dell‟assunzione e, nello stesso tempo, ad assolvere all‟obbligo della forma scritta: cfr. T. Milano, 14 settembre 2007, in D&L, 2008, p. 139, nonché T. Modena, 22 giugno 2007, in Mass. Giur. Lav., 2008, p. 159 ss. 57 Sempre, tuttavia, nel rispetto del termine massimo previsto dall‟art. 10 della legge n. 604 del 1966, pari a 6 mesi: così Pera G., op. cit., p. 8. 31 Con riferimento alla richiesta nominativa, la possibilità di farvi ricorso offerta dall‟art. 11, comma 2, è da intendersi come ulteriore, aggiuntiva, rispetto a quella contemplata in via generale dall‟art. 7, supra illustrata58: ciò in quanto altrimenti “non avrebbe alcun senso l‟aver espressamente previsto la possibilità di richiesta nominativa tra le modalità di gestione flessibile dell‟assunzione”59. Dall‟art. 11, comma 2, tuttavia, non è dato comprendere se la facoltà di ricorrere alla chiamata nominativa prevista in caso di assunzione mediante convenzione - ulteriore rispetto a quella di cui all‟art. 7 - possa estendersi fino a riguardare tutta la percentuale dei lavoratori da assumere obbligatoriamente, oppure solo una parte. Peraltro, in mancanza di un‟esplicita limitazione, sembra potersi propendere per la prima delle due interpretazioni prospettate60. Tale soluzione, tuttavia, porta con sé il rischio, già precedentemente illustrato in sede di commento dell‟art. 7, legge n. 68 del 1999, che tale meccanismo, così come congegnato, finisca per favorire i soli disabili meno gravi, escludendo, invece, gli altri, quelli con maggiori difficoltà, che rimarrebbero così fuori da qualsiasi canale di inserimento. Questa pericolosa eventualità, peraltro, appare scongiurabile grazie alla presenza del soggetto pubblico, il quale, in base il ruolo di garanzia e sorveglianza che gli è proprio, è chiamato a evitare qualsiasi situazione di abuso ed ingiustizia (anche) nella distribuzione delle chances di inserimento tra i vari soggetti legittimati. Sempre in ottica incentivante la realizzazione di inserimenti lavorativi, va infine ricordata la previsione di cui all‟art. 11, comma 4, che offre la possibilità al Comitato tecnico di proporre l'adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato; tali deroghe, tuttavia, non sono completamente libere, ma, oltre che sottoposte alla valutazione del Comitato tecnico devono anche essere “giustificate da specifici progetti di inserimento mirato”. Anche sotto questo profilo, dunque, emerge il delicato ruolo attribuito al soggetto 58 Come si ricorderà, l‟art. 7, legge n. 68 del 1999 prevede la possibilità di effettuare assunzioni mediante richiesta nominativa per una certa percentuale delle stesse e, precisamente: il 100% della quota di riserva per i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti, per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi; il 50% per i datori di lavoro che occupano da 36 a 50 dipendenti e, infine, il 60% per i datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti. 59 Cfr. Limena F., op. cit., p. 261. 60 In tal senso Pera G., op. cit., p. 8; Limena F., op. cit., p. 261. 32 pubblico, il quale, oltre che sorvegliare sulla legittimità e correttezza del comportamento dei soggetti coinvolti nell‟operazione giuridica finalizzata all‟inserimento, deve anche svolgere un‟importante valutazione di opportunità circa la regolamentazione dell‟assetto dei rapporti concretamente dedotta in convenzione. 2.1.2 Le convenzioni di cui all’art. 11, legge n. 68 del 1999. b) La convenzione di integrazione lavorativa. L‟art. 11, ai commi 4 e 7, prevede poi un‟ulteriore tipologia di convenzione, denominata “di integrazione lavorativa”61. Essa, così come la convenzione prevista e disciplinata dall‟art. 11, comma 1, è stipulabile tra i Centri per l‟impiego ed i datori di lavoro ma, a differenza di quest‟ultima, è espressamente finalizzata all‟avviamento dei (soli) disabili “che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”. La formulazione della norma con riferimento all‟individuazione dei soggetti destinatari è estremamente generica: ciò, secondo alcuni commentatori volutamente, per permettere agli operatori di specificarla di volta in volta, in base alle esigenze del caso concreto, coerentemente con l‟impostazione sottesa al collocamento mirato, che mira a personalizzare e flessibilizzare il più possibile gli strumenti finalizzati all‟inserimento. Essa, comunque, sembra riferirsi ai disabili più gravi, a quelli cioè affetti da minorazioni particolarmente intense o, in ogni caso, tali da renderne estremamente difficile l‟inserimento (non solo) lavorativo: si pensi, sotto questo profilo, ai disabili psichici. Proprio al fine di facilitare l‟inserimento di tali tipologie di lavoratori che, almeno in linea teorica, è ancor più complesso e difficoltoso, il legislatore ha previsto la stipula di una convenzione ad hoc, la quale, oltre a prevedere - al pari di quanto previsto per le convenzioni di cui all‟art. 11, comma 1 - l‟indicazione dei tempi e delle modalità delle assunzioni a cui i datori di lavoro si obbligano, deve altresì contenere tutta una serie di ulteriori elementi, quali: l‟indicazione dettagliata delle mansioni attribuite al lavoratore disabile e le modalità del loro svolgimento; la previsione delle forme di sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli appositi servizi regionali o dei centri di 61 Sulle convenzioni di integrazione lavorativa, cfr., ex plurimis, Canavesi G., op. ult. cit., p. 185 ss.; Pera G., op. ult. cit., p. 9; Garofalo D., op. ult. cit., p. 817 ss.; Limena F., op. ult. cit., p. 262 ss. 33 orientamento professionale e degli organismi di cui all'art. 18 della legge n. 104 del 1992 (vale a dire enti, istituzioni, cooperative sociali ed altre organizzazioni, di varia denominazione, ma comunque che svolgono attività idonee a favorire l‟inserimento e l‟integrazione lavorativa di persone portatrici di handicap iscritte in appositi elenchi regionali) al fine di favorire l'adattamento al lavoro del disabile; e, infine, la previsione di verifiche periodiche sull'andamento del percorso formativo inerente la convenzione di integrazione lavorativa, da parte degli enti pubblici incaricati delle attività di sorveglianza e controllo. Il carattere maggiormente dettagliato della regolamentazione contenuta nelle convenzioni di integrazione lavorativa di cui all‟art. 11, comma 7, rispetto a quelle di cui all‟art. 11, comma 1, trova la sua giustificazione nell‟esigenza di un (ulteriore) rafforzamento - vista la platea dei destinatari - degli strumenti del collocamento mirato, mediante la previsione della preventiva individuazione di percorsi formativi che appaiano maggiormente definiti, dettagliati e dall‟esito verificabile, mediante la loro sottoposizione a controlli periodici. 2.2 Le convenzioni di cui all’art. 12, legge n. 68 del 1999. Venendo, ora, alla tipologia di convenzione prevista dall‟art. 12, essa si caratterizza per il coinvolgimento di un soggetto ulteriore (rispetto a disabile, datore di lavoro e soggetto pubblico), definito “ospitante”, presso cui il disabile - che comunque deve essere assunto da un datore di lavoro obbligato - è temporaneamente inserito. Più precisamente, nella sua versione previgente al già citato intervento modificativo realizzato dalla legge n. 247 del 2007, l‟art. 12 prevedeva la possibilità per gli uffici competenti di stipulare con i datori di lavoro privati obbligati ai sensi dell‟art. 3, con le cooperative sociali di cui all‟art. 1, comma 1, lett. b) della legge n. 381 del 1991 e con i disabili liberi professionisti - i soggetti “ospitanti”, appunto - delle convenzioni finalizzate all‟inserimento temporaneo di persone disabili. A fronte di ciò i datori di lavoro privati, che dovevano assumere a tempo indeterminato i disabili “inseriti”, si impegnavano ad affidare ai soggetti presso cui tale inserimento era avvenuto delle commesse di lavoro62. 62 In sostanza, la struttura giuridica dell‟operazione ora descritta è stata individuata “nell‟intreccio 34 Come già accennato, tuttavia, il meccanismo di inserimento ora descritto si è rivelato in concreto completamente ineffettivo63. Le causa di tale manifesta inefficacia sono state rinvenute da un lato nella “complessità della norma”, che, in concreto, ne ha “impedito l‟applicazione”64 e, dall‟altro lato, nell‟inidoneità del meccanismo in essa contenuto a soddisfare i soggetti coinvolti e, in particolare, i datori di lavoro obbligati all‟assunzione e le cooperative sociali65. Per quanto riguarda i primi, infatti, è stato osservato come l‟imposizione sin dall‟inizio dell‟obbligo di assunzione del disabile in capo all‟impresa ordinaria sia stata “una delle ragioni principali dell‟opposizione del mondo imprenditoriale all‟operatività di questo strumento; tanto più se si considera che trattasi di obbligo di assunzione a tempo indeterminato, laddove il mercato del “lavoro ordinario” vede il proliferare di rapporti non standard, flessibili per non dire precari: immaginare un mercato del lavoro dei soggetti svantaggiati immune dalla flessibilità, non poteva che essere un‟illusione destinata a naufragare”66. Riguardo le cooperative sociali, invece, esse erano assoggettate al contratto collettivo applicabile al datore di lavoro conferente anziché a quello delle cooperative stesse; inoltre, la breve durata degli inserimenti imponeva loro un turn over eccessivo, rendendo instabile la base associativa ed essendo insufficiente a compensare i costi di tra un contratto di appalto di servizi intercorrente tra la cooperativa sociale ed un‟impresa “obbligata” all‟assunzione di disabili, e un contratto di lavoro che interviene tra il disabile avente diritto al collocamento obbligatorio e l‟impresa obbligata ad assumerlo, ma che viene contestualmente traslato alla cooperativa per la durata del contratto commerciale sottostante”: cfr. Tursi A., Cooperative sociali e inserimento dei lavoratori svantaggiati, in Aa. Vv. (a cura di), Come cambia il mercato del lavoro, 2004, Milano, p. 41 s. La ricostruzione di tale meccanismo, tuttavia, non è pacifica in dottrina: per una rassegna delle varie posizioni manifestatesi in merito, cfr. ancora Tursi A., op. ult. cit., p. 41, nota 11; Scartozzi G., Inserimento dei lavoratori svantaggiati e cooperative sociali, in Olivelli P., Tiraboschi M. (a cura di), Il diritto del mercato del lavoro dopo la riforma Biagi, 2005, Collana Adapt-Fondazione M. Biagi, Giuffrè, Milano, p. 330. 63 Come testimoniato anche dalla “Prima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999”. Sull‟art. 12 e sui limiti della disciplina in esso contenuta, cfr. Canavesi G., op. ult. cit., p. 184 s., e p. 191ss.; Scartozzi G., op. cit., p. 330; per alcuni dati circa lo scarso utilizzo delle convenzioni ex art. 12, legge n. 68 del 1999, cfr., inoltre, Tursi A., Le nuove convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 71 s. 64 Con la conseguenza che “il coinvolgimento effettivo della cooperazione sociale dell‟inserimento lavorativo dei disabili è rimasta inferiore alle potenzialità”: cfr. Borzaga C., Cooperazione sociale e inserimento lavorativo: il contributo dell’analisi economica, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 120 s. 65 Cfr. Tursi A., Le nuove convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 73. 66 Cfr. Tursi A., op. ult. cit, p.73; Scartozzi G., op. cit., p. 331 s. 35 transazione e formativi67. Questi ed altri argomenti hanno portato a definire lo strumento analizzato “troppo rigido e poco incentivante nei confronti dei soggetti interessati e, dunque, ineffettivo nei confronti dei disabili”68. Da qui l‟intervento correttivo realizzato ad opera della legge n. 247 del 2007, con l‟obiettivo di eliminare tutte le storture presentate dall‟art. 12 e di renderlo pienamente operativo. Il testo attuale della disposizione in commento ricalca quello precedente, introducendo, tuttavia, alcune (più o meno rilevanti) differenze. In primo luogo, il legislatore interviene sull‟individuazione dei soggetti legittimati alla stipulazione della convenzione e presso cui deve realizzarsi l‟inserimento lavorativo del disabile, estendendo tale legittimazione anche ai “datori di lavoro privati non soggetti all‟obbligo di assunzione” di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 nonché alle “imprese sociali di cui al d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155”69. L‟allargamento del novero dei soggetti stipulanti destinatari dell‟inserimento dei disabili appare funzionale a favorire il “coordinamento” tra i vari operatori del mercato del lavoro, in modo da incrementare così l‟utilizzo della convenzione. Analoga funzione sembra svolgere un‟altra novità apportata dal legislatore del 2007. Ci si riferisce al comma 2 dell‟art. 12, che ora, tra i requisiti cui è subordinata la convenzione, prevede non più, come in passato, “la copertura dell‟aliquota d‟obbligo” di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999, bensì, più genericamente, la “computabilità”, ai fini dell‟adempimento di tale obbligo, del disabile dedotto in convenzione, da realizzarsi attraverso la sua “contestuale assunzione a tempo indeterminato” da parte del datore di lavoro (art. 12, comma 2, lett. b)). La formulazione attuale, richiedendo - ai fini dell‟assolvimento dell‟obbligo di assunzione di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 - la sussistenza della mera “computabilità” della persona disabile da inserire mediante convenzione, sembra 67 Cfr. Scartozzi G., op. cit., p. 331. Cfr. Tursi A., op. ult. cit, p. 74. 69 La partecipazione delle imprese sociali alla stipula delle convenzioni di inserimento è prevista non solo dall‟art. 12, ma, come si vedrà, anche dall‟art. 12 bis, con la differenza che mentre la prima disposizione si riferisce alla generalità delle “imprese sociali” di cui al d.lgs. n. 155 del 2006, la seconda richiama, invece, (solo) quelle previste dall‟art. 2, comma 2, lett. a) e b) di tale decreto. Cfr. sul punto più avanti, in sede di commento dell‟art. 12 bis. 68 36 eliminare (il rischio di) un possibile limite all‟utilizzo della convenzione stessa che, invece, la lettera della formulazione previgente sembrava suggerire. Sul “vecchio” art. 12, comma 2, lett. b), infatti, era stato osservato come questo, se interpretato “letteralmente”, stesse “ad indicare l‟adempimento dell‟obbligo” di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 “nel suo momento finale ossia nella sua integralità, piuttosto che nel suo farsi per attuazioni parziali successive, di modo che la stipula” della convenzione “sarebbe preclusa in caso di assunzioni destinate a coprire una parte soltanto della quota”70. La formula utilizzata, insomma, prefigurava un (ulteriore) vincolo alle potenzialità inclusive della convenzione disciplinata dall‟art. 12: vincolo che ora, invece, non sembra più porsi. L‟altra modifica introdotta dalla legge n. 247 del 2007 riguarda, poi, la previsione contenuta nell‟art. 12, comma 2, lett. d), n. 3, in base alla quale, tra gli elementi che la convenzione deve contenere, rientra anche “la descrizione del piano personalizzato di inserimento lavorativo”. Rispetto alla corrispondente espressione previgente - che, prescriveva, al riguardo, “l‟indicazione del percorso formativo personalizzato” - la nuova formulazione sembra alludere alla necessità di una descrizione maggiormente analitica rispetto al passato del programma predisposto per realizzare un compiuto inserimento del disabile in cooperativa. L‟utilizzo, infatti, dei termini “descrizione” e “piano” in luogo dei precedenti “indicazione” e “percorso” sembrano indicare che ora, diversamente che nel passato, il requisito richiesto dall‟art. 12, comma 2, lett. d), n. 3 non sembra poter esser soddisfatto attraverso un mero richiamo all‟esistenza di un piano di inserimento del disabile, ma occorrerà, invece, esporlo, almeno nei suoi tratti salienti, nella stessa convenzione. 2.3 Le convenzioni di cui all’art. 12 bis, legge n. 68 del 1999. Passando, invece, all‟analisi della disciplina contenuta nell‟art. 12 bis, legge n. 68 del 1999, quest‟ultima disposizione - che, come si ricorderà, è stata introdotta ex novo dalla legge n. 247 del 2007 - prevede la possibilità per gli uffici competenti di stipulare con i 70 Cfr. in merito Canavesi G., Collocamento dei disabili e ruolo degli enti non profit nella legislazione statale, in DL Marche, cit., p. 193. 37 datori di lavoro privati tenuti all‟obbligo di assunzione di cui all‟art. 3, comma 1, lett. a), legge n. 68 del 1999, denominati “soggetti conferenti”, e con una serie di soggetti analiticamente indicati nel comma 4 dell‟art. 12 bis, denominati “soggetti destinatari” le cooperative sociali di cui all‟art. 1, comma 1, lett. a) e b) della legge n. 381 del 1991 e loro consorzi; le imprese sociali di cui all‟art. 2, comma 2, lett. a) e b) del d.lgs. 155 del 2006 e, infine, i datori di lavoro privati non soggetti all‟obbligo assunzione di cui all‟art. 3, comma 1, legge n. 68 del 1999 - delle convenzioni “finalizzate all‟assunzione da parte dei soggetti “destinatari” medesimi di persone disabili che presentino “particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”. A fronte dell‟assunzione dei disabili da parte delle cooperative o degli altri soggetti “destinatari” indicati dalla disposizione, i datori di lavoro obbligati ex art. 3, legge n. 68 del 1999, soggetti “conferenti”, si impegnano ad affidare loro commesse di lavoro. Sotto il profilo soggettivo, con riferimento ai soggetti stipulanti, l‟art. 12 bis contempla (oltre alle cooperative di cui all‟art. 1, comma 1, lett. b), legge n. 381 del 1991) anche le imprese sociali di cui al d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 e le cooperative di cui all‟art. 1, comma 1, lett. a), legge n. 381 del 1991. Mentre l‟“apertura” operata dalla disposizione in commento verso le “imprese sociali” va salutata sicuramente con favore, in quanto pienamente coerente con la natura e la funzione propria di tale soggetti giuridici, nonché con la disciplina normativa per essi predisposta, quella verso le cooperative sociali di tipo a) suscita, invece, più di una perplessità: ciò a motivo dell‟attività eminentemente socio-assistenziale - e, dunque, non preordinata né “attrezzata” all‟inserimento lavorativo - svolta da tale tipologia di cooperative nei confronti dei soggetti svantaggiati (e, tra essi, anche dei disabili)71. Ai sensi dell‟art. 12 bis, comma 4, i soggetti stipulanti la convenzione devono avere una serie di requisiti, quali: non avere in corso procedure concorsuali (lett. a)); aver 71 Tale ricomprensione appare, tanto più singolare se si pensa che lo stesso legislatore del 2007, in sede di modifica della disciplina dell‟art. 12, legge n. 68 del 1999, ha sì previsto, come per l‟art. 12 bis, la possibilità di stipulare la convenzione per le imprese sociali di cui al d.lgs. n. 155 del 2006, ma non anche per le cooperative sociali di tipo a). In ogni caso, la scelta (come altre, di cui si dirà) di riferire la stipula della convenzione disciplinata dall‟art. 12 bis alle cooperative di tipo a) sembra testimoniare la difficoltà del legislatore – manifestatasi, secondo alcuni, anche nella previgente disciplina in materia di convenzioni di inserimento lavorativo – a comprendere appieno la natura della cooperazione sociale di inserimento lavorativo e, soprattutto il ruolo che essa potrebbe svolgere nel favorire l‟inserimento nel mondo del lavoro dei disabili e, più in generale, dei soggetti svantaggiati: per una riflessione sul punto (con riferimento all‟esperienza normativa precedente alla legge n. 247 del 2007) cfr. Borzaga C., op. cit., p. 101 ss. 38 adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro (lett. b)); avere locali idonei (lett. c)); non aver proceduto nei 12 mesi precedenti l‟avviamento lavorativo del disabile a risoluzioni del rapporto di lavoro, escluse quelle per giusta causa e giustificato motivo (lett. d)); nonché, infine, avere nell‟organico almeno un lavoratore dipendente che possa svolgere le funzioni di tutor (lett. e)). Tali requisiti costituiscono, dunque, dei vincoli che condizionano la legittimità della stipula della convenzione. Alcuni di essi sembrano posti a tutela della sicurezza sul luogo di lavoro e della solidità economico-finanziaria dei soggetti stipulanti (art. 12 bis, comma 4, lett. a), b), d)); altri, invece, appaiono preordinati ad assicurare la correttezza, la buona riuscita nonché la stabilità dell‟inserimento lavorativo del disabile presso la struttura che lo accoglie (art. 12 bis, comma 4, lett. c) ed e)). La previsione dei requisiti in questione, almeno per come è stata realizzata dal legislatore, suscita qualche perplessità in relazione alla sua effettiva idoneità a raggiungere quello che sembra essere il suo scopo, vale a dire la realizzazione dell‟inserimento nel mondo del lavoro dei disabili senza che ciò comporti un abbassamento della protezione loro riconosciuta. I vincoli a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro e della solidità economica del soggetto ospitante, ad esempio, appaiono già assicurati e garantiti, oltre che dalla legge, dalla partecipazione alla stipula della convenzione del soggetto pubblico. Riguardo, poi, i requisiti preordinati ad assicurare la proficuità dell‟inserimento del disabile, si rileva che se la loro previsione può essere utile con riferimento ad alcuni dei soggetti legittimati alla stipula delle convenzioni, certamente lo è di meno per altri soggetti (come le cooperative sociali di tipo b)) che, per definizione, sono preordinati all‟inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati72. Sempre sotto il profilo soggettivo ma, questa, volta, con riferimento ai soggetti beneficiari dell‟inserimento, il meccanismo di inserimento di cui all‟art. 12 bis individua come destinatari i (soli) disabili “che presentano particolari caratteristiche e 72 In definitiva, sembra legittimo porsi la questione se l‟espressa introduzione di tali (ulteriori) condizioni, considerata in rapporto al quadro normativo di riferimento, abbia una qualche utilità in chiave antielusiva della disciplina a tutela dei disabili o, al contrario, finisca per “appesantire” la procedura di stipula della convenzione e, di conseguenza, il funzionamento del meccanismo di inserimento con essa realizzato senza, tuttavia, comportare un reale e significativo miglioramento dell‟apparato protettivo approntato dal legislatore. 39 difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”; sotto questo profilo, dunque, esso si avvicina allo strumento convenzionale previsto dall‟art. 11, comma 4, legge n. 68 del 1999, differenziandosi, invece, sia da quello previsto dall‟art. 12 (sia previgente che attuale), legge n. 68 del 1999, relativo a tutti i “disabili” così come individuati dall‟art. 1, comma 1, legge n. 68 del 1999, sia da quello disciplinato dall‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003 che, invece, è rivolto - almeno formalmente - all‟inserimento dei “lavoratori svantaggiati” di cui all‟art. 2, comma 1, lett. k), d.lgs. n. 276 del 2003 e dei “disabili” tout court. In verità - come si vedrà meglio nel prosieguo – (anche) tale ultima disposizione, a dispetto della sua formulazione letterale, è poi risultata sostanzialmente applicabile ai soli disabili con “particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”; ciò in quanto solo in quest‟ultimo caso è previsto un concreto incentivo alla stipula della convenzione, rappresentato dalla computabilità dell‟inserimento realizzato ai fini dell‟assolvimento dell‟obbligo di assunzione di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 (cfr. art. 14, comma 3, d.lgs. n. 276 del 2003). A ben vedere, meccanismo analogo a quello appena descritto è contenuto anche nell‟art. 12 bis: tale disposizione, infatti, stabilisce espressamente che “la stipula della convenzione è ammessa esclusivamente a copertura dell‟aliquota d‟obbligo e, in ogni caso, nei limiti del 10 per cento della quota di riserva di cui all‟art. 3, comma 1, lett. a), con arrotondamento all‟unità più vicina” (art. 12 bis, comma 2). Ai sensi dell‟art. 12 bis, comma 3, la stipulazione della convenzione deve avvenire nel rispetto di alcuni ulteriori requisiti, che potremmo definire “oggettivi”. E‟ richiesta, in primo luogo, l‟individuazione, effettuata dagli uffici competenti, sentito l‟organismo di cui all‟art. 6, comma 3, d.lgs. n. 23 dicembre 1997, n. 469 e s. m. i., dei soggetti disabili da inserire con la convenzione in esame “previo loro consenso”, nonché la “definizione di un piano personalizzato di inserimento lavorativo” (art. 12 bis, comma 3, lett. a)). In base al dettato normativo, dunque, gli uffici competenti devono procedere all‟individuazione dei disabili destinatari dell‟inserimento lavorativo tramite la convenzione; tuttavia, ai fini dell‟effettiva e corretta realizzazione dell‟inserimento, tale “operazione” non è di per sé sufficiente, ma dall‟accettazione del disabile stesso ad essere “inserito”. 40 deve essere accompagnata Peraltro, la previsione del necessario “previo consenso” del soggetto disabile al suo inserimento pone la questione - stante il silenzio della disposizione sul punto dell‟individuazione delle conseguenze discendenti da un suo eventuale rifiuto73. Con riferimento ai requisiti “oggettivi” della convenzione, l‟art. 12 bis, comma 3 stabilisce, inoltre, che quest‟ultima debba avere durata non inferiore ai tre anni (lett. b)) e debba prevedere una determinazione del valore della commessa (o delle commesse)74 di lavoro “non inferiore alla copertura, per ciascuna annualità e per ogni unità di personale assunta, dei costi derivanti dall‟applicazione della parte normativa e retributiva dei contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché dei costi previsti nel piano personalizzato di inserimento lavorativo” (lett. c)). E‟, infine, necessario che la convenzione preveda espressamente il conferimento della commessa da parte del datore di lavoro al soggetto c.d. “destinatario” e la contestuale assunzione da parte di quest‟ultimo del disabile o dei disabili da inserire (art. 12 bis, comma 3, lett. d)). Con riferimento al requisito di cui all‟art. 12 bis, comma 3, lett. c), tale previsione risponde all‟esigenza di determinare i criteri e le modalità di funzionamento (anche sotto il profilo economico) dell‟inserimento lavorativo mediante convenzione, chiarendo il nesso funzionale tra il conferimento di commesse da parte dei datori di lavoro ai soggetti destinatari dell‟inserimento e la contestuale assunzione dei disabili da parte di questi ultimi75. Alla scadenza della convenzione - che non può avvenire prima di tre anni dalla sua 73 Sotto questo profilo, può rilevarsi che, vista la presenza nella stessa legge n. 68 del 1999 (per la precisione, nell‟art. 10, comma 6) di una previsione di carattere generale sul punto - secondo la quale il disabile che per due volte consecutive, senza giustificato motivo non risponda alla convocazione o rifiuti il posto di lavoro offerto corrispondente ai suoi requisiti professionali ed alle disponibilità dichiarate all‟atto iscrizione nelle liste può decadere dal diritto all‟indennità di disoccupazione ordinaria e dalla cancellazione dalle liste di collocamento per un periodo di sei mesi - l‟ulteriore espressa previsione nell‟art. 12 bis, comma 3, lett. a) del necessario previo consenso del disabile al suo inserimento mediante convenzione potrebbe essere interpretata come un‟eccezione alla regola generale stabilita dall‟art. 10, comma 6, legge n. 68 del 1999. Se così fosse, l‟eventuale rifiuto del disabile ad essere inserito mediante la convenzione di cui all‟art. 12 bis sarebbe sottratto dalla disciplina di cui all‟art. 10, comma 6, legge n. 68 del 1999 e, dunque, non comporterebbe alcuna delle conseguenze negative ivi indicate. 74 L‟art. 12 bis, comma 3, lett. c), ultimo periodo, consente, infatti, “il conferimento di più commesse di lavoro”. 75 La ratio della norma appare quella di assicurare la copertura finanziaria dell‟assunzione che avverrà a fronte della commessa. In base alla previsione in commento, il legislatore appare ricomprendere nel valore delle commesse e, quindi, imputare ai datori di lavoro, pressoché tutti i costi relativi all‟assunzione del disabile presso i soggetti ospitanti. 41 stipula - il datore di lavoro committente, sempre che non decida di ricorrere ad altri istituti previsti dalla legge n. 68 del 1999, può, previa valutazione degli uffici competenti, rinnovare la convenzione per una sola volta e per un periodo non inferiore a due anni ovvero, in alternativa, “assumere il lavoratore disabile dedotto in convenzione con contratto a tempo indeterminato mediante chiamata nominativa”, anche in deroga a quanto previsto dall‟art. 7, comma 1, lett. c), legge n. 68 del 199976. In tal caso “il datore di lavoro potrà accedere al Fondo Nazionale per il diritto del lavoro dei disabili, di cui all‟art. 13, comma 4, nei limiti delle disponibilità ivi previste, con diritto di prelazione nell‟assegnazione delle risorse” (art. 12 bis, comma 5, lett. b)). Il datore di lavoro, dunque, oltre alla possibilità di utilizzare gli altri strumenti messi a disposizione dalla legge n. 68 del 1999 o di rinnovare nei modi e nei termini previsti la convenzione, può procedere all‟assunzione a tempo indeterminato del disabile o dei disabili per cui questa era stata precedentemente stipulata. La disposizione in commento, quindi, appare in qualche modo preordinare l‟inserimento lavorativo del disabile mediante convenzione alla sua assunzione a tempo indeterminato nella struttura del datore di lavoro conferente. Sotto questo profilo l‟art. 12 bis appare differenziarsi77 nettamente dall‟art. 12 (in entrambe le sue formulazioni); mentre, infatti, per quest‟ultima disposizione la contestuale assunzione a tempo indeterminato da parte del datore di lavoro (tenuto all‟obbligo di cui all‟art. 3 legge n. 68 del 1999) del disabile inserito temporaneamente in cooperativa costituisce uno dei requisiti necessari per la stessa sussistenza della convenzione, per l‟art. 12 bis l‟assunzione a tempo indeterminato del disabile rappresenta, invece, una (ma non l‟unica) delle possibilità per cui il datore di lavoro stipulante può optare al momento della scadenza della convenzione78. 76 Ciò significa che, anche in questo caso, così come nell‟ipotesi di inserimento attraverso la convenzione di cui all‟art. 11, l‟assunzione prevista dall‟art. 12 bis, comma 5, lett. b) potrà avvenire mediante chiamata nominativa (anche) a prescindere dal rispetto del limite stabilito dall‟art. 7, comma 1. 77 In questo, l‟art. 12 bis, legge n. 68 del 1999 diverge anche dall‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, che non prevede in capo al datore di lavoro conferente alcun espresso obbligo di assunzione (né a tempo determinato né tantomeno a tempo indeterminato) del disabile dedotto in convenzione: sul punto cfr. più avanti, nel testo. 78 In tale disposizione, infatti, l‟(obbligo di) assunzione (del disabile) integrante requisito necessario per la stipula della convenzione è sì previsto, ma riguarda i soggetti “destinatari”, vale a dire quelli dove deve realizzarsi l‟inserimento, e non i soggetti “conferenti”, cioè i datori di lavoro tenuti all‟obbligo di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999. E‟, invece, solo alla scadenza della convenzione che i datori di lavoro stipulanti possono, ai sensi del comma 5 dell‟art. 12 bis, ed in alternativa alle ulteriori opzioni da esso 42 2.4 Gli incentivi all’assunzione previsti dall’art. 13, legge n. 68 del 1999. A completamento dell‟esame della disciplina sinora illustrata, non può non farsi cenno al complesso di agevolazioni (economiche) che, ai sensi dell‟art. 13 79, legge n. 68 del 1999, possono essere concesse, a determinate condizioni, ai datori di lavoro stipulanti le convenzioni di cui all‟art. 1180. La ratio della disciplina incentivante contenuta nell‟art. 13 è stata individuata nell‟esigenza di fornire particolare (ed ulteriore tutela) ai disabili più difficilmente collocabili: ciò è desumibile, in particolare, dal fatto che la concessione delle agevolazioni, nonchè la loro consistenza, sono fatte dipendere dalla tipologia e/o dall‟intensità dell‟handicap dei soggetti da inserire. La disposizione in commento, al comma 1, prevede infatti che “le regioni e le province autonome possono concedere un contributo all'assunzione […]: a) nella misura non superiore al 60 per cento del costo salariale, per ogni lavoratore disabile che […] abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 % o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al T.U. in materia di pensioni di guerra, approvato con d. P. R. 23 dicembre 1978, n. 915, e s. m., ovvero con previste, procedere all‟assunzione a tempo indeterminato del disabile dedotto in convenzione (cfr. art. 12 bis, comma 5, lett. b)). 