Opening the Past 2014 Immersive Archaeology

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Opening the Past 2014 Immersive Archaeology
MapPapers 1-IV, 2014, pp.1-44
doi:10.4456/MAPPA.2014.01
Opening the Past 2014
Immersive Archaeology
Pisa 23/05/2014
Opening the Past means to tell the Past to the scientific community, but especially to the community of citizens to whom the archaeologists and more generally the operators of the Cultural Heritage should speak
to .Tell in an engaging and immersive way means to capture the attention of the citizens towards their past,
to make them aware of the Cultural Heritage and to educate to protect it . Storytelling must necessarily
be at the center of what we call public archeology . Archeology, although it is a humanistic discipline , has
abdicated to the storytelling and failed to form adequate expertise in this field. Nowadays, it is increasingly
necessary that the archaeologists tell the archeology, using new and old media, social networks, virtual
reality, and seeking new way such as those related to open data, maker culture ,gamification , and sharing
to produce a story more and more immersive.
Keywords: storytelling, archaeology, history, open data, sharing
La storia nascosta nei
dati
Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia
Abstract:
You need to think about the archaeological data as a
common good (like the water!). To transform the data
in a common good, in addition to open them (essential
condition), it is also necessary that they are accessible
to all. The archaeological data, as many of the raw data
of other scientific disciplines, are cryptic words whose
meaning is known only by a restricted community. Now,
if an archaeologist does not need someone to explain
him the story behind the Harris matrix because its expertise and background allow him to see what is written
beyond numbers and links, for a “non-archaeologist”
those same data are inaccessible and unusable. So it
seems that a narrative passage is essential. In this way,
the publication of open archaeological data, as well as
being an important contribution to the archaeological
community, could be a source of inspiration for different
professions in the field of tourism, education , business,
etc.
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Dialogo semiserio tra Io e Te.
Io: Partiamo dal dato. Cos’è? Come posso spiegare
che avere a disposizione dati aperti consente di raccontare storie più grandi, più varie, più ampie e consente a più narratori di intervenire sulla stessa storia?
……
Arriviamo allo storytelling. Perché sembra di moda,
ma fa così paura? Ogni storia per essere tale dovrebbe poter essere raccontata e ogni archeologo dovrebbe saperlo fare.
…..
Gli strumenti (infografica, visualizzazione spaziale dei
dati, ricostruzioni virtuali) si possono applicare anche
ai dati chiusi, ai dati proprietari. Cosa cambia se abbiamo i dati aperti?
Te: Cambiano due fattori: la scala e gli attori. Il fattore di scala è un fattore non secondario: pensa se
avessimo solo i dati delle provenienze ceramiche,
potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei
commerci) testimoniati dal nostro scavo, se avessimo a disposizione i dati di un intero sito potremmo
raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che si svolgevano in quel sito in una determinata
epoca, se avessimo i dati di una regione potremmo
raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che si svolgevano in quella regione, se avessimo i
dati di una nazione o addirittura del bacino del mePag. 1
diterraneo potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che coinvolgevano un’area
vastissima. Va da sé che nessun ricercatore potrebbe
essere da solo il produttore e il proprietario di tutti
questi dati, ma se fossero aperti, cioè proprietà comune di tutti i ricercatori, allora sarebbe possibile
raccontare una storia vastissima.
Io: Questa storia però interesserebbe solo altri ricercatori!
Te: Non è vero, perché questa storia può essere raccontata a diversi livelli, sempre a partire dagli stessi
dati, potrebbe essere raccontata per gli scienziati e
per i bambini.
Io: Prima parlavi di attori cosa intendevi?
Te: Intendevo i narratori. Se i dati sono a disposizioni di tutti non avremo mai un unico racconto, ma
avremmo dei racconti differenti, ognuno può fare il
suo, vedere la storia da una prospettiva diversa, inaspettata, originale.
Io: Ma la storia è un po’ una noia!
Te: Che vuoi dire?
Io: Non si possono raccontare anche delle cose più
attuali?
Te: E perché no! Ad esempio Pompei ora metterà
open data tutte le gare per gli appalti del Grande
Progetto Pompei, allora sì che si potranno raccontare delle storie attuali…oppure il progetto MAPPA ha
messo come open data i risultati di un suo sondaggio
sugli open data in archeologia… Vedi ci sono tante e
diverse possibilità, è questo il bello di avere molti dati
liberati, ognuno può cercarci dentro la storia che più
gli interessa!
Io: ????
Te: Sono troppo autoreferenziale? La CIA (non le spie
– la Confederazione Italiana Archeologi) ha promesso
di mettere come dati aperti i dati del suo sondaggio
sul lavoro degli archeologi in Italia, confrontando i
due sondaggi si potrebbero raccontare delle storie
diverse, o più parti di uno stesso racconto, più punti
di vista, quello di genere ad esempio.
Io: Genere?
Te: Sì, raccontare la stessa storia dal punto di vista
delle archeologhe e degli archeologi…
Io: …due storie del tutto diverse quindi…
Te:…già!
Io: Ok, posso anche essere d’accordo, ma poi finisce
sempre che gli archeologi quando ti raccontano una
storia danno per scontato che tu sappia già un sacco
di cose! Usano parole incomprensibili: Unità Stratigrafiche, Fasi (de che’? lunari?), reperti… Insomma, le
persone non capiscono poi molto di quella storia!
Te: Hai ragione! Il problema degli archeologi è che, in
quanto “umanisti”, sono convinti che il loro linguaggio sia già chiaro ai più, ma in realtà non è così. Però
vedi questa è (solo) una questione di linguaggio e di
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comunicazione, una questione di narrazione. Ci sono
dei professionisti della narrazione che partendo dai
dati riescono efficacemente a comunicare; pensa al
regista di un film, a uno scrittore, a chi realizza game,
libri ludici e didattici, a chi fa della museologia veramente efficace… Se gli archeologi condividessero liberamente i loro dati, loro stessi e molti altri professionisti della comunicazione, potrebbero intravedere
tante storie, forse con destinatari diversi, forse con
messaggi diversi.
Io: Non sono convinto. Continuo a pensare che il linguaggio archeologico sia una grossa barriera…
Te: Dai fai uno sforzo, pensa alle favole. C’era una volta, Once upon a time… è l’incipit che ognuno di noi
conosce, il più familiare, quello che immediatamente
ci attrae perché presagisce un’avventura, personaggi
intriganti, luoghi affascinanti. C’era una volta è l’inizio
di un racconto che quasi mai si rivela noioso, anzi, il
più delle volte è talmente bello che non ci si stanca di
riascoltarlo, arrivando a farlo nostro, a riconoscerne i
protagonisti, ad amarli od odiarli, sentendoli familiari, apprendendone il messaggio che trasmette. Forse
è dalle favole che gli archeologi dovrebbero ripartire
per imparare a narrare, in modo efficace, il loro sapere; da quella struttura narrativa, che colloca al posto
giusto ogni elemento all’interno della trama – personaggi, eventi, ambientazioni –tanto da mantenere
sempre viva l’attenzione, così come da un linguaggio
che possa essere compreso da tutti, a partire dai
bambini, che si dovrebbe cominciare a divulgare l’archeologia.
Io: Si, ma non cadere nel generalista, mica tutti apprezzano le favole…diciamocelo, sono per bambini!
Te: attento, sto parlando di linguaggio, di comunicazione. Ogni comunicazione può attivare livelli diversi
di comprensione, di curiosità… Banalizzando potremmo dire che in una storia ci sono tre cose: la trama,
le parole, i dettagli. Sono proprio in questi ultimi che
l’archeologo spesso si incaglia. Nella visione “prettamente scientifica”, tutto è importante; nella divulgazione archeologica – prendiamo ad esempio i risultati
di uno scavo - ogni particolare è legato a un altro e a
un altro ancora in maniera inscindibile; si ha sempre
la sensazione di non poter tralasciare nulla, di dover
raccontare ogni dettaglio ponendo tutto sullo stesso piano, fosse anche solo per il fatto che un dato
non spiegato possa essere maggiormente attaccato.
I dettagli, se non sono essenziali possono sviare, spostare continuamente l’attenzione di chi ascolta e far
perdere il filo del racconto. Riuscire a raccontare ripulendo il racconto di tutto ciò che non è necessario
(e con questo non si intende scarnificare fino a lasciare solo l’indispensabile), vuol dire avere ben chiara
l’informazione che si vuole dare; aver già vagliato tutti i se e i ma e tutti i “probabilmente” e gli “ipotizzati”
tanto cari agli archeologi (che lasciano sempre aperta
una possibile via di fuga) quanto confusionari per chi
li ascolta (e qui ti dò ragione). Solo dalla sintesi nasce la trama e su quella trama si possono scegliere
i protagonisti e i fatti salienti, su quella trama si può
scegliere la modalità di narrazione.
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Io: Mmm…credi veramente che gli archeologi abbiamo la formazione giusta per fare tutto questo?
Te: Beh se stiamo a guardare, gli archeologi sono dei
“letterati” e dovrebbero saper raccontare una storia.
Ma comunque non è detto che un buon archeologo
sia necessariamente anche un buon narratore. In
molti casi però è convinto di esserlo! E’ abituato per
formazione – e per non formazione – a fare un po’ di
tutto; negli anni ha dovuto lottare ( e lo sta ancora
facendo) per affrancare la sua professione e le sue
competenze che non gli sono state riconosciute e
così si è trovato a fare anche mestieri diversi.
Io: Quindi ho ragione io…Dai l’archeologo non è capace!
Te: Ok, faccio un discorso che è un po’ idealista, ma
solo un po’. L’archeologo è uno che “dovrebbe” saper fare gioco di squadra, il suo lavoro glielo richiede
quotidianamente perché quotidianamente ha bisogno di confrontarci con specialisti di varie discipline a
lui complementari e, sempre quotidianamente, deve
rapportarsi con soggetti di settori diversi ( architetti,
ingegneri, amministratori…). Insomma chi fa l’archeologo dovrebbe sapere – e capire – qual è il confine
delle proprie competenze anche quando si parla di
raccontare. Esistono professionisti della comunicazione e della narrazione, lo sai bene, il cui mestiere
è raccontare efficacemente storie che nascono in
ambiti diversi, ma per farlo hanno bisogno di buoni
consulenti che con chiarezza evidenzino concetti e
obbiettivi. Mettiamo nel conto che ci sia l’archeologo
anche esperto di storytelling, fa da solo. Ma mettiamo anche nel conto che in molti non sono altrettanto capaci, ma possono essere degli ottimi mediatori,
traduttori di dati criptici in favore di chi sa trasformare il dato in una divulgazione dell’informazione attraverso varie forme narrative.
Io: Si in effetti sulla necessità di buoni consulenti
(come del resto avviene in tutti i campi) sono d’accordo con te. Ma comunque sia, tornando al discorso
dei dati che non sono sempre comprensibili, aperti o
no, non c’è differenza!
Te: Non è del tutto vero. Cambia ottica: devi pensare
ai dati archeologici come un bene comune (tipo l’acqua…!). Per far sì che i dati siano realmente un bene
comune, oltre a “tirarli fuori” (condizione essenziale),
è necessario anche che siano effettivamente accessibili a tutti. Un dato archeologico, come molti dei dati
grezzi delle diverse discipline, è un linguaggio criptico, una parola il cui significato è noto solo ad una
comunità ristretta (quella scientifica appunto). Per
garantire una piena fruizione e consentire che i dati
possano essere motori culturali e di sviluppo, è indispensabile che vi sia una traduzione. Facciamo un
esempio. La pubblicazione aperta dei dati dello scavo
di un determinato sito, oltre ad essere un contributo
importante per la comunità archeologica, potrebbe
essere fonte d’ispirazione per professionalità diverse che in quei dati intravedono possibilità applicative
nel campo del turismo, della formazione, del business, ecc… Creare un app, un game, un brand… sono
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possibilità economiche, culturali, di sviluppo… sono
possibilità comunicative. Ora, se l’archeologo non ha
bisogno che qualcuno gli illustri la storia che sta dietro ad un diagramma stratigrafico perché le sue competenze e il suo background gli permettono di vedere ciò che è scritto aldilà di numeri e collegamenti,
per un “non-archeologo” quegli stessi dati risultano
inaccessibili, inutilizzabili in qualunque nuova forma
di comunicazione. Sembra quindi che un passaggio
narrativo sia essenziale.
Io:???
Te: Vedi alla fine tutto ruota sul ruolo che ricopre effettivamente la comunicazione nel settore archeologico. Se un ingegnere progetta un reattore e non lo
racconta a nessuno (o lo racconta, ma nessuno capisce), il reattore funzione lo stesso. Se un archeologo
fa una ricerca e non la comunica bene, l’efficacia del
suo lavoro è compromessa. La divulgazione – intesa
proprio come diffusione di un sapere attraverso una
modalità narrativa - non è un di più, ma una parte
sostanziale del lavoro dell’archeologo.
Io: però bisognerebbe pensare ad un nuovo paradigma….
Te: un paradigma che non si fondi più sull’archeologia come scoperta, sui beni culturali come oggetti,
ma che faccia sua appieno la lezione degli anni ’70,
un nuovo paradigma fondato sul racconto, su una
narrazione collettiva, su una narrazione stratigrafica, fatta da tutti gli attori dell’archeologia, archeologi
professionisti, universitari, ministeriali e semplici cittadini…
Io: allora ci vorrebbe qualcosa che nasca dal basso
in modo aperto, qualcosa che possa essere di tutti e
per tutti…
Te: già proprio così. Ti propongo questo: realizzare
una carta archeologica d’Italia completamente open
data!
Io: Forse ti sfugge che di dati archeologici aperti ce ne
sono veramente pochi; in tanti parlano, ma alla fine
quanti open data archeologici abbiamo realmente?
Te: No, cambia ancora ottica. Rendiamo accessibile
ciò che già è aperto, perché sotto gli occhi di tutti
(pensa a WikiLovesMonuments e EAGLE con le epigrafi): le aree archeologiche, i monumenti, i castelli,
i ruderi…attraverso la partecipazione di tutti, archeologi e non, andando in giro in campagna o in città,
durante una passeggiata in un bosco, in vacanza…
basta una foto, una geolocalizzazione, un’app che
renda facile l’inserimento di alcune informazioni e…
potremmo creare un grande repository con un’interfaccia semplice, un grande racconto collettivo.
Io: e la qualità del dato chi la assicura?
Te: la comunità tutta che partecipa, e gli archeologi
in primis…
Io: Ok, mi hai convinto…
Te: Allora si fa!
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Raccontare storie,
raccontare Storia.
La divulgazione del
patrimonio nel solco
delle tecniche narrative
Augusto Palombini
CNR – Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali
Abstract:
After the digital revolution, which allowed scholars to
manage and communicate high quantity and quality
of data as never before, the representation of the past
has become a fundamental aspect of the archaeologist’s
work. Archaeology can no more be a simple description
of specific and isolated informations, and must become
also narration, linking together those fragments through connections and relations, maybe arbitrary but not
false, as in the fitting example of a restored pot, where
the connecting paste (not original) is necessary to make
understandable the isolated fragments, unable to communicate a readable message as single elements.
The problems arising with the need of representing uncertain elements enlivened a debate at least twice in the
past: about restoration techniques and about historical
novel writing, so that many observations contained in
essays on historical novel are still well fitting on the discussion around storytelling in the digital era. Such a situation makes relevant, for the scholars, the knowledge
of narrative theory and techniques. Creating arbitrary
narrative links among elements is as important as not
creating false ones, whereas false is “contradictory with
historical facts as we know them”, as arbitrary is “not
contradictory even if unproved (and probably unprovable)”.
The storytelling skills may become an opportunity for
creating new professionals and job positions, as well
as enhancing Cultural Heritage audience, thanks to the
enormous emotional power of every narration.
La più significativa trasformazione che la rivoluzione digitale ha operato nella disciplina dello studio
del passato è stata la possibilità di acquisire, gestire,
elaborare e trasmettere enormi quantità di informazioni. In ciò è implicita un’accresciuta facilità di rappresentazione della realtà antica in tutta la sua complessità.
Questo aspetto solleva problematiche non del tutto risolte, ad esempio quella legata alla necessità di
rappresentare scenari nella loro interezza, comprendendo quindi anche gli aspetti su cui non abbiamo
certezze o addirittura non sappiamo nulla. Una tale
trasformazione comporta un mutamento di approccio epistemologico della disciplina: l’archeologia non
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può più essere semplicemente descrizione di informazioni specifiche e puntiformi, ma deve anche farsi
narrazione, collegando fra loro quelle stesse informazioni attraverso nessi talvolta arbitrari ma non per
questo falsi.
L’esempio più calzante è probabilmente quello del
restauro di un vaso, nel quale parti non originali (la
pasta che aggrega i frammenti) sono necessarie per
rendere intellegibili le parti originali in un insieme
coerente e comunicativamente funzionale, laddove i
cocci sconnessi non trasmetterebbero altrimenti un
messaggio immediatamente riconoscibile.
Il medesimo fenomeno può essere assunto come
valore paradigmatico della necessità di un approccio
narrativo: ciò che è incerto aiuta a creare nessi fra
gli elementi certi e quindi a creare storie, a descrivere vicende che ci rendono più vicini e comprensibili i
comportamenti di tempi che non abbiamo vissuto.
Il dibattito che può scaturire da queste considerazioni – sull’opportunità o meno di divulgare attraverso
simili strumenti – è certamente articolato ma spesso
fondato su un equivoco semantico che confonde i
concetti di “narrazione” come oggetto e come tecnica (Narrazione vs. narrAzione). Il primo caso (quello
generalmente temuto dagli studiosi) richiama l’idea
di una composizione di fantasia che si sostituisce alla
realtà storica, mentre la narrazione come tecnica è
evidentemente un mero strumento comunicativo,
che può veicolare qualunque contenuto formulato –
con più o meno correttezza – da chi ne padroneggia
l’utilizzo.
In ogni caso, tale dibattito non è affatto nuovo. Simili
discussioni si sono accese in tutti i momenti storici
in cui la necessità di comunicare il passato in modo
vivido ha forzato i limiti delle poche e frammentarie
certezze che abbiamo su di esso, e ciò è avvenuto almeno in due circostanze: a proposito delle tecniche
di restauro e a proposito del romanzo storico.
Non sorprende quindi che in un’opera come il trattato “Sul romanzo storico” di Alessandro Manzoni,
del 1830, si ritrovino molte osservazioni perfettamente attuali e applicabili alle moderne tecniche di
comunicazione, a proposito della divulgazione storico-archeologica (non a caso, il titolo originale è “Del
romanzo e, in genere, de’ componimenti misti di storia
e d’invenzione”:possiamo a buon titolo considerare
le odierne tecniche multimediali dei componimenti
misti): come l’osservazione (anticipata sopra) che ciò
che è incerto è necessario per connettere informazioni certe ma frammentarie, e che la trasmissione
delle informazioni sul passato fra generazioni, nella
storia dell’umanità, è avvenuta per una parte assolutamente preponderante attraverso forme narrative
(res gestae, canzoni popolari, racconti e leggende) rispetto alla storiografia propriamente detta.
Questi aspetti ci richiamano alla necessità di una comunicazione storica e archeologica che tenga conto
delle esigenze di un pubblico vasto e sappia costruire
una comunicazione ad esso adatta e da esso fruibile,
senza per questo perdere i crismi della correttezza.
Un’esigenza che sarà sempre più sentita nel momento in cui l’esiguità crescente dei finanziamenti alla
ricerca comporta la necessità di un chiaro valore soPag. 3
ciale (e quindi di una fruibilità diffusa) dei risultati che
essa persegue.
E’ quindi importante che gli operatori degli studi sul
passato riconoscano il rilievo di una formazione sulle tecniche specifiche che riguardano il narrare, e ciò
almeno per due ragioni, la prima connessa alla possibilità di nuove professionalità e prospettive occupazionali che possono derivarne, la seconda perché
siano gli archeologi a prendere l’iniziativa nei contesti
di divulgazione, anziché lasciarli in altre mani probabilmente meno scrupolose in termini di approccio
metodologico.
