il primato delle città 2
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il primato delle città 2
Il primato delle città di Giovanni Caudo Le città sono una risorsa importante per la crescita sociale ed economica del nostro paese, eppure non sono più da qualche tempo oggetto di attenzione da parte della politica. La vita materiale di molti cittadini dipende però dalle città, dalla loro efficienza e dalla loro capacità di costruire senso di sicurezza sociale e di progresso. Non è così in molti altri paesi europei. Si può e si deve riportare le città al centro dell’agenda politica e farne un punto essenziale del programma di governo del paese. 0. Da qualche tempo le città non sono più oggetto di discussione nella politica e tanto meno nei programmi. La sicurezza urbana è il modo, ormai prevalente, con cui le città entrano nei dibattiti, nelle agende della politica (ma spesso ne escono presto). Non è così in altri paesi europei e del mondo sviluppato, dove le città sono oggetto di politiche nazionali con connotati strategici con l’obiettivo di concorrere al consolidamento dell’economia nazionale, a rafforzare i margini di crescita della società e la coesione sociale. Si può cambiare rotta? Possiamo tornare a guardare le città come a luoghi dell’innovazione e della crescita del paese Italia? La risposta deve essere sì, e bisogna fare in modo che la città torni a essere un tema centrale per il governo del nostro paese. Il Libro bianco sul governo delle città italiane promosso dal CSS segna un momento importante in questa direzione, l’auspicio è che sia ascoltato, che la politica dimostri così di voler stipulare un nuovo patto tra azione programmatica e produzione della conoscenza. 1 1. Tra i molti paradossi del nostro paese quello di sottovalutare il potenziale rappresentato dalle città è il più macroscopico e incomprensibile. Lo è sotto molti punti di vista, quello storico culturale, perché la storia del nostro paese è intrinsecamente legata a quella delle sue città e dei suoi comuni; dal punto di vista sociale, perché ormai la stragrande maggioranza degli italiani vive la condizione urbana, anche quando ha scelto di risiedere in piccoli comuni o borghi, questi non sono altro che nodi di una rete che “abita” tutto il territorio. E’ incomprensibile soprattutto dal punto di vista economico. La ricchezza principale del nostro paese sono, ormai, le città con i loro “giacimenti” di storia, di patrimoni artistici e ancora di produzione immateriale, di ricerca e di innovazione. Le città sono, l’ancoraggio per quei flussi “nomadi” che le attraversano e che potrebbero sedimentare con i loro scambi e intrecci interculturali nuove opportunità di ricerca e innovazione e quindi di sviluppo economico per l’intero paese. Tutto questo semplicemente non è “visto” da chi governa il paese e non è oggetto di politiche specifiche. Eppure le espressioni di un malessere urbano sono diffuse. Oggi nelle città ci si sposta più lentamente di quanto non avveniva in passato. La realizzazione della dorsale ferroviaria dell’alta velocità fa emergere le carenze nella mobilità urbana: il tratto finale dello spostamento, quello interno alla città, ha tempi di durata simili se non maggiori di quelli necessari allo spostamento principale. La difficoltà di vivere e lavorare in città emerge dalle condizioni del trasporto pendolare. Una geografia dinamica, come una sorta di respiro, mette in relazione il corpo della città con il suo territorio metropolitano ormai esteso alla scala interregionale: si è accolti e si è espulsi dalla città centrale in base alla condizione sociale ed economica. Il diritto alla città è molto spesso negato per ragioni economiche. La questione abitativa è parte importante di questo diritto negato. Ma quali alternative abitative hanno non solo i soggetti socialmente deboli, ma il ceto medio e impiegatizio, i professionisti a basso reddito per non parlare dei giovani che restano con i genitori e delle giovani coppie? E ancora, quali risposte si trovano per chi si muove per lavoro, per chi ha un contratto a tempo e proviene da