Newsletter n 7 circolo lettura defini.pages

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Newsletter n 7 circolo lettura defini.pages
NEWSLETTER CIRCOLO DELLA LETTURA NR. 7
Pecora nera. “Il ragazzo che ha scelto di vivere nella natura”
Devis Bonanni - letto da Cristina
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"In questa nuova vita non ci sono domeniche. Le settimane non segnano più
il passo. E' la natura a scandire il tempo. Non dovremmo portare più orologi
al polso, come cappi al collo"
L’autore è un giovane friulano, tecnico informatico di professione, che,
a ventitré anni, come aveva fatto 150 anni fa l’americano Thoreau,
consapevole che il progresso tecnologico è fine a se stesso se non è
accompagnato da un’autentica crescita spirituale, ha lasciato l’impiego
e si è inventato contadino a tempo pieno con uno stile di vita del tutto
frugale e rispettoso della natura, senza neanche l’aiuto dei mezzi
moderni come la luce elettrica e il gas.
Nel libro mostra con sincerità le difficoltà e le gioie legate a questo stile
di vita, sino alla decisione finale in cui sente la necessità di coinvolgere
nel suo progetto altre persone.
Nella contro copertina viene spiegata molto bene l’esperienza di Devis.
www.progettopecoranera.it
http://www.facebook.com/pecoraneralibro
Un breve estratto del documentario che MTV ha dedicato alla storia di Devis:
http://vimeo.com/33020277
Devis parla del libro con Barbara Palombelli a "28 minuti" su Rai Radio 2:
podcast/A42435254.mp3
http://www.radio.rai.it/
L’esperienza di Devis è molto simile a quella che sta mettendo in atto da un paio d’anni a Fino
Mornasco Daniele Cereghini, giovane commercialista comasco, idealista ed amante della natura.
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Storie naturali
Jules Renard
illustrato da Luigi Serafini - letto da Cristina
L’autore è lo scrittore francese (morto nel 1910) autore del famoso
“Pel di carota”.
Nelle “Storie naturali” presenta dei brevi racconti riguardanti gli
animali, raccontate con pochi tratti, spesso delicatamente
romantici; con grande cura dello stile e grande amore per la natura.
La riedizione del 2011 del libro è stata fatta per celebrare il 60°
anniversario della B.U.R (Rizzoli) in grande formato e con le
illustrazioni surrealistiche ma affascinanti del pittore italiano Luigi Serafini.
•
Facebook in the rain
Paola Mastrocola - letto da Cristina
E’ un piccolo libro, divertente e tenero, sul condizionamento del mondo informatico sulla vita
quotidiana e sulle sue conseguenze positive e negative. E’ anche un discorso, in maniera indiretta,
sulla solitudine reale in un rapporto che sembra mondiale e sul valore dei sentimenti semplici e veri
rispetto a quelli di un mondo virtuale.
“Facebook in the Rain” è la storia di Evandra Martella, una donna
non più giovanissima, divenuta vedova in seguito alla morte precoce
dell’amato marito senza il quale non sa più come occupare il suo
tempo. Passa così le sue giornate al cimitero, a parlare con il marito
e con le altre vedove che incontra lì. Ma il problema si pone quando
piove: cosa può fare Evandra nelle giornate di pioggia che le
impediscono di recarsi a trovare il caro defunto? E’ in quel momento
che si accorge di non avere una vita e la cosa la preoccupa così tanto
da rivolgersi alla migliore amica che le consiglia di andare su
Facebook.
Evandra non ha idea di cosa si tratti ma nel momento in cui impara
ad utilizzare il computer e soprattutto Facebook, ecco che la sua vita
cambia completamente. Si ritrova piena di amici, di persone con le quali parlare e decide persino
di incontrarne alcune, perché come dice Evandra “la vita vale solo se ci si incontra. E t’incontri se
ti guardi negli occhi”. Ma la rete nasconde tanti pericoli ed Evandra si ritrova inconsapevolmente a
subirne le conseguenze. Così decide che nella rete ci si sente più sicuri e che è meglio non uscire,
neppure di casa. Il finale, prevedibile quanto inaspettato, è la conseguenza di un qualcosa che altro
non è che pura dipendenza.
E’ la storia di un disagio, quello di Evandra e dell’amico Baldo che non sanno cosa realmente sia la
vita ma è anche la storia attualissima di una falsa rinascita. Evandra pensa di aver sconfitto la
solitudine che l’affliggeva grazie a Facebook ma Baldo intuisce che così non è e ci riflette su:
“…pensò anche a Facebook, all’etere, alla rete, a quanto l’umanità
ormai affidi a questi luoghi inconsistenti i più reconditi pensieri
perché arrivino a destinazione. Chissà dove finiscono i messaggi
che scriviamo, chi se li mangia, se ci sia da qualche parte una
Bocca Enorme Spalancata che s’ingoia tutte le parole che ci
lasciamo sfuggire, anche le più segrete, nella notte, quando è buio,
quando ci sentiamo soli, quando crediamo che nessuno pensi a
noi ..”
Paola Mastrocola ancora una volta sorprende con il suo stile lineare e il suo linguaggio
semplice con i quali riesce a trattare argomenti che così semplici a volte non sono.
“Facebook in the rain” è una favola moderna che fa riflettere e che vuole ammonire dall’uso
sconsiderato e irresponsabile delle nuove tecnologie.
La straordinaria invenzione di Hugo Cabret
Brian Selznick - libro letto da Cristina
•
E’ un libro per ragazzi, ma che può affascinare anche gli adulti,
specialmente quelli che amano il cinema e la sua storia. Dal libro è stato
tratto il film di Martin Scorzese che ha vinto numerosi premi. Le
immagini di animazione del film (disegni in bianco e nero) fanno parte
del libro stesso, cioè non illustrano ma praticamente scrivono il testo con
un percorso particolarmente suggestivo.
L’ambiente è quello di una stazione ferroviaria in cui vive il piccolo
orfano protagonista, il quale con la sua “straordinaria” invenzione tornerà
a far rivivere le immagini di uno dei primi film muti della storia del
cinema.
La luna, le luci di una città, una stazione affollata, due occhi spaventati.
Le immagini a carboncino scorrono come in un cinema di carta fino a
inquadrare il volto di Hugo Cabret, l'orfano che vive nella stazione di Parigi.
Nel suo nascondiglio segreto, Hugo coltiva il sogno di diventare un grande illusionista e di portare a
termine una missione: riparare l'automa prodigioso che il padre gli ha lasciato prima di morire. Ma,
sorpreso a rubare nella bottega di un giocattolaio, Hugo si imbatterà in Isabelle, una ragazza che lo
aiuterà a risolvere un affascinante mistero in cui identità segrete verranno svelate e un grande,
dimenticato maestro del cinema tornerà in vita...
L'autore:Brian Selznick, nato nel New Jersey nel 1966, si è diplomato alla Rhode Island School of
Design e ha pubblicato il primo libro nel 1991. Celebre illustratore per ragazzi, ha meritato più
volte premi e segnalazioni, tra cui un Caldecott Honor.
Visita il sito dell'autore: http://www.theinventionofhugocabret.com/
home_flash.htm
•I nuovi limiti dello sviluppo
“La salute del pianeta nel terzo millennio”
Donatella e Dennis Meadows e Jorgen Randers - letto da Sergio
Nel 1972 tre giovani scienziati del celebre MIT di Boston pubblicarono un rapporto destinato a fare
epoca. Si intitolava I limiti dello sviluppo e nel giro di poco tempo diventò un bestseller assoluto. In
quel saggio gli autori, pionieri delle scienze informatiche, gettavano uno sguardo verso il futuro e,
grazie a modelli di calcolo computerizzati, riuscivano per la prima volta a mostrare in modo
inequivocabile le conseguenze della crescita incontrollata su un pianeta dalla risorse non infinite.