Padroneggiare una tecnica significa tuttavia affrontarla con l’atteggiamento di un qualunque campo
di studio, cioè come disciplina di ricerca, quale lo
storytelling indubbiamente è. Peraltro, lo studio delle
strutture narrative conosce negli ultimi decenni uno
sviluppo significativo che porta a una continua innovazione delle forme, visti anche i campi molteplici
delle sue applicazioni, dalla narrazione multimediale
legata alla fiction (letteraria, cinematografica, televisiva, con le specificità di ciascuno di questi mezzi), alle
più recenti strategie pubblicitarie o promozionali in
senso lato (come il corporate storytelling) esplose in
particolare con l’avvento dei social network. Il fattore
dell’interattività infatti, con la possibilità degli utenti
di non essere semplici fruitori passivi ma di condizionare lo sviluppo narrativo, ha dato vita a ulteriori
forme di innovazione.
Ciò che si può quindi indicare in questa sede è semplicemente uno spunto di partenza che permetta di
mappare l’articolazione delle fonti bibliografiche in
questo campo.
I filoni di studio sulla narrativa, per quanto riguarda
l’uso multimediale che può farne l’archeologo o lo
storico, si possono schematizzare in 3 grandi direzioni:
- Quella più classica, degli studi narratologici, che parte idealmente dalla Poetica di Aristotele (Poetica, VII)
e arriva ai giorni nostri passando per la scuola strutturalista e in particolare per le trattazioni novecentesche sul romanzo storico (fra gli altri: Propp 1928,
Bachtin 1973).
- Quella cinematografica, e in particolare la scuola
hollywoodiana, a tutt’oggi la più feconda di riflessioni
e innovazioni sulle strutture narrative (McKee 1997,
Truby 2007).
- Il filone più recente e specifico sul mondo digitale,
quello del ‘Digital storytelling’ germogliato al MIT alla
fine degli anni ‘90 (Murray 1998, Handler Miller 2008).
Ciascuno di essi può dare un significativo apporto alla strutturazione di iniziative divulgative, con
la consapevolezza che l’importanza di saper creare
elementi arbitrari, in questo tipo di comunicazione,
è oggi pari a quella di evitare elementi falsi, laddove
per falso si intende: in contraddizione con le conoscenze storiche in nostro possesso’ e per arbitrario:
coerente con esse, anche se indimostrato (e generalmente indimostrabile).
Il valore di questo approccio è più evidente allorché
– seguendo la classificazione delle narrazioni storiche proposta da Eco (1980) – si costruiscano forme
narrative impostate non su personaggi storicamente
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celebri ma su individui anonimi, attraverso i quali è
decisamente più efficace trasmettere informazioni
e suggestioni sulla vita quotidiana, sulla cultura materiale, sull’organizzazione sociale delle società del
passato.
La padronanza di questi strumenti, oltre che aprire la strada a nuove prospettive professionali, può
dare un impulso oggi largamente sottovalutato alla
fruizione del nostro Patrimonio storico, come dimostrato dai flussi di visita in numerosi esempi italiani
ed europei (Antinucci 2006, Palombini 2012), attraverso
la capacità di coinvolgimento emotivo insita in ogni
storia basata su fatti reali, in quanto metafora dell’eterno dramma umano (Murray 1998).
Bibliografia
Antinucci F. 2006, Musei virtuali, Laterza.
Aristotele, Poetica (http://www.filosofico.net/poeticaristotele.htm)
Bachtin M.M. 1973, Questions of Literature and Aesthetics, Moscow
Eco U. 1983, Postille al Nome della Rosa, in: Alfabeta
49.
Handler Miller C. 2008, Digital storytelling, II ed. Focal
Press, Oxford
Manzoni A. 1830, Del romanzo e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione (http://www.classicitaliani.it/manzoni/prosa/manzoni_romanzo_storico_01.htm ; http://www.classicitaliani.it/manzoni/
prosa/manzoni_romanzo_storico_02.htm )
McKee R.1997, Story, Harper Collins. (tr. it. Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per
l’arte di scrivere storie, Omero Editore, 2010)
Murray J. 1998, Hamlet on the Holodeck, MIT Press, Boston
Palombini A. 2012, Narrazione e virtualità: possibili prospettive per la comunicazione museale, In: DIGITALIA,
vol. 1.
Propp V. 1928, Morphology of the Folktale, Leningrad
(tr.it. Morfologia della fiaba, Einaudi 1990)
Truby J. 2007, Anatomy of a story. Faber and Faber, London (tr.it. Anatomia di una storia, Dino Audino Editore,
2009)
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Archeologi(a) e video:
una questione di storie
Francesco Ripanti
Abstract
Archaeology, video and storytelling are words that
should go together in the world of heritage communication. Usually you don’t see archaeologists with a camera
in their hands just only because they don’t know that
videos can tell stories of archaeology in a very involving
way. Video storytelling is part of “Digital Narrative” and
“Visual Narrative” and archaeology is closely linked with
these because it’s a inexhaustible container of stories.
In this paper you find different examples of video
storytelling made by archaeologists. Docudrama is the
genre more experienced in the Roman site of Vignale:
archaeologists perform as actors, reenacting in a likely
way an ancient event in front of the camera. Recording a
story, they tell what has happened during the fieldwork
in a narrative way. Other examples of video storytelling
are some dialogues through archaeologists and the stories of professional archaeologists. Sit down and see
some archeovideos!
Stories love archaeology: video e “Visual Narrative” in archeologia
Nell’immaginario collettivo della nostra professione
certamente non risiede la scena dell’archeologo che
utilizza una videocamera. L’uso di questo strumento
è infatti relegato ai margini sia nell’ambito del lavoro
sul campo che in quello della comunicazione.
Raccontare l’archeologia con i video non è una pratica molto comune, soprattutto tra gli stessi archeologi. Se i filmati non sono da tutti ritenuti indispensabili
per la documentazione dello scavo, dovrebbero esserlo invece nella comunicazione della ricerca.
Infatti, mettendo insieme immagine e suoni e costituendo allo stesso tempo un linguaggio in sé con un
flusso di informazioni che ha una dimensione temporale, rispetto ad altri media il video ci restituisce
la più semplice espressione di un processo in forma
narrativa, una peculiarità specifica che ben si adatta
a quelle che sono le potenzialità dell’archeologia nel
raccontare le sue storie.
Oltre che nel “digital storytelling”/“digital narrative”,
il “video storytelling” rientra nella “visual narrative”,
termine più generico che definisce la narrazione
di una storia attraverso un “visual media”. Con “visual” infatti si intende qualcosa che può essere visto
dall’occhio umano; con “storia” una serie di eventi legati da causalità, temporalità, sequenza o ordine di
accadimento; con “narrative”, l’azione di raccontare
una storia, la storia stessa o l’ordine di presentazione
(Pimenta , Poovaiah 2010: 30).
L’archeologia risponde a tutte queste tre istanze: si
presta ad essere visualizzata attraverso uno scherMapPapers -17
mo perché ritrae luoghi concreti e lontani dalla quotidianità, riuscendo così ad esercitare attrazione; ha
un bagaglio inesauribile di storie; queste storie non
aspettano altro che essere raccontate.
Le storie dell’archeologia provengono per la maggiorparte dalla terra, frutto dello scavo, e dallo studio
dei contesti e dei siti, ma non solo. Ad esempio, sono
storie di archeologia anche quelle che riguardano i
suoi protagonisti, gli archeologi, e tutte le persone
che hanno a che fare con l’archeologia, come i bambini. Vediamo come possono essere messe in scena.
Dalla terra a YouTube: storie dallo scavo
“The site contains many potential stories, but every
one is a product of the archaeological imagination
that pulls together historical and archaeological facts
into an interpretation that is more than the sum of
the parts of which it is made and more than its excavator can document in the usual way.”
(“Why every archaeologist should tell stories once in a
while”, Adrian Praetzellis)
Sul sito di Vignale (LI), dal 2004 oggetto di scavo
dell’Università di Siena in collaborazione con il MIBACT e il Comune di Piombino - Quartiere Riotorto
(Giorgi, Z anini c.s.), si è cercato di raccontare via video
i temi di ricerca e il lavoro degli archeologi sul sito.
Dal 2008 in poi, con la realizzazione di diversi generi
di filmati, si sono sperimentati alcuni dei ruoli che un
archeologo può avere in una comunicazione autoprodotta della propria ricerca. Il sito, fattoria nel III e
nel II secolo a.C., villa nel I secolo a.C. e mansio dal I
secolo a.C. al V secolo d.C., per la pluralità di temi di
ricerca si è rivelato fonte di nuove storie ogni anno,
storie di cui gli archeologi hanno curato la messa in
scena, con le risorse e i tempi (ridotti) della singola
campagna di scavo.
Il genere che ha permesso di sviluppare al meglio le
storie dello scavo è stato quello del docudrama. Questo si definisce come “genere cinematografico che
cerca di fondere documentario e cinema di finzione,
attraverso la ricostruzione più realistica e circostanziata possibile di eventi realmente accaduti. Si distingue dal cinema di ricostruzione storica per l’attenzione specifica a eventi legati ancora all’attualità, per
l’ambientazione nei luoghi reali della storia e perché,
quando possibile, utilizza come attori gli stessi protagonisti dell’evento della vita reale.” (C anova 2009: 326)
A Vignale si è fatto proprio questo: sono state proposte delle storie a partire da quello che veniva scavato
nel sito. Tutte le scene sono state girate negli immediati paraggi dell’area di scavo, vale a dire nell’area
in cui in modo verosimile potrebbero aver avuto realmente luogo. Gli studenti di archeologia, nelle scene girate sullo scavo, hanno messo in scena a tutti
gli effetti la propria professione, chi come attori, chi
come comparse.
In generale queste rappresentazioni con attori che
inscenano un determinato episodio, definite anche
dramatic performances (Piccini 2007: 227), sono fondamentali per accreditarsi la fiducia degli spettatori:
infatti, attraverso di esse, il pubblico ha l’impressione
Pag. 5
di star percependo qualcosa d’attuale, perciò il gioco
di credibilità funziona molto meglio rispetto a documentari strutturati tramite interviste ad esperti.
Soffermandosi brevemente sulle storie raccontate,
si nota subito come esse prendano spunto dal main
theme della campagna di scavo.
Nel 2008 l’idea del docudrama è partita dalla volontà
di descrivere alcuni aspetti del cantiere archeologico moderno. Questo obiettivo prende corpo con “Il
Vignale Ritrovato” (http://youtu.be/YrTi42kaIS4), una
storia che vede il direttore degli scavi del 1831 trasportato in sogno sullo scavo attuale. Dialogando
con gli studenti, che interpretano se stessi egli scoprirà quali siano le differenze principali e le innovazioni
dello scavo attuale rispetto a quello dei suoi tempi. A
partire dall’obiettivo principale del filmato, la trama
permette quindi di venire a conoscenza anche di un
tema fondamentale della ricerca a Vignale, ovvero
gli scavi del 1831. La difficoltà nell’identificare l’area
degli scavi ottocenteschi, in un paradossale gioco al
contrario, viene invece facilitata al direttore del 1831
(Fig. 1) con la consegna di un’accurata pianta del sito.
Nel 2009 in “Passaggi a Vignale” (http://youtu.be/
HPVVJInnNZM), il tema centrale è la caratteristica di
Vignale di essere un luogo di passaggio. Questa viene
raccontata attraverso due scene, una introduttiva e
l’altra conclusiva, ambientate ai giorni nostri e altre
due centrali ambientate in età romana e nell’Ottocento. In questo caso sono stati messi in scena diversi personaggi realmente esistiti: nella sequenza
romana, lo schiavo Menophilos, il cui nome ci è testimoniato da una firma graffita su una parete di anfora
Dressel 2/4, Marcus Fulvius Antiocus, il gestore della
fornace di mattoni ritrovata sul sito, attestato dai bolli, e Marcus Fulvius, l’ex-padrone di Antiocus e proprietario della fornace (Fig. 2), che ci è testimoniato
da un’altra serie di bolli con il nome di suoi schiavi e
uno che lo identifica come officinator. Per la scena ottocentesca, la fonte principale è stata una tesi in cui
veniva descritta la storia della fattoria nell’età moderna e l’organizzazione della sua produzione agricola; i
personaggi (che portano nomi attestati nello studio
per i contadini dell’epoca), riportando considerazioni
e dati presi dalla tesi, rendono un buon effetto d’insieme e quindi la scena stessa verosimile (Z anini, Ripanti 2012: 15-17).
Nel
2010
in
“Mansio”
(http://youtu.be/
GhGwQqAk72w) si è sviluppato il tema della funzione
di stazione di posta del sito di Vignale attraverso una
favola raccontata da una mamma ai suoi bambini.
Ambientato intorno al 480 d.C., all’interno di una cornice ottocentesca, la storia narra delle avventure di
due personaggi fittizi, un avventuriero e il suo servo.
Questi, arrivando alla mansio, scoprono che è stata
distrutta e, dialogando con il praepositus e sua moglie, riescono a capire come poteva funzionare una
stazione di posta come quella di Vignale. Se i protagonisti questa volta sono inventati, le notizie riportate sull’organizzazione della mansio sono invece state
rielaborate da una tesi incentrata sul tema.
Il docudrama del 2011, “Morte a Vignale” (http://youtu.be/i7fa5uBQRGI), non racconta un tema specifico
dello scavo a Vignale, così come era avvenuto negli
MapPapers - 17
anni precedenti, ma la campagna di scavo in corso.
L’intento è stato quello di mostrare come lavorano
gli archeologi per capire quello che stanno scavando: sono inquadrati mentre usano trowel e piccone,
mentre scrivono, mentre parlano tra loro su ciò che
hanno appena portato alla luce, e per la prima volta
sono stati utilizzati anche alcuni appunti video che
fanno parte della documentazione di scavo. La trama vede un continuo alternarsi di scene ambientate
sullo scavo durante la campagna e altre nella zona
della stazione di sosta nel V secolo d.C. (Fig. 3) con l’obiettivo di creare un collegamento tra quello che si è
trovato sullo scavo e una sua possibile ricostruzione.
L’alternanza delle scene ha proprio l’obiettivo di far
notare il passaggio dalla scavo all’interpretazione e al
racconto di una storia che non potremo mai provare
ma che è senza dubbio verosimile. In questo senso i
dialoghi nei titoli di coda sono intesi sia come parte
integrante del processo conoscitivo (la storia raccontata è solo una delle ipotesi, quella che al momento
ci sembrava la più verosimile ma ce ne sono altre) sia
come parte della storia (ma qui non c’era una sceneggiatura, sono improvvisati perché è come uno dei
tanti dialoghi che si fanno mentre si scava, solo che in
questo caso la telecamera era in funzione).
Anche nel 2012, con “Strada maestra” (http://youtu.
be/sP2JC7_V-dA), si racconta la campagna in corso,
con lo scavo dell’area del diverticolo che doveva portare alla via Aurelia. Nei tre brevi episodi si racconta
in forma narrativa l’idea che gli archeologi si sono
fatti della storia di questo diverticolo, cercando di
evidenziare come nelle varie epoche la strada fosse
percepita in maniera diversa.
Lo Storytelling a scuola: mettere in scena la
propria storia
Realizzare un docudrama, anche di livello amatoriale, comporta una serie di passaggi obbligati: dalla
scelta allo studio del soggetto, dalla premessa drammaturgica (la storia racchiusa in una sola frase) alla
definizione dei personaggi fino alla redazione di una
sceneggiatura. In ultimo l’organizzazione del set, con
costumi, oggetti di scena e via dicendo.
Nel 2011, la produzione del docudrama “Raccontando
la cisterna romana” (http://youtu.be/sBQSkVE2yVs)
insieme alle classi quinte della scuola primaria “Alighieri” di Falconara Marittima (AN), ha avuto l’obiettivo di coinvolgere i bambini nella realizzazione del filmato e soprattutto, attraverso esso, di conoscere in
modo divertente la cisterna romana della loro città.
Questo è stato possibile proprio per il lungo tempo
impiegato ad organizzare il video, durante il quale si
sono susseguiti incontri a scuola e visite alla cisterna.
In questo caso fare “video storytelling” ha significato
dare la possibilità ai bambini di mettere in scena una
storia che li ha visti protagonisti non solo come attori
(Fig. 4) ma anche nel dare nuova attenzione e nuovo
valore a questa antica cisterna, che la maggiorparte
di loro non conosceva.
Ecco quindi che il medium video si caratterizza come
un processo di manipolazione e traduzione, di mediazione ed interazione, ma anche come una moPag. 6
Fig. 1: Snapshot da “Il Vignale ritrovato”
Fig.2: Snapshot da “Passaggi a Vignale”
MapPapers - 17
Pag. 7
Fig.3: Snapshot da “Morte a Vignale”
dalità di partecipazione. Oggi che porzioni sempre
maggiori della società e della cultura stanno affermandosi come soggetti primi della digitalizzazione di
dati e informazioni, diventando essi stessi forme di
mediazione, pensare i media come una modalità di
partecipazione contribuisce a favorire la partecipazione attiva (Shanks 2007: 281).
Un video-racconto dello scavo tra entertainment ed edutainment
Parlare al pubblico di ciò che si sta scavando, se non
viene fatto con una certa perizia, può diventare facilmente una lunga e inconcludente sequela di parola
che, nella migliore delle ipotesi, le persone si dimenticano una volta arrivate a casa.
Con questa considerazione in mente, è nato “Last
days of fieldwork in room 14” (http://youtu.be/XoiBiE6KiE): il titolo in inglese è dovuto al fatto di essere stato presentato al TAG 2012 alla sessione
“Archaeology and the media - Entertainment or edutainment?”.
In questo video vengono raccontati i lavori di scavo
negli ultimi giorni della campagna 2012 nell’ambiente 14. All’interno del filmato, oltre all’archeologa che
racconta allo schermo che cosa si è scavato, sono
stati inseriti una serie di media diversi, dalle voci degli studenti al time-lapse, da disegni ad appunti video
fino a frammenti di diari di scavo. Questi hanno lo
scopo di rendere il racconto più coinvolgente e, allo
stesso tempo, di far entrare lo spettatore dentro lo
scavo: frasi come “che ore sono?” o “tra poco c’è la
MapPapers - 17
pausa!” aiutano a far sentire gli archeologi più vicini
rispetto a come sono percepiti normalmente.
Da archeologo ad archeologo: il dialogo per le
storie
Un altro modo di raccontare sperimentato a Vignale
è stato quello dei dialoghi, sempre all’interno di una
cornice narrativa. Il ricorso al dialogo è funzionale a
tre specifiche istanze: spiegare al pubblico concetti
più approfonditi e complicati; raccontare il dietro le
quinte; mettere in scena un dibattito su un argomento specifico.
In “Lo scavo e la sua storia” del 2011 (http://youtu.
be/sP2JC7_V-dA), il protagonista è uno studente di
archeologia che è in procinto di andare a scavare a
Vignale. Prima dell’inizio della campagna di scavo si
reca a Siena, dove incontra il professore che dirige
lo scavo e i suoi collaboratori (Fig. 5). L’utilizzo del
dialogo permette di gestire in maniera dinamica la
spiegazione del sito e delle sue fasi e di approfondire
usando comunque un linguaggio colloquiale. Non è
un video per il grande pubblico ma è stato pensato
per gli studenti universitari che vengono realmente a
scavare a Vignale.
“Dialoghi itineranti”, registrato nell’ottobre scorso a
Vignale e prossimo all’uscita, racconta l’ultima campagna di scavo attraverso monologhi e dialoghi degli
archeologi. Il video ha l’obiettivo di raccontare i “dietro le quinte” dello scavo: da quelli di “Let’s Dig Again”,
primo esperimento di racconto dell’archeologia via
web-radio, a quelli dei singoli archeologi che si interrogano sul lavoro che stanno facendo e, al termine
Pag. 8
Fig. 4: Snapshot da “Raccontando la cisterna romana”
delle operazioni, su quello che è stato fatto. Dialogando con altri (o con sé stessi) c’è perciò anche la
possibilità di raccontare in modo intimo ciò che non
si può vedere, ovvero quello che pensa l’archeologo
mentre lavora e come organizza alcune sue attività.