79 Sulla disciplina prevista dall‟art. 13 e sulle funzioni del Fondo nazionale ivi previsto, cfr. Ferrante V., sub Artt. 13, 14, in Santoro Passarelli G., Lambertucci P. (a cura di), op. cit., p. 1440 ss.; Nicolini C. A., Misure di agevolazione per le assunzioni di disabili, cit., p. 431 ss. 80 In realtà, a seguito dell‟introduzione nella legge n. 68 del 1999 dell‟art. 12bis, le agevolazioni previste dall‟art. 13 possono riguardare, oltre che le assunzioni di disabili avvenute a seguito della stipulazione di una delle convenzioni di cui all‟art. 11, anche quelle avvenute a seguito della stipulazione della convenzione di cui all‟art. 12bis. Ciò è desumibile dal comma 5 di tale ultima disposizione, secondo cui, qualora tra le possibilità offerte alla scadenza della convenzione, il datore di lavoro committente scelga quella di “assumere il lavoratore disabile dedotto” nella convenzione stessa “con contratto a tempo indeterminato”, egli “potrà accedere al Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili, di cui all'articolo 13, comma 4, nei limiti delle disponibilità ivi previste” e, addirittura, “con diritto di prelazione nell'assegnazione delle risorse”. La previsione di un diritto di prelazione in favore dei datori di lavoro stipulanti una convenzione ex art. 12bis rispetto a quelli stipulanti una convenzione ex art. 11 nell‟accesso agli incentivi previsti dall‟art. 13 - che come si vedrà meglio nel prosieguo, sono finanziati dal già citato Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili - ha suscitato qualche perplessità in parte della dottrina, che ha ravvisato una ingiustificata disparità di trattamento tra le due situazioni considerate. Emblematiche, da questo punto di vista, le osservazioni di Garofalo D., op. ult. cit., p. 830, secondo cui, a causa dell‟introduzione del suddetto meccanismo preferenziale, “il datore di lavoro obbligato [a seguito della stipula di una delle convenzioni di cui all‟art. 11], che sin dall‟inizio assume il disabile in convenzione, aspirando legittimamente ad usufruire delle risorse del Fondo Nazionale, si vedrà scavalcato dal datore di lavoro [stipulante, invece, la convenzione disciplinata dall‟art. 12], che ha “esternalizzato” per anni il disabile, con il rischio niente affatto remoto, per la scarsità di risorse disponibili, di non godere degli incentivi”. 43 handicap intellettivo e psichico, indipendentemente dalle percentuali di invalidità [ma, in ogni caso, con una riduzione della capacità lavorativa superiore a 45%, ex art. 1, comma 1, lett. a), legge n. 68 del 1999, ndr]” ovvero “b) nella misura non superiore al 25 per cento del costo salariale, per ogni lavoratore disabile che […] abbia una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 % e il 79 % o minorazioni ascritte dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate nella lettera a); ovvero, infine, “d) per il rimborso forfetario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento o per l'apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l'integrazione lavorativa del disabile”. Una volta chiarita la ratio sottesa all‟art. 13, al fine di una corretta disamina della regolamentazione in esso contenuta, occorre ricordare che anche quest‟ultima disposizione, al pari dell‟art. 12, è stato novellata dalla legge n. 247 del 2007. Tale intervento modificativo trova più di una giustificazione. Esso, in primo luogo, risponde all‟esigenza, fortemente sentita dal legislatore del 2007, di ricondurre il sistema incentivante contenuto nella disposizione in commento nell‟alveo della disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato all‟occupazione, assoggettandolo così espressamente alla regolamentazione ed ai vincoli da quest‟ultima previsti. Così come originariamente formulato, infatti, l‟art. 13 era completamente avulso dal “contesto comunitario in tema di aiuti di stato a favore dell‟occupazione così come delineato negli Orientamenti adottati dalla Commissione del 199581”: ciò “forse perché si riteneva da parte del nostro legislatore che la condizione dei soggetti, la cui assunzione veniva incentivata, escludesse l‟operatività dei vincoli comunitari ex art. 87 Trattato CE [ora art. 107 TFUE, a seguito dell‟entrata in vigore del Trattato di Lisbona82]. Ma l‟adozione nel 2002 del regolamento CE n. 2204, che riguarda gli aiuti 81 Si tratta degli gli Orientamenti 95/C del 12 dicembre 1995, sulla cui base sono stati poi emanati il Regolamento CE n. 994/1998 - su cui vedi più oltre, nota 36 - ed il regolamento CE n. 2204/2002, ora, come già detto, sostituito dal regolamento CE n. 800 del 2008. 82 Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009, ha previsto una profonda modifica dell‟impalcatura normativa europea, che ora consta di due Trattati: il 44 per incentivare l‟assunzione dei lavoratori svantaggiati o disabili, ha suggerito l‟opportunità di un intervento conformatore”83. Nello specifico, infatti, il regolamento CE n. 2204/2002 - ora, peraltro, sostituito dal regolamento CE n. 800/2008, a cui tutti i riferimenti al precedente regolamento del 2002 devono intendersi effettuati84 e che, almeno per quel che qui interessa, di quest‟ultimo riprende la disciplina, seppur con alcune modifiche ed ampliamenti - prevede(va) i casi ed i limiti in cui gli aiuti di stato (all‟occupazione) sono compatibili con il mercato comune e sono esenti dall‟obbligo di notificazione alla Commissione di cui all‟art. 88, paragrafo 3, del Trattato CE (ora art. 108, par. 3, TFUE). La comprensione di tale disciplina regolamentare - sia di quella previgente, sia a quella attuale - impone preliminarmente l‟individuazione della nozione di “aiuto di Stato”. Ai sensi dell‟art. 87, paragrafo 1, Trattato CE (art. 107 TFUE), e salvo deroghe previste dallo stesso Trattato, “sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. La lettera della norma, stante la formulazione piuttosto generica, non permette di individuare con precisione né che cosa debba intendersi per “aiuto di stato”, né quando questo risulti incompatibile con il mercato comune85. In queste condizioni, si sono rivelate fondamentali per la risoluzione delle questioni interpretative conseguentemente sorte sia l‟attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia che la prassi della Commissione, che hanno delineato i contorni della fattispecie di cui all‟art. 87, paragrafo 1, Trattato CE (art. 107 TFUE). Sulla base di tali indicazioni, per aiuto di stato deve intendersi qualsiasi tipo di misura posta in essere attraverso l‟intervento dei pubblici poteri a vantaggio di una determinata Trattato sull‟Unione Europea (TUE), contenente i principi fondanti dell‟Unione e la disciplina di carattere sostanziale, ed il Trattato sul funzionamento dell‟Unione Europea (TFUE), di taglio maggiormente operativo, contenente tutte quelle disposizioni volte a regolare le competenze ed a delimitare il campo d‟azione dell‟Unione e delle sue Istituzioni. 83 Cfr. Garofalo, op. ult. cit., p. 832. 84 Cfr. in merito l‟art. 43, ultimo paragrafo, regolamento CE n. 800/2008. 85 E‟ una valutazione molto diffusa in dottrina: cfr. ad esempio Tiraboschi M., Incentivi all’occupazione, aiuti di stato, diritto comunitario della concorrenza, 2002, Torino, p. 63 ss.; Garattoni M., L’inserimento dei lavoratori svantaggiati nel sistema comunitario degli aiuti di stato, in Riv. giur. lav., 2006, 3, p. 640. 45 impresa o settore di imprese, e suscettibile di risolversi in una distorsione della concorrenza e degli scambi intracomunitari86. In altri termini, affinché una determinata misura possa essere qualificata come aiuto di Stato deve presentare determinate caratteristiche, vale a dire: deve determinare un onere economico o un mancato guadagno per lo Stato87; deve essere diretta ad una singola impresa o ad un ambito determinato di imprese; deve determinare un effetto favorevole sui bilanci dell‟impresa che ne fruisce, anche se non in termini di introito88. La valutazione circa la compatibilità dell‟aiuto rispetto al mercato comune è attribuita, ex art. 88 del Trattato CE (ora 108 TFUE), alla Commissione; lo stesso articolo, al paragrafo 3, prevede inoltre che gli Stati hanno l‟obbligo di notificare a tale organo i progetti destinati ad istituire o modificare aiuti, i quali non possono essere erogati prima che il potere di controllo della Commissione abbia condotto ad una decisione finale89. Esistono tuttavia delle tipologie di aiuti che possono essere esenti da notifica90: tra queste rientrano anche gli aiuti di Stato a favore dell‟occupazione91 che soddisfino le condizioni92 previste (prima) dal Regolamento CE n. 2204/2002 (e, ora, dal regolamento CE n. 800/2008) e quindi - per quel che a noi interessa - gli aiuti a favore dell‟occupazione dei disabili. La previsione di tale esenzione ha come obiettivo la promozione dell‟occupazione in 86 Cfr. Morrone A., Il nuovo regolamento comunitario in materia di aiuti di stato a favore dell’occupazione, in Lav. giur., 2003, 2, p. 115, nota 3. 87 E‟ questo il principio cui la giurisprudenza della Corte di Giustizia sembra attribuire più rilievo: sul punto, cfr. Garattoni M., op. ult. cit., p. 641. 88 Per la giurisprudenza comunitaria di riferimento cfr. Garattoni M., op. ult. cit., p. 641 ss., note 23, 24, 25 e 26. 89 Il procedimento di controllo degli aiuti pubblici alle imprese è disciplinato dal Regolamento del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659. 90 La possibilità, per il Regolamento CE n. 2204/2002 e, successivamente, per il Regolamento CE n. 800/2008, di prevedere l‟esenzione dall‟obbligo di notifica alla Commissione, ha come antecedente (e presupposto logico-giuridico) il Regolamento CE del Consiglio 7 maggio 1998, n. 994, sull‟applicazione degli artt. 92 e 93 TCE (poi artt. 87 e 88 TCE e, ora 107 e 108 TFUE) a determinate categorie di aiuti di stato orizzontali. Tale provvedimento, infatti, prevede che la Commissione possa adottare regolamenti di esenzione dall‟obbligo di notifica ex art. 88, paragrafo 3, del Trattato CE (ora art. 107 TFUE) per determinate categorie di aiuti - in cui rientrano anche gli aiuti a favore dell‟occupazione - ritenute compatibili con il mercato comune. Il Regolamento CE n. 2204/2002, dunque, ha rappresentato il regolamento d‟esenzione relativo agli aiuti di stato a favore dell‟occupazione. Peraltro, come abbiamo visto, è stata medio tempore presentata dalla Commissione una proposta per l‟adozione di un unico regolamento di esenzione in materia di aiuti di stato; proposta che ha costituito il punto di partenza del percorso normativo che, poi, è sfociato nell‟emanazione del regolamento CE n. 800 del 2008. 91 Per una definizione di aiuto di stato a favore dell‟occupazione, cfr. Morrone A., op. cit., p. 115. 92 Per l‟individuazione del campo di applicazione del Regolamento, delle tipologie di aiuti cui esso si riferisce, e della disciplina ivi contenuta, cfr. ancora Morrone A.,op. cit., p. 116 ss. 46 base alle linee tracciate dalla “strategia europea per l‟occupazione”, in particolare per i lavoratori delle categorie svantaggiate, senza alterare gli scambi comunitari in misura contraria all‟interesse comune. Ora, tornando alla disciplina nazionale e, in particolare, all‟art. 13, legge n. 68 del 1999, esso, a seguito della novella del 2007, prescrive espressamente che le agevolazioni ivi disciplinate devono essere concesse “nel rispetto delle disposizioni del regolamento CE n. 2204/2002 [e ora del regolamento CE n. 800/2008, a cui tutti i riferimenti al precedente provvedimento del 2002 devono intendersi effettuati], relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione [ora 107 e 108 TFUE]. In questo modo, il legislatore nazionale qualifica esplicitamente gli incentivi previsti dall‟art. 13 come degli aiuti assoggettati alla regolamentazione sopra illustrata, assicurandone così l‟esenzione dell‟obbligo di notifica. Con la novella del 2007, il legislatore è, poi, intervenuto a sanare un‟altra criticità riscontrata nella versione originaria dell‟art. 13, relativa, in questo caso, alla disciplina del procedimento di concessione degli incentivi, rivelatosi lesiva dei principi costituzionali in materia di riparto di competenze (legislative e non) tra Stato e regioni. In principio, infatti, la disposizione in commento, pur affidando alle regioni l‟erogazione degli incentivi - tra di esse ripartite, sulla base delle risorse disponibili del Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili di cui all‟art. 13, comma 4, legge n. 68 del 1999 - attribuiva al Ministero del lavoro la competenza ad emanare la normativa regolamentare disciplinante la concessione degli incentivi stessi. Tale modus procedendi, tuttavia, per come congegnato, appariva lesivo sia della disciplina contenuta nel d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469 - che ha trasferito alle regioni le competenze amministrative in materia di collocamento e di politiche attive del lavoro93 sia dell‟art. 118 Cost., e ciò in maniera ancor più evidente dopo il 2001, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, la quale ha attribuito alle regioni anche la competenza legislativa in materia di gestione del mercato del lavoro. Ora, la versione attuale dell‟art. 13, pur mantenendo in capo al Ministero del Lavoro la 93 Cfr. in merito le osservazioni di Garofalo D., op. ult. cit., p. 832. Si vedano altresì le osservazioni di Canavesi G., Tutela del lavoro e tutela della persona. Vincoli normativi all’inserimento dei disabili, 2008, inedito, p. 48. 47 competenza a definire i criteri e le modalità di massima in materia di ripartizione delle disponibilità del Fondo di cui all‟art. 13, comma 4, legge n. 68 del 1999, ha rimesso alle regioni ed alle province autonome la competenza a disciplinare il procedimento di concessione degli incentivi in questione94. Ancora, ulteriore innovazione introdotta dalla legge n. 247 del 2007 - riguarda la natura e struttura delle agevolazioni, prevedendosi ora, invece che la fiscalizzazione pluriennale dei contributi previdenziali ed assistenziali relativi ai lavoratori assunti fiscalizzazione che era totale per un periodo di massimo 8 anni, per l‟assunzione dei disabili di cui alla lett. a) del comma 1 dell‟art. 13, e, invece, pari al 50% per un periodo di massimo 5 anni, per l‟assunzione dei disabili di cui alla lett. b) del comma 1 dell‟art. 13 - un “contributo all‟assunzione”95 (art. 13, comma 1). Quest‟ultimo, a prescindere dalla sua possibile diversa intensità – che, come già detto, varia a seconda della gravità della disabilità sofferta (art. 13, comma 1, lett. a) e b)) – devo essere ragguagliato al totale del costo salariale annuo da corrispondere al lavoratore (art. 13, comma 1, lett. c)). E‟ rimasta, invece, immodificata rispetto al passato l‟ulteriore tipologia di incentivi prevista dall‟art. 13, comma 1, lett. d), finalizzata “essenzialmente al profilo ergonomico dell‟ambiente di lavoro”96, costituita dal rimborso forfetario delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro al fine di renderlo confacente alle possibilità produttivo-operative di disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%, ovvero alla predisposizione di tecnologie di telelavoro e/o alla rimozione di barriere architettoniche. Venendo, ora, alla disamina della modalità di funzionamento del sistema incentivante previsto dall‟art. 13, versione vigente, occorre, in primo luogo rilevare come la concessione delle agevolazioni sopra individuate sia subordinata alla presenza di una 94 Più precisamente, in base alla formulazione vigente dell‟art. 13, il riparto delle risorse disponibili avviene annualmente, in proporzione alle richieste presentate e ritenute ammissibili, in base ai criteri individuati con decreto ministeriale (ex art. 13, comma 5, legge n. 68 del 1999), nel rispetto dei quali, poi, le regioni e le province autonome disciplinano i procedimenti per la concessione dei contributi (ex art. 13, comma 8): cfr. in merito Garofalo D., op. ult. cit., p. 833, testo e note da 399 a 403. 95 In dottrina si è osservato come la sostituzione della fiscalizzazione degli oneri sociali con la concessione di un “contributo” non sia un cambiamento meramente formale, in quanto” le due figure non sono equivalenti. Basti considerare che il contributo ha la fisionomia di una posta attiva, in quanto erogazione monetaria, invece che di un risparmio di spesa e ciò non è senza conseguenze sul piano del trattamento fiscale e contabile” cfr. in merito Canavesi G., op. ult. cit., p. 47 s. 96 Cfr. Garofalo D., op.ult. cit., p. 833. 48 serie di condizioni. In particolare, oltre al necessario rispetto della disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato all‟occupazione, alla previa stipula di una delle convenzioni di cui agli artt. 11 e 12bis, ed al possesso da parte del disabile da assumere, di un determinato grado di invalidità e/o di una particolare tipologia di handicap - di cui già si è detto sopra - rileva anche un ulteriore requisito, rappresentato dal fatto che le assunzioni da incentivare siano “a tempo indeterminato” (cfr. art. 13, comma 1, lett. a) e b), nonché commi 2 e 3)97. Tale ultima condizione della necessaria stabilità dell‟assunzione, pure introdotta con la novella del 2007, ha suscitato più di una perplessità: ciò in quanto, oltre che “in decisa controtendenza rispetto all‟evoluzione della normativa comunitaria ed interna in tema di incentivi all‟occupazione”98, comporta, rispetto alla disciplina previgente, una (ulteriore) restrizione alla concreta possibilità di impiego del sistema incentivante in commento, limitando di fatto “l‟ambito entro cui i contributi possono concedersi”99. 97 In merito, la disposizione in commento specifica ulteriormente che, in concreto, la concessione delle agevolazioni è “subordinata alla verifica, da parte degli uffici competenti, della permanenza del rapporto di lavoro o, qualora previsto, dell‟esperimento del periodo di prova con esito positivo” . 98 Di questo avviso è, ad esempio, Garofalo D., op. ult. cit., p. 833, il quale, a supporto della sua tesi, cita l‟art. 5, comma 3, regolamento CE n. 2204 del 2002, che collega l‟incentivo all‟occupazione dei disabili alla garanzia della “continuità dell‟impiego per almeno 12 mesi” e, ancora, l‟art. 41, comma 5, regolamento CE n. 800 del 2008, sostituitosi a quello del 2002 precedentemente citato, secondo cui, addirittura “fatto salvo il caso di licenziamento per giusta causa, al lavoratore è garantita la continuità dell‟impiego per un periodo minimo coerente con la legislazione nazionale o con contratti collettivi in materia di contratti di lavoro . Qualora il periodo di occupazione sia più breve di 12 mesi, l‟aiuto sarà ridotto pro rata di conseguenza”. 99 Cfr. Canavesi G., op.ult. cit., p. 47. 49 2.5 Le convenzioni-quadro di cui all’art. 14, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Al fine di favorire l‟inserimento lavorativo dei “lavoratori svantaggiati”100 e dei disabili, l‟art. 14, d.lgs. 10 settembre 2003 prevede la stipulazione tra i Centri per l‟impiego (sentito il Comitato tecnico di cui all‟art. 6, comma 3, d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469 e s. m. i.), le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative sociali ed i consorzi di cui all‟art. 8, legge 8 novembre 1991, n. 381, di convenzioni quadro su base territoriale, aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro da parte delle imprese associate o aderenti, per le cooperative sociali medesime (art. 14, comma 1). L‟efficacia delle convenzioni quadro è condizionata alla validazione delle regioni, sentite le Commissioni Regionali e Provinciali tripartite di cui al d.lgs. n. 469 del 1997 (art. 14, comma 1). La disposizione in commento indica, inoltre, gli aspetti che la convenzione quadro deve disciplinare (art. 14, comma 2) e, infine, stabilisce che nell‟ipotesi di inserimento lavorativo di disabili “che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”, esso si considera utile ai fini della copertura della quota di riserva di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 cui sono tenute le imprese conferenti (art. 14, comma 3); sempre che, tuttavia, queste ultime abbiano adempiuto agli obblighi di assunzione dei disabili ai fini della copertura della restante quota d‟obbligo ex art. 3, legge n. 68 del 1999 (art. 14, comma 4). Già da questa sommaria illustrazione, emerge come l‟articolo in esame predisponga un meccanismo di inserimento lavorativo in favore di soggetti deboli che, secondo la logica 100 Ai sensi dell‟art. 2, comma 1, lett. k) d.lgs. n. 276 del 2003 è considerato “lavoratore svantaggiato” qualsiasi “persona appartenente a una categoria che abbia difficoltà a entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 2, lettera f), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002 relativo alla applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore della occupazione [norma che prevedeva la definizione comunitaria di “lavoratore svantaggiato”, ora sostituita da quella equivalente contenuta nell‟art. 2, par. 1, n. 18, del regolamento (CE) della Commissione del 7 luglio 2008, la cui disciplina, come già detto, ha sostituito quella del regolamento del 2002], nonché ai sensi dell'articolo 4, comma 1, legge 8 novembre 1991, n. 381 (norma che definisce le “persone svantaggiate”, i soggetti, cioè, per cui la legge prevede il possibile collocamento in cooperativa sociale di inserimento lavorativo). 101 Cfr. per tutti Scartozzi G., op. ult. cit., p. 334 s.; Persico N., Nuovi percorsi di inserimento lavorativo per i disabili ed i lavoratori svantaggiati. L’art. 14 del d.lgs. n. 276 del 2003 a due anni dall’entrata in vigore, in Boll. Adapt, 2005, n. 12, p. 4. 50 del mercato, difficilmente entrerebbero a far parte del sistema produttivo101. Il meccanismo in parola, il cui fulcro è costituito dalla convenzione quadro, è ispirato ad una logica non meramente assistenziale, ma promozionale, di intervento integrato tra soggetti pubblici e privati del mercato del lavoro, in attuazione dei criteri direttivi della legge delega 14 febbraio 2003, n. 30102. E‟, infatti, attraverso la convenzione che si crea, in concreto, un “contatto”103, un‟interazione tra soggetto pubblico, imprese “ordinarie” e cooperative sociali di tipo b) nell‟attuazione di politiche di inclusione lavorativa dei soggetti svantaggiati104. L‟art. 14, pur traendo spunto dall‟esperienza normativa precedente105 - rappresentata, in particolare, dagli artt. 11 e 12, legge n. 68 del 1999 - e pur mantenendo ferma la scelta di valorizzare le capacità di inclusione lavorativa propria delle cooperative sociali106, 101 Cfr. per tutti Scartozzi G., op. ult. cit., p. 334 s.; Persico N., Nuovi percorsi di inserimento lavorativo per i disabili ed i lavoratori svantaggiati. L’art. 14 del d.lgs. n. 276 del 2003 a due anni dall’entrata in vigore, in Boll. Adapt, 2005, n. 12, p. 4. 102 Criteri direttivi che prescrivevano la realizzazione del “coordinamento ed il raccordo tra operatori privati ed operatori pubblici” del mercato: cfr. in proposito l‟art. 1, comma 2, lett. f) della legge delega 14 febbraio 2003, n. 30. 103 In merito, è stato osservato che la disposizione in commento si propone di promuovere, attraverso lo strumento della convenzione (e sotto la “supervisione” del soggetto pubblico), “l‟instaurazione di relazioni produttive tra imprese a scopo di lucro e cooperative sociali per favorire l‟occupazione” dei soggetti svantaggiati: cfr. Borzaga C., Cooperazione sociale e inserimento lavorativo: il contributo dell’analisi economica, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 102; cfr. sul punto anche Tursi A., Le nuove convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 95, che parla a riguardo di un “tentativo di creare sinergie positive tra le imprese sociali e quelle lucrative”. 104 Sotto questo profilo, la disposizione in commento si caratterizza per la volontà di attribuire alle cooperative sociali un ruolo di primo piano nello sviluppo e realizzazione di politiche attive di collocamento dei soggetti deboli, riconoscendo, nello stesso tempo, l‟importante azione da esse svolta finora in questo campo. In quest‟ottica, lo strumento della convenzione è diretto ad “assecondare la naturale vocazione delle cooperative sociali d‟inserimento lavorativo, allestendo una rete di regole miranti ad avvicinare il mondo della cooperazione sociale a quello delle imprese ordinarie”: cfr. Tursi A., op. ult. cit., p. 95; Rosato S., Nuove opportunità di inclusione per i “diversamente abili”: l’art. 14 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, 2004, Giuffré, Milano, p. 606 ss.; Scartozzi G., op. cit., p. 340; Timellini C., la tutela per i lavoratori svantaggiati: il raccordo pubblico-privato e le cooperative sociali, in Galantino L. (a cura di), La riforma del mercato del lavoro, 2004, Giappichelli, Torino, p. 145 ss. 105 Per un‟analisi delle esperienza normativa precedente all‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, cfr. Borzaga C., op. cit., p. 108 ss; Slataper S., Le convenzioni con le cooperative sociali per favorire l’inserimento dei soggetti svantaggiati, in Miscione M., Ricci M. (a cura di), Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, I. Organizzazione e disciplina del mercato del mercato del lavoro, Titoli I e II, Artt. 1-19, 2004, Milano, Ipsoa, p. 290 s. 106 Ciò in considerazione del fatto che, visti “gli indiscutibili successi della cooperazione sociale nel campo dell‟inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati”, le inefficienze dell‟esperienza precedente e, in particolare, l‟insuccesso dell‟art. 12, non possono ritenersi ascritti, “in sé, alla scelta di mettere in rete le cooperative sociali con le imprese lucrative, bensì nel modo in cui si è pensato di farlo”: cfr. Tursi A., op. ult. cit., p. 72. 51 presenta, rispetta ad essa, alcune importanti differenze107. Una di esse riguarda senz‟altro il “livello” dei soggetti stipulanti, il quale è costituito (non direttamente dai soggetti in concreto interessati alla stipula della convenzione, ma bensì) dalle associazioni sindacali dei lavoratori, dei datori di lavoro e dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative108. Dalla scelta del livello delle parti stipulanti emerge come la convenzione di cui all‟art. 14 voglia predisporre (e favorire) “l‟approccio concertativo territoriale”109 tra i soggetti coinvolti, e riconoscere alle parti sociali la competenza ad intervenire nella regolazione dell‟inserimento lavorativo delle persone “svantaggiate”110. Altro aspetto importante da rilevare, in questo contesto, è l‟attribuzione all‟attore 107 Cfr., in tal senso, Scartozzi G., op. cit., p. 332; Persico N., op. cit., p. 2, nonché Slataper S., op. ult. cit., p. 297. 108 Dunque, le convenzioni previste dalla lettera dell‟art. 12, legge n. 68 del 1999, non possono considerarsi convenzioni “quadro”, in quanto la loro stipula avviene a livello individuale, e non collettivo, come invece accade per quelle di cui all‟art. 14. Peraltro, qualche esempio di approccio concertativo territoriale precedente all‟art. 14 e, quindi, qualche elemento di continuità con l‟esperienza precedente, può forse rinvenirsi (non nella formulazione, bensì) nella prassi attuativa dello stesso art. 12, legge n. 68 del 1999; prassi che, in qualche caso, ha previsto la stipula di convenzioni quadro a livello territoriale. 109 Cfr. Scartozzi G., op. cit., p. 338, secondo cui la previsione di un approccio concertativo a livello territoriale crea “le premesse per poter realizzare maggiori coerenze tra processi di inserimento delle persone svantaggiate, specie quelle con maggiori problemi, la congruità delle commesse, in termini di attività e risorse, i piani di sviluppo produttivo e lavorativo per le cooperative sociali”. Sul punto cfr. anche Nogler L., op. cit., p. 196. 110 Cfr. Timellini C., op. cit., p. 147. Parti necessarie della convenzione sono, dunque, oltre all‟organo pubblico titolare della funzione di politica del lavoro, i soggetti collettivi afferenti ai centri di interesse coinvolti. Riguardo questi ultimi, in dottrina si è evidenziato che, mentre per i sindacati dei lavoratori andrebbe “escluso un meccanismo di rappresentanza negoziale” - e ciò in quanto i lavoratori svantaggiati da inserire in cooperativa sono individuati in considerazione della loro situazione di svantaggio, senza che rilevi né la loro “affiliazione sindacale, né alcuna forma di collegamento della volontà dei lavoratori con quella dei sindacati” - la rappresentatività di tali sindacati rilevando come requisito di legittimità della convenzione, e non come meccanismo di riconduzione della volontà individuale alla volontà “collettiva” - a conclusione diversa deve pervenirsi, invece, con riferimento ai sindacati dei datori di lavoro. In questo caso, infatti, “non si prescinde da un meccanismo di riconduzione della volontà dei soggetti singoli alla volontà “collettiva”, essendo espressamente previsto che la convenzione sia riferibile alle imprese “associate o aderenti” (art. 14, comma 1, ultima parte), e rimettendosi alla stessa convenzione la predeterminazione delle modalità di adesione da parte delle “imprese interessate” (art. 14, comma 2, lett. a))”: cfr. in merito Tursi A., Le nuove convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 95. Sempre questo Autore rileva, poi, che la convenzione, in ogni caso, si configurerebbe nei confronti dei datori di lavoro, come un contratto a struttura aperta o “per adesione”, sicché sarebbe configurabile, in assenza di diversa previsione della convenzione, la possibilità di adesione alla convenzione da parte di imprese non associate ad una organizzazione imprenditoriale stipulante. Tale opportunità, invece, stante la lettera della norma, non pare ammissibile per le cooperative; per cui le imprese sociali non affiliate alle associazioni di rappresentanza, assistenza, tutela delle cooperative, o non consorziate (ai sensi dell‟art. 8, legge n. 381 del 1991) sembrano non poter aderire, a meno che non ci sia una espressa previsione della convenzione in tal senso. Sull‟argomento, cfr. anche Cfr. Nogler L., Cooperative sociali ed inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati, in Aa. Vv. (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, 2004, Zanichelli, Bologna, p. 198. 52 pubblico (coinvolto a vario titolo, ed in varie vesti: si pensi ad esempio alle Regioni, ai servizi per l‟impiego, alle Commissioni provinciali del lavoro) di compiti molto importanti, sia nella fase della conclusione della convenzione, sia successivamente111. Nelle convenzioni di cui all‟art. 14, insomma, il ruolo di “propulsore e garante della triangolazione”112 attribuito dal legislatore al soggetto pubblico è particolarmente esaltato: ciò, a ben vedere, al fine di eliminare - o quantomeno ridurre il più possibile il rischio di (eccessiva) discrezionalità e, conseguentemente, di eventuali profili di inammissibilità nelle scelte compiute dai soggetti privati coinvolti113. Sempre sotto il profilo soggettivo, ma, questa volta, con riferimento ai beneficiari della misura di inserimento prevista dalla disposizione in commento, essa è destinata, almeno formalmente, sia ai lavoratori c.d. “svantaggiati” che ai disabili. In realtà, è da dubitare che la disciplina dell‟art. 14 possa essere in concreto applicabile a tutti i soggetti ivi richiamati: ciò, in particolare, in quanto esso prevede un “sostegno” esplicito al solo inserimento dei disabili “che presentino particolari caratteristiche e 111 Essi, infatti, oltre al ruolo “propulsivo” che svolgono in fase di stipula della convenzione, devono, ad esempio, convalidare la convenzione (art. 14, comma 1); scegliere, tra le tipologie indicate nella convenzione stessa, i lavoratori disabili da coinvolgere nell‟iniziativa (art. 14, comma 2, lett. b)); individuare i disabili “che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario” per cui l‟inserimento si considera utile ai fini della copertura della quota di riserva di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 (art. 14, comma 3); verificare “la congruità della computabilità dei lavoratori inseriti in cooperativa” (art. 14, comma 3). Infine, più in generale, essi hanno funzioni di valutazione e vigilanza, affinché si realizzino correttamente i percorsi di inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati nell‟ambito delle cooperative sociali. 