Scheda di sala

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Scheda di sala
S T A G I O N E
D ’ O P E R A
2 0 1 2 - 2 0 1 3
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Carmen
Orchestra
Coro
Violini primi Stefano Vagnarelli*, Marina Bertolo,
Monica Tasinato, Claudia Zanzotto, Soyeon Kim,
Elio Lercara, Carmen Lupoli, Enrico Luxardo,
Miriam Maltagliati, Alessio Murgia, Laura Quaglia,
Daniele Soncin, Giuseppe Tripodi, Roberto Zoppi
Soprani Sabrina Amè, Nicoletta Baù, Anna Beretta,
Chiara Bongiovanni, Anna Maria Borri, Sabrina Boscarato,
Eugenia Braynova, Serafina Cannillo, Cristina Cogno,
Cristiana Cordero, Eugenia Degregori, Alessandra Di Paolo,
Manuela Giacomini, Rita La Vecchia, Laura Lanfranchi,
Chiara Lazzari, Paola Isabella Lopopolo,
Maria de Lourdes Martins, Pierina Trivero, Giovanna Zerilli
Violini secondi Marco Polidori*, Tomoka Osakabe,
Bartolomeo Angelillo, Silvana Balocco, Paola Bettella,
Maurizio Dore, Anna Rita Ercolini, Silvio Gasparella,
Roberto Lirelli, Anselma Martellono, Paolo Mulazzi,
Ivana Nicoletta
Viole Maura Bruschetti*, Alessandro Cipolletta,
Gustavo Fioravanti, Tamara Bairo, Rita Bracci,
Maria Elena Eusebietti, Alma Mandolesi, Franco Mori,
Roberto Musso, Claudio Vignetta, Giuseppe Zoppi
Violoncelli Relja Lukic*, Davide Eusebietti, Giulio Arpinati,
Augusto Gasbarri, Alfredo Giarbella, Armando Matacena,
Luisa Miroglio, Marco Mosca
Contrabbassi Atos Canestrelli, Fulvio Caccialupi,
Damiano D’Amico, Michele Lipani, Stefano Schiavolin
Flauti Federico Giarbella*, Roberto Baiocco
Oboi Luigi Finetto*, Stefano Simondi
Corno inglese Alessandro Cammilli
Clarinetti Alessandro Dorella*, Luciano Meola
Mezzosoprani / Contralti Cristiana Arri, Angelica Buzzolan,
Shiow-hwa Chang, Ivana Cravero, Corallina Demaria,
Maria Di Mauro, Roberta Garelli, Rossana Gariboldi,
Elena Induni, Antonella Martin, Raffaella Riello,
Myriam Rossignol, Marina Sandberg, Teresa Uda,
Daniela Valdenassi, Tiziana Valvo, Barbara Vivian
Tenori Pierangelo Aimé, Janos Buhalla, Marino Capettini,
Gian Luigi Cara, Antonio Coretti, Diego Cossu,
Salvatore De Benedetto, Luis Odilon Dos Santos,
Alejandro Escobar, Giancarlo Fabbri, Mauro Ginestrone,
Roberto Guenno, Leopoldo Lo Sciuto, Vito Martino,
Matteo Mugavero, Matteo Pavlica, Dario Prola,
Gualberto Silvestri, Sandro Tonino, Franco Traverso,
Valerio Varetto
Baritoni / Bassi Leonardo Baldi, Mauro Barra, Enrico Bava,
Massimo Di Stefano, Riccardo Di Stefano, Umberto Ginanni,
Vladimir Jurlin, Riccardo Mattiotto, Davide Motta Fré,
Gheorghe Valentin Nistor, Franco Rizzo, Enrico Speroni,
Marco Sportelli, Marco Tognozzi, Vincenzo Vigo
Fagotti Andrea Azzi*, Orazio Lodin
Corni Ugo Favaro*, Pierluigi Filagna, Fabrizio Dindo,
Eros Tondella
Trombe Sandro Angotti*, Marco Rigoletti
Tromboni Gianluca Scipioni*, Enrico Avico,
Marco Tempesta
Timpani Massimiliano Francese*
Percussioni Lavinio Carminati, Fiorenzo Sordini,
Andrea Vigliocco
Coro di voci bianche
Martina Baroni, Giorgia Bonaventura, Emma Bruno,
Alice Cavalli, Michelangelo Chiappero, Virginia Clerico,
Emanuela De Fezza, Luca Demestrio, Francesca Demarchi,
Adam Gatti, Lavinia Jurlin, Eleonora Macrì, Anita Maiocco,
Giulia Moretto, Celeste Mostert, Tommaso Paronuzzi,
Martina Pelusi, Carlotta Petruccioli, Giulia Rimonda,
Chiara Rubeo, Elena Scamuzzi, Vittoria Sentina,
Gabriele Tozzi, Irene Tozzi, Esther Zaglia
Arpa Alessia Luise*
* prime parti
Il professore Stefano Vagnarelli suona un violino Santo Serafino Venezia 1725 della Fondazione Pro Canale di Milano.
Direttori di scena Riccardo Fracchia, Riccardino Massa • Direttore dei complessi musicali in palcoscenico Giulio Laguzzi • Maestri
collaboratori di sala Carlo Caputo, Giannandrea Agnoletto • Maestro rammentatore Andrea Mauri • Maestro alle luci Paolo
Chimienti • Maestri collaboratori di palcoscenico Carlo Caputo, Giulio Laguzzi • Assistente del maestro del coro Andrea Secchi
Archivio musicale Enrico Maria Ferrando • Sopratitoli a cura di Sergio Bestente • Servizi tecnici di palcoscenico Antonio Martellotto
Realizzazione allestimenti Claudia Boasso • Servizi di vestizione Laura Viglione • Luci di scena e fonica Andrea Anfossi • Coordinatore
di progetto Enzo Busco
Scene, costumi, attrezzeria e calzature Gran Teatre del Liceu, Barcellona • Parrucche e trucco Mario Audello, Torino
I bouquet di fiori sono offerti da
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Prezzo: € 0,50 (iva inclusa)
Opéra-comique in quattro atti
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
dalla omonima novella di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Personaggi
Carmen, zingara mezzosoprano
Don José, caporale dei dragoni tenore
Micaëla, fanciulla di paese soprano
Escamillo, torero baritono
Frasquita, amica di Carmen soprano
Mercédès, amica di Carmen mezzosoprano
Il Dancaïre, contrabbandiere baritono
Il Remendado, contrabbandiere tenore
Moralès, brigadiere baritono
Zuniga, tenente dei dragoni basso
Lillas Pastia, oste attore
Direttore d’orchestra
Regia
ripresa da
Scene
Costumi
Luci
Direttore dell’allestimento
Maestro dei cori
Interpreti
Anita Rachvelishvili
Giuseppina Piunti*
Maksim Aksënov
Carlo Ventre*
Alessandra Marianelli
Erika Grimaldi*
Mark S. Doss
Károly Szemerédy*
Arianna Vendittelli
Annalisa Stroppa
Paolo Maria Orecchia
Antonio Feltracco
Federico Longhi
Francesco Musinu
Bob Marchese
Yutaka Sado
Calixto Bieito
Joan Anton Rechi
Alfons Flores
Mercè Paloma
Alberto R. Vega
Saverio Santoliquido
Claudio Fenoglio
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”
Allestimento Teatro Regio in coproduzione con Gran Teatre del Liceu di Barcellona,
Teatro Massimo di Palermo e Teatro La Fenice di Venezia
Novembre 2012: Martedì 13 ore 20, Mercoledì 14* ore 20, Giovedì 15 ore 20,
Venerdì 16* ore 20, Domenica 18 ore 15, Martedì 20* ore 15, Mercoledì 21 ore 20,
Giovedì 22* ore 20, Venerdì 23 ore 20, Sabato 24* ore 20, Domenica 25 ore 15
Carmen
Argomento
Atto I
Una piazza, a Siviglia. Micaëla, una giovane provinciale, si presenta al corpo di guardia dei dragoni
in cerca del fidanzato, il caporale Don José. Ma José non arriverà che per il cambio della guardia. Allontanatasi Micaëla, il capoposto Moralès e i soldati tornano alla routine della guardia e combattono
la noia indulgendo a pettegolezzi sui passanti. Più tardi – preceduto da un gruppetto di monelli –
arriva Don José con il suo drappello, e Moralès gli riferisce della visita di Micaëla. Suona la campana
della manifattura: gli uomini si radunano in attesa delle sigaraie, e in particolare di Carmen. L’unico
a non prestare attenzione alla bella gitana è Don José: Carmen gli getta un fiore e, ridendo, entra con
le compagne nella fabbrica. Don José è turbato, e nasconde il fiore quando ritorna Micaëla, che gli
porta una lettera dell’anziana madre. Micaëla parte e José – quasi a liberarsi del pensiero ossessivo
della zingara – sta per gettare il fiore, ma viene distratto dal trambusto che proviene dalla manifattura: Carmen ha ferito una compagna, e proprio lui è incaricato di condurla in prigione. Ma Carmen
non ha difficoltà a soggiogarlo con il proprio fascino, e lo convince a lasciarla fuggire.
