Il numero di Ottobre 2008

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Il numero di Ottobre 2008
La Redazione risponde
QUE
S
20 PTO NUMERO
AGIN
E
Riscatto agevolato
sentenza favorevole
della Corte d’Appello
di Bologna
A cura dell’Avv.
Vipsania Andreicich
A pagina 7
anno XIV - n° 10
Ottobre 2008
periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
Centro Studi padre Flaminio Rocchi
Una nuova stagione
di confronto con il Governo
Con l’incontro preliminare dell’8 luglio e quindi con la riunione del 9
settembre presso il Ministero dell’Interno sulle questioni dell’anagrafe (corretta indicazione dei luoghi di nascita) e cittadinanza (si veda più avanti il
punto 8) si apre la stagione di un rinnovato confronto con il governo sui temi
indicati dalla Federazione delle Associazioni degli Esuli nel suo documento
di otto punti. Vale la pena ricordarli:
1. l’approvazione di una legge che sancisca l’equo e definitivo indennizzo per i beni degli esuli in Istria, Fiume e Dalmazia con i quali lo Stato
italiano ha pagato alla ex Jugoslavia i danni di guerra dovuti dall’intero Paese. È l’aspettativa più sentita dalla stragrande maggioranza degli esuli;
2. la denuncia del Trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia e la restituzione
dei beni ai profughi ancora nella disponibilità degli Stati di Slovenia e Croazia
oltre alla non discriminazione delle legislazioni interne di questi Paesi nei
confronti dei cittadini italiani;
3. le problematiche in materia di anagrafe, documenti di identità, patenti, tessere sanitarie, posizioni pensionistiche, codici fiscali, dati gli ancora
numerosi casi di alterazione dei luoghi di nascita degli esuli,
segue a pagina 2
A Trieste la beatificazione
di Don Bonifacio
La solenne proclamazione il 4 ottobre
Trieste ospita, il 4 ottobre, la cerimonia di beatificazione del martire
istriano don Francesco Bonifacio, nella cattedrale di San Giusto e presieduta
dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause
dei santi del Vaticano, alla presenza del vescovo di Trieste Eugenio Ravignani.
La data era stata ufficialmente confermata dalla diocesi di Trieste che ne
ha avuta comunicazione diretta dal Vaticano. A rappresentare a Trieste papa
Benedetto XVI, mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle
cause dei santi. La nota della diocesi tergestina specificava che «il Santo
padre Benedetto XVI accogliendo la richiesta del vescovo di Trieste mons.
Eugenio Ravignani ha concesso che la beatificazione del servo di Dio don
Francesco Bonifacio abbia luogo a Trieste nel pomeriggio di sabato 4 ottobre».
La causa per riconoscerne il martirio «in odium fidei», fu presentata 10
anni fa dal locale tribunale canonico alla Congregazione per la causa dei
santi, ma la sua storia era più antica, e risale all’arcivescovo Antonio Santin
nel 1957, seguito in questa azione poi dallo stesso monsignor Ravignani e
dal vescovo Lorenzo Bellomi.
Due vescovi di origine istriana dunque, Santin e Ravignani, sono stati
rispettivamente il suggeritore e ora il celebrante in una vicenda che si è
sviluppata attraverso molti decenni e che solo oggi, nel mutato clima geopolitico, ha potuto trovare positiva conclusione.
segue a pagina 10
Le regole del confronto
correttezza e misura
Il comunicato emesso dall’Esecutivo Nazionale ANVGD
L’Esecutivo Nazionale ANVGD registra con sorpresa l’improvvisa amplificazione che viene data in questi giorni
alla molteplicità di opinioni – segno di democratica partecipazione – presente all’interno della nostra Associazione. Siamo infatti convinti che l’azione di dialogo interno debba rimanere in ambito associativo, senza che si
trascenda proponendo in maniera indistinta
argomentazioni e ricostruzioni talvolta palesemente
artefatte.
Riteniamo quindi che gli organi associativi, da quelli
provinciali a quelli nazionali per la loro autorità e competenza, eletti tutti da decine di congressi provinciali e
dal Congresso nazionale con un notevole rinnovamento
dei quadri dirigenziali, siano il luogo naturalmente e legittimamente privilegiato per un confronto costruttivo, che
possa produrre risultati utili unicamente se compartecipati da tutte le componenti associative in grado di dare il
proprio fattivo contributo.
segue a pagina 2
Indennizzi, Frattini: «da decidere
somme e modi di pagamento»
L’agenzia ANSA riporta da Roma la
dichiarazione del ministro degli Esteri
Frattini a margine dell’incontro
bilaterale tra Italia e Slovenia svoltosi
nella capitale l’8 settembre.
«L’attenzione da parte dell’Italia nei
confronti degli esuli istriani rimarrà tale.
Poi le forme di indennizzo, l’ammontare e modalità di pagamento saranno
oggetto di un confronto» tra il governo e i diretti interessati. Lo ha detto il
ministro degli Esteri Franco Frattini, in
una conferenza con il collega sloveno
Dimitrij Rupel, rispondendo a una
domanda dei giornalisti sulla richieste
di risarcimento delle associazioni degli esuli istriani.
Il ministro ha ricordato che «l’Italia ha già adottato una legge nazionale, già in parte finanziata», sugli indennizzi agli esuli e si è dichiarato «disponibile a proseguire il confronto
positivo» con gli esuli, ai quali va «il
massimo rispetto» del governo.
Il giorno prima il quotidiano “Il
Piccolo” del 7 settembre ha pubblicato una lunga intervista di Alessio
Radossi al ministro Frattini sui temi
della politica internazionale dell’Italia
in un momento di particolare complessità. Alla vigilia dell’incontro bilaterale
con la Slovenia, il titolare del Dicastero si è pronunciato sugli indennizzi ai
profughi per i beni perduti.
Ecco alcuni stralci dell’intervista a
Frattini, riprodotta integralmente sul
sito www.anvgd.it
Alla Libia di Gheddafi 5 miliardi
di dollari per i danni di guerra. E agli
esuli? La legge sugli indennizzi per i
beni abbandonati va «rivitalizzata». È
la risposta del ministro degli Esteri Franco Frattini, in questa intervista alla vigilia del vertice interministeriale fra Ita-
Il sottosegretario agli Esteri
Alfredo Mantica a Trieste incontra
la Federazione delle Associazioni
Lo scorso 29 luglio, a Trieste, il sottosegretario di Stato
agli Affari Esteri, sen. Alfredo Mantica, ha incontrato il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo,
e esponenti della Federazione degli Esuli, dell’UPT, dell’IRCI
e di altre associazioni degli Esuli con sede a Trieste, prima
di proseguire per Fiume.
Molti gli argomenti affrontati. Mantica ha annunciato
la ripresa del tavolo Esuli-Governo entro settembre per
addivenire ad una lista prioritaria da “spuntare” in tempi
brevi, prima fra tutte la questione degli indennizzi.
Sensibile alla realtà del mondo istriano, fiumano e
dalmato, considera fondamentale il progetto del Civico
Museo che si sta costruendo a Trieste ed anzi lancia l’idea
segue a pagina 2
Nella Cattedrale di S. Giusto la solenne beatificazione di Don Bonifacio
Slovenia’s Bad Memory
In english language to page 15
La extraña memoria eslovena
En lengua española en la página 16
Poste Italiane SpA - Spedizione in
Abbonamento Postale - D.L.353/2003 (conv. in
L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma
Una bella immagine di Rovigno con il suo mare
lia e Slovenia in programma domani
[l’8 settembre, ndr] a Roma [...].
[...] Il recente accordo con la Libia
per la riparazione dei danni di guerra,
in qualche modo riattualizza anche la
vicende post belliche del confine
orientale. A Gheddafi daremo 5 miliardi di dollari, ma per gli indennizzi
agli esuli istriani e dalmati per i beni
abbandonati nella ex Jugoslavia sembra che i soldi stanziati dall’Italia non
siano sufficienti, almeno sul fronte
dell’aggiornamento dei coefficienti dei
rimborsi. Quale impegno si sente di
prendere in questo senso?
L’attuazione della legge va a rilento, è vero. Ma sono sempre disposto a
incontrare le associazioni degli esuli
per vedere come rivitalizzare l’attuazione di quella legge. [...]
Red.
Il litorale istriano non fu mai
«territorio etnicamente sloveno»
la FederEsuli e l’ANVGD
scrivono al ministro Frattini
Ferma protesta della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
per il documento pubblicato dal Governo della Repubblica di Slovenia a conclusione del suo turno di
presidenza UE.
Nel documento, sottoscritto dalla Presidenza
slovena, è infatti inclusa una sintesi della storia della
vicina Repubblica i cui contenuti sono discutibili storicamente e giuridicamente, anche alla luce dei trattati internazionali . In essa la complessa evoluzione
storica dei territori orientali e l’autoctonia della importante presenza italiana nelle aree cedute alla ex
Jugoslavia in base al trattato di pace del 10 febbraio
1947, sono ampiamente sottaciute o rivedute in base
a criteri etnocentrici che non corrispondono alla reale configurazione storica, culturale e linguistica di
quei territori.
La FederEsuli, nelle persone del presidente Renzo
Codarin e del vicepresidente Lucio Toth, hanno
rimarcato – con una lettera inviata al ministro degli
Esteri Franco Frattini, che si trascrive di seguito – la
reticenza e la distorsione sostanziali ed evidenti del
documento ufficiale di Lubiana, invitando il titolare
del nostro Dicastero ad esprimere al Governo di
Slovenia la forte contrarietà dell’Italia alle manipolazioni operate su temi così delicati.
segue a pagina 2
2
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
fatti e commenti
continua dalla prima pagina
continua dalla prima pagina
Una nuova stagione
di confronto con il Governo
4. l’approvazione di una legge permanente a favore delle associazioni
degli esuli istriani, fiumani e dalmati in Italia, per la tutela del patrimonio
storico, artistico e delle tradizioni culturali italiane;
5. l’approvazione di una legge permanente a favore delle attività delle
Comunità degli Italiani nell’ex Jugoslavia;
6. la salvaguardia per le tombe e monumenti civili con scritte in lingua
italiana in Istria, Fiume e Dalmazia;
7. la soluzione alle problematiche ancora in sospeso con riguardo al
settore delle Case Popolari;
8. l’approvazione di una legge sulla cittadinanza da estendere alle persone di nazionalità italiana residenti nei comuni della Dalmazia, che non
appartenevano all’Italia al momento del Trattato di Pace del 1947. La rinascita delle comunità italiane in Croazia, Slovenia e Dalmazia meridionale si
è rivelata uno strumento essenziale di presenza italiana e di collaborazione
culturale con gli enti locali e le università croate, slovene e montenegrine.