Trent'anni dopo, armati di strumenti informatici ben più raffinati e di una mole enorme di dati
statistici, questi stessi autori si sono riuniti per lanciare
ancora il loro grido d'allarme.
Con uno stile semplice e piano e con rigore scientifico i
tre scienziati non possono fare altro che confermare le
previsioni di trent'anni fa, e metterci in guardia sui
devastanti effetti dell'azione umana sul clima, le qualità
delle acque, la biodiversità marina, le foreste e tutte le
altre risorse naturali. Prima che sia troppo tardi.
A Rotterdam, in occasione dell'apertura dell'Annual
Conference 2012 del WWF intitolata "The Economy of
the Future", tenutasi in questi giorni, Jorgen Randers, uno
degli autori della straordinaria serie dedicata ai "Limits to Growth" (il cui primo rapporto
pubblicato nel 1972 e voluto dalla geniale intuizione di Aurelio Peccei per il Club di Roma, scatenò
il grande dibattito planetario sui limiti della nostra crescita materiale e quantitativa in un mondo dai
limiti biofisici evidenti), ha presentato il nuovo rapporto al Club di Roma, "2052: A Global Forecast
for the Next Forty Years" (pubblicato da Chelsea Green e che uscirà in italiano in autunno da me
curato per Edizioni Ambiente).
Il rapporto è molto interessante. Jorgen Randers che all'epoca del primo "Limits" era nel famoso
Systems Dynamics Group di Jay Forrester al prestigioso Massachussetts Institute of Technology
(MIT) di Boston insieme a Dana e Dennis Meadows, mentre ora è professore di Climate Strategy
alla Norwegian School of Management, ricorda che la serie dei Limiti alla crescita hanno costituito
studi dove l'analisi degli scenari descrivevano un certo numero di futuri differenti, discutevano il
loro relativo merito e raccomandavano politiche che avrebbero potuto rendere il futuro meno
insostenibile rispetto al corso attuale.
"2052" costituisce una significativa deviazione rispetto a questa linea: riguarda infatti ciò che lo
stesso Randers pensa possa accadere su ampia scala nel periodo tra ora ed i prossimi quarant'anni
(lo stesso periodo di tempo che è trascorso dalla pubblicazione del primo volume sui Limiti nel
1972 ed oggi). La previsione segue un modello computerizzato, come è avvenuto negli altri
rapporti, ma con delle modificazioni importanti dovute a quanto le eventuali decisioni che si
potrebbero prendere, giocheranno un ruolo negli anni a venire.
Il libro è arricchito anche dalle previsioni di molti esperti, scienziati, economisti ed esperti di
sostenibilità, una trentina, ai quali Randers ha chiesto di unirsi a lui nel comprendere e prospettare
la visione di ciò che potrà essere il nostro mondo nel 2052.
Il volume diventa quindi un importante messa a punto di quelle che potrebbero essere le evoluzioni
future degli andamenti delle nostre società rispetto alla problematica centrale di come sia possibile
per l'umanità non raggiungere una collisione catastrofica con gli evidenti limiti biofisici del nostro
meraviglioso Pianeta.
In maniera molto riassuntiva possiamo indicare le seguenti, come le conclusioni più evidenti del
rapporto:
- È probabile che mentre il processo di adattare l'umanità ed i suoi modelli di sviluppo sociale ed
economico alle limitazioni evidenti del Pianeta in qualche modo è già partito, la risposta umana
potrebbe essere troppo lenta rispetto alla rapidità che sarebbe necessaria;
- Le attuali economie globali dominanti, particolarmente quella degli Stati Uniti potrebbe stagnare,
Brasile, Russia, India e Sud Africa con altre dieci nazioni leader delle economie emergenti avranno
economie in progresso (nel rapporto questi paesi vengono definiti BRISE); la Cina proseguirà una
tendenza di economia in avanzamento per la sua capacità di agire
- Nel 2052 ci saranno ancora tre miliardi di esseri umani in condizioni generali che si possono
definire di povertà;
- La popolazione globale incrementerà la sua dimensione urbana e ci sarà un ulteriore
depauperamento della biodiversità;
- La popolazione globale potrebbe raggiungere un picco di crescita nel 2042 (la popolazione
potrebbe raggiungere gli 8.1 miliardi), soprattutto a causa di un decremento della natalità nelle aree
urbane;
- Il Prodotto Lordo Globale crescerà molto più lentamente del previsto, soprattutto a causa di un
abbassamento della produttività nelle economie mature, vi potrebbe essere un incremento del PIL
globale di 2.2 volte i livelli correnti intorno al 2052, mentre il consumo globale di beni e servizi
potrebbe raggiungere un picco nel 2045;
- La concentrazione del biossido di carbonio nell'atmosfera continuerà a crescere e provocherà un
incremento della temperatura media della superficie terrestre che raggiungerà l'incremento dei 2° C
rispetto all'epoca preindustriale; le temperature potrebbero raggiungere un incremento di 2.8°C
entro il 2080 e ciò provocherà una reazione di feedback positivo del cambiamento climatico;
- La mancanza di una seria ed adeguata risposta nella prima metà del 21° secolo ai problemi della
tutela ambientale, del depauperamento delle risorse e dei cambiamenti climatici metterà il mondo su
di una strada molto pericolosa per la seconda metà del secolo, soprattutto per quanto riguarda il
pericolo dell'incremento dell'effetto serra naturale.
Il rapporto è molto chiaro nelle sue conclusioni seguendo e rafforzando il messaggio centrale già
contenuto in tutta la serie dei Limiti: continuiamo a vivere in una maniera che non può più essere
perseguita per le prossime generazioni senza significativi mutamenti di rotta. L'umanità continua a
vivere oltre le capacità rigenerative e ricettive del Pianeta e, in diversi casi, si verificheranno
situazioni di collasso locale prima del 2052.
Stiamo emettendo almeno due volte più gas serra ogni anno rispetto a quanto può essere assorbito
dai grandi ambienti che costituiscono aree di stoccaggio del carbonio, gli oceani e le foreste del
mondo.
Le conclusioni a cui giungeva lo studio del MIT nel 1972 erano le seguenti:
1. Nell'ipotesi che l'attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali
(popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse
naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento
anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione
e del sistema industriale.
2. E' possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità
ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale
potrebbe essere definita in modo tale che venissero soddisfatti i bisogni materiali degli abitanti della
Terra e che ognuno avesse le stesse opportunità di realizzare compiutamente il proprio potenziale
umano.
3. Se l'umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di
successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione.
I due Meadows e Randers nell'ultimo rapporto dei tre, pubblicato nel 2004, affermano :" Il risultato
è che oggi siamo più pessimisti sul futuro globale di quanto non fossimo nel 1972. E' amaro
osservare che l'umanità ha sperperato questi ultimi trent'anni in futili dibattiti e risposte volenterose
ma fiacche alla sfida ecologica globale. Non possiamo bloccarci per altri trent'anni. Dobbiamo
cambiare molte cose se non vogliamo che nel XXI secolo il superamento dei limiti oggi in atto sfoci
nel collasso."
Essi ricordano alcuni punti fondamentali che hanno sinora impedito il progresso verso una strada di
minore insostenibilità del nostro modello di sviluppo socio-economico:
1. La crescita dell'economia fisica è considerata desiderabile; essa è al centro dei nostri sistemi
politici, psicologici e culturali. Quando la popolazione e l'economia crescono, tendono a farlo in
modo esponenziale.