Atto II
La taverna di Lillas Pastia. Carmen si intrattiene con gli amici: oltre a Mercédès e Frasquita, ci sono
due contrabbandieri, il Dancaïre e il Remendado, e il tenente Zuniga, che ha un debole per lei. Poco
dopo giunge il torero Escamillo, vantandosi delle proprie vittorie nella Plaza de Toros, ma Carmen
risponde evasivamente alle sue avance. Quando i contrabbandieri la invitano a seguirli in montagna,
Carmen rivela di essere innamorata e di voler aspettare Don José, che è stato imprigionato per averla
lasciata fuggire. E Don José compare poco dopo: dichiara a Carmen di non aver pensato che a lei,
in prigione, inebriato dal profumo del fiore che lei gli aveva donato. Una tromba annuncia la ritirata:
Carmen schernisce Don José perché vorrebbe rientrare in caserma anziché restare con lei. Ritorna
Zuniga, che invita Don José a lasciarlo solo con Carmen. Il giovane si ribella e lo sfida: ma il Dancaïre
e il Remendado disarmano Zuniga e lo legano. A José non resta che disertare e fuggire in montagna
con la compagnia.
Atto III
Un luogo selvaggio in montagna. Carmen è ormai stanca di José, geloso e in preda ai rimorsi. Con
Frasquita e Mercédès legge le carte: il responso è chiaro, entrambi sono destinati a morire. I contrabbandieri si allontanano dal campo, e José rimane solo a sorvegliare il passo. Poco dopo arriva Micaëla,
in cerca di Don José per avvertirlo che la madre è in fin di vita. Spaurita, si nasconde tra le rocce.
Don José spara un colpo perché ha avvistato uno sconosciuto; l’uomo si avvicina e si presenta: è
Escamillo. È venuto al campo perché è innamorato di Carmen e ha saputo che la sua storia con un
ex dragone è ormai finita. José rivela di essere lui, l’ex dragone, e lo sfida a battersi: sta per sopraffarlo
quando i contrabbandieri, di ritorno al campo, lo fermano. Escamillo invita tutti ad assistere alla corrida e si allontana. Il Remendado scopre Micaëla: la giovane supplica José di tornare dalla madre.
José si allontana promettendo a Carmen di ritornare.
Atto IV
Una piazza, a Siviglia. La folla, riunitasi davanti all’arena per assistere alla sfilata dei protagonisti della
corrida, applaude l’arrivo di Escamillo. Il torero, prima di entrare nell’arena, dichiara il proprio amore a
Carmen. Frasquita e Mercédès hanno notato José tra la folla, e mettono in guardia Carmen, che rimane
– sola – per affrontarlo. L’ex dragone, disperato, si dichiara disposto a tutto purché Carmen ritorni con
lui. Ma Carmen rifiuta, rivendicando la propria libertà: ammette di amare Escamillo e restituisce a José
l’anello che lui le aveva donato. Pazzo di gelosia, José la pugnala, e si consegna alle guardie.
Questa versione dell’opera prevede un solo intervallo dopo il secondo atto.
Prima rappresentazione assoluta: Parigi, Opéra-Comique, 3 marzo 1875.
Semplicemente Carmen. Lo spettacolo di Bieito
di Alberto Mattioli
Le regie sono il principale argomento di discussione e talvolta di rissa nel mondo dell’opera di oggi
e anche la principale dimostrazione che è vivo e, nonostante tutto, vitale. A sua volta, Calixto Bieito
è uno dei registi d’opera più discussi, di quelli che sono detti “provocatori”. Tuttavia, proprio questa
Carmen, che da molti anni gira per i teatri di tutto il mondo, dimostra che il “problema Bieito” è mal
posto. Intanto, perché le “provocazioni” fine a loro stesse non durano: il monello che fa pipì in salotto
potrà anche essere considerato divertente o accolto con indulgenza (“Che carino!”) la prima volta,
ma nessun genitore sensato (e chi va all’opera, benché talvolta non sembri, non è meno sensato di
chiunque altro) può accettare che diventi la regola. E poi perché, se si va a guardare dentro la Carmen
secondo Bieito, si scopre che non è affatto eversiva o, appunto, “provocatoria”; o almeno non più provocatoria di quanto sia Carmen di suo, ma anzi assai “tradizionale” e, alla fine, del tutto rispettosa
della drammaturgia pensata da Bizet e dai suoi librettisti. Una fedeltà, ovviamente, non formale ma
sostanziale. L’unica che ci interessi.
Tutta l’opera si svolge in un grande vuoto. Siamo, pare, negli anni Settanta ancora franchisti ed è
una Spagna povera, machista, annoiata, sensuale e puzzolente di aglio, di sudore e di tabacco. Non
ci sono né scene né attrezzeria. Prendete il primo atto: un pennone da cui sventola una grande bandiera spagnola e una cabina telefonica, da cui esce Carmen dopo aver presumibilmente regolato i
conti con il suo amante pre-José: «Mon amoureux... il est au diable / Je l’ai mis à la porte hier!», canterà poi nella Séguedille. Un soldato punito corre tutt’intorno in mitra e mutande fino a stramazzare
sfinito per terra (i militari, la solita mania di Bieito… Ma non marziali, piuttosto ossessionati – o
ossessionanti – con i loro fantasmi di sesso e violenza). Anche i bambini tutto sono meno che allegri:
anzi, il loro coro è la distribuzione della minestra dei poveri a un gruppo di sciuscià cenciosi.
La definizione dei personaggi è subito netta. Macché erotismo “di testa”: Carmen è una bomba del
sesso e, anche se è ben lontana dall’abituale definizione del personaggio come puttanone da viale di
periferia, quanto a esplicitare il desiderio non scherza: prima di essere inviato a bersaglio, il fiore lo
passa su una parte molto intima della sua anatomia. Se vuole sedurre un maschio, gli monta sopra
a cavalcioni. Quanto a José, è finalmente quella figura terribilmente banale che abbiamo sempre sospettato. Il tipico bravo ragazzo mediterraneo imbranato, tutto caserma, mamma e fidanzatina. Di
mammà blatera di continuo e con la fidanzatina scatta le consuete foto-ricordo idiote. Costei,
Micaëla, dal canto suo non è affatto il solito salice piangente spaventato anche dalla sua ombra. Va
bene che il personaggio doveva fare da contraltare, borghesemente accettabile e moralmente irreprensibile, a quella mina vagante antisociale, anzi asociale, di Carmen. Però, a ben pensarci (Bieito, evidentemente, l’ha fatto), le brave ragazze timorose e timorate non vanno negli accampamenti dei
contrabbandieri per riprendersi il moroso traviato dalla donnaccia.