Otto punti, questi, fondamentali per le associazioni che, federate, rappresentano gli esuli, otto punti che riassumono anni di lavoro e di aspettative, riproposti ad ogni nuovo Esecutivo, e in Italia, si sa, il turn over dei
governi è più rapido che altrove. Il tempo trascorre, gli scenari politici cambiano velocemente e non di rado sembra di tessere una tela di Penelope,
non certo per responsabilità delle associazioni: ad ogni nuovo governo si
ricomincia da capo, si “capitalizza” quel che si è riusciti ad ottenere, si
prosegue e ci si misura con nuovi interlocutori. In questo senso sono registrate positivamente le dichiarazioni del ministro degli Esteri Frattini a proposito degli indennizzi: «L’attenzione da parte dell’Italia nei confronti degli
esuli istriani rimarrà tale. Poi le forme di indennizzo, l’ammontare e modalità di pagamento saranno oggetto di un confronto tra il governo e i diretti
interessati»
La questione “anagrafe” è tra le più sentite (insieme con quella relativa
agli indennizzi) da quanti sono nati nei territori ceduti. Nonostante la nota
legge del 1989 e le successive circolari, buona parte degli esuli che per anni
si è vista registrare come nata in Jugoslavia, quindi in Croazia, o Slovenia o
Serbia-Montenegro: l’ignoranza e l’ignavia della burocrazia si combina oggi
con la cieca applicazione dei software informatici ai quali sono sconosciute
le città cedute, benché sia disponibile l’elenco completo redatto dall’ISTAT, e
nonostante questa Associazione intervenga pressoché quotidianamente, su
segnalazione dei profughi, a richiamare le amministrazioni inadempienti al
rispetto delle norme. La sorda burocrazia fa fatica ad aggiornarsi, e dunque
si rende indispensabile un intervento di ordine politico-amministrativo che
sia risolutivo: quello che la Federazione delle Associazioni ha chiesto e chiede nuovamente con fermezza, per rispetto della storia e per evitare a migliaia di cittadini il calvario delle contraddizioni interne al sistema amministrativo, che ricadono inevitabilmente su di loro.
Rappresentatività della Federazione
Questo il lato, per così dire, tecnico dell’argomento. D’altro canto si
pone la questione della rappresentatività della Federazione rispetto agli
interlocutori di governo, questione sollevata – per lo più maldestramente,
tanto maldestramente da indurre a più di un sospetto – da alcuni ambienti
dell’associazionismo che pur di denigrare la Federazione non hanno avuto
ritegno di ricorrere ad attacchi e offese personali, firmati e non, secondo
l’ultima sguaiata moda dell’insulto generalizzato, con ciò rendendo un pessimo servizio alla causa: perché criticare, anche con durezza di toni, è lecito
e sano in democrazia, ma superare la soglia del rispetto, no. Così si creano
in realtà falsi obiettivi, e non è detto che proprio questo si voglia: polverizzare le importanti questioni ancora legate al mondo degli esuli per annullarle,
perché, come suol dirsi, a pensare male qualche volta s’indovina.
Se l’intento, come crediamo, è di minare la credibilità delle associazioni
al tavolo del governo, l’obiettivo non pare proprio centrato, giacché quest’autunno la Federazione si ripresenta coerentemente come controparte
attiva dell’Esecutivo nazionale. E i rappresentanti del governo, di qualunque
governo si tratti, si attendono un interlocutore credibile, univoco e affidabile; l’immagine alla quale questa Federazione tiene è conformata ai suoi
contenuti, e a questi contenuti, solo a questi, sono affidate le legittime richieste degli esuli.
Patrizia C. Hansen
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non equivale alla quota associativa
Il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica a Trieste
incontra la Federazione delle Associazioni
di organizzare, in occasione dell’inaugurazione, un Raduno delle seconde
e terze generazioni di giuliano-dalmati
nel mondo affinché ci sia un virtuale,
ma importante, passaggio del testimone ai giovani in grado di traghettare
nel futuro la cultura di un popolo.
Durante l’incontro successivo,
Mantica ha voluto ribadire l’importanza di avviare un progetto di futura collaborazione tra esuli e residenti in Istria
Fiume e Dalmazia affinché si arrivi ad
un finanziamento composito ma mirato dell’attività svolta in loco. L’unità
d’intenti viene vista come chiave di
lettura del futuro rapporto con il Governo. In questo senso, l’incontro è da
considerarsi un ulteriore passo verso
la concretizzazione delle premesse già
valutate e ribadite durante i colloqui
di qualche mese fa con il ministro Franco Frattini. Il senatore Mantica annuncia un ritorno ad ottobre in Regione
per verificare lo stato delle cose e proporre nuove strategie.
Il sottosegretario era accompagnato dai Consoli italiani a Fiume e
Capodistria, Fulvio Rustico e Carlo
Gambacurta con i quali ha prosegui-
to la visita a Fiume in serata per incontrare la Comunità Nazionale Italiana.
Rosanna Turcinovich Giuricin
(il testo completo su
www.arcipelagoadriatico.it)
Il sottosegretario agli Esteri Mantica ha annunciato la ripresa
del tavolo Esuli-Governo per addivenire ad una lista prioritaria
da “spuntare” in tempi brevi, prima fra tutte la questione
degli indennizzi dei beni perduti
continua dalla prima pagina
Le regole del confronto
correttezza e misura
Il comunicato emesso dall’Esecutivo Nazionale ANVGD
Chi rifiuta pregiudizialmente questo confronto dimostra l’incapacità di sostenere le proprie tesi in maniera seria, anteponendo così i “rumors” mediatici ai veri interessi
degli esuli. La discussione in corso nell’ANVGD denota una
associazione viva e vitale, vivace e propositiva. Il dibattito
libero ed aperto, la trasparenza e il diritto di dissentire, se
interpretati con correttezza e rispetto, sono prerogative di
grande democrazia interna e volontà di stimolare e rispettare tutte le diverse sensibilità, che talora constatiamo non
albergare in tutte le associazioni.
Non si comprende inoltre per quale logica associazioni che si sono allontanate dalla Federazione (illudendosi di
fabbricare poli alternativi) si facciano adesso paladine dell’amplificazione del nostro confronto interno, con una mancanza di sensibilità, correttezza e lungimiranza che allontanano la loro dirigenza dalla tutela degli interessi degli
esuli, i quali stanno sempre più dimostrando insofferenza
verso questa forma di gestione, di cui mal si comprendono
le oscillazioni e le estremizzazioni politiche.
L’ANVGD continuerà, anche in seno alla Federazione, a
tutelare solo ed esclusivamente gli interessi degli esuli, senza indulgere in facili populismi e soprattutto affermando la
totale indipendenza dai movimenti politici, dei quali si diventa strumento non appena si abbandona il terreno istituzionale, dove si deve svolgere il confronto tra le nostre associazioni, il Parlamento e il Governo. Si ha la netta impressione che queste improvvise irrequietezze estive siano
soltanto una reazione indispettita alla serietà del processo
di riconciliazione interna e ai fattivi contatti con il Governo
e la nuova Federazione, che l’ANVGD ha sempre perseguito.
Roma, 30 luglio 2008
L’Esecutivo Nazionale ANVGD
continua dalla prima pagina
Il litorale istriano non fu mai «territorio etnicamente sloveno»
la FederEsuli e l’ANVGD scrivono al ministro Frattini
Roma, 23 agosto 2008
Al Signor Ministro degli Affari Esteri
On. Franco Frattini
Piazzale della Farnesina, 1
Roma
Gentile Signor Ministro,
nella relazione conclusiva del semestre di presidenza
della UE (1° gennaio - 30 giugno 2008) inviato a tutti i Governi dell’Unione, il Governo della Repubblica di Slovenia
ha inserito un profilo storico del Paese che contiene alcune
affermazioni meritevoli di puntualizzazione da parte del
Governo della nostra Repubblica.
Vi si legge infatti in due punti uno svolgimento degli
eventi sul piano storico-giuridico non rispondente al vero.
1°) Si parla di un “territorio etnicamente sloveno” che
al termine della Prima guerra mondiale sarebbe stato diviso tra Italia, Austria e Regno dei Serbi Croati e Sloveni. Ora
mal si comprende quale sia l’estensione di questo preteso
“territorio etnico” dal momento che tale terminologia è priva di ogni base scientifica oggettiva e può lasciare intendere che tutta la Venezia Giulia di allora e quindi anche le
attuali province ancora italiane di Trieste e Gorizia facessero parte di esso.
2°) Si definiscono gli eventi dolorosi verificatisi nel
1945 nella regione giulia come una riunificazione alla
Slovenia di parte di questo supposto territorio etnico. Il che
presuppone tre fatti storicamente privi di fondamento:
I) che il litorale istriano della ex-Zona B possa essere
definito come territorio etnico sloveno, quando invece è
stato caratterizzato per secoli da una radicata cultura istrianoveneta di lingua italiana;
II) che il litorale istriano della ex-Zona B sia appartenu-
to in passato ad uno Stato sloveno, mai esistito, mentre è
noto che i territori di Capodistria, Pirano e Isola d’Istria avevano fatto parte per secoli della Repubblica Veneta e successivamente dell’Impero d’Austria (salva la parentesi
napoleonica di appartenenza al Regno d’Italia prima e alle
Province Illiriche poi);
III) che una parte del territorio etnico sloveno non sia
stato ancora “riunificato” alla madrepatria: cioè le attuali
province di Trieste e Gorizia e forse parte della Carinzia.