2. Vi sono limiti fisici alle sorgenti di materiali e di energia che danno sostegno alla popolazione ed
all'economia e vi sono limiti ai serbatoi che assorbono i prodotti di scarto delle attività umane.
3. La popolazione e l'economia in crescita ricevono, sui limiti fisici, segnali che sono distorti,
disturbati, ritardati, confusi o non riconosciuti. Le risposte a tali segnali sono ritardate.
4. I limiti del sistema non sono solo finiti, ma anche suscettibili di erosione quando vengano
sollecitati o sfruttati all'eccesso. Vi sono inoltre forti elementi di non linearità - soglie superate le
quali i danni si aggravano rapidamente e possono anche diventare irreversibili.
L'elenco delle cause del superamento e del collasso è anche un elenco dei modi che consentono di
evitarli. Per indirizzare il sistema verso la sostenibilità e la governabilità, basterà rovesciare le
medesime caratteristiche strutturali:
1. La crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine arrestata, da decisioni
umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da retroazione derivante da limiti esterni già
superati.
2. I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l'efficienza del capitale. In atri
termini, occorre ridurre l'impronta ecologica e ciò può avvenire in vari modi: dematerializzazione
(utilizzare meno energia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità
(ridistribuire i benefici dell'uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti nel modo
di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per
l'ambiente fisico).
3. Sorgenti e serbatoi devono essere salvaguardati e, ove possibile, risanati.
4. I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la società deve guardare più lontano ed
agire sulla base di costi e benefici a lungo termine.
5. L'erosione deve essere prevenuta e, dove sia già in atto, occorre rallentarla ed invertirne il corso."
Il nuovo rapporto al Club di Roma deve farci riflettere molto seriamente, ancor di più considerando
gli scarsi risultati del processo negoziale che sta conducendo alla Conferenza delle Nazioni Unite
sullo Sviluppo Sostenibile a Rio de Janeiro: deve finire l'epoca dell'inazione. Dobbiamo agire e
dobbiamo farlo rapidamente.
• Breve storia del verbo essere
Andrea Moro - letto da Giovanni
L’interpretazione del verbo essere è come una costante che attraversa tutto il pensiero linguistico
dell’Occidente sin dalle prime opere di Aristotele. E nel suo dipanarsi si intreccia con la filosofia, la
metafisica, la logica e perfino con la matematica, tanto che Bertrand Russell considerava il verbo
essere una disgrazia per l’umanità.
Andrea Moro ricostruisce questa storia: dalla Grecia classica, attraverso i duelli tra maestri della
logica nel Medioevo e le rivoluzioni seicentesche, fino al Novecento, quando la linguistica diventa
un modello propulsivo per le neuroscienze.
Il verbo essere penetra nel pensiero linguistico moderno portando scandalo e, come un cavallo di
Troia, insinua elementi di disturbo tali da indurci a ripensare dalla radice la più fondamentale delle
strutture del linguaggio umano: la frase.
È una ricerca appassionante, quella di Moro, che giunge a scoprire una formula tale da risolvere
l’anomalia delle frasi copulari – suscitando così nuove domande, sul linguaggio come sulla struttura
della mente.
• Essere senza destino
Imre Kertész - letto da Marina
“Non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio cammino, lo so fin
d’ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile. Perché persino là, accanto ai camini,
nell’intervallo tra i tormenti c’era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti mi chiedono sempre
dei mali, degli ‘orrori’: sebbene per me, forse, proprio questa sia l’esperienza più memorabile. Sì, è
di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che
me lo chiederanno”.
Essere senza destino è la storia autobiografica dell’autore, ebreo ungherese, e della sua deportazione
prima ad Auschwitz e poi in altri campi di concentramento tedeschi.
Gyurka, alter ego dell’autore, è la voce narrante, un ragazzo quattordicenne. Quando Gyurka si fa
esonerare dalla frequentazione scolastica perché il padre deve partire per un campo di lavoro
obbligatorio, in Ungheria ci sono già le prime disposizioni antisemite: il lavoro obbligatorio, la
stella gialla, il divieto agli ebrei di essere titolari di fabbriche o di esercizi commerciali, il divieto di
lasciare la città senza permesso. Poco tempo dopo Gyurka stesso, nonostante la giovane età, viene
chiamato al lavoro obbligatorio presso una fabbrica della Shell fuori città. Il protagonista
inizialmente accetta tutti questi provvedimenti come “naturali”, addirittura il lavoro presso la Shell
diventa un’occasione di crescita, addirittura un privilegio in quanto garantisce a Gyurka un
documento di identità e un permesso di transito. Quando viene fermato dalla polizia ungherese
insieme a tutti i lavoratori presso la Shell, adulti e ragazzini, per essere inviato presso un campo di
lavoro tedesco, Gyurka ne è addirittura contento: vedeva i tedeschi come persone ordinate, pulite e
in grado di apprezzare un lavoro ben fatto, il lavoro obbligatorio in Germania come un’opportunità,
addirittura come una “scelta” ovvia, dopo il trattamento illogico riservatogli dalla polizia ungherese.
Quando il treno sovraffollato che trasporta Gyurka e i suoi compagni in Germania si ferma presso
un cartello che porta la scritta “Auschwitz-Birkenau” al lettore si stringe il cuore perché sa cosa
significa un simile capolinea, mentre Gyurka si limita a notare come la lunga attesa nel treno,
vessato dal poco spazio e dalla sete, lo abbia reso quasi insensibile, indifferente, alla meta
raggiunta. Le prime disposizioni (il taglio dei capelli, il cambio dei vestiti) indispettiscono Gyurka
ma gli sembrano anche abbastanza logiche, finché, passo dopo passo, scelta dopo scelta, la vita di
Gyurka precipita nel baratro del campo di concentramento, quasi senza che egli se ne accorga. La
catena di eventi ha sempre una sua logicità, una certa naturalezza nello svolgimento, ogni
avvenimento innalza il livello di sopportazione e la capacità di accettazione.
Ma la vita in un campo di concentramento è una vita alla quale un essere umano non si può
realmente abituare e ad un certo punto per Gyurka tutto ciò che conta è dormire e mangiare, ogni
altra cosa passa in secondo piano, sia essere picchiato sul lavoro o accasciarsi nel bel mezzo di una
pozzanghera durante l’appello mattutino o serale. Il suo stato fisico produce una serie di
trasferimenti da un campo di concentramento ad un altro, finchè Gyurka viene inspiegabilmente
trasferito in un’infermeria dove ha un letto con le trapunte, viene trattato gentilmente dal personale
addetto e addirittura dai medici, viene curato e sfamato. La prima reazione non è di sollievo, bensì
di sconcerto per l’illogicità di questa nuova sistemazione. Ogni novità positiva viene accolta
inizialmente con sospetto, in seguito con l’indifferenza di chi accetta ciò che piove dal cielo e non si
chiede il perché e nemmeno si indigna più per i maltrattamenti.
Sarà solo dopo la liberazione che Gyurka, di ritorno presso la natia Ungheria, comincerà a riflettere
sulla sua detenzione, e durante le prime conversazioni con i civili che non hanno visto i campi di
concentramento, si scontrerà con chi rifiuta di credere al progetto di sterminio, o con chi invece
della sua esperienza vuole sentirsi raccontare le atrocità e gli orrori. La risposta di Gyurka è che
vivere in un campo di concentramento non è vivere gli orrori o le atrocità, ma vivere minuto per
minuto, ora per ora, mese per mese, anno per anno una serie di avvenimenti che compiscono ciò che
non è un destino, ma un susseguirsi di scelte, di conseguenze, di azioni umane. Gyurka non vuole
narrare di una stereotipata atrocità, non vuole rassicurare chi vuole sentirsi dire che i forni crematori
non sono mai esistiti, egli vuole solamente raccontare la felicità che – seppur fuggevole – si può
provare persino in un campo di concentramento.