Secondo atto sempre vuoto, con la taverna di Lillas Pastia che è una Mercedes scassata sulla quale i
contrabbandieri vanno a contrabbandare. Una ragazzina balla l’Entr’Acte, ma la sua innocenza non è
già più tale: veste da grande e accanto all’incongruo alberino di Natale che le viene allestito si svolgono
le peggio cose, compresa una fellatio al contrabbandiere, ma dietro la portiera della Mercedes, quindi
– si spera – niente scandalo e commenti indignati. Del resto, non è che nella malavita ci si comporti
come nel salotto di nonna Speranza – dove peraltro, sia detto senza polemiche, si è bizzarramente
convinti che l’opera sia una sorta di museo, quindi quel che si vede ogni volta che si va al cinema o si
accende la televisione o si apre un giornale all’opera è, chissà perché, impossibile e/o scandaloso, come
se il teatro musicale fosse sottratto al fluire del tempo, tal quale Loreto impagliato…
Nel terzo atto, si moltiplicano le Mercedes e compare un grande toro. Sì, proprio il toro pubblicitario della Osborne, grande griffe di liquori e vini, quello che spunta su ogni poggio utile nelle sierre
sterminate e apparentemente spopolate. Chiunque abbia girato un po’ la Spagna lo sa: su ogni collina
sbuca questo toro, simbolo della tauromachia e della marca ma anche di una virilità che non è tale
se non sfida il toro, dunque la morte, irrorando poi le fauci che ardono con un’adeguata dose di
alcol. Ancora una volta, siamo lontanissimi dai cliché turistici modello «Welcome to Siviglia» per
comitive in torpedone. Ma siamo fedelissimi a una certa idea di Spagna come summa di ogni possibile antropologia sudeuropea e mediterranea. Ricapitoliamo: grande toro sullo sfondo, notte di
luna, arpa e flauto che intonano la più bella e sognante melodia dell’opera. Arriva un tale, si spoglia
completamente e inizia a mimare una corrida. Provocazione – sento già urlare. E invece altro non
è che l’antichissimo rito dell’iniziazione del torero, che sceglie la luna piena come spettatrice del suo
balletto con la morte… Più spagnolo e “autentico” di così!
Il quarto atto è, dal punto di vista registico, puro virtuosismo. La sfilata dei «prodi del circo de’
tori», per dirla con Francesco Maria Piave, c’è ma non si vede. Si svolge evidentemente in platea e
così tutta la scenografia consiste in una corda, una semplice corda dietro la quale si assiepa la folla,
né più né meno di quello che succede oggi quando sfilano i sedicenti Vip. La Quadrille, les hardis
chulos, les banderilleros, les picadors e naturalmente l’espada c’è davvero bisogno di vederli? Li conosciamo,
li abbiamo visti, magari live o più spesso alla Tv.
Il finale dell’opera, ma a ben pensarci tutto lo spettacolo, è molto “fisico”. La regia, giova ricordarlo,
non è scenografia. Non è “dove” si fanno le cose, ma cosa si fa e soprattutto come. E questa Carmen
è tutta molto carnale, impastata di sudore e di sangue. Macché mossette e balletti e gonne alzate e
abbassate. Carmen vuole Don José come poi vorrà Escamillo. Nel secondo atto, il quasi ex brigadiere
verrà spogliato e spolpato, con la mano di lei che si posa proprio lì. Carmen scalcia, graffia, morde.
E alla fine sarà sgozzata come una vittima sacrificale. Anche se, ed è un’idea bellissima, quando lei
gli ridà l’anello che «autrefois» lui le ha regalato, non glielo getta addosso con disprezzo come si
vede sempre: glielo mette in mano, con dolcezza, con lentezza, come se esprimesse il rimpianto di
quello che, nonostante tutto, è stato amore.
In generale, questa Carmen celebra il corpo. Scandaloso? Certo. Ma l’opera fu scandalosa fin dall’inizio, perché sceglieva di raccontare le pulsioni dell’uomo e della donna senza i paraventi della morale,
della religione, della ragione e della metafisica.
E tuttavia il finale della Carmen “di” Bieito spiega plasticamente il vero messaggio di quest’opera,
che è il Don Giovanni dell’Ottocento, ma ancora più scandaloso perché il suo protagonista è tre volte
inferiore in quanto: a) donna; b) zingara; c) fuorilegge. Quello di Carmen non è un omicidio: è un
suicidio. Come Don Giovanni, Carmen sa che morirà. Del resto, poco prima gliel’hanno detto
Frasquita e Mercédès, le sue amiche. Potrebbe salvarsi, ma non lo fa. Non scappa. Sceglie di morire,
ed è una scelta profondamente morale, anche se viene da una donna immorale, per ribadire la sua
libertà. Libertà di essere contro ogni legge religiosa, statale, sociale. Libertà di cercare sempre e soltanto «la chose enivrante: la liberté!». Libertà di rifiutare ogni regola, tranne quelle che ci si è scelti.
Libertà di morire per essere fedeli a se stessi. Lo scrisse sei secoli prima di Bizet un poeta, anzi il
Poeta: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta».
Ora, tutto questo nella Carmen “di” Bieito c’è. E c’è nella recitazione, nella drammaturgia, insomma
nel teatro. Perciò questa Carmen non è né “moderna” né “rivoluzionaria” e men che meno “provocatoria”. È, semplicemente, Carmen.
Restate in contatto con il Teatro Regio:
facebook.com/teatroregio |
@TeatroRegio
Carmen
Argomento
Atto I
Una piazza, a Siviglia. Micaëla, una giovane provinciale, si presenta al corpo di guardia dei dragoni
in cerca del fidanzato, il caporale Don José. Ma José non arriverà che per il cambio della guardia. Allontanatasi Micaëla, il capoposto Moralès e i soldati tornano alla routine della guardia e combattono
la noia indulgendo a pettegolezzi sui passanti. Più tardi – preceduto da un gruppetto di monelli –
arriva Don José con il suo drappello, e Moralès gli riferisce della visita di Micaëla. Suona la campana
della manifattura: gli uomini si radunano in attesa delle sigaraie, e in particolare di Carmen. L’unico
a non prestare attenzione alla bella gitana è Don José: Carmen gli getta un fiore e, ridendo, entra con
le compagne nella fabbrica. Don José è turbato, e nasconde il fiore quando ritorna Micaëla, che gli
porta una lettera dell’anziana madre. Micaëla parte e José – quasi a liberarsi del pensiero ossessivo
della zingara – sta per gettare il fiore, ma viene distratto dal trambusto che proviene dalla manifattura: Carmen ha ferito una compagna, e proprio lui è incaricato di condurla in prigione. Ma Carmen
non ha difficoltà a soggiogarlo con il proprio fascino, e lo convince a lasciarla fuggire.