112 Cfr. Nogler L., op. cit., p. 196 s. Tale ruolo, in definitiva, è espressione dell‟interesse pubblico all‟inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati e, quindi, della rilevanza pubblicistica della convenzione. Sulla natura giuridica delle convenzioni quadro, in dottrina sono state proposte varie ricostruzioni: cfr. Slataper S., op. cit., p. 297, che la ritiene una “mera condizione per l‟ottenimento dei benefici” previsti dal comma 3 dell‟art. 14; Tursi A., Cooperative sociali e inserimento dei lavoratori svantaggiati, in Aa. Vv. (a cura di), Come cambia il mercato del lavoro, 2004, Ipsoa, Milano, p. 71 ss., che considera la convenzione un “accordo normativo”, di natura non immediatamente dispositiva, per cui le previsioni in essa contenute pongono “dei presupposti di legittimità e validità delle condotte negoziali ed amministrative attuative dei soggetti privati e dei servizi per l‟impiego (segnatamente: i contratti d‟appalto stipulati tra le imprese conferenti e le cooperative sociali e l‟individuazione dei lavoratori svantaggiati e disabili)”. 113 Cfr. Scartozzi G., op. cit., p. 339. Sotto questo profilo, in dottrina si è osservato che l‟art. 14 tenta un superamento della precedente esperienza (da cui trae senz‟altro spunto) del Protocollo d‟intesa 17 settembre 1996 tra Ulpmo di Treviso, il Consorzio Coop. Pro. Intesa, l‟Unindustria Treviso, l‟Ance Treviso, l‟Ascom di Treviso, le Oo. Ss. Cgil, Cisl, Uil. Il contenuto di tale accordo, che ha sollevato più di un dubbio sulla sua legittimità, è risultato inattuabile in quanto “la gestione del collocamento obbligatorio veniva in sostanza attribuita ad un consorzio di cooperative ed all‟Unione industriali, senza che il servizio pubblico avesse alcun ruolo, e potesse incidere sulle scelte compiute dai due predetti soggetti privati”: cfr. ancora Scartozzi G., op. cit., p. 339, nota 25; Nogler L., op. cit., p. 196 s.; sul protocollo d‟intesa cfr. anche Canavesi G., Collocamento dei disabili e ruolo degli enti non profit, in DL Marche, 1999, 2-3, p. 183. 53 difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”, stante la possibilità, unicamente in questo caso, di considerare l‟inserimento utile ai fini della copertura della quota di riserva di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999 (art. 14, comma 3)114. Venendo, infine, al contenuto della convenzione, essa ha ad oggetto “il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali […] da parte delle imprese associate o aderenti”115. Queste ultime, a fronte della commessa, procedono all‟inserimento al lavoro dei soggetti svantaggiati (individuati in base ai criteri stabiliti dalla convenzione ai sensi dell‟art. 14, comma 1, lett. b); per i disabili, invece, l‟individuazione sarà effettuata dai servizi di cui all‟art. 6, comma 1, legge n. 68 del 1999). Tale disciplina, dunque, prevede l‟instaurazione di un rapporto di lavoro tra il soggetto svantaggiato e la cooperativa: (anche) sotto questo profilo, allora, la disposizione in commento si differenzia dall‟art. 12, legge n. 68 del 1999 che, invece prescrive l‟assunzione (a tempo indeterminato) del disabile da parte dell‟impresa conferente, e il suo contestuale inserimento temporaneo in cooperativa; nell‟istituto introdotto nel 2003, insomma, si assiste all‟eliminazione dell‟instaurazione di un rapporto diretto tra il lavoratore e l‟impresa conferente. 114 In merito all‟ambito di applicazione soggettivo dell‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, la dottrina è pressoché concorde nel considerare i disabili come i destinatari “di favore” di tale disposizione mentre, invece, si è divisa sull‟effettiva possibilità di applicarla anche ai “lavoratori svantaggiati” di cui all‟art. 2, comma 1, lett. k), d.lgs. n. 276 del 2003. Su tale questione, a sostegno della parziale ineffettività della disposizione, cfr. ad esempio Garattoni M., Cooperative sociali ed inserimento dei lavoratori svantaggiati, in Gragnoli E., Perulli A. (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al d.lgs.10 settembre 2003, n. 276, 2004, Padova, p. 224 ss.; contra (ma con diversità di accenti) Persico N., op. cit., p. 4; Nogler L., Cooperative sociali ed inserimento dei lavoratori svantaggiati, in Aa. Vv., Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, 2004, Bologna, p. 189 s. In ogni caso, al di là della diversità di posizioni, la circostanza che l‟art. 14 stabilisce il sostegno esplicito del solo inserimento dei lavoratori disabili con “particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario” ha fatto sì che in concreto l‟attuazione della disposizione (sia ad opera delle convenzioni quadro a livello territoriale che della legislazione regionale) abbia riguardato solo il meccanismo ora descritto - e, dunque, l‟inserimento di (una particolare tipologia di) disabili - e non si sia estesa anche alla possibilità di utilizzare la convenzione quadro come strumento di politica attiva del lavoro volto all‟inserimento dell‟ampia schiera dei soggetti svantaggiati: cfr. sul punto Cimaglia M. C., L’esperienza applicativa dell’art. 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, in GDLRI, 2006, 1, p. 131 s. 115 Cfr. Nogler L., op. cit., p. 197, per cui il principale contenuto della convenzione è “rappresentato, dunque, dai contratti d‟appalto (d‟opera e di servizi)”. Altri autori, invece, hanno osservato che la convenzione quadro “non incorpora alcun contratto commerciale tra imprese conferenti e cooperative sociali, ma piuttosto detta le condizioni e le modalità di attuazione dei contratti che tali soggetti stipuleranno successivamente”: cfr. Tursi A., Cooperative sociali e inserimento dei lavoratori svantaggiati, in Aa. Vv., Come cambia il mercato del lavoro, 2004, Ipsoa, Milano, p. 71. 54 Rispetto alla disciplina dell‟art. 12116, inoltre, scompare anche l‟indicazione circa la durata dell‟inserimento117. Mancando, quindi, qualsiasi cenno alla durata del rapporto giuridico tra cooperativa e lavoratore, esso potrà essere a tempo indeterminato o a termine118. Questo, in sintesi, l‟impianto complessivo della disciplina contenuta nell‟art. 14. Come già si è avuto modo di accennare, la disposizione in commento - concepita per (tentare di) superare le critiche mosse ai meccanismi convenzionali previsti dalla legge n. 68 del 1999 (e, in particolare, a quello di cui all‟art. 12), ritenuti da alcuni eccessivamente basati “su un concetto di tutela e non di promozione” 119 - è stata a sua volta al centro di un acceso dibattito, e di alterne vicende di politica legislativa, sfociate dapprima nella sua abrogazione (ex art. 1, comma 38, legge n. 247 del 2007) e, poi, dopo circa un anno, nella sua reintroduzione, mediante soppressione della norma abrogante (ex art. 39, comma 10, lett. m), legge 6 agosto 2008, n. 133. Le critiche mosse alla disposizione in commento sono state più d‟una. Essa, come già si è avuto modo di dire supra, è stata giudicata pressoché inapplicabile o, in ogni caso, ineffettiva - con riferimento alla realizzazione di inserimenti relativi a soggetti svantaggiati diversi dai disabili con “particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”. Per altro verso, essa ha ingenerato in molti la preoccupazione che l‟inserimento in cooperativa, così come predisposto, possa realizzare una sorta di “ghettizzazione” dei disabili nelle cooperative stesse, finendo per escluderli così dal mercato del lavoro c.d. 116 Rispetto all‟art. 12, legge n. 68 del 1999, manca, poi, anche il riferimento alla necessaria indicazione nella convenzione, del “percorso formativo personalizzato”; tale omissione è stata criticata in dottrina: cfr. Garattoni M., op. ult. cit., p. 320, nonché Limena F., op. ult. cit., p. 270. 117 In dottrina si è rilevato che l‟assenza di tale indicazione è coerente con la mancata previsione dell‟instaurazione di un rapporto diretto tra il datore di lavoro conferente e il lavoratore (che invece è presente nella disciplina dell‟art. 12, legge n. 68 del 1999); per cui l‟art. 14, “eliminando la figura del datore di lavoro conferente, addensa la valenza occupazionale della figura interamente sulla cooperativa sociale e, coerentemente, non pone alcun vincolo circa la durata del rapporto di lavoro”: cfr. Tursi A., Le nuove convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 1, p. 82. Cfr. sull‟argomento anche Timellini C., op. cit., p. 148, secondo cui “con tali previsioni normative, il legislatore della riforma scommette sulle cooperative sociali come entità operative e dinamiche capaci di autopromuoversi e autogestirsi e come strumento in grado di sradicare la mentalità assistenzialistica tipica dell‟attuale mercato del lavoro”. Critica, invece, sul punto, Garattoni M., op. ult. cit., p. 319. 118 Cfr. Scartozzi G., op. cit., p. 342; Tursi A., op. ult. cit., p. 86. 119 Cfr. Rosato S., op. cit., p. 606. 55 “ordinario”120. Altri, invece, pur ritenendo tali rischi infondati - e ciò in considerazione della peculiarità delle cooperative di tipo b) di coniugare il fine imprenditoriale con quello dell‟inserimento nella propria struttura produttiva di soggetti “deboli” - hanno rilevato comunque l‟incapacità dell‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003 di cogliere e sfruttare appieno la particolare natura ed il ruolo che la cooperazione (di tipo b)) avrebbe potuto giocare nel campo dell‟inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati e, dunque, anche dei disabili121. Quanto al primo ordine di critiche, esse, tutto sommato, appaiono superabili. ln definitiva, infatti, il meccanismo previsto dalla disposizione in commento appare comunque in grado di fornire un contributo concreto per l‟inserimento lavorativo di soggetti con situazioni di invalidità particolarmente gravi, che altrimenti sarebbero (con tutta probabilità) escluse dal mondo del lavoro; inoltre, appare apprezzabile il fatto “che la soluzione proposta consente comunque di uscire dalla logica […] dell‟inserimento lavorativo quale servizio socio-assistenziale”122. Sotto questo profilo, (anche) i timori che la disposizione miri a (o, comunque, sia idonea a determinare) una “ghettizzazione” dei disabili - ed una loro destinazione verso lavori di scarsa qualità - sembrano forse eccessivi; tale circostanza, in definitiva, sembra impedita dalla partecipazione alla stipula della convenzione (e, quindi, dal controllo sulla regolamentazione da essa predisposta) delle parti sociali e, soprattutto, del soggetto pubblico. Inoltre, tali timori sembrano basarsi su una concezione fuorviante della natura dell‟inserimento lavorativo in cooperativa; quest‟ultimo, infatti, “non può di per sé considerarsi un lavoro di bassa qualità. Anzi, le cooperative sociali di tipo b), a partire dalla propria mission e nella conseguente esperienza dei propri operatori, hanno gli strumenti per consentire un inserimento lavorativo effettivo e pienamente rispettoso delle esigenze non solo lavorative del disabile”123. 120 Ciò in quanto, lo si ricorda, nel sistema di inserimento contemplato dall‟art. 14, l‟assunzione del disabile presso il datore di lavoro committente è del tutto eventuale. Cfr. in merito Cocanari F., Art. 14 – Molte preoccupazioni, la necessità di una proposta, in www.cisl.it; Slataper S., Le convenzioni con le cooperative sociali per favorire l’inserimento dei soggetti svantaggiati, in Miscione M., Ricci M. (a cura di), Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, I. Organizzazione e disciplina del mercato del mercato del lavoro, Titoli I e II, Artt. 1-19, 2004, Milano, Ipsoa, p. 298. 121 Di tale avviso pare Nogler L., op. cit., p. 201 ss. 122 Cfr. Nogler L., op. cit., p. 202. 123 Cfr. Persico N., op. cit., p. 3. 56 Per contro, appaiono invece maggiormente fondate le perplessità manifestate in ordine alla effettiva capacità dell‟art. 14 di cogliere appieno il ruolo e le peculiarità funzionali delle cooperative di inserimento lavorativo124. A ben vedere, la disciplina prevista dalla norma non sembra in grado di riconoscere e sfruttare del tutto le funzioni e le potenzialità proprie dell‟inserimento lavorativo in cooperativa e, in particolare, “la principale virtù che le imprese sociali possono giocare in relazione all‟inserimento lavorativo dei disabili: la loro capacità, cioè, di selezionare il lavoratore svantaggiato e cioè di individuare il posto di lavoro più adeguato alle sue caratteristiche e di garantire almeno la formazione generale dello stesso”125. Si tratta, a ben vedere, della funzione di formazione on the job, “certificazione” delle competenze acquisite ed accompagnamento al lavoro126. In quest‟ottica, in dottrina si è osservato come, in assenza dell‟ulteriore predisposizione di un “percorso” che lasci aperta una qualche possibilità di passaggio del disabile dalla cooperativa all‟impresa committente, l‟art. 14 “rischia di favorire il solo (importante, ma non esaustivo delle potenzialità della cooperazione) processo sostitutivo”127. In altre parole, dunque, il meccanismo predisposto dalla norma sembra sostenere appieno la sola integrazione lavorativa stabile dei disabili in cooperativa, senza sfruttare compiutamente l‟idoneità della cooperazione sociale a ridurre i fattori di svantaggio e “certificare” le competenze acquisite, in modo da fornire le informazioni necessarie per un (potenziale) impiego produttivo (anche nelle imprese ordinarie) di questi soggetti128. 124 La natura propria delle cooperative sociali di inserimento lavorativo, sin dalle origini, è caratterizzata dallo scopo di “creare delle occupazioni produttive e, quindi, normalmente remunerate e nello stesso tempo di accrescere le future possibilità di impiego delle persone cui offrono occupazione”: cfr. Borzaga C., op. cit., p. 109. Le cooperative sociali di tipo b), dunque, sono soggetti che svolgono sia una funzione imprenditoriale che formativa; l‟art. 1, comma 1, legge n. 381 del 1991, infatti stabilisce che esse “hanno lo scopo di perseguire l‟interesse generale della comunità alla promozione umana e all‟integrazione sociale dei cittadini attraverso lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all‟inserimento lavorativo di persone svantaggiate”. 125 Cfr. Nogler L., op. cit., p. 201. 126 Da questo punto di vista, in dottrina si è sostenuto che le cooperative sociali avrebbero potuto essere utilizzate come “veri e propri soggetti somministratori di manodopera, secondo una logica ora percorribile solo nel contesto dell‟art. 13, d.lgs. n. 276 del 2003, e in concorrenza con le agenzie for profit”: cfr. Nogler L., op. cit., p. 201; Borzaga C., op. cit., p. 122. 127 Cfr. Nogler L., op. cit., p. 202; Borzaga C., op. cit., p. 124, per cui il meccanismo previsto dalla norma “sembra voler spingere le cooperative sociali verso un ruolo sostitutivo con il conseguente pericolo di alimentare un mercato del lavoro separato”. 128 Cfr. Nogler L., op. cit., p. 202; Cimaglia M. C., op. cit., p. 141 ss. E‟ evidente come l‟esigenza e l‟opportunità di riconoscere il ruolo “formativo” svolto dalle cooperative sociali sia riscontrabile non solo in relazione all‟inserimento lavorativo dei disabili indicati dal comma 3 dell‟art. 14, ma anche nell‟ipotesi 57 Su questa, e sulle altre problematiche presentate dall‟art. 14, è stata sottolineata da più parti l‟opportunità di un intervento a livello regionale e di convenzioni quadro, che sia effettivamente capace di eliminare i limiti riscontrati nella norma, e di porre le condizioni per un utilizzo il più possibile generalizzato ed efficace dello strumento in esame. A riguardo, alcuni in dottrina hanno sostenuto che la realizzazione di tale obiettivo e, in particolare, la valorizzazione del ruolo formativo proprio della cooperazione sociale, possano essere raggiunti attraverso la “predisposizione di un meccanismo che leghi le convenzioni all‟intero contesto delle politiche attive del lavoro ed al più ampio scenario delle politiche sociali poste in essere nel territorio di riferimento” 129. Si tratta, in definitiva, di perseguire una sinergia tra le imprese sociali (ivi comprese, in quest‟ottica, le cooperative di tipo a)), le imprese ordinarie, e l‟intera rete territoriali dei servizi socio-assistenziali e sanitari, in modo da creare un congiungimento tra lo strumento di politica attiva qui analizzato, e le politiche sociali attuate a livello territoriale130. - finora non realizzatasi nella pratica - dell‟impiego dello strumento convenzionale predisposto dalla norma in commento anche per altri soggetti svantaggiati. 129 Cfr. Cimaglia M.C., op. cit., p. 143. 130 Cfr. ancora Cimaglia M.C., op. cit., p. 143; Tursi A., op. cit., p. 97. 58 Capitolo 3 3.1 Le misure di inserimento lavorativo in favore dei disabili attuate a livello locale: un tentativo d’analisi. Il presente capitolo ha ad oggetto l‟analisi della normativa regionale (e non solo) di attuazione ed implementazione della normativa nazionale, finora illustrata, in materia di inserimento lavorativo delle persone disabili. Tale disamina è non solo opportuna ma, addirittura, necessaria, posto che nel nostro ordinamento - specie a seguito della novella del Titolo V della Costituzione, che ha previsto all‟art. 117 Cost. l‟attribuzione alle regioni della competenza in materia di (attuazione delle) politiche attive del lavoro - la realizzazione del diritto al lavoro di queste persone è concretamente perseguita attraverso l‟interazione tra le misure inclusive poste in essere a livello nazionale e quelle, invece, poste in essere a livello regionale (e, più in generale, locale). L‟indagine - pur senza pretese di completezza, stante l‟enorme quantità della documentazione (normativa e non) prodotta di tempo in tempo dalle varie realtà territoriali - ha tentato di spingersi oltre la mera analisi comparativa della legislazione di ciascuna regione, prendendo in considerazione anche i provvedimenti attuativi dei programmi regionali di inserimento ed integrazione socio-lavorativa: ciò al fine di individuare i principali orientamenti a livello locale, verificare i campi ed i livelli di intervento, il loro concreto atteggiarsi e, in ultima istanza, la quantità e qualità delle azioni predisposte. Sul punto, va preliminarmente osservato come le regioni, attraverso le risorse di tempo in tempo disponibili, abbiano programmato “una serie di interventi positivi, in attuazione e raccordo con quanto previsto dalla legge n. 68 del 1999, secondo una modalità di approccio multidisciplinare e integrato tra i servizi di welfare e quelli di politiche del lavoro ed in funzione della realizzazione di percorsi “mirati” a tutela del diritto al lavoro dei soggetti con disabilità e alla loro partecipazione e integrazione nella vita attiva”131. La legge n. 68 del 1999 ha, insomma, “funzionato da catalizzatore di un gran numero di 131 Cfr. in merito Canavesi G., Tutela del lavoro e tutela della persona. Vincoli normativi all’inserimento dei disabili, inedito, 2008, p. 44. 59 esperienze svolte a livello regionale (intese come disposizioni normative, progetti, indirizzi programmatori, sperimentazioni), in coerenza con la delega alle Regioni e Province Autonome delle funzioni in materia di politiche attive del lavoro, riforma del collocamento e servizi per l‟impiego, varata quasi in contemporanea al sistema del collocamento mirato”132. Di tale complesso di azioni inclusive si tenterà di dare conto nei paragrafi che seguono. In particolare, un primo ambito di indagine riguarderà le modalità di implementazione delle convenzioni di inserimento di cui alla legge n. 68 del 1999, da un lato, e della convezione quadro di cui all‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, dall‟altro lato. Ci si concentrerà, poi, sulle azioni inclusive finanziate attraverso il Fondo regionale per l‟occupazione dei disabili previsto dall‟art. 14, legge n. 68 del 1999. Si terminerà, infine, con un‟analisi più a vasto raggio, sul panorama complessivo delle politiche attive regionali di integrazione socio-lavorativa, a prescindere dal loro (più o meno diretto) collegamento con la legge n. 68 del 1999. 3.2 L’implementazione delle convenzioni previste dagli artt. 11, 12 e 12bis, legge n. 68 del 1999. Con riferimento alle convenzioni di cui alla legge n. 68 del 1999, occorre in primo luogo osservare come, pur rientrando la loro regolamentazione (di dettaglio) nella competenza delle regioni133, sia stata prevista, a livello nazionale, l‟adozione di linee programmatiche finalizzate ad assicurarne una certa omogeneità applicativa su tutto il territorio italiano134. Peraltro, a quanto consta, le sole linee guida emanate sono quelle relative alla tipologia convenzionale prevista dall‟art. 11. 132 Cfr. ancora Canavesi G., op. ult. cit., p. 44, che, a sua volta, cita sul punto un passaggio tratto da Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Terza relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili, parte II, p. 114 s. Il testo della Relazione è reperibile sul sito internet www.lavoro.gov.it. 133 Come si ricorderà, con riferimento alla disciplina delle convenzioni previste dalla legge n. 68 del 1999, concorrono competenze regionali per la definizione dei criteri e delle modalità di realizzazione delle stesse, e provinciali per la loro stipula. 134 Più precisamente, per le convenzioni di cui agli artt. 11 e 12, il d.p.r. n. 333 del 2000 prevede un provvedimento ministeriale da adottare, previa consultazione delle organizzazioni sindacali, nell‟ambito della Conferenza unificata (art. 14, comma 1); invece, per le convenzioni di cui all‟art. 12 bis, la stessa disposizione stabilisce l‟emanazione di un decreto ministeriale, “sentita la Conferenza unificata” (art. 12 bis, comma 7). 60 Esse, contenute nell‟Accordo della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano siglato il 22 febbraio 2001 135, si articolano su quattro punti, riguardanti, rispettivamente: le modalità di predisposizione e stipula della convenzione; gli eventi sopravvenuti; le tipologie di inserimento; e, infine, le disposizioni conclusive, relative a tutta una serie di ulteriori e specifici aspetti. Riguardo alle modalità di stipula, l‟Accordo attribuisce ai servizi per l‟impiego (coadiuvati dal comitato tecnico) il compito di predisporre uno schema di convenzionetipo da impiegare all‟uopo, e attraverso cui realizzare la progressiva copertura della quota di riserva di cui all‟art. 3, legge n. 68 del 1999, sia essa in misura totale, ovvero solo in misura parziale136. Quanto alla durata della convenzione, la stessa è stata collegata sostanzialmente a tre fattori, quali: la percentuale della quota di riserva eventualmente ancora da coprire, in rapporto a quella invece coperta attraverso la stipula della convenzione; la valutazione degli investimenti necessari per l‟adattamento del posto di lavoro alle specifiche esigenze dei disabili da inserire; e, infine, la valutazione delle misure predisposte dal datore di lavoro (nonché degli oneri da esse derivanti) per realizzare l‟integrazione lavorativa dei disabili. L‟ammissibilità (e la durata) di convenzioni successive alla prima sono, poi, connesse a parametri ancora diversi: in questo caso, infatti, è dato rilievo allo stato di adempimento degli impegni assunti nella convenzione stessa, nonché all‟efficienza dimostrata dalle misure ivi contemplate. Da quest‟ultimo punto di vista, fondamentale appare il ruolo attribuito al soggetto pubblico, che deve assicurare un supporto tecnico adeguato alle esigenze poste sia dai soggetti disabili sia dai datori di lavoro, sui quali incombono, invece, obblighi di collaborazione, nell‟ottica di una effettiva (ed efficace) realizzazione degli inserimenti dedotti in convenzione. Riguardo, invece, l‟ipotesi di eventi sopravvenuti tali da consentire, ex art. 3, comma 5, legge n. 68 del 1999, la sospensione temporanea dell‟obbligo di assunzione, l‟Accordo 135 In merito, lo stesso Accordo si limita a prevedere (solo) la definizione pro futuro di linee programmatiche per la stipula delle convenzioni di cui all‟art. 12. Il testo dell‟Accordo è reperibile sul sito internet www.lavoro.gov.it. 136 In quest‟ultimo caso, come è facilmente intuibile, il datore di lavoro sarà obbligato alla copertura della quota residua attraverso gli altri ordinari strumenti all‟uopo previsti dalla legge n. 68 del 1999. 61 prevede che questi ultimi legittimino per il corrispondente periodo (anche) la sospensione della convenzione; in tal caso, la sua durata potrà essere prorogata di un anno rispetto all‟originaria scadenza. Passando, poi, alle tipologie di inserimento effettuabili attraverso la stipula della convenzione, questa può attingere a tutte quelle previste dall‟ordinamento, anche se l‟obiettivo prioritario dichiarato nell‟Accordo è quello della “stabilizzazione, seppur progressiva, del rapporto di lavoro”137, anche in funzione delle agevolazioni a carico del Fondo nazionale di cui all‟art. 13, legge n. 68 del 1999. A quest‟ultimo riguardo, l‟Accordo prevede che gli uffici competenti possono predisporre modelli di convenzione alla cui adesione si ricollega l‟automatica ammissione ai benefici ex art. 13, legge n. 68 del 1999, nei limiti delle disponibilità finanziarie esistenti. Sotto il profilo, poi, della formazione, dell‟orientamento e dell‟addestramento professionale, l‟Accordo stabilisce che la convenzione deve indicare i contenuti del percorso formativo mirato ed i risultati che con lo stesso intendono realizzarsi. Infine, tra le disposizioni conclusive, degna di particolare interesse sembra la previsione dell‟opportunità per i datori di lavoro che operano in ambito pluriregionale, di individuare modelli di convenzione validi a livello nazionale, mediante accordo con il servizio competente per il territorio in cui i datori di lavoro hanno la sede legale, con contenuti adattabili alle specifiche esigenze territoriali, ferma restando la stipula di convenzioni con ciascun servizio provinciale competente. Parimenti, per rispettare le peculiarità di ciascun settore produttivo, potranno essere stipulate convenzioni quadro di settore, elaborate dalle associazioni rappresentative interessate e proposte dai datori di lavoro ad essi aderenti ai servizi provinciali competenti. Queste, in sintesi, le linee guida contenute nell‟Accordo del 22 febbraio 2001; linee guida a cui, a quanto consta, la disciplina regionale (e provinciale) sull‟attuazione dell‟art. 11, legge n. 68 del 1999, si è sostanzialmente conformata, recependo le previsioni in esso contenute, e precisandole (almeno) sotto alcuni profili. Sulla scorta delle indicazioni ora illustrate, infatti, le regioni hanno provveduto a 137 L‟osservazione è di Garofalo D., op. ult. cit., p. 820. 62 definire criteri generali di indirizzo, demandando poi alle province la concreta predisposizione di modelli di convenzione tipo138. In quest‟ottica, una delle regolamentazioni più interessanti, oltre che più complete, appare quella fornita dalla regione Friuli Venezia Giulia139. Essa stabilisce innanzitutto un articolato sistema di condizioni di ammissibilità alla stipula della convenzione, in base al quale, ad esempio, la stessa è interdetta ai datori di lavoro inadempienti agli obblighi ex legge n. 68 del 1999, salvo che “per sanare l‟inadempienza non venga stipulata una convenzione di programma, ovvero non siano attivati gli altri istituti previsti dalla legge n. 68 del 1999 (esclusioni, esoneri parziali, sospensioni, compensazioni territoriali)”140. Altra condizione di ammissibilità è, poi, quella della previa individuazione del(i) disabile(i) da inserire. Quanto all‟accesso dei benefici previsti dall‟art. 13, legge n. 68 del 1999, esso è reso possibile solo a seguito della conclusione della convenzione. Viene, infine, presa in considerazione anche l‟ipotesi del mancato rispetto dei tempi concordati, nel qual caso la convenzione è da considerarsi risolta e, quindi, inefficace. Tali previsioni, a ben vedere, provvedono a precisare ed integrare la disciplina legislativa dello strumento convenzionale, avendo particolare cura di collegare i vantaggi normativi ed economici connessi al suo utilizzo con l‟effettiva realizzazione dell‟obiettivo inclusivo con esso perseguito, nel tentativo di evitare sprechi di risorse o, peggio, comportamenti opportunistici da parte dei soggetti coinvolti. In altri casi, poi, le regioni hanno fornito indicazioni ulteriori rispetto a quelle più strettamente operative, arricchendo la misura inclusiva di cui all‟art. 11 di altri contenuti 138 In merito si vedano, ad esempio, l‟art. 37, l.r. Friuli Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18, nonché la D.G.R. 28 luglio 2006, n. 1810; l‟art. 10, l.r. Veneto 3 agosto 2001, n. 16, nonchè la D.G.R. 24 novembre 2000, n. 3742 (“Legge 12 marzo 1999 n. 68 - Norme per il diritto al lavoro dei disabili. Indirizzi applicativi in tema di convenzioni”) e la D.G.R. 21 ottobre 2008, n. 3069 (“Approvazione di nuovi schemi tipo di convenzione ex art. 11, e art. 12 della L. 68/1999 a seguito delle novità normative introdotte all‟art. 1 comma 37 della L. 247/2007”); la l.r. Emilia Romagna 1 agosto 2005, n. 17, nonché, per il periodo precedente al 2005, la D.G.R. 31 ottobre 2000, n. 1872 (“Promozione dell‟accesso al lavoro delle persone disabili. Prime disposizioni applicative ai sensi della l. n. 68/99 e della l.r. n. 14/00”; l‟art. 6, l.r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13; gli artt. 5 e 6, l.r. Liguria 29 maggio 2003, n. 15; gli artt. 20 ss., l.r. Toscana 26 luglio 2002, n. 32, nonché la D.G.R. 31 gennaio 2005, n. 109 (di sostituzione della precedente D.G.R. n. 1166 del 2000); la Deliberazione della commissione regionale per il lavoro della Campania 28 marzo 2002, n. 15 (“Linee programmatiche per la stipula delle convenzioni di cui alla legge 68/99”), di approvazione delle convenzioni tipo; l‟art. 10, l.r. Calabria 26 novembre 2001, n. 32. 139 Cfr. in particolare l‟art. 37, l.r. Friuli Venezia Giulia n. 18 del 2005, nonché la D.G.R. 28 luglio 2006, n. 1810. 140 Cfr. in merito Garofalo D., op. ult. cit., p. 820. 63 o, più semplicemente, delineando più nitidamente quelli suoi propri. A riguardo, può citarsi il caso della regione Lombardia, la quale ha stabilito che in sede di concreta regolamentazione della convenzione, debba essere previsto espressamente “il coinvolgimento attivo delle cooperative sociali di cui all‟art. 1, comma 1, lett. b) della legge n. 381 del 1991, al fine di accordare le istanze dei disabili con quelle delle imprese”141. Sul punto, degno di nota sembra anche il caso della regione Valle d‟Aosta, la quale qualifica la convenzione di cui all‟art. 11, come uno degli strumenti d‟elezione attraverso cui “realizzare la formazione professionale dei disabili”142. A ben vedere, previsioni del tipo di quelle ora illustrate, sebbene di natura più programmatica che immediatamente tecnico-operativa, appaiono tutt‟altro che prive di significato: esse, infatti, tracciano delle linee di tendenza tali da influenzare concretamente le modalità di attuazione dello strumento convenzionale. Passando, ora, alla disamina dell‟implementazione delle convenzioni di cui agli artt. 12 e 12bis, legge n. 68 del 1999, per esse, come già detto, non risultano essere state emanate delle linee programmatiche di indirizzo finalizzate all‟armonizzazione della regolamentazione a livello locale. Peraltro, le modalità attuative impiegate in materia dalle regioni e dalle province sono state analoghe a quelle sopra descritte con riferimento all‟art. 11, legge n. 68 del 1999. Anche per queste due tipologie convenzionali, infatti, le regioni hanno fissato dei criteri generali, ai quali le province devono attenersi in sede di predisposizione dei modelli di convenzione-tipo143. 