Siffatte affermazioni ledono non solo la verità storica,
ma mettono in discussione gli assetti territoriali sanciti da
tutti gli strumenti di diritto internazionale che definiscono
le frontiere tra l’Italia, la Slovenia e l’Austria. La stampa
giuliana di questi giorni, certamente non nazionalista, ha
sottolineato con autorevoli interventi questo “scivolone
irredentista” che è sfuggito ai compilatori della relazione.
Gli esuli istriani e giuliani chiedono al Governo della
Repubblica di farsi interprete presso il Governo sloveno della
preoccupazione dell’opinione pubblica italiana per tali affermazioni e del loro personale sdegno nel vedere manomessa la verità storica sul carattere autoctono italiano e
comunque plurale del territorio assegnato allo Stato italiano “liberale” nel 1920 e poi perduto a seguito del Trattato
di pace del 1947 e del Trattato di Osimo del 1975.
Tralasciamo ogni considerazione circa lo spirito di leale amicizia che dovrebbe presiedere a tutti i rapporti tra i
Paesi della UE, compresi quelli che attengono alla storia
passata, che non dovrebbe più essere motivo di contesa.
Renzo Codarin (Presidente)
Lucio Toth (Vicepresidente)
Gli interventi di Renzo Codarin,
Stelio Spadaro e Claudio Grizon a pag. 11.
Ottobre 2008
3
DIFESA ADRIATICA
cultura e libri
Terzo «Salone del Libro dell’Adriatico orientale»:
a Trieste la grande vetrina della cultura
della Venezia Giulia e della Dalmazia
Si è svolta a Trieste, dal 10 al 14
settembre scorso, la terza edizione
della «Bancarella - Salone del Libro
dell’Adriatico orientale» promosso e
curato dal Centro di Documentazione Multimediale (CDM) in collaborazione con l’Associazione Nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia e con il
patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia, del Comune e della Provincia di Trieste e con i contributi della Fondazione Cassa di Risparmio di
Trieste e del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali.
La Bancarella rappresenta la prosecuzione di uno sforzo culturale che
ha visto impegnati numerosi ospiti in
performance letterarie, teatrali e mu-
sicali per rendere la complessità della
cultura istriana, fiumana e dalmata
passata e presente. Un percorso che
non potrebbe dirsi tracciato se non ne
facessero parte anche gli italiani presenti al di là dei confini nazionali e
quelli emigrati in terre più o meno lontane.
L’intento è anche quello di richiamarsi all’unità e alla ricomposizione
del frastagliato mondo degli esuli,
come ha ricordato Renzo Codarin,
presidente del CDM, nel corso della
conferenza stampa di presentazione
dell’iniziativa: «[…] all’interno di una
cultura nella quale si ha pieno diritto
di cittadinanza. Trieste in questo senso è importante in quanto “capitale
morale dell’Esodo” – ha sottolineato –
ma non dobbiamo dimenticare che
essa rappresenta anche l’approdo di
quel mare Adriatico sul quale è stata
traghettata la nostra storia prima che
esistessero altre importanti vie di comunicazione a terra». Come ha poi
ricordato Rosanna Giuricin, è ancora
una volta il mare che avrebbe fatto da
filo conduttore ai vari segmenti della
manifestazione.
E. M.
(la cronaca integrale
su www.arcipelagoadriatico.it)
Sul numero di novembre un’ampia
cronaca della manifestazione
Profughi da Fiume a Recco
Proiettata alla Mostra del Cinema
di Venezia «La città dolente»
La pellicola restaurata da Istituto Luce,
Cineteca Nazionale e Cineteca del Friuli
All’interno della retrospettiva dedicata quest’anno dalla Mostra del
Cinema di Venezia al cinema italiano
ritrovato, il pubblico di critici e spettatori ha avuto la possibilità di assistere
alla proiezione del film di Mario Bonnard «La città dolente», un’opera significativa anche dal punto di vista storico, in quanto ha per trama l’esodo
giuliano-dalmata. Un’opera, questa di
Bonnard, che ha delle consonanze con
la stagione del neorealismo e nella
quale si intrecciano le immagini
documentaristiche del dramma dell’esodo con il racconto cinematografico di una storia familiare.
Alla sceneggiatura collaborarono
anche Federico Fellini, Anton Giulio
Majano e Aldo De Benedetti, autore
di teatro che riprese a lavorare dopo
l’allontanamento imposto dalle leggi
razziali. La fotografia era diretta dall’allora giovane Tonino Delli Colli, che
diventerà uno dei più grandi direttori
della fotografia italiani.
Dunque la pellicola, che aveva subito l’usura del tempo, è
stata restaurata ed è nuovamente a disposizione
del pubblico. Ricordiamo che recentemente è
stato edito, curato da
Al Palazzo
del Cinema
del Lido di Venezia
la proiezione
della pellicola
restaurata
Un... mare di libri in esposizione alla terza edizione
della «Bancarella», incontri con autori, appuntamenti con la Storia,
sapori e profumi dell’Adriatico orientale
La locandina originale
de «La città dolente»
Alessandro Cuk, un saggio prezioso
dal titolo Il cinema di frontiera – Il confine orientale, realizzato in collaborazione con l’Associazione Nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia e il CinitCineforum Italiano, il primo studio
organico sulle opere cinematografiche
direttamente collegate a quegli eventi. Nel libro di Cuk un capitolo è dedicato al film di Bonnard.
red.
Sandro Pellegrini, fiumano, giornalista e ricercatore, dona alla città di Recco,
in quel di Genova, un libro
prezioso, nel quale sono rievocate le vicende storiche
dell’esodo giuliano approdato sulle rive liguri, qui ritrovando, negli orizzonti della
costa e del mare, un paesaggio intimamente famigliare,
un sollievo dell’anima dopo
le violenze subite dagli oc- Una bella immagine di Recco dal mare
cupanti jugoslavi e l’angoscia
del Golfo Paradiso. Agli esuli giuliani
della fuga forzata.
che si insediarono nella cittadina ligure
Tra il 1946 e il 1964, cirdopo l’esodo è dedicato il libro
ca 300 profughi giuliani trodi Sandro Pellegrini, voluto
dall’Amministrazione comunale
varono rifugio e si stabilirono a Recco; di questi, buona
parte proveniva da Fiume, come l’au- luoghi, purtroppo – «un’accoglienza
tore e la sua famiglia. La cittadina fraterna e sinceramente generosa. Per
ligure, distrutta al 95% dai bombarda- quasi 300 di loro quest’angolo di Limenti nel biennio 1943-’44, già al ter- guria è stato la Patria ritrovata e promine della Prima guerra mondiale ave- fondamente amata, una Patria condiva ospitato, in segno di fraterna soli- visa con migliaia di recchesi fino al
darietà, una ventina di ragazzi fiumani; punto di confondersi con essi e di conal volgere del secondo conflitto, no- dividere la loro stessa vita».
Il libro raccoglie le testimonianze
nostante le enormi distruzioni dell’abitato, accolse intere famiglie che qui, di fiumani divenuti recchesi, e pubblicome scrive Pellegrini, «hanno intra- ca l’importante elenco dei profughi
preso una seconda parte della loro registrati nel Comune dal 1945 al
vita», trovando – diversamente da altri 1964, dalle cui schede anagrafiche
l’autore trascrive i nomi, la provenienza e la eventuale destinazione conosciuta alla metà degli anni Sessanta.
Un elenco, aggiornato all’ottobre
2007, riguarda gli esuli attualmente
residenti a Recco, «una pattuglia»,
A sinistra e in basso:
come li definisce l’autore, di fiumani
due dei reperti
e polesani, il cui numero pur ridotto
da capodistria di epoca classica
dal tempo e dai successivi trasferimenti
esposti a Roma
testimonia comunque l’entità dell’esodo giuliano nella piccola Recco. Ed
eguale rilievo ha la testimonianza diretta di Sandro Pellegrini, alla cui memoria è affidata la descrizione puntuale delle persone, delle famiglie, degli
eventi; dalla sue pagine emerge, con
la semplicità del racconto quotidiano,
la tragedia della dispersione causata
dall’esodo e la fatica, ma anche la tenacia veramente inesausta, degli esuli
tutti per ricostruirsi, anzi inventarsi, una
vita nuova in un contesto di rovine e
di ristrettezze. Impresa riuscita loro
egregiamente, per le connaturate serietà e laboriosità in forza delle quali
hanno saputo integrarsi e rendersi parte
attiva del grande processo di ricostruzione nazionale, pur nell’inesauribile
dolore della perdita ingiusta dei luoghi d’origine.
Capodistria dall’evo antico al Rinascimento in mostra a Roma
Il Museo Nazionale dell’Alto
Medioevo di Roma ha ospitato, sino
al 30 settembre, la mostra «Capodistria tra Roma e Venezia».
Che Capodistria sia storicamente una delle città più antiche ed importanti dell’Istria lo testimoniano i
cinque nomi con i quali venne indicata in diversi periodi storici (Aegida
in età romana, Caprae / Insula
capritana in età tardoantica,
Justinopolis nel periodo bizantino,
Caput Histriae nel tardo Medioevo
e all’inizio dell’età moderna), ma anche i suoi edifici monumentali, i cui
caratteri architettonici e artistici testimoniano il dominio della Repubblica di Venezia, durato oltre cinque
secoli.
Attraverso un centinaio di reperti, materiale illustrativo e testi, la
mostra «Capodistria tra Roma e Venezia» ha presentato gli esiti delle
ricerche archeologiche effettuate tra
il 1986 e il 1987, nell’orto dell’ex
convento dei Cappuccini, nel cen-
tro storico della città.