Atto II
La taverna di Lillas Pastia. Carmen si intrattiene con gli amici: oltre a Mercédès e Frasquita, ci sono
due contrabbandieri, il Dancaïre e il Remendado, e il tenente Zuniga, che ha un debole per lei. Poco
dopo giunge il torero Escamillo, vantandosi delle proprie vittorie nella Plaza de Toros, ma Carmen
risponde evasivamente alle sue avance. Quando i contrabbandieri la invitano a seguirli in montagna,
Carmen rivela di essere innamorata e di voler aspettare Don José, che è stato imprigionato per averla
lasciata fuggire. E Don José compare poco dopo: dichiara a Carmen di non aver pensato che a lei,
in prigione, inebriato dal profumo del fiore che lei gli aveva donato. Una tromba annuncia la ritirata:
Carmen schernisce Don José perché vorrebbe rientrare in caserma anziché restare con lei. Ritorna
Zuniga, che invita Don José a lasciarlo solo con Carmen. Il giovane si ribella e lo sfida: ma il Dancaïre
e il Remendado disarmano Zuniga e lo legano. A José non resta che disertare e fuggire in montagna
con la compagnia.
Atto III
Un luogo selvaggio in montagna. Carmen è ormai stanca di José, geloso e in preda ai rimorsi. Con
Frasquita e Mercédès legge le carte: il responso è chiaro, entrambi sono destinati a morire. I contrabbandieri si allontanano dal campo, e José rimane solo a sorvegliare il passo. Poco dopo arriva Micaëla,
in cerca di Don José per avvertirlo che la madre è in fin di vita. Spaurita, si nasconde tra le rocce.
Don José spara un colpo perché ha avvistato uno sconosciuto; l’uomo si avvicina e si presenta: è
Escamillo. È venuto al campo perché è innamorato di Carmen e ha saputo che la sua storia con un
ex dragone è ormai finita. José rivela di essere lui, l’ex dragone, e lo sfida a battersi: sta per sopraffarlo
quando i contrabbandieri, di ritorno al campo, lo fermano. Escamillo invita tutti ad assistere alla corrida e si allontana. Il Remendado scopre Micaëla: la giovane supplica José di tornare dalla madre.
José si allontana promettendo a Carmen di ritornare.
Atto IV
Una piazza, a Siviglia. La folla, riunitasi davanti all’arena per assistere alla sfilata dei protagonisti della
corrida, applaude l’arrivo di Escamillo. Il torero, prima di entrare nell’arena, dichiara il proprio amore a
Carmen. Frasquita e Mercédès hanno notato José tra la folla, e mettono in guardia Carmen, che rimane
– sola – per affrontarlo. L’ex dragone, disperato, si dichiara disposto a tutto purché Carmen ritorni con
lui. Ma Carmen rifiuta, rivendicando la propria libertà: ammette di amare Escamillo e restituisce a José
l’anello che lui le aveva donato. Pazzo di gelosia, José la pugnala, e si consegna alle guardie.
Questa versione dell’opera prevede un solo intervallo dopo il secondo atto.
Prima rappresentazione assoluta: Parigi, Opéra-Comique, 3 marzo 1875.
Semplicemente Carmen. Lo spettacolo di Bieito
di Alberto Mattioli
Le regie sono il principale argomento di discussione e talvolta di rissa nel mondo dell’opera di oggi
e anche la principale dimostrazione che è vivo e, nonostante tutto, vitale. A sua volta, Calixto Bieito
è uno dei registi d’opera più discussi, di quelli che sono detti “provocatori”. Tuttavia, proprio questa
Carmen, che da molti anni gira per i teatri di tutto il mondo, dimostra che il “problema Bieito” è mal
posto. Intanto, perché le “provocazioni” fine a loro stesse non durano: il monello che fa pipì in salotto
potrà anche essere considerato divertente o accolto con indulgenza (“Che carino!”) la prima volta,
ma nessun genitore sensato (e chi va all’opera, benché talvolta non sembri, non è meno sensato di
chiunque altro) può accettare che diventi la regola. E poi perché, se si va a guardare dentro la Carmen
secondo Bieito, si scopre che non è affatto eversiva o, appunto, “provocatoria”; o almeno non più provocatoria di quanto sia Carmen di suo, ma anzi assai “tradizionale” e, alla fine, del tutto rispettosa
della drammaturgia pensata da Bizet e dai suoi librettisti. Una fedeltà, ovviamente, non formale ma
sostanziale. L’unica che ci interessi.
Tutta l’opera si svolge in un grande vuoto. Siamo, pare, negli anni Settanta ancora franchisti ed è
una Spagna povera, machista, annoiata, sensuale e puzzolente di aglio, di sudore e di tabacco. Non
ci sono né scene né attrezzeria. Prendete il primo atto: un pennone da cui sventola una grande bandiera spagnola e una cabina telefonica, da cui esce Carmen dopo aver presumibilmente regolato i
conti con il suo amante pre-José: «Mon amoureux... il est au diable / Je l’ai mis à la porte hier!», canterà poi nella Séguedille. Un soldato punito corre tutt’intorno in mitra e mutande fino a stramazzare
sfinito per terra (i militari, la solita mania di Bieito… Ma non marziali, piuttosto ossessionati – o
ossessionanti – con i loro fantasmi di sesso e violenza). Anche i bambini tutto sono meno che allegri:
anzi, il loro coro è la distribuzione della minestra dei poveri a un gruppo di sciuscià cenciosi.
La definizione dei personaggi è subito netta. Macché erotismo “di testa”: Carmen è una bomba del
sesso e, anche se è ben lontana dall’abituale definizione del personaggio come puttanone da viale di
periferia, quanto a esplicitare il desiderio non scherza: prima di essere inviato a bersaglio, il fiore lo
passa su una parte molto intima della sua anatomia. Se vuole sedurre un maschio, gli monta sopra
a cavalcioni. Quanto a José, è finalmente quella figura terribilmente banale che abbiamo sempre sospettato. Il tipico bravo ragazzo mediterraneo imbranato, tutto caserma, mamma e fidanzatina. Di
mammà blatera di continuo e con la fidanzatina scatta le consuete foto-ricordo idiote. Costei,
Micaëla, dal canto suo non è affatto il solito salice piangente spaventato anche dalla sua ombra. Va
bene che il personaggio doveva fare da contraltare, borghesemente accettabile e moralmente irreprensibile, a quella mina vagante antisociale, anzi asociale, di Carmen. Però, a ben pensarci (Bieito, evidentemente, l’ha fatto), le brave ragazze timorose e timorate non vanno negli accampamenti dei
contrabbandieri per riprendersi il moroso traviato dalla donnaccia.
Secondo atto sempre vuoto, con la taverna di Lillas Pastia che è una Mercedes scassata sulla quale i
contrabbandieri vanno a contrabbandare. Una ragazzina balla l’Entr’Acte, ma la sua innocenza non è
già più tale: veste da grande e accanto all’incongruo alberino di Natale che le viene allestito si svolgono
le peggio cose, compresa una fellatio al contrabbandiere, ma dietro la portiera della Mercedes, quindi
– si spera – niente scandalo e commenti indignati. Del resto, non è che nella malavita ci si comporti
come nel salotto di nonna Speranza – dove peraltro, sia detto senza polemiche, si è bizzarramente
convinti che l’opera sia una sorta di museo, quindi quel che si vede ogni volta che si va al cinema o si
accende la televisione o si apre un giornale all’opera è, chissà perché, impossibile e/o scandaloso, come
se il teatro musicale fosse sottratto al fluire del tempo, tal quale Loreto impagliato…
Nel terzo atto, si moltiplicano le Mercedes e compare un grande toro. Sì, proprio il toro pubblicitario della Osborne, grande griffe di liquori e vini, quello che spunta su ogni poggio utile nelle sierre
sterminate e apparentemente spopolate. Chiunque abbia girato un po’ la Spagna lo sa: su ogni collina
sbuca questo toro, simbolo della tauromachia e della marca ma anche di una virilità che non è tale
se non sfida il toro, dunque la morte, irrorando poi le fauci che ardono con un’adeguata dose di
alcol. Ancora una volta, siamo lontanissimi dai cliché turistici modello «Welcome to Siviglia» per
comitive in torpedone. Ma siamo fedelissimi a una certa idea di Spagna come summa di ogni possibile antropologia sudeuropea e mediterranea. Ricapitoliamo: grande toro sullo sfondo, notte di
luna, arpa e flauto che intonano la più bella e sognante melodia dell’opera. Arriva un tale, si spoglia
completamente e inizia a mimare una corrida. Provocazione – sento già urlare. E invece altro non
è che l’antichissimo rito dell’iniziazione del torero, che sceglie la luna piena come spettatrice del suo
balletto con la morte… Più spagnolo e “autentico” di così!