un’altra città o per quelle fasce di giovani e di professionisti ad alta mobilità che decidono di venire a lavorare in una città italiana? In Italia non ci sono più politiche urbane e, invece, le città costituiscono una carta da giocare per uscire dal declino. Come si documenta nel Libro Bianco anche le politiche urbane degli anni Novanta sono ormai finite in una sorta di vicolo cieco, lasciate alle capacità dei singoli comuni. Il secolo nuovo, nei suoi primi dieci anni, ha portato una “mistificazione” della questione urbana. Le politiche della sicurezza da una parte e il dibattito sul federalismo municipale, dall’altro, hanno dominato il discorso pubblico e hanno evitato che si affrontassero le questioni urbane entro a un quadro di respiro strategico che ne evidenziasse l’interesse nazionale dinanzi ai cambiamenti che le città hanno registrato nel ventennio a cavallo tra il secolo vecchio e il nuovo. Cambiamenti profondi, per alcuni versi radicali puntualmente esaminati nella prima parte del 2 Libro Bianco, ne riprendo intanto uno su cui insisto da diversi anni1: l’espansione anche alla città dei meccanismi di finanziarizzazione. 2. Aver trasformato la città in merce, il “sottostante”, dei meccanismi finanziari attraverso cui si determinano, spesso in modo forzato, i plusvalori che sono poi “catturati” per alimentare il modello economico dominante, non è un cambiamento le cui conseguenze sono confinate entro ambiti limitati. Ad esempio non si comprende quasi nulla della nuova questione abitativa se non si guarda a questa nuova condizione e al rapporto tra città di pietra e case di carta. Le case sono diventate come le azioni nei mercati finanziari. Il mercato immobiliare come la finanza. Come in borsa non sempre il plusvalore dipende dai fondamentali dell’azienda così, anche nel mercato immobiliare finanziarizzato, l’incremento dei valori non dipende dalle caratteristiche dell’immobile; non c’é più corrispondenza con i fabbisogni né correlazione tra domanda e offerta. Divaricazione che é testimoniata dal ritorno dell’emergenza abitativa. Emergenza che non riguarda più solo chi è senza casa, ma anche quelli che perdono la casa perché non riescono a pagare l’affitto, i lavoratori a tempo, o chi è costretto a spostarsi fuori città, sempre più lontano, per acquistare una casa a costi accessibili. E’ grazie a tali meccanismi finanziari che nei paesi occidentali il valore totale degli immobili residenziali é cresciuto, tra il 1997 e il 2006, da 30 trilioni di dollari a oltre 70 trilioni di dollari (stima del The Economist), un incremento, tanto per dare un elemento di raffronto, che equivale al raddoppio del Pil di tutti i paesi di quella stessa porzione di mondo. Niente di simile era avvenuto in passato. La crisi finanziaria che stiamo attraversando ha le sue radici nel rapporto tra la città di pietra e le case di carta e scarica i suoi effetti dentro la città. Il sindaco di Baltimora, negli Stati Uniti, ha fatto causa alla Wells Fargo, la più grande banca erogatrice di mutui della città. L’accusa è di aver vanificato con le sue politiche di prestiti facili, la pratica di concedere mutui anche alle famiglie senza garanzie, le politiche di rigenerazione urbana messe in atto dalla municipalità. Infatti, dopo che le famiglie non sono più riuscite a far fronte al pagamento della rata di mutuo e hanno perso la casa, interi quartieri della città sono ricaduti nel degrado. Si tratta degli stessi quartieri che grazie agli investimenti pubblici avevano visto crescere i prezzi delle case con benefici per i vecchi proprietari e, data la fine della storia, soprattutto per i mediatori immobiliari che con le commissioni sui prestiti hanno incassato buona parte delle plusvalenze. La città si è ritrovata senza soldi da investire, con quartieri abbandonati, case pignorate e disabitate 1 Ho trattato questo argomento in: Case di carta e nuova questione abitativa, L’Unità, 26 e 27 Dicembre 2005 (in due parti); Le case di carta e la nuova questione abitativa, (in collaborazione), Rapporto sull’economia romana 2005-2006, Assessorato alle politiche economiche, finanziarie e di bilancio del Comune di Roma, 2006, pp. 258-280; Per la casa passa la città: Roma e la nuova questione abitativa, La casa, Guido Martinotti (a cura di), edizioni Egea-Bocconi, 2007; Case di carta: la nuova questione abitativa. Case a costo accessibile: l'evoluzione del social housing in Inghilterra. Social housing: Due casi studio, in Urbanistica n.134, 2007. 