Nato nel 1929 a Budapest, Kertész è stato deportato nel 1944 ad Auschwitz e liberato a Buchenwald
nel 1945. Tornò in Ungheria nel ’48 dove lavorò come giornalista in un quotidiano di Budapest fino
al ’51, quando il giornale, diventato organo del partito comunista, lo licenziò. Dopo due anni di
servizio militare, per mantenersi, iniziò a scrivere i suoi romanzi. E’ stato autore di pezzi teatrali e
traduttore di Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein e altri.
Essere senza destino, il suo primo romanzo, è un lavoro basato sulla sua esperienza a Auschwitz e a
Buchenwald. Egli stesso ha dichiarato: “Ogni volta che penso a un nuovo romanzo penso a
Auschwitz”.
Kertész impiegò dieci anni a scriverlo e per molto tempo nessuno lo pubblicò; quando finalmente,
nel 1975, apparve in Ungheria, venne totalmente ignorato e l’autore messo al bando. Dovette
attendere il crollo del Muro per vedere riconosciuta la sua opera, in patria e all’estero. Vinse il
Premio Nobel per la letteratura nel 2002.
La mia guerra non è finita
Marco Patucchi e Harry Shindler - letto da Cristina
Harry Shindler ha appena compiuto 90 anni, ha prestato servizio nell'esercito
britannico durante la seconda guerra mondiale partecipando allo sbarco di Anzio
e alla liberazione di Roma. Vive in Italia dal 1982 e dal 2005 è residente proprio
a San Benedetto del Tronto. Ha una missione nella vita: aiutare figli e nipoti di civili e soldati che
vissero quell'immane tragedia a mettere la parola "fine" a storie dolorose e commoventi sommerse
da oltre sessant'anni di oblio. Questo imperativo morale lo ha portato, ad esempio, a scoprire dove
sono sepolti i resti di centinaia di prigionieri anglo-americani uccisi dal fuoco amico in Umbria, a
rintracciare il relitto di un bombardiere disperso, a riallacciare il rapporto con partigiani che hanno
aiutato i combattenti alleati. Ha messo nero su bianco le drammatiche, commoventi, avvincenti
storie raccolte in questi lunghi anni di ricerche con l'aiuto di Marco Patucchi, giornalista economico
di "Repubblica».
Il libro è dunque un memoir commovente, un doppio viaggio nell'Italia della guerra che unisce il
passato al presente. Il primo è quello del giovane Harry, vissuto in presa diretta sul campo di
battaglia durante i mesi cruciali della campagna angloamericana. Il secondo è un percorso a ritroso
nel tempo, a caccia di ricordi e fantasmi che non trovano pace.
Il sale della vita
Francoise Heritier - letto da Cristina
“Questo piccolo taccuino di intuizioni vale più di mille libroni sapienziali.”
Tutti conosciamo la felicità, e malgrado ciò ci sfugge.
Questo libro ci insegna a ritrovarne le tracce, come briciole di pane nella memoria: vacanze, libri,
amici, un pranzo in riva al mare, la maionese fatta in casa, una foto in bianco e nero, la tromba di
Chet Baker, le dune di Dakar, una serata speciale sotto la pioggia sottile di Parigi… In un gioco di
immagini, associazioni e rimandi Franoise Héritier compone una riflessione unica e commovente
sull'essenza della vita, che é insieme esperimento letterario e inno d'amore per la quotidianità: vivo,
sensuale, modulato con l'ironia e la finezza della grande intellettuale.
Istantanee della propria esistenza, brevi momenti di felicità che danno il sale alla vita. In questo
modo Françoise Héritier (1933), antropologa africanista, si racconta nel libro Il sale della vita in
uscita il 4 aprile edito da Rizzoli.
La scrittrice è stata allieva di Claude Lévi-Strauss a cui è succeduta nella cattedra di Antropologia
sociale al Collège de France dove dal 1998 è professore onorario. I suoi libri sono stati tradotti in
più di dieci lingue e Il sale della vita è già un caso letterario in Francia perché,
scomposta nel gioco degli attimi, la vita di Françoise Héritier è quella di tutti.
“Ci sono momenti di leggerezza e di grazia nella nostra esistenza, al di là
delle occupazioni, al di là dei sentimenti forti, al di là degli impegni». Spiega
la scrittrice. «Piccole cose che tutti possiamo gustare: è il sale della vita».
Un semplice elenco di brevi momenti di felicità, di sorpresa, di ispirazione.
«Nel mio libro non c’è l’evocazione alla maniera di Proust perché a Proust
serve la madeleine che richiami alla mente qualcosa. Per me si tratta
piuttosto di descrivere qualcosa che si trova sempre dentro ed è in ogni
momento pronto a uscire fuori, davanti a una persona, a un sorriso, a
un’immagine», continua la scrittrice, «In questi momenti mi vengono alla
mente foto di film, emozioni o rappresentazioni del passato che si rapportano a quello che ho
appena visto. Le vacanze, i libri, gli amici, un pranzo in riva al mare, la maionese fatta in casa, un
film con Audrey Hepburn, la tromba di Chet Baker, un caffè al sole, le dune di Dakar, una foto in
bianco e nero di tanto tempo fa, una serata speciale sotto la pioggia sottile di Parigi”
L’ispirazione per scrivere Il sale della vita nasce da una cartolina dall’isola di Skye ricevuta da un
collega. Tra le frasi che scrive parla di una “settimana rubata”. «Questa parola, “rubata” mi ha
letteralmente bloccato il cuore. Ho cominciato a pensare come quest’uomo che ha consacrato tutta
la vita alla ricerca e agli altri potesse pensare che una settimana di vacanza fosse una settimana
“rubata”.
Se considerate il vostro tempo come rubato da qualcuno non potete apprezzare più niente
della vita. Non potete più apprezzare quelle cose che danno il sale alla vita. Allora ho cominciato a
contarle. Cose come l’opera, i concerti, una gita fuori porta, un museo. E mi sono resa conto che
sarei potuta andare avanti a scrivere per sempre».
A piedi
Paolo Rumiz - letto da MariaTeresa
"Un mattino di settembre presi il sacco e uscii di casa senza voltarmi indietro. La mia meta stava a
sud, un sud così perfettamente astronomico che sarebbe bastata la bussola a raggiungerlo. Era la
punta meridionale dell'Istria, un promontorio magnifico sui mari ruggenti di Bora, regina dei venti
d'inverno, e di Maestrale, che è il più glorioso dei venti d'estate. Una scogliera talmente ideale che è
stata battezzata 'Capo Promontore' (Premantura in lingua croata).
Un luogo che tutti i lupi di mare sanno riconoscere traversando l'Adriatico." Sette giorni per arrivare
da Trieste a Promontore raccontati ai giovani lettori letteralmente passo dopo passo da un
camminatore d'eccezione: Paolo Rumiz.
Una narrazione che apre finestre su molti temi: le frontiere da
attraversare, i confini che cambiano, la guerra dei Balcani, gli
animali selvatici che si incontrano, l'orientamento con le stelle,
le mappe.