Il quarto atto è, dal punto di vista registico, puro virtuosismo. La sfilata dei «prodi del circo de’
tori», per dirla con Francesco Maria Piave, c’è ma non si vede. Si svolge evidentemente in platea e
così tutta la scenografia consiste in una corda, una semplice corda dietro la quale si assiepa la folla,
né più né meno di quello che succede oggi quando sfilano i sedicenti Vip. La Quadrille, les hardis
chulos, les banderilleros, les picadors e naturalmente l’espada c’è davvero bisogno di vederli? Li conosciamo,
li abbiamo visti, magari live o più spesso alla Tv.
Il finale dell’opera, ma a ben pensarci tutto lo spettacolo, è molto “fisico”. La regia, giova ricordarlo,
non è scenografia. Non è “dove” si fanno le cose, ma cosa si fa e soprattutto come. E questa Carmen
è tutta molto carnale, impastata di sudore e di sangue. Macché mossette e balletti e gonne alzate e
abbassate. Carmen vuole Don José come poi vorrà Escamillo. Nel secondo atto, il quasi ex brigadiere
verrà spogliato e spolpato, con la mano di lei che si posa proprio lì. Carmen scalcia, graffia, morde.
E alla fine sarà sgozzata come una vittima sacrificale. Anche se, ed è un’idea bellissima, quando lei
gli ridà l’anello che «autrefois» lui le ha regalato, non glielo getta addosso con disprezzo come si
vede sempre: glielo mette in mano, con dolcezza, con lentezza, come se esprimesse il rimpianto di
quello che, nonostante tutto, è stato amore.
In generale, questa Carmen celebra il corpo. Scandaloso? Certo. Ma l’opera fu scandalosa fin dall’inizio, perché sceglieva di raccontare le pulsioni dell’uomo e della donna senza i paraventi della morale,
della religione, della ragione e della metafisica.
E tuttavia il finale della Carmen “di” Bieito spiega plasticamente il vero messaggio di quest’opera,
che è il Don Giovanni dell’Ottocento, ma ancora più scandaloso perché il suo protagonista è tre volte
inferiore in quanto: a) donna; b) zingara; c) fuorilegge. Quello di Carmen non è un omicidio: è un
suicidio. Come Don Giovanni, Carmen sa che morirà. Del resto, poco prima gliel’hanno detto
Frasquita e Mercédès, le sue amiche. Potrebbe salvarsi, ma non lo fa. Non scappa. Sceglie di morire,
ed è una scelta profondamente morale, anche se viene da una donna immorale, per ribadire la sua
libertà. Libertà di essere contro ogni legge religiosa, statale, sociale. Libertà di cercare sempre e soltanto «la chose enivrante: la liberté!». Libertà di rifiutare ogni regola, tranne quelle che ci si è scelti.
Libertà di morire per essere fedeli a se stessi. Lo scrisse sei secoli prima di Bizet un poeta, anzi il
Poeta: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta».
Ora, tutto questo nella Carmen “di” Bieito c’è. E c’è nella recitazione, nella drammaturgia, insomma
nel teatro. Perciò questa Carmen non è né “moderna” né “rivoluzionaria” e men che meno “provocatoria”. È, semplicemente, Carmen.
Restate in contatto con il Teatro Regio:
facebook.com/teatroregio |
@TeatroRegio
Carmen
Argomento
Atto I
Una piazza, a Siviglia. Micaëla, una giovane provinciale, si presenta al corpo di guardia dei dragoni
in cerca del fidanzato, il caporale Don José. Ma José non arriverà che per il cambio della guardia. Allontanatasi Micaëla, il capoposto Moralès e i soldati tornano alla routine della guardia e combattono
la noia indulgendo a pettegolezzi sui passanti. Più tardi – preceduto da un gruppetto di monelli –
arriva Don José con il suo drappello, e Moralès gli riferisce della visita di Micaëla. Suona la campana
della manifattura: gli uomini si radunano in attesa delle sigaraie, e in particolare di Carmen. L’unico
a non prestare attenzione alla bella gitana è Don José: Carmen gli getta un fiore e, ridendo, entra con
le compagne nella fabbrica. Don José è turbato, e nasconde il fiore quando ritorna Micaëla, che gli
porta una lettera dell’anziana madre. Micaëla parte e José – quasi a liberarsi del pensiero ossessivo
della zingara – sta per gettare il fiore, ma viene distratto dal trambusto che proviene dalla manifattura: Carmen ha ferito una compagna, e proprio lui è incaricato di condurla in prigione. Ma Carmen
non ha difficoltà a soggiogarlo con il proprio fascino, e lo convince a lasciarla fuggire.
Atto II
La taverna di Lillas Pastia. Carmen si intrattiene con gli amici: oltre a Mercédès e Frasquita, ci sono
due contrabbandieri, il Dancaïre e il Remendado, e il tenente Zuniga, che ha un debole per lei. Poco
dopo giunge il torero Escamillo, vantandosi delle proprie vittorie nella Plaza de Toros, ma Carmen
risponde evasivamente alle sue avance. Quando i contrabbandieri la invitano a seguirli in montagna,
Carmen rivela di essere innamorata e di voler aspettare Don José, che è stato imprigionato per averla
lasciata fuggire. E Don José compare poco dopo: dichiara a Carmen di non aver pensato che a lei,
in prigione, inebriato dal profumo del fiore che lei gli aveva donato. Una tromba annuncia la ritirata:
Carmen schernisce Don José perché vorrebbe rientrare in caserma anziché restare con lei. Ritorna
Zuniga, che invita Don José a lasciarlo solo con Carmen. Il giovane si ribella e lo sfida: ma il Dancaïre
e il Remendado disarmano Zuniga e lo legano. A José non resta che disertare e fuggire in montagna
con la compagnia.
Atto III
Un luogo selvaggio in montagna. Carmen è ormai stanca di José, geloso e in preda ai rimorsi. Con
Frasquita e Mercédès legge le carte: il responso è chiaro, entrambi sono destinati a morire. I contrabbandieri si allontanano dal campo, e José rimane solo a sorvegliare il passo. Poco dopo arriva Micaëla,
in cerca di Don José per avvertirlo che la madre è in fin di vita. Spaurita, si nasconde tra le rocce.
Don José spara un colpo perché ha avvistato uno sconosciuto; l’uomo si avvicina e si presenta: è
Escamillo. È venuto al campo perché è innamorato di Carmen e ha saputo che la sua storia con un
ex dragone è ormai finita. José rivela di essere lui, l’ex dragone, e lo sfida a battersi: sta per sopraffarlo
quando i contrabbandieri, di ritorno al campo, lo fermano. Escamillo invita tutti ad assistere alla corrida e si allontana. Il Remendado scopre Micaëla: la giovane supplica José di tornare dalla madre.
José si allontana promettendo a Carmen di ritornare.