141 Cfr. l‟art. 6, l.r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13. Una previsione analoga a quella della legge regionale lombarda è contenuta anche nell‟art. 10, l.r. Calabria 26 novembre 2001, n. 32, secondo cui “la Regione promuove le convenzioni di cui alla legge n. 68 del 1999 mediante il supporto alla loro definizione e realizzazione in coerenza con gli strumenti del collocamento mirato e, per quanto concerne le convenzioni di cui agli artt. 11 e 12 della medesima legge, il coinvolgimento attivo delle cooperative sociali di cui alla lettera b) del comma 1 dell‟art. 1 della legge n. 381 del 1991 […] e dei disabili liberi professionisti, al fine di raccordare le istanze delle persone con disabilità con quelle delle imprese”. 142 Cfr. l‟art. 14, l.r. Valle D‟Aosta 31 marzo 2003, n. 7, in base alla quale la formazione professionale rivolta ai disabili “può svolgersi anche mediante la stipulazione delle convenzioni d'integrazione lavorativa, ai sensi dell'articolo 11 della l. 68/1999”. 143 Con riferimento alle convenzioni di cui all‟art. 12, cfr. l‟art. 10, l.r. Veneto 3 agosto 2001, n. 16, nonchè la D.G.R. 24 novembre 2000, n. 3742 (“Legge 12 marzo 1999 n. 68 - Norme per il diritto al lavoro dei disabili. Indirizzi applicativi in tema di convenzioni”) e la D.G.R. 21 ottobre 2008, n. 3069 (“Approvazione di nuovi schemi tipo di convenzione ex art. 11 e art. 12 della l. n. 68/1999 a seguito delle novità normative introdotte all‟art. 1 comma 37 della l. n. 247/2007”); art. 20, l.r. Emilia Romagna 1 agosto 2005, n. 17, nonché, per il periodo precedente al 2005, la D.G.R. 31 ottobre 2000, n. 1872 64 Tali criteri, sotto il profilo dei contenuti, ricalcano sostanzialmente il dettato normativo degli artt. 12 e 12bis, che, in alcuni casi viene (solo) precisato, in altri, invece, (anche) arricchito di ulteriori elementi originali o, comunque, specializzanti. Sotto quest‟ultimo profilo, anche nella disciplina attuativa di tali tipologie convenzionali è riscontrabile la tendenza ad esaltare il ruolo della cooperazione sociale di inserimento lavorativo144; ruolo che, in alcune realtà regionali, con particolare riferimento alla convenzione prevista dall‟art. 12, legge n. 68 del 1999, viene supportato dalla previsione di specifiche forme di sostegno al loro operato, da concedersi a determinate condizioni, e secondo modalità individuate a livello provinciale145. Sempre con riferimento alla convenzione di cui all‟art. 12, possono, poi, rinvenirsi ulteriori misure a sostegno del suo funzionamento, quali ad esempio, il prolungamento della loro durata (a determinate condizioni, e sempre nel rispetto di quanto previsto sul punto dal comma 2 della disposizione citata) e la previsione di un servizio di tutoraggio del disabile inserito anche successivamente alla scadenza della convenzione146. Misure di questo tipo rappresentano, a ben vedere, il tentativo di incentivare il ricorso a quest‟ultima tipologia convenzionale la quale, come già illustrato nel capitolo precedente, risulta in sé non particolarmente appetibile: circostanza, quest‟ultima, confermata dalla sua scarsa implementazione normativa e (ancor più) dalla prassi applicativa, la quale, a quanto consta, ne registra un utilizzo pressoché nullo. (“Promozione dell‟accesso al lavoro delle persone disabili. Prime disposizioni applicative ai sensi della l. n. 68/99 e della l.r. n. 14/00”); art. 6, l.r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13; artt. 20 ss., l.r. Toscana 26 luglio 2002, n. 32, nonché la D.G.R. 31 gennaio 2005, n. 109 (di sostituzione della precedente D.G.R. n. 1166 del 2000); art. 10, l.r. Calabria 26 novembre 2001, n. 32. Con riferimento alle convenzioni di cui agli artt. 12bis, cfr. invece l‟art. 34, l.r. Piemonte 22 dicembre 2008, n. 34. 144 Cfr. in merito l‟art. 6, l.r. Lombardia n. 13 del 2003, nonché (con specifico riferimento alle convenzioni di cui all‟art. 12bis, l‟art. 34, comma 2, l.r. Piemonte 22 dicembre 2008, n. 34. 145 E‟ quanto previsto, ad esempio, dall‟art. 6, l.r. Lombardia, n. 13 del 2003, secondo cui “per favorire l'inserimento lavorativo nelle cooperative sociali di cui all'articolo 12 della legge 68/1999 di disabili di particolare gravità da individuarsi negli atti di indirizzo di cui alla l.r. 1/1999 sono previste forme di sostegno alle cooperative sociali che se ne fanno carico, secondo le modalità previste dai piani presentati dalle province”. 146 Cfr., con riferimento al primo aspetto, l‟art. 6, l.r. Lombardia n. 13 del 2003 il quale, al comma 3, prevede che “le province possono autorizzare il prolungamento delle convenzioni finalizzate all'inserimento dei disabili presso le cooperative sociali, alle quali il datore di lavoro s'impegna ad affidare commesse di lavoro. Tali convenzioni, nell'ambito di quanto definito nell'articolo 12, comma 2, lettera c), della legge 68/1999 possono estendersi fino ad un massimo di ventiquattro mesi, prorogabili di ulteriori dodici mesi”. Con riferimento, invece, al secondo aspetto, si veda la D.G.R. Toscana 31 gennaio 2005, n. 109, secondo cui “per favorire l‟inserimento lavorativo del disabile in azienda”, è necessario “prevedere la figura del tutor al termine della “convenzione”, ex art. 12 L. 68/ 99, fra azienda e cooperativa sociale. La durata dell‟azione di tutoraggio deve essere definita fra l‟azienda e la cooperativa sociale e può avere la durata massima di quattro mesi”. 65 Lo stesso, peraltro, può dirsi anche della convenzione di cui all‟art. 12bis, ma, in questo caso, per motivi (almeno in parte) diversi: la sua implementazione, infatti, risente del (relativamente) breve tempo trascorso dalla sua introduzione (come si ricorderà, avvenuta ad opera della legge 24 dicembre 2007, n. 247)147. 3.3 L’implementazione della convenzione-quadro prevista dall’art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003. Quanto alla convenzione di cui all‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, la sua implementazione ha riguardato molteplici aspetti della disciplina in esso contenuta, alcuni delineati solo genericamente (quali, ad esempio, i criteri per la validazione della convenzione da parte delle regioni; i soggetti concretamente beneficiari dell‟inserimento; la procedura di individuazione dei disabili con “particolari difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario” che devono essere assunti dalle cooperative per poter utilizzare le convenzioni quadro; le modalità di adesione), altri, invece, del tutto omessi (quali, ad esempio, le conseguenze dell‟eventuale inadempimento delle parti agli obblighi contrattuali e a quelli scaturenti dalla convenzione)148. 147 Cfr. in proposito Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n.68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, cit., p. 88 s., che con riferimento al biennio 2008-2009, osserva come “esaminando i dati relativi all‟utilizzo delle convenzioni in base alle diverse tipologie comprendenti la convenzione art. 11 (di programma e di integrazione lavorativa), la convenzione art. 12 e 12bis nonché quelle disciplinate dall‟art. 14 del d.lgs. n. 276/2003, si conferma un utilizzo largamente maggioritario, se non esclusivo delle previsioni normative contenute nell‟art. 11 della legge n. 68/99, se confrontata con le altre”. Interessante notare come, sempre dai dati relativi alle annualità 2008-2009, gli inserimenti effettuati mediante le convenzioni stipulate ai sensi dell‟art. 12 siano pressoché pari a zero, mentre quelli effettuati mediante le convenzioni stipulate ai sensi dell‟art. 12 bis, siano (comunque) di numero esiguo, tutti concentrati nel centro-sud (cfr. tabella n. 20, p. 88). Discorso analogo a quello ora illustrato è effettuato dalla IV Relazione al Parlamento, cit., p. 104 ss. con riferimento, questa volta, al biennio 2006-2007. 148 Sull‟implementazione dell‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003, cfr. ad es. l.r. Friuli Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18; l.r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13; l.r. Marche 25 gennaio 2005, n. 2; l.r. Sardegna 5 dicembre 2005, n. 20, di modifica della l.r. n. 32 del 2002; l.r. Emilia Romagna n. 17 del 2005. In linea generale, il legislatore regionale si è limitato a fornire indicazioni su alcuni aspetti della procedura di validazione e sul limite massimo di copertura della quota di riserva, rinviando per la concreta regolamentazione della materia ad atti di Giunta. Sotto questo profilo, a titolo esemplificativo, cfr. per la regione Lombardia le D.G.R. Lombardia 12 novembre 2004, n. 7/19333 (“Validazione ai sensi dell‟articolo 14 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, dell‟Accordo per la sperimentazione di un modello finalizzato all‟integrazione del mercato del lavoro delle persone disabili che presentino particolari difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario – Convenzione Quadro ai sensi dell‟articolo 14 del D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276”); D.G.R. Lombardia 23 dicembre 2004, n. VII/19973 (“Validazione ai sensi dell‟articolo 14 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, della Convenzione Quadro per la stipula delle convenzioni ai sensi dell‟articolo 14 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276”); D.G.R. Lombardia 16 febbraio 2005, n. 7/20748 (“Validazione ai sensi dell‟art. 14 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, della “Convenzione quadro per l‟inserimento dei lavoratori disabili ai sensi dell‟art. 14 del D.Lgs. 10 settembre 66 Dalla disamina della disciplina di attuazione prodotta dalle varie realtà territoriali, è possibile rinvenire alcune linee di tendenza comuni. Riguardo la validazione della convenzione-quadro, ad esempio, le regioni hanno stabilito di subordinarla alla sussistenza di alcuni elementi essenziali, rappresentati: dalle modalità di adesione; dai limiti quantitativi massimi di copertura della quota di riserva; e, infine, dal coefficiente minimo di calcolo del valore unitario delle commesse149. Quanto, invece, ai soggetti beneficiari dell‟inserimento, essi sono stati sostanzialmente identificati con “i disabili con particolari difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”150. Sotto il profilo, poi, delle modalità di adesione alla convenzione, va segnalata l‟introduzione, ad opera della normativa attuativa dell‟art. 14, di un ulteriore livello di regolamentazione dell‟affidamento delle commesse, costituito da una convenzione, da stipularsi a livello aziendale tra i datori di lavoro, gli uffici pubblici competenti, e tutti gli altri soggetti interessati151: ciò, a ben vedere, al fine di evitare meccanismi di 2003, n. 276” presentata dalla provincia di Como); D.G.R. Lombardia 16 febbraio 2005 - n. 7/20749 – “Validazione ai sensi dell‟art. 14 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 della Convenzione quadro per la sperimentazione di un modello finalizzato all‟integrazione nel mercato del lavoro delle persone disabili che presentino particolari difficoltà d‟inserimento nel ciclo lavorativo ordinario ai sensi del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 presentata dalla Provincia di Bergamo”); D.G.R. 15 marzo 2007, n. VIII/4218 (“Validazione ai sensi dell‟art. 14 D.Lgs. 10 settembre 2003 della “Convenzione quadro per l‟inserimento dei lavoratori disabili ai sensi dell‟art. 14 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276” presentata dalla provincia di Brescia). Cfr. altresì, per la regione Veneto la D.G.R. 18 marzo 2005, n. 1110 (“Validazione della convenzione della Provincia di Padova e Treviso”); D.G.R. 13 dicembre 2005, n. 3904 (“Validazione della convenzione della Provincia di Belluno”); D.G.R. 13 febbraio 2007, n. 300 (“Validazione della Convenzione della Provincia di Rovigo”); per la regione Friuli Venezia Giulia D.G.R. Friuli Venezia Giulia 25 maggio 2007, n. 1248 (“L.R. 18/2005, art. 40. Definizione dei criteri per la validazione delle convenzioni per l‟inserimento lavorativo dei disabili, di cui all‟art 14 del d. lgs n. 276/2003. Approvazione definitiva”) . 149 Cfr. ad es. D.G.R. Friuli Venezia Giulia 25 maggio 2007, n. 1248 (“L.R. 18/2005, art. 40. Definizione dei criteri per la validazione delle convenzioni per l‟inserimento lavorativo dei disabili, di cui all‟art 14 del d. lgs. n. 276/2003. Approvazione definitiva”). 150 Da questo punto di vista sembrano, allora, mostrarsi giustificate le perplessità manifestate da più parti in ordine alla effettiva capacità dello strumento di inserimento previsto dall‟art. 14 a rivolgersi anche a soggetti diversi dai disabili gravi. Tale tipologia di convenzione si conferma, insomma, uno strumento “destinato ai disabili per i quali risulti difficile il ricorso alle vie ordinarie del collocamento mirato”: cfr. in merito Garofalo D., op. cit., p. 836; Cimaglia M. C., L’esperienza applicativa dell’art. 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, p. 134, nonché le osservazioni svolte nel capitolo precedente, al paragrafo 3. 151 E‟ stata, insomma, prevista la stipula di una convenzione a livello aziendale, nella quale viene concretamente disciplinato il sistema di affidamento delle commesse di lavoro, di scelta e di avviamento al lavoro dei disabili e di computo di questi ai fini della copertura della quota d‟obbligo: “datore di lavoro e cooperativa sociale dovranno quindi accordarsi sugli aspetti commerciali della commessa di lavoro; la 67 adesione automatica dei datori di lavoro alla convenzione quadro. Ancora, ulteriori importanti aspetti oggetto di intervento in sede attuativa sono la determinazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da inserire nelle cooperative sociali, e la definizione dei limiti percentuali a copertura della quota di riserva. Quanto al primo aspetto, la disciplina di dettaglio sembra aver ripreso il dato normativo dell‟art. 14, demandando la concreta identificazione dei criteri selettivi dei lavoratori da inserire ai servizi per l‟impiego, in raccordo con il comitato tecnico e, in alcuni casi, con il S.i.l.152. Riguardo, invece, la definizione dei limiti percentuali a copertura della quota di riserva elemento cruciale, in quanto incidente “sulle possibilità occupazionali che la legge n. 68 del 1999 mira a creare per le persone con disabilità”153 - la normativa attuativa ha indicato come limite massimo una quota tendenzialmente pari al 20%, salve alcune eccezioni, in cui la stessa è fissata al 30%154. Aspetto disciplinato con particolare attenzione è, poi, quello della modalità di calcolo del numero delle persone con disabilità da computare a copertura della quota di riserva. L‟art. 14, comma 2, lett. d), individua nel “coefficiente di calcolo del valore unitario delle commesse” il meccanismo che consente di dedurre dal valore della commessa il numero di persone con disabilità computabili e, pur demandandone alle convenzioni quadro la definizione, dispone che ciò avvenga “secondo criteri di congruità con i costi del lavoro derivati dai contratti collettivi di categoria applicati dalle cooperative sociali”. Sul punto, la disciplina di dettaglio e le convenzioni quadro stipulate si sono attenute alle indicazioni fornite dalla norma sopra citata, scegliendo come parametro di cooperativa sociale e i servizi per l‟impiego dovranno invece definire le modalità di individuazione e avviamento del lavoratore disabili”: cfr. Cimaglia M. C., op. cit., p. 134 s. Interessante, sotto questo profilo, appare la scelta operata da alcune delle prime convenzioni quadro stipulate (quelle delle province di Padova e Treviso), le quali hanno previsto che il rapporto tra la cooperativa sociale ed i servizi per l‟impiego sia regolato da una convenzione del tipo di quella di cui all‟art. 11, legge n. 68 del 1999: cfr. sul punto ancora Cimaglia M. C., op. cit., p. 136, testo e nota 19. 152 Sul punto, peraltro, costituisce eccezione alla tendenza normativa sopra illustrata la convenzione quadro della provincia di Bergamo, la quale stabilisce un ordine di priorità, vincolante per i servizi per l‟inserimento dei disabili, basato sulla tipologia e sul livello di handicap, nonché su ulteriori fattori, quali l‟età e la durata dello stato di disoccupazione: cfr. in merito Cimaglia M. C., op. cit., p. 137 s. 153 Cfr. Cimaglia M.C., op. ult. cit., p. 136. 154 E‟ questo il caso delle convenzioni quadro stipulate nelle province di Treviso e Como, e della l.r. Emilia Romagna n. 17 del 2005. In particolare, l‟art. 22 di quest‟ultima legge stabilisce la possibile copertura, attraverso la stipula della convenzione quadro, di una percentuale della quota d‟obbligo non superiore al 30%, ferma restando per la rimanente quota l‟obbligo di assunzione, ex legge n. 68 del 1999. 68 riferimento il costo unitario del lavoro annuo derivante dall‟applicazione del CCNL applicato dalla cooperativa sociale155. Sempre su questo aspetto, ulteriore profilo degno di attenzione è quello della definizione del coefficiente di calcolo impiegato: sul punto, nella prassi applicativa sono state rilevate due diverse modalità, che si differenziano l‟una dall‟altra a seconda che si computino o meno in esso i costi di inserimento del lavoratore disabile nella cooperativa156. Infine, come già accennato nel capitolo precedente, in sede di attuazione dell‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003 si è disciplinato anche l‟eventualità della decadenza dell‟accordo tra cooperativa sociale e datore di lavoro per inadempimento delle parti agli obblighi contrattuali e a quelli scaturenti dalla convenzione. La disciplina di tale aspetto, che, lo si ricorda, non è preso in considerazione dall‟art. 14, è di particolare importanza in quanto, a ben vedere, “l‟instaurazione e la permanenza del rapporto di lavoro della persona disabile assunta a seguito dell‟adesione della cooperativa sociale alla convenzione dipende dal rapporto commerciale tra questa ed il datore di lavoro”157. Su tale profilo, in alcuni casi - la maggior parte - la normativa di attuazione si è limitata a qualificare l‟inadempimento contrattuale o il mancato rispetto dell‟accordo tra cooperativa sociale e servizi per l‟impiego quale motivo di decadenza delle convenzioni; in altri, invece, allo scopo evidente di tutelare il più possibile gli interessi del disabile, essa ha previsto che nell‟accordo tra cooperativa sociale e datore di lavoro, si debba esplicitare la forma di tutela economica nei confronti del disabile in caso di inadempimento del contratto ad opera di una delle parti contraenti158. Queste, in definitiva, le principali caratteristiche della disciplina di implementazione dell‟art. 14. Essa, a ben vedere, sembra esser stata influenzata da alcuni dei timori (più o meno fondati) manifestati da più parti sul rischio che il meccanismo di inserimento previsto dalla disposizione sopra citata, se non correttamente coordinato con il sistema del 155 Cfr. ad esempio l‟art. 22, l. r. Emilia Romagna n. 17 del 2005, nonché le convenzioni quadro stipulate dalla provincia di Milano e Bergamo. 156 Appartengono alla prima tendenza le convenzioni stipulate nelle convenzioni delle province di Como, Milano, Lecco e Bergamo; alla seconda, invece, quelle di Treviso, Padova, Belluno. 157 Cimaglia M. C., op. cit., p. 140. 158 Si cfr. in merito le convenzioni quadro stipulate nelle province di Milano e Bergamo. 69 collocamento mirato e se non correttamente attuato, possa in concreto risolversi in una misura inefficace o, peggio, tale da comportare una sorta di “ghettizzazione” dei disabili più gravi159. Ciò, in particolare, a causa della mancata previsione, nell‟art. 14, “di un diretto collegamento tra conferimento delle commesse da parte del datore di lavoro alle cooperative sociali e creazioni di nuove opportunità occupazionali”, determinata, a sua volta, dalla mancanza di un “nesso tra lavoratori virtualmente computati a copertura della quota di riserva e obbligo per le cooperative beneficiarie dell‟appalto di assumere nuovi lavoratori”160. Tale circostanza, se unita “alla mancanza di limitazioni temporali all‟uso da parte dei datori di lavoro di questa modalità di adempimento” potrebbe implicare, almeno secondo alcuni, “la netta separazione tra mercato del lavoro protetto e non protetto, con il rischio che i lavoratori impiegati presso le cooperative non possano trovare occupazione in realtà lavorative for profit”161. Ecco che, allora, proprio per far fronte a tali rischi, la normativa di attuazione dell‟art. 14 ha prestato particolare attenzione ad aspetti quali, ad esempio, il meccanismo di adesione alla convenzione, l‟individuazione dei beneficiari dell‟inserimento, i limiti massimi di copertura della quota d‟obbligo. Ciò nonostante, non tutti gli elementi di (potenziale) criticità sembrano poter dirsi risolti: sotto questo profilo si è discusso, in particolare, sulla effettiva capacità del meccanismo di inserimento in parola di sfruttare appieno le potenzialità della cooperazione sociale. Emblematica, da questo punto di vista, appare la questione della scelta dei criteri di calcolo dei lavoratori da computare a copertura della quota d‟obbligo operata dalle convenzioni. Come già accennato in precedenza, nella prassi applicativa è dato rinvenire due diverse 159 Cimaglia M.C., op. ult. cit., p. 134; più in generale, sui timori suscitati dall‟art. 14, d.lgs. n. 276 del 2003 e sulla loro (maggiore o minore) fondatezza, cfr. le osservazioni svolte nel capitolo precedente, al paragrafo 3. 160 Cimaglia M. C., op. cit., p. 134. 161 Ciò con l‟ulteriore conseguenza che, appunto, “un‟implementazione dell‟art. 14 che non ponga correttivi a questi aspetti concede ai datori di lavoro la possibilità di adempiere agli obblighi di assunzione con una mera esternalizzazione dell‟attività produttiva […], senza tradursi in termini di nuove opportunità occupazionali per lavoratori con disabilità particolari”: questa l‟opinione di Cimaglia M. C., op. cit., p. 314. 70 modalità, l‟una che considera gli oneri connessi ai c.d. costi di formazione, tutoraggio ed adeguamento del posto di lavoro nell‟ambito del costo unitario del lavoro (parametro del coefficiente di calcolo di cui sopra); l‟altra che, invece, opera in senso inverso, non tenendone conto. Tale scelta non è priva di significato, in quanto ha una ricaduta diretta sulla (maggiore o minore) capacità delle cooperative di assolvere alla loro (insostituibile) funzione di formazione c.d. “on the job” della persona disabile; ciò che, a sua volta, si ripercuote sul buon esito dei percorsi di inserimento e, quindi, sul successo della convenzione quadro quale “canale” di inclusione socio-lavorativa. Ciò, in definitiva, a dimostrazione di come detta tipologia di convenzione, per essere pienamente efficace, non possa prescindere dal perfezionamento di alcuni suoi aspetti, quali, in particolare, la piena valorizzazione delle cooperative sociali e, con esse, della loro capacità di formare il lavoratore sotto il profilo sia conoscitivo e di acquisizione delle competenze professionali che (più direttamente) lavorativo. 3.4 Il Fondo regionale per l’occupazione dei disabili di cui all’art. 14, legge n. 68 del 1999 e le misure di inserimento lavorativo con esso realizzate. Ai sensi dell‟art. 14, legge n. 68 del 1999, il Fondo regionale per l‟occupazione dei disabili, è destinato a finanziare “programmi regionali di inserimento lavorativo e dei relativi servizi”162. In particolare, esso, la cui concreta instaurazione è demandata a ciascuna regione, eroga: “contributi ai diversi enti menzionati dalla legge n. 68 del 1999, che svolgano attività rivolta al sostegno e all‟integrazione lavorativa dei disabili; contributi aggiuntivi a quelli di cui all‟art. 13, comma 1, lett. c), legge n. 68 del 1999163 e, infine, ogni altra provvidenza in attuazione delle finalità” della suddetta legge (art. 14, comma 4). 162 In merito al Fondo regionale per l‟occupazione dei disabili, cfr. in dottrina Ferrante V., sub Artt. 13, 14, in Santoro Passarelli G., Lambertucci P. (a cura di), op. cit., p. 1451 ss., nonché Nicolini C. A., Misure di agevolazione per le assunzioni di disabili, in Cinelli M., Sandulli P. (a cura di), op. cit., p. 450 ss. 163 Vale a dire contributi aggiuntivi rispetto al “rimborso forfetario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento o per l'apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l'integrazione lavorativa del disabile” (art. 13, comma 1, lett. c), legge n. 68 del 1999). 71 Tutte le regioni hanno provveduto all‟istituzione del proprio Fondo164, definendone le modalità di funzionamento e gli organi amministrativi, e garantendo che nella composizione di questi ultimi “sia assicurata una rappresentazione paritetica dei lavoratori, dei datori di lavoro e dei disabili”, così come richiesto dall‟art. 14, comma 2. Sotto questo profilo, la disamina della normativa analizzata mostra come le regioni si siano riservate un potere di indirizzo e coordinamento, da esercitarsi mediante atti appositi, che vincolano l‟azione degli organi amministrativi, ai quali, invece, sono attribuiti compiti di gestione del Fondo e di controllo sulle attività con esso finanziate. Le finalità165 alla cui realizzazione ciascun Fondo regionale è preposto vengono perseguite dalle regioni attraverso l‟assegnazione delle risorse disponibili, in via tendenziale alle province166, che provvedono, poi, alla loro concreta attuazione. 164 Cfr. l. r. Abruzzo 18 aprile 2001, n. 14; l. r. Basilicata 20 luglio 2001, n. 28; l. r. Calabria 26 novembre 2001, n. 32; l. r. Campania 6 dicembre 2000, n. 18; l. r. Emilia Romagna 1 agosto 2005, n. 17; l. r. Friuli Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18; l. r. Lazio 21 luglio 2003, n. 19; l. r. Liguria1 agosto 2008, n. 30; l. r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13; l. r. Marche 3 aprile 2000, n. 24 nonché l. r. Marche 25 gennaio 2005, n. 2; l. r. Molise 28 ottobre 2002, n. 26; l. r. Piemonte 29 agosto 2000, n. 51 (e, ora, la l. r. 22 dicembre 2008, n. 34); l. r. Puglia 12 aprile 2000, n. 9; l. r. Sardegna 28 ottobre 2002, n. 20; l. r. Sicilia 26 novembre 2000, n. 24; l. r. Toscana 26 luglio 2002, n. 32; l. r. Umbria 23 luglio 2003, n. 11; l.r. Valle D‟Aosta 31 marzo 2003, n. 7 (così come modificata dalla l.r. 18 aprile 2008, n. 14); l. r. Veneto 3 agosto 2001, n. 16. Con riferimento alla costituzione del Fondo di cui all‟art. 14, legge n. 68 del 1999, va segnalata l‟eccezione rappresentata dal Friuli Venezia Giulia che, ai sensi dell‟art. 39 della l. r. 8 agosto 2005, n. 18, ha optato per la creazione (non di un unico Fondo regionale, ma bensì) di un Fondo per ciascuna provincia. L‟art. 37 di questa legge prevede che le province siano tenute ad osservare, nella gestione e utilizzo delle risorse dei Fondi, gli indirizzi definiti dalla Giunta regionale con una deliberazione che determina anche i criteri di ripartizione delle risorse regionali. 165 Sul punto, pare interessante rilevare come le leggi regionali istitutive dei Fondi, oltre a ribadire la finalità espressamente indicata dall‟art. 14 del “finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo e dei relativi servizi”, la integrano, a volte, con delle indicazioni ulteriori, maggiormente dettagliate. In tal senso può citarsi, ad esempio, l‟art. 1, comma 2, l. r. Abruzzo 18 aprile 2001, n. 14, per il quale le risorse del Fondo sono destinate al «finanziamento del programma regionale di inserimento lavorativo dei soggetti disabili, anche attraverso azioni di orientamento, formazione, riqualificazione professionale, servizi di sostegno al reddito ed incentivi alle aziende per un collocamento mirato». Cfr. in merito anche l‟art. 7, l. r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13 e l‟art. 35, comma 1, l. r. Piemonte 22 dicembre 2008, n. 34. 166 Sul rapporto (e sul riparto) tra l‟azione delle regioni e quella delle province in tema di politiche attive e di inserimento lavorativo, in dottrina è stato osservato come la dimensione provinciale sia stata “assunta dalla legislazione regionale quale referente privilegiato” per la loro attuazione. Peraltro, se “sul piano ordinamentale questa scelta sembra[va] essere obbligata, in forza del chiaro rinvio che l‟art. 6, legge n. 68 del 1999 fa all‟art. 4 del d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, ai sensi del quale le funzioni ed i compiti relativi, tra l‟altro, al collocamento obbligatorio sono attribuiti alle province (art. 4, lett. a)”, ciò sembrerebbe non (più) essere. Infatti, “in relazione … alla potestà legislativa concorrente in materia di «tutela e sicurezza del lavoro», che l‟art. 117, comma 3, Cost. assegna alle regioni, la salvezza, disposta dagli artt. 1, comma 2, lett. e), legge 14 febbraio 2003, n. 30, e 3, comma 2, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, delle competenze amministrative già attribuite alle province dall‟art. 4 del d.lgs. n. 469 del 1997, secondo la Corte costituzionale [nella ormai famosa sentenza 28 gennaio 2005, n. 50, in www.giurcost.org., ndr] non preclude la possibilità di diverse discipline da parte delle Regioni.” Ciò con la conseguenza che “le funzioni e i compiti relativi al collocamento obbligatorio […] resteranno alle 72 Tale assegnazione avviene in base a criteri167 che variano da regione a regione. In quest‟ottica pare utile richiamare, a titolo esemplificativo, la modalità impiegata dalla regione Piemonte, che impiega quale criterio il numero di disabili iscritti nelle liste provinciali del collocamento entro una determinata data168. In alcuni casi, peraltro, la modalità di riparto è più complessa: è questo il caso, ad esempio, della Lombardia, la quale individua la quota da destinarsi a ciascuna provincia “sulla base dei dati” dalle stesse forniti e “secondo i seguenti criteri di riparto: a. numero dei disabili iscritti al collocamento mirato per una quota pari al 33%; b. numero dei posti di lavoro in disponibilità come da prospetti informativi presentati dalle aziende per una quota pari al 14%; c. numero di avviamenti nominativi per una quota pari al 10%; d. contributi esonerativi versati dalle aziende per una quota pari al 33%; e. quota equa pari al 10%”169. Altra caratteristica propria del sistema di riparto lombardo - la quale, peraltro è rinvenibile anche in altre realtà regionali170 - è costituita dal fatto che le risorse disponibili sono solo in parte assegnate alle province, mentre l‟altra parte è, invece, province se, nella misura in cui e fintanto che la regione non disponga diversamente”: così Canavesi G., op. ult. cit., p. 54. In merito si veda anche, dello stesso Autore, La giurisprudenza costituzionale sulla potestà legislativa in materia di lavoro, con particolare riferimento alla formazione professionale e alla previdenza sociale, in Dir. Merc. Lav., 2005, 2-3, p. 479 ss. La conclusione a cui è pervenuto l‟Autore sopra citato è implicitamente confermata dalla stessa normativa regionale, la quale, in sede di programmazione e ripartizione delle risorse del Fondo prevede, a volte, l‟assegnazione di una quota direttamente alle regioni, per il finanziamento di iniziative di livello, appunto, regionale. Sul punto si tornerà più avanti, nel testo. 167 In merito cfr., ad esempio, l‟art. 35, l.r. Piemonte 22 dicembre 2008, n. 34, secondo cui la Giunta regionale adotta atti di indirizzo e coordinamento per quanto attiene alla gestione del fondo, stabilendo, fra l'altro: […] i criteri per il riparto del fondo su scala provinciale” (comma 2). Sulla base delle risorse assegnate, poi, “le province provvedono alla gestione del Fondo nel rispetto degli atti di indirizzo emanati dalla Giunta regionale” (comma 3). 168 Cfr., da ultimo, la D.G. R. Piemonte 24 novembre 2008, n. 73−10176 (“Atto di indirizzo programmatico alle Province Piemontesi relativo alle risorse del Fondo Regionale disabili per gli anni 2008−2010. Criteri di riparto alle Province Piemontesi, ambiti e modalità di utilizzo delle risorse”) che, all‟all. A, punto 2, individua quale criterio di riparto delle risorse del Fondo Regionale tra le province “il numero degli iscritti al collocamento mirato alla data del 31 dicembre 2007”. 