Ma soprattutto una riflessione sull'importanza di camminare:
esercizio che abbiamo dimenticato, sostituendo sempre più
spesso i viaggi virtuali a quelli reali. Una guida precisa da
seguire, una lettura che diventa occasione di approfondimento e
un testo che può ispirare altri viaggi e altri itinerari.
“..Partire. Fare l'Istria a piedi. La bisettrice del Triangolo, un tiro
di schioppo da Trieste a Promontore. Prendere le misure di
questo pezzo di mondo a estate finita, con la malinconia e l'odore di uva nell'aria. E il lusso di un
tuffo laggiù, dopo chilometri di sudore. In fondo ai faraglioni, Sud perfetto, verso il faro di Porer.
L'idea fermenta per mesi, talvolta anni. Poi la decisione si prende in due ore. Capita che il tempo ci
sia, una finestra che non si ripresenterà più. Capita che il tempo sia buono e che, in aggiunta, il
corpo dia segnali di insubordinazione. Perdita delle chiavi di casa, insonnia, voglia di bastonare un
tizio solo per come cammina. Allora è tempo di andare.
Niente più alibi. Mezza giornata per fare il sacco e via. Il materiale buttato sul letto, sempre troppo,
e lo zaino che non si chiude. Scarpe leggere, un chilo di frutta secca, due borracce. Un piccolo
computer per scrivere la storia in diretta. Parto senza avere allertato nessuno. Sarò un perfetto
sconosciuto. Un bagno di umiltà. Chissà cosa mi dirà la strada…”
• Se non siamo innocenti
Claudio Magris - letto da MariaTeresa
P oteva succedere soltanto al Caffè San Marco di Trieste, dove Claudio Magris è di casa. Non c' era
luogo altrettanto adatto in cui incontrarlo, spingerlo a parlare di sé e
delle proprie convinzioni profonde, incalzarlo e poi fermarlo sulla
carta prima che il suo carattere erratico lo richiamasse altrove. E
infatti così è andata: Marco Alloni, che ha conosciuto lo scrittore
triestino durante la sua lunga esperienza giornalistica in Egitto, ha
realizzato con lui un libro intervista ( Claudio Magris. Se non siamo
innocenti , Aliberti, pagine 96, 10, apparsa parzialmente tre anni fa in
Svizzera per la ADV) dove sembra realizzarsi una specie di
quadratura del cerchio. Dal microcosmo del caffè la conversazione si
allarga all' universo interiore dell' uomo Magris, in una cavalcata
veloce ma dal ritmo serrato, in cui risalta quella capacità tipica dello
scrittore di risalire dal particolare all' universale, da un' angolazione
periferica al cuore delle cose.
Certo, il dialogo avrebbe potuto svolgersi anche altrove: davanti al mercato vecchio di Cracovia o
al cimitero ebraico a Praga, in una pasticceria di Budapest o tra le isolette della laguna di Grado. I
marmi del caffè Loos a Vienna, un molo assolato di Fiume, il mare delle dalmate Isole Incoronate
da contemplarsi sdraiati, orizzontali alle onde, avrebbero potuto funzionare altrettanto bene da
sfondo.
Ma certo, il Caffè San Marco più di ogni altro luogo è casa sua, un po' come se gli stucchi e le
tazzine riverberassero qualcosa del Il mito absburgico o di Danubio , e non per caso laggiù si è
svolto il colloquio.
La nota insolita di Se non siamo innocenti è dovuta al carattere del discorso: più che letterario,
morale. Proprio il territorio, dunque, che in genere gli scrittori cercano di sfuggire, spaventati dal
rischio di confondere etica ed arte, e sul quale invece Magris si trova perfettamente a suo agio.
Essere un intellettuale «morale», per Magris, vuol dire anzitutto non tradire la realtà che lo
circonda: «A volte bisogna sapere far fronte, anche se ciò pregiudica la nostra vita». Dunque ci
vuole un coraggio che lo scrittore ammette candidamente di non possedere, pur avendone ereditato
dai genitori abbastanza da sfuggire la vergogna dell' accidia. D' altra parte, confessa, prima o poi
scatta sempre in lui l' indignazione, il rifiuto della volgarità, il no al conformismo che lo induce a
prendere posizione. Poi viene, su un piano più intimo e religioso, la faccenda della «veste
candida». Con questa espressione Magris intende criticare l' aspirazione di molti cattolici a non
lasciarsi contaminare dal male del mondo. E invece no, secondo lo scrittore «la vita non è
innocente» (ecco il senso del titolo) perché il peccato originale è sempre presente, tanto che persino
la banana che si sbuccia, dall' apparenza innocua, può rivelarsi l' ultimo anello di una catena di
violenze e ingiustizie. Noi non ne siamo direttamente consapevoli, d' accordo, eppure in quanto
uomini portiamo su di noi il segno della colpa. Meglio non preoccuparsi di indossare sempre una
«veste candida», dunque; meglio «sporcarla, per fasciare una ferita o pulire un pavimento».
Qui bisogna aggiungere che per Magris conta più il peccato in sé che l' infrazione alla legge (in
questo fedele alla lezione di Franz Kafka). Se da un lato confessa di «leggere quasi ogni giorno il
Vangelo», aggiunge di preferire alla pratica religiosa tradizionale il gusto per «la vicinanza tra
chiesa e osteria, tra pane e vino», e anche la meditazione occasionale nelle «chiese con le porte
aperte, in cui uno va a sedersi un momento davanti a una vecchia immagine...». Ma per carità,
niente religiosità optional , per Magris, niente miscugli spirituali dove «uno prende così,
piluccando, rigettando un elemento o l' altro come gli pare e piace»; niente «tre etti di buddismo qui
e due zollette di cristianesimo là... niente New Age». Del resto anche l' idea dell' aldilà che si coglie
nelle sue parole, magari anche in quelle appena sussurrate, è ortodossa: un luogo dove si ritrovano i
propri cari, una comunità più ampia dove sarà possibile «rivedere anche l' amatissimo porcellino d'
India», di cui parla in Danubio .
L' altra metà dell' intervista, quasi un autoritratto intellettuale di Magris, si snoda invece intorno agli
scrittori e ai temi che lo hanno ispirato «nella sfera morale». E tra questi in prima linea troviamo i
Salgari, Melville e Stevenson letti in gioventù; il Tolstoj di Guerra e Pace ; i Cervantes e Kipling,
nonché - passando a tutt' altra temperie culturale - i saggi che esprimono l' «etica della
responsabilità» in Max Weber. Senza dimenticare un filone diversissimo che gli deriva dal
conterraneo Italo Svevo, «quello dell' ambiguità, del nichilismo, del nulla, dell' infinita cedevolezza
delle cose umane». ».
Si entra , come in punta di piedi, nella parte conclusiva del libro intervista, proprio all' interno del
laboratorio di Magris, il luogo dove il suo particolare modo di valutare, descrivere e narrare, prende
forma. Apprendiamo qui, dalle sue stesse parole, che il «mondo notturno» non è un impulso
psichico liberato dalle censure dell' Ego, ma la capacità di mettere in rilievo «il dettaglio, spesso
tragico, vissuto nell' assolutezza e quasi irrelato dal tutto». Mentre quello «diurno», al contrario, ha
significato soltanto nella cornice della quotidianità, «nell' insieme del mondo». Liberi noi lettori,
naturalmente, di preferire l' uno o l' altro Magris, diurno o notturno, o ancora quello temperato e
autoironico che cerca sempre di tenere in equilibrio i due momenti. Poi, ogni tanto, nella
conversazione fa capolino una certa «tentazione della morte». Ma è solo un accenno, subito
smentito dal gusto per il vivere semplice e immediato, i bagni di mare e le birrerie, il viaggio, la
scoperta della femminilità. Niente ripiegamenti crepuscolari, insomma. Perché il quotidiano
reclama costantemente lo scrittore: «Soprattutto nella misura brevissima tipica dell' articolo c' è
qualche volta una specie di automatismo superiore che ci aiuta a tirar fuori da noi - anche nei
momenti di crisi - il meglio».