Atto IV
Una piazza, a Siviglia. La folla, riunitasi davanti all’arena per assistere alla sfilata dei protagonisti della
corrida, applaude l’arrivo di Escamillo. Il torero, prima di entrare nell’arena, dichiara il proprio amore a
Carmen. Frasquita e Mercédès hanno notato José tra la folla, e mettono in guardia Carmen, che rimane
– sola – per affrontarlo. L’ex dragone, disperato, si dichiara disposto a tutto purché Carmen ritorni con
lui. Ma Carmen rifiuta, rivendicando la propria libertà: ammette di amare Escamillo e restituisce a José
l’anello che lui le aveva donato. Pazzo di gelosia, José la pugnala, e si consegna alle guardie.
Questa versione dell’opera prevede un solo intervallo dopo il secondo atto.
Prima rappresentazione assoluta: Parigi, Opéra-Comique, 3 marzo 1875.
Semplicemente Carmen. Lo spettacolo di Bieito
di Alberto Mattioli
Le regie sono il principale argomento di discussione e talvolta di rissa nel mondo dell’opera di oggi
e anche la principale dimostrazione che è vivo e, nonostante tutto, vitale. A sua volta, Calixto Bieito
è uno dei registi d’opera più discussi, di quelli che sono detti “provocatori”. Tuttavia, proprio questa
Carmen, che da molti anni gira per i teatri di tutto il mondo, dimostra che il “problema Bieito” è mal
posto. Intanto, perché le “provocazioni” fine a loro stesse non durano: il monello che fa pipì in salotto
potrà anche essere considerato divertente o accolto con indulgenza (“Che carino!”) la prima volta,
ma nessun genitore sensato (e chi va all’opera, benché talvolta non sembri, non è meno sensato di
chiunque altro) può accettare che diventi la regola. E poi perché, se si va a guardare dentro la Carmen
secondo Bieito, si scopre che non è affatto eversiva o, appunto, “provocatoria”; o almeno non più provocatoria di quanto sia Carmen di suo, ma anzi assai “tradizionale” e, alla fine, del tutto rispettosa
della drammaturgia pensata da Bizet e dai suoi librettisti. Una fedeltà, ovviamente, non formale ma
sostanziale. L’unica che ci interessi.
Tutta l’opera si svolge in un grande vuoto. Siamo, pare, negli anni Settanta ancora franchisti ed è
una Spagna povera, machista, annoiata, sensuale e puzzolente di aglio, di sudore e di tabacco. Non
ci sono né scene né attrezzeria. Prendete il primo atto: un pennone da cui sventola una grande bandiera spagnola e una cabina telefonica, da cui esce Carmen dopo aver presumibilmente regolato i
conti con il suo amante pre-José: «Mon amoureux... il est au diable / Je l’ai mis à la porte hier!», canterà poi nella Séguedille. Un soldato punito corre tutt’intorno in mitra e mutande fino a stramazzare
sfinito per terra (i militari, la solita mania di Bieito… Ma non marziali, piuttosto ossessionati – o
ossessionanti – con i loro fantasmi di sesso e violenza). Anche i bambini tutto sono meno che allegri:
anzi, il loro coro è la distribuzione della minestra dei poveri a un gruppo di sciuscià cenciosi.
La definizione dei personaggi è subito netta. Macché erotismo “di testa”: Carmen è una bomba del
sesso e, anche se è ben lontana dall’abituale definizione del personaggio come puttanone da viale di
periferia, quanto a esplicitare il desiderio non scherza: prima di essere inviato a bersaglio, il fiore lo
passa su una parte molto intima della sua anatomia. Se vuole sedurre un maschio, gli monta sopra
a cavalcioni. Quanto a José, è finalmente quella figura terribilmente banale che abbiamo sempre sospettato. Il tipico bravo ragazzo mediterraneo imbranato, tutto caserma, mamma e fidanzatina. Di
mammà blatera di continuo e con la fidanzatina scatta le consuete foto-ricordo idiote. Costei,
Micaëla, dal canto suo non è affatto il solito salice piangente spaventato anche dalla sua ombra. Va
bene che il personaggio doveva fare da contraltare, borghesemente accettabile e moralmente irreprensibile, a quella mina vagante antisociale, anzi asociale, di Carmen. Però, a ben pensarci (Bieito, evidentemente, l’ha fatto), le brave ragazze timorose e timorate non vanno negli accampamenti dei
contrabbandieri per riprendersi il moroso traviato dalla donnaccia.
Secondo atto sempre vuoto, con la taverna di Lillas Pastia che è una Mercedes scassata sulla quale i
contrabbandieri vanno a contrabbandare. Una ragazzina balla l’Entr’Acte, ma la sua innocenza non è
già più tale: veste da grande e accanto all’incongruo alberino di Natale che le viene allestito si svolgono
le peggio cose, compresa una fellatio al contrabbandiere, ma dietro la portiera della Mercedes, quindi
– si spera – niente scandalo e commenti indignati. Del resto, non è che nella malavita ci si comporti
come nel salotto di nonna Speranza – dove peraltro, sia detto senza polemiche, si è bizzarramente
convinti che l’opera sia una sorta di museo, quindi quel che si vede ogni volta che si va al cinema o si
accende la televisione o si apre un giornale all’opera è, chissà perché, impossibile e/o scandaloso, come
se il teatro musicale fosse sottratto al fluire del tempo, tal quale Loreto impagliato…
Nel terzo atto, si moltiplicano le Mercedes e compare un grande toro. Sì, proprio il toro pubblicitario della Osborne, grande griffe di liquori e vini, quello che spunta su ogni poggio utile nelle sierre
sterminate e apparentemente spopolate. Chiunque abbia girato un po’ la Spagna lo sa: su ogni collina
sbuca questo toro, simbolo della tauromachia e della marca ma anche di una virilità che non è tale
se non sfida il toro, dunque la morte, irrorando poi le fauci che ardono con un’adeguata dose di
alcol. Ancora una volta, siamo lontanissimi dai cliché turistici modello «Welcome to Siviglia» per
comitive in torpedone. Ma siamo fedelissimi a una certa idea di Spagna come summa di ogni possibile antropologia sudeuropea e mediterranea. Ricapitoliamo: grande toro sullo sfondo, notte di
luna, arpa e flauto che intonano la più bella e sognante melodia dell’opera. Arriva un tale, si spoglia
completamente e inizia a mimare una corrida. Provocazione – sento già urlare. E invece altro non
è che l’antichissimo rito dell’iniziazione del torero, che sceglie la luna piena come spettatrice del suo
balletto con la morte… Più spagnolo e “autentico” di così!
Il quarto atto è, dal punto di vista registico, puro virtuosismo. La sfilata dei «prodi del circo de’
tori», per dirla con Francesco Maria Piave, c’è ma non si vede. Si svolge evidentemente in platea e
così tutta la scenografia consiste in una corda, una semplice corda dietro la quale si assiepa la folla,
né più né meno di quello che succede oggi quando sfilano i sedicenti Vip. La Quadrille, les hardis
chulos, les banderilleros, les picadors e naturalmente l’espada c’è davvero bisogno di vederli? Li conosciamo,
li abbiamo visti, magari live o più spesso alla Tv.
Il finale dell’opera, ma a ben pensarci tutto lo spettacolo, è molto “fisico”. La regia, giova ricordarlo,
non è scenografia. Non è “dove” si fanno le cose, ma cosa si fa e soprattutto come. E questa Carmen
è tutta molto carnale, impastata di sudore e di sangue. Macché mossette e balletti e gonne alzate e
abbassate. Carmen vuole Don José come poi vorrà Escamillo. Nel secondo atto, il quasi ex brigadiere
verrà spogliato e spolpato, con la mano di lei che si posa proprio lì. Carmen scalcia, graffia, morde.