Si è trattato di uno dei primi interventi archeologici in quell’area,
che ha restituito una sequenza
stratigrafica di quasi due millenni,
dall’età tardo-repubblicana (II-I secolo a. C.) fino all’età moderna, con
resti di strutture abitative e produttive nonché isolate sepolture.
Tra i materiali in mostra, oltre a
un bronzetto raffigurante Atteone attaccato dai cani, del I secolo d. C.,
numerosi i reperti in ceramica, metallo, osso, pietra e vetro appartenenti al periodo tardoantico e altomedievale (VI-IX secolo), dalle evidenti analogie con materiali bizantini
dell’area adriatica e in genere mediterranea.
Uno spazio importante è stato
riservato ai reperti risalenti al tardo
Medioevo e al Rinascimento (XIVXVI sec.) principalmente ceramiche
da tavola e da cucina, di forte
connotazione veneta e romagnola.
red.
Nel disegno di Aldo Cherini
un particolare degli archi
del Duomo capodistriano
p.c.h.
4
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
Addio a Mila Schön,
la grande signora della moda
Era dalmata di Traù. Ha segnato con stile il costume italiano
del secondo dopoguerra
La stilista Mila Schön è mancata nella notte
del 5 settembre scorso nella sua residenza in provincia di Alessandria.
Mila Nutrizio Schön era nata a Traù, in
Dalmazia, nel 1919, subito dopo la caduta dell’impero austro-ungarico. Si trasferì con la famiglia a Trieste, dove visse e studiò fino ai diciotto
anni. Sorella del giornalista Nino Nutrizio, lo
seguì nel 1940 a Milano, dove egli si era trasferito per assumere la direzione del quotidiano «La
Notte». Durante la seconda guerra mondiale, sfollata a Novara, conobbe Aurelio Schön, commerciante di tessuti, veneto di origini austriache.
Dotata di straordinaria inventiva, di innata
eleganza e di un gusto raffinato, aprì un piccolo
atelier a Milano, in zona Porta Romana. Era il
1958, e quella sfilata segnò la nascita di un nuovo, personalissimo stile, elegante e sobrio. Proprio la ricerca di questo nitore formale la spinse
a sperimentare materiali inediti, tra cui quello
che, poi, diventò il suo marchio di fabbrica: il
«double», creato con Agnona, che prevedeva
l’accoppiamento di due tessuti e permetteva l’uso
di cuciture nascoste e nervature. Nel 1965 fu
notata dal marchese Giorgini, che la invitò a presentare la sua prima collezione di alta moda a
Firenze, a Palazzo Pitti, tempio indiscusso del
prêt-a-porter di classe. Grazie a quella collezione, l’«International Herald Tribune» la battezzò
«The Italian Coco Chanel». Da allora per Mila
Schön si spalancarono le porte del successo internazionale: invitata da Neiman Marcus, nel
1966 ricevette l’Oscar del colore a Houston,
mentre New York la festeggiava con un gala con
ospiti come Marella Agnelli e Lee Radzwill.
Da allora la strada fu tutta in discesa. Nel 1966
aprì la prima boutique in via Montenapoleone,
nel 1971 nacquero le prime collezioni del prêta-porter maschile e femminile, quindi le linee di
borse, calzature, cravatte, foulard, profumi. Negli anni ’70 era ormai sinonimo universale di eleganza. Alla precisione del taglio Mila Schön unì
la perfezione del disegno, ma lo stile non venne
mai messo in discussione.
La “signora dell’eleganza” venne nominata
«Commendatore della Repubblica», nel 1985
ricevette il «Leone d’oro», premio speciale per
la moda, e due anni dopo la medaglia d’oro del
Comune di Milano. Nel 1990 si mossero anche
i cronisti giuliani, conferendole il «San Giusto
d’oro».
La sua azienda divenne un impero, finché,
nel ’93, fu ceduta al colosso giapponese «Itochu»,
che prima l’affidò al «Mariella Burani Fashion
Group» e poi, nell’aprile 2007, alla neonata società «Brand Extension».
A luglio di quest’anno, Alta Roma ha reso
omaggio ai 50 anni di carriera di Mila Schon
con un docu-film di Antonello Sarno e una retrospettiva delle sue creazioni più rappresentative. Il 19 settembre è stata la volta di Milano, che
ha ospitato a Palazzo Reale una mostra per
ripercorrerne la storia.
Cordoglio per la morte della stilista dalmata
è stato espresso dall’intero mondo della moda e
M. Moro, Il Castello di Trieste, litografia a colori, 1854.
Vista del bastione rotondo del castello sovrastato dall’edificio fredericiano
Restaurato il complesso del Castello di San Giusto
Trieste nel Trecento,
arte ed economia
di una città in espansione
La stilista dalmata, la cui firma è stata
sinonimo di eleganza (foto ANSA)
dalle istituzioni. «Era la signora dell’eleganza ha detto il sindaco di Milano, Letizia Moratti -,
sempre aperta al rigore, alla tradizione ma anche alla ricerca di materiali di nuove modalità di
interpretare una moda che ancora oggi fa tendenza». Per lo stilista Giorgio Armani, «è stata
importante nel prêt-a-porter e ancor di più nell’alta moda, che voleva elegante ma discreta,
senza i soliti eccessi». Per Mario Boselli, presidente della Camera Italiana della Moda, con la
scomparsa di Mila Schön «perdiamo uno dei
pilastri del made in Italy».
Le esequie si sono svolte nella chiesa di San
Babila, a Milano.
Il messaggio del Presidente ANVGD Lucio Toth
Le comunità giuliano-dalmate hanno perso
un’amica, una conterranea, un alfiere della moda
italiana nel mondo. Maria Grazia Nutrizio non
solo era nata a Traù, cittadina antichissima della
costa dalmata, fondata dai greci e abitata per
secoli da veneto-dalmati, amanti dell’arte e della cultura, ma dalmata si sentiva.
E ancor prima italiana, perché la sua famiglia
aveva lasciato la Dalmazia con il primo esodo di
migliaia di italiani all’inizio degli anniVenti, dopo
il crollo del multietnico impero austroungarico e
l’assegnazione alla ex Iugoslavia di gran parte
della regione dalmata.
Veniva da una nobile famiglia di quel patriziato che aveva retto per secoli i liberi comuni
della Dalmazia.
Come tanti altri dalmati ha dato all’Italia il
contributo della sua inventiva, della sua sobrietà, della sua fantasia creativa. Era sorella di Nino
Nutrizio, uno dei più noti e stimati giornalisti italiani del secondo dopoguerra, che continuava la
grande tradizione del giornalismo dalmato, da
Arturo Colautti a Enzo Bettiza.
Lucio Toth
Una mostra ne illustra la storia e gli aspetti
in un secolo chiave per lo sviluppo moderno
Trieste. Il complesso monumentale del castello di San Giusto, che insieme con la Basilica
è uno dei simboli della città giuliana, è stato restituito al suo splendore originario a seguito di
un radicale e articolato intervento di restauro
curato dai Civici Musei di Storia e Arte in collaborazione con l’Università degli Studi di TriesteDipartimento di Storia e Storia dell’Arte e l’Assessorato alla Cultura del Comune, ed è stato per
così dire riconsegnato alla città con un prestigioso
ed accurato allestimento, la mostra «Medioevo
a Trieste. Istituzioni, arte, società nel ’300» che
ampia risonanza ha avuto sulla stampa nazionale.
All’interno della mostra, le planimetrie, le
opere d’arte e di oreficeria, le armi e le suppellettili di uso comune, le epigrafi e le monete si
integrano con una raccolta ricchissima di documenti, dai codici agli atti privati, dalle lettere diplomatiche ai registri delle pubbliche amministrazioni, di Trieste e di Venezia e delle cittadine
del Patriarcato di Aquileia, allo scopo di integrare la storia di Trieste nella più ampia cornice della grande civiltà comunale italiana.
Ecco pertanto esposti gli Statuti, quelli del
1350 impreziositi da meravigliosi capilettera, i
documenti della vita quotidiana (testamenti, patti
dotali, contratti di locazione), le cause civili e
penali, i documenti espressi dalla Chiesa, le
monete in circolazione all’epoca e le ceramiche
utilizzate.
«Finalmente una grande iniziativa dedicata
ad un periodo che, per quanto riguarda Trieste, è
stato meno approfondito rispetto ad altre epoche», ha rimarcato l’assessore alla Cultura, Massimo Greco. «La Trieste moderna e contemporanea, infatti, con la sua peculiare, straordinaria,
anche tragica vicenda, ha finito con l’assorbire
attenzioni e passioni. Ma non si comprenderebbero tanti rilevanti aspetti della Trieste più recente senza un adeguato riferimento a un secolochiave come il Quattordicesimo».
Concordano i curatori dell’evento sul fatto
che finalmente potrà essere conosciuta e studiata la fisionomia del paesaggio urbano, degli
insediamenti rurali, un’economia agricola fortemente orientata verso la risorsa vitivinicola.
«Lungo tutto lo svolgimento del secolo Quattordicesimo prese salda fisionomia una compagine di famiglie che organizzarono produzione
di leggi e amministrazione della giustizia, difesa
militare, gestione urbanistica e controllo del territorio, coordinamento tra economia pubblica ed
economia privata», ha commentato Paolo
Cammarosano, presidente del Comitato scientifico che ha coordinato l’iniziativa. «La produzione artistica si aprì agli influssi di Venezia e
della Lombardia, il giuoco politico conobbe un
continuo bilanciamento tra potenze esterne e più
forti: Patriarcato di Aquileia, conti di Gorizia,
Repubblica di Venezia, e i duchi d’Austria che
infine vinsero».
Un itinerario medievale guiderà da ora in
avanti il visitatore nei luoghi del Medioevo triestino grazie ad un’apposita segnaletica, dal Castello di San Giusto verso il centro urbano, attraverso luoghi suggestivi solitamente poco noti in
quanto non conosciuti o non facilmente
raggiungibili.