169 Cfr. in merito la D.G.R. Lombardia 25 Novembre 2009 n. VIII/10603 e s.m.i. (“Approvazione delle Linee di indirizzo a sostegno delle iniziative in favore dell‟inserimento socio-lavorativo delle persone disabili a valere sulle risorse di cui al richiamato Fondo regionale istituito con la l.r. 4 Agosto 2003, n. 13 – annualità 2010/2012”) e i successivi D.d.u.o. n. 6758 del 6 luglio 2010 (di approvazione delle “Linee di indirizzo per la gestione operativa delle doti lavoro persone con disabilità, realizzate nell‟ambito dei piani provinciali annualità 2010/2012”) e D.d.u.o. n. 8006 del 9 Agosto 2010 (“Determinazioni per il monitoraggio delle azioni realizzate nell‟ambito dei piani provinciali - persone con disabilità - annualità 2010/2012”). 170 Cfr. ad esempio l‟art. 10, l. r. Basilicata, n. 28 del 2001. 73 destinata al finanziamento di interventi gestiti direttamente a livello regionale 171: ciò, a ben vedere, nell‟ottica di una maggiore articolazione dei livelli di intervento, strumentale, a sua volta, ad una loro maggiore incisività. Quanto alle fonti di finanziamento del Fondo regionale, esse sono costituite, in attuazione dell‟art. 14, comma 3, legge n. 68 del 1999: dagli importi derivanti dall‟irrogazione di sanzioni amministrative previste dalla legge n. 68 del 1999 (lett. a)); dai contributi versati dai datori di lavoro ai sensi di tale legge (lett. b)); dai contributi di fondazioni, enti di natura privata e soggetti comunque interessati (lett. c)). Sotto questo profilo, con specifico riferimento ai contributi del tipo della lettera c), la normativa regionale analizzata ha confermato quanto già evidenziato in dottrina circa il loro carattere non tassativo, stante la possibilità, ivi prevista, di accedere ad altre linee di finanziamento172. Ed infatti, in più di un caso le regioni hanno stabilito di destinare al Fondo risorse diverse ed ulteriori rispetto a quelle espressamente indicate dall‟art. 14, legge n. 68 del 1999. Tali risorse integrative possono essere di provenienza, oltre che regionale, anche nazionale o europea, purché, ovviamente, inerenti agli interventi ed alle finalità perseguite attraverso il Fondo173. Passando ora all‟individuazione dei soggetti destinatari delle azioni finanziate con il Fondo, la normativa regionale analizzata tende ad identificarli sostanzialmente con i 171 Si veda ancora la D.G.R. Lombardia 25 Novembre 2009, n. VIII/10603 e s.m.i., secondo cui “la programmazione finanziaria annuale a valere sul Fondo Regionale per l‟occupazione dei disabili, di cui all‟art. 7 della l.r. n. 13/03, è effettuata sulla base della consistenza dello stesso alla data del 31 ottobre di ciascun anno, sentito il Comitato per l‟Amministrazione del fondo regionale per l‟occupazione dei disabili, e così suddivisa: a. il 45% delle risorse è destinato al finanziamento dei Piani Provinciali relativi ad un accompagnamento tramite lo strumento dote di inserimento e mantenimento lavorativo della persona disabile; b. il 30% delle risorse è destinato al finanziamento degli interventi gestiti direttamente da Regione Lombardia relativi ad un accompagnamento tramite lo strumento dote nel percorso di istruzione e formazione professionale della persona disabile; c. il 15% del complesso delle risorse è riservato agli interventi previsti per le azioni di sistema; d. il 10% del complesso delle risorse è destinato ad attività di assistenza tecnica (programmazione, gestione, monitoraggio, valutazione, sistemi informativi di supporto e sostegno alla rete degli operatori accreditati)”. 172 Così Canavesi G., op. cit., p. 54, che, sul punto richiama le osservazioni di Ferrante V., op. cit., p. 1442, e di Nicolini C. A., op. cit., p. 453. 173 Cfr. in tal senso l‟art. 5, l. r. Lazio 21 luglio 2003, n. 19 e s. m. i.; l‟art. 39, comma 2, lett. d), l. r. Friuli Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18; nonché l‟art. 26, l. r. Marche 25 gennaio 2005, n. 2 e s. m. i. In merito, più in generale, si vedano anche le indicazioni contenute in Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Terza relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili, parte II, Capitolo 3, § 1, p. 128 ss. 74 “disabili” così come definiti dall‟art. 1, comma 1, legge n. 68 del 1999174. Peraltro, se la normativa in parola non pare contemplare la possibilità di allargare il raggio d‟azione degli interventi realizzati attraverso il Fondo anche a soggetti che, pur in condizione di handicap, non rientrano nella definizione sopra citata, essa, come si vedrà, prevede invece in più di un caso la destinazione di una parte delle risorse disponibili al finanziamento di interventi specificamente rivolti a categorie di disabili (rientranti nella definizione di cui all‟art. 1, legge n. 68 del 1999) particolarmente gravi e, in quanto tali, (più) difficilmente collocabili mediante le vie ordinarie del collocamento mirato175. In definitiva, allora, interventi di questo tipo, seppur tendenzialmente rivolti solo ai “disabili” destinatari del collocamento mirato, sono concepiti in modo tale da diversificarsi a seconda delle caratteristiche (e della gravità) dell‟handicap da trattare. Quanto, invece, ai soggetti beneficiari ex laetere datoris delle agevolazioni finanziate attraverso le risorse del Fondo, essi sono generalmente identificati: nei datori di lavoro privati (anche non soggetti all'obbligo di assunzione176 di cui alla legge n. 68 del 1999); nelle cooperative sociali e nei consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381; negli Enti locali ed i loro consorzi socio-assistenziali; negli enti pubblici economici; nonché, infine, negli altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli 174 Cfr., ad esempio, l‟art. 2, comma 1, l. r. Veneto 3 agosto 2001, n. 16; l‟art. 2, l. r. Lazio 21 luglio 2003, n. 19; l‟art. 2, l. r. Lombardia 4 agosto 2003, n. 13. In tutti questi provvedimenti, con diciture analoghe, il richiamo è alle (sole) persone rientranti nella definizione di “disabile” ai sensi della legge n. 68 del 1999. Si veda, inoltre, sempre a titolo esemplificativo, anche la D.G.R. Piemonte 24 novembre 2008, n. 73−10176 (“Atto di indirizzo programmatico alle Province Piemontesi relativo alle risorse del Fondo Regionale disabili per gli anni 2008−2010. Criteri di riparto alle Province Piemontesi, ambiti e modalità di utilizzo delle risorse”), in cui è stabilito espressamente che “gli interventi realizzati con le risorse del Fondo Regionale sono rivolti esclusivamente alle persone disabili previste dalla l. n. 68/99”; per contro, “per tutte le persone disabili non richiamate all‟interno” della suddetta legge (definiti “sottosoglia”) “le attività sono all‟interno del Programma Operativo Regionale per gli anni 2007-2013”. 175 Su tale aspetto si tornerà diffusamente più avanti, nel testo. 176 Interessante, da questo punto di vista, l‟iniziativa attivata dalla provincia di Imperia a partire dal 2009, denominata “Progetto GE.MI.NI”. Tale progetto, finanziato attraverso le risorse del Fondo regionale, ha l‟obiettivo di inserire persone con disabilità “critica” anche in aziende non soggette agli obblighi di cui alla legge n. 68 del 1999. A tal fine, sono state previste attività di sensibilizzazione e informazione presso le aziende non obbligate, percorsi di accompagnamento al lavoro, formazione individualizzata, tutoraggio, nonché incentivi alle aziende anche per assunzioni a termine della durata di almeno 6 mesi. Progetto analogo a quello ora illustrato, soprattutto per il fatto di rivolgersi a (e coinvolgere i) datori di lavoro non obbligati ai sensi della legge n. 68 del 1999 è il “Progetto Nautilus”, attivato dalla provincia di Frosinone. Per un esame maggiormente esaustivo di entrambe le iniziative citate, cfr. Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione al parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n.68 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”), II parte, reperibile sul sito internet http://www.cliclavoro.gov.it, p. 250 e 276. 75 obiettivi di inserimento dei disabili177. Quest‟ultima categoria di beneficiari, stante il suo carattere “aperto”, appare, a ben vedere, “funzionale a ricomprendere potenzialmente nell‟elenco sopra riportato qualsiasi operatore reputato in grado di fornire un apporto concreto alla realizzazione del diritto al lavoro delle persone con disabilità”178. Con riferimento, invece, agli interventi finanziabili attraverso il Fondo, essi, come già si è avuto modo di accennare, sono costituiti da: a) contributi agli enti indicati nella legge n. 68 del 1999 che svolgono attività di sostegno e di integrazione lavorativa dei disabili; b) contributi aggiuntivi rispetto a quelli di cui all‟art. 13, comma 1, lett. c), legge n. 68 del 1999; e, infine, c) ogni altra provvidenza in attuazione delle finalità della legge n. 68 del 1999. Le azioni ed attività previste, più o meno direttamente riconducibili a queste previsioni, sono molteplici. In via esemplificativa, e non tassativa, possono menzionarsi, oltre alla (diretta) erogazione di contributi finalizzati alla realizzazione di progetti d‟inserimento lavorativo, anche la predisposizione di misure di adeguamento delle competenze professionali e/o di assistenza tecnica di varia natura, quali: l‟approntamento di azioni di adattamento del posto di lavoro, l‟acquisto di attrezzature per il telelavoro, la predisposizione di un tutor aziendale, l‟assicurazione del trasporto179 del disabile dall‟abitazione al luogo di lavoro e viceversa180. Tra la molteplicità degli interventi attivati, pare interessante evidenziarne alcuni, che spiccano per il loro carattere innovativo e per la loro propensione ad affrontare (e tentare di risolvere) le problematiche connesse agli inserimenti più difficilmente 177 In merito si cfr. ad es. la D.G.R. Piemonte 24 novembre 2008, n. 73−10176 (“Atto di indirizzo programmatico alle Province Piemontesi relativo alle risorse del Fondo Regionale disabili per gli anni 2008−2010). 178 Così Canavesi, op. ult. cit., p. 58. 179 In merito, pare interessante richiamare l‟iniziativa della provincia di Rimini, la quale, a quanto consta, è stata la prima in Italia ad aver realizzato un servizio di trasporto casa - lavoro - casa per le persone con disabilità non vedenti. Il servizio ha preso avvio nella seconda metà del 2005, utilizzando risorse del Fondo Regionale per l‟occupazione delle persone con disabilità e svantaggiate: cfr. in merito le indicazioni contenute in Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, V Relazione al parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, parte II, cit., p. 225. 180 In generale, sugli ambiti di attività finanziabili mediante il Fondo regionale, cfr., a titolo esemplificativo: la più volte citata D.G.R. Piemonte 24 novembre 2008, n. 73−10176; la D.G.R. Toscana 3 luglio 2006, n. 490; la D.G.R. Veneto 21 marzo 2003, n. 755; la D.G.R.. Lombardia 9 luglio 2004, n. 7/18130; il Reg. della Regione Calabria 5 febbraio 2002, n. 2. 76 realizzabili, quelli con riferimento ai quali, come detto più volte, gli strumenti predisposti dal legislatore si sono rivelati per lo più insufficienti. In merito, può in primo luogo richiamarsi l‟iniziativa posta in essere dalla Regione Lombardia a partire dal 2004 - e, ora, almeno a quanto consta, superata dall‟esperienza della c.d. “dote”, di cui si dirà nel paragrafo successivo - consistente in un complesso di misure volte ad incentivare l‟assunzione e sostenere il mantenimento al lavoro presso le cooperative sociali di tipo b) di persone disabili psichiche: a tal fine, è stata destinata una parte delle risorse del Fondo riservate alla regione181. Sempre con riferimento alle azioni finanziabili attraverso il Fondo se ne segnalano, poi, alcune predisposte dalla Regione Toscana. Questa ha riconosciuto una priorità di accesso al suddetto finanziamento ai “progetti di inserimento presentati da imprese che prevedano un programma di inserimento, comprensivo di un corso di formazione professionale individuale, e/o di azioni di tutoraggio per l‟inserimento lavorativo del disabile”182. Sono considerate prioritariamente anche le azioni perseguite dalla Regione per “la presentazione di programmi da parte delle cooperative sociali di tipo b, anche in collaborazione con imprese industriali, artigiane, commerciali e del settore dell‟agricoltura, per la creazione di nuovi posti di lavoro”, nonché – nell‟ambito di progetti ritenuti ammissibili dalle province, ma non finanziabili con risorse del Fondo Nazionale per il diritto al lavoro dei disabili – “i progetti per incrementare le convenzioni con le imprese per l'assunzione di disabili con particolari difficoltà” e “gli 181 Cfr. in merito la D.G.R. 9 luglio 2004, n. 7/18130, nonché la D.G.R. 1 marzo 2006, n. 8/2010, attuata dal d.d.g. 14 aprile 2006, n. 4301, e la D.G.R. 30 maggio 2007, n. 8/4786 (di modifica della D.G.R. 1 marzo 2006, n. 8/2010) attuata dal d.d.u.o. 15 giugno 2007, n. 6530. Ai fini dell‟applicazione dei provvedimenti citati, “disabili psichici” sono definite “le persone in età lavorativa affette da minorazione psichica o portatrici di handicap intellettivo che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell‟invalidità civile in conformità alla tabella delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti approvata, ai sensi dell‟art. 2, d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, dal Ministero della Sanità sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dall‟Organizzazione mondiale della Sanità” (D.G.R. 1 marzo 2006, n. 8/2010, allegato I, punto 1). L‟opzione in favore di tale tipologia di destinatari è stata giustificata in base alla considerazione che “i disabili psichici sono sottratti dalla normativa all‟inserimento lavorativo tramite collocamento obbligatorio, e pertanto sono, nell‟ambito della disabilità, la fascia più debole per il collocamento mirato” (D.G.R. Lombardia 1 marzo 2006, n. 8/2010, allegato I, punto 2). Per una disamina maggiormente esaustiva dell‟azione in parola, cfr. Canavesi G., op. cit., p. 54 ss. 182 Cfr. sul punto D.G.R. Toscana 3 luglio 2006, n. 490. 77 interventi inerenti attività specialistiche finalizzate all‟assunzione dei disabili”183. A ben vedere, dalla disamina queste e delle altre attività finanziate attraverso i vari Fondi regionali nonché, più in generale, dalle modalità di funzionamento di questi ultimi, emerge, in primo luogo, il tentativo (più o meno riuscito) delle regioni e delle province di predisporre un complesso di azioni - realizzate grazie all‟apporto di vari soggetti (pubblici e privati), operanti in raccordo l‟uno con l‟altro - finalizzato ad implementare il sistema del collocamento lavorativo dei disabili definito dal legislatore nazionale nonché, in alcuni casi, a correggerne le inefficienze, in attuazione del principio di sussidiarietà verticale di cui all‟art. 117 Cost. Emblematica, da questo punto di vista, appare la previsione, rinvenibile in più di una realtà regionale, di integrare le disponibilità del Fondo con delle risorse aggiuntive rispetto a quelle previste in via generale dall‟art. 14, legge n. 68 del 1999, di varia provenienza (regionale, nazionale, europea). Si pensi, ancora, alla scelta di finanziare attraverso il Fondo delle azioni specificamente rivolte a quelli, tra i disabili, che a causa della particolare gravità del loro handicap, risultano più difficilmente inseribili (almeno) attraverso gli strumenti forniti dal collocamento mirato. Ulteriore elemento comune a pressoché tutte le azioni analizzate appare, poi, il ruolo di primo piano attribuito alle cooperative sociali nel perseguimento dell‟obiettivo dell‟inclusione socio-lavorativa. A ben vedere, la predisposizione di azioni espressamente e specificatamente rivolte (solo) ad alcune tipologie di disabili (più gravi), così come l‟importanza riconosciuta all‟attività di inserimento lavorativo svolta dalla cooperazione sociale 184, costituiscono 183 Di queste convenzioni, poi, la normativa regionale fissa in 36 mesi la durata massima, mentre del contributo si prevede un erogazione in tre fasi: la prima rata dopo sei mesi dalla assunzione del disabile, la seconda dopo 18 mesi di lavoro, l‟ultima al termine dei 36 mesi (cfr. ancora la D.G.R. Toscana n. 490 del 2006). 184 Si veda, a titolo esemplificativo, all‟art. 26, comma 2, l. r. Marche 25 gennaio 2005, n. 2 e s. m. i., secondo cui le risorse del Fondo devono essere destinate (anche) al “sostegno di percorsi di formazione e lavoro all‟interno delle cooperative sociali di inserimento lavorativo di tipo b, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 e alla l. r. 18 dicembre 2001, n. 34 ed iscritte all'albo regionale”. Un‟attenzione particolare a questi enti dedica anche la Regione Veneto che, tra le attività cui destinare le risorse del Fondo regionale contempla espressamente “l‟inserimento lavorativo presso Cooperative sociali di tipo b” . Più specificamente, si prevede che dalla quota assegnata ad ogni provincia almeno il 30 per cento vada destinato a contributi a cooperative sociali di tipo b) che assumono disabili senza utilizzare i benefici della fiscalizzazione del Fondo nazionale di cui all'art. 13 della legge n. 68 del 1999. Nella stessa quota possono essere ricomprese borse di lavoro per il primo anno di attività del disabile presso la cooperativa 78 una tendenza rinvenibile anche nel più vasto panorama delle politiche attive e di inserimento ulteriori rispetto a quelle finanziate attraverso il Fondo regionale, come si dimostrerà nel paragrafo che segue. 3.5 Le (ulteriori) misure di politica attiva in favore dell’inserimento lavorativo delle persone disabili. Una corretta (e completa) analisi della disciplina in materia di inserimento sociolavorativo dei disabili impone una ricognizione più a vasto raggio, al fine di verificare l‟esistenza di (ulteriori) misure e strumenti per la sua concreta realizzazione. A riguardo, dall‟esame della normativa reperita, è possibile in primo luogo rilevare l‟esistenza di una pluralità di misure “di base … rivolte in generale a beneficio dei soggetti svantaggiati e non soltanto dei disabili e che coprono, sia pure con diversa intensità e con modalità anche molto differenti da zona a zona, sostanzialmente l‟intero territorio nazionale”185. Tali interventi, dunque, tendono a presentare un ambito di applicazione soggettivo più ampio, ricomprendendo, per quel che qui interessa, anche persone che, pur essendo affette da una qualche forma di minorazione, non rientrano nella definizione di “disabile” di cui all‟art. 1, comma 1, legge n. 68 del 1999. Peraltro, dal punto di vista della tipologia delle azioni attivate, le misure in questione ricalcano nelle linee generali quelle già illustrate nel paragrafo precedente: si va, infatti, dalla predisposizione di servizi di orientamento, formazione, addestramento ed aggiornamento professionale, gestiti da operatori qualificati186, all‟offerta (incentivata) di tirocini (con tutors specializzati rispetto alle peculiari problematiche inerenti la disabilità da affrontare187, propedeutici all‟inserimento nel mondo del lavoro), alla sociale, quando si tratti di progetti di inserimento lavorativo relativi a portatori di handicap intellettivo o soggetti psichiatrici. 185 Cfr. sul punto Canavesi G., op. ult. cit., p. 60. 186 Tali servizi possono consistere, ad esempio, in colloqui di preselezione miranti alla individuazione delle reali potenzialità degli utenti ed alla definizione di chiari profili professionali, ed effettuati in funzione delle richieste delle imprese. Cfr. in merito Aa. Vv., in Belotti V. (a cura di), Alla ricerca di un “posto”. Cooperazione sociale d’inserimento lavorativo e politiche attive del lavoro, Comunità Edizioni, 2007, p. 30 ss. 187 Sotto questo aspetto, sembra importante sottolineare l‟iniziativa della regione Toscana, relativa all‟attivazione del servizio “Mediazione ed inserimento lavorativo di persone disabili” (MILD) che mette a disposizione dei mediatori per il trattamento dei disabili con necessità di “supporto”; tali operatori forniscono un percorso che comprende azioni di formazione al lavoro e tutoraggio. Sempre in Toscana 79 concessione di finanziamenti per l‟adattamento del posto di lavoro e, più in generale, per le modifiche e gli aggiustamenti necessari per l‟inserimento del soggetto disabile nel contesto lavorativo, all‟offerta di assistenza tecnica e logistica nonché, infine, all‟erogazione di incentivi collegati all‟assunzione del disabile. Con riferimento, poi, ai soggetti chiamati alla predisposizione e realizzazione degli interventi sopra indicati, emerge (ancora una volta) il ruolo fondamentale attribuito alla cooperazione sociale, considerato quale operatore d‟elezione nel campo dell‟inserimento lavorativo. Quanto detto trova conferma in molteplici disposizioni regionali, sia di natura programmatica - in cui la cooperazione sociale è definita “un soggetto privilegiato per l‟attuazione di politiche attive del lavoro tese a sviluppare nuova occupazione a favore delle fasce deboli del mercato del lavoro”188 - sia di natura più spiccatamente operativa nell‟ambito delle quali vengono previste, ad esempio, agevolazioni di varia natura specificamente rivolte all‟attività inclusiva svolta dalle cooperative sociali in favore di soggetti svantaggiati (e, dunque, anche di persone disabili)189. Sempre riguardo ai soggetti coinvolti nell‟ambito delle politiche di inserimento, dalla disamina della normativa e della documentazione reperite pare potersi desumere una particolare attenzione mostrata nei confronti del sistema di raccordo tra questi ultimi, nel tentativo di valorizzare il più possibile l‟apporto ed il coinvolgimento attivo di (provincia di Firenze), inoltre, esistono dei tutor provinciali specializzati in fasce deboli, la cui funzione è (anche) la predisposizione di tirocini a favore di disabili psichici ed intellettivi non certificati. Su queste e su iniziative di analogo tenore, cfr. i Risultati dell’indagine campionaria dell’Isfol: servizi per l’impiego e interventi rivolti a soggetti svantaggiati, anno 2004, Aa. Vv., in Belotti V. (a cura di), op. cit., p. 32, nonché Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, parte II, cit., p. 155 ss. 188 Cfr. in merito l‟art. 7, l. r. Basilicata 20 luglio 1993, n. 39, nonché il successivo art. 8, il quale stabilisce che la programmazione regionale e gli atti regolamentari nel campo della formazione devono prevedere interventi atti a favorire, tra l‟altro, lo sviluppo, attraverso le cooperative sociali, di specifiche iniziative formative a favore dei lavoratori svantaggiati e dei disabili. 189 Sul punto, è possibile citare, ad esempio, l‟art. 7, l.r. Marche 18 dicembre 2001, n. 34, che prevede la concessione da parte della regione di contributi per il sostegno di iniziative promosse dalle cooperative sociali di tipo b), iscritte nell‟apposito albo regionale, e finalizzate ad una migliore acquisizione di capacità lavorative da parte di persone svantaggiate. Al riguardo la D.G.R. Marche 10 ottobre 2005, n. 1166, nello stabilire i criteri per l‟ammissione, i termini e le modalità di assegnazione ed erogazione dei contributi regionali per l‟anno 2005 aveva previsto che potessero accedere al contributo regionale le cooperative sociali di tipo b) che, alla data di approvazione della delibera, avessero assunto persone con disturbi mentali o che ne assumessero entro il 20 ottobre 2005. Successivamente la D.G.R. 6 febbraio 2007, n. 77, con riferimento agli anni 2006 e 2007 ha riconosciuto il contributo per l‟assunzione di persone già invalide civili che presentino infermità mentali le quali comportino un gradiente invalidante non inferiore al 41%. 80 ciascuno di essi (e, non ultimo, quello dei disabili destinatari delle politiche) alla realizzazione degli inserimenti. E‟, forse, questo uno degli ambiti di intervento maggiormente innovativi delle politiche degli ultimi anni nel campo dell‟inclusione socio-lavorativa. In quest‟ottica, emblematica appaiono esperienze del tipo di quella sperimentata nella provincia di Reggio Emilia, dei c.d. “Nuclei Territoriali per l‟inserimento lavorativo delle persone in situazione di svantaggio”190. I “Nuclei Territoriali” rappresentano un modello di servizi integrati a supporto dell‟inclusione socio-lavorativa. In estrema sintesi, essi sono costituiti da gruppi di lavoro composti da operatori di servizi pubblici e privati, che hanno il compito di “prendere in carico” le persone con disabilità e in condizione di svantaggio sociale con maggiori difficoltà. I Nuclei, che presuppongono la compresenza al loro interno di figure di diversa professionalità, inerenti al mondo del sociale, sanitario e ai servizi per l‟impiego, hanno sede presso i Centri per l'impiego della Provincia, e sono coordinati a livello tecnico ed organizzativo da un Gruppo di coordinamento centrale (a sua volta coordinato da uno dei Coordinatori designati dalla Provincia) con la supervisione di un Comitato di 190 Sull‟esperienza in commento, si veda il Protocollo di intesa siglato dalla Provincia di Reggio Emilia sull‟inserimento lavorativo delle persone disabili e delle persone in condizione di svantaggio (22 settembre 2006), che disciplina l‟organizzazione del sistema dei Nuclei Territoriali, nonché, più in generale, AA. VV., I Nuclei Territoriali. Un modello per favorire l’inserimento al lavoro di disabili e persone in situazione di svantaggio, FormAutonomie, 2006. Ulteriori informazioni possono essere reperite in Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, II parte, cit., p. 74 ss. Per un esempio di esperienza analoga a quella dei Nuclei Territoriali, per complessità organizzativa e capacità di raccordo tra i diversi soggetti chiamati ad operare (e cooperare) nel perseguimento dell‟obiettivo dell‟inclusione sociolavorativa, si veda l‟iniziativa attivata nella provincia di Teramo a partire dal 2004, denominata “Servizio inserimento lavorativo utenza svantaggiata” che consiste in un servizio specialistico, finalizzato a neutralizzare il rischio di esclusione sociale relativo a determinate fasce deboli attraverso la realizzazione di interventi per accrescerne l‟occupabilità e favorirne le pari opportunità. Si tratta di un servizio integrato che opera come sportello mirato presso i Centri per l‟impiego, con caratteristiche definite ed un‟organizzazione flessibile, effettuando una serie di attività di prima accoglienza, orientamento, consulenza individuale, motivazionale, psicologica, politica attiva ed inserimento lavorativo. Gli operatori del servizio lavorano in staff coordinato a livello provinciale e direttamente presso i Centri per l‟impiego, in raccordo con gli esperti che si occupano di orientamento e rapporti con le imprese, ed in rete esterna con le strutture di assistenza sociale, di volontariato e non profit, il sistema scolastico e formativo, le organizzazioni di impresa ed i soggetti della concertazione a livello locale. Destinatari dell‟intervento sono una pluralità di soggetti in situazioni di difficoltà, tra cui figurano i disabili (anche quelli più gravi). Sull‟argomento, cfr. Aa. Vv., in Belotti V. (a cura di), op. cit., p. 65, nonché Canavesi G., op. ult. cit., p. 64. 81 pilotaggio costituito fra i vari partners, con il compito di indirizzo e valutazione delle attività, di verifica dello stato d‟attuazione e di elaborazione delle linee strategiche di sviluppo delle attività. Più in particolare, “il modello organizzativo dei Nuclei Territoriali si sviluppa su tre livelli: 1) politico-istituzionale - Comitato di Pilotaggio; 2) di coordinamento - Gruppo di Coordinamento; 3) operativo decentrato - Nuclei Territoriali. Il Comitato di Pilotaggio, vertice strategico del sistema, è composto dai rappresentanti degli enti partecipanti al progetto (Provincia, ASL, Comune, privato sociale), che hanno il compito di definire le politiche del loro settore e/o le linee strategiche dei servizi. Le funzioni del Comitato di Pilotaggio sono essenzialmente le seguenti: supervisione generale; gestione dei collegamenti interistituzionali; elaborazione delle linee strategiche di sviluppo; indirizzo e valutazione del lavoro del Gruppo di Coordinamento e dei Nuclei Territoriali. Il Gruppo di Coordinamento provinciale, coordina operativamente il sistema dei Nuclei territoriali provvedendo in particolare a definire un metodo di lavoro comune anche attraverso il confronto su problemi e casi di interesse generale. È il tramite formale fra i Nuclei Territoriali e il livello politico-istituzionale. Ha la possibilità di svolgere colloqui di pre-inserimento/orientamento per la stesura della scheda individuale delle persone con disabilità e della definizione di particolari percorsi di inserimento nonché di preselezione in caso di persone che presentino particolari problematicità. Nella realizzazione di tale attività, il gruppo di lavoro può avvalersi degli operatori di orientamento presenti nei Centri per l‟impiego e/o di eventuali competenze specifiche presenti nell‟ASL. Il Gruppo, che si riunisce a cadenza settimanale ed è composto dai coordinatori dei Nuclei Territoriali, viene integrato - a cadenza di norma mensile - da un medico del lavoro dell'ASL per la valutazione della coerenza delle proposte di inserimento lavorativo delle persone con disabilità. I Nuclei territoriali, sulla base della propria conoscenza del territorio e delle esigenze delle imprese, indirizzati dal Gruppo di Coordinamento provinciale, operano con il ruolo ed i 82 seguenti compiti: a) selezione delle persone da ammettere al Servizio; b) colloqui di informazione e pre-orientamento con le persone ammesse; c) incontri con i datori di lavoro; d) svolgimento di analisi dei posti di lavoro dichiarati disponibili dalle imprese tramite i prospetti informativi e le convenzioni ex art.11, l. n.68/1999; e) incrocio domanda-offerta per assunzioni e tirocini per persone con disabilità; f) elaborazione di piani personalizzati di inserimento; g) accompagnamento sul posto di lavoro delle persone che presentano particolari difficoltà di inserimento. L‟accompagnamento si realizza attraverso azioni di relazione con l‟azienda e fra lavoratore ed azienda, accompagnamento all‟atto dell‟inizio del lavoro, sostegno durante l‟attività lavorativa attraverso relazioni con l‟azienda ed i colleghi per prevenire le difficoltà sul posto di lavoro derivanti dalla patologia del lavoratore, relazione con gli eventuali tutor aziendali, attivazione di azioni di orientamento e ri-orientamento, formazione sul lavoro ed altre attività utili a consentire la stabilizzazione nel tempo dell‟inserimento lavorativo; h) progetti individualizzati di stabilizzazione per chi è già al lavoro ma rischia di perderlo; i) counseling e sostegno alle famiglie e costruzione delle reti di contesto; j) monitoraggio degli inserimenti lavorativi effettuati nel territorio (in autonomia o su richiesta del Gruppo di coordinamento). Per le persone in condizione di particolare svantaggio i Nuclei possono altresì utilizzare le borse lavoro. Per consentire ai Nuclei di programmare adeguatamente le attività di inserimento lavorativo e di costituirsi quali agenzie territoriali che operano verso le imprese come interlocutori unitari, è prevista la stipulazione di intese operative fra i Servizi comunali e dell'ASL ed i Centri per l'impiego”191. Questa ed altre esperienze analoghe appaiono particolarmente interessanti sotto il profilo della efficienza organizzativa, sia in termini di capacità di ramificazione sul territorio, sia in termini di capacità di far convergere verso un unico scopo l‟azione di più soggetti, ciascuno con il proprio bagaglio di conoscenze e competenze, tutte necessarie per la realizzazione di un servizio di inclusione socio-lavorativa il più possibile efficiente, idoneo a diversificare gli interventi e, più in generale, a calibrarli sulle specificità dei soggetti destinatari. 