“Cannoni e farfalle” (http://youtu.be/PLz1MtxYmgY)
è stato prodotto a partire da un dialogo di Giuliano De Felice pubblicato sul blog “Passato e futuro”
(http://www.passatoefuturo.com/2012/10/cannonie-farfalle.html). Anche nella versione ridotta che ha
partecipato e vinto il Videocontest di “Opening the
Past 2013”, è possibile apprezzare uno degli aspetti
più interessanti dell’uso del dialogo: arrivare a sviluppare nuova conoscenza a partire da un dibattito
(con opinioni divergenti o meno) su uno specifico
argomento. Non è un aspetto strettamente legato al
“video storytelling” ma in modo indiretto ne fa capire
le potenzialità.
Voci di archeologi: storie di una professione
Le storie da raccontare attraverso i video non sono
solamente quelle di antichi siti, di scavi in corso o interessanti scoperte.
Storie di archeologia sono anche quelle dei suoi professionisti, ad oggi ancora in attesa di veder concluso l’iter legislativo per il loro riconoscimento. Il video
“500 no: per la buona occupazione nei beni culturali”
(http://youtu.be/TLs2lc8tXsI) è stato girato per l’Associazione Nazionale Archeologi lo scorso 11 gennaio
a Roma, in occasione della manifestazione dei professionisti dei beni culturali contro il bando “500 gioMapPapers - 17
vani per la cultura”. Storie di vita vissuta, aneddoti e
progetti per il futuro che racchiudono le motivazioni
dei 500 no. Il filmato non è quindi un servizio giornalistico sulla manifestazione ma è nato con l’obiettivo
specifico di far parlare i protagonisti, sentire dalle loro
voci cosa significa essere archeologi oggi, a partire da
neolaureati fino ai ricercatori.
Archaeologists love stories (?): la narrazione al
servizio della conoscenza
“The best archaeologists are invariably the most skillful storytellers” (The Archaeologist as Storyteller, Peter
Young)
Se nessun dubbio persiste sull’affinità tra video, storie e archeologia, occorre capire che rapporto dovrebbe avere l’archeologo con le sue storie. Nella
maggiorparte dei casi, fino ad oggi l’archeologo ha
pensato alle storie solo come un utile strumento di
presentazione della sua ricerca, soprattutto ad un
pubblico di bambini.
Per portare gli archeologi a dedicarsi di più alla comunicazione tramite (video) storie, forse occorre
convincersi che queste abbiano una loro utilità anche
nell’interpretazione dello scavo. Infatti possiamo fare
il percorso inverso e pensare che le storie rappresentino il culmine di quello che si è imparato e capito
(Joyce 2002, 123-124). Riuscire a raccontare una storia
sulle tracce archeologiche che sono state scavate è il
segno del successo del lavoro compiuto. Una cornice e una forma narrativa non solo non pregiudicano
la trasmissione dei contenuti al livello di approfondimento necessario per qualsiasi tipo di pubblico a
Pag. 9
Bibliografia
Fig.5: Snapshot da “Lo scavo e una sua storia”
cui vogliamo rivolgerci ma, secondo studiosi dei sistemi cognitivi (su tutti Bruner 1991), aiutano anche
ad arrivare alla costruzione della realtà. Un video che
racconta una ricerca in forma narrativa non rimane
solo un modo per comunicare all’esterno ma riflettendo su ciò che si è scavato con l’intento di definire
una storia, porta ad approcciarsi ai problemi in maniera differente, a mettere a fuoco altri particolari, a
porsi nuove domande. Anche inconsapevolmente,
l’archeologo è portato a creare una storia, a usare la
narrazione per dare a ciò che ha scavato un’ambientazione spazio-temporale. E allora forse all’archeologo raccontare le storie piace davvero e non gli resta
altro che rimboccarsi le maniche e metterle in scena.
MapPapers - 17
Bruner J., 1991, The Narrative Construction of Reality, in
«Critical Inquiry», 18, p. 5.
C anova G. 2009, Enciclopedia del cinema, Milano.
Clack T., Brittain M. 2007, Archaeology and the Media,
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Costa S., Ripanti F. 2013, Excava(c)tion in Vignale - Archaeology on the stage, archaeology on the Web, in «AP
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(http://www.arqueologiapublica.es/descargas/1382781334.pdf)
Giorgi E., Z anini E. in corso di stampa, Dieci anni di ricerche archeologiche sulla mansio romana e tardoromana di Vignale: valutazioni, questioni aperte, prospettive, in «Rassegna di Archaeologia», 24B.
Joyce R.A. 2002, The languages of archaeology: dialogue, narrative, and writing, Malden - Oxford.
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Pimenta S., Poovaiah R. 2010, On Defining Visual Narratives, in «Design Thoughts», 3, pp. 25-46. (http://www.
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Praetzellis A. 1998, Why every archaeologist should tell
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Shanks M. 2007, Politics of Archaeological Leadership, in
«Archaeology and the Media», pp. 273-289.
Ypung P.A. 2003, The Archaeologist as Storyteller, in
«The SAA Archaeological Record», 3, pp. 7-10. (http://
www.saa.org/Portals/0/SAA/Publications/thesaaarchrec/jan03.pdf)
Z anini E., Ripanti F. 2012, Pubblicare uno scavo all’epoca di YouTube: comunicazione archeologica, narratività e video, in «Archeologia e Calcolatori», 23, p. 7-30.
(http://soi.cnr.it/archcalc/indice/PDF23/01_Zanini_Ripanti.pdf)
Pag. 10
Da archeoblogger a
museumblogger: fare
esperienza per creare
una professionalità
Marina Lo Blundo
Abstract:
In this paper I talk about my experience as archaeoblogger and museumblogger: what I learned from this work
and what I want to develop in the future. Archaeoblog
and museumblog are two different ways to blogging, because the archaeoblogger talks about his experience, his
ideas, his work; the museumblogger gives his voice to a
museum, so the museum communicates to the public
through him. But, even if archaeoblogger and museumblogger are different, they have got the same aim: the
cultural communication. It’s important to create a network between others cultural bloggers, museums and
people through a correct use of social media.
Blogger, archeoblogger, museumblogger
Non ci si può inventare museumblogger. Ci vuole
esperienza, maturata in anni di blogging e di blogging nella propria area di competenza – in questo
caso, archeologia o settore del patrimonio culturale
– e conoscenza del mondo del web 2.0, della sua storia, delle sue dinamiche, dei suoi comportamenti. Se
si vuole diventare museumblogger, e prima ancora
un archeoblogger consapevole, bisogna studiare, costruirsi un’esperienza, osservare la rete e gli altri blog
attinenti il nostro ambito.
Scrivo su blog, non solo di archeologia, dal 2006. Può
sembrare dispersivo avere più blog dedicati a svariati
argomenti, eppure proprio il fatto di scrivere di temi
totalmente differenti, dedicati ad un pubblico di volta
in volta diverso e con problematiche di linguaggio e
di visibilità specifiche caso per caso, mi ha permesso
di comprendere dinamiche che, se avessi un singolo
blog di settore, probabilmente non avrei colto.
Il mio blog personale di archeologia, Generazione
di Archeologi, esiste fin dal 2008. Nato per caso, si
è rivelato una palestra eccezionale per comprendere
come e cosa scrivere. È stato un luogo di sperimentazione, dove di volta in volta recensivo convegni, incontri, mostre, sparavo a zero sulla fantarcheologia
e su svariati scandali di archeologia, approfondivo
temi di comunicazione archeologica, argomento di
cui mi stavo occupando nell’ambito di un progetto
unico all’epoca: “Comunicare l’archeologia” nato da
un’idea di Matteo Sicios del Gruppo Ricerche di Genova, del quale gestivo il blog. Proprio l’esperienza
di Comunicare l’Archeologia è stata fondamentale. Il
blog in sé era una vetrina delle ricerche che stavamo
conducendo all’epoca in materia di comunicazione
su vari media, non solo internet, era il luogo deposiMapPapers -17
tario delle nostre riflessioni sul tema, era il primo ad
affrontare l’argomento “comunicazione” a proposito
dell’archeologia.
Parallelamente a Comunicare l’archeologia1 cresceva
uno specifico interesse per i blog di archeologia in genere. Ho così cominciato a studiare le dinamiche dei
blog di archeologia, i contenuti, i linguaggi, gli autori2. La visibilità su Google è un fattore fondamentale,
ma ciò che conta è soprattutto l’autorevolezza, che si
costruisce sia producendo contenuti di qualità che,
soprattutto, dichiarando l’autore. Costui dev’essere
sempre espresso, in modo da poter avere un’autorità
che possa rassicurare il pubblico nel mare magnum
della rete. Anche un nickname va bene, purché ad
esso corrisponda un profilo curato che faccia capire
che l’autore è degno di fede. I lettori vanno innanzitutto saputi conquistare, e poi mantenuti. Questo
lo si fa attraverso i propri contenuti e il proprio linguaggio, studiando il proprio pubblico o avendo ben
chiaro quale fetta di pubblico si vuole conquistare.
Ogni blog ha il pubblico che si merita e che si costruisce, pertanto i suoi contenuti dovranno seguire un
determinato stile.
Un blogger, e in generale chi vuole lavorare sul web,
deve tenersi costantemente aggiornato su ciò che accade in rete e, al di fuori di essa, su ciò che ha riflesso
nel web3. Esiste una sitografia piuttosto ampia che
spazia su temi molteplici, dalla scrittura per il web
ai modi per promuovere la propria attività sui social
network, ai dibattiti sulla figura del blogger e sull’utilità del blogging, ai consigli sul corretto uso dei social
media, ai riflessi dell’attualità sul web. È importante
che un blogger, anche se di settore come l’archeoblogger, sappia cosa succede intorno a sé. Conoscere
la rete e le sue potenzialità è fondamentale.
Non tutti gli archeoblogger sono uguali. Ciascuno ha
le sue competenze, i suoi interessi, le sue motivazioni. Ognuno dà al proprio blog il taglio che preferisce,
perciò risulta difficile proporre delle classificazioni,
che risulterebbero quanto mai inutili. A grandi linee
si possono distinguere blog di opinione, di informazione, di divulgazione e di ricerca. Queste categorie
non vanno intese come compartimenti stagni, ma al
contrario è molto facile che un blog che si occupa di
informazione pubblichi anche post di divulgazione,
1. Il blog Comunicare l’Archeologia, che viveva su piattaforma Megablog, è andato perduto nel 2011 con la
cancellazione della piattaforma Megablog. Alcuni post
sono confluiti in “Generazione di Archeologi”, ma la gran
parte dei contenuti non è più stata pubblicata altrove.
2. Questa ricerca è sfociata in un intervento su “Archeologia e blogosfera” al III Seminario di Archeologia Virtuale,
Roma 20.06.2012 (gli atti del Seminario sono disponibili su
https://www.academia.edu/2974634/Archeologia_Virtuale_
comunicare_in_digitale), e in un articolo su Archeomatica:
“Archeologia e blogosfera. L’attività dei blog di archeologia in Italia” (Marzo 2013).
3. Cito solo pochissimi nomi noti per l’Italia: Riccardo Esposito di My social web (http://www.mysocialweb.it/), Vincenzo Cosenza di Vincos.it; Stefano Epifani e Mariangela Vaglio
di Techeconomy (http://www.techeconomy.it/), Francesco
Russo di InTime (http://www.franzrusso.it/) e Nicola Carmignani di Uno spreco di bit (http://www.nicolacarmignani.
it/).
Pag. 11
Fig.1: Screenshot del blog di Archeotoscana
così come chi si occupa principalmente di opinione
possa anche fare informazione.
L’archeoblogger, se vuole diventare un professionista di cui il “mercato”, inteso come mercato culturale
online, ha bisogno, deve uscire dal suo piccolo bozzo,
guardarsi intorno, rendersi conto di cosa c’è bisogno,
cosa manca, e proporlo, facendo rete con gli altri archeoblogger.
Il principale scopo di ogni blogger che non voglia
scrivere per se stesso è ampliare il pubblico. Perché
un conto è avere un blog personale per puro diletto
e passatempo (buona parte dei blogger inizia così),
ma tutt’altro conto è voler diventare archeoblogger
professionista, e scrivere per un pubblico. Un pubblico che non possono essere i 25 lettori dei Promessi
Sposi di Manzoni, ma che vogliamo costituiscano una
community, e soprattutto una community in costante crescita. Per far questo bisogna fare rete, e non tra
pochi intimi, ma coinvolgendo, ampliando il raggio
delle conoscenze. Non esistono solo blog di archeologia, ma anche blog culturali di più ampio respiro,
o blog di musei, che sono in crescita e in aumento.
Ogni blogger ha le sue specificità e il suo stile, i suoi
interessi e il suo pubblico di riferimento. Ma nella diversità di ciascuno, l’obiettivo di tutti deve, o dovrebbe, essere lo stesso: fornire una buona ed efficace
comunicazione culturale.
Nel frattempo, mentre mi formavo come blogger di
archeologia e giungevo alle conclusioni di cui ho brevemente espresso sopra, la mia vita “reale” cambiava, ed io entravo a lavorare in un museo. Proprio col
mio lavoro ho cominciato a capire che i musei hanno
qualcosa da raccontare. Anzi, è proprio la mission di
un museo quella di raccontare e comunicare i suoi
contenuti, le sue mille storie, al pubblico. Anche, ormai sempre di più, attraverso il web. In più, ha una
MapPapers - 17
voce molto più autorevole di quella che posso avere
io come persona singola. Allora, provare a far parlare
un museo attraverso la mia voce ha cominciato ad
essere un’idea intrigante, da sviluppare. Serviva solo
l’occasione.
Nel 2012 nasceva il blog del Museo Archeologico Nazionale di Venezia4. Nel 2013, un anno fa di questi
tempi, nasceva ArcheoToscana, il blog della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana5. Il
primo nasce dal desiderio della sua direttrice di dare
più visibilità al Museo. Il secondo nasce da una mia
proposta, forte dell’esperienza di Venezia, che trova
buona accoglienza presso il Soprintendente, il quale
addirittura trasforma il progetto di un blog di museo,
inizialmente limitato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, nel blog di tutta la Soprintendenza. Ai
blog si sommano i social network: facebook e twitter
per Venezia, anche Pinterest per Archeotoscana.
Nei miei anni di blogging, dapprima come blogger
generica, poi come archeoblogger, infine come museumblogger, mi sono formata, ho sperimentato, mi
sono documentata, sono cresciuta, mi sono specializzata in un settore della comunicazione approfondendone le dinamiche. Non ho seguito corsi universitari
perché non ne esistevano e non ne esistono, sono
in qualche modo un’autodidatta, così come autodidatti sono tutti gli archeoblogger che conosco. Ma,
se posso azzardare un’opinione, nessuno studia per
diventare blogger, ma da blogger ciascuno dovrebbe
studiare per sviluppare meglio il proprio lavoro. Nella
mia attività di museumblogger, che si può dire essere
il punto di arrivo del mio percorso, le altre due anime,
dell’archeoblogger e della blogger generica, convivono e sono altrettanto importanti. Ognuna di esse è
4. http://museoarcheologicovenezia.wordpress.com/
5. http://archeotoscana.wordpress.com/
Pag. 12
Fig. 2: Social media per la cultura (fonte: Generazione di Archeologi)
necessaria, perché ognuna scaturisce dall’esperienza
di quella precedente e non avrebbe forza né efficacia
senza quella precedente.
Progettualità di un blog (museale)
In un blog niente è lasciato al caso, è necessaria l’impostazione di una linea editoriale fin da subito. Se
questo è vero per tutti i tipi di blog, nella scelta delle
categorie e degli argomenti, nonché nello stile proprio di chi scrive, a maggior ragione ciò deve valere
per i blog di musei, innanzitutto perché a meno che
non siamo noi il direttore del museo, non dobbiamo
esprimere la nostra opinione personale, ma prestiamo la nostra voce ad un organo ufficiale o istituzionale di comunicazione. Il blog del museo deve contenere alcune informazioni essenziali, come i contatti,
una presentazione istituzionale, un luogo di incontro
e di compenetrazione con il sito web del museo o
dell’ente all’interno del quale il museo è regolato. Il
resto dei contenuti, quale indirizzo dare ai testi che si
forniranno, il target di pubblico, sono tutte cose che
vanno chiarite a priori. Quello che non deve fare un
blog museale, però, è diventare una galleria di coMapPapers - 17
municati stampa: i comunicati stampa sono prodotti
dall’ufficio stampa del museo per essere pubblicati
altrove, sui media di informazione tradizionali e online, mentre sul blog dovrebbe trovarsi lo spazio per
approfondire questi temi. Il blog dovrebbe essere il
posto in cui l’utente di internet che ha letto il comunicato su una qualunque agenzia di stampa, trova un
approfondimento ad esso. Se si vuole dare l’annuncio di una mostra, non si pubblicherà semplicemente
il mero comunicato stampa, ma si darà un’informazione più ampia, più circostanziata, più ricca di informazioni: siamo blogger e siamo archeologi, dunque
siamo preparati, o abbiamo modo di procurarci informazioni più dettagliate, e siamo creativi, quindi
possiamo trovare una chiave di lettura originale per
la notizia.
Certo, essere blogger museali tarpa le ali della libertà
di pensiero: da museumblogger non posso parlare di
un’opera esposta nel museo di cui scrivo e dire che
secondo me è esposta male. Questo posso eventualmente farlo, in quanto archeoblogger, dal mio blog
personale, ma non in un’ottica di critica fine a se stessa, quanto piuttosto per stimolare un dibattito. La
Pag. 13
chiave sta nel tipo di pubblico al quale di volta in volta
mi rivolgo: il pubblico cui è indirizzato il blog del museo dev’essere invogliato ad entrare e a visitarlo, ma
non per una mera questione di numero di visitatori o
perché il visitatore è inteso come “consumatore culturale” (definizione orribile che però in molti usano),
ma perché è lo scopo del museo far sì che il visitatore si senta a casa sua tra le sale, e che sia messo in
condizioni di entrare in museo e di raccapezzarcisi.
Il pubblico del blog museale è il pubblico dei potenziali visitatori, degli appassionati di archeologia, della
gente che vuole conoscere il museo e le sue attività,
e che cerca nel blog uno strumento di arricchimento
culturale personale. Per questo, a mio parere, in un
blog museale non può mancare una o più categorie
o pagine dedicate alla divulgazione pura, con post
sui singoli reperti, o sulle collezioni, o simili: perché il
blog con i suoi post possa aiutare un futuro visitatore
a preparare la sua visita.
Il blogger museale non deve essere un mero esecutore, ma dev’essere regista del blog per cui scrive.
Siamo ancora in una fase in cui il direttore di museo,
o d’istituto, pensa che avere un blog per la propria
struttura sia solo un modo in più per far circolare le
informazioni. Ma attenzione! Il blog non è solo il luogo dove fare informazione, ma è anche e soprattutto
il luogo dove far nascere un rapporto, dove avviare
un’interazione. Per questo vanno privilegiati testi che
raccontino non solo le attività, ma anche le collezioni,
che vadano oltre il semplice fare informazione.
Un aspetto che piace tanto al pubblico, ad esempio,
è il backstage, ciò che avviene a museo chiuso o nel
dietro le quinte, ma anche il resoconto di eventi cui
non ha potuto partecipare. Allora è il museo che si
racconta, che racconta ai suoi lettori cosa succede
al di qua delle sue porte, che tiene aggiornato il suo
pubblico su quanto avviene, sui materiali che vanno
in prestito, su quelli che rientrano, su cosa bolle in
pentola. Potenzialmente tutti i testi si prestano allo
storytelling, basta trovare la chiave da cui far scaturire il racconto. In questo la creatività del blogger è
fondamentale: conoscendo l’argomento a fondo,
può trovare infiniti modi per raccontarlo, può trovare
un tema di fondo, può inventare un incipit accattivante, può, e questo è un dono che mi piacerebbe
tanto possedere, avere uno stile talmente curato da
trasformare ogni post in un capolavoro capace di suscitare anche emozioni. Perché anche se il blog museale è un organo ufficiale di comunicazione, tuttavia
consente una maggiore libertà di linguaggio rispetto
al sito web, che è ancora più ufficiale. La creatività del
blogger si esprime allora nello stile, nella creazione
di contenuti di qualità in cui ad una buona penna si
associa la corretta informazione archeologica.