La mostra resterà aperta sino al 25 gennaio
2009.
Red.
Sopra: Arciere,
iniziale miniata dagli Statuti
del Comune di Trieste,
1350, Trieste,
Archivio Diplomatico
della Biblioteca Civica
“Attilio Hortis”, ß EE 2, c. 131r
Una collezione di coordinati per la casa firmati Schön
A sinistra: San Giusto
regge il modellino della città,
affresco, 1380 ca.,
Basilica, cappella
di San Giovanni
Ottobre 2008
5
DIFESA ADRIATICA
La Redazione risponde
Riscatto agevolato, sentenza favorevole della Corte d’Appello di Bologna
A cura dell’Avv.
Vipsania Andreicich
A seguito di una sentenza del Tribunale di
Bologna che aveva accolto la domanda di alcuni profughi assegnatari di alloggi di edilizia
residenziale pubblica costruiti ex art. 17 della
Legge 137/1952 per l’ottenimento dell’acquisto dei propri alloggi al prezzo agevolato pari
al 50% del costo di costruzione, l’ACER di Bologna aveva presentato ricorso in appello.
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 23 febbraio 2007 depositata in cancelleria il 24 luglio 2008, ha rigettato l’appello
proposto dall’ACER di Bologna, confermando,
quindi, che la possibilità di acquisto agevolato
previsto dall’art. 1, comma 24, della Legge 560/
1993 (con prezzo pari al 50% del costo di costruzione di ogni singolo alloggio alla data di
ultimazione della costruzione ovvero della assegnazione, se anteriore) deve estendersi a tutti i profughi, compresi quelli assegnatari di alloggi loro riservati in percentuale sulle
assegnazioni complessive, ai sensi dell’art. 17
della legge 137/1952.
La Corte ha infatti ritenuto che la tesi
restrittiva sostenuta dall’ ACER di Bologna e confortata dalla sentenza della Corte di Cassazione
del 13.12.1999 n. 13949, dovesse ritenersi superata a seguito della dell’approvazione della
Legge 23.12.2000 n. 388 (c.d. Legge Finanziaria 2001), la quale ha avuto, nella questione
relativa all’applicazione dei benefici per l’acquisto degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati ai profughi, una portata innovativa
e chiarificatrice rispetto al quadro legislativo
precedente.
L’art. 45 comma 3 della predetta legge (nor-
ma di interpretazione autentica fornita dal legislatore) segna infatti un definitivo superamento
del precedente orientamento restrittivo della
Suprema Corte di Cassazione. Nel suo significato letterale e logico la disposizione sopra citata, unifica gli interventi di cui ai menzionati
artt. 17 e 18 della Legge n. 137/1952, assoggettando entrambe le provvidenze (riserva ed
alloggi) all’applicazione dell’art. 1, comma 24,
della Legge 560/1993, prevedendo espressamente che le condizioni di miglior favore nella
determinazione del prezzo si applicano indistintamente a tutti gli immobili destinati ai profughi in forza della predetta legge, ovvero sia a
quelli specificamente realizzati per essi, sia a
quelli loro assegnati in forza di riserva di aliquota sul complesso degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica.
Come aveva già osservato il Consiglio di
Stato nella sentenza n. 1176 del 23 marzo
2005, a seguito delle novità legislative che hanno profondamente modificato il settore di edilizia residenziale pubblica (rif. alla unificazione di tale patrimonio operato dalla legge
22.10.1971 n. 865 e dal D.P.R. 30.12.1972 n.
ELARGIZIONI E ABBONAMENTI
Questa rubrica riporta:
- le elargizioni a “Difesa Adriatica”
di importo superiore all’abbonamento ordinario;
- le elargizioni dirette alla Sede nazionale ANVGD;
- eventuali elargizioni di altra natura;
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All’interno di ogni gruppo, i nominativi sono elencati in ordine
alfabetico. In rispetto della normativa
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Ringraziamo da queste pagine tutti
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Grusovin Bruno € 35, Justin Licia €
50, Ottomaniello Riccardo € 100,
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50, Valenti Rita € 40.
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Casari Roberto € 50, De Gravisi
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€ 50, Mazzon Claudio € 40,
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50.
LUGLIO Blasich Silvia € 55,
Ciurlizza Claudia € 50, Petronio
Erasmo € 35, Sebeni Sergio € 40, Ulivi
Fiora € 50, Zvietich Benito € 90.
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Ralza Maria, Roselli Zita, Rossetti
Cosulich Nora, Ruzich Maria, Sabatti
Giovanni, Sablich Romano, Santin
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Schûrzel Giorgio, Schûrzel Sergio,
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Spadavecchia Giovanni, Sticotti Marco, Tami Licinia, Tiblias Aldo, Tonsi
Ersilia, Turre Enrico, Venier Laura, Verbi Giuliana, Viale Bertazzi Jone,
Vianello M.Grazia, Vianello Rosanna,
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Zagabria Giovanni, Zandegiacomo
Franco, Zulini Maria, Zustovich Sergio.
APRILE A.I.R.L., Amadi Fulvia,
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Bembina Ampelia, Bisiach Luigi, Bullo
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Anna, Fabi Nella, Laurencich Egle,
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Alice, Ossoinack Bianca, Ostrogovich
Francesco, Palaoro Narciso, PaliagaStruggia, Perich Edvino, Peterovich
Gianni, Pizzinat Armando, Pletenaz
Gabriella, Rihar Arnaldo, Rode Vezia,
Rota Antonia, Rupena Olga, Saccon
Vittoria, Schiaroli Elio, Schneider Luciano, Scomersich Tarsilla, Scuola
Dalmata di Venezia, Stanziola Maria
Luisa, Sorgarello Lidia Bonollo, Sviben
Ileana, Ziliotto Vincenzo.
MAGGIO Andreani Lucio,
Antonini Giordano, Barbieri Pietro,
Bernardelli Premate Gabriella,
Bernardis Antonio, Calochira Lionello,
Dassovich Mario, de Fabris Maria Luisa, Devescovi Pietro, De Vidovich
Valmira, Dietrich Ezio, Dobran Pietro,
Dubani Ive Alma, Endrigo Liliana, Forza Paolo, Gherbaz Don Roberto, Giungi Gregorio, Gropuzzo Luigi, Host Pietro, Martinoli Livia, Morsi Giovanni,
Moscheni Alda, Moscheni Luciana,
Mulitsch Caterina a Paolo, Musco Alberto, Narciso Bianco, Nonini Neria,
Piazzese Carmelo, Prettegiani Antonio,
Ricci Francesco Giovanni, Sabatti
Casalino Nadia, Sabatti Livio, Solis
Francesco, SuperinaVivetta,Tenze Fausto, Tognon Greco Loriana, Velleni
Giovanni, Vidossich Giorgio, Vidotto
Pier Giorgio, Zannoni Giovanni Battista.
GIUGNO
Adrario Amato
Riccardo, Amato Maria, ANVGD Verona, Argentini Carmen, Bartole
Antonino, Betossa Rosanna, Borsatti
Gabriella, Bussani Daria, Casalino
Corrado, Chiurco Liliana, De Pascalis
Franca, Dianich Antonio, Di Pasquale
Wottava Anna, Di Rienzo Lucilla ved.
Ricci, Fornasiero Giacomo, Friedmann
Eliana, Gabrielli Favretto Luciana,
Gasperini Vittorino, Gembressi Claudio, Gobbo Livio, Guidi Eugenio,
Ianovich Nicolò, Janni Luciano, Kail
Elda, Kolman Clelia, Maccorini
Aurelia, Maja Walter, Marani Francesco, Marincovich Maria Grazia,
Morelli Valeria, Pappafava Marta,
Pavazza Benito, Persurich Nello,
Pillepich Livio, Pinz Luciana
Trombetta, Polo Silvana, Rangan Silvia, Ruzzier Umberto, Salvagno Lucia,
Sandri Ubizzo Irma, Scialò Luciana,
Toffetti Lucilla Sifari, Traina Leopolda,
Trontel Graziella, Usilla Marisa,Vidali
Silvana, Zadeu Nivetta, Zuppin
Lucchese Rita.
LUGLIO Antonazzi Maria,
Badalucco Paolo, Becich Stefano,
Castriota Scanderberg Maria Luisa, De
Bernardis Egle, De Draganich
Venanzio Giuseppe, Giadrossi Bussani
Firmina, Godina Pietro, Lorenzini
Giulia, Montenovi Patrizia, Persurich
Gino, Piacentini Andrea, Pini Rosanna
ved. Marnica, Pogliani Dario, Rangan
Marina, Vellenich Anita.
1035), una interpretazione letterale e restrittiva
della norma in esame ai soli assegnatari di alloggi costruiti sulla base dei finanziamenti postbellici, ne limiterebbe l’applicazione a pochi
ed isolati casi rispetto alla generalità degli immobili assegnati ai profughi, creando situazioni di grave disuguaglianza.
La Corte d’Appello di Bologna ha quindi
affermato che: “più corretto appare perciò attribuire rilievo all’aspetto soggettivo, concernente lo status di profugo, piuttosto che a quello
oggettivo della tipologia dell’immobile (finanziamento statale o meno), trattandosi comunque di alloggi di edilizia residenziale pubblica
assegnati ai profughi rifugiati e perciò destinati
a sopperire alla medesima situazione di disagio abitativo”.
E’ duopo specificare che tale sentenza ha
valore solo nei confronti della parti in causa,
ma potrà essere utilizzata nei procedimenti
pendenti al fine di sostenere in modo più
pregnante la tesi dell’applicazione estensiva
dell’art. 1, comma 24, della Legge 560/1993 a
tutti gli alloggi assegnati a coloro che sono in
possesso della qualifica di profugo.
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F. R.