E alla fine sarà sgozzata come una vittima sacrificale. Anche se, ed è un’idea bellissima, quando lei
gli ridà l’anello che «autrefois» lui le ha regalato, non glielo getta addosso con disprezzo come si
vede sempre: glielo mette in mano, con dolcezza, con lentezza, come se esprimesse il rimpianto di
quello che, nonostante tutto, è stato amore.
In generale, questa Carmen celebra il corpo. Scandaloso? Certo. Ma l’opera fu scandalosa fin dall’inizio, perché sceglieva di raccontare le pulsioni dell’uomo e della donna senza i paraventi della morale,
della religione, della ragione e della metafisica.
E tuttavia il finale della Carmen “di” Bieito spiega plasticamente il vero messaggio di quest’opera,
che è il Don Giovanni dell’Ottocento, ma ancora più scandaloso perché il suo protagonista è tre volte
inferiore in quanto: a) donna; b) zingara; c) fuorilegge. Quello di Carmen non è un omicidio: è un
suicidio. Come Don Giovanni, Carmen sa che morirà. Del resto, poco prima gliel’hanno detto
Frasquita e Mercédès, le sue amiche. Potrebbe salvarsi, ma non lo fa. Non scappa. Sceglie di morire,
ed è una scelta profondamente morale, anche se viene da una donna immorale, per ribadire la sua
libertà. Libertà di essere contro ogni legge religiosa, statale, sociale. Libertà di cercare sempre e soltanto «la chose enivrante: la liberté!». Libertà di rifiutare ogni regola, tranne quelle che ci si è scelti.
Libertà di morire per essere fedeli a se stessi. Lo scrisse sei secoli prima di Bizet un poeta, anzi il
Poeta: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta».
Ora, tutto questo nella Carmen “di” Bieito c’è. E c’è nella recitazione, nella drammaturgia, insomma
nel teatro. Perciò questa Carmen non è né “moderna” né “rivoluzionaria” e men che meno “provocatoria”. È, semplicemente, Carmen.
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D ’ O P E R A
2 0 1 2 - 2 0 1 3
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Carmen
Orchestra
Coro
Violini primi Stefano Vagnarelli*, Marina Bertolo,
Monica Tasinato, Claudia Zanzotto, Soyeon Kim,
Elio Lercara, Carmen Lupoli, Enrico Luxardo,
Miriam Maltagliati, Alessio Murgia, Laura Quaglia,
Daniele Soncin, Giuseppe Tripodi, Roberto Zoppi
Soprani Sabrina Amè, Nicoletta Baù, Anna Beretta,
Chiara Bongiovanni, Anna Maria Borri, Sabrina Boscarato,
Eugenia Braynova, Serafina Cannillo, Cristina Cogno,
Cristiana Cordero, Eugenia Degregori, Alessandra Di Paolo,
Manuela Giacomini, Rita La Vecchia, Laura Lanfranchi,
Chiara Lazzari, Paola Isabella Lopopolo,
Maria de Lourdes Martins, Pierina Trivero, Giovanna Zerilli
Violini secondi Marco Polidori*, Tomoka Osakabe,
Bartolomeo Angelillo, Silvana Balocco, Paola Bettella,
Maurizio Dore, Anna Rita Ercolini, Silvio Gasparella,
Roberto Lirelli, Anselma Martellono, Paolo Mulazzi,
Ivana Nicoletta
Viole Maura Bruschetti*, Alessandro Cipolletta,
Gustavo Fioravanti, Tamara Bairo, Rita Bracci,
Maria Elena Eusebietti, Alma Mandolesi, Franco Mori,
Roberto Musso, Claudio Vignetta, Giuseppe Zoppi
Violoncelli Relja Lukic*, Davide Eusebietti, Giulio Arpinati,
Augusto Gasbarri, Alfredo Giarbella, Armando Matacena,
Luisa Miroglio, Marco Mosca
Contrabbassi Atos Canestrelli, Fulvio Caccialupi,
Damiano D’Amico, Michele Lipani, Stefano Schiavolin
Flauti Federico Giarbella*, Roberto Baiocco
Oboi Luigi Finetto*, Stefano Simondi
Corno inglese Alessandro Cammilli
Clarinetti Alessandro Dorella*, Luciano Meola
Mezzosoprani / Contralti Cristiana Arri, Angelica Buzzolan,
Shiow-hwa Chang, Ivana Cravero, Corallina Demaria,
Maria Di Mauro, Roberta Garelli, Rossana Gariboldi,
Elena Induni, Antonella Martin, Raffaella Riello,
Myriam Rossignol, Marina Sandberg, Teresa Uda,
Daniela Valdenassi, Tiziana Valvo, Barbara Vivian
Tenori Pierangelo Aimé, Janos Buhalla, Marino Capettini,
Gian Luigi Cara, Antonio Coretti, Diego Cossu,
Salvatore De Benedetto, Luis Odilon Dos Santos,
Alejandro Escobar, Giancarlo Fabbri, Mauro Ginestrone,
Roberto Guenno, Leopoldo Lo Sciuto, Vito Martino,
Matteo Mugavero, Matteo Pavlica, Dario Prola,
Gualberto Silvestri, Sandro Tonino, Franco Traverso,
Valerio Varetto
Baritoni / Bassi Leonardo Baldi, Mauro Barra, Enrico Bava,
Massimo Di Stefano, Riccardo Di Stefano, Umberto Ginanni,
Vladimir Jurlin, Riccardo Mattiotto, Davide Motta Fré,
Gheorghe Valentin Nistor, Franco Rizzo, Enrico Speroni,
Marco Sportelli, Marco Tognozzi, Vincenzo Vigo
Fagotti Andrea Azzi*, Orazio Lodin
Corni Ugo Favaro*, Pierluigi Filagna, Fabrizio Dindo,
Eros Tondella
Trombe Sandro Angotti*, Marco Rigoletti
Tromboni Gianluca Scipioni*, Enrico Avico,
Marco Tempesta
Timpani Massimiliano Francese*
Percussioni Lavinio Carminati, Fiorenzo Sordini,
Andrea Vigliocco
Coro di voci bianche
Martina Baroni, Giorgia Bonaventura, Emma Bruno,
Alice Cavalli, Michelangelo Chiappero, Virginia Clerico,
Emanuela De Fezza, Luca Demestrio, Francesca Demarchi,
Adam Gatti, Lavinia Jurlin, Eleonora Macrì, Anita Maiocco,
Giulia Moretto, Celeste Mostert, Tommaso Paronuzzi,
Martina Pelusi, Carlotta Petruccioli, Giulia Rimonda,
Chiara Rubeo, Elena Scamuzzi, Vittoria Sentina,
Gabriele Tozzi, Irene Tozzi, Esther Zaglia
Arpa Alessia Luise*
* prime parti
Il professore Stefano Vagnarelli suona un violino Santo Serafino Venezia 1725 della Fondazione Pro Canale di Milano.