3 con le finestre murate o chiuse con il compensato, con meno entrate fiscali e, ancora, con quartieri che sono diventati il terreno di caccia per affaristi e speculatori che si aggirano in cerca di acquisti a poco prezzo. Uno scenario come se ne erano visti solo dopo una catastrofe naturale. Ma lì la ragione è di altra natura, e per il sindaco qualcuno deve pagare e questo qualcuno sono le banche. Questa storia ha il merito di chiarire la natura del rapporto tra economia e città, che sappiamo essere da sempre centrale, ma che oggi non è più riducibile ai soli fattori della produzione, il capitale e la terra, necessari all’attuazione delle politiche e degli investimenti, o la posizione. La città è al centro della crisi finanziaria che attraversa l’occidente, così come ieri era al centro del meccanismo di finanziarizzazione che ha consentito, facendo leva sui valori immobiliari, di stampare moneta reale su meccanismi economici virtuali. Le immagini di quartieri come quello di Baltimora rimandano alla scena di una stanza del tesoro appena forzata e saccheggiata dai ladri. 3. Una seconda questione riguarda il rapporto tra urbanizzazione ed espansione. Lo scenario delle città globali ci pone dinanzi alla questione di “un mondo di città” in rapida espansione, sia nei paesi asiatici sia in quelli del sud del mondo e dell’America Latina2. Un mondo di città che guarda oltre i singoli stati e dentro alle quali accordi e partnership si giocano su tavoli e con regole diverse di quelle della diplomazia degli Stati. Foreign policy3, la più importante e influente rivista della diplomazia statunitense, ha dedicato, nel settembre 2010, uno speciale alle metropoli. Può darsi che ci sia un eccesso di retorica in questo sguardo, lo stesso che si registra nella ricorrente sottolineatura dell’incidenza della popolazione urbana. Però non si può negare che le città sono ormai protagoniste della politica, di quella diplomatica e di quella economica. E’ legittimo chiedersi se tutto questo sia buono, o no, ma non si può ignorarlo. La città del Novecento abbatté le mura che la racchiudevano avviandosi, sulla forza del vettore dell’espansione, alla conquista del territorio e si è infine affermata come un’entità sconfinata. Andare “oltre i limiti della Città” oggi significa, allora, andare oltre i confini dello Stato. Già oggi, ma forse ancora di più nel futuro, la globalizzazione sarà governata dalle singole città che non dall’America, dalla Cina, dal Brasile o dall’India. Oggi in sole 100 città si produce oltre il 30% della ricchezza mondiale e queste pesano ancora di più se si guarda alla sola innovazione e alla ricerca. In una recente inchiesta del The Economist4 si individuano le città cinesi con il più alto tasso di crescita, sono le città consigliate agli investitori per orientare i loro affari, e sono: Chongqing, Hefei, Anshan, Maanshan, Pingdingshan and Shenyang e indicate con la sigla CHAMPS, sono città, alcune sconosciute, dell’entroterra vasto e sconfinato della Cina. Assistiamo alla costruzione di un mondo di città globali, dove gli scambi finanziari, di merci e di risorse materiali e immateriali innervano una nuova 2 Su questo si veda: Giorgio Piccinato, Un mondo di Città, Edizioni comunità, Torino, 2002 Foreign Policy, Sept-Oct 2010, Contents, pp.120 4 CHAMPS. China’s fastest-growing cities. A report from the Economist Intelligence Unit’s Access China service, 2010, pp. 3 4 geografia politica e spingono alla crescita vertiginosa città che solo pochi anni fa erano villaggi o semplicemente non esistevano. Ma registriamo anche l’evidenza di forti e accentuati squilibri sociali e politici con la concentrazione di ricchezza, di risorse tecnologiche