La “Tagliamento” in Valsesia Il fragore del combattimento di Varallo

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La “Tagliamento” in Valsesia Il fragore del combattimento di Varallo
La “Tagliamento” in Valsesia
Il fragore del combattimento di Varallo rintronò in tutta la vallata, aumentò il prestigio dei partigiani
nell’opinione pubblica. Molti giovani che prima facevano soltanto delle apparizioni al campo vennero su
definitivamente. Altri arrivarono dalle grandi città, da Novara, da Torino, da Milano.
All’Alpe di Bordone non c’era piú posto. Bisognava trovare un’altra base più spaziosa anche perché si
avvicinava l’inverno e si poneva il problema di attrezzarci meglio per affrontare il rigore della stagione.
La sistemazione scelta fu Castagneia, situata sul fondo del vallone sotto l’Alpe del Bordone. Nella modesta
casupola di Lorenzo e di sua madre trovarono la migliore ospitalità Gastone (Ciro) e Moscatelli. II comando
con i servizi si sistemarono nella casa Bracchi ed un grande edificio rustico fu trasformato in “caserma” per i
partigiani. In un altro locale venne organizzato il circolo; una vecchia chiesa sconsacrata fu adibita a
magazzino viveri e deposito di armi. Nei dormitori furono costruiti castelli metallici e pagliericci. Ciro
organizzò le postazioni di protezione sulla strada che da Cellio conduce a Borgosesia.
Anche la vita interna del nuovo campo venne meglio organizzata.
Il distaccamento “Gramsci” era cresciuto, contava sessanta uomini (tra cui i giovanissimi Sergio Velatta e
Pierino Coatti di Borgosesia, entrambi quindicenni) divisi in sei squadre, oltre ad una ventina di ex prigionieri sui quali però non c’era da fare conto, trovandosi essi da noi per così dire di “transito”, perché li
aiutassimo a raggiungere la Svizzera. D’accordo con Beltrami si stabilì il contatto con il comandante di una
formazione vicina, Alfredo Di Dio, per coordinare un’azione comune sul forte presidio tedesco di Gozzano.
Assieme al fratello Antonio, Alfredo Di Dio comandava un gruppo di giovani sistemati sopra Massiola nei
pressi di Omegna.
Il 21 dicembre il nostro servizio di informazione comunicava che a Borgosesia erano arrivati i militi del 63o
battaglione della legione “Tagliamento”. Era il primo battaglione costituito a Roma dopo il 25 luglio, veniva
inviato in Valsesia per «stroncare il ribellismo». Si trattava di quattrocentottanta uomini armati sino ai denti
e che sarebbe stato pazzesco attaccare direttamente con poche forze.
Furono subito organizzati, però, degli attacchi alle pattuglie nemiche circolanti nel paese. La sera stessa un
nucleo di tre partigiani comandati da Mario Vinzio (Pesgu) attaccava una pattuglia ed uccideva un fascista
nella frazione di Aranco (Borgosesia). Un altro nucleo comandato da Angelo Bertone attaccava un’altra
pattuglia uccidendo un fascista e ferendone alcuni.
Purtroppo anche da parte nostra si dovette lamentare la perdita dello stesso Bertone, valoroso partigiano,
già combattente negli alpini.
Nel frattempo il comandante della “Tagliamento”, il famigerato Zuccari, aveva fatto rastrellare numerosi
ostaggi e li teneva prigionieri nel municipio di Borgosesia.
Pur ritenendo in pericolo di vita tutti gli ostaggi nelle mani dei fascisti della “Tagliamento”, avevamo ancora
un filo di speranza di poter fare qualche cosa per salvarli.
Invece all’indomani mattina dieci di essi, dopo essere stati barbaramente torturati tutta la notte, vennero
trucidati contro il muro della chiesa di Sant’Antonio a Borgosesia. Compiuto il misfatto i fascisti fuggirono
come jene.
Tra i dieci martiri fucilati vi era l’industriale Giuseppe Osella che pagò con la tortura stoicamente sopportata
e con la vita la sua dedizione alla causa dell’indipendenza nazionale e della libertà. Accanto a lui cadde il
quindicenne Mario Canova fucilato perché portava il pane ai partigiani; Renato Topini di Varallo Sesia,
giovane studente diciottenne, partigiano; Silvio Loss di Borgosesia fucilato perché amico dei partigiani;
Giuseppe Fontana sincero antifascista di Borgosesia; Angelo Longhi, operaio dirigente sindacale; ed i
partigiani Renato Rinolfi, Enrico Borandi, Adelio Bricco, Emilio Galliziotti.
Appena si sparse la notizia della fucilazione degli ostaggi e delle devastazioni operate dai fascisti a colpi di
bombe a mano all’Albergo dei Tre Re, al Caffè di Silmo (il nostro intendente) e dal barbiere Alfredo Borgo, un
grande fermento si manifestò tra i partigiani. Questi avrebbero voluto scendere immediatamente e dare
battaglia; fu necessaria una paziente ed energica opera di persuasione per impedire che si precipitassero a
Borgosesia il che sarebbe stato un vero suicidio.
All’inizio non poche furono le difficoltà da superare per imporre la “disciplina” a questi giovani generosi ma
piuttosto amanti del “bel gesto”, dell’avventura ed ignari dei metodi della lotta partigiana.
Fu necessario più di un discorso per spiegare loro che avevamo bisogno di disciplina e non di ribellismo, di
coraggio intelligente e non di avventatezza.
Il partigiano dev’essere più coraggioso e più intelligente del soldato che combatte anonimo nella sua unità,
egli deve coordinare la sua azione con quella del reparto ed agire come fosse una unità a sé. Nell’esercito
borghese è il concetto dell’azione di massa, ordinata dall’alto, che conta; i soldati devono solo ubbidire e
combattere; nell’esercito partigiano invece si fa leva ed assegnamento soprattutto sulle risorse tecniche,
morali, sull’intelligenza e sull’astuzia dell’uomo.