Da non sottovalutare, poi, l’uso delle immagini. Foto,
vignette, grafici, screenshot e altro, sono utili sia
perché sono un ulteriore fattore di indicizzazione
(sempre di più da quando c’è Pinterest), sia perché
snelliscono la pagina rendendo più scorrevole la lettura. I rimandi interni poi, i link, sono fondamentali, e
andrebbero aggiornati ogni volta, per consentire una
lettura sempre più approfondita.
Accanto alla homepage il blog può arricchirsi di paMapPapers - 17
gine di contenuti fissi che completano l’offerta divulgativa 2.0 del museo. Archeotoscana per esempio ha
un’area download in costante aggiornamento, nella
quale di volta in volta vengono caricate schede e altro materiale didattico utile a preparare una visita
nei musei toscani, ed ha una sezione, in via di implementazione, dedicata ai bambini. Accanto a queste,
ha una pagina per ogni luogo dell’archeologia statale
toscana, completa di scheda tecnica del museo/sito
in questione e che funge da archivio per tutti i post
dedicati a quel museo/sito.
Non di solo blog vive l’archeoblogger (e il museumblogger)
Oggi il blog da solo non si regge più, ha bisogno dei
social network per far sentire la propria voce. Senza il
passaggio sui social rischia invece di rimanere un’entità a se stante, tagliata fuori dalle conversazioni, dai
dibattiti, in una parola dalla rete. Tutto deve essere
messo in rete, e il blogger deve essere un vero social
media strategist. La professionalità del blogger, archeoblogger o museumblogger che sia, deve andare
ben oltre la pagina di Wordpress. Oggi un blog per
vivere e per avere visibilità ha necessariamente bisogno di uno o più megafoni. Attenzione però, che
lo scopo non è il blog, ma la totalità della comunicazione che si realizza. Se nel caso dell’archeoblogger lo scopo in effetti può essere la visibilità del blog,
anche se io non sono d’accordo con questa visione,
nel caso del museumblogger lo scopo non è il blog,
ma tutto il sistema di comunicazione del museo attraverso la rete. I social network, che si tratti di facebook o di twitter, non devono solo pubblicare link
al blog. Lo possono fare, ma non dev’essere l’attività
preponderante. Allo stesso tempo i social network
non sono soltanto luoghi in cui pubblicare brevi notizie sulle attività del museo: sono i luoghi in cui si
stringono i rapporti, in cui si crea la rete. E come lo
si fa? Innanzitutto conoscendo le caratteristiche di
ciascuno dei social media che si intende attivare. Se
l’archeoblogger può, anzi deve, permettersi il lusso di
sperimentare i vari social network per capirne le caratteristiche, i linguaggi, per verificare quali contenuti
si adattano meglio, il museumblogger deve già aver
acquisito queste competenze. Anche nella scelta e
nell’utilizzo dei social network adeguati ci vuole una
progettualità. E l’uso di un social network in modo
sbagliato, o peggio ancora, abortito, da parte del museo è un biglietto da visita molto negativo.
Se si guardano i social media si scopre che ognuno
ha le sue caratteristiche, i suoi iscritti, e quindi si presta a determinati tipi di contenuti. Facebook è perfetto per le foto e per gli album fotografici, l’avviso e
il racconto – fotografico o video - di eventi. Twitter è
il luogo dell’informazione veloce, 140 caratteri in cui
dev’essere espresso con chiarezza il messaggio che
si intende diffondere. È anche il posto dov’è più facile fare rete, soprattutto tra musei, e dove meglio si
sviluppa la creatività. Facebook al contrario consente una maggiore partecipazione del pubblico a livello di organizzazione di eventi. Pinterest consente di
creare gallerie di immagini che possono fungere sia
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da visita virtuale della collezione del museo, che da
approfondimento di determinati temi che, ancora da
galleria di eventi; con Instagram si può decidere di
creare un diario per immagini della vita del museo.
Perché però abbia senso il lavoro di museumblogger
occorre che il blog del museo e tutto il suo apparato
social non rimangano elementi fini a se stessi racchiusi e isolati nel web. Perché questo lavoro abbia
un’utilità è importante che non ci sia scollamento tra
il museo reale e il museo in rete, ci sia collaborazione
e coordinamento nelle attività: attività che possono
anche nascere online e trovare compimento nelle
sale del museo reale6. La mia attività come museumblogger ora sta virando in questa direzione, ovvero a
cercare di trovare soluzioni di compenetrazione tra il
museo reale e il museo “social”, cercando di realizzare una buona promozione e una buona comunicazione: perché il blog è un mezzo, non il fine; perché lo
scopo del mio lavoro non è il blog, ma il museo.
6. Un esempio è il Martedì “Like” di Palazzo Madama Torino:
iniziativa nata sulla pagina facebook del museo, consiste
nel chiedere ai visitatori di farsi una foto con la manina del
like di facebook; le foto vengono poi pubblicate sulla pagina
del museo. Per quanto riguarda il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, per ora il museo ha aderito alla Giornata
Nazionale delle Famiglie al Museo, promossa su internet,
ed ha appena organizzato un’Invasione Digitale, evento che
nasce e si sviluppa proprio sui social network.
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Natural Data Fruition:
an Interactive Bridge
between Science and
Humanities
Niccolò Albertini, Daniele Licari, Andrea
Brogni, Vincenzo Barone
DreamsLab - Scuola Normale Superiore
Piazza dei cavalieri, 7 - Pisa, Italy
Abstract
Scientific data storage and manipulation are becoming
more and more important, as well as the way researchers interact with them. Fruition, of course, is not only
a visual act, especially when dealing with scientific data,
where the key point is letting the researcher understand
and manipulate the data, test hypotheses and look for
results. To this purpose, the interaction with the system
becomes very important. DreamsLab is a Research Center of the Scuola Normale Superiore in Pisa, and it is a
place where different research activities, in the fields of
computational chemistry, bio-medicine and cultural heritage, are merged with the most innovative technologies
for 3D visualizations and virtual reality applications.
In this paper, we describe the results of some fruitful collaborations within the cultural heritage area, where the
fruition of the scientific data is made effective by natural
interactions and immersive virtual environments.
Introduzione
Negli ultimi anni, la tecnologia si è sviluppata a velocità sempre maggiore, aumentando la sua diffusione non soltanto in aree più abituate all’innovazione,
ma anche nel nostro quotidiano. Dal punto di vista
della ricerca, si sono aperte nuove possibilità per la
gestione delle informazioni, aprendo a nuovi protocolli investigativi in differenti campi. La produzione
di sempre più complessi ed eterogenei dati scientifici ha reso necessario un ripensamento anche delle
strategie di fruizione e manipolazione del dato stesso, cercando di offrire al ricercatore nuovi strumenti
non solo per visualizzare i dati, ma anche per accelerare il processo di comprensione, elaborazione e di
attribuzione di significato ai dati osservati.
Un esempio di innovazione è la visualizzazione 3D,
che ha introdotto un nuovo elemento nel processo
di osservazione, permettendo al ricercatore di percepire i dati in una maniera più naturale. L’ipotesi
ricostruttiva di un sito archeologico o di un vaso, la
struttura di una molecola o semplicemente una rappresentazione in tre dimensioni di una grandezza
fisica sono esempi di come una rappresentazione tridimensionale e grafica possa aiutare nella comprensione del dato e nella comunicazione dello stesso al
pubblico.
MapPapers - 17
Chiaramente, la fruizione di un dato non è solo un
atto visivo, specialmente quando trattiamo dati
scientifici: il punto principale è sempre quello di permettere al ricercatore di capire e manipolare i dati,
testando ipotesi e cercando risultati significativi: a
questo scopo, il metodo di interazione diviene di fondamentale importanza. Negli ultimi anni, sono nati
molti sistemi di interfacciamento uomo computer
che, in modo efficiente, intuitivo e semplice, permettono un approccio verso i dati più naturale.
La Realtà Virtuale è il campo applicativo che più di
altri ha beneficiato di queste innovazioni, perché per
sua stessa natura già prevede una visualizzazione tridimensionale e più naturale di un semplice monitor.
Interazione naturale non significa “interagire come
fanno gli umani” o “imitare il mondo fisico”, ma significa progettare un tipo di interazione che sia invisibile
ed efficiente per l’utente, nello specifico compito sul
quale sta lavorando. Gesti e manipolazioni sono azioni che ogni giorno compiamo in modo spontaneo, e
sono anche la migliore soluzione per alcuni tipi di interazione: trascinare un immagine su uno schermo
touch, ruotare un oggetto 3D “afferrandolo” con le
mani o “muoversi in una ambiente virtuale”. L’esperienza e l’abilità quotidiana nel compiere il medesimo
gesto aiuterà sicuramente ad attuarlo in modo intuitivo ed efficiente anche in un ambiente virtuale.
Il Centro DreamsLab
Il Centro DreamsLab (Dedicated Research Environment for Advanced Modeling and Simulations)
della Scuola Normale Superiore, in Pisa, è guidato
dal Prof. Barone. Il centro ha due anime scientifiche,
quella della chimica teorica e computazionale e quella della Realtà Virtuale, che insieme lavorano nella
produzione e fruizione di contenuti scientifici e nella
collaborazioni con ricercatori umanistici. L’attività di
ricerca prevede lo sviluppo di sistemi general-purpose, che, nei differenti campi di ricerca, possano essere utilizzati con mezzi di registrazione, immagazzinamento dati, analisi, conservazione e visualizzazione
di dati dal contenuto più eterogeneo.
La natura del dei dati e la loro origine determinano
la struttura delle applicazioni di visualizzazione. Il
centro dispone di sistemi immersivi quali Oculus Rift,
una teca per ologrammi, tavoli touch, monitor 3D
ed un CAVE, una stanza di 3x3x3 m3, retroproiettata
sulla parete frontale, le due laterali ed il pavimento,
che, con l’uso di sensori ed occhialini speciali, permette un immersione totale nella ambiente virtuale
stereoscopico. Sistemi innovativi di motion capture
garantiscono interazioni di tipo naturali. All’interno
del gruppo vi sono competenze sia artistiche che tecniche, che coprono i vari aspetti di un applicazione di
RV interattiva, quali la grafica 3D, gestione database,
modellazione, definizione e progettazione di interfacce ed usabilità.
I database e le simulazioni computazionali vengono
sviluppate da un gruppo di High Performing Computing (HPC) del DreamsLab, gestendo un centro di calcolo all’avanguardia composto da 115 nodi computazionali.
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Realtà Virtuale e Beni Culturali
La ricostruzione virtuale 3D dell’Agora di Segesta
Realtà Virtuale (RV) e Beni Culturali (BC) sono due
mondi che spesso si sono trovati in contatto negli ultimi anni, creando progetti molto utili ed interessanti,
ma non sempre sfruttando al meglio i vantaggi di una
collaborazione così creativa. L’abitudine alle tecnologie più avanzate, quali smartphone, tablet o cinema
3D, ha sviluppato un utenza abituata a vedere e manipolare informazioni grafiche interattive nelle attività quotidiane, e quindi è stato naturale pensare ad
un passaggio non solo in musei e mostre, ma anche
tra chi la ricerca la pratica sul campo.
Il livello di collaborazione tra RV e BC è aumentato in
modo consistente, portando ad una completa e fruttuosa sinergia tra i due mondi. Le idee nascono da
questa forte collaborazione, ed il dialogo interdisciplinare permette ha permesso lo sviluppo di applicativi sempre più innovativi ed efficienti. Da un lato gli
esperti di BC mostrano i limiti delle attuali tecniche
di ricerca, delimitandone i limiti e le necessità per un
passo ulteriore, e dall’altro i ricercatori di RV possono
offrire soluzioni tecnologiche, che aiutano senza imporsi, e sono stimolati nello sviluppare nuove tecnologie effettivamente utili alle necessità richieste.
In quest’ottica, il centro DreamsLab si pone come
collettore di queste competenze, offrendo le più
avanzate soluzioni di visualizzazione e manipolazione di dati scientifici, non solo nella chimica e nella
bio-medicina, ma anche nel campo dei BC, sempre
in stretta collaborazione con la controparte umanistica. Di seguito, proponiamo una rivista di significative
collaborazioni del gruppo, che hanno portato a sistemi innovativi ed esemplificativi della forte sinergia in
atto con la componente umanistica.
Nell’ambito della collaborazione con il Laboratorio di
Scienze dell’Antichita’ (LSA) della Scuola Normale Superiore di Pisa e Università di Pisa, è stato sviluppato
un ambiente virtuale immersivo dedicato allo studio
delle ricostruzioni dell’Agorà di Segesta. L’applicazione sviluppata consente di immergersi all’interno
dell’Agorà apprezzandone i vari dettagli, in modo da
poterla ammirare così come si presentava in età Ellenistica. Il DreamsLab si è occupato inoltre della visualizzazione del modello e della sua fruizione sia su
monitor 3D che all’interno del CAVE.
Una volta ottenuto il modello dell’Agora si è provveduto a realizzare il contesto. Partendo da foto reali, si
è riusciti ad ottenere 6 immagini che rappresentano
il paesaggio circostante; queste immagini sono state
usate per creare la “skybox” all’interno dell’ambiente
virtuale. Un’ulteriore ricostruzione è stata fatta sul
territorio collinare circostante, popolato di alberi e
vegetazione; grazie all’impianto audio spazializzato
è stato possibile riprodurre i suoni naturali dell’ambiente circostante.
Ottenuti i dati della ricostruzione in maniera più fedele possibile si è passati all’importazione su Game
Engine Unity 3D, creando un ambiente virtuale che
si interfacciasse con strumenti molto diversi tra loro
e visibile su vari dispositivi, quali il CAVE, la teca per
ologrammi e Oculus Rift .
In particolare per il CAVE si sono sviluppate delle metafore di interazione più naturali possibile.
L’utente si muove all’interno del CAVE partendo dal
centro e camminando verso i lati; questo movimento è trasposto nell’ambiente virtuale grazie ad un
tracker ad ultrasuoni montato sugli occhialini 3D; in
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Pag. 17
questo modo si ha una naturale interazione con l’Agorà, in cui è possibile camminare come se si fosse
nell’età ellenistica. Con questo tipo di applicazione si
può letteralmente navigare nello spazio e nel tempo,
osservando l’Agorà in tutta la sua grandezza e attraverso le sue evoluzioni nel tempo.
All’interno di uuna teca olografica è stata sviluppata
un’applicazione di realtà aumentata dove sono stati
messi a confronto il modellino stampato in 3D dell’agorà e le informazioni virtuali, che comprendono sia
la ricostruzione 3D che l’acquisizione 3D fatta sul
luogo dello scavo. Oltre che fare un confronto si può
quindi interagire con i dati visualizzati, selezionando
quelli che interessano di più. La visualizzazione non
è quindi fine a se stessa, ma entra nel processo costruttivo e di verifica delle ipotesi scientifiche.
System to Integrate Art and Science: database
eterogeneo per Beni Culturali
Le attività di studio e di salvaguardia del patrimonio
culturale hanno una spiccata natura multidisciplinare ed interdisciplinare, nella quale confluiscono
costantemente competenze ed informazioni eterogenee provenienti sia da settori scientifici che umanistici. Purtroppo l’integrazione di dati eterogenei e
l’interazione tra le differenti unità che lavorano alla
manutenzione e prevenzione del patrimonio culturale non sono semplici e immediate.
In questo contesto e’ stato sviluppato un nuovo strumento informatico flessibile di consultazione, gestione delle scelte conservative, analisi scientifiche ed
interventi di restauro in grado di attuare meccanismi
per la gestione collaborativa e la condivisione della
conoscenza attraverso le più recenti tecnologie di realtà virtuale ed aumentata.
Il sistema, chiamato SIAS (System to Integrate Art
and Science), consente ricerche incrociate a più livelli sugli artisti, sulle opere, sui materiali, sulle scelte
conservative, sulle analisi scientifiche, sulle strutture
molecolari e sui pigmenti e permette una continua
immissione di nuovi dati da parte dei restauratori,
dei funzionari dei musei, storici, esperti e scienziati
che studiano una particolare opera od uno specifico
materiale.
La piattaforma SIAS presenta un’interfaccia di facile
accesso e comprensione per le varie categorie di utilizzatori, offrendo la possibilità d’interazione diretta
con le opere. Per semplificare lo studio e l’analisi di
dati scientifici, gli utenti di SIAS possono avvalersi di
strumenti grafici integrati che permettono la visualizzazione e manipolazione di dati spettroscopici e
strutture molecolari.
Il sistema consente di acquisire, visualizzare e manipolare modelli tridimensionali provenienti da scanner 3D o da software di modellazione. Grazie ad un
avanzato software per la realtà virtuale (RV), sviluppato dai ricercatori del centro, le informazioni virtuali
(modelli 3D) e reali (metadati e analisi su un’opera)
possono essere visualizzate contemporaneamente e
comparativamente in un ambiente virtuale interattivo.
MapPapers - 17
Sistemi interattivi per la tutela e la diagnostica
dei beni culturali
Lo sviluppo di sistemi avanzati dedicati alla gestione,
tutela e valorizzazione del Patrimonio Culturale è una
delle attività principali del centro. Si sviluppano, in
particolare, modelli di simulazione computazionale
per interpretare i dati sperimentali relativi a sistemi
chimici esistenti, predire proprietà di sistemi molecolari e progettare nuovi sistemi chimici con specifiche
proprietà chimico-fisiche. Tali sistemi sono estremamente funzionali alla progettazione razionale degli
interventi di restauro e di conservazione, nella caratterizzazione analitica e nell’interpretazione dei dati
strumentali (ad es. spettroscopici) relativi a materiali
complessi. La diagnostica del patrimonio culturale si
basa in buona parte su tecniche spettroscopiche.
In tale contesto è stato sviluppato un vero e proprio
laboratorio virtuale di spettroscopia, detto VMS (Virtual Multi-frequency Spectrometer), un sistema in
grado di fornire all’utente un ambiente completo per
l’analisi di differenti tipi di spettroscopie computazionali e sperimentali facilmente accessibili anche ai
non specialisti.
Nei Beni Culturali, VMS è utilizzato per lo studio dei
fattori ambientali responsabili dell’invecchiamento e
dei cambiamenti cromatici di antichi pigmenti, nella
pianificazione di interventi di restauro e nell’interpretazione dei dati sperimentali mediante confronto con
dati computazionali.
Caverna dell’Antimateria
DreamsLab ha partecipato al progetto CoPAC (Conservazione Preventiva dell’Arte Contemporanea),
dedicato all’acquisizione di una visione globale degli aspetti materici della pittura contemporanea per
quanto attiene sia la sua costituzione sia i fenomeni
di degrado che solitamente la interessano, allo scopo di sviluppare conoscenze e strategie utili alla sua
conservazione che risultino funzionali alla sua valorizzazione, con particolare attenzione alle realtà presenti in Toscana.
Fra le opere studiate nell’ambito di tale progetto, la
Caverna dell’Antimateria del pittore piemontese Pinot Gallizio (1902 - 1964) è stata selezionata per una
ricostruzione virtuale. La Caverna è un’installazioneambiente di grandi dimensioni composta da dieci
tele in tecnica mista. Esposta solo per brevi periodi,
non ha un’installazione fissa. La disposizione delle
tele e la percezione originale dell’opera sono ancora
oggetto di discussione.
L’applicazione virtuale per il CAVE consente di fruire
l’opera in maniera naturale e di valutare le ipotesi di
allestimento e percezione, stando completamente
immersi nella sua rappresentazione tridimensionale.
L’utente entra dotato di un tablet che gli permette di
cambiare dinamicamente la disposizione delle tele e
delle luci, il tipo di materiale e il colore delle luci.
L’interazione con l’ambiente virtuale avviene trasponendo fedelmente nello spazio simulato i movimenti
naturali del corpo associati all’azione del camminare.
Pag. 18
Ipotesi ricostruttive di manufatti e loro contestualizzazione
Nell’ambito di una collaborazione con l’Università
degli Studi di Firenze, sono state utilizzate innovative
tecnologie digitali per presentare per la prima volta
al pubblico una eccezionale collezione di ceramiche
argentate Etrusche sita nei magazzini del Museo
Archeologico Nazionale di Firenze. La collezione è
composta da reperti di straordinario valore, ma che,
a causa del precario stato di conservazione in cui versano a seguito dell’alluvione del 1966, non sono fruibili al pubblico e sui quali i tradizionali metodi di restauro non possono essere praticati senza incorrere
in operazioni di alto rischio per il manufatto stesso.