• Tre volte all’alba
Alessandro baricco - letto da Marina
Già in "Mr Gwyn", il suo precedente romanzo, Alessandro Baricco aveva parlato di Tre volte
all'alba, una storia nata dalla fantasia di un autore angloindiano.
Ed è proprio questo il titolo che l'autore torinese ha scelto per il suo ultimo romanzo. Ma oltre al
titolo, ci sono anche altri elementi che collegano il romanzo con il precedente, per esempio tutte le
storie che vengono raccontate, iniziano sempre nella hall di un albergo.
Si tratta di tre racconti, indipendenti tra loro ma legati da un unico filo conduttore. Le tre storie si
sfiorano tra loro in maniera quasi impercettibile, eppure dal flebile punto di contatto nasce un
legame profondo, come avviene per i protagonisti della singola vicenda.
Il vissuto della narrazione si svolge sempre all'alba e i protagonisti sono due sconosciuti, che in
seguito ad un incontro fortuito si raccontano e si rivelano, instaurando
tra
di loro un legame umano in grado di svelare all'altro il loro io più
profondo in pochi attimi, con poche parole. Tutti i personaggi
presenti nel romanzo hanno lasciato qualcosa di importante nel loro
passato e hanno dovuto ricominciare.
Alessandro Baricco esplora la vita e le relazioni umane attraverso le
storie messe a nudo degli uomini e delle donne che popolano Tre
volte all'alba.
Baricco è nato a Torino nel 1958. Ha esordito come critico musicale
della "Repubblica" e poi come editorialista culturale della "Stampa".
L'amore per la musica e per la letteratura ha ispirato fin dall'inizio la
sua
attività di brillante saggista e di narratore.
Ha collaborato a trasmissioni radiofoniche e ha esordito in TV nel 1993 come conduttore di
"L'amore è un dardo", una fortunata trasmissione di Raitre dedicata alla lirica, rappresentava il
tentativo di gettare un ponte tra un mondo affascinante ma spesso impenetrabile ai più, e il comune
pubblico televisivo. Ha poi condotto nel 1994 un programma dedicato alla letteratura intitolato
"Pickwick, del leggere e dello scrivere", affiancato dalla giornalista Giovanna Zucconi. Dopo
l'esperienza televisiva, Baricco ha dato vita a Torino alla scuola di scrittura "Holden", dedicata alle
tecniche narrative.
Disse che bisognava stare attenti quando si è giovani perché la luce in cui si abita da giovani sarà
la luce in cui si vivrà per sempre. Così bisognava stare attenti alla cattiveria perché da giovani
sembra un lusso che ti puoi permettere, ma la verità è un’altra, e cioè che la cattiveria è una luce
fredda in cui ogni cosa perde colore, e lo perde per sempre.
Tre volte all’alba, Alessandro Baricco
• La fabbrica di cioccolato
Roald Dahl - letto dal piccolo Luigi
Charlie Bucket vive insieme ai suoi quattro nonni e ai suoi genitori in una piccola casa di legno. Per
la grande povertà, i Bucket si nutrono solamente di cavoli. Solo per il suo compleanno Charlie
riceve in regalo una tavoletta di cioccolato. Willy Wonka, proprietario di una fabbrica di dolcetti,
decide di indire un concorso: in cinque delle sue tavolette di cioccolato sono stati inseriti cinque
biglietti d'oro: chi troverà i biglietti d'oro potrà trascorrere un giorno nella fabbrica di cioccolato, e
ammirare tutte le meraviglie e potrà vincere un premio a sorpresa.
I fortunati bambini che trovano il biglietto sono Augustus Gloop, un bambino molto corpulento e
goloso, Veruca Salt, una ragazzina molto viziata da suo padre, Violetta Beauregarde, che consuma
100 pacchetti al giorno di gomma da masticare, Mike Tivù, un ragazzo molto attratto dalla
televisione, e infine Charlie
Bucket, che trova con un colpo di
fortuna l'ultimo biglietto d'oro.
All'entrata della fabbrica, i
accompagnatori incontrano
vengono introdotti nella
meraviglie, prima tra tutti gli
Wonka ha incontrato in un
deciso di diventare i suoi operai
offerto dei semi di cacao di cui
sono guidati attraverso i settori
ecc….
cinque bambini e i loro
Willy Wonka, un uomo stravagante, e
fabbrica, e qui sono attratti dalle sue
Umpa-Lumpa, un popolo che il signor
viaggio nella giungla e che hanno
ad un patto: Willy Wonka gli avrebbe
andavano pazzi. Mentre i visitatori
della fabbrica, accadono vari fatti
Più famoso libro per ragazzi scritto da Roald Dahl. Il racconto è ispirato alla giovinezza di Dahl:
quando frequentava la Repton School, la famosa ditta produttrice di cioccolato Cadbury spediva ai
collegiali delle scatole piene di nuovi tipi di dolci e un foglietto per votare.
I dolci favoriti venivano quindi immessi nel mercato.Roald Dahl, nato da genitori norvegesi il 13
settembre 1916 nella città di Llandaff, nel Galles, dopo un'infanzia e un'adolescenza segnate dalla
morte del padre e della sorellina Astrid, consumato dalla severità e dalla violenza dei sistemi
educativi dei collegi inglesi, è riuscito da solo a trovare le forze per andare avanti, ma ha anche
saputo elaborare in una scrittura lieve, ma caustica quanto basta, le tragedie e i dolori del mondo.
Prima di diventare scrittore a tempo pieno Roald Dahl si è dovuto adeguare ai lavori più strambi.
Partecipa alla Seconda guerra mondiale in qualità di pilota d'aereo e scampa per miracolo ad un
terribile incidente. Dopo il congedo Roald Dahl si trasferisce negli Stati Uniti e lì scopre la sua
vocazione di scrittore.
Nel 1953 sposa una celebre attrice, Patricia Neal, da cui avrà cinque figli. La sua vita familiare però
sarà sconvolta da una serie di terribili drammi e lutti familiari.
Tornato in Gran Bretagna Dahl acquista una popolarità sempre più vasta come scrittore per bambini
e, negli anni '80, grazie anche all'incoraggiamento della seconda moglie Felicity, scrive quelli che
possono essere considerati i suoi capolavori: Il GGG, Le Streghe, Matilde. Altre storie sono: Boy,
Sporcelli, La fabbrica di cioccolato, Il grande ascensore di cristallo.
Roald Dahl ha scritto anche libri per adulti, racconti il cui tema centrale è la sofferenza che nasce
dalla crudeltà, la sopraffazione e l'imbarazzo.
Ritiratosi in una grande casa di campagna, il bizzarro scrittore muore nel 1990 di leucemia.
• La versione di Barney
Mordecai Richlert - letto da Sergio
La versione di Barney è un romanzo dello scrittore canadese Mordecai Richler. Il libro, pubblicato
nel 1997, è il racconto della vita dell'ebreo canadese Barney Panofsky, scritta in forma di
autobiografia.
Richler ha sempre smentito che Barney fosse in qualche modo un suo alter ego, anche se esistono
numerose analogie fra la vita dell'autore e quella raccontata nel suo romanzo.
Il libro ha avuto grande successo internazionale, e in particolar modo in Italia dove nel 2001 è
divenuto un vero e proprio caso letterario con più di 100.000 copie vendute.