6
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
A settant’anni dalla morte di Gabriele D’Annunzio un bilancio storiografico
Il Poeta-comandante prima e dopo Fiume
Di solito, gli anniversari non sono
i momenti più indicati per approfondire la conoscenza di un personaggio;
il rischio è quello di scadere
nell’agiografia, che rappresenta la negazione di qualsiasi serio approccio
storiografico. Esistono, a questo riguardo, anche le classiche eccezioni che
confermano la regola; basti pensare
all’attenzione prestata dalla storiografia
nel corso del 2007 alla figura di
Garibaldi nel 200esimo della nascita.
Anche se in quel caso – detto per inciso – quell’attenzione della storiografia
costituiva una sorta di risposta polemica (non so quanto volutamente polemica) sia ai silenzi mantenuti al riguardo da mondo politico e organi di
informazione, sia alla perdurante e
crescente azione di quanti, da tempo,
tentano di svilire personaggi come
Garibaldi e l’intero processo risorgimentale.
Nel 2008 ricorre il 70esimo anniversario della morte di Gabriele D’Annunzio. Fino al momento della uscita
di questo numero, un solo contributo
storiografico sulla figura del Vate,
D’Annunzio. L’amante guerriero, di
Giordano Bruno Guerri [si veda la
scheda a fianco]. Per il resto, ben poco;
e dire che, in un passato anche recente, dopo decenni di imbarazzi e
demonizzazioni, vari aspetti della
multiforme personalità di D’Annunzio
(da quelli artistici a quelli politici e
quant’altro) erano stati oggetto di un’attenzione per lo più seria e scientifica,
che solo in alcuni casi rischiava di finire sopra le righe.
Come spiegare allora il silenzio
quasi generale del 2008 con la vasta
pubblicistica degli ultimi anni? Vuol
forse dire che quello di D’Annunzio,
del letterato come del politico, sia ormai un capitolo chiuso, che la miniera dannunziana sia ormai esaurita?
Non credo certo sia così, perché per
tanto che si sia scritto sul Poeta non
poco resta ancora da dire, e da chiarire.
Gli studi
sulla «questione fiumana»
La stessa ricostruzione dell’impresa fiumana è ferma allo studio di
Ferdinando Gerra, dei primi anni Settanta del secolo scorso; studio datato,
dunque, sebbene accurato e documentato in ogni sua parte. Con gli anni,
semmai, altri contributi sono sopravvenuti ad affrontare singole vicende
legate all’Impresa: dai rapporti intercorsi fra D’Annunzio e il Consiglio
Nazionale Italiano di Fiume o singoli
esponenti politici fiumani, alla Carta
del Carnaro, dalla politica estera abbozzata dal Comando legionario (soprattutto in chiave anticolonialista e
vagamente “terzomondista” ante
litteram) all’interesse con cui gli sviluppi dell’Impresa stessa destavano in
qualificati settori della sinistra politica
Fiume, d’Annunzio si intrattiene con ufficiali e soldati
(dai comunisti Gramsci e Nicola
Bombacci al socialista Giuseppe
Giulietti, per non parlare del ruolo ricopertovi dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris). Tutti tasselli
importanti, assieme ad altri non accennati in questa sede, dovuti quasi esclusivamente, in modo diretto o indiretto, alla “ventata” di rinnovamento portata nella storiografia italiana, anche
ma non solo a questo riguardo, dalle
ricerche di Renzo De Felice e di quella che viene ormai comunemente
chiamata la sua «Scuola». Tasselli importanti che finora non sono riusciti
comunque a creare un mosaico organico che meglio definisca sia i contorni della vicenda fiumana in sé, dal settembre 1919 al gennaio 1921, sia del
ruolo politico svolto da D’Annunzio
dopo il conflitto, prima e durante il
fascismo. E ben poco servono, a questo riguardo, definizioni di D’Annunzio come «l’amante guerriero» di
Guerri o il tentativo, posto in atto nel
2002 da Claudia Salaris nel saggio Alla
festa della rivoluzione, di fare del clima della Fiume dannunziana una sorta di Sessantotto anticipato di quasi
mezzo secolo, con una trasposizione
che, seppur innegabile sul piano degli
avvenimenti, n on regge su quello delle
ben diverse situazioni politico-sociali.
Non sembra il caso di tornare sulla vexata quaestio dell’identificazione
tout court di D’Annunzio con il fascismo: un’identificazione che potrà ancora attrarre i nostalgici di una
storiografia a senso unico e di una
vulgata volutamente superficiale e acritica, che decisamente non regge di
fronte ai tanti e più seri studi successivi. Semmai, esisterebbero ancora oggi
dei temi, legati all’attività politica di
D’Annunzio e in particolare ai mesi
dell’Impresa fiumana, che, seppur ab-
Il Poeta durante un’allocuzione alle truppe
bozzati in passato (anche da chi scrive), meriterebbero un ancor più approfondito esame. Il riferimento è alla
“politica estera” del Comando legionario, con tutte le cautele che quei due
termini necessariamente impongono
per la realtà, geograficamente e
cronologicamente limitata, del governo dannunziano di Fiume.
La politica interna
del Comando fiumano
e i rapporti con il Consiglio
Nazionale Italiano
Quando si parla di politica interna
del Comando fiumano, il pensiero
corre in maniera quasi univoca al tema
dei rapporti intercorsi fra esso e il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume,
nello stesso arco di tempo, settembre
1919-gennaio 1921. Al di là della facciata, delle pressoché quotidiane
attestazioni di devozione e di gratitudine a D’Annunzio e alle truppe
legionarie espressa dalle autorità locali, quei rapporti furono contrassegnati da continui contrasti, che toccarono
la loro punta massima in occasione di
determinati avvenimenti (dalla vicenda del «modus vivendi» agli scontri di
Cantrida, alla proclamazione unilaterale della Reggenza Italiana del
Carnaro), per non parlare del diffuso
clima di disagio creato, dagli inizi del
1920, dalle iniziative del nuovo capo
di Gabinetto del Comando, il sindacalista rivoluzionario Alceste De
Ambris, subentrato nella carica al nazionalista Giovanni Giuriati. A monte, tuttavia, di questi occasionali motivi di contrasto, ce n’era un altro, ben
più grave e insolubile, di fondo, derivante dall’incomprensione manifestata
dall’ambiente legionario, e in generale dai nazionalisti, verso la gelosa difesa delle antiche prerogative
autonomistiche e comunali, condotta
dai rappresentanti fiumani.
Non a caso proprio Giuriati, sin dai
primi giorni successivi all’entrata delle truppe legionarie a Fiume, aveva
cercato di dissuadere D’Annunzio
dall’assumere i pieni poteri in città, per
non dare l’impressione che vi volesse
esautorare la rappresentanza cittadina.
Un consiglio rimasto peraltro
inascoltato, sia per la delibera del Consiglio Nazionale di offrire, il 20 settembre, i pieni poteri al Comandante (delibera che, priva di basi giuridiche, non
contribuì a chiarire le reali attribuzioni
dei poteri), sia per le sempre più frequenti divergenze emerse ancora negli ultimi mesi del 1919, e in particolare nel 1920, sul significato stesso da
dare all’impresa legionaria: limitato,
per i rappresentanti fiumani al fine
dell’annessione della sola città all’Italia, sempre più vasto e confuso nelle
modalità per D’Annunzio e il Comando.
Con sullo sfondo l’emergere e il
progressivo acuirsi (soprattutto dopo la
proclamazione della Reggenza Italiana del Carnaro) di una crisi economica e commerciale, anch’essa poco
compresa dal Comandante e dai suoi
più stretti collaboratori, e che finirà per
determinare un clima di stanchezza e
di delusione nella stessa popolazione,
che pure con tanto entusiasmo aveva
accolto le truppe legionarie in città e
tanto appoggio aveva fornito alle iniziative del Poeta.
Se non poche crepe nei rapporti
fra D’Annunzio e il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume crearono le posizioni sempre più intransigenti assunte
dal Comandante e dal suo entourage,
al punto che si intensificarono, soprattutto nel corso del 1920, i contatti più
o meno ufficiali fra i rappresentanti
locali e il governo di Roma nel tentativo di trovare un accordo con esso anche contro il Poeta, non minori preoccupazioni destarono le iniziative del
Comando in politica estera.
La politica estera
e la «Lega dei popoli oppressi»
Una “politica estera” decisamente sui generis, che non portò a risultati
concreti né nella sua prima fase (nella
prima metà del 1920), dominata dalla
creazione di una «Lega di Fiume» (o
«Lega dei popoli oppressi»), né nella
sua versione, fortemente ridimensionata nei programmi e nel “respiro”,
degli «intrighi balcanici» per favorire
lo scoppio di una rivoluzione
antiserba.
Sarebbe riduttivo, sebbene non del
tutto improprio, voler ridurre la crea-
zione della «Lega dei popoli oppressi» alla svolta di sinistra avutasi agli inizi
del 1920 nella politica del Comando,
con la sostituzione di Giuriati con De
Ambris a capo di Gabinetto di D’Annunzio; anche se è innegabile che
passi furono compiuti da Fiume per
guadagnare l’adesione all’iniziativa
della Russia bolscevica e per appoggiare i comunisti ungheresi contro il
«governo bianco» reazionario dell’ammiraglio Horthy (che non nascondeva
oltretutto rinnovate e minacciose mire
su Fiume). E non meno riduttivo sarebbe attribuire un ruolo maggiore di
quanto non abbia in effetti ricoperto
nel progetto della «Lega dei popoli
oppressi» al poeta socialista belga Léon
Kochnitzky, responsabile, dal gennaio al luglio 1920, dell’«Ufficio Relazioni Esteriori» del Comando, in collaborazione, fra gli altri, con Eugenio
Coselschi, LudovicoToeplitz, Giovanni
Bonmartini, Henry Furst.