Sono state impiegate le nuove tecnologie virtuali per
ricostruire virtualmente sia la geometria dei manufatti che il rivestimento argentato, determinato dalle
analisi chimiche. Il restauro virtuale è stato eseguito
partendo da frammenti di ogni singolo reperto ed i
manufatti restaurati saranno presentati al pubblico
attraverso applicazioni di realtà virtuale.
Un’operazione simile è stata fatta per la ricostruzione e contestualizzazione storica di alcuni sigilli documentari di età Ellenistica, provenienti dal sito di HaMapPapers - 17
gia Triada. I sigilli, ricostruiti virtualmente, sono stati
collocati in un’ambiente virtuale storico totalmente
ricostruito, in modo da avere informazioni sui reperti
in un contesto attinente.
Tramite applicazioni interattive 3D che ricostruiscono il sito di Haghia Triada sotto diversi punti di vista
(ambiente interno ed esterno, sigilli documentari), è
possibile avere una panoramica completa della storia passata di questo scavo.
In primo luogo sono state fatte una serie di scansioni con laser scanner 3D dei sigilli documentari conservati in due musei italiani (Museo Archeologico di
Firenze, Museo Pigorini di Roma). Dopo la geometria
si è passati alla fase di acquisizione del colore, acquisendo immagini dei manufatti, poi allineate con la
geometria. Per la struttura delle stanze ci si è basati
direttamente sulle piantine di scavo mentre per soffitti, infissi, porte, e tutte le parti che non erano più
presenti si è fatto affidamento su reperti simili nel
resto dell’edificio. Attraverso il confronto fotografico
con le foto reali di scavo è stato possibile definire l’aspetto delle pareti e dei pavimenti.
Oltre alla struttura, abbiamo ricostruito gli oggetti
presenti all’interno delle stanze e la loro disposizione.
Alcuni elementi, come le tavolette di argilla, sono stati
Pag. 19
creati utilizzando foto di oggetti reali, per aumentare
l’accuratezza della ricostruzione. Inoltre, per arricchire la comprensione del contesto, abbiamo ricreato il
paesaggio che circonda l’esterno dell’edificio.
Una volta che i modelli 3D sono stati elaborati, si è
proceduto a costruire l’applicazione interattiva. L’esplorazione dell’edificio è dinamica: l’utente può
navigare attraverso le stanze ricostruite e può interagire con gli oggetti semplicemente avvicinandosi,
ottenendo informazioni aggiuntive ed immagini relative ai reperti reali.
MapPapers - 17
Tavolo virtuale di lavoro
La collaborazione con il Museo Nazionale di San Matteo di Pisa riguarda lo sviluppo di vari tipi di applicazioni interattive dedicate all’analisi delle opere e
al supporto alle attività di restauro. L’applicazione
dedicata al supporto, la cui interfaccia grafica sarà
progettata appositamente per essere impiegata su
schermi multi-touch di grandi dimensioni, consentirà
al restauratore di analizzare e confrontare fotografie relative alle differenti fasi di restauro di un’opera d’arte. In particolare, il restauratore potrà maniPag. 20
polare in maniera naturale un insieme di fotografie,
affiancarle con precisione e sovrapporle in trasparenza. Avanzate modalità di manipolazione consentiranno inoltre di allineare con precisione i vari contenuti, bloccare la cornice esterna dell’opera in modo
da poterne ingrandire liberamente il contenuto, sul
quale potranno essere facilmente aggiunte annotazioni grafiche e testuali.
Sia le opere che le relative annotazioni verranno memorizzate in una apposita base di dati, in modo da
mantenere uno storico dell’attività di restauro e da
poter reperire e modificare tali dati anche da altre
applicazioni, correlando dati di natura diversa.
L’impiego di uno schermo multi-touch di grandi dimensioni e di una innovativa interfaccia grafica appositamente progettata, consentiranno a più utenti
di interagire contemporaneamente con il sistema, in
maniera naturale ed intuitiva.
Conclusioni
Tecnologie innovative e beni Culturali sono ormai
compagni di lavoro in moltissime delle fasi di ricerca, dalla definizione delle campagne di scavo e la
ricostruzione dei siti archeologici, alle analisi ed il
restauro di dipinti e manufatti, fino alla gestione dei
dati raccolti ed alla loro visualizzazione. DreamsLab
si pone come soggetto fortemente attivo in questo
processo, offrendo competenze trasversali che ben
MapPapers - 17
si coniugano con le componenti umanistiche nelle
varie collaborazioni e progetti.
L’idea di base di questo articolo è stata quella di mostrare, tramite la descrizione di fattive e fruttuose collaborazioni, mostrare come sia possibile unire questi
due mondi, progettando soluzioni applicative che si
pongono all’avanguardia nel panorama della ricerca.
La Realtà Virtuale e la visualizzazione 3D permette
una fruizione dei dati completamente nuova rispetto
al passato, ed, unita alle indicazioni ed alle necessità
degli esperti umanistici, sta rivoluzionando il modo
di diffondere i risultati della ricerca, sia tra chi lavora
nel settore che tra il pubblico, sempre più incline ed
abituato all’uso di nuove ed interattive tecnologie.
Bibliografia
Albertini N., Barone V., Legnaioli S., Licari D., Taccola E.,
Brogni A. 2013, The Agora of Segesta in immersive virtual environments, 6th International Congress “Science and Technology for the Safeguard of Cultural Heritage in the Mediterranean Basin“, Athens
Albertini N., Jasink A.M., Montecchi B. 2013, Digital acquisition and modeling of the Minoan seals and sealings
kept in two Italian Museums, CHNT 18, Vienna
Licari D., Dionisio G. 2013, Silvered ceramics in the National Archaeological Museum of Florence: virtual technologies in analysis and restoration, CHNT 18, Vienna
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“Il marinaio spiegò
le vele al vento,
ma il vento non
capì”. Riportare la
divulgazione scientifica
in Università.
Claudio Benedetti
Laboratorio di Cultura Digitale
università di Pisa
Abstract:
The mediatic power of technology has lead to a wide diffusion of scientific divulgation. However, over the last 20
years, academic research has lost its leadership in divulgation, as it has been substituted by the press and the
television. This led to the realization of enjoyable and
easily accessible products which often privilege the impact of the history and the images rather than the contents, in order to be profitable. Innovative channels and
editorial possibilities now available allow the research
centres, with the aid of multimedia experts, to create effective and independent communication systems.
A possible work-flow for the creation of an autonomous
system of scientific divulgation, developed by the Laboratorio di Cultura Digitale of the Università di Pisa,
will be illustrated. The presented project is adaptable to
every single research experience; it starts with a public
presentation, followed by the collection of multimedia
data with the creation of an archive. All the collected
material may be used for divulgation, for peer reviewed
scientific communication and may have a commercial
application, e.g. in the tourism sector, allowing to attract
potential sponsors.
La forza mediatica della tecnologia e la necessità di
soddisfare ogni possibile interesse umano, contemporaneamente alla quasi scomparsa della televisione
generalista, hanno portato alla necessità di trasformare anche la divulgazione scientifica in un prodotto
vendibile. Questo ha però comportato un evidente
crollo della qualità dei contenuti.
La Ricerca ha gradualmente perso autorità nel settore, trovandosi a confrontarsi alla pari con programmi televisivi, fatti sulla base del sensazionalismo. Partendo dalle prime grandi Esposizioni Universali, nate
sull’ottica dell’esaltazione del potere della scienza,
passando per Jules Verne e arrivando a Peter Kolosimo, si può osservare come la scienza e il mercato della letteratura fanta-divulgativa si sono sempre
incontrati. Ma è solo da quando le masse hanno
iniziato ad avere la possibilità di accedere a grandi
quantità di informazioni, determinando al contempo
la creazione di un importante mercato, che si è asMapPapers - 17
sistito ad una produzione industriale di prodotti di
divulgazione scientifica. Si può affermare che, sebbene la divulgazione commerciale sia sempre esistita,
in precedenza abbia goduto di una diffusione assai
minore di oggi. Tuttavia, la ricerca ha perso il primato di divulgatore. Questo è avvenuto principalmente per l’impossibilità di reggere il divario dei mezzi e
il know how a disposizione, ma anche per non aver
rivendicato il posto che le spetta nella divulgazione.
Infatti, negli ultimi vent’anni, la ricerca universitaria
ha delegato la divulgazione a strutture esterne come
riviste e televisioni. Questa scelta ha portato alla realizzazione di ottimi prodotti di divulgazione, anche se
per quanto riguarda la televisione, va precisato che
in Europa la qualità è più elevata nei prodotti delle
televisioni pubbliche, piuttosto che in quelle gestite
da privati.
La gestione imprenditoriale aggressiva dei produttori
privati ha puntato sopratutto su prodotti facilmente
commerciabili che si propongono più come interpreti della fonte primaria che non come agglomerato di
fonti, privilegiando l’impatto della storia e delle immagini che la raccontano piuttosto che il valore contenutistico.
Il risultato è, ovviamente, un prodotto piacevole per
un grande pubblico, godibile e di facile consumo per
chi ne usufruisce, ma specialmente è un prodotto riproducibile in serie e conseguentemente redditizio
per chi lo produce. Demandare l’aspetto della divulgazione è ha fatto sia che questa sia stata sottoposta
alle esigenze commerciali, come i tempi televisivi o le
restrizioni tecniche dell’editoria privata. Ma non solo,
ha completamente estromesso la ricerca dai ricavi
del mercato della divulgazione, lasciando però gli
oneri dei costi di ricerca.
Nel 2014 abbiamo a disposizione canali di informazione e possibilità editoriali impensabili anche solo 5
anni fa. Le Università e i centri di ricerca possono ora
creare dei sistemi comunicativi autonomi e realmente efficaci, indipendenti dalle necessità del mercato e
quindi gestibili seconde le reali esigenze della ricerca.
Non è necessario, e in alcuni casi, a seconda dell’argomento trattato e del target, nemmeno utile, inserire tutte le ricerche in un sistema autonomo di divulgazione. Ma chi fosse interessato, ha le condizioni
per poter creare un proprio sistema.
L’esperienza accumulata dal Laboratorio di Cultura
Digitale dell’Università di Pisa, ha permesso di sviluppare un possibile work-flow di lavoro per la creazione
di un sistema autonomo di divulgazione scientifica.
L’‘idea che si possa divulgare più o meno autonomamente il proprio lavoro non è esente da costi e
investimenti e non va intesa come un metodo a costo zero per aumentare la propria visibilità o i propri profitti. È infatti necessario integrare o affiancare
una figura specifica alla ricerca, una figura professionale che sappia tradurre la ricerca in un linguaggio
comprensibile dagli utenti. Affiancato da un comparto di produzioni multimediali, il gruppo di ricerca
può tradurre il proprio lavoro in un prodotto dall’immagine concorrenziale ma con il rispetto dei proprio
contenuti, riaffermando la propria autorità in questo
settore.
Pag. 22
È interessante notare che diverse università e istituzioni stanno creando canali autonomi di comunicazione, sfruttando piattaforme dedicate7. Il problema
principale è la creazione di format godibili dal pubblico che possano essere diffusi su canali ampiamente
frequentati.
I primi esperimenti sono stati eseguiti o da singoli pionieri8 o da collaborazioni tra sponsor tecnici e
università9; attualmente un certo grado di autonomia
nella divulgazione e la capacità di divulgare iniziano
ad essere richieste come capacità lavorativa ed inserite nelle voci del curriculm vitae.
La ricerca sulla comunicazione scientifica del Laboratori di Cultura Digitale, ha avuto come focus principale una divulgazione legata alle materie umanistiche,
pertanto questa presentazione sarà improntata su
questo settore.
Il video che viene presentato narra un progetto ideale, poiché non si basa sulla specificità della ricerca ma
sull’applicazione di metodologie di lavoro.
La prima fase di questo procedimento nasce insieme
alla ricerca e inizia dall’individuazione di un pubblico
a cui presentarsi, spiegando di cosa tratta la ricerca
mediante la realizzazione di video introduttivi, poster, infografiche o testi facilmente comprensibili,
mostrando sin da subito un’apertura nei confronti
del pubblico.
Successivamente sarà necessario raccogliere materiali nel corso del progetto e diffonderli adeguatamente, ovviamente senza rivelare dati sensibili per la
ricerca (es. metodologia di lavoro, anche con funzione didattica, presentazioni a convegni...). La raccolta
funziona da archivio che però deve essere già pensata in funzione divulgativa. Alla fine del processo tutto
il materiale raccolto potrà essere usato sia per la divulgazione che per la comunicazione scientifica peer
reviewed tra gruppi di ricerca
Inoltre i prodotti divulgativi possono avere un facile risvolto commerciale nel turismo, potendo anche
così attrarre potenziali sponsor.
Va però sottolineato la fondamentale importanza di
adattare questo processo e la sua relativa divulgazione a ogni singola esperienza di ricerca.
7. https://itunes.apple.com/it/institution/oxford-university/
id381699182; http://www.ted.com/
8. http://www.historycast.org/
9 https://www.youtube.com/watch?v=jbkSRLYSojo
MapPapers - 17
Pag. 23
Racconti dalla terra.
L’archeologia fra
linguaggi, creatività e
tecnologie.
Giuliano De Felice
Abstract:
Archaeological storytelling is a complex operation because there are many different ways to do archaeology
and many possible languages that can be used to describe them. Nowadays, in archaeological communication the connection with the deep roots of the discipline
(the process from analysis to synthesis and from interpretation to reconstruction) often remains unexpressed.
New elements such as a conscious use of technology,
the accuracy of the contents and the involvement of the
public are strongly needed to achieve new forms of archaeological storytelling and trigger new opportunities
of development for the entire sector of cultural heritage.
But above all it is mandatory for archaeologists to recuperate their right to tell their own stories.
«rendere semplice ciò che è complesso, continuo ciò
che è lacunoso, completo ciò che è parziale … questo è
il modo di invogliare il pubblico … ad avventurarsi nel
mondo antico… » (C arandini A. 2012: 25).
1. Raccontare l’archeologia è un’operazione complessa: esistono infatti tanti modi diversi di fare archeologia, e tanti sono i linguaggi possibili per descriverli. Anche nelle scienze umanistiche, proprio come
avviene nel momento in cui si tenta di comunicare i
temi di una qualsiasi disciplina scientifica, la principale difficoltà risiede nella necessità di declinare i contenuti secondo modalità che risultino tanto corrette
scientificamente quanto accattivanti per un pubblico
eterogeneo, quasi sempre distante culturalmente
dalle specificità del dominio di conoscenza.
Nel caso specifico dell’archeologia, questa necessità significa istituire un legame fra la componente
scientifica e quella pubblica disegnato sulla disciplina
stessa, finalizzato cioè a valorizzare verso il futuro la
matrice profonda di quel processo di analisi-sintesiinterpretazione-ricostruzione che è la ragion d’essere
dell’archeologia da sempre. Se è vero che il narratore
prende ciò che narra dalla sua esperienza e lo trasforma in esperienza di quanti lo ascoltano, riuscire
a trasformare i contenuti scientifici nei protagonisti di una narrazione costituisce una vera e propria
sfida, cui è possibile rispondere efficacemente non
solo mettendo in campo tecnologie di comunicazione che propongano forme di interazione innovative
e dense (dalla visualizzazione alla socializzazione),
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ma soprattutto rendendo protagonista un’idea e i
suoi possibili sviluppi, ragionando cioè su soggetto,
sceneggiatura, temi e contenuti. Solo così è possibile valorizzare adeguatamente, all’altezza delle attese
diffuse nel sociale, l’enorme potenziale espressivo di
una disciplina scientifica moderna come l’archeologia: svincolandola dai canoni attualmente dominanti,
che preferiscono utilizzare gli stilemi del mistero o
della contemplazione; l’idea ‘mitica’ dell’antichità che
pervade la comunicazione e la divulgazione dei beni
culturali, dalle didascalie dei musei alle produzioni
televisive, ripropone infatti un’idea antiquata del passato, che sembra suggerire come principale forma di
interazione ancora e solo la contemplazione.
Negli anni recenti l’avvento e la definitiva consacrazione delle tecnologie digitali come punto di riferimento
indiscusso in tutto ciò che riguarda la comunicazione
dei beni culturali ha in molti casi paradossalmente
approfondito queste problematiche, proponendo
spesso una sorta di ‘neoclassicismo virtuale’ (De Felice
G. 2012), in cui ad esempio la valorizzazione del patrimonio archeologico è identificata tout-court con la
sua spettacolarizzazione, che spesso altro non è che
una versione tecnicamente evoluta del solito meccanismo di contemplazione, in cui all’ammirazione per
le ricostruzioni del passato si è facilmente sommata
quella per le potenzialità visive delle tecnologie digitali, considerata la perfezione formale che oggi la
visualizzazione digitale è in grado di realizzare. La
non completa interazione fra tecnologie e dominio
anche nel campo della comunicazione è una delle
conseguenze della lunga stagione ‘positivista’ dell’interazione fra archeologia e informatica. L’approccio
sostanzialmente ‘technology driven’ (De Felice G. 2012)
da un lato ha imposto una vertiginosa crescita metodologica, ma dall’altro non ha saputo integrare e far
dialogare le ICT con la radice profonda dell’archeologia (De Felice G. 2008; De Felice G., Volpe G., Sibilano M.
G. 2008; Valenti M.2009).
2. Un uso più consapevole delle tecnologie è solo uno
di una serie di elementi da tenere in considerazione
nella ricerca di una metodologia per lo storytelling
archeologico, elementi riguardanti lo statuto scientifico della disciplina, il coinvolgimento del pubblico (e
non solo), ma soprattutto la capacità di proporre un
racconto (Volpe G., De Felice G. 2014).
Ogniqualvolta si intraprende la realizzazione di un
progetto di comunicazione in archeologia la prima
domanda da porsi dovrebbe essere “che cosa possiamo raccontare?” In questa maniera, da archeologi,
possiamo cominciare a riappropriarci delle peculiarità del nostro dominio di conoscenza, e a fare nostra quella sfida di rappresentazione e ricostruzione
del grande viaggio dell’archeologia nel tempo e nello
spazio che costituisce il fine ultimo del nostro lavoro,
ma che troppo spesso tendiamo a racchiudere nella sola sfera della ricerca, sottraendolo al resto del
mondo.
E’ da questo punto di vista che abbiamo iniziato le
attività del Laboratorio di Archeologia Digitale ormai
quasi 10 anni fa. Erano gli anni in cui dilagavano il 3D
Pag. 24
e la ricerca del realismo, e di conseguenza l’attenzione era concentrata sulla tecnologia, sulla tecnica, sul
virtuosismo grafico che sembrava una risposta efficace e sufficiente a descrivere il tema della ricostruzione del passato e della sua visualizzazione (Barcelò
J.A. 2001). Da subito infatti le tecnologie digitali sono
state impiegate per le loro capacità evocative, trascurando spesso di accordare i linguaggi e l’espressività
dei modelli ricostruttivi con le radici dell’archeologia,
le sue istanze metodologiche, i suoi linguaggi, le sue
finalità (Barcelò J.A. 2009). Di conseguenza proprio a
causa di questo nesso mancante, il soggetto di ogni
‘ricostruzione virtuale’ è stato spesso identificato nella visualizzazione del dualismo monumento/ricostruzione. Un dualismo che, da archeologi, ciascuno sa
non esistere, dal momento che all’unicità dello ‘stato
di conservazione attuale’ (di un sito, non di un monumento) corrispondono, secondo un’alternanza al
tempo stesso logica ed astratta, numerose fasi di vita
e molteplici possibili anastilosi.
La nostra decisione allora fu di provare a raccontare questa complessità mettendo in evidenza le sfide
dell’archeologia, usando come sperimentazione una
delle tante archeologie possibili, quella del ‘metodo
della stratigrafia’ (Manacorda D.2008), cercando di
rendere visibili e coinvolgenti le sue diverse componenti:
• l’esistenza di una documentazione parziale (lacunosità): nell’archeologia stratigrafica esiste una
forte cesura fra le tracce residue degli oggetti ed il
loro aspetto e funzione originari. Nessun elemento
è utilizzabile attraverso un semplice rilievo del suo
stato di conservazione, ma richiede un’elaborazione ricostruttiva mediata fra attendibilità e istanze di
comunicazione che ne restituisca un’immagine comprensibile.