Direttori di scena Riccardo Fracchia, Riccardino Massa • Direttore dei complessi musicali in palcoscenico Giulio Laguzzi • Maestri
collaboratori di sala Carlo Caputo, Giannandrea Agnoletto • Maestro rammentatore Andrea Mauri • Maestro alle luci Paolo
Chimienti • Maestri collaboratori di palcoscenico Carlo Caputo, Giulio Laguzzi • Assistente del maestro del coro Andrea Secchi
Archivio musicale Enrico Maria Ferrando • Sopratitoli a cura di Sergio Bestente • Servizi tecnici di palcoscenico Antonio Martellotto
Realizzazione allestimenti Claudia Boasso • Servizi di vestizione Laura Viglione • Luci di scena e fonica Andrea Anfossi • Coordinatore
di progetto Enzo Busco
Scene, costumi, attrezzeria e calzature Gran Teatre del Liceu, Barcellona • Parrucche e trucco Mario Audello, Torino
I bouquet di fiori sono offerti da
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Prezzo: € 0,50 (iva inclusa)
Opéra-comique in quattro atti
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
dalla omonima novella di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Personaggi
Carmen, zingara mezzosoprano
Don José, caporale dei dragoni tenore
Micaëla, fanciulla di paese soprano
Escamillo, torero baritono
Frasquita, amica di Carmen soprano
Mercédès, amica di Carmen mezzosoprano
Il Dancaïre, contrabbandiere baritono
Il Remendado, contrabbandiere tenore
Moralès, brigadiere baritono
Zuniga, tenente dei dragoni basso
Lillas Pastia, oste attore
Direttore d’orchestra
Regia
ripresa da
Scene
Costumi
Luci
Direttore dell’allestimento
Maestro dei cori
Interpreti
Anita Rachvelishvili
Giuseppina Piunti*
Maksim Aksënov
Carlo Ventre*
Alessandra Marianelli
Erika Grimaldi*
Mark S. Doss
Károly Szemerédy*
Arianna Vendittelli
Annalisa Stroppa
Paolo Maria Orecchia
Antonio Feltracco
Federico Longhi
Francesco Musinu
Bob Marchese
Yutaka Sado
Calixto Bieito
Joan Anton Rechi
Alfons Flores
Mercè Paloma
Alberto R. Vega
Saverio Santoliquido
Claudio Fenoglio
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”
Allestimento Teatro Regio in coproduzione con Gran Teatre del Liceu di Barcellona,
Teatro Massimo di Palermo e Teatro La Fenice di Venezia
Novembre 2012: Martedì 13 ore 20, Mercoledì 14* ore 20, Giovedì 15 ore 20,
Venerdì 16* ore 20, Domenica 18 ore 15, Martedì 20* ore 15, Mercoledì 21 ore 20,
Giovedì 22* ore 20, Venerdì 23 ore 20, Sabato 24* ore 20, Domenica 25 ore 15
S T A G I O N E
D ’ O P E R A
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Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Carmen
Orchestra
Coro
Violini primi Stefano Vagnarelli*, Marina Bertolo,
Monica Tasinato, Claudia Zanzotto, Soyeon Kim,
Elio Lercara, Carmen Lupoli, Enrico Luxardo,
Miriam Maltagliati, Alessio Murgia, Laura Quaglia,
Daniele Soncin, Giuseppe Tripodi, Roberto Zoppi
Soprani Sabrina Amè, Nicoletta Baù, Anna Beretta,
Chiara Bongiovanni, Anna Maria Borri, Sabrina Boscarato,
Eugenia Braynova, Serafina Cannillo, Cristina Cogno,
Cristiana Cordero, Eugenia Degregori, Alessandra Di Paolo,
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Chiara Lazzari, Paola Isabella Lopopolo,
Maria de Lourdes Martins, Pierina Trivero, Giovanna Zerilli
Violini secondi Marco Polidori*, Tomoka Osakabe,
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Maurizio Dore, Anna Rita Ercolini, Silvio Gasparella,
Roberto Lirelli, Anselma Martellono, Paolo Mulazzi,
Ivana Nicoletta
Viole Maura Bruschetti*, Alessandro Cipolletta,
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Maria Elena Eusebietti, Alma Mandolesi, Franco Mori,
Roberto Musso, Claudio Vignetta, Giuseppe Zoppi
Violoncelli Relja Lukic*, Davide Eusebietti, Giulio Arpinati,
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Contrabbassi Atos Canestrelli, Fulvio Caccialupi,
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Corno inglese Alessandro Cammilli
Clarinetti Alessandro Dorella*, Luciano Meola
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Shiow-hwa Chang, Ivana Cravero, Corallina Demaria,
Maria Di Mauro, Roberta Garelli, Rossana Gariboldi,
Elena Induni, Antonella Martin, Raffaella Riello,
Myriam Rossignol, Marina Sandberg, Teresa Uda,
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Gian Luigi Cara, Antonio Coretti, Diego Cossu,
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Valerio Varetto
Baritoni / Bassi Leonardo Baldi, Mauro Barra, Enrico Bava,
Massimo Di Stefano, Riccardo Di Stefano, Umberto Ginanni,
Vladimir Jurlin, Riccardo Mattiotto, Davide Motta Fré,
Gheorghe Valentin Nistor, Franco Rizzo, Enrico Speroni,
Marco Sportelli, Marco Tognozzi, Vincenzo Vigo
Fagotti Andrea Azzi*, Orazio Lodin
Corni Ugo Favaro*, Pierluigi Filagna, Fabrizio Dindo,
Eros Tondella
Trombe Sandro Angotti*, Marco Rigoletti
Tromboni Gianluca Scipioni*, Enrico Avico,
Marco Tempesta
Timpani Massimiliano Francese*
Percussioni Lavinio Carminati, Fiorenzo Sordini,
Andrea Vigliocco
Coro di voci bianche
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Alice Cavalli, Michelangelo Chiappero, Virginia Clerico,
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Adam Gatti, Lavinia Jurlin, Eleonora Macrì, Anita Maiocco,
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Martina Pelusi, Carlotta Petruccioli, Giulia Rimonda,
Chiara Rubeo, Elena Scamuzzi, Vittoria Sentina,
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* prime parti
Il professore Stefano Vagnarelli suona un violino Santo Serafino Venezia 1725 della Fondazione Pro Canale di Milano.
Direttori di scena Riccardo Fracchia, Riccardino Massa • Direttore dei complessi musicali in palcoscenico Giulio Laguzzi • Maestri
collaboratori di sala Carlo Caputo, Giannandrea Agnoletto • Maestro rammentatore Andrea Mauri • Maestro alle luci Paolo
Chimienti • Maestri collaboratori di palcoscenico Carlo Caputo, Giulio Laguzzi • Assistente del maestro del coro Andrea Secchi
Archivio musicale Enrico Maria Ferrando • Sopratitoli a cura di Sergio Bestente • Servizi tecnici di palcoscenico Antonio Martellotto
Realizzazione allestimenti Claudia Boasso • Servizi di vestizione Laura Viglione • Luci di scena e fonica Andrea Anfossi • Coordinatore
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Scene, costumi, attrezzeria e calzature Gran Teatre del Liceu, Barcellona • Parrucche e trucco Mario Audello, Torino
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Prezzo: € 0,50 (iva inclusa)
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Don José, caporale dei dragoni tenore
Micaëla, fanciulla di paese soprano
Escamillo, torero baritono
Frasquita, amica di Carmen soprano
Mercédès, amica di Carmen mezzosoprano
Il Dancaïre, contrabbandiere baritono
Il Remendado, contrabbandiere tenore
Moralès, brigadiere baritono
Zuniga, tenente dei dragoni basso
Lillas Pastia, oste attore
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Maksim Aksënov
Carlo Ventre*
Alessandra Marianelli
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Mark S. Doss
Károly Szemerédy*
Arianna Vendittelli
Annalisa Stroppa
Paolo Maria Orecchia
Antonio Feltracco
Federico Longhi
Francesco Musinu
Bob Marchese
Yutaka Sado
Calixto Bieito
Joan Anton Rechi
Alfons Flores
Mercè Paloma
Alberto R. Vega
Saverio Santoliquido
Claudio Fenoglio
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