191 Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, II parte, cit., p. 74 ss. 83 Altra iniziativa meritevole di interesse - soprattutto per la sua capacità di coinvolgimento attivo del disabile nel suo processo di inserimento al lavoro - è quella, attivata in Lombardia, del c.d. “sistema della dote”192. Tale strumento, inizialmente sperimentato nel campo dell‟istruzione e, in un momento successivo, impiegato anche nei settori della formazione e dei servizi al lavoro193, è stato definito come “l‟insieme delle risorse e dei servizi riservato alla persona perché stabilisca, mantenga e rafforzi le relazioni che tengono vivo, sviluppano e valorizzano al meglio il suo capitale umano”194. Attualmente, il sistema della dote si dipana su tre principali linee di intervento 195: la dote Scuola; la dote Formazione e, infine, la dote Lavoro. Quest‟ultima, diretta a chi è in cerca di un‟occupazione, permette di accedere ad una c.d. “indennità di partecipazione” ed a servizi di orientamento, inserimento e reinserimento lavorativo. Sempre nel settore della tutela del lavoro, poi, sono state concepite due ulteriori tipologie di dote, specificamente rivolte alle persone con disabilità, e finalizzate a favorirne l'inserimento lavorativo e/o il mantenimento dell‟occupazione: la prima, attivata nel luglio del 2008, denominata "dote Lavoro per persone con disabilità di tipo psichico"196; la seconda, attivata l‟anno successivo197, e rivolta ad una platea più vasta di destinatari, definita più genericamente "dote Lavoro per persone con disabilità". In via generale, a prescindere dalla species di dote (Lavoro) considerata, il funzionamento dell‟istituto in commento è basato sull‟espletamento di un‟articolata procedura per “tappe obbligate”, che inizia con la richiesta di attivazione della dote 192 Per una disamina generale del “sistema dote” cfr. Violini L., Cerlini S., Il sistema della “Dote” in Lombardia: prime riflessioni su un’esperienza in atto”, in Riv. dir. sic. soc., 2011, 1, p. 43 ss. nonché, con riferimento alla sola dote Lavoro, Canavesi G., La “Dote Lavoro” in Lombardia: un nuovo modello di politiche del lavoro?, in Riv. dir. sic. soc., 2011, p. 59 ss.; cfr. altresì i dati e le osservazioni svolte in Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, op. ult. cit., p. 180 ss. 193 L‟estensione del “sistema dote” al settore dei servizi al lavoro - preceduta da una fase sperimentale riconducibile nell‟ambito del progetto “Laborlab”, in cui la dote era stata estesa a specifici gruppi di destinatari - è avvenuta con la l.r. n. 22 del 2006 (“Il mercato del lavoro in Lombardia”), che rappresenta “il primo intervento organico della regione in materia di politica del lavoro e organizzazione di un sistema integratori servizi”: in merito cfr. più diffusamente Violini L., Cerlini S., op. cit., p. 48 s. 194 Canavesi G., op. ult. cit., p. 61, testo e nota 5, che, sul punto, si riferisce ad Albonetti R., L’esperienza della Dote in Regione Lombardia, in Non profit, 2009, p.121. 195 Canavesi G., op. ult. cit., p. 63. 196 Tale tipologia di dote è stata attivata con il d.d.u.o. n. 7296 del 7 luglio 2008. 197 Cfr. in merito il d.d.u.o. 2651 del 18 marzo 2009 (“Approvazione dell‟avviso Dote Lavoro persone con disabilità e delle relative modalità di attuazione, per favorire l‟inserimento lavorativo e il sostegno all‟occupazione dei disabili”), in b.u.r.l., suppl. straord. n. 12 del 24/03/2009. 84 direttamente da parte dei soggetti beneficiari interessati; continua con la verifica (da parte del soggetto pubblico) della sussistenza dei requisiti per ottenerla; e, infine, termina con l‟erogazione (dote stessa, sottoforma) della c.d. “indennità di partecipazione” e delle somme a compenso dei servizi forniti dai soggetti accreditati 198. Una volta presentata la domanda di “partecipazione all‟avviso dote”, chi intende usufruirne deve, poi, rivolgersi ad un operatore accreditato che lo prenda “in carico” e sottoscriva un “piano di inserimento personalizzato” (il c.d. “Pip”), vale a dire un programma che definisce i reciproci impegni (del beneficiario e dell‟operatore) e individua un percorso di attività e di servizi funzionale agli obiettivi da raggiungere. I servizi in concreto erogabili tramite dote sono predefiniti dalla Regione, che ne ha stabilito anche i requisiti minimi di durata e costo orario finanziabile. Costituiscono condizioni di accesso alla dote la sottoscrizione del Pip da parte del soggetto beneficiario, e la sussistenza di specifici “atti di adesione” (al Pip) sia dell‟operatore accreditato che del singolo soggetto che ha concretamente “preso in carico” il soggetto richiedente. Infine, ulteriore condizione è costituita dall‟accettazione del Pip da parte della Regione199. Con specifico riferimento alla dote Lavoro per lavoratori disabili psichici, essa, avviata con il d.d.u.o. 7296 il 7 luglio 2008, è nata con lo scopo dichiarato di migliorare le possibilità di inserimento nel mondo del lavoro e/o il mantenimento dell‟occupazione delle persone con disabilità psichica, nella consapevolezza che “tale tipologia di disabilità è considerata dagli operatori del settore come la fascia più debole per il collocamento mirato e a maggior rischio di esclusione sociale” (V relazione al parlamento). I beneficiari dell'intervento sono persone in età lavorativa, affette da minorazioni psichiche e portatrici di handicap intellettivo che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% residenti e/o domiciliate in Regione Lombardia. Le attività finanziabili sono state ricondotte all'interno di due linee di intervento che, a loro volta, identificano due diverse (sotto)tipologie di dote: la prima, denominata “dote assunzione”, è diretta ai soggetti assunti in una cooperativa sociale di inserimento 198 199 Canavesi G., op. ult. cit., p. 63 ss. Canavesi G., op. ult. cit., p. 64 ss. 85 lavorativo ex art. 1, comma 1, lett. b), legge n. 381 del 1991, con un contratto a tempo indeterminato o, in alternativa, a tempo determinato di durata non inferiore a 12 mesi. Attraverso la “dote assunzione” è possibile finanziare tre diversi servizi: l'elaborazione del Piano di Intervento Personalizzato; il servizio di inserimento lavorativo (costituito da interventi finalizzati della cooperativa); il servizio di accompagnamento (costituito dall‟affiancamento al beneficiario di un “accompagnatore” interno alla cooperativa, con il compito di assisterlo sul posto di lavoro). La seconda (sotto)tipologia di dote, denominata “dote occupazione”, è invece diretta ai soggetti che alla data dell'avviso di partecipazione (alla dote) erano già occupati in una cooperativa sociale di inserimento lavorativo con un contratto a tempo indeterminato o determinato per una durata non inferiore a 12 mesi. Attraverso la dote “occupazione” è possibile finanziare tre diversi servizi: l'elaborazione del Piano di Intervento Personalizzato; il servizio di sostegno all'occupazione (costituito da interventi della cooperativa finalizzati al mantenimento del posto di lavoro); il servizio di accompagnamento. Quanto, invece, alla “dote Lavoro per persone con disabilità”, essa, avviata con il d.d.u.o. 2651 del 18 marzo 2009, è rivolta: 1) alle persone con disabilità certificata fino al 79%; 2) alle persone con disabilità certificata oltre il 79%, o alle persone affette da minorazioni psichiche e portatori di handicap intellettivo che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell‟invalidità civile. Il contributo erogabile varia di intensità a seconda del grado di invalidità, e può essere rinnovato alla scadenza (nei casi in cui il precedente contributo abbia riguardato interventi vincolati al buon esito del percorso di inserimento lavorativo). Tale tipologia di dote offre la possibilità di usufruire di servizi di vario tipo: al lavoro, di formazione, tutoraggio, accompagnamento e acquisto di ausili necessari per l‟adattamento del posto del lavoro (si pensi ad esempio, all'elaborazione del Piano di Intervento Personalizzato, all'acquisto di strumenti o ausili indispensabili per utilizzare gli altri servizi, al servizio di formazione individuale e/o collettiva, al servizio di scouting aziendale, o a quello di accompagnamento al lavoro). Anche in questo, i servizi summenzionati vengono erogati dagli operatori accreditati, allo scopo di favorire l‟inserimento lavorativo della persona disabile e la loro 86 permanenza nel mondo del lavoro. Anche solo da questa sommaria illustrazione del “sistema dote” appare evidente l‟originalità dell‟approccio, ad esso sotteso, alle tematiche (dell‟istruzione, della formazione,) del lavoro e, in particolare, per quel che qui interessa, dell‟inclusione socio-lavorativa dei disabili: approccio, a bene vedere, ispirato all‟idea della “centralità della persona”200 destinataria dell‟intervento, alla quale, infatti, è attribuito un ruolo fondamentale sia nella fase di attivazione del processo finalizzato all‟erogazione della dote, sia nella fase di pianificazione delle iniziative con essa finanziabili, sia infine, nella realizzazione di queste ultime. Ulteriore riflessione che può svolgersi con riferimento alla misura ora illustrata è, poi, l‟attenzione mostrata nei confronti delle tipologie di handicap più gravi e, in particolare, dell‟handicap psichico, che, nella consapevolezza della sua difficile trattabilità (e collocabilità), è stato addirittura oggetto di una specifica tipologia di dote. A ben vedere, azioni del tipo di quelle sopra illustrate - per quanto proporzionalmente ridotte rispetto all‟insieme degli interventi in materia di inclusione socio-lavorativa e, forse, non ancora sufficienti al raggiungimento dell‟obiettivo che si prefissano dimostrano tuttavia “che quello del lavoro e, dal punto di vista giuridico, del diritto al lavoro, per i soggetti” tendenzialmente esclusi dai canali “ordinari” del collocamento mirato “è un problema non soltanto reale, ma di tale rilevanza sociale da essere stato percepito e recepito […] dall‟istituzioni regionali, come meritevole di tutela”201. 3.6 Alcune osservazioni conclusive. In conclusione, dall‟analisi sopra svolta delle politiche in tema di inclusione sociolavorativa dei soggetti svantaggiati e, in particolare dei disabili, pare possibile trarre alcune conclusioni. In generale, sembra potersi ravvisare l‟esistenza di una rete di servizi sufficientemente sviluppata, in grado di fornire azioni “di base” alle quali, in alcuni casi, si aggiungono azioni più specifiche, complesse ed articolate, sia in termini quantitativi che qualitativi. In alcune realtà territoriali appare, infatti, rilevabile la tendenza a porre in essere azioni 200 La “centralità della persona”, intesa “come adeguamento dei servizi alle differenti esigenze dei cittadini e delle imprese e non viceversa” rappresenta uno degli obiettivi dichiarati del Piano d‟azione regionale lombardo 2007-2010: cfr. in merito, più diffusamente, Canavesi G., op. ult. cit., p. 67. 201 Cfr. Canavesi G., op. ult. cit., p. 65 s. 87 sempre più diversificate, a seconda della tipologia (e della gravità) dell‟handicap, nel tentativo di offrire alle persone disabili - anche a quelle più difficilmente collocabili reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Tale circostanza testimonia, a ben vedere, “l‟acquisizione dell‟idea, se non della consapevolezza, che l‟efficacia e l‟effettività della tutela” dei soggetti disabili “necessitano di una considerazione specifica e di interventi articolati e diversificati in relazione alle caratteristiche personali” di questi ultimi202. Altra tendenza ravvisabile nel panorama delle politiche attuate è rappresentata dal coinvolgimento (sempre più) attivo dello stesso soggetto disabile nell‟attuazione del (suo) inserimento. Ciò è realizzato attraverso la predisposizione di tutta una serie di azioni finalizzate non solo a dotare il disabile di competenze professionali ma anche, a monte, di metterlo in condizione di (comprendere e) valorizzare appieno le proprie capacità personali, prima che lavorative. Da questo punto di vista, emblematiche appaiono quelle iniziative volte a impostare percorsi personalizzati di inserimento o, per altro verso, ad incentivare l‟autoimprenditorialità e/o la partecipazione in forma associativa nell‟ambito delle cooperative sociali di inserimento lavorativo203. In alcuni casi, poi, le azioni considerate sono congegnate in modo tale da spingere (anzi, quasi “costringere”) il disabile interessato ad attivarsi in prima persona: emblematica, da questo punto di vista, è l‟esperienza lombarda della “dote”. Questa ed altre misure analoghe si basano sulla (condivisibile) considerazione che l‟effettiva realizzazione del diritto al lavoro delle persone disabili non possa prescindere da una loro partecipazione attiva nelle azioni preordinate alla loro integrazione sociolavorativa. 202 Così Canavesi G., op. ult. cit., p. 67. Si pensi, sotto questo profilo, all‟esperienza lombarda del c.d. “Fondo Jeremie”, strumento finanziario attraverso cui è possibile agevolare l‟accesso al credito ai soci di cooperative che versino in stato di disagio, con particolare attenzione al disagio psichico. Questo tipo di intervento è espressamente “finalizzato al consolidamento e allo sviluppo di cooperative che perseguono programmi di inclusione sociale, grazie alla capitalizzazione da parte dei soci lavoratori beneficiari degli interventi finanziari”: cfr. in merito Ministero del lavoro e delle politiche sociali, V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, cit. p. 184. Il Fondo rappresenta, a ben vedere, un aspetto fortemente innovativo e fornisce alle imprese i mezzi per favorire innovazione, ricerca e sostegno all‟accesso al credito, con particolare attenzione al settore della cooperazione sociale. 203 88 Ciò in quanto solo un coinvolgimento pieno e consapevole del soggetto direttamente interessato all‟inserimento può, a ben vedere, rendere pienamente efficaci gli interventi a ciò predisposti, i quali, altrimenti, rischierebbero di rimanere privi di significato. Peraltro, azioni del tipo di quelle considerate richiedono flessibilità e capacità di diversificazione delle soluzioni: cosa che, a sua volta, è resa possibile dalla “costruzione di un sistema di servizi socio-lavorativi sufficientemente integrato, dove soggetti pubblici e privati concorrono e collaborano ad un unitario fine”204. Sotto quest‟ultimo profilo, la disamina della normativa e delle politiche considerate mostra l‟esistenza di un rapporto di proporzionalità diretta tra il grado di integrazione fra i vari soggetti coinvolti nella realizzazione delle azioni di inclusione lavorativa ed il grado di qualità - e, dunque, di (potenziale) efficacia - delle azioni stesse. In altre parole, le realtà territoriali in cui il sistema di servizi socio-lavorativi si presenta maggiormente articolato - sia sotto il profilo strutturale ed organizzativo, sia sotto il profilo della diffusione sul territorio - e, soprattutto, basato su un‟efficiente e stabile interazione tra più soggetti, di natura sia pubblica che privata, ciascuno con la propria attitudine e le proprie competenze - sono anche quelle in cui sono stati concepiti, predisposti e, infine, attuati gli interventi inclusivi maggiormente qualificati (ed efficaci). Ancora, ulteriore aspetto emergente dall‟analisi condotta è il ruolo di primo piano attribuito alla cooperazione sociale nell‟attuazione delle misure di inserimento ed integrazione socio-lavorativa. Tale dato - ravvisabile, seppure con diversa intensità, in tutte le realtà regionali - va valutato sicuramente con favore: ciò stante “l‟idoneità di questi enti, per finalità e quasi “vocazione” a offrire soluzioni”205 alle persone svantaggiate e, tra queste, anche alle persone disabili. Peraltro, alle osservazioni finora svolte se ne devono aggiungere delle altre, di segno maggiormente critico, che evidenziano più di un limite nel complesso delle politiche attive considerate e che dimostrano come, in definitiva, il loro grado di efficacia necessiti ancora di importanti miglioramenti. Da questo punto di vista, è stato in primo luogo osservato come, pur in presenza di 204 205 Cfr. ancora Canavesi G., op. ult. cit., p. 68. Canavesi G., op. ult. cit., p. 68. 89 interventi finalizzati alla “costituzione di un sistema integrato di servizi e di un raccordo stabile ed effettivo tra politiche sociali e dell‟occupazione, tra operatori pubblici e privati”, ci si trovi (almeno in alcune realtà regionali) di fronte ad un sistema di servizi pubblici ancora poco capace di interagire efficacemente con i vari soggetti coinvolti nelle politiche inclusive, dai beneficiari (e le loro associazioni) agli operatori economici206. Una delle principali cause di tale stato di cose è stato individuato nella limitata disponibilità di risorse (finanziarie, ma non solo), che spesso non permette “di superare la gestione ordinaria erogata indistintamente a tutti i targets” e, probabilmente, “non soddisfa le reali esigenze di quelli più deboli”207. In aggiunta ed in connessione a ciò, con specifico riferimento alle politiche inclusive basate su incentivi (economici), va poi rilevata una certa genericità ed indeterminatezza di fondo nella definizione dei criteri che assistono alla loro concessione: circostanza, quest‟ultima, che porta con sé il rischio di una erogazione economica tendenzialmente (ancora) troppo poco efficace. Sempre riguardo il profilo economico delle politiche di inclusione, non va poi dimenticato come lo stesso sia ormai ulteriormente “complicato”, se così può dirsi, dal necessario rispetto della disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato “che si muove, con il Regolamento n. 2204 del 2002” (ora sostituito dal Regolamento n. 800 del 2008), “nell‟ottica del contemperamento tra esigenze e diritti sociali della persona disabile, non disponibili né derogabili neppure dall‟ordinamento nazionale, e le regole del mercato comune, sotto la specie della tutela della concorrenza”208. 206 Cfr. in merito Aa Vv., I progetti per il disagio occupazionale, in Belotti V. (a cura di), op. cit., p. 58 s. In aggiunta ed in connessione alle osservazioni sopra esposte va poi ulteriormente osservato come la maggior (e miglior) parte delle politiche inclusive attivate sia concentrata nel nord e nel centro Italia, ove, nel corso del tempo, si è venuta strutturando una rete di servizi di inserimento sufficientemente articolata e raccordata, capace di impostare interventi differenziati e di sperimentarne di volta in volta di nuovi. Il divario tra il nord ed il centro, da un lato, ed il sud e le isole, dall‟altro, lato emerge con chiarezza dal confronto dei dati relativi a ciascuna regione riportati in Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, cit., p. 87 ss. e 150 ss. A titolo esemplificativo, si pensi al numero degli inserimenti mediante convenzione effettuati nelle varie zone: tendenzialmente, ed a prescindere dalla tipologia di convenzione considerata, il numero di avviamenti sempre superiore nelle regioni del nord e del centro: cfr. in merito ancora Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, V Relazione, cit., tabella n. 20, p. 88. 207 Cfr. Canavesi G., op. ult. cit., p. 68, che, sul punto, si riferisce alle indicazioni contenute in Aa Vv., I progetti per il disagio occupazionale, in Belotti V. (a cura di), Alla ricerca di un posto. Cooperazione sociale di inserimento lavorativo e politiche attive del lavoro, § 3.1, p. 58 s. 208 Così Canavesi G., op. cit., p. 68. Questo Autore osserva come la circostanza che i provvedimenti 90 Infine, ulteriore elemento di criticità può rinvenirsi nell‟incapacità di valorizzare appieno le potenzialità proprie delle cooperative sociali di inserimento lavorativo, il cui ruolo, seppur riconosciuto, non sembra comunque sfruttato come potrebbe (e dovrebbe). Ciò è desumibile, ad esempio, dalla tendenza, ravvisabile in più realtà regionali, “a considerare l‟inserimento lavorativo in cooperativa esclusivamente come temporaneo, ossia come una fase di un più ampio percorso che deve concludersi con l‟ingresso nel mercato del lavoro, per così dire, ordinario”209. Sottesa a questa impostazione c‟è, a ben vedere, una concezione riduttiva delle caratteristiche e delle potenzialità della cooperazione sociale, secondo cui la stessa potrebbe assolvere al primario fine “di perseguire l‟interesse generale della comunità alla promozione umana e all‟integrazione sociale del cittadino soltanto nei confronti di quelle persone che, pur svantaggiate, abbiano comunque conservato una capacità di lavoro tale da compensare, con la propria produttività, il costo del lavoro sopportato dall‟azienda”210. regionali che prevedono l‟erogazione di incentivi economici a determinate categorie di datori di lavoro per favorire l‟occupazione di lavoratori disabili contengano al contempo anche un espresso riferimento alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di stati all‟occupazione è una caratteristica ormai ricorrente. Come illustrato nel capitolo precedente, infatti, la normativa comunitaria (e, in particolare, per quel che qui rileva il regolamento di esenzione CE n. 800 del 2008) esonera dall‟obbligo di notificazione preventiva alla Commissione europea i regimi di aiuti all‟occupazione finalizzati a favorire l‟assunzione ed il mantenimento dell‟occupazione di alcune categorie di lavoratori, individuati dal regolamento stesso e tra i quali sono espressamente contemplati i disabili. Poiché gli incentivi di natura economica finalizzati all‟inserimento lavorativo configurano, per lo più, aiuti di stato, al mancato riferimento a quel regolamento nei provvedimenti che li istituiscono e disciplinano, “consegue l‟operatività della più complessa e lunga procedura di autorizzazione preventiva da parte della Commissione europea, dalla cui inosservanza deriva l‟illegittimità dell‟aiuto erogato. Si capisce, quindi, la ragione del frequente richiamo al regolamento di esenzione nei provvedimenti più recenti”. Quale esempio di provvedimenti contenenti un richiamo alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato all‟occupazione, può citarsi la l. r. Lazio 21 luglio 2003, n. 19, la quale, all‟art. 4 prevede l‟approvazione di un “Programma operativo per il diritto al lavoro delle persone disabili” che definisca, oltre alle “specifiche azioni e misure da sostenere ed incentivare nell‟ambito degli interventi di cui all'articolo 3, […] la natura, l‟ammontare, le modalità e i criteri di concessione delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi […], nel rispetto della normativa comunitaria concernente gli aiuti di Stato”. Un riferimento ancor più esplicito è, poi, rinvenibile in quei provvedimenti direttamente dispositivi di incentivi potenzialmente qualificabili come aiuti di stato, quale ad d‟esempio, la D.G.R. Piemonte 24 novembre 2008, n. 73−10176 che, al punto 12, prescrive che “l‟erogazione dei contributi” ivi statuita “dovrà avvenire in conformità di quanto previsto per gli aiuti di stato all‟art. 6 del Regolamento (CE) n. 2204/2002 del 12 dicembre 2002 e al successivo Regolamento attinente (CE) n. 800/2008 del 6 agosto 2008”. 209 Canavesi G., op. ult. cit., p. 68. 210 Cfr. ancora una volta Canavesi G., op. cit., p. 69, ad opinione del quale “questa limitazione sembra derivare da un‟accentuazione del carattere imprenditoriale dell‟ente, considerato, di principio, in insanabile conflitto con l‟inserimento di soggetti a ridotta o ridottissima capacità lavorativa, analogamente a quanto sostenuto dalla Corte costituzionale in relazione al sistema del collocamento obbligatorio”. A titolo di esempio, l‟Autore richiama l‟art. 14, l.r. Calabria 3 marzo 2000, n. 5 e l‟art. 9, l.r. Emilia 4 91 In definitiva, allora, se è vero che la normativa analizzata evidenzia il tentativo delle regioni (e, più in generale, delle realtà territoriali locali) di predisporre un sistema di servizi socio-lavorativi che, attraverso il raccordo pubblico-privato, ponga in essere azioni finalizzate all‟effettiva realizzazione del diritto al lavoro delle persone disabili, implementando così la disciplina nazionale in materia (e, in alcuni casi, correggendone le storture), è altrettanto vero le misure in concreto approntate non sempre sembrano capaci di raggiungere l‟obiettivo inclusivo prefissatosi. Da questo punto di vista, un primo limite va individuato nel fatto che solo alcune realtà territoriali – quelle maggiormente dinamiche – appaiono in grado di offrire misure ulteriori rispetto a quelle “di base”, maggiormente articolate e, in ogni caso, capaci di adattarsi alle specifiche esigenze della persona da inserire. In aggiunta ed in connessione a ciò, sembra poi rilevarsi la tendenza di fondo (pressoché generalizzata, salvo qualche eccezione) a non valorizzare adeguatamente da un lato l‟apporto di alcuni operatori qualificati (quali, ad esempio, le cooperative sociali di inserimento) e, dall‟altro lato, degli stessi disabili soggetti beneficiari delle politiche attuate, i quali, tendono spesso ad essere considerati non come soggetti attivi dell‟operazione inclusiva, ma come meri destinatari (passivi). Quest‟ultimo appare uno dei limiti principali all‟efficacia delle politiche analizzate, la quale, a ben vedere, non può non rimanere pregiudicata da una mancata piena valorizzazione di tutte le forze disponibili e, non ultima, di quella proveniente dal soggetto direttamente interessato all‟inserimento. febbraio 1994, n. 7. La prima disposizione, infatti, sancisce l‟impegno della Regione a favorire l'inserimento lavorativo delle persone svantaggiate “che cessino di essere soci lavoratori o lavoratori di una cooperativa sociale, anche per il venir meno della condizione di svantaggio, curando l'applicazione delle leggi in materia di collocamento obbligatorio ed incentivando forme di accompagnamento all'inserimento lavorativo attraverso anche l'istituzione di borse lavoro e di tirocini formativi”. Analogamente, anche l‟altra disposizione, prevede incentivi economici per i datori di lavoro che assumano persone svantaggiate in uscita dalle cooperative sociali, ma diversifica tali incentivi in relazione alla gravità dell‟invalidità. Infatti, qualora venga assunto con contratto a tempo indeterminato un lavoratore disabile, con invalidità superiore ai due terzi, il datore di lavoro ha diritto tanto ad un contributo non superiore al 50% della spesa documentata per l‟adeguamento del posto di lavoro quanto ad un ulteriore contributo fino al 70% del costo effettivo della retribuzione per una durata non superiore a due anni”. 92 Capitolo 4 4.1 L’evoluzione della disciplina antidiscriminatoria in ragione dell’handicap: un tentativo di ricostruzione. Il panorama europeo … A completamento dell‟analisi della disciplina posta a tutela delle persone disabili e, più in particolare, del loro inserimento lavorativo, non può non farsi riferimento al c.d. diritto antidiscriminatorio, vale a dire a quel complesso di disposizioni finalizzato alla eliminazione di qualsiasi discriminazione ed alla realizzazione della parità di trattamento tra tutte le persone, a prescindere dalle loro particolari condizioni fisiche, psichiche, sociali, economiche e, quindi, anche dalla eventuale condizione di disabilità. Il diritto antidiscriminatorio italiano ha attinto, nel corso del tempo, struttura e contenuti dal diritto antidiscriminatorio sovranazionale e, in particolare, da quello comunitario, in cui l‟affermazione del principio di non discriminazione e di parità di trattamento ha da sempre rappresentato uno dei principali campi di intervento211. L‟azione comunitaria, in origine volta alla repressione delle discriminazioni in materia di rapporto uomo – donna, in tempi recenti si è spinta oltre, arrivando a contemplare (e vietare) ipotesi di discriminazioni diverse da quelle fondate sul sesso, tra cui, come si vedrà, anche quelle fondate sull‟handicap212. Ai fini della nostra analisi, dunque, rileva in particolare il diritto antidiscriminatorio che si è venuto formando a cavallo tra la fine degli anni ‟90 e gli inizi degli anni 2000, e che si è poi ulteriormente sviluppato fino ai giorni nostri. 211 Sull‟evoluzione del diritto antidiscriminatorio dell‟Unione europea, in generale e con specifico riferimento all‟handicap, cfr. ex plurimis Arrigo G., Il diritto dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2000; Barbera M., Dopo Amsterdam. I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis, Brescia, 2000; Barbera M., Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto antidiscriminatorio comunitario, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2003, p. 399 ss.; Barbera M. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Giuffrè, Milano, 2007. Per una disamina dell‟affermazione del principio di non discriminazione non solo in ambito europeo, ma anche internazionale, cfr. Viola F., Dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ai Patti internazionali. Riflessioni sulla pratica giuridica dei diritti, in Riv. Pol., 1998, p. 41 ss., nonchè La Macchia C. (a cura di), Disabilità e lavoro, 2009, Ediesse, Roma, specie il contributo di Loy G., La disabilità nelle fonti internazionali, p. 40 ss. 212 Cfr. in merito le osservazioni di Romeo C., La tutela del lavoratore disabile discriminato, in La Macchia C. (a cura di), cit.,p. 364, nota 1, secondo cui “la tutela antidiscriminatoria rappresenta sia per il diritto del lavoro, sia per il diritto comunitario, un tradizionale terreno di intervento, specificamente nel senso dell‟adeguamento del primo alle direttive del secondo. Se in origine si è trattato di interventi dedicati a stabilire regole sulla parità di trattamento per uomini e donne sul versante dell‟occupazione e delle condizioni di lavoro, solo di recente tali interventi hanno anche riguardato il profilo della tutela antidiscriminatoria per le persone portatrici di handicap”. 93 Tale sistema normativo, composto al suo interno di provvedimenti di natura, forma ed efficacia diverse, sia di hard law che di soft law213, costituisce il risultato di un lungo processo, culturale e politico prima che giuridico, realizzato grazie all‟apporto non solo degli attori istituzionali, ma anche della società civile, e fondato sulla convinzione che il principio di non discriminazione costituisca la nuova ricetta “dell‟intervento pubblico in materia” di politica (e svantaggio) sociale e, in particolare, “di disabilità”214. Sotto questo profilo, vanno in primis ricordate le direttive c.d. di “seconda generazione”, le quali, collocandosi sulla scia delle direttive emanate negli anni „70 e „80, ne costituiscono un‟evoluzione, sia sotto il profilo dell‟approccio, che sotto quello dell‟estensione degli ambiti di intervento e del rafforzamento e raffinamento degli strumenti di tutela215. Tra esse, particolare importanza rivestono la direttiva n. 2000/43/CE, sull‟eguale trattamento delle persone senza distinzione di origini etniche o razziali, e la direttiva n. 2000/78/CE, sull‟eguale trattamento, in materia di lavoro e occupazione, senza 213 Sulla natura, le caratteristiche e l'efficacia degli atti di soft law, si vedano, ex plurimis, Strozzi G., Diritto dell’Unione Europea. Dal Trattato di Roma alla Costituzione Europea, Giappichelli, Torino, 2005, p. 223 ss.; nonché Pastore B., Soft law, gradi di normatività, teoria delle fonti, in Lav. dir., 2003, p. 13 ss. 214 Così Barbera M., Le discriminazioni basate sulla disabilità, in Id. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, cit., p. 84, testo e nota 11, la quale riassume anche le tappe fondamentali del processo comunitario di affermazione della tutela dei disabili e del divieto di discriminazione in ragione dell‟handicap, così elencandole in ordine cronologico: Commissione europea (1993), Libro Verde sulla politica sociale europea – Opzioni per l‟Unione, COM (93) 551, 48; Commissione europea (1996), Comunicazione della Commissione sulla parità di opportunità per i disabili – Una nuova Strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, COM (96) 406 def; Consiglio (1996), Risoluzione del Consiglio sulla parità di opportunità per i disabili; Consiglio (1999), Risoluzione del Consiglio sulla parità di opportunità in materia di occupazione per i disabili; art. 13 Trattato di Amsterdam; art. 21 Carta dei diritti fondamentali; Consiglio (2003), Risoluzione del Consiglio relativa alla promozione dell‟occupazione e dell‟integrazione sociale delle persone con disabilità; Parlamento Europeo (2005), Risoluzione del Parlamento europeo su disabilità e sviluppo; Commissione europea (2005), Comunicazione della Commissione – La situazione dei disabili nell‟Unione europea allargata: il Piano di azione europeo 2006 – 2007, COM (2005) 604 def; Parlamento europeo (2006) Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione delle persone con disabilità nell‟Unione Europea allargata: il Piano d‟azione europeo 2006-2007. 