• la possibilità di giungere solo ad ipotesi (astrazione),
considerato che la lacunosità della base di conoscenza implica l’impossibilità di giungere a risultati certi e
di proporli per la fruizione.
• i molteplici rapporti fra fonti e interpretazione
(complessità); diversi tipi di oggetti (stratigrafie di accumulo, negative e murarie, reperti, ecc.) richiedono
metodi e tecniche di elaborazione differenti, che rispettino da un lato il valore scientifico e dall’altro ne
permettano la fruibilità.
• il tempo come un elemento fortemente caratterizzante (diacronia): la sovrapposizione topografica non
è di per sé sinonimo di identità di forma e funzione
e la dimensione temporale richiede l’elaborazione di
una strategia di comunicazione in grado di esprimerla in modo adeguato.
• procedure di indagine composte da metodi vecchi
e nuovi (metodologia di dominio): la quantità e la
qualità degli elementi che strutturano il sistema di
conoscenza è espressione diretta delle metodologie
e delle tecniche impiegate durante le fasi di analisi
ed elaborazione, che costituiscono un elemento del
sistema stesso.
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Quando abbiamo realizzato il nostro primo progetto,
la TimeMachine (De Felice G. 2012), l’intento era esattamente quello di provare a non accettare il dualismo
monumento/ricostruzione come scopo del nostro lavoro, e di costruire invece un racconto che rendesse
protagonista la natura stessa del lavoro dell’archeologo, convinti che in questo modo si potesse interessare il pubblico e trasmettere messaggi corretti e
accattivanti. La stessa scelta di utilizzare la tecnologia
della realtime animation (che probabilmente oggi non
rifaremmo) è stata la risposta alla ricerca del linguaggio più adatto a consentire la fruizione in prima persona di dimensioni fortemente virtuali e immaginarie: le ricostruzioni ovviamente, ma anche lo spazio
della documentazione delle piante di strato e di fase,
oggetti appartenenti ad una dimensione surreale che
non è fruibile se non in uno spazio virtuale (Manacorda D. 2007: 102). In questo modo la tecnologia si riduce ad un veicolo, utile perché in grado di trasportare
adeguatamente un messaggio scelto dagli esperti,
ma reso comprensibile al pubblico vasto.
Nella TimeMachine non c’è un’operazione di storytelling vera e propria, ma piuttosto un matching fra
linguaggi espressivi e tecnologie, finalizzati alla trasmissione di un’idea narrativa: la complessità del
lavoro dell’archeologo sul campo. Una possibile declinazione dell’incontro fra tecnologie (di produzione
ed erogazione) di linguaggi (espressivi e di dominio)
e di creatività.
Questa stessa idea-guida è stata alla base di progetti
portati avanti negli anni successivi: progetti completamente diversi di comunicazione archeologica ma
sempre elaborati con una metodologia partecipata.
Una vera co-creazione di contenuti fra i diversi tecnicismi, ovvero una forma di interazione densa e potente fra saperi e competenze, in grado di produrre
un flusso di lavoro efficiente ma soprattutto condiviso, da intendersi come il superamento della logica
multidisciplinare che spesso prende la forma banale
della giustapposizione di saperi. Questa metodologia di co-creazione ci ha portato in anni più recenti a
raccontare il difficile museo di Palazzo Branciforte a
Palermo (Volpe G., Spatafora F. 2012), pieno di reperti
apparentemente muti, operando delle scelte coraggiose in termini di stile, di immediatezza d’uso, di linguaggi semplici e a volte ironici (De Felice G. 2013a).
Recentemente questa metodologia ha trovato la sua
sistematizzazione confluendo nella realizzazione del
progetto Living Heritage, primo LivingLab per le ICT
applicate alla narrazione dei Beni Culturali (De Felice
G. 2013b; De Felice G., Santacesaria V. 2013), finanziato
con un recente bando promosso dalla Regione Puglia
(www.livinglabs.regione.puglia.it) in cui stiamo collaborando con una rete di imprese per la realizzazione
di un progetto pilota, il cui fine ultimo è la realizzazione di una NewCo. che possa ereditare le competenze
di quanti hanno lavorato con il Laboratorio e trasformarle in un’idea di business. Ci ha stupito non poco
vedere che quanto avevamo creato, un laboratorio in
cui l’energia creativa fosse generata da un continuo
flusso di creatività e da diverse competenze, somigliava ad una metodologia già applicata da anni ad
ampi settori del design industriale.
Pag. 25
3. Se le attività sviluppate in questi anni in Laboratorio ci hanno portato a sviluppare alcuni dei temi possibili che ruotano intorno alla questione centrale del
nostro discorso (come fare storytelling in archeologia?)
alla fine di questo ragionamento rimane però ancora
aperto un interrogativo importante: perché lo storytelling in archeologia? Introdurre i concetti di conoscenza, linguaggi e creatività nel campo della valorizzazione dell’archeologia costituisce un imperativo di
estrema importanza per una svariata serie di motivi.
Innanzitutto rinnovare la comunicazione dando importanza alle storie vuol dire contribuire a rinnovare
in toto il modo di fare archeologia che oggi è tutto
orientato alla ricerca e collegare le vigenti teorie di
complessità e globalità con la funzione sociale verso
il grande pubblico. Perché dovrebbe essere considerato un problema non secondario che se da un lato
il dibattito scientifico-metodologico oscilla fra diverse prospettive per la definizione dell’archeologia del
futuro fra ‘globale’ (Mannoni T. 1997, Manacorda D.
2004 e 2008), ‘globale dei paesaggi’ (Volpe G. 2008),
‘della complessità’ (Brogiolo G. P. 2007), quello che
arriva al grande pubblico è ancora sostanzialmente
un messaggio di tipo antiquario che segue approcci superati a dir poco da decenni nell’ambito della
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ricerca. L’archeologia ha imparato molto dalle hard
sciences e dalle scienze naturali. Ma uno dei tasselli
mancanti per la definizione di archeologia come disciplina pienamente scientifica rimane una moderna
componente divulgativa che la porti al livello di altre
discipline (altrettanto e forse più complesse) in cui la
tradizione della comunicazione con il vasto pubblico
è impostata su basi molto più moderne e mature.
Immaginare una nuova modalità di valorizzazione
dei beni culturali attraverso il racconto significa necessariamente anche rinnovare la formazione universitaria, secondo criteri diversi dalla proliferazione
di corsi e presunte specializzazioni, ma inserendo la
comunicazione e le sue tecniche (e non le tecnologie
come si fa ora) nei corsi di laurea e specializzazione
come parte integrante di percorsi di formazione che
siano da subito profondamente professionalizzanti.
Non è più il caso di farsi illudere dalla possibilità di
creare figure di archeoinformatici o altre figure tecniche di cui ormai è provata l’inutilità sul mercato del
lavoro.
Costruire nuove modalità di valorizzazione vuol dire
infine anche e soprattutto poter utilizzare diverse
professionalità già esistenti e realizzare nuove possibilità immediate di sviluppo ed occupazione. Non
Pag. 26
possiamo infatti certo aspettare una nuova riforma
che ci porterebbe a dover aspettare altri dieci anni
per vedere i primi effetti: di questo passo fra dieci
anni l’archeologia italiana sarà sparita, e non parlo di
muri crollati e affreschi rubati, ma del dissolvimento
di una intera generazione di archeologi.
Io sono personalmente convinto che, al di là di un
legittimo riconoscimento professionale, il settore
della comunicazione possa offrire agli archeologi la
possibilità di impiegare le proprie competenze, ad
esempio mettendoli nella condizione di partecipare
attivamente alla co-creazione e della co-progettazione dei prodotti di comunicazione superando il ruolo
di cercatori di fonti e di dati, o di redattori di contenuti. Basterebbe potenziare il ruolo degli archeologi nei
bandi di valorizzazione per trasformare tanti professionisti sottoimpiegati in ingranaggi strategici di un
meccanismo inedito che sappia immaginare forme di
interazione fra patrimonio e pubblico che non “anche se”, ma piuttosto “proprio perché” consapevoli e
rispettose della dimensione scientifica, risultino dinamiche, coinvolgenti e moderne.
Bibliografia
Barcelò J.A. 2001, Virtual reality for archaeological explanation. Beyond “picturesque reconstruction” in Archeologia e Calcolatori 12, 2001, pp. 221-244.
Barcelò J.A. 2009, Computational Intelligence in Archaeology, Hershey.
Brogiolo G.P. 2007, Dall’Archeologia dell’architettura
all’Archeologia della complessità, in Pyrenae 38, 1, pp.
7-38.
C arandini A. 2012, Il nuovo dell’Italia è nel passato, Roma-Bari.
De Felice G. 2008, Il progetto Itinera. Ricerca e comunicazione attraverso nuovi metodi di documentazione
archeologica, in atti del workshop “digitalizzare la pesantezza - l’informatica e il metodo della stratigrafia”
(Foggia 2008), Bari, pp. 13-24.
De Felice G. 2012, Una macchina del tempo per l’archeologia. Metodologie e tecnologie per la ricerca e la fruizione virtuale del sito di Faragola, Bari.
De Felice G. 2013a, Il nuovo allestimento della collezione archeologica della fondazione Sicilia fra tecnologie
e creatività, in Archeologia e Calcolatori 24, 2013, pp.
249-264.
De Felice G. 2013b, Living Heritage – A living lab for digital content production focused on cultural heritage, in
DigitalHeritage 2013. Proceedings of the 1st International Congress on Digital Heritage (Marseille, France, 28 Oct. – 1 Nov. 2013), pp. 391-394.
De Felice G., Santacesaria V. 2013, A living lab for digital content production focused on cultural heritage, in
Marchegiani L. (ed.), Proceedings of the International
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Conference on Sustainable Cultural Heritage Management, Societies, Institutions and Networks, Roma,
pp. 299-306.
De Felice G., Volpe G., Sibilano M.G.2008, Ripensare la
documentazione archeologica: nuovi percorsi per la ricerca e la comunicazione, in Archeologia e calcolatori
19, 2008, pp. 271-291.
Manacorda D. 2004, Prima lezione di archeologia, Roma-Bari.
Manacorda D. 2007, Il sito archeologico: fra ricerca e valorizzazione, Roma.
Manacorda D. 2008, Lezioni di archeologia, Roma-Bari.
Mannoni T. 1997, Archeologia globale e archeologia
postmedievale, in Archeologia Postmedievale 1, pp.
21-25.
Valenti M. 2009, Una via archeologica all’informatica
(non una via informatica all’archeologia), in Fronza V.,
Nardini A., Valenti M. (eds.), Informatica e archeologia
medievale. L’esperienza senese, Firenze, pp. 7-28.
Volpe G. 2008, Per una ‘archeologia globale dei paesaggi’ della Daunia. Tra archeologia, metodologia e politica dei beni culturali, in Volpe G., Strazzulla m.J., Leone
D. (eds), Storia e archeologia della Daunia, in ricordo
di Marina Mazzei, Atti delle giornate di studio (Foggia
2005), Bari, pp. 447-462.
Volpe G., Spatafora F. (eds.) 2012, La collezione archeologica della Fondazione Banco di Sicilia a Palazzo Branciforte, Milano.
Volpe G., De Felice G. 2014, Comunicazione e progetto
culturale, archeologia e società, in European Journal of
Post-Classical Archaeologies 4, 2014, pp. 405-424.
Pag. 27
Wiki Loves Monuments
e Archeowiki, due modi
diversi per raccontare e
fare conoscere il nostro
patrimonio culturale
Emma Tracanella
Abstract:
In 2008 the American Alliance of Museums has identified a process known as “Creative Renaissance” activated by technological tools and other online tools for the
promotion of cultural contents that are reshaping the
centrality of the human in the process of education and
narrative.
According to a longitudinal analysis conducted by Wikimedia Italy, among the immense resources that Wikipedia provides, there is a lack of content about archeology.
This is due both to technical difficulties and to the lack of
information on the topic. In addition, we have seen how
the presence of pictures and photographs is a valuable
stimulus for better utilization of assets.
In this context, Wikimedia Italy has promoted two
projects: Wiki Loves Monuments, a photo contest dedicated to the monuments that invites all citizens to document their cultural heritage throught their photos, in
full respect of copyright and Italian law and Archeowiki,
a project to promote the lesser-known archeological heritage.
Introduzione
Per avvicinare le persone alla cultura oggi si possono
e si devono utilizzare tutti i mezzi più avanzati e di largo utilizzo, quali Wikipedia e i social network. Internet
infatti costituisce il più potente ed economico mezzo
di comunicazione e divulgazione a disposizione delle
Istituzioni culturali per presentare al pubblico le proprie attività e Wikipedia è forse il progetto che meglio
incarna la libertà d’informazione e di libera circolazione di contenuti culturali.
Nonostante alcune opinione contrarie (Lovink, Metitieri, Lanier), che affermano che l’accesso libero porti
ad un distaccamento dall’opera d’arte, nel 2008 l’America Alliance of Museums ha identificato un processo noto come “Rinascimento Creativo” attivato
dagli strumenti tecnologici ed altri strumenti online
per la promozione dei contenuti culturali che stanno ridisegnando la centralità umana nei processi di
istruzione e narrativi.
Secondo un’analisi longitudinale condotta da Wikimedia Italia, tra le immense risorse che Wikipedia
mette a disposizione vi è una carenza di contenuti
riguardanti l’archeologia, dovuta sia al limitato nuMapPapers - 17
mero di addetti ai lavori che siano informaticamente
preparati ad arricchire il sito, sia alla difficoltà di trovare informazioni sull’argomento, specie se si tratta
di realtà meno conosciute. Inoltre si è visto come la
presenza di immagini e di fotografie sia un valido stimolo per una migliore valorizzazione dei beni.
Certamente l’archeologia è una forma d’arte meno
presente e meno frequentata perché è soggetta ad
un processo di fruizione e interpretazione più complesso rispetto ad altre forme e dimensioni artistiche
più immediate. L’archeologia infatti richiede un certo
bagaglio di nozioni e conoscenza per essere contestualizzata ed apprezzata.
In questo contesto Wikimedia Italia si è fatta promotrice di due progetti: Wiki Loves Monuments, un
concorso fotografico dedicato ai monumenti che invita tutti i cittadini a documentare la propria eredità
culturale realizzando fotografie con licenza libera, nel
pieno rispetto del diritto d’autore e della legislazione italiana e Archeowiki, un progetto per raccontare
e fare conoscere il patrimonio archeologico meno
noto.
Perché Wikipedia?
Wikipedia è un mezzo molto utilizzato da tutti, è infatti il sesto sito più visitato al mondo, e è popolare
specialmente tra i ragazzi e i giovani in cerca di informazioni. Come dimostrato da diverse statistiche
la fascia d’età fino a 34 anni è sovrarappresentata rispetto alla media dei siti internet così come le pagine
viste da computer situati a scuola: infatti il 25% degli
utenti di Wikipedia ha meno di 18 anni, percentuali
che salgono rispettivamente al 50% e 75% per le fasce d’età fino a 22 anni e fino a 30 anni [1].
I progetti che riescono a sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalla più grande enciclopedia si possono quindi rivelare vincenti per fare avvicinare il
grande pubblico e i giovani al nostro patrimonio culturale. Proprio per questo motivo, Wikimedia Italia
l’associazione di promozione sociale finalizzata alla
diffusione della conoscenza libera che è attiva dal
2005 nell’ambito dell’Open Culture in qualità di corrispondente italiana ufficiale di Wikimedia Foundation,
e che persegue esclusivamente obiettivi di solidarietà sociale nel campo della promozione culturale, si è
prefissa come scopo principale quello di contribuire
attivamente alla diffusione, al miglioramento e all’avanzamento del sapere e della cultura attraverso la
produzione, la raccolta e la divulgazione gratuita di
contenuti che incentivino le possibilità di accesso alla
conoscenza e alla formazione.
L’associazione sostiene nel nostro Paese sia Wikipedia sia i progetti Wikimedia, tra i quali si annovera
questo contest dedicato ai monumenti che invita
tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale realizzando fotografie con licenza libera, nel
pieno rispetto del diritto d’autore e della legislazione
italiana in merito.
Wiki Loves Monuments
Wiki Love Monuments (www.wikilovesmonuments.it)
è un concorso fotografico internazionale per docuPag. 28
mentare, valorizzare e proteggere il patrimonio culturale italiano.
Con il termine monumento s’intende, adottando la
definizione dell’UNESCO, un insieme molto ampio di
opere: edifici, sculture, siti archeologici, strutture architettoniche, siti naturali e interventi dell’uomo sulla
natura che hanno grande valore dal punto di vista
artistico, storico, estetico, etnografico e scientifico.
Gli obiettivi di Wiki Loves Monuments sono:
1. valorizzare e documentare l’immenso patrimonio
culturale del Belpaese sul Web, promuovendo la sua
ricchezza artistico-culturale presso una vasta platea
internazionale,
2. invitare tutti i cittadini a documentare la propria
eredità culturale, realizzando fotografie con licenza
libera, nel pieno rispetto del diritto d’autore e della
legislazione italiana,
3. aumentare la consapevolezza della necessità di tutela dei monumenti, preservandone la memoria.
L’edizione italiana del concorso Wiki Loves Monuments deve attenersi a un vincolo importante dettato dal “Codice Urbani” (ovvero il Codice dei Beni
Culturali e del Paesaggio stilato da Giuliano Urbani,
Ministro per i Beni e le Attività Culturali dal 21 giugno
2001 al 23 aprile 2005), secondo il quale per poter
fotografare un qualsiasi monumento italiano e pubblicarne l’immagine, occorre ottenere l’autorizzazioMapPapers - 17
ne da parte del “legittimo proprietario”, sia esso ente
statale o meno, qualora lo scopo dello scatto non sia
personale o di studio [2].
E quindi per pubblicare le foto dei monumenti italiani su una qualsiasi delle 280 edizioni di Wikipedia e
rilasciarle con una licenza Creative Commons, CC-BYSA 3.0, e farle partecipare al nostro concorso è stato
necessario contattatare 8100 comuni, 20 regioni, 110
province, oltre a privati e enti.
Il primo concorso italiano, che ha avuto come main
partner Eni, si è svolto nel 2012: la lista dei monumenti fotografabili era composta da 936 beni, sono
state caricate quasi 7.700 fotografie da 803 partecipanti. L’Italia si è classificata al 13° posto per numero
di immagini caricate.
Due delle foto vincitrici del concorso italiano si sono
anche ottimamente classificate nel concorso internazionale, giungendo al 5° e al 15° posto.
Il nostro sito è stato visitato nel 2012 da quasi mezzo
milione di visitatori unici e abbiamo raccolto più di
450 articoli o citazioni di blogger.
Wiki Love Monuments 2012 è stato proclamato il concorso fotografico più grande dal Guinnes dei Primati.
La quarta edizione del concorso internazionale e la
seconda edizione del concorso italiano si sono svolte
nel 2013 e hanno avuto una vastissima eco internazionale: hanno partecipato 52 nazioni, le immagini
sono state quasi 370.000, caricate da 11.943 persone.
Pag. 29
Per quel che riguarda il concorso italiano, i partecipanti sono stati 527 e hanno caricato 8.082 fotografie
per illustrare i 2.137 monumenti he hanno partecipato all’edizione 2013. C’è stata anche una grande
partecipazione da parte delle istituzioni: oltre a 15
patrocini, abbiamo avuto 6 partner di progetto e 222
adesioni da parte di enti pubblici, istituzioni e privati.
Archeowiki10
Archeowiki (http://www.archeowiki.it) è un progetto
nato per stimolare la partecipazione delle persone
comuni alla costruzione della cultura e per aumentare il numero di visitatori nei musei.
In base ai bisogni rilevati nel contesto d’azione, il progetto si pone quindi i seguenti macro obiettivi:
1. Avvicinare alla cultura e alle realtà museali legate
al mondo dell’archeologia nuove fasce di pubblico
con particolare riferimento agli studenti delle scuole
medie inferiori e superiori, agli anziani e ai disabili.