e di opportunità in un numero circoscritto di città/metropoli (o di porzioni di queste) e la crescita di slums anche di milioni di abitanti, dove si affolla ormai una popolazione di due, forse tre, miliardi di persone. Le città occidentali, ed europee in particolare, dove è stato pensato e costruito il vecchio mondo, hanno il compito di comprendere queste trasformazioni[1]. E anche l’Italia, forse più delle altre città europee ha il compito, anche per storia e cultura, di pensare a politiche per dare forma a una urbanizzazione senza espansione fisica. Qui c’è un primo spazio di innovazione per le politiche urbane e non si tratta di declinarle solo entro al tema, pur giustissimo, del limite al consumo di suolo, o alle diatribe su come valorizzare le aree dismesse. Le città della vecchia Europa avendo sostanzialmente esaurito la fase di espansione fisica hanno oggi nelle forme dell’urbanizzazione, la leva principale su cui agire per collocarsi entro lo scenario globale senza perdere la loro specificità e peculiarità, potremmo dire, senza perdere la loro storia e il loro insegnamento. Si può leggere anche in tal senso il ritorno, crescente, di interesse per l’abitare. Assumere cioè il mondo di “cose” depositato nella città esistente, da quelle quotidiane degli abitanti, a quelle che si intrecciano con i flussi e gli attraversamenti dei nomadi urbani, come punto di partenza per costruire l’ ”in comune”. Parigi, Londra, Berlino, ma anche Amburgo, Lione, la conurbazione olandese della Randstad, ma anche Ivanovo in Russia, Riga capitale della Lettonia e poi ancora Madrid, Barcellona, Siviglia, Belgrado e molte altre sono le città, alcune da anni altri da meno tempo, impegnate nel ridefinire la loro posizione nel nuovo scenario del mondo di città e nell’individuare i modi con cui tessere i rapporti con la nuova configurazione dei flussi, non solo, o non più, delle merci ma della finanza, della conoscenza e dell’innovazione. In molti paesi le politiche urbane sono considerate di preminente interesse nazionale e non si tratta della declinazione della sfida competitiva, ormai obsoleta, quanto di comprendere nel profondo la natura di come collegare lo spazio urbano ai processi di crescita economica e nello stesso tempo lavorare per la coesione sociale rinnovando le tradizionali forme di welfare europeo. E’ qui, dentro la città costruita e da ristrutturare, che prende corpo la mutazione principale che attraversa le città europee e che ne sta rinnovando la condizione attraverso i processi di rigenerazione urbana che negli ultimi anni si sono incrementati di molto per numero e per rilevanza. Scrive Bruno La Tour in Politica della natura5: “La notte è caduta, la processione terminata, la città costruita, il collettivo abitato: l’ecologia politica possiede finalmente le sue istituzioni”. Da qui dobbiamo ripartire per ragionare della città. Di una città terza, che nasce dall’esplorazione di ciò che abbiamo costruito (consumato), dall’esplorazione di mondi comuni, dal confronto con le pluralità dei mondi abitati. Una città 5 Bruno Latour, Politiche della natura, Raffaello Cortina editore, 2000, p. 203 5 che si può governare a partire dall’assunzione del senso del limite come luogo nel quale incontrare l’altro. Per questo motivo ciò che ci importa d’ora in avanti è: chi siamo capaci di includere? e chi escludere? 4. La politica e la città condividono la medesima radice etimologica, polis, a sottolineare lo stretto rapporto tra il discorso politico e quello sulla città. Un discorso che intrecciandosi con i valori, gli ideali, i conflitti e le scelte, e con la ricerca di un ordine spaziale e sociale sempre da re-inventare, ha dato vita alla città: la forma più complessa ed evoluta che l’uomo ha saputo costruire per poter vivere insieme. L’impressione che si ha è che la politica, cancellando dai suoi discorsi il “luogo” dove essa si costruisce, abbia progressivamente cambiato natura, perso il senso del suo essere e smarrito i modi del suo farsi, una inversione di questa deriva è possibile se la politica ritrova il suo luogo: la città. 6