215 Da questo punto di vista, in dottrina è stato osservato come la riflessione emersa sulla produzione normativa precedente in tema di parità di trattamento tra uomini e donne - che ancora oggi resta oggetto di atti normativi specifici, quali, per citare quelli più recenti, le direttive n. 2000/72/CE e n. 2006/54/CE è ancora utile per affrontare l‟evoluzione successiva del diritto antidiscriminatorio, estesosi a campi e fattori diversi. Infatti, pur nella diversità degli ambiti applicativi e dell‟approccio, è possibile riscontrare una notevole convergenza su alcuni aspetti della regolamentazione, specie sui termini di definizione della struttura della fattispecie discriminatoria. Di questo avviso, Tega D., Lessico delle discriminazioni: tra società, diritto e istituzioni, Casadei, Reggio Emilia, 2008; più in generale, per una disamina sugli elementi di continuità e quelli di discontinuità del “nuovo” diritto antidiscriminatorio rispetto a quello precedente, cfr. le osservazioni di Barbera M., Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto antidiscriminatorio comunitario, cit., p. 401 ss., nonché Chieco P., Le nuove direttive comunitarie sui divieti di non discriminazione, 2002, in Riv. it. dir. lav., I, p. 75 ss. 94 distinzione di religione, di convinzioni personali, di età, di orientamento sessuale e, infine, anche di handicap. Tali provvedimenti comunitari sono stati recepiti dall‟Italia rispettivamente con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215 ed il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216. La recezione ha comportato - come si vedrà più diffusamente nel prosieguo l‟attuazione nell'ordinamento italiano delle nozioni di discriminazione “diretta” e “indiretta”, nonché di un articolato sistema di protezione delle vittime, realizzato, tra l‟altro, attraverso la facilitazione dell‟onere della prova dell‟avvenuta discriminazione, oltre che attraverso l‟attribuzione della legittimazione ad agire riconosciuta anche alle associazioni e alle organizzazioni rappresentative del diritto leso. In un‟ottica più generale, poi, importante “tassello” della disciplina antidiscriminatoria dell‟Unione europea è costituito dalla Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000216 e, ora espressamente richiamata nel Trattato di Lisbona - circostanza, quest‟ultima, tale da attribuirle piena efficacia giuridica, e non solo programmatica. La Carta, che dedica l‟intero capo III all‟uguaglianza, stabilisce all‟art. 21 il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle o l‟origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l‟appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, l‟età o le tendenze sessuali e, infine, anche gli handicap. Il divieto di discriminazione viene poi declinato dagli articoli 23 (parità uomo donna), 24 (diritti del bambino), 25 (diritti degli anziani) e 26 (inserimento dei disabili) che individuano, a loro volta, in positivo, azioni che mirano a eliminare o attenuare le discriminazioni esistenti. Il sistema normativo ora illustrato, seppur per sommi capi, è stato poi “integrato” dall‟attività ermeneutica della Corte di Giustizia, la quale ha garantito in maniera sempre più articolata il principio di non discriminazione e di parità di trattamento, 216 Per un commento sulla Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione europea e, in particolare, al divieto da essa espresso di non discriminazione (anche) in ragione dell‟handicap, cfr. per tutti Celotto A., Artt. 21-22, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Cartabia (a cura di), L’Europa dei diritti, 2001, Il Mulino, Bologna, p. 171 ss. Si vedano altresì le osservazioni di Del Punta R., I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, in Dir. rel. ind., 2001, p. 335 ss. 95 attraverso il riferimento prima alle direttive comunitarie in tema di principio di parità della retribuzione e di trattamento tra uomini e donne - nonché della loro base giuridica, costituita dall‟allora art. 141 TCE - e, poi, più recentemente, alla direttiva 2000/78/CE217. Sempre in ambito europeo (ma non dell‟Unione europea), un cenno merita anche il sistema di protezione dei diritti che fa riferimento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, e alla ricca giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell‟Uomo, che ha contribuito significativamente, attraverso l‟art. 14 - contenente un parametro inteso dapprima soprattutto come una clausola di non discriminazione a rinforzo di almeno un altro diritto violato, e più recentemente come un diritto autonomo - all‟approfondimento ed all‟evoluzione dei significati del divieto di discriminazione e parità di trattamento218. 4.2. … e quello internazionale. Infine, passando dall‟ambito europeo a quello internazionale, non può non menzionarsi la Convenzione ONU sui diritti delle Persone con Disabilità del 13 dicembre 2006219. Essa, che si “segnala per essere il trattato sui diritti umani negoziato con maggiore 217 In merito, possono citarsi i noti casi Maruko v. VddB, 1 aprile 2008, C-267/06; Richards v. Secretary of State for Work and Pensions, 27 aprile 2006, C-423/2004; KB v. National Health Service Pensions Agency, 7 gennaio 2004, C-117/2001; Grant v. South West Train, 17 febbraio 1998, C249/1996, P/S e Cornwall County City, 30 aprile 1996, C-13/1994. In generale, per un commento su tali pronunce, e sui principi interpretativi ivi espressi dalla Corte cfr. Cartabia M., (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, 2007, Il Mulino, Bologna, ed i contributi dottrinali ivi contenuti (specie p. 331 ss.). 218 L‟art. 14 della Cedu vieta le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l‟origine nazionale o sociale, l‟appartenenza ad una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita. Nel 2005, l‟entrata in vigore del Protocollo aggiuntivo n. 12 alla Cedu, ha esteso, in base all‟art. 1, il divieto di discriminazione non più solo alle libertà riconosciute dalla Cedu, ma anche ai diritti riconosciuti dal diritto nazionale, sulla base di qualsiasi motivo e da parte di qualsiasi autorità pubblica. Cfr. in merito Tega D., La Cedu e l’ordinamento italiano, in M. Cartabia (a cura di), op. cit., pp. 67- 90., nonché Ruggeri A., Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti umani, e prospettive di un diritto europeo “intercostituzionale”, in Diritto Pubblico comparato ed europeo, 2001, 2, p. 544 ss.; Id, Prospettive metodiche di ricostruzione del sistema delle fonti e Carte internazionali dei diritti, tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione, in Ferrari G. F., (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, Milano, 2001, p. 217 ss.; nonché Onida V., L’eguaglianza ed il principio di non discriminazione, in www.luiss.it/semcost/index.html?dirittifondamentali/resoconti/200310.htmlright. 219 Per un commento sulla Convenzione ONU del 13 dicembre 2006, si veda La Macchia C. (a cura di), Disabilità e lavoro, 2009, Ediesse, Roma e, in particolare, il contributo di Loy G., La disabilità nelle fonti internazionali, p. 40 ss. 96 rapidità … nella storia del diritto internazionale”220, rappresenta il principale approdo dell‟azione perseguita a livello internazionale in materia di tutela della disabilità e di affermazione del divieto di non discriminazione in ragione dell‟handicap. Pur collocandosi, nell‟impostazione di fondo, sulla scia dell‟esperienza precedente221, la Convenzione presenta alcuni elementi innovativi meritevoli di attenzione in questa sede, stante la loro idoneità a testimoniare lo stadio di evoluzione degli strumenti predisposti in favore della tutela dell‟uguaglianza delle persone disabili. Da questo punto di vista, va in primo luogo rilevata l‟estensione dell‟ambito di operatività della Convenzione, tale da ricomprendere pressoché tutti gli aspetti della vita della persona (disabile), tra cui anche quello del lavoro e dell‟occupazione. Ciò, a ben vedere, comporta l‟applicazione in via generalizzata degli obblighi e dei principi contenuti nel Trattato quali, in primis, quello dell‟eguaglianza nel godimento dei diritti e delle libertà, il quale, a sua volta è promosso attraverso i principi del “rispetto per la differenza e l‟accettazione delle persone come parte della diversità umana e dell‟umanità stessa” (art. 3), nonché del rispetto della dignità della persona, di non discriminazione, di piena ed effettiva partecipazione e di accessibilità. La Convenzione è rivolta agli Stati, che firmandola e ratificandola, assumono l‟obbligo generale di assicurare e promuovere il rispetto dei diritti in essa riconosciuti mediante una serie di azioni ivi indiciate. 220 Barbera M., Le discriminazioni basate sulla disabilità, cit., p. 80, nota 5. Infatti, come ricordato da Loy G., op. cit., p. 52, la discontinuità rispetto al passato si è registrata con il Programma di Azione Mondiale per le Persone con Disabilità del 1982, che superando il modello paternalistico ed assistenziale delle precedenti Dichiarazioni, tra cui in particolare, la Dichiarazione dei Diritti delle persona handicappate del 1975, ha comportato un mutamento di approccio alla questione della disabilità. A partire da tale Programma, infatti, questa non è stata più considerata come “una deviazione individuale e negativa rispetto al parametro della normalità” ma, attraverso l‟adozione del “concetto di persona con disabilità” - contenente al suo interno “un certo compromesso tra il modello medico, che parla di deficienze ed il modello sociale, che, invece, parla di barriere che impediscono la partecipazione effettiva in ambito sociale” - una particolare condizione inerente la persona, tale da ostacolarne, per certi versi, la possibilità di contribuire alla vita socio-lavorativa della comunità. Sempre a livello internazionale, oltre alla già citata Dichiarazione del 1975, vanno ricordate: la Convenzione OIL n. 159/1983 - mai ratificata dall‟Italia - relativa all‟abilitazione professionale ed all‟impiego di persone portatrici di handicap, che si segnala per aver proposto un modello di intervento di tipo promozionale, basato su misure volte a favorire la qualificazione dei lavoratori ed il loro avvio al lavoro; le Direttive di Tallin per lo “sviluppo delle risorse umane dei disabili”, approvate con la Risoluzione 44/70 dell‟Assemblea Generale ONU il 15 marzo 1990; i “Principi per la protezione dei malati mentali e per il miglioramento della salute mentale”, approvati con la Risoluzione 46/119 dell‟Assemblea Generale ONU del 17 dicembre 1991; nonché, infine le Standard Rules on the Equalization of Opportunities for Disabled, approvate con la Risoluzione 48/90 dell‟Assemblea generale ONU il 20 dicembre 1993. 221 97 Il rispetto del Trattato da parte degli Stati è garantito dall‟esistenza di un meccanismo di controllo, affidato ad un organo denominato “Comitato per i diritti delle Persone con Disabilità”, ed attivabile da tutti coloro i quali si ritengano lesi da un comportamento statuale integrante una violazione grave e/o sistematica della Convenzione, l‟accertamento della quale può comportare l‟irrogazione nei confronti dello Stato trasgressore di sanzioni e censure. Tale meccanismo, pur con tutti i suoi limiti - primo tra tutti il fatto che esso, contenuto in un Protocollo opzionale alla Convenzione, la cui adesione non è obbligatoria per gli Stati, può da questi ultimi essere facilmente eluso - dimostra in ogni caso la volontà, presente (anche) a livello internazionale, di rendere le misure poste a tutela della disabilità sempre più effettive. Questi, in sintesi, i principali aspetti della disciplina sovranazionale in materia di affermazione del principio di uguaglianza e non discriminazione in ragione dell‟handicap. Dal tentativo di ricostruzione sopra illustrato, emerge con tutta evidenza come, nel clima creato da spinte non solo normative e giurisprudenziali, ma anche - è bene ricordarlo - della società civile e da una qualificata attività delle associazioni non profit, si sia venuto a creare un quadro complesso, composito ed in continua evoluzione. Nei paragrafi che seguono, si esamineranno più approfonditamente quegli aspetti della disciplina sovranazionale e, in particolare, di quella comunitaria, che più direttamente presentano ricadute sull‟ordinamento italiano: ciò al fine di verificare se ed in che misura l‟affermazione del principio di non discriminazione e di parità di trattamento anche avuto riguardo al suo rapporto (e coordinamento) con i principi costituzionali interni in materia di uguaglianza e diritto al lavoro - contribuisca alla tutela delle persone disabili ed alla realizzazione di un loro efficace inserimento lavorativo. 4.3 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell’handicap: l’ambito di applicazione soggettivo. La problematica individuazione della nozione di handicap. Come già accennato, ai fini della disamina della disciplina antidiscriminatoria a tutela dei disabili, importanza fondamentale riveste la direttiva n. 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, recante disposizioni finalizzate alla non discriminazione ed alla 98 parità di trattamento tra le persone in materia di occupazione e di condizioni di lavoro per ragioni, tra le altre, anche di handicap, ed attuata dall‟Italia con il d. lgs. 9 luglio 2003, n. 216. Tale provvedimento, contenente degli elementi innovativi di notevole interesse nella lotta alla discriminazione - quali, ad esempio, l‟introduzione dell‟obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli” al fine di favorire la parità di trattamento delle persone disabili presenta una struttura piuttosto complessa, imperniata sul divieto di porre in essere nei confronti di determinati soggetti (i disabili) una condotta discriminatoria, che, tuttavia, presenta tutta una serie di eccezioni e deroghe. Ai nostri fini, un primo aspetto da analizzare riguarda l‟ambito di applicazione soggettiva della tutela prevista contro le discriminazioni in ragione dell‟handicap. Tale questione - a sua volta connessa a quella dell‟individuazione della nozione di handicap rilevante ai fini antidiscriminatori - è tutt‟altro che secondaria, posto che dalla sua risoluzione dipende la portata (più o meno estesa) attribuita al principio di non discriminazione affermato nella direttiva n. 2000/78/CE. In merito, alcuni hanno osservato come, stante l‟assenza nel provvedimento comunitario di una definizione sua propria di handicap, questa, in linea di principio, dovrebbe essere demandata a ciascun Stato membro. Ciò, tuttavia, con la precisazione che la discrezionalità lasciata ai legislatori nazionali sul punto non deve intendersi come illimitata: infatti, il principio, sotteso alla direttiva, del rispetto delle diversità nazionali va contemperato con l‟altro principio del rispetto dei vincoli normativi derivanti tanto dal contenuto letterale del provvedimento comunitario, quanto dagli scopi dallo stesso perseguiti222. In quest‟ottica, la circostanza che l‟art. 1 individui quale obiettivo generale la “lotta alle discriminazioni” fondate (fra gli altri motivi) sull‟handicap, al fine di “rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento”, unita all‟ulteriore circostanza che la “discriminazione” ivi considerata (e sanzionata) è quella “fondata sulla disabilità” e non quella “a danno di persone affette da disabilità”, indurrebbe a concludere che il legislatore comunitario ha focalizzato l‟attenzione “sul fenomeno della 222 Così Barbera M., Le discriminazioni basate sulla disabilità, op. cit., p. 87 ss.; nello stesso senso, sul punto, Loy G., La disabilità nelle fonti internazionali, in La Macchia C. (a cura di), Disabilità e lavoro, Ediesse, Roma, 2009, p. 42. 99 discriminazione, più che sulla specifica natura delle cause che la originano”223. Sulla base di tali considerazioni, si è pervenuti alla conclusione che la nozione di handicap rilevante ai fini antidiscriminatori debba ricomprendere, oltre che le situazioni di disabilità definite come tali dalle legislazioni nazionali, anche “situazioni quali quelle di una persona che, pur non essendo disabile, venga trattata come tale, oppure lo è stata in passato o può esserlo in futuro […]”224. Altri commentatori, poi, si sono spinti anche oltre l‟interpretazione sopra prospettata già di per sé tutt‟altro che restrittiva - interrogandosi se, ai fini dell‟individuazione del novero dei destinatari della tutela contro le discriminazioni in ragione dell‟handicap, sia effettivamente necessario riferirsi alle particolari condizioni soggettive della persona discriminata o se, invece, sia sufficiente guardare solo alla discriminazione in quanto tale, ed alla condotta attraverso cui essa è stata realizzata225. In altri termini, secondo tale ultimo orientamento, ciò che esclusivamente rileverebbe è la verifica se un determinato comportamento sia o meno stato adottato “sulla base di un motivo discriminatorio”; in quest‟ottica, le caratteristiche soggettive della persona potrebbero rappresentare un elemento di cui tener conto, “ma in nessun caso costituire elemento essenziale e definitivo ai fini dell‟accertamento della discriminazione”226. Ciò con la conseguenza che se quello che conta è “il motivo antidiscriminatorio e non l‟appartenenza ad una categoria”, non “vi è alcun motivo per escludere dalla tutela antidiscriminatoria” soggetti anche perfettamente idonei, “nei confronti dei quali la disparità di trattamento sia avvenuta sulla base di una presunzione (anche erronea) della loro disabilità”227. 223 Cfr. Barbera M., op. ult. cit., p. 91. Oltre che sulle argomentazioni letterali sopra illustrate, tale interpretazione appare fondata anche sul presupposto che un‟eventuale configurazione in senso restrittivo della categoria dei disabili protetti dalla disciplina antidiscriminatoria “potrebbe portare a esiti contrastanti con l‟obiettivo” della direttiva: così Barbera M., op., ult. cit., p. 91 s. 225 Di questo avviso Loy G., La disabilità nelle fonti internazionali, cit., p. 40 ss. 226 Cfr. ancora Loy G., op. cit., p. 43. Sul punto, di diverso avviso sembra invece Barbera M., op. ult. cit., p. 91, sul presupposto che i due profili considerati (condotta antidiscriminatoria e caratteristiche del gruppo passibile di discriminazioni) sono strettamente connessi e, quindi, “nell‟accertamento della discriminazione, i giudici si trovano inevitabilmente a verificare quali caratteristiche diano titolo al soggetto che agisce in giudizio ad ottenere prevista”. 227 Cfr. Loy G., op.ult. cit., p. 43, secondo cui, così facendo, si tratterebbe non “di dilatare il concetto di handicap né di invocare una estensione della tutela antidiscriminatoria al di là delle fattispecie indicate dalla direttiva, ma di considerare la ragione della discriminazione, in questo caso l‟handicap, non quale attributo della persona, ma quale attributo della condotta”; perché il motivo possa essere considerato discriminatorio, ovviamente, “è necessario che sia relazionato con una vera o presunta disabilità, 224 100 Tale opzione ermeneutica si fonda, oltre che sulla lettera della direttiva, anche su una serie di argomentazioni di ordine logico sistematico, rappresentate, in particolare, da un lato dal fatto che sia la disciplina contenuta nella direttiva n. 2000/78/CE che quella contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle Persone con Disabilità “proteggono i lavoratori disabili in quanto persone e non in quanto portatori di handicap” e, dall‟altro lato, dalla circostanza che “la direttiva è stata adottata in forza dell‟art. 13 TCE”, disposizione che “si propone di combattere tutte le discriminazioni in esse indicate e, pertanto, deve essere coerentemente interpretata in tal senso”228. Già da questa breve illustrazione, ed al di là dell‟adesione o meno agli orientamenti dottrinali sopra riportati, dell‟individuazione emerge dell‟ambito di con tutta evidenza applicazione come soggettiva la questione della tutela antidiscriminatoria in ragione dell‟handicap sia estremamente complessa, e presenti innumerevoli implicazioni, sia sotto il profilo del rapporto tra l‟ordinamento comunitario e quello di ciascun Stato membro, sia sotto quello dell‟estensione da attribuire a tale tutela. Non c‟è da stupirsi, dunque, se le prime controversie insorte a livello comunitario sul tema delle discriminazioni basate sulla disabilità abbiano riguardato proprio la questione di quali soggetti siano coperti e quali no dalla disciplina protettiva di cui alla direttiva. Ai nostri fini, particolare attenzione merita la causa Chacon Navas c. Eurest Collectividades SA229, in cui la Corte è stata chiamata a stabilire se una malattia di lunga durata poteva essere considerata un handicap rilevante ai sensi della direttiva 2000/78/CE e, quindi, se il licenziamento irrogato per sua causa alla ricorrente poteva essere considerato discriminatorio. Ai fini della risoluzione della questione, il Giudice europeo afferma che “occorre in primo luogo interpretare la nozione di handicap di cui alla direttiva 2000/78/CE” e, in secondo luogo, “esaminare entro quali limiti i disabili sono tutelati da quest‟ultima”. ovverosia con una caratteristica dell‟individuo, ma in termini aperti e generici, senza che occorra pervenire alla costruzione di una categoria di aventi diritto sulla base di una precisa definizione”. 228 Loy G., op. ult. cit., p. 43 s. L‟art. 5 della Convenzione ONU, prima ancora di far riferimento alle persone con disabilità, si apre con l‟affermazione che “tutte le persone sono uguali di fronte e secondo la legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio di legge”. 229 La pronuncia (CGCE, 11.7.2006, Chacon Navas, causa C-13/05) può essere consultata sul sito internet http://www.europa.eu.lex/curia. 101 Secondo la Corte, posto che il provvedimento comunitario non contempla alcun rinvio agli Stati membri per l‟individuazione della nozione di handicap, appare necessario elaborare una interpretazione “autonoma e differente” di tale concetto, da poter impiegare in tutto lo spazio comunitario. Sulla scorta di tale considerazione, essa si accinge poi alla sua costruzione, arrivando a concludere che la nozione di handicap debba essere “intesa come un limite che deriva, in particolare, da minorazioni fisiche, mentali o psichiche e che ostacola la partecipazione della persona considerata alla vita professionale”. In quest‟ottica, la Corte attribuisce rilievo non solo alle particolari caratteristiche psicofisiche dell‟individuo, che deve essere affetto da “minorazioni”, ma anche alla intensità ed alla durata di queste ultime: infatti, “perché una limitazione possa rientrare nella nozione di handicap, deve […] essere probabile che essa sia di lunga durata”. Tale ultima indicazione è, ad esempio, determinante nella causa Chacon Navas, in cui il Giudice dell‟Unione europea conclude che la causa di malattia “non rientra nel quadro generale per la lotta contro la discriminazione fondata sull‟handicap”. In conclusione, dal ragionamento sopra illustrato emerge come la Corte di giustizia si sia approcciata alla questione con molta cautela, pervenendo ad una nozione di handicap piuttosto restrittiva - a differenza di quella, invece, suggerita dalla dottrina, seppur con sfumature diverse -, tale da determinare il novero dei destinatari della tutela antidiscriminatoria offerta dalla direttiva n. 2000/78/CE entro confini certi ed particolarmente rigidi. Le ragioni di tale approdo interpretativo sono con ogni probabilità rinvenibili nel timore della Corte di veder prevalere un‟interpretazione aperta ed indefinita di tale nozione230, ritenuta in qualche modo “pericolosa”, soprattutto in considerazione della “qualità nuova” della tutela antidiscriminatoria accordata dalla direttiva n. 2000/78/CE, che predispone meccanismi di garanzia potenzialmente più effettivi di quelli offerti in passato dalle legislazioni antidiscriminatorie tradizionali, e comportanti anche oneri 230 Di questo avviso, Barbera M., op. ult. cit., p. 93, secondo cui, in n tal modo, la Corte sembra voler ridimensionare i possibili sviluppi della sentenza Mangold (CGCE, 22.11.2005, Mangold c. Helm, causa C-144/04, in Racc., p. 9981), che aveva riconosciuto al divieto generale di discriminazione la caratteristica di diritto fondamentale - di quei diritti, cioè, che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario - ribadendo che l‟ambito di applicazione della direttiva del 2000 non può essere esteso, per analogia, al di là dei motivi elencati tassativamente nell‟art. 1 della direttiva stessa. Per un commento alla sentenza Mangold, cfr. Barbera M., Introduzione, in Id. (a cura di), op. ult. cit., p. 3 ss. 102 finanziari di non poca intensità: si pensi, sotto quest‟ultimo profilo, all‟obbligo posto in capo ai datori di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli finalizzate ad assicurare la parità di trattamento delle persone disabili231. In ogni caso, al di là delle motivazioni che l‟hanno suggerita, la soluzione adottata dalla Corte suscita qualche perplessità, se non altro in quanto eccessivamente rivolta “al passato”, improntata, cioè, ad una concezione della disabilità calibrata solo ed esclusivamente su gravi limitazioni funzionali derivanti da difetti fisici, mentali, psichici; concezione tendenzialmente superata sia dagli ordinamenti nazionali sia da quello internazionale e, in ogni caso, incoerente con lo spirito e gli obiettivi della direttiva232. Sotto quest‟ultimo profilo, se pare potersi condividere la volontà del Giudice dell‟Unione europea di adottare criteri tali da individuare con precisione i beneficiari della tutela antidiscriminatoria, lo stesso non può dirsi della modalità a tal fine impiegata, che è quella di elaborare una nozione di appartenenza al gruppo protetto alla discriminazione “blindata”, tale da comportare potenzialmente un notevole indebolimento della protezione accordata dal provvedimento comunitario. Peraltro, occorre rilevare come tale rischio appaia – almeno in parte – ridimensionato dalla stessa Corte di giustizia, la quale, pur mantenendo fermi i principi espressi nella sentenza Chacon Navas in ordine alla nozione di handicap, ha fornito un‟interpretazione estensiva dell‟ambito di applicazione (non soggettivo, ma bensì) oggettivo della direttiva, potenzialmente suscettibile di risolversi in un allargamento - seppur in via indiretta, riflessa ed eventuale - del novero dei destinatari della tutela antidiscriminatoria. Ciò, almeno, è quanto sembra emergere dalla sentenza Coleman233, in cui la Corte è stata chiamata a decidere sul caso della signora Coleman, la quale assumeva di aver 231 Tale timore traspare in maniera evidente nelle conclusioni presentate nella causa Chacon Navas dall‟Avvocato Generale. Egli, infatti, esplicitamente afferma che debba tenersi conto dei costi economici che gli Stati potrebbero essere chiamati a sostenere per l‟applicazione dei divieti di discriminazione e, pertanto, che il legislatore debba sempre “operare scelte dolorose, se non tragiche, ponderando gli interessi in gioco, quali i diritti dei disabili e dei lavoratori più anziani rispetto ad un flessibile funzionamento del mercato del lavoro” (Conclusioni, punto 55). 232 Di questo avviso Loy G., op. ult. cit., p. 44. 233 La pronuncia (CGCE, sent. 17 luglio 2008, causa C-303/06, Coleman c. Attridge Law e Steve Law) è consultabile sul sito internet http://curia.europa.eu/jurisp/cgibin/form.pl?lang=IT&Submit=rechercher&numaff=C-303/06. 103 subito discriminazioni e molestie sul lavoro fondate sull‟handicap del proprio figlio, che, alla fine, l‟avevano costretta a dimettersi. Ebbene, nel caso de quo, la Corte di Giustizia ha stabilito che la direttiva n. 2000/78/CE trova applicazione anche a beneficio del genitore della persona disabile il quale subisce direttamente discriminazioni in ragione dell‟handicap del figlio a cui egli presta “la parte essenziale delle cure di cui questi ha bisogno”. Questa interpretazione estensiva delle tutele antidiscriminatorie, sottolinea la Corte, non rappresenta un ampliamento del concetto di disabilità, oggetto di tutela normativa, ma piuttosto il riconoscimento della necessità di dare effettiva attuazione ai principi della direttiva stessa, e dunque di tutelare i lavoratori dalle discriminazioni fondate sull‟handicap, indipendentemente dalla situazione soggettiva di chi subisce la discriminazione. Ecco che, allora, così facendo, pur mantenendo formalmente invariata la posizione precedentemente assunta in ordine all‟individuazione dei soggetti destinatari della tutela antidiscriminatoria, la Corte finisce per aprire la strada ad un‟interpretazione tale da comportare, in concreto, seppur in via del tutto eventuale, l‟attuazione delle tutele ivi previste anche in favore di persone che, a stretto rigore, dovrebbero rimanerne escluse. 4.4 La direttiva n. 2000/78/CE ed il divieto di discriminazione in ragione dell’handicap. Le caratteristiche della condotta vietata e l’ambito di applicazione oggettivo. Passando dal profilo “soggettivo” a quello “oggettivo”, va in primo luogo osservato come il divieto di porre in essere una condotta discriminatoria presenti un‟operatività particolarmente ampia, posto che, fatte salve alcune ipotesi eccezionali previste dalla direttiva, di cui si dirà234, esso si applica a tutti i settori lavorativi (pubblici e privati) e alle varie fasi del rapporto di lavoro, per “quanto attiene: a) alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione; b) all'accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione 234 Cfr. in merito il paragrafo 3.2, in questo capitolo. 104 professionale, inclusi i tirocini professionali; c) all'occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione; d) all'affiliazione e all'attività in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni” (art. 3). Anche solo dalla formulazione letterale della disposizione, emerge chiaramente la volontà del legislatore europeo di affermare la tutela antidiscriminatoria in via generale, a tutto l‟arco della vita lavorativa della persona. Oltre (ed in connessione) all‟ambito di applicazione oggettivo del principio di non discriminazione, la direttiva provvede a definire anche che cosa debba intendersi per “discriminazione”, individuando due distinte tipologie di condotta vietata: la discriminazione “diretta” e quella “indiretta”. Sussiste discriminazione diretta “quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi previsti dall‟art. 1”, tra cui l‟handicap, “una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga” (art. 2, par. 2, lett. a)). Sussiste, invece, discriminazione indiretta quando “una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio”, tra le altre, “le persone portatrici di un particolare handicap […] rispetto ad altre persone” (art. 2, par. 2, lett. b)). Ciò, tuttavia, a meno che “tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari” (art. 2, par. 2, lett. b) punto i)), ovvero, con specifico riferimento alle persone portatrici di un particolare handicap, “che […] il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5” - disposizione che, come si vedrà più diffusamente nel prosieguo, prevede l‟obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli” ai fini della realizzazione di una piena parità di trattamento dei disabili “per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi” (art. 2, par. 1, lett. b), punto ii)). La nozione di discriminazione adottata dalla direttiva n. 2000/78/CE e, con essa, la sua articolazione in “diretta” e “indiretta”, sono riprese dalla esperienza normativa precedente, e da essa hanno ereditato struttura, contenuti e contorni (ormai) 105 tendenzialmente definiti235. Peraltro, la lettura dell‟art. 2 evidenzia come, con specifico riferimento all‟handicap, la disciplina delle discriminazioni (indirette) presenti più di una specificità, tra cui, in particolare, la previsione dell‟obbligo di adottare provvedimenti volti a consentire l‟accesso e lo svolgimento di un‟attività lavorativa da parte delle persone disabili, conformemente ai principi di cui all‟art. 5 della direttiva in materia di adozione di “soluzioni ragionevoli” (art. 2, par. 1, lett. b), punto ii)). Tale previsione ha posto alcuni problemi interpretativi relativamente alla distinzione tra discriminazione diretta ed indiretta. Alcuni autori, infatti, hanno ritenuto di rinvenire una contrapposizione tra la dimensione individuale (che informerebbe lo scopo di contrastare la discriminazione di cui all‟art. 1 della direttiva, nonché l‟obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli” di cui all‟art. 5) e la dimensione di gruppo (a cui, invece, si richiamerebbero solo il divieto di discriminazioni indirette di cui all‟art. 2, par. 2, lett. b), punto ii), che, a monte, evocherebbe una contrapposizione fra una giustizia individuale e una giustizia di gruppo). Tale differenziazione comporterebbe, a sua volta, la possibilità di identificare soluzioni specifiche solo per situazioni individuali, lasciando il luogo di lavoro inalterato per la generalità degli altri disabili236. Peraltro, l‟interpretazione ora prospettata non pare condivisibile, in quanto, come efficacemente evidenziato da altri autori237, fondata su una lettura della correlazione tra divieti di discriminazione e obbligo di adottare una “soluzione ragionevole”, che “sembra ignorare la natura strutturalmente plurioffensiva della condotta antidiscriminatoria ed implica un‟erronea costruzione delle diverse fasi in cui si articola 235 Per una ricostruzione delle nozioni di discriminazione “diretta” e “indiretta”, e della loro evoluzione normativa, cfr. Barbera M., Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto antidiscriminatorio comunitario, cit., p. 408 ss. e, in particolare, p. 411, nonché De Simone G., La nozione di discriminazione diretta ed indiretta, in Barbera M. (a cura di), La riforma delle istituzioni e degli strumenti delle politiche di pari opportunità. Commentario sistematico al Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 196, disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell’art. 47 della legge 17 maggio 1999, n. 144, in Le Nuove Leggi Civ. Com., 2003, p. 711 ss. Su tale questione, cfr. anche le osservazioni svolte in questo capitolo, alla nota 5, nonché gli Autori ivi citati. 