Nel 2010 è stata realizzata una trasposizione cinematografica del romanzo.
Barney Panofsky (produttore televisivo di successo) è un ricco ebreo
canadese figlio di un poliziotto che, passati i sessant'anni, decide apparentemente controvoglia - di scrivere una autobiografia. Il motivo che
spinge Barney a scriverla è dare la sua "versione" dei fatti che hanno portato
alla morte del suo amico Bernard "Boogie" Moscovitch, e liberarsi così
dall'accusa di omicidio mossagli nel libro "Il tempo, le febbri" dallo scrittore
Terry McIver, compagno di Barney al tempo del suo lungo soggiorno a
Parigi.
Nel corso della stesura delle sue memorie tuttavia i ricordi di Barney
diventano via via confusi: gli episodi del suo passato si intrecciano indissolubilmente con gli
avvenimenti del suo presente. Così l'intero romanzo risulta essere una serie di flashback disordinati:
i racconti delle giornate del "vecchio" Barney (acciaccato, abbandonato dalla moglie ed alcolista
irrecuperabile), si mescolano alla girandola dei ricordi d'una vita ricca di avvenimenti e incontri
straordinari.
Il romanzo è strutturato in tre parti, una per ciascuna delle tre mogli di Barney: la prima, la pittrice
Clara Charnofsky, morta suicida a Parigi; la ciarliera "Seconda Signora Panofsky", una ricca
ereditiera che Barney sposa senza troppa convinzione e dalla quale divorzia presto; Miriam, il vero
grande amore di Barney, dalla quale avrà tre figli (Michael, Saul, Kate), con i quali Barney ha un
rapporto conflittuale. In realtà, a causa delle continue digressioni, episodi concernenti tutte e tre le
donne sono presenti in ciascuna delle tre parti del romanzo.
Le memorie di Barney vengono poi pubblicate postume, con l'inserimento di pignole note a piè di
pagina a correzione delle sviste di Barney, dal figlio Michael che è inoltre autore del poscritto
dell'opera, in cui si spiegano i motivi dei vuoti di memoria di Barney (che è infatti affetto dal morbo
di Alzheimer) e nelle quali viene infine chiarito il mistero sulla morte di Boogie.
• L’estate alla fine del secolo
Fabio Geda - letto da Daniela
Nell’ultima estate del XX secolo un nonno e un nipote si incontrano
per la prima volta, dopo che una lunga serie di incomprensioni
famigliari li ha tenuti distanti. Il nonno, ebreo, nato il 5 settembre 1938,
giorno in cui in Italia vengono promulgate le leggi razziali, ha trascorso
la propria vita senza sentirsi autorizzato a esistere. Ormai anziano, ha
scelto la piccola borgata di montagna dove durante la guerra aveva
trascorso la clandestinità con la famiglia, per uccidersi. Il ragazzino, un
adolescente sensibile ed estroverso che viene affidato a lui perché il
padre, malato, deve sottoporsi a una delicata terapia, entra in quell’ultima stagione del vecchio in
modo perentorio e imprevisto. E mentre sulle rive del lago artificiale in cui si specchia il paesino
riceve la sua iniziazione alla vita, riuscirà, forse, a far uscire il nonno dalla sua condizione di
fantasma. Il nuovo romanzo di Fabio Geda è una storia narrata a due voci – quella del nipote ormai
diventato adulto e quella del nonno – dove il mondo innocente dei bambini, tema tanto caro
all’autore, si incontra con quello dei vecchi «dipingendo» un abbraccio tra l’inizio e la fine della
vita. Ancora una volta una parte della vicenda – quella del nonno – ha una forte componente reale…
ma il perché verrà spiegato in seguito.
Nel tardo pomeriggio mi siedo sulla panca e lo vedo, il nonno, che stende ad asciugare magliette e
pantaloni, che mescola i pigmenti, che gratta il fornello della pipa col cucchiaino per rimuovere le
incrostazioni. Poi lo osservo lasciare ciò che sta facendo, come se avesse udito una voce, e
raggiungere la curva, lì dove il prato declina. Si volta, mi guarda, scende alcuni passi, e non c'è
mai stato."
Chiudo il libro con un sorriso malinconico. Penso alla vita.
E’ un romanzo sulla vita, nei suoi aspetti più semplici, essenziali: gli affetti, l'amore, la famiglia.
Parla di rapporti tra genitori, figli, nonni. Lo fa con delicata profondità, entrando nell'intimo del
cuore dei protagonisti, dei due "io" narranti, nonno e nipote, che si incontrano per circostanze
fortuite e per certi versi drammatiche. Zeno, il ragazzo, è nato e cresciuto in Sicilia, e non sa
dell'esistenza di un nonno materno, Simone, che vive quasi da eremita a Colle Ferro, poco distante
da Genova. L'improvvisa malattia del padre costringe ad un trasferimento repentino in clinica, per
l'appunto a Genova, dove tuttavia il ragazzo non può essere ospitato, e la madre trova come unica
soluzione praticabile quella di affidarlo al nonno. Da questo spunto nasce un intreccio vorticoso di
emozioni: il rapporto tra i due è difficile, il nonno è scontroso, il giovane è strappato dalla sua realtà
quotidiana e quasi abbandonato a se stesso.
Lentamente, osservandosi da lontano, i due imparano a conoscersi, a rispettarsi, a volersi bene. I
loro universi, così apparentemente distanti, si intrecceranno e le loro diversità si smusseranno, fino
a scoprirsi più simili di quanto avessero immaginato.
Fabio Geda dipinge questo mondo minuscolo con tinte pastello, ma con tratti precisi. Ci rapisce,
facendoci immedesimare ora in Zeno, ora in Simone, che racconta la storia della propria vita,
complessa e sofferta, a partire da quando era molto piccolo, di famiglia ebrea,
con i drammi legati alla circostanza storica: fughe, cambi di identità,
deportazione. La guerra, i suoi drammi, poi la crescita, il fratello maggiore più
dotato, l'inserimento nella vita con grandi successi, ma con una costante aura
di sfiducia e distacco. Zeno, dal canto suo, è figlio del suo tempo, la fine del
secolo scorso (come suggerisce il titolo): ha famigliarità con cellulari e
fumetti, ha un mondo molto piccolo, costituito dalla sua famiglia e dai pochi
amici nel piccolo paese in cui vive. Per certi versi è un solitario, proprio come
il nonno.
E' un romanzo bello. Molto bello. A tratti poetico, sempre scorrevole e
riflessivo. Induce alla lettura attenta e meditata. Induce a pensieri diversi, positivi e negativi. Regala
sorrisi e lacrime vere.
La società letteraria di Guernsey
Mery Ann Shaffer - proposta di lettura per le vacanze da Maria Teresa
Gennaio 1946. In una Londra fredda e grigia, dove gli abitanti si aggirano come fantasmi fra edifici
distrutti, credendo comunque in un futuro migliore, Juliet Ashton, giovane scrittrice di successo, sta
cercando il soggetto per il suo nuovo romanzo. Inaspettato, lo spunto nasce da una lettera di
Dawsey Adams, fattore dell'isola di Guernsey, che ha trovato il suo indirizzo su un vecchio libro
usato. I due iniziano una fitta corrispondenza e lei comincia a immaginare il mondo in cui vivono
quest'uomo e i suoi tanti amici, un mondo meravigliosamente eccentrico. È Dawsey a svelare a
Juliet la storia della Società Letteraria di Guernsey, nata per sfuggire al coprifuoco tedesco durante
l'occupazione dell'isola. Da quel fatidico momento, un gruppo di persone che fino ad allora si era
limitato alle Sacre Scritture, ai cataloghi di sementi e alla Gazzetta del Porcaro scopre un genere
diverso di lettura: Shakespeare, Marco Aurelio, Jane Eyre, i grandi classici. Da semplice pretesto, la
lettura diventa un vero e proprio piacere, tanto che il circolo continua a esistere a e prosperare anche
a guerra finita. A poco a poco Juliet amplia il cerchio dei suoi 'amici di penna' e, sempre più
affascinata dalle storie degli abitanti dell'isola, dalle loro vite straordinarie, da come l'amore per i
libri li abbia aiutati a superare gli orrori della guerra, decide di partire. E proprio a Guernsey riuscirà
a trovare non solo l'ispirazione per il suo lavoro, ma qualcosa che cambierà per sempre il corso
della sua vita.