In realtà, il via al progetto era stato
dato dallo stesso D’Annunzio nel discorso Italia e vita del 24 ottobre 1919,
quando ancora non era ipotizzabile
la svolta a sinistra nella linea politica
del Comando e l’Impresa si trovava
ancora sotto una netta influenza nazionalista. Durissimo era stato D’Annunzio nei confronti della Gran
Bretagna («impero vorace», «ingordo,
che non è mai sazio»), bandendo una
vera e propria «crociata di tutte le nazioni povere e impoverite, [...] di tutti
gli uomini poveri e liberi, contro le
nazioni usurpatrici e accumulatrici di
ogni ricchezza, contro le razze da preda e contro la casta degli usurai che
sfruttarono ieri la guerra per sfruttare
oggi la pace [...]».
Le spinte antimperialistiche presenti nel discorso prendevano di mira soprattutto la Gran Bretagna, ma non
disdegnavano frecciate anche antiamericane, significativo al riguardo
l’accenno polemico a Wilson: «la crociata novissima ristabilirà quella giustizia vera che da un maniaco gelido
crocifissa con quattordici chiodi spuntati e con un martello preso in prestito
dal Cancelliere tedesco del “pezzo di
carta”».
«Un sogno generoso
e irragionevole,
magnifico e impossibile»
Per quel poco (troppo poco) che
se ne sa, la crociata bandita da D’Annunzio nell’ottobre 1919 e la conseguente nascita della «Lega dei popoli
oppressi» non andarono oltre adesioni formali di egiziani, indiani, irlandesi, croati, montenegrini, albanesi, ungheresi, fiamminghi, turchi, sebbene
il progetto iniziale prevedesse una ben
più vasta apertura di contatti (con
catalani, maltesi, Gibilterra, Marocco,
Algeria, Tunisia, Libia, Siria, Palestina,
Mesopotamia, Persia, Afghanistan, Birmania, Cina, Corea, Filippine, Hawai,
Panama, Cuba, Portorico e con «razze oppresse» come i Cinesi in
California, i neri dell’America, gli
israeliti). Probabilmente, nemmeno
iniziato il progetto su più vasta scala,
Nella foto, al centro con la divisa chiara, Guglielmo Marconi
in visita a Fiume nel giugno 1920
Ottobre 2008
7
DIFESA ADRIATICA
anche quello su scala ridotta finì per
arenarsi di fronte a difficoltà di ordine
organizzativo ed economico, alla scarsa attendibilità di alcuni interlocutori
e, come lamentò Kochnitzky, ad alcune incertezze di D’Annunzio, privo
della «virtù napoleonica della rapidità di esecuzione»; tanto bastò comunque perché anche quella iniziativa non
facesse dormire sonni tranquilli a un
Consiglio Nazionale sempre più preoccupato di possibili svolte eversive,
in campo interno come in quello internazionale, dell’impresa legionaria.
Non a caso fu con malcelato sollievo
che i rappresentanti fiumani accolsero le dimissioni, presentate il 21 luglio
1920 da Kochnitzky, lamentando, già
in una lettera a D’Annunzio e poi nelle sue memorie, come la «navicella
della “Lega fiumana”» fosse stata «travolta in una tromba marina d’intrighi
balcanici».
Pur deluso dal fallimento del progetto, Kochnitzky non mancò comunque di auspicare che il messaggio lanciato dalla «Lega dei popoli oppressi»
(«momento profetico» dell’intera impresa dannunziana) non fosse destinato a perdersi e a rimanere «nella
memoria degli uomini come il solo
trapasso d’un sogno generoso e irragionevole, magnifico e impossibile».
Arenatasi la «navicella» della
«Lega di Fiume», non migliore sorte
toccò al ben più limitato progetto degli «intrighi balcanici», nonostante le
premesse facessero sperare in esiti più
concreti. In effetti, nella seconda metà
del 1920 le linee direttrici della politica estera del Comando fiumano appaiono radicalmente mutate rispetto
ai mesi precedenti, con il più
“pragmatico” Coselschi a capo
dell’«Ufficio Relazioni Esteriori» in
sostituzione
dell’“idealista”
Kochnitzky, con un accantonamento
delle posizioni di sinistra e un ritorno
in auge di quelle nazionaliste. Si trattava, oltretutto, di un indirizzo politico che non trovava indifferenti, in Italia, qualificati ambienti politici (nazionalisti soprattutto), militari
(Badoglio), dell’industria e della finanza da tempo attratti da una politica di
espansione in Adriatico e nei Balcani,
disposti a soffiare sul fuoco dei contrasti intestini al nascente Stato jugoslavo, sino quasi alle estreme conseguenze di una sua dissoluzione.
Tutte queste premesse favorevoli
non furono sufficienti a garantire successo al progetto, arenatosi a sua volta
sia davanti alle difficoltà di coinvolgere pienamente i rappresentanti croati
in un accordo che costasse loro la perdita di una parte almeno della
Dalmazia (quella costiera), sia (come
nel caso della «Lega di Fiume») davanti alla scarsa attendibilità e
rappresentatività di alcuni interlocutori,
sia, soprattutto, dinnanzi al mutato e
più univoco atteggiamento assunto dal
governo di Roma, volto a cercare un
accordo diretto (come avvenne poi
effettivamente con ilTrattato di Rapallo)
con la Jugoslavia. Fu così che alla politica estera del Comando fiumano
vennero gradatamente a mancare sia
gli appoggi politico-militari (massoneria, ministero degli Esteri, Badoglio) ed
economici (senatore Borletti, la
“cordata” di industriali a lui legata, alcune grandi banche) su cui si era per
un certo tempo illusa di poter fare affidamento.
Si trattava non soltanto del fallimento della politica degli «intrighi balcanici», o dell’inadeguatezza di una politica estera del Comando dannunziano, ma anche, in una più ampia
visuale, di un segnale inequivocabile
di un più generale “riflusso” verso posizioni legalitarie, che non lasciava
ormai ragionevoli margini di manovra
a possibili futuri sviluppi dell’intera,
generosa Impresa dannunziana.
Guglielmo Salotti
Due recenti libri sul Poeta
Diocleziano
D’Annunzio e la melanconia
imperatore croato?
Era stato per primo Aristotele a
sostenere che «tutti gli uomini straordinari, eccellenti nella filosofia,
nella politica, nella poesia, nelle arti
sono palesemente melanconici»; e
a questo assunto sembra non sfuggire, secondo l’accurata analisi di
Gianni Oliva (docente di letteratura
italiana nell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti), anche Gabriele
D’Annunzio.
Si potrebbe pensare che il
taedium vitae di cui il Poeta stesso
parlerà nel Libro segreto sia uno stato d’animo legato al suo decadimento fisico degli ultimi anni al Vittoriale;
si tratta invece di un più costante
male di vivere dei poeti che serpeggia sia nella sua produzione artistica, sia nei diari e negli scritti privati.
Certo è – anche se Oliva non
scende volutamente nel saggio in
questioni di carattere storico-politico, rimanendo sul letterario e sul
privato – che la “prigione dorata” di
Gardone anziché lenire poté, complice anche il trascorrere impietoso
del tempo, acuire quel male di vivere.
Sarà stato ancora più doloroso,
per D’Annunzio, riandare col pensiero ai tanti momenti esaltanti della sua vita, dal discorso di Quarto
alla guerra, ai mesi di Fiume, non
potendo non confrontarli con un
presente e con una quotidianità ben
meno esaltanti ed eroici.
Riverito e sorvegliato nel
microcosmo della villa gardesana,
D’Annunzio non poté non prendere amaramente coscienza del fatto
che l’Italia non aveva più bisogno
di lui, della sua parola, della sua
azione trascinante; altri attori erano
saliti su un proscenio diverso forse
da quello da lui auspicato, e per lui
non restavano se non parole di circostanza, in una agiografia ante
litteram cui, di pari passo con il disfacimento fisico colto da alcuni suoi
interlocutori negli ultimi anni, si
univa la caduta di tanti sogni, di tanti
progetti e la perdita di qualsiasi peso
politico sulla scena nazionale.
G.S.
Gianni Oliva,
D’Annunzio e la melanconia,
Bruno Mondadori, Milano 2007,
pp. 153, Euro 15,00
Un piccolo abbaglio, un effetto transitorio della canicola devono aver
colpito un intellettuale raffinato e impegnato come Giorgio Pressburger nel
momento in cui ha stilato il suo articolo Da Diocleziano a Magris la via è
breve, apparso su “Avvenire” il 1° agosto scorso.
Scrittore, autore di teatro, animatore culturale, già direttore dell’Istituto
Italiano di Cultura di Budapest, ungherese di nascita e italiano di adozione,
Pressburger si dedica qui all’esaltazione delle antiche memorie della
Dalmazia, donde era originario l’imperatore Diocleziano. Ad un intellettuale del suo livello si perdona anche l’abbacinamento estivo, ma il suo
articolo lascia un poco perplessi laddove, a leggere e rileggere il pezzo, egli
sembra far derivare la Croazia odierna dall’Illiria, e far diventare Diocleziano, in quanto “illirico”, quasi un croato ante litteram. E si legge: «Quei posti
fino a pochi anni fa erano un po’ trascurati, ma oggi con il turismo crescente
stanno diventando luoghi di villeggiatura e di turismo di primo ordine. [...]
Si vedono le Incoronate, uno dei posti più suggestivi dell’Adriatico, si vedono le coste dalmate in tutta la loro rocciosa antica maestà. La Croazia e
specialmente Spalato vantano queste bellezze a cui appartengono sia Diocleziano, persecutore dei cristiani e grande imperatore, e alla fine pacifico
agricoltore, sia Magris, oggi uno degli scrittori più rappresentativi di quella
parte d’Europa, ma anche del mondo odierno».
Da Diocleziano a Magris, appunto, come suggerisce il titolo dell’articolo: anche Magris, per via di remote ascendenze, avrebbe secondo Pressburger
una qualche relazione con Spalato, dunque viene da pensare che per analogia sia anch’egli in certa misura “illirico”, quindi un po’ croato.