236 Tale opzione interpretativa è stata sostenuta soprattutto dalla dottrina anglosassone e, in particolare, da Whittle R., The Framework Directive for Equal Treatment in Employement and Occupation: an Analysis from Disability Rights Perspectives, in E. L., Rev., 2002, p. 308. 237 Di questo avviso, in particolare, Barbera M., Le discriminazioni basate sulla disabilità, cit., p. 87 ss.; nello stesso senso anche Loy G., op. cit., p. 42. 106 il giudizio di non discriminazione e, nel caso di discriminazioni indirette, del rapporto che corre tra esimente specifica (adozione di soluzioni ragionevoli) ed esimente generale (natura essenziale del criterio indirettamente discriminatorio)”238. Secondo quest‟ultimo orientamento, vi è invece, la possibilità di connettere in modo maggiormente conforme alla ratio complessiva dell‟intervento comunitario l‟obbligo (negativo) di non discriminare con l‟obbligo (positivo) di adottare “soluzioni ragionevoli”, ricostruendo così “i nessi che legano le diverse previsioni attraverso una lettura sistematica del testo della direttiva, senza imprimere ulteriori spinte alle moltiplicazioni delle fattispecie discriminatorie voluta dal legislatore”239. Sulla scorta di queste osservazioni, si è pervenuti alla conclusione che, pur nel rispetto delle peculiarità proprie della disciplina antidiscriminatoria in ragione dell‟handicap, i criteri della comparazione nel caso della discriminazione diretta, e dell‟esistenza di una “disposizione, criterio o prassi” apparentemente neutri nel caso di quella indiretta, debbano essere quelli previsti in generale per tutti i fattori di discriminazione240. Nel primo caso, dovrà indagarsi sulla legittimità del differente trattamento di una persona rispetto ad un‟altra (ove fondata su di un motivo attinente alla disabilità della persona); nel secondo caso, invece, sulla “essenzialità” di un criterio suscettibile di svantaggiare determinate persone. Orbene, posto che non ogni disparità di trattamento di un disabile costituisce discriminazione diretta, e che non ogni criterio che produca un particolare svantaggio per un disabile costituisce discriminazione indiretta, occorrerà “semplicemente […] collocare nella corretta prospettiva le parti di disciplina della direttiva esplicitamente riferite ai lavoratori disabili”241. 238 Cfr. ancora Barbera M., op. ult. cit., p. 100, la quale, a supporto della tesi sopra illustrata, osserva anche come “separare così nettamente i profili individuali da quelli collettivi della discriminazione può produrre esiti paradossali, come quello di intendere la norma che stabilisce l‟obbligo di soluzioni ragionevoli come una clausola che indebolisce la portata correttiva del divieto di discriminazioni indirette, perché, lungi dall‟imporre al datore di lavoro di rendere il luogo di lavoro accessibile a tutti i disabili, gli consentirebbe di predisporre soluzioni ragionevoli, consentirebbe di predisporre soluzioni individuali, lasciando per il resto inalterata la situazione produttiva di discriminazioni, mantenendo il luogo di lavoro un luogo estraneo e ostile a chi è disabile”. 239 Barbera M., op. ult. cit., p. 100. 240 Barbera M., op. ult. cit., p. 100, nonché Loy G., op. ult. cit., p. 43 ss. 241 Loy G., op. ult. cit., p. 44. 107 4.5 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell’handicap. Le cause di giustificazione e le deroghe. Quanto appena detto comporta, ad esempio, che con specifico riferimento alla discriminazione indiretta, una volta individuati “una disposizione, un criterio, una prassi apparentemente neutri” potenzialmente idonei ad integrare una discriminazione, occorrerà tenere presente l‟esistenza delle due cause di giustificazione individuate dall‟art. 2, par. 2, lett. b), punti i) e ii). La prima - valida, in realtà, per tutte le ipotesi di discriminazione, e non solo per l‟handicap - riguarda il caso in cui la finalità della disposizione sia legittima e che i mezzi risultino appropriati e necessari. La seconda - specificamente stabilita in relazione alla disabilità - si riferisce all‟ipotesi in cui il datore di lavoro sia obbligato dalla legislazione nazionale “ad adottare misure adeguate”, con riferimento ai principi di cui all‟art. 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, criterio o tale prassi. Oltre alle cause di giustificazione riferite alle sole discriminazioni indirette, la direttiva n. 2000/78/CE stabilisce, poi, un complesso sistema di (ulteriori) esenzioni e deroghe. Esse, rinvenibili negli artt. 3, par. 4 e 4, par. 1, riguardano la possibilità per gli Stati membri da un lato di non applicare la direttiva alle forze armate (relativamente al divieto di discriminazione in ragione dell‟handicap e dell‟età) e, dall‟altro lato, di stabilire che le differenze di trattamento basate su uno dei possibili fattori discriminanti (e quindi anche sull‟handicap) non integrino una condotta vietata qualora “per la natura di un‟attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell‟attività lavorativa, purché la finalità sia legittima ed il requisito proporzionato”. La direttiva lascia, poi, impregiudicate le misure “necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell‟ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui” (art. 3, par. 5). La ratio di tali eccezioni è esplicitata nel considerando n. 18 - che, al contempo, specifica i settori e le attività interessate dall‟esenzione - secondo cui la direttiva “non può avere l‟effetto di costringere le forze armate, nonché i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedono i requisiti necessari per svolgere l‟insieme delle funzioni che possono essere chiamati ad 108 esercitare, in considerazione dell‟obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi”242. Dalla lettura coordinata delle disposizioni citate, emerge la volontà del legislatore europeo di contemperare la promozione (ed il rispetto) del principio di non discriminazione con la tutela di alcune specifiche situazioni che, per la particolarità del settore, dell‟attività o della finalità perseguita, giustificano l‟esenzione dagli obblighi imposti dalla direttiva. Ciò, tuttavia, sempre in casi “strettamente limitati” (considerando 23) e “sul presupposto del carattere finalistico” e “di stretta necessità”243 delle deroghe. Peraltro, la circostanza che la direttiva abbia conferito agli stessi Stati la facoltà se prevedere o meno le eccezioni in parola ha comportato una estrema diversità di recepimento tra un ordinamento e l‟altro: alcuni hanno semplicemente riportato la previsione generale, senza specificare alcunché (Spagna); altri, invece, hanno individuato e circostanziato le varie ipotesi derogatorie, disciplinandole minuziosamente (Regno Unito). Con specifico riferimento all‟Italia, il recepimento - rectius, il modus del recepimento ha suscitato più di una perplessità. Infatti, il legislatore italiano sembra aver esteso le deroghe al di là di quanto previsto dalla direttiva, operando quella che è stata definita una “sovrainterpretazione”244: e ciò sia omettendo di specificare, come invece sembra richiedere il legislatore europeo, le situazioni che, per le loro particolari caratteristiche, possono considerarsi esentate dall‟obbligo di non discriminazione, sia ampliando l‟ambito di operatività delle deroghe espresse (di quelle, cioè, già definite dalla direttiva stessa)245. Ciò si evince in primis dalla lettura dell‟art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216 del 2003, il quale, nel trasporre l‟art. 4, par. 1 del provvedimento comunitario, non individua né chiarisce in alcun modo in quali casi “strettamente limitati” i fattori discriminanti previsti dal provvedimento comunitario si traducano in “requisiti essenziali”, tali da giustificare 242 Il senso di tale disposizione è efficacemente esplicitato da Barbera M., op. ult. cit., p. 120, secondo cui “le forze armate o i servizi di polizia o penitenziari o di soccorso possono sbarrare l‟accesso ad un disabile, o licenziarlo se diventa tale nel corso del rapporto di servizio, se ciò serve a salvaguardare la loro funzione di difesa o di tutela dell‟ordine pubblico o di prevenzione dei reati”. 243 Barbera M., op. ult. cit., p. 121. 244 L‟espressione è di De Simone G., op. ult. cit., p. 145. 245 Di questo avviso Barbera M., op. ult. cit., p. 122, secondo cui tale condotta avrebbe l‟effetto di indebolire, “più di quanto non facesse già la direttiva, la tenuta generale del divieto di discriminazioni dirette”. 109 l‟esenzione dal rispetto dell‟obbligo di non discriminazione246. Così come costruita, dunque, tale norma sembra contrastare con l‟esistenza, riscontrabile dal testo della direttiva (e, in particolare dagli artt. 3, 4 e dal considerando 23), di un principio di tipicità, in base al quale è il legislatore e non il datore di lavoro (come, invece, suggerisce l‟art. 3, comma 3, d. lgs. n. 216 del 2003) a dover indicare in quali casi si possa far eccezione al principio di non discriminazione. In aggiunta ed in connessione a ciò, perplessità suscita anche la previsione, contenuta nell‟art. 3, comma 2, d.lgs. n. 216 del 2003, secondo cui tutti i fattori discriminanti presi in considerazione dalla direttiva (e non solo l‟età e la disabilità, come invece ivi specificato) possano assumere rilevanza ai fini dell‟idoneità allo svolgimento delle funzioni (a prescindere dal carattere operativo o meno delle stesse) che le forze armate, i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso, sono chiamati ad esercitare. Infine, “ultronea” e contrastante con la lettera e lo spirito della direttiva appariva anche la previsione di cui al comma 4 dell‟art. 3, d.lgs. n. 216 del 2003, a mente della quale erano espressamente fatte salve le disposizioni in materia di “accertamenti di idoneità al lavoro nei casi in cui sia necessaria un‟idoneità ad uno specifico lavoro”: il provvedimento comunitario, infatti, nulla prevedeva in merito247. Tale ultima norma presentava, poi, l‟ulteriore problema di essere poco chiara, posto che, a ben vedere, “in nessun caso uno dei motivi vietati può costituire di per sé una causa di inidoneità allo svolgimento di uno specifico lavoro”248. Peraltro, le problematiche da ultimo illustrate - a differenza di quelle sopra evidenziate, che permangono tuttora, e appaiono idonee a comportare non poche incertezze applicative - possono dirsi superate a seguito dell‟abrogazione dell‟art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216 del 2003, ad opera del d.l. 8 aprile 2008, n. 59, convertito con modificazioni nella 246 Il testo della norma recita così: “nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare”(art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216 del 2003). 247 Chieco P., op. ult. cit., p. 582. 248 Barbera M., op. ult. cit., p. 122. 110 legge 6 giugno 2008, n. 101, avvenuta su impulso dell‟attivazione da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti dell‟Italia, proprio in ragione della contrarietà al testo della direttiva. 4.6 La direttiva CE n. 2000/78 ed il divieto di discriminazione in ragione dell’handicap. I principali strumenti previsti dalla direttiva n. 2000/78/CE per la tutela dei disabili. L’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli ... Dopo aver inquadrato l‟ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo del divieto di non discriminazione in ragione dell‟handicap e le caratteristiche della condotta vietata, pare ora opportuno soffermarsi su quelli tra gli strumenti offerti dalla disciplina in commento che più rilevano ai fini della tutela contro le discriminazioni avverso le persone disabili. Un prima misura, cui già si è accennato più volte, è contemplata dall‟art. 5 della direttiva, che stabilisce l‟obbligo per il datore di lavoro di adottare “soluzioni ragionevoli” in favore delle persone disabili, di modo da assicurare la loro parità di trattamento rispetto alle altre persone normodotate. Al fine di circoscrivere il contenuto e l‟ampiezza dell‟obbligo di facere imposto da tale disposizione, occorre chiarire il significato da attribuire dell‟espressione “soluzioni ragionevoli”. In merito, la direttiva si limita a fornire alcune indicazioni di carattere generale, attribuendo a ciascun Stato il compito di regolamentare analiticamente la materia. In quest‟ottica, l‟art. 5 stabilisce che adottare “soluzioni ragionevoli”, significa prendere “i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o […] ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”; ciò con l‟ulteriore precisazione che una “soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili”. La disposizione ora illustrata è, poi, ulteriormente specificata dal considerando n. 20, il quale fornisce un elenco - da intendersi esemplificativo e non tassativo né esaustivo - di misure qualificabili come “soluzioni ragionevoli”, quali l‟adattamento dei modi e dei tempi del lavoro, delle attrezzature e dei locali impiegati, ovvero la formazione e 111 l‟addestramento del lavoratore disabile. Peraltro, oltre alle indicazioni fornite dalla lettera delle previsioni citate, ai fini della comprensione dell‟obbligo di cui all‟art. 5, fondamentale appare il richiamo, operato dal legislatore comunitario, al concetto della ragionevolezza delle soluzioni da adottare e della proporzionalità degli oneri finanziari all‟uopo richiesti. Secondo un‟efficace definizione, la “ragionevolezza” – da considerarsi uno dei canoni ermeneutici fondamentali per l‟interpretazione non solo della direttiva n. 2000/78/CE ma dell‟intera normativa antidiscriminatoria – va intesa quale criterio di individuazione del limite “delle misure che possono essere poste in essere imposte agli Stati ed ai privati per compensare le disabilità”249. Il criterio di ragionevolezza appare articolato, al suo interno, su due distinti (ma interconnessi) indici: l‟uno riguarda (e misura) gli strumenti adottati, e la loro adeguatezza rispetto alla finalità perseguita; l‟altro, invece, si riferisce agli effetti ulteriori prodotti dall‟adozione degli strumenti in parola, andando a valutare quindi un limite interno, intrinseco degli stessi. Sulla scorta di tali osservazioni, si è pervenuti alla conclusione che una determinata soluzione dovrà essere considerata ragionevole non solo se è adeguata - cioè idonea a “consentire alle persone con disabilità di neutralizzare l‟handicap o di ridurlo in misura tale da consentire l‟esercizio dei propri diritti”- ma anche quando, al contempo, gli effetti prodotti da tale soluzione sono “compatibili con le condizioni di esercizio dell‟attività lavorativa”250. Tale conclusione, peraltro, non è di carattere assoluto, non comprende cioè qualunque adattamento materiale ed organizzativo tecnicamente fattibile, ma solo quelli che non comportino per il datore di lavoro sia in termini di organizzazione del lavoro che di eventuali adattamenti materiali un costo finanziario “sproporzionato” rispetto all‟obiettivo da raggiungere. Come già accennato, infatti, le “soluzioni” da adottare ai sensi dell‟art. 5 devono essere oltre che “ragionevoli”, nel senso sopra illustrato, anche economicamente sostenibili251. 249 Loy G., op. ult. cit., p. 48. Cfr. ancora Loy G., op. ult. cit., p. 48 s. 251 In realtà, secondo alcuni (Loy G., op. ult. cit., p. 49), il criterio della proporzionalità dello sforzo finanziario rispetto allo scopo perseguito, lungi dall‟esser separato e distinto da quello di ragionevolezza, costituirebbe una declinazione di quest‟ultimo, non possedendo, dunque, una propria autonoma valenza e 250 112 Dalle osservazioni ora esposte, emerge con tutta evidenza come la previsione di cui all'art. 5 rappresenti uno degli strumenti più interessanti ed innovativi del diritto antidiscriminatorio di “seconda generazione” e, al contempo, uno dei più delicati, stante la sua idoneità a comportare oneri finanziari di non poco conto in capo ai soggetti tenuti all'adozione di “soluzioni ragionevoli”. Questa è, forse, una delle ragioni alla base della mancata attuazione della disposizione in commento da parte del legislatore italiano, il quale il quale, almeno secondo alcuni, ha così operato “non certo per una dimenticanza”, ma ponendo in essere una “colpevole manomissione della nozione comunitaria di discriminazione”252. Peraltro, al di là di come la si voglia pensare sul punto, ciò non mette in discussione l'obbligo, posto in capo ai giudici nazionali, di interpretare la normativa interna in materia di disabilità (anche) alla luce della disposizione inattuata253. In quest‟ottica, ad esempio, è stato osservato come nel caso della sopravvenuta riduzione della capacità lavorativa, “non sarebbe più conforme al diritto dell‟Unione Europea la giurisprudenza che consente il licenziamento sulla base della mera inidoneità allo svolgimento delle mansioni di competenza senza che il datore di lavoro sia tenuto ad adottare una soluzione che, nell‟ambito della ragionevolezza, consenta il mantenimento caratterizzazione. In altri termini, il costo economico di una determinata misura rappresenterebbe né più né meno uno degli indici che, in concorrenza con gli altri, ne valutano la sua ragionevolezza. In quest‟ottica, “il riferimento contenuto nella seconda parte dell‟art. 5 della direttiva”, in cui si prevede che le soluzioni da adottare per realizzare e garantire la parità di trattamento dei disabili non debbono richiedere “da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato” non farebbe altro che “ribadire, esplicitamente, quanto già contenuto nella previsione generale” (Loy G., op. ult. cit., p. 49), costituendone una specificazione. Altri commentatori (Barbera M., op. ult. cit., p. 122), peraltro, hanno precisato come, anche a volere seguire questa impostazione, ai fini della valutazione della ragionevolezza della misura, l‟analisi del suo costo economico, pur essendo quest‟ultimo uno dei parametri da considerare, vada fatta in un momento successivo alla valutazione della sua idoneità. Tale ultima impostazione, oltre che essere conforme alla lettera dell‟art. 5 - che separa la nozione di ragionevolezza da quella di onere sproporzionato e riferisce espressamente alla sola misurazione del carattere sproporzionato del costo economico gli indici ivi elencati (esistenza di misura statali a favore dei disabili che compensino in modo “sufficiente” l‟onere) - appare anche maggiormente coerente con la ratio sottesa all‟art. 5, ed agli interessi (nonché al loro bilanciamento) dalla stessa contemplati. Ciò, a ben vedere, in quanto “se si evita di arrivare ad una contrapposizione netta tra adeguatezza della misura e costo economico per l‟imprenditore, il giudice potrà compiere un bilanciamento tra gli interessi del disabile e quelli dell‟imprenditore non secondo una logica dicotomica, ma in modo da prendere in considerazione i guadagni e le perdite complessive che si realizzano nella situazione concreta. Ad esempio, potrà prendere in considerazione non solo il vantaggio individuale del disabile ma anche il vantaggio che altri lavoratori (disabili e non) possono ricavare da misure che rendano l‟ambiente di lavoro più adattabile alle esigenze individuali” (Barbera M., op. ult. cit., p. 123). 252 Barbera M., op. ult. cit., p. 81, nonchè Loy G., op. ult., cit., p. 51. 253 Di questo avviso Barbera M., op. ult. cit., p. 123. 113 del posto di lavoro”; non si tratta, peraltro, “di una vera e propria novità, quanto del perfezionamento di una linea interpretativa che, considerando il licenziamento come ultima ratio, richiede la dimostrazione della sua inevitabilità”254. Con specifico riferimento, poi, alla disciplina in materia di inserimento lavorativo delle persone disabili, tale circostanza potrebbe avere l'effetto di rendere il sistemo del collocamento mirato dotato di una maggiore e più immediata effettività, posto che, ai sensi dell'art. 5 della direttiva, i datori di lavoro (direttamente) e lo Stato (indirettamente) hanno l'obbligo di prendere tutti quei provvedimenti necessari ai fini della realizzazione della parità di trattamento dei disabili con riferimento a tutta la vita lavorativa di questi ultimi e, dunque, anche nell'accesso al lavoro. 4.7 … e la tutela giurisdizionale. In un'ottica più generale, non limitata, cioè, alla sola lotta contro le discriminazioni in ragione dell'handicap, la direttiva prevede ulteriori strumenti, tra cui, in particolare, una specifica tutela giurisdizionale in favore delle vittime di comportamenti discriminatori. In merito, l‟art. 9, par. 1, affida agli Stati membri il compito di provvedere “affinché tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere […] a procedure giurisdizionali e/o amministrative ... finalizzate al rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva”. La previsione di azioni giurisdizionali mirate avverso le discriminazioni - i cui termini di proposizione devono essere definiti conformemente alle regole all'uopo previste da ciascun Stato - è rafforzata dalla individuazione di precise regole in ordine all'onere della prova, tali da “assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un'altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento” (art. 10, par. 1, direttiva). 254 Cfr. in merito Barbera M., op. ult. cit., p. 123, la quale osserva anche come “rispetto a ciò, in materia di capacità fisica, la direttiva ha il pregio di formalizzare l‟obbligo di esperire ogni tentativo di conservazione del posto di lavoro e di offrire un criterio volto a stabilire sino a quale limite il datore di lavoro sia tenuto a ad adottare soluzioni alternative al licenziamento”. 114 Tali indicazioni sono state recepite dal legislatore italiano nell'art. 4, d.lgs. n. 216 del 2003, che ha introdotto la possibilità, per il lavoratore255 discriminato in ragione di uno dei fattori individuati dalla direttiva, di avvalersi della procedura giurisdizionale prevista prima dall'art. 44, commi da 1 a 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in materia di lotta alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e, ora, a seguito dell‟entrata in vigore del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, del giudizio sommario di cognizione, così come “integrato” da alcune specifiche indicazioni contenute nell‟art. 28 di quest‟ultimo provvedimento256. In sostanza, in base a tali previsioni - che, quindi, attuano l'obbligo stabilito dal legislatore europeo attraverso l'estensione di una procedura giurisdizionale già esistente nel caso venga accertata la sussistenza di una discriminazione, il datore di lavoro può essere condannato al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Il giudice ha, altresì, il potere di ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Sotto il profilo, poi, del regime probatorio, il legislatore italiano aveva inizialmente previsto la possibilità, ai fini della dimostrazione di un comportamento discriminatorio, di dedurre in giudizio, “anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'art. 2729, comma 1, c.c.” (art. 4, comma 4, d.lgs. n. 216 del 2003). Sul punto, dunque, non era stabilita una vera e propria inversione dell‟onere della prova così come sembra invece richiedere la direttiva - ma, semplicemente una sua attenuazione, attraverso la possibilità di dimostrare la discriminazione mediante 255 Occorre osservare come il legislatore italiano, oltre a prevedere nel d.lgs. n. 216 del 2003 una tutela giurisdizionale contro le discriminazioni in ragione della disabilità sui luoghi di lavoro, abbia successivamente introdotto, con la legge 1 marzo 2006, n. 67, una specifica tutela riferita, questa volta, alle discriminazioni commesse in tutti gli ulteriori aspetti della vita di una persona, diversi da quelli lavorativi. Ora, peraltro, a seguito dell‟entrata in vigore del d.lgs. 1 settembre 2011, in materia di riduzione e semplificazione dei riti, il legislatore ha ricondotto ad un unico procedimento giurisdizionale tutte le ipotesi di discriminazione: cfr. in merito, l‟art. 28, comma 1, di quest‟ultimo provvedimento normativo, secondo cui “le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo”. 256 V. supra, nota precedente. 115 presunzioni e avvalendosi di dati statistici257. Tale circostanza sembrava avere l‟effetto di ridimensionare la portata delle prescrizioni contenute sul punto dalla direttiva, la quale attraverso la previsione dell‟inversione, conferiva alla vittima un importante strumento di prova delle discriminazioni, che, di solito, per loro stessa natura, sono tutt‟altro che facilmente dimostrabili. Le perplessità esposte, peraltro, sono destinate ad esser superate (almeno in parte) dalla nuova previsione contenuta nell‟art. 28, d.lgs. n. 150 del 2011, il quale stabilisce espressamente che “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione”. 4.8 Qualche osservazione conclusiva. In definitiva, a seguito dell‟analisi ora svolta, pare potersi rilevare come il diritto antidiscriminatorio - sia quello sovranazionale, sia, più direttamente, quello nazionale rappresenti un ulteriore ed importante strumento nella promozione di una piena ed efficace integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro e nella società. Infatti, l‟affermazione del principio di parità di trattamento dei disabili rispetto agli altri lavoratori comporta, con specifico riferimento all‟accesso al lavoro, la previsione di una serie di misure, che anche con i limiti rilevati in sede di commento, hanno l‟effetto se non di introdurre strumenti di inserimento nuovi, comunque di rafforzare quelli esistenti, sotto il profilo della loro efficacia ed effettività. Si pensi, in quest‟ottica, oltre che alle previsioni di una tutela giurisdizionale specifica e dell‟obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli” – obbligo, che, come visto, pur formalmente non trasposto nell‟ordinamento italiano, riesce comunque a spiegare (una parte de)i propri effetti – anche alla ulteriore possibilità, concessa in via generale, di predisporre “azioni positive” finalizzate alla eliminazione delle discriminazioni258. 257 Ciò con la conseguenza che spettava sempre al lavoratore provare la fondatezza della propria domanda. L‟allegazione dei fatti oggettivamente gravi, precisi e concordanti, poteva solo convincere il giudice della bontà delle argomentazioni addotte dal lavoratore, ma rimetterà alla sua piena discrezionalità la valutazione circa l‟idoneità degli indizi a fondare una prova per presunzioni. 258 Cfr. in merito l‟art. 7, par. 1, direttiva n. 2000/78/CE, rubricato “Azioni positive e misure specifiche” in base a cui “allo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a 116 In altri termini, tale complesso di disposizioni appare idoneo non solo a promuovere la parità di trattamento tra le persone disabili e le persone c.d. normodotate nella fase dell‟accesso al lavoro ma anche, in aggiunta ed in connessione a ciò, a favorire la piena realizzazione del loro diritto al lavoro259. Sotto quest‟ultimo profilo, non va dimenticato che il fondamento costituzionale cui fa riferimento la normativa antidiscriminatoria non è solo il diritto all‟uguaglianza di cui all‟art. 3, ma anche il diritto al lavoro di cui all‟art. 4 Cost., e che l‟obiettivo ad essa sotteso è quello di far sì che tutte le persone, indipendentemente dalle proprie condizioni personali, possano ugualmente fruire di tale diritto. Ciò, a ben vedere, implica l‟adozione di differenti strumenti a seconda delle condizioni di partenza di ciascuno. Compito della disciplina in commento è, dunque, “quello di neutralizzare l‟handicap, posto che, in mancanza di tale neutralizzazione, verrebbero a mancare proprio le condizioni di uguaglianza tra le diverse persone ugualmente destinatarie del diritto nonostante le differenti condizioni di partenza. E se l‟handicap, come è evidente, può essere neutralizzato solo mediante l‟adozione di trattamenti differenti, tali trattamenti si configurano come espressione del principio di uguaglianza sostanziale che, allo stesso tempo, non confligge neppure con una pretesa parità formale”260. In definitiva, allora, “non si ha alcuna concessione o favore nei confronti dei lavoratori” disabile e, soprattutto, “non rimane alcuno spazio per concezioni di tipo assistenzialistico o meglio, la funzione assistenziale, ispirata anch‟essa ad un principio cardine delle moderne legislazioni, entra in azione non solo laddove l‟adozione di misure che evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all'articolo 1”. Oltre a ciò, con specifico riferimento ai disabili, il par. 2 prevede espressamente che “il principio della parità di trattamento non pregiudica il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro né alle misure intese a creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di salvaguardare o promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro”. 259 Da questo punto di vista, il fatto che il lavoratore disabile, soprattutto per effetto della previsione di cui all‟art. 5 della direttiva possa avere un trattamento differenziato, che non necessariamente significa più favorevole, non costituisce, tuttavia, una espressione di discriminazione positiva, bensì un‟affermazione del principio di uguaglianza. Principio che ben sopporta, ed anzi postula, che situazioni differenti vengano trattate in modo differente, proprio perché l‟uguaglianza sia effettiva. Nell‟ambito di cui ci occupiamo, peraltro, non sussiste (benché nel caso concreto sarebbe legittima) alcuna violazione neppure del principio formale di uguaglianza, posto che tutti i lavoratori, laddove si trovassero nelle condizioni del lavoratore disabile, verrebbero trattati nello stesso modo,m cioè avrebbero diritto ad un ragionevole adattamento delle proprie condizioni di lavoro. 260 Di questo avviso Loy G., op. ult. cit., p. 48. 117 consentono l‟affermazione del diritto al lavoro in termini di parità (sostanziale e formale) superi i limiti della ragionevolezza”261. 261 Cfr. ancora Loy G., op. ult. cit., p. 48. 118 BIBLIOGRAFIA Arrigo G., Il diritto dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2000; Ballestrero M.V., Balandi G.G. 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