10. Questa sezione è derivata da una presentazione realizzata da Anna Antonini e Sara Chiesa alla conferenza “Museums and the Web” 2014 (http://mwf2014.museumsandtheweb.com/program/) a Firenze il 19 febbraio 2014. Un
articolo dal titolo “Archeowiki: when open source strategies
incentive visitors presence in museum. A project for the enhancement of archaeological heritage in Lombardia.” è in
preparazione da parte di Anna Antonini, Dante Bartoli, Sara
Chiesa, Cristian Consonni, Rossella Di Marco, Sara Franco e
Carolina Orsini.
MapPapers - 17
2. Promuovere l’affluenza di nuovo pubblico alle
istituzioni culturali pubbliche e private del territorio
Lombardo.
3. Moltiplicare le informazioni relative al patrimonio
e il numero di utenti raggiunti mediante la condivisione dei saperi tra gli utenti di Wikipedia.
4. Pubblicazione su Wikipedia delle risorse archeologiche relative alle collezioni degli enti beneficiari del
progetto.
5. Formare personale volontario in grado di implementare le voci e i materiali di Wikipedia in ambito
archeologico.
6. Sperimentare, dimostrare e comunicare la facilità
con cui si possono diffondere e condividere i contenuti culturali attraverso Wikipedia.
In particolare, Archeowiki coinvolge sei istituzioni
museali della Lombardia ed organizzato da Wikimedia Italia in collaborazione con altre associazioni attive in campo archeologico, culturale e sociale. I partner di progetto sono:
• Wikimedia Italia
• Associazione “MiMondo – Associazione per la
promozione delle culture materiali e immateriali
del mondo”
• Gruppo Archeologico Ambrosiano (G.A.Am.)
• Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco
• Fondazione Passaré
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Il progetto è stato reso posisibile grazie ad un co-finanziamento di Fondazione Cariplo.
Le sei istituzioni beneficiare delle azioni di Archeowiki sono le seguenti:
Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco di Milano;
• Civico Museo Archeologico di Varese;
• Fondazione Passaré di Milano;
• Civico Museo “Goffredo Bellini” di Asola;
• Museo Archeologico G. Rambotti di Desenzano;
• Civico Museo Archeologico di Castelleone
Il progetto ha permesso la digitalizzazione di circa
1000 immagini e documenti appartenenti alle istituzioni museali beneficiarie, che sono state condivise
con una licenza libera su Wikimedia Commons, il repository digitale dei progetti Wikimedia, e utilizzate
su Wikipedia.
Una delle azioni del progetto è la realizzazione di
“Wikigite” (http://wlm.wikimedia.it/wiki/WikiGite) che
consistono di tour guidati attraverso le collezioni archeologiche dei musei beneficiari, in particolare esistono due forme rivolte a pubblici specifici:
• “Wikigita va scuola”: si rivolge a studenti delle
scuole secondarie Lombarde, ai quali viene offerta una attività che consta di tre momenti: un
corso iniziale (2 h) di formazione sulle collezioni archeologiche che saranno visitate durante la
gita da parte di un esperto ed una introduzione a
Wikipedia da parte di un contributore esperto di
Wikipedia, in un secondo momento viene svolta
la visita di istruzione presso il museo selezionato
(5 h) e infine gli studenti, facendo uso del laboratorio informatico, possono partecipare alla scrittura di Wikipedia (2 h).
• “Wikigita viene a te”: Wikigita viene a te è una
modalità di Wikigita che si rivolge a un pubblico
debole (persone cieche ed ipovendenti, anziani)
per cui gli esperti archeologi e Wikipediano fanno lezione sul posto portando anche materiali
(copie delle opere realizzate tramite scansioni
tridimensionali).
Le attività di archoewiki hanno ricevuto il supporto
della Soprintendenza Archeologica della Lombardia.
Riferimenti
[1] Infografica preparata dal “Children Museum di Indianapolis” - http://upload.wikimedia.org/wikipedia/
commons/4/48/GLAM-Wiki_Infographic.PNG
[2] Brioschi F. “Chi mi aiuta a liberare i monumenti
italiani per fare una foto wiki?” http://www.chefuturo.it/2012/06/chi-mi-aiuta-a-liberare-i-monumentiitaliani-per-una-foto-wiki/
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Gamification in
Archeologia - Attrarre
ed ingaggiare i visitatori
Fabio Viola
Le trasformazioni sociali, demografiche e tecnologiche intervenute nell’ultimo decennio hanno radicalmente rivoluzionato il modo di attrarre, ingaggiare e
fidelizzare il “consumatore”. I nati dopo il 1980 (Generazione Y) , presentano forti distacchi nei modi e
comportamenti rispetto ai padri ed i nonni e si aspettano nella vita reale quell’interazione che provano
quotidianamente all’interno dei videogiochi. L’industria video-ludica, in soli 40 anni di vita è riuscita a
diventare la forma primaria di intrattenimento superando, per fatturato e tempo medio speso, colossi
storici come editoria, musica e cinema. La domanda cruciale è “perchè i giochi riescono a essere così
straordinariamente divertenti ed instaurare un dialogo laddove altri media falliscono”? La risposta che
cercheremo di dare si baserà sul modo attraverso il
quale i giochi vengono disegnati, essi sono prodotti
scientificamente studiati per generare stati d’animo
e comportamenti facendo leva su set di meccaniche
e dinamiche.
Su questo grande patrimonio di tecniche di engagement si basa il concetto di Gamification, disciplina
sempre più utilizzata da aziende ed enti pubblici per
raggiungere obiettivi concreti ed entrare in sintonia col bacino tecnologicamente più avanzato della
propria utenza. Attraverso alcuni esempi capiremo
come è possibile estendere al mondo dell’archeologia questo nuovo paradigma.
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Voci Narranti di OP14
(in ordine di apparizione)
Maria Letizia Gualandi
Gabriele Gattiglia
Francesca Anichini
Augusto Palombini
Francesco Ripanti
Marina Lo Blundo
Fabio Viola
Niccolò Albertini
Claudio Benedetti
Giuliano De Felice
Emma Tracanella
Astrid D’Eredità
Cinzia Del Maso
Emmanuele Curti
Lorenzo Garzella
Vincenzo Napolano
Andrea M. Steiner
Barbara Gioli
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Pag. 32
Maria Letizia Gualandi
Gabriele Gattiglia
Laureata in Archeologia romana all’Università di Pisa
con Salvatore Settis, è professore associato nella
stessa Università, dove insegna Metodologie della ricerca archeologica e Archeologia della produ-zione; è
membro della Scuola di Dottorato in Antichistica e
della Scuola di specializzazione in Archeologia dell’Università di Pisa. Ha conseguito l’Abilitazione a professore ordinario.
Dopo numerose esperienze di scavo a Sibari (con
P.G. Guzzo), a Settefinestre e Roma-Palatino (con A.
Carandini), dal 1991 al 2004 è stata responsabile del
gruppo di ricerca dell’Università di Pisa nello scavo di
Nora (CA) e dal 1998 al 2012 in quello dell’acropoli di
Populonia (LI).
Dal 1998 è responsabile del Laboratorio di Archeologia
classica del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere
dell’Università di Pisa, dove svolge attività didattica e
di ricerca sui reperti mobili provenienti dalle indagini
sul campo. Ha curato l’allestimento del Museo della
Villa romana dei Venuleii a Massaciuccoli (LU) e attualmente collabora alla realizzazione della sezione
romana del Museo archeologico di Pietrasanta (LU).
Dal 2011 è responsabile del Laboratorio MAPPA Metodologie digitali APPlicate all’Archeologia, del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere.
Nel biennio 2011-2013 è stata responsabile scientifico del progetto di ricerca MAPPA - Metodologie Applicate alla Predittività del potenziale Archeologico - La
carta dell’area urbana di Pisa, finanziato dalla Regione Toscana (www.mapparoject.org).
E’ stata inoltre responsabile per l’Università di Pisa
di numerosi progetti PRIN dal 1995 al 2006 inerenti
i monumenti romani del Palatino, Velia ed Esquilino
(coordinatore A.Carandini) e i risultati degli scavi delle
città di Nora e Populonia (coordinatori D.Manacorda,
G.Bartoloni).
Per la bibliografia recente, https://pisa.academia.
edu/MariaLetiziaGualandi
Archeologo, lavora presso il laboratorio MAPPA
dell’Università di Pisa. Si è formato nell’area della metodologia archeologica e dell’archeologia medievale
e postmedievale. Divide il suo lavoro tra attività professionale, ricerca e la sua famiglia. Ha scritto molti articoli, due libri su Pisa medievale ed è Direttore
Scientifico del progetto di ricerca ‘Versilia Medievale’.
Negli ultimi anni, traviato dall’incontro con il matematico Nevio Dubbini, si è occupato di applicazioni
matematiche all’archeologia, in particolare di modelli predittivi. Crede fermamente che la condivisione
dei dati archeologici siano un passo necessario per
lo sviluppo della disciplina e per farle perdere la sua
marginalità sociale, per questo è uno dei creatori e
curatori del repository open data italiano MOD, fa
parte del Editorial Board del Journal of Open Archaeological Data, collabora con il progetto Open Pompei
e bazzica gli ambienti del civil hacking. È socio dello
Studio Associato InArcheo, che ha fondato con sua
moglie Francesca (partirono in 4 e restarono in 2).
Considera gli archeologi professionisti l’avanguardia
dell’archeologia italiana e sostiene attivamente l’Associazione Nazionale Archeologi, di cui fa parte come
membro del Comitato Tecnico Scientifico. Lo trovate
spesso sui social network (soprattutto twitter) dove
dà agio al suo egocentrismo. Negli ultimi mesi ha
finalmente capito che ci sono cose più importanti
dell’archeologia e hanno un nome: Agata e Francesca
(rigorosamente in ordine alfabetico).
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Francesca Anichini
Augusto Palombini
Francesca Anichini vive a Viareggio e da anni lavora
come archeologa libera professionista. Si occupa di
progettazione archeologica, delle problematiche relative all’archeologia preventiva e alla definizione del
potenziale archeologico. Negli anni ha progettato e
diretto numerose indagini archeologiche. Nel 2005
ha sviluppato il primo GIS archeologico urbano su
Pisa e dallo stesso anno è socia dello Studio Associato InArcheo. Nel biennio 2008-2009 è stata direttrice scientifica dell’area archeologica Massaciuccoli
romana e direttrice dello scavo di ricerca nella stessa area dal 2006 al 2012 (pubblicata interamente in
modalità open su http://www.massaciuccoliromana.
it/wordpress/documentazione/). E’ convinta che il patrimonio archeologico sia un “bene comune” (come
l’acqua) di tutti (ma proprio tutti) e trova profondamente ingiusto, incivile, antistorico e un danno per
la collettività che la conoscenza relativa a quel patrimonio rimanga chiusa nei cassetti (di qualcuno o
di tutti). Crede profondamente che la raccolta e la
diffusione libera e aperta dei dati archeografici sia il
futuro dell’archeologia (e un tassello per lo sviluppo
dell’Italia). Dal 2011 fa parte del gruppo di ricerca del
Laboratorio MAPPA (Metodologie digitali APPlicate
all’Archeologia) presso l’Università di Pisa ed è tra i
creatori del MOD (MAPPA archaeological Open Data
archive), il primo repository italiano di dati archeologici open. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni e
partecipazioni a convegni.
Nella “vita reale” – fuori dall’archeologia – è mamma
di Agata (minuscola creatura di 9 mesi), cuce, fa massaggi olistici, dipinge miniature astratte e prepara
dolci… Da buona toscana è stata educata (e ormai è
abituata) a dire sempre ciò che pensa e questo, a volte, le ha creato qualche problema...
Archeologo, ricercatore presso l’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR. Nato a
Roma e laureato presso l’Università “La Sapienza”, ha
conseguito il dottorato di ricerca presso l’Orientale di
Napoli. Ha operato in missioni archeologiche in Italia
e Africa (in particolare nel Sahara centrale). Autore di
lavori scientifici, divulgativi e di romanzi storici, è stato segretario nazionale dell’Associazione dottorandi
e Dottori di ricerca Italiani e socio fondatore della
Confederazione Italiana Archeologi. Svolge ricerche
nell’ambito della ricostruzione del paesaggio antico,
dei musei virtuali, delle dinamiche di mutamento sociale e paleo-ambientale in fasi storiche e preistoriche. Vasta esperienza nell’uso dei Sistemi Informativi
Geografici, con competenze di analisi, didattica e
programmazione; dell’informatica applicata al Patrimonio Culturale e all’analisi topografica avanzata, in
particolare nell’ambito del software Open Source. Si
occupa inoltre di tecniche narrative per la divulgazione storica e di digital storytelling. È attualmente coinvolto in 3 progetti EU nell’ambito del VII Programma
Quadro.
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Francesco Ripanti
Marina Lo Blundo
C’era una volta Francesco Ripanti, studente che voleva diventare archeologo classicista. Svolge il canonico percorso di studi all’Università di Siena fino a
quando, quasi per caso, nel 2008, inizia a produrre
video che raccontano le storie dello scavo di Vignale
(LI)(http://www.youtube.com/user/UominieCoseaVignale). Da quel momento i suoi interessi cambiano
radicalmente e inizia ad occuparsi di comunicazione
dell’archeologia, con particolare attenzione alle potenzialità offerte da Internet nel raccontare uno scavo archeologico in corso (video, blog, social media).
La tesi con cui si laurea nel 2011, intitolata “Archeologia, video e narratività: pubblicare Vignale all’epoca
di YouTube”, è frutto di una riflessione sui video girati
a Vignale negli anni precedenti. Nel 2013 decide di
dedicarsi anche ai musei e diventa blogger e curatore
della comunicazione online del Museo Archeologico
Nazionale delle Marche (http://museoarcheologicomarche.wordpress.com), grazie ad un tirocinio per la
Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Trieste, Udine, Venezia, a cui nel frattempo si è iscritto. In
attesa di sapere come proseguirà la sua storia, le sue
riflessioni su archeologia e video dal 2011 sono online su “Archeovideo” (http://archeovideo.wordpress.
com).
Archeologa, laureata in Conservazione dei Beni Culturali (Vecchio Ordinamento) a Genova e specializzata in Archeologia Classica a Genova, attualmente dottoranda in Storia e Conservazione dell’Oggetto d’Arte
e d’Architettura presso l’Università di Roma Tre.
Dal 2006 al 2009 ha collaborato con l’Istituto Internazionale di Studi Liguri (Bordighera, IM) nel settore
degli scavi archeologici e dei musei. Dal 2010 è Assistente alla Vigilanza presso il Museo Archeologico
Nazionale di Firenze.
Blogger dal 2006, si occupa di comunicazione
archeologica nel web e in particolare nel web 2.0
fin dal 2007 col progetto “Comunicare l’Archeologia”.
Come blogger di archeologia è intervenuta al III Seminario di Archeologia Virtuale (2012) e alla Borsa
Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum
nel 2013. Dall’estate 2012 è museumblogger per il
Museo Archeologico Nazionale di Venezia e dalla primavera 2013 è blogger per la Soprintendenza per i
Beni Archeologici della Toscana. Dal 2013 è online
content media curator per Nostoi – Histoires de retours et d’exhodes, progetto europeo nel quadro del
programma di prossimità IEPV (Instrument Européen
de Partenariat et de Voisinage).
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Fabio Viola
Niccolò Albertini
Fabio Viola è un imprenditore seriale, docente e autore di libri. Ha contribuito alla nascita di alcune start
up, ed attualmente siede nella Board di Mobile Idea
s.r.l. e DigitalFun s.r.l., società incubata da Ericsson
dopo aver vinto il premio EGO come migliore start
up tecnologica dell’anno nel 2008. Con DigitalFun ha
disegnato e lanciato decine di videogiochi ed applicazioni basate sul paradigma della gamification, strutture e meccaniche gaming applicate in contesti non
gaming. In quest’ottica le collaborazioni con Luxottica, Telecom Italia, Ericsson, MediaWorld.
Fabio Viola sin dal 2002 ha focalizzato la sua attenzione sul Digital Entertainment rivestendo un ruolo di
pioniere nelle nuove forme di creazione, distribuzione e fruizione dei contenuti digitali. Ha avuto modo
di vivere direttamente la nascita del mercato dei java
game nel 2002 e del fenomeno social gaming nel
2007 lavorando a stretto contatto con il quartier generale europeo di numerosi leader di mercato. Negli
ultimi 10 anni ha lavorato con i quartier generali di alcune delle più grandi aziende di gaming digitale: Electronic Arts, Vivendi Games Mobile, Kojobo, Namco,
Digital Chocolate gestendo alcuni dei brand che han
segnato il tempo libero (ed il portafoglio) di milioni di
individui come Tetris, Fifa, Pac-Man, Crash Bandicoot
e Monopoly.
In campo editoriale ha contribuito alla nascita del
punto di riferimento italiano nell’editoria video ludica, Multiplayer.it, ed ha fondato la prima rivista cartacea specializzata nel mobile Entertainment, Giocare
con il Cellulare. E’ inoltre co-autore del “Almanacco
dei Videogiochi” edito da Panini e autore del libro
“Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana”.
Negli anni ha inoltre collezionato articoli e interviste
sulle principali testate italiane: Corriere Economia,
Wired, La Stampa ed Il Sole 24 Ore.
Numerose le sue presenze in veste di speaker e chairman ad importanti manifestazioni italiane ed internazionali: Mobile Games Forum di Londra, Mobile
Games Summit di Malta, IVDC, Game Convention di
Lipsia, Social Media Week, Tosm di Torino.
Ha collaborato con diverse istituzioni accademiche
come l’ Università IULM di Milano, Master Comunicazione e Marketing “Il Sole 24 Ore” ed il CNR.
Niccolò Albertini nasce a Viareggio nel 1988; si laurea
in Informatica Umanistica presso l’Università Di Pisa
nel 2010, completando il percorso magistrale con la
specializzazione in Ambienti Virtuali nel 2012.
Le tesi di entrambi i percorsi di studio, “Ricostruzione
del castello della Brina in epoca alto-medievale mediante Game engine” e “Sviluppo di un sistema di interactive
story telling per ricostruzioni storiche e sua applicazione
alla ricostruzione della Domus degli affreschi di Luni”
sono dedicate alle ricostruzioni virtuali di ambito storico / archeologico.
Attualmente è assegnista di ricerca presso il DreamsLab alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Il suo lavoro si concentra maggiormente nello sviluppo di applicazioni di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata su piattaforme avanzate come C.A.V.E., display
olografici, caschetti immersivi e interfacce naturali.
Gli altri campi di lavoro sono l’acquisizione 3D, la modellazione 3D, lo storytelling su piattaforma virtuale,
la prototipazione per stampa 3D.
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Claudio Benedetti
Giuliano De Felice
Come Site Manager di iTunes U Università di Pisa, riconosciuto da Apple “Success and Lighthouse”, si occupa sia della promozione video dell’Ateneo che della
cura degli aspetti di multimediali legati alla didattica.
Capace di curare sia la parte tecnico artistica che gli
aspetti logistici, grazie ad una decennale passione
lavorativa nel campo video.
Si occupa di formazione legata al video e all’editoria
digitale a livello europeo, sia come docente che come
relatore ad eventi.
Con la collaborazione dell’ateneo pisano cura documentari per la promozione del territorio.
Lavora come videomaker freelance nel campo della
moda e della pubblicità.
Ha partecipato a numerose ricerche e pubblicazioni
nel campo della storia, della geografia e degli studi
umanistici.
Giuliano De Felice (Bari 3 giugno 1971) è ricercatore
di Archeologia cristiana e medievale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Foggia, dove insegna Applicazioni informatiche
ai Beni Culturali e Archeologia Digitale e coordina le
attività del LAD (Laboratorio di Archeologia Digitale).
Ha preso parte a numerosi scavi archeologici e progetti di conservazione in Italia e all’estero e partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali ed
internazionali. Al suo attivo ha oltre 50 pubblicazioni
(monografie, articoli su riviste nazionali ed internazionali, atti di convegni) e la partecipazione a diversi
progetti di ricerca riguardanti le interazioni fra ICT e
beni culturali. I suoi principali temi di ricerca sono le
metodologie di acquisizione, gestione e divulgazione
della conoscenza archeologica. È redattore di un blog
su archeologia, tecnologie e comunicazione (www.
passatoefuturo.com).
