Professione redattore ed editor di narrativa, saggistica e letteratura
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Professione redattore ed editor di narrativa, saggistica e letteratura
Professione redattore ed editor di narrativa, saggistica e letteratura per l'infanzia L’esperienza di Carmen Maffione, 32 anni E’ stato durante gli anni universitari, alla facoltà di Lettere de La Sapienza di Roma, che ha scoperto la passione per l’editoria. Carmen Maffione, 32 anni, oggi è un redattore ed editor di narrativa, saggistica e letteratura per l’infanzia: “L'intenzione si è definita durante l'università – racconta - quando ho capito che c'erano altri modi di prendersi cura dei libri, oltre che scriverli, leggerli, raccontarli, e questo modo era smontarli, aprirli e ricomporli, come quando da bambina scaraventavo a terra ogni cosa per scoprire cosa ci fosse dentro. Viene da questa voglia di smontare il giocattolo, forse, il mio lavoro. Dalla curiosità di vedere dentro un testo ma soprattutto di immaginare cosa è rimasto fuori, in che universo di immagini e suoni si muoveva l'autore, di quale opera di sacrificio è il residuo la storia che abbiamo davanti”. La crisi dell'editoria è ormai un'espressione talmente usata negli ultimi cinque, sei anni da essere diventata una specie di mostro mitologico. Carmen Maffione non lo nega, ma ci tiene a precisare che in realtà la mancanza di fondi economici è solo la punta dell'iceberg: “I problemi iniziano dalla scarsa considerazione del lavoro editoriale da parte della classe politica e da un approccio sempre più sbagliato da parte degli stessi professionisti del settore, editori in primis, che credono di poter salvare il proprio marchio comportandosi come un qualsiasi manager commerciale. L'assillo della vendibilità, il tentativo di abbattere costi di produzione e distribuzione sfornando libri senza sosta, a scapito delle scelte di qualità, la pressione a cui sono sottoposti gli "operai", spesso mal pagati, rischiano di far vacillare il senso stesso del mestiere di editore. Per le rare eccezioni di questo sistema, la resistenza è sempre più dura”. E tra queste rare resistenze, Carmen Maffione vi si annovera a pieno titolo, ricordando cosa la spinge a proseguire questo mestiere tortuoso: “Ci sono certamente le piccole soddisfazioni che ti danno energia durante il lavoro. In questi anni ho avuto la fortuna di lavorare con autori di talento, e questa per me è stata la scuola più grande. La soddisfazione maggiore è continuare a fare questo mestiere con la stessa passione del primo giorno, se pur con un più alto stato di allerta, senza annoiarmi o arrendermi. Ma la verità è che sono felice ogni volta che, in libreria, lo sguardo si ferma su un libro al quale ho lavorato. Non sempre soddisfatta, ma felice”. Nell’immaginario collettivo, il redattore lavora seduto davanti ad un pc, a leggere, scrivere e riscrivere. Carmen Maffione lo conferma, ma aggiunge che non ci si ferma lì: “Perché il redattore lavora sempre a quel libro con la mente, ogni volta che ripensa a una parola che non lo convince, che scrive una quarta di copertina nel tragitto dal supermercato a casa, che passa la notte al telefono con un autore, ogni volta che un pezzo della propria vita si infila in quella storia, e viceversa. Senza un metodo preciso, a volte alternando fasi di operosità febbrile a giorni di ozio totale: neanche a dirlo, sono questi ultimi i più proficui per il destino del libro”. Ma qual è l’identikit di un redattore tipo? “Chi fa questo lavoro di solito è già irrimediabilmente condizionato da doti innate come la curiosità, l'ostinazione, la pignoleria, la pazienza, la tendenza a dubitare di tutto a cominciare da sé stessi, e una giusta dose di pensieri ossessivi quel che basti per non diventare folli”. Un ausilio imprescindibile, a detta di Carmen Maffione, e prima ancora di qualsiasi dizionario o manuale, sono un paio di occhiali da miope. Volgendo lo sguardo agli albori della sua carriera, Carmen Maffione ricorda il periodo nel quale ha svolto vari stage, esperienze che ha definito di grande utilità per testare quanto davvero il lavoro editoriale corrispondesse all'ideale che stava perseguendo: “Non solo ho scoperto che corrispondeva, ma soprattutto che le sue potenzialità erano molte di più e più varie di quanto credessi. Durante lo stage è utile rendersi disponibili per il maggior numero di mansioni possibili; prima di capire che mi piaceva lavorare sui testi affiancavo gli uffici stampa, oppure stavo nei magazzini. Credo molto negli stage, anche gratuiti, purché siano svolti durante gli anni di studio e con una durata limitata, quando in effetti non si ha ancora acquisito alcuna professionalità. Dopo, quando diventano forme legalizzate di sfruttamento, andrebbero evitati. E non è difficile capire quando è il momento di pretendere uno stipendio: un dipendente a cui vengono assegnate mansioni di responsabilità, che lavora in autonomia e che, va da sé, ha terminato il periodo di formazione, sta svolgendo un lavoro che ha un valore in termini economici, e quindi va retribuito”.