La società letteraria di Guernsey è un libro molto divertente ed ironico, che riesce a raccontare con
leggerezza anche le situazioni drammatiche.
Di questo libro colpisce innanzitutto la forma completamente epistolare: oltre alle lettere fra Juliet e
gli abitanti di Guernsey, viene ricostruito infatti lo scambio epistolare fra l'autrice ed il suo editore e
amico Sidney, fra l'autrice e la sorella di quest'ultimo, Sophie, oltre alle lettere fra l'autrice ed un
ricco spasimante americano. Poi, il paesaggio, che cambia radicalmente mano a mano che ci si
sposta verso la campagna: pascoli ondulati che terminano all'improvviso sulla scogliera, e
tutt'intorno il profumo del mare; prati pieni di fiori selvatici, che crescono ovunque, anche sui cigli
delle strade, nelle crepe, tra le fessure del selciato, erbe incolte e ginestre; il cielo color madreperla,
il mare con piccole increspature argentee...
Mary Ann Shaffer ci dona un romanzo emozionante e pieno di humour che celebra la parola scritta
in tutte le sue sfaccettature, il potere dell'amicizia e dell'amore, ma soprattutto dei libri "perché ci
scaldano il cuore nei momenti difficili, ci arricchiscono l'anima, ci avvicinano agli altri, a volte ci
salvano la vita." Inoltre, per il piacere del bibliofilo, le pagine sono ricche di citazioni e di autori
che, per un qualche motivo, sono entrati a far parte della vita dei membri della Società Letteraria
“Torta di Patate”, come i fratelli Lamb, Victor Hugo, Seneca o Wordsworth.
La storia di Mary Ann Shaffer è abbastanza singolare ed ha molti punti in comune con la trama del
suo romanzo e la vita della sua protagonista. Americana, classe 1934, la Shaffer si è sempre
dedicata ai libri: come editor, come bibliotecaria e infine come libraia. Durante un viaggio a
Londra, nel 1976, è venuta a conoscenza dell'esistenza delle Isole del Canale. Proprio dalla visita ad
una queste isole, Guernsey, dove è rimasta intrappolata a causa di una fitta nebbia, è nata l'idea di
questo romanzo. Anni dopo, spinta dal suo club letterario, e volendo realizzare il sogno di scrivere
un romanzo abbastanza buono da essere pubblicato, Mary Ann ha naturalmente pensato a Guernsey,
come ambientazione, e ad un epistolario, come forma, perché, per qualche strana ragione, ha
creduto fosse più semplice esprimersi così.
Purtroppo, la salute dell'autrice è peggiorata nell'ultima fase di preparazione del romanzo, così che è
stata costretta a chiedere alla nipote, Annie Barrows, di terminarlo. Questo il messaggio conclusivo
dei ringraziamenti finali: “ Spero almeno che questi personaggi e le loro storie portino un po' di luce
sulle sofferenze e la forza della gente delle Isole del Canale durante l'occupazione tedesca. Spero
anche che queste pagine illustrino la mia convinzione che l'amore per l'arte – sia essa poesia,
narrativa, pittura, scultura o musica – mette le persona in condizione di trascendere qualunque
barriera l'uomo riesca ad escogitare”.
Per concludere, non possono mancare un paio di citazioni.
“Ecco ciò che amo della lettura: di un libro ti può interessare un particolare, e quel particolare ti
condurrà ad un altro libro, e da lì arriverai ad un terzo. E' una progressione geometrica. Senza altro
scopo che il puro piacere”.
“Non riesco ad immaginare niente di più deprimente che passare il resto della vita accanto a
qualcuno con cui non posso parlare o, peggio ancora, qualcuno con cui non posso stare in silenzio”.
• Una bella differenza
Marco Aime - proposta di lettura per le vacanze da Sergio
La differenza ha profonde radici storiche e culturali ed è il frutto delle
risposte che i diversi gruppi umani hanno saputo dare ai differenti habitat
con cui si sono trovati a convivere. Marco Aime, dialogando con le sue
nipotine Chiara ed Elena, racconta dei suoi viaggi, dei suoi incontri
immaginari con colleghi celebri come Claude Lévi-Strauss o Bronislaw
Malinowski - nel libro citati semplicemente per nome, - e mediante aneddoti
ed esempi spiega le diverse concezioni che i tanti popoli della terra hanno
dello spazio, del tempo, della famiglia, dell'economia, del corpo. Nel suo
insieme il libro da vita a una sorta di breve e semplice corso di antropologia che fornisce ai lettori,
giovani e adulti, gli strumenti critici per osservare il mondo con altri occhi.
Incipit:
- Zio è vero che tu insegni antro.... Non mi ricordo più come si chiama.
- Antropologia, sì è vero Chiara.
- Mi spieghi cos'è? Che non è mica tanto chiaro.
- Sedetevi qui, anche tu Elena.
- Ma lei è piccola!
- Non importa vedrai che capirà. L'importante è comprendere che nel mondo ci sono differenze nel
modo di pensare e di comportarsi, ma che nessuno è inferiore agli altri. Bisogna imparare che se
qualcuno si comporta in modo diverso da noi, forse avrà le sue ragioni e ai suoi occhi siamo noi ad
essere diversi. Avete notato che ci sono persone che hanno, per esempio, la pelle diversa dalla
nostra .... ?
- Si, nella mia classe ci sono due bambini marocchini, uno del Senegal, nero nero, e una bambina
cinese.
- Come sono?
- Un po' diversi, Yussuf a Alì hanno i capelli ricci, Badu è proprio nero e Liang ha i capelli lisci
lisci e gli occhi un po' tirati.
- Sono diversi, tutti siamo diversi l'uno dall'altro. Guardatevi un po' una con l'altra. Tu Chiara hai i
capelli lisci, tua sorellina li ha ricci. Eppure siete nate dagli stessi genitori. Eh, sì, ci sono delle
differenze. Qualcuno vi dirà che gli africani, i cinesi, i marocchini sono di razze diverse. Non
credetegli. Ora vi racconto come è andata....................
Marco Aime è nato a Torino nel 1956. È attualmente ricercatore di Antropologia Culturale presso
l'Università di Genova. Ha condotto ricerche in Benin, Burkina Faso e Mali, oltre che sulle Alpi.
Oltre a numerosi articoli scientifici, ha pubblicato vari testi antropologici sui paesi visitati.
Il recentissimo Eccessi di culture (2004) affronta i nuovi scenari disegnati da migrazioni, tensioni
internazionali, scambi di idee e di immagini; parole come "cultura", "etnia", "identità" riempiono
sempre più, spesso a sproposito, i discorsi dei politici e le colonne dei giornali.
Il prossimo incontro del Circolo della lettura sarà domenica 30 settembre.
Buone vacanze.