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Emma Tracanella
Astrid D’Eredità
Ingegnere libera professionista è coordinatrice italiana di Wiki Loves Monuments, un progetto per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano su Wikipedia organizzato e promosso da Wikimedia Italia.
E’ docente presso lo IED del corso “Progettazione della professionalità: start-up” e fa parte della redazione
di Girl Geek Life, il magazine per le appassionate di
tecnologia.
Effettua consulenze in ambito ICT, dedicandosi principalmente ad attività di project management, analisi
e design di applicazioni per il web e progettazione di
sistemi multimediali.
Nata a Taranto nel 1979, vive a Roma con un biglietto aereo per l’Europa sempre in tasca (benché, come
dice Enrico Zanini, abbia seri problemi ad attraversare l’Urbe in tempi decenti).
Nell’ultimo anno è stata Research fellow presso Associazione Civita per un progetto sull’utilizzo dei social media per i musei e le imprese culturali, che confluirà nel X Rapporto Civita.
Qualche tempo fa ha conseguito un PhD in Archeologia presso l’Università degli Studi ‘Federico II’ di
Napoli e una specializzazione in Museologia e Museografia presso l’Università degli Studi ‘Aldo Moro’
di Bari, il cui saggio finale sulla musealizzazione delle
stazioni delle metropolitane in Europa e nel mondo si
è aggiudicato nel 2011 il V Premio Forma Urbis.
Da quando ha lasciato le trincee di scavo per la Rete
ha lavorato a lungo in progetti di comunicazione per
Enel SpA attraverso Brand Portal e le webagency romane Manafactory e Multimedia.
Proprio nella crew di Manafactory ha raccontato nel
2013 il Festival Hai Paura del Buio prodotto dagli
Afterhours, mentre ora segue, fotografa, ascolta e
racconta l’Orchestra di Piazza Vittorio, il più grande
ensemble multietnico europeo composto da 18 musicisti provenienti da 10 paesi e 4 continenti.
Non ha dimenticato l’archeologia e ancora oggi si occupa di comunicazione e nuovi media per l’Associazione Nazionale Archeologi (ANA), in seno alla quale
ha fondato il comitato di genere ‘Archeologhe che
(r)esistono’, e collabora alla stesura del primo e-book dell’entusiasmante progetto #svegliamuseo, nato
per “svegliare” i musei italiani online sfruttando il potere del Web per creare un effetto rete.
E sposerà Paul McCartney, prima o poi.
In rete: http://about.me/astridrome
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Cinzia Dal Maso
Emmanuele Curti
Veneziana, una laurea in Storia delle religioni a Padova, un master a Chicago, è da tempo giornalista
e scrittrice. Viaggia tra le parole, i luoghi, la gente, in
cerca di storie che intrecciano passato e presente.
Indaga l’antico per capire il presente. Scrive di archeologia, comunicazione dei beni culturali, attualità del
passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e
straniere. Tiene lezioni e seminari presso università
e istituzioni sulla comunicazione della storia presso il grande pubblico. È autrice dei volumi "Pompei.
L’arte di amare" (Milano, 2012) e "Pompei. Nel segno
di Iside" (Milano, 2013). Cura il blog Filelleni (http://
filelleni.wordpress.com/): incursioni più o meno irriverenti, denunce e riflessioni sull’uso del passato nel
mondo contemporaneo.
Emmanuele Curti, archeologo, lavora all’Università
della Basilicata. Formatosi a Perugia, è poi approdato a Londra, dove ha insegnato agli University and
Birkbeck College, dal 1992 al 2003. Si è occupato per
anni di processi di acculturazione nell’antichità fra
mondo greco, romano ed indigeno, ed ha portato
avanti progetti di ricerca a Pompei e in Giordania. Negli ultimi anni la sua attenzione si è concentrata sui
cambiamenti dei paradigmi delle discipline umanistiche legate ai beni culturali e al necessario sviluppo
di un nuovo approccio alla dimensione socio/economica della cultura. Coordina un corso magistrale di
Scienze del Turismo e dei Patrimoni Culturali, ed è
impegnato nella costruzione di reti di imprese culturali e creative.
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Lorenzo Garzella
Vincenzo Napolano
Nato e cresciuto a Pisa, dove si è laureato in Storia
e Critica del Cinema, ha frequentato nel 1996-97, a
Torino, la Scuola Video di Documentazione Sociale
“I Cammelli” di Daniele Segre. Nel 2001 ha fondato
con Filippo Macelloni, la società di produzione indipendente NANOF (Roma), con cui ha realizzato la
produzione esecutiva del documentario Silvio Forever di Filippo Macelloni e Roberto Faenza (2011) ed
ha collaborato con diverse società di produzione e
autori cinematografici italiani e internazionali, fra cui
il documentarista Jem Cohen e Roberto Benigni.
Ha realizzato videoinstallazioni, documentari, cortometraggi (Rai, Mediaset, Sky) ottenendo riconoscimenti in Italia e all’estero. Insieme a Filippo Macelloni ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio Il
Mundial dimenticato (90′, 2011), mockumentary ispirato a un racconto dello scrittore Osvaldo Soriano. Il
film, co-produzione italo-argentina, è stato presentato in anteprima al Festival di Venezia 2011 e in numerosi festival internazionali ricevendo svariati premi, è
stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane
a giugno 2012.
Ha diretto documentari di argomento storico e sociale: Eccehomini – ricordi di una strage, 1999, 60′ sull’eccidio nazi-fascista del padule di Fucecchio; Pinocchio
in Siam, 2000, 30′, sulle carceri minorili di Bangkok;
Scarcerarci Football Club, 50′, 2002, su una squadra di
detenuti e le condizioni carcerarie in Italia, presentato al Festival di Torino; Occhi su Roma, 2008, 60′, sul
rapporto fra videosorveglianza e città.
Ha dedicato particolare attenzione alla narrazione
sportiva, realizzando “La mia squadra – Marcello Lippi
racconta i Mondiali 2006″, 2010, 60′ Rai Uno; Rimet –
L’incredibile storia della Coppa del Mondo, 50′, 2010,
co-regia con F.Macelloni e C.Meneghetti, presentato
al Festival di Taormina 2010; Germany 2006, 90′, 2010,
film di montaggio sui mondiali tedeschi prodotto da
TP&associates in collaborazione con FIFA, per la distribuzione mondiale Home Video, 52 paesi.
Dal 2002 al 2009 e dal 2011 al 2014 Lorenzo Garzella
è stato docente esterno di Montaggio Video all'Università di Pisa.
Vincenzo Napolano, di formazione fisico, è comunicatore scientifico presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Si è occupato di comunicazione
istituzionale presso il Cnr e ha collaborato come free
lance con diverse testate giornalistiche (stampa, radio e web). Ha curato installazioni multimediali e mostre a carattere scientifico, con una particolare attenzione alla sperimentazione di nuove tecnologie per la
comunicazione. E’ stato curatore - tra le altre - delle
mostre: Balle di Scienza a Palazzo Blu di Pisa, 2014,
L’Energia del Vuoto a Palazzo Re Enzo, Bologna,
2013, Il dono della massa, Modena, Festival della
Filosofia, 2012, Astri e Particelle. Le Parole dell’Universo a Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2010. E’
autore di video e cartoon di divulgazione scientifica.
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Antonella Gioli
Antonella Gioli (Bolzano 1962) ha studiato a Firenze
e Milano, laureandosi in Lettere moderne – indirizzo
storico-artistico presso Università degli Studi di Milano; ha conseguito la Specializzazione e il Dottorato di
ricerca in Storia dell’arte presso l’Università di Pisa.
Ha lavorato a lungo alla Fondazione La Triennale di
Milano occupandosi di documentazione e attività
espositiva; ha collaborato con enti pubblici per progetti di valorizzazione territoriale e di sviluppo di tecnologie digitali per la cultura.
Dal 2006 è Ricercatore universitario Settore Scientifico Disciplinare L-ART/04 Museologia, Storia della
critica e del restauro presso il Dipartimento di Civiltà
e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, dove insegna Storia del collezionismo e del museo e Museologia
e museografia.
Tiene seminari e partecipa a convegni dedicati all’educazione al patrimonio, alla comunicazione e al
pubblico museale. E’membro del Comitato scientifico di “Le voci del museo. Collana di Museologia e
Museografia” della casa editrice Edifir di Firenze. Dal
marzo 2014 è Coordinatore scientifico del Progetto
di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale- PRIN La
vita delle opere: dalle fonti al digitale. Progetto pilota
per la ricerca e la comunicazione nei musei della storia
conservativa delle opere d’arte.
Suoi principali ambiti di ricerca, attività e pubblicazione sono: la storia delle istituzioni e politiche culturali
dal XVIII secolo a oggi; la dimensione culturale, sociopolitica e comunicativa del museo contemporaneo.
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II° Video Contest
[1] #500NO
Associazione Nazionale Archeologi
[2] Motel of the
Mysteries (Mis)
understanding
Archaeology
Associazione VOLO
Il video che presentiamo racconta un evento assai
singolare, quasi un unicum storico: la manifestazione di tutti i professionisti dei Beni Culturali tenutasi
sabato 11 gennaio 2014 a Roma, nella piazza del Pantheon. Per la prima volta, infatti, l’universo frastagliato dei professionisti del patrimonio è stato capace di
formare un’ampia coalizione e di scendere in piazza
per reclamare i propri diritti.
Il casus belli è stato il varo nell’agosto 2013 del decreto Valore Cultura (col quale l’allora Presidente del
Consiglio Enrico Letta aveva annunciato con grande
enfasi la volontà del Governo di creare nuovi posti di
lavoro in ambito culturale) cui fece seguito nel dicembre successivo il bando “500 giovani per la Cultura”,
promulgato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Tale bando prevedeva l’istituzione di uno stage formativo di 12 mesi presso istituti, siti e musei statali
per 500 laureati under 35 e con un compenso lordo
annuo di € 5000, misura ritenuta iniqua dai professionisti. A seguito delle prime proteste il bando venne
in parte modificato per eliminare alcuni profili di più
chiara illegittimità, tuttavia la sua stessa impostazione, paternalista e assistenzialista, rischia di penalizzare la tutela del nostro patrimonio e l'occupazione nel
settore: ai professionisti appare tuttora irragionevole la scelta di impiegare due milioni e mezzo di euro
per promuovere un'iniziativa di formazione anziché
stimolare buona occupazione presso tutti i soggetti
pubblici e privati detentori di beni culturali. Perché
non può esserci piena tutela se non si valorizzano le
competenze e la professionalità degli specialisti.
Abbiamo cercato di raccontare non tanto l’archeologia quanto gli archeologi in lotta assieme a restauratori, storici dell’arte, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, conservatori scientifici. Un’unione
nata attraverso la rete ed i social network e approdata in piazza, una nuova dimensione nei rapporti tra i
professionisti della cultura finora separati.
MapPapers - 17
Il presente video trae spunto dal romanzo Motel of
the Mysteries, pubblicato nel 1979 da David Macaulay. La storia prende avvio da un gruppo di archeologi che in un lontano futuro si trovano a riscoprire e
scavare i resti di un motel del XX secolo, giungendo
poi a sorprendenti conclusioni su ipotetici rituali cerimoniali praticati in quest’antica struttura. La satira
di Macaulay offre, dunque, l’opportunità di esplorare
le sfide e i limiti della ricerca archeologica. La scelta
di trasporre sullo schermo quest’opera, di per sé di
grande impatto, è dettata dall’intento di raccontare
l’archeologia come un processo di scoperta e ricostruzione della realtà attraverso l’interpretazione di
dati. Motel of the Mysteries, utilizzato nella didattica e
nei programmi di outreach anglosassone già da parecchio tempo per spiegare e raccontare il mestiere
dell’archeologo, offre una versione umoristica, a tratti dissacrante, dell’interpretazione archeologica. In
tal senso si è cercato di problematizzare la questione dell’interpretazione di un contesto archeologico,
non sempre chiaro o di immediata comprensione; i
dati che si ricavano dall’indagine e dall’attività di scavo non sempre consentono una ricostruzione fedele
di ciò che era reale e all’archeologo non rimane che
immaginare i possibili contesti originari, giungendo
spesso a conclusioni errate o fuorvianti. Lo scopo
dell’archeologo è di interpretare i dati ed i contesti e
solo attraverso la condivisione di tutte le informazioni
in un sistema libero e aperto si può arrivare ad un’interpretazione il più possibile realistica, evitando errori spesso dettati dall’ingenuità, dalla complicata
presentazione dei contesti e dalla parziale disponibilità dei dati. Gli oggetti e i dati rischiano di raccontare
solo una minima parte della storia se interpretati al
di fuori del proprio contesto, come mostrato nel finale del nostro video. Per delinearne la trama e a volte
intuirne il finale occorre ascoltare tutti i protagonisti:
oggetti, contesti, dati e condividere le informazioni.
“Symbols do not “reflect” but they play an active part
in forming and giving meaning to social behaviour”
(Hodder I.1982, Symbols in Action. Ethnoarchaeological
Studies of material Culture, Boston.).
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[3] La Valle dei Piccoli:
[4] Le relazioni
Archeologia ad Akragas pericolose
Laura Danile, Maria Concetta Parello,
Maria Serena Rizzo
Giuliano De Felice, Francesco Ripanti
Il video illustra i punti salienti del progetto La Valle
dei templi dei Piccoli, nato al Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento nel 2013, con lo scopo di
coinvolgere i bambini in attività ludico-culturali. Attraverso le immagini scelte abbiamo voluto raccontare il lavoro dell’archeologo, faticoso ma affascinante,
che permette di portare in luce tracce di civiltà ormai
sepolte e di viaggiare nel tempo alla scoperta di un
passato lontano.
Il nostro viaggio ci riporta a 2500 anni fa, quando
Akragas era così ricca e potente da poter essere definita la più bella città dei mortali. L’immaginazione,
unita alle testimonianze archeologiche e letterarie,
permette di ricostruire l’aspetto della colonia greca
ornata da numerosi templi policromi. Il più grande
era dedicato a Zeus, padre di tutti gli dei, e ornato da
statue colossali di giganti che si potevano ammirare
allineate lungo il perimetro dell’edificio. I giganti di
pietra ricordavano la vittoria di Zeus sui telamoni che
avevano osato sfidarlo e celebravano la vittoria degli
Akragantini ad Himera contro un nemico considerato
invincibile: i cartaginesi.
In città erano molto venerate anche Demetra e Kore;
al loro altare circolare le donne portavano numerose
offerte, come maialini e prodotti dei campi, per ingraziarsi le dee che regolavano il ciclo delle stagioni
e i raccolti.
Gli akragantini indossavano abiti molto diversi dai nostri, come mostrano le immagini sui vasi figurati che
tornano in luce nel corso degli scavi. Se l’archeologo
è in grado di decifrare gli indizi nella maniera corretta, i rinvenimenti diventano oggetti parlanti, che raccontano storie sulla vita quotidiana dell’epoca, i riti,
gli dei e ci aiutano a conoscere meglio la storia greca.
Questi vasi di terracotta, creati nei laboratori degli
infaticabili ceramisti e decorati da abilissimi ceramografi, ancora oggi sono degli autentici capolavori.
Akragas era circondata da possenti mura, costruite
per difendere la città dagli attacchi dei nemici. Tuttavia, quando nel 406 i Cartaginesi riuscirono a entrare,
nonostante lo sforzo dei valorosi guerrieri, della città rimase soltanto un cumulo di rovine. Akragas non
tornerà mai più al suo antico splendore.
Oggi, grazie al lavoro degli archeologi, tornano in luce
le testimonianze della storia della città che abbiamo
voluto raccontarvi.
Il video, tratto dall'omonimo blog post su “Passato e
Futuro” (http://www.passatoefuturo.com/2013/03/
le-relazioni-pericolose.html), racconta in modo autoironico come sia facile per gli archeologi arrivare ad
interpretazioni fuorvianti.
In questo caso due archeologi, procedendo alla
pulizia di un muro maldestramente, portano la responsabile di scavo sulla strada sbagliata. Di solito
le parole di un'archeologa esperta non si mettono in
discussione e, alla fine, anche loro sembrano essere
convinti della sua spiegazione. O almeno così preferiscono pensare.
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[5] Tourdion
In Vino Veritas Musici
[6] A Roma con i
Bentvueghels
The Walking media
Eʼ quasi il vespero del due di gennaio di un freddo
inverno. Nei giorni scorsi è caduta molta neve e giù
da me ho finito tutto quello che avevo da mangiare.
Ho camminato da stamattina attraverso le colline del
sole senza incontrare anima viva.
Sono molto stanco e infreddolito e mi si torcono le
budelle dalla fame. Sento che la fine è vicina.
Ecco il castello Malaspina, forse qui trovo qualcuno
o qualcosa di caldo da desinare. Mah...che diavolo è
questo frastuono, questo rumore? Viene da giù, dietro quella porta, mi avvicino, nessuna sentinella.
TOC.. non mi sentono dannazione.
TOC! TOC!
Aprite là dentro mi sentite? Per Dio! Aprite!
Chi é?
Sono un povero pellegrino, per favore datemi qualcosa da mangiare. Sto per morire.
SKREK!
NO! PILADE?
SEI PROPRIO TU? Allora non sei morto nelle Bretagne! Ma cosa ci fai allo castello del Fosdinovo? E chi
son codesti figuri che spernacchiano? Son amici tui?
Ah caro messere! Fatti abbracciare! Sapessi sapessi
qual viaggi ho compiuto e quali prodigi ho visto con
questi occhi! ma vieni! Vieni allo desco prendi della
salama. Hai sentito? Dico hai sentito che note celestiali? Questa caro è la MUSICA! Questi maestri son
di codeste parti, della Lunigiana, si fan chiamare In
Vino Veritas, vanno di corte in corte, di paese in borgo, di vicolo in piazza per allietare li animi e ristorare
gli spiriti con le loro dolci note. Bevi un gotto, siedi
caro amico. Essi sono in codesti giorni al castello e
lʼonnipotente ha voluto che io tornassi proprio iersera dalli miei viaggi a settentrione e li trovassi già qui
a sonar e far baldoria. Che spasso! Unisciti, unisciti a
noi a cantare e sonare PER BACCO!
MapPapers - 17
Il lavoro che vi presentiamo nasce come prodotto di
gruppo per il corso di Mediologia all’Università La Sapienza di Roma.
Lo scopo era dare vita ad un progetto di promozione
turistica di un’area di Roma meno visitata rispetto al
celebre Municipio I, che racchiude le maggiori attrazioni.
La prima fase del lavoro, a seguito della decisione di
dedicarci all’area del secondo municipio, è stata la selezione di sette PoI (Points of Interest), che sarebbero
dovuti essere illustrati brevemente e collegati da una
storyline accattivante.
Vi era completa libertà sulla scelta del tema e la nostra è ricaduta sull’ambientazione storica della Roma
seicentesca, nella quale un gruppo di artisti ci avrebbe fatto da guida: i Bentvueghels.
La scoperta del gruppo è avvenuta mentre raccoglievamo informazioni riguardo la Chiesa di S. Costanza,
nella quale gli artisti che ne facevano parte erano soliti tenere riti di iniziazione per i nuovi membri a base
di vino e usanze bacchiche.
Lo spettatore ha il ruolo di un’aspirante membro del
gruppo che viene accolto da Michelangelo Cerquozzi,
il quale lo guiderà per diversi luoghi celebri dell’area
del Municipio II (in questa versione solo tre), alla conoscenza di Roma e di altri membri dell’organizzazione, fino a giungere alla famosa chiesa, dove si concluderà il tour e avrà luogo l’iniziazione.
La narrazione avviene grazie all’uso di dipinti degli
stessi autori alternati a immagini moderne, mentre
i personaggi, che appaiono come sagome agli angoli
dello schermo, illustrano i luoghi in questione. Infine
la voce del narratore integra la storia dei monumenti
con gli eventi che li hanno riguardati dal 1700 al presente.
Il video, montato con Sony Vegas, è stato riassunto
in tre minuti cercando di mantenere il più possibile
intatta parte della storyline originale.
Partecipanti: Riccardo Sonnino, Davide Spinogatti,
Esmeralda Grispigni, Alice Maniscalco, Silvia Austini,
Michela Mariani, Hane Hajavi, Farideh Ghorbani
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