Tornando all’imperatore, si legge ancora: «Il palazzo-fortezza fatto costruire da Diocleziano in duemila anni è passato in parecchie mani, nel
Medioevo aveva fatto parte persino del Regno d’Ungheria e pare che questo fosse uno dei periodi di maggiore fioritura. Se ne impossessò anche la
Serenissima repubblica di Venezia. Ma tutte le guerre, le battaglie, i passaggi di regnanti non riuscirono nonché a cancellare, ma nemmeno a intaccare la bellezza di quel palazzo affacciato all’Adriatico, bagnato dall’acqua e
dal sole, in una specie di eterna maestosa giovinezza».
Non risulta che la Repubblica di Venezia, la cui impronta inconfondibile
ha forgiato in lunghi secoli il paesaggio architettonico, civile e umano dell’Adriatico orientale, ben vivo ancora oggi nelle pietre, nell’enorme patrimonio storico-documentario, nella parlata veneta che fu per mille anni la
koiné del mare e delle terre, abbia mai cancellato alcunché: i suoi Leoni,
piuttosto, effigiati in ogni città e borgo dell’Istria e della Dalmazia, emblemi
della protezione e delle leggi di Venezia, furono scalpellati e distrutti dall’odio etnico e ideologico del regime di Tito, non già “illirico”, semmai
“àvaro”.
Confidiamo che i primi rèfoli di brezza dissolvano la foschia attraverso
cui il prof. Pressburger ha creduto di vedere Diocleziano, il suo palazzo,
Claudio Magris e la Croazia contemporanea uni e trini.
p. c. h.
...e D’Annunzio.
L’amante guerriero
Nato con la lodevole intenzione
di fornire un contributo all’opera di revisione storica da anni in atto sulla figura di D’Annunzio (un’opera che tanto è debitrice a Renzo De Felice a all’impulso da lui dato agli studi sul Poeta-soldato), il saggio di Giordano Bruno Guerri non sempre riesce a mantenere fede alle premesse di originalità
(non a tutti i costi, ma nel rispetto di
ben precisi canoni storiografici e letterari) cui un libro uscito nel 2008 si
sarebbe dovuto attenere. Sembra quasi
che non si possa scrivere una biografia di D’Annunzio senza ricadere nei
tanti luoghi comuni che hanno tante
volte caratterizzato e appesantito i vari
tentativi di approccio a una personalità così complessa come quella dell’artista, del politico e dell’uomo di mondo.
Se da una parte è giusto – come fa
spesso Guerri – sottolineare l’innata
capacità di D’Annunzio di anticipare
i tempi (in politica, nella pubblicità,
nel rapporto controverso con le masse), risulta poi sostanzialmente ingenuo chiedersi perché l’Italia si fosse
trovata ad essere governata da
Mussolini e non dal Poeta. La risposta
più semplice, emergente dalla realtà
dei fatti e da tanti studi, è che D’Annunzio non fu mai un politico nel senso stretto del termine, incapace, come
si dimostrò in varie circostanze, di cogliere al volo le occasioni offertegli, di
passare dalle intuizioni profetiche alla
pratica quotidiana, e soprattutto di
sfruttare il seguito non indifferente su
cui poteva contare.
Fu così a Fiume, fu così soprattutto
nel dopoguerra, in un confronto impari con il ben più pragmatico e “politico” Mussolini. Se, con la sua morte
«era scomparso un uomo che aveva
saputo imporre i propri sogni agli altri
uomini» - come scrisse il parigino
“Temps” nel marzo del 1938 – era pur
vero che quei «sogni» sarebbero divenuti realtà nella pratica politica di ben
più abili e spregiudicati manovratori.
g.s.
Giordano Bruno Guerri,
D’Annunzio. L’amante guerriero,
Arnoldo Mondadori, Milano 2008,
pp. 328, Euro 19,00
Spalato, un dettaglio del peristilio del palazzo imperiale
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DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
dai comitati
DELEGAZIONE
DI BARLETTA
In occasione dell’annuncio della
beatificazione di Don Bonifacio, il
quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” ha ospitato un lungo articolo
di Giuseppe Dicuonzo, Delegato
ANVGD per Barletta. Nello scritto, oltre
a ripercorrere la vita del sacerdote
infoibato, Dicuonzo ha espresso la gioia delle comunità pugliesi degli Esuli
per la decisione della Santa Sede che
rende giustizia al martirio del sacerdote istriano.
COMITATO DI BELLUNO
La scomparsa del gen. Di Maggio
Il 4 luglio scorso è mancato a
Belluno il gen. Giuseppe Di Maggio,
già presidente del Comitato Provinciale A NVGD. Figura di ufficiale che
compendiava valori e stile che
senz’ombra di retorica potrebbero essere definiti d’altri tempi, era persona
molto conosciuta e stimata a Belluno,
dove viveva da molto tempo. Era nato
a Zara. Allo scoppio della Seconda
guerra mondiale era partito per il fronte, combattendo in Grecia e Albania.
Dopo l’8 settembre era stato fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in
un campo di concentramento in Polonia. Al rientro, uscito dall’Accademia di Modena, il servizio lo aveva
portato in varie località: Trento,
Bassano, Feltre, Tolmezzo e Spoleto.
Infine l’approdo a Belluno, dove aveva fatto parte del 7° Alpini. Per due
anni ha comandato il Battaglione Alpini Belluno. È stato anche comandante del Distretto Militare fino al 1977.
Va ricordato, oltre che per un impeccabile stato di servizio, per la carica umana e la disponibilità verso gli
altri, specie nei momenti difficili come
quelli, attraversati dalla provincia di
Belluno, nel corso del disastro del
Vajont e dell’alluvione di Cencenighe.
Per il suo meritorio comportamento in
queste calamità ottenne due onorificenze da parte della Presidenza della
Repubblica. Non dimenticò mai la
terra d’origine, avulsa dall’Italia a seguito dei tragici eventi bellici e passata all’ex Jugoslavia. Per anni fu presidente della sezione di Belluno
dell’ANVGD, che raggruppa gli esuli
giuliani e dalmati. All’interno dell’Associazione operò ricercando e raccogliendo quanti, in terra bellunese, si
erano ricostruita un’esistenza dopo il
dramma di cui erano incolpevoli protagonisti di un’autentica pulizia etnica.
COMITATO DI BRESCIA
Dalla fine di settembre 2008 sarà
operativa la nuova sede del Comitato
ANVGD di Brescia, in Via Dante 17.
Dopo oltre quaranta anni di onorata
presenza in Corso Magenta 58, verrà
abbandonata la vecchia sede della
Casa dei Combattenti. La prestigiosa
nuova sede di Palazzo Salvadego è
molto spaziosa e consentirà anche di
gestire in maniera più razionale gli oltre 2000 libri della biblioteca del Comitato.
Si è conclusa lunedì 7 luglio la 58°
edizione della Heinerfest, una delle più
importanti manifestazioni estive della
Germania, che si svolge proprio nella
città gemellata con Brescia. Questa
manifestazione dai numeri impressionanti – ci sono stati oltre 700.000 visitatori in 5 giorni – ha visto la partecipazione dell’Assessorato al Turismo del
Comune di Brescia in collaborazione
con il Gruppo Alpini della Sezione di
Fiumicello, che con la loro offerta
enogastronomica hanno conquistato
non solo i gemelli teutonici, ma anche i rappresentanti di altre città europee presenti all’evento (Graz per l’Austria, Troyes per la Francia, Plock per
la Polonia, Logroño per la Spagna).
Il clima internazionale della festa,
unitamente all’orgoglio degli abitanti
di Darmstadt di essere cittadini d’Europa, ha fatto da sfondo ideale ad un
importante riconoscimento conferito
ad un cittadino bresciano che da molti anni si impegna negli scambi tra giovani delle due città: il Gr. Uff. Luciano
Rubessa, presidente del Comitato bresciano e della Consulta lombarda. L’attestato conferito dal sindaco di
Darmstadt Walter Hoffmann e dal presidente della Heinerfest Gunther
Metzger a Rubessa testimonia il particolare apprezzamento della Municipalità di Darmstadt nei confronti dell’attività di sviluppo dei rapporti internazionali svolta con particolare impegno e passione dal nostro concittadino. Alla consegna dell’onorificenza era
presente anche il ministro della Giustizia Brigitte Zypries, che si è intrattenuta con il sig. Rubessa per congratularsi con lo stesso, annunciando anche l’indizione di un concorso di idee
affinché i giovani comprendano i valori del gemellaggio.
COMITATO DI GORIZIA
La strana diatriba sul Tricolore
issato sul Monte Sabotino
Ziberna (ANVGD):
«non riaccendere quelle tre luci
è scandaloso e sconcertante»
«Fui convocato dal prefetto per la
mia troppa insistenza sulla faccenda
del Tricolore. Accadde qualche mese
fa e il fatto mi lasciò fin da subito perplesso. Anche perché, in quell’occasione, mi venne chiesto se ero favorevole all’installazione di tre pennoni sui
quali issare le bandiere italiana,
slovena ed europea. Ovviamente trasalii, perché quelle luci sono un omaggio ai soldati italiani che si sacrificarono per la liberazione di Gorizia nel
1916. Ma capii che sulla questione del
Tricolore tirava una brutta aria». L’assessore comunale Sergio Cosma, a
meno di ventiquattr’ore dall’ufficializzazione dell’avvicendamento alla guida della Prefettura isontina, ricostruisce un episodio che inevitabilmente
finisce con l’acquistare una certa importanza, dopo le indiscrezioni in base
alle quali le luci del Sabotino non vennero accese per espressa volontà di De
Lorenzo. «Comunque sono felice che
quel funzionario sia stato rimosso –
prosegue Cosma –. Ora potremo finalmente riattivare quell’impianto. Lo
vuole la gente. Anche perché non dimentichiamoci che i goriziani restano, i prefetti, invece, passano».
Commenta la notizia con toni ancora più netti Rodolfo Ziberna, presi-
dente del Comitato ANVGD e della Lega
Nazionale di Gorizia. «Addurre motivi di ordine pubblico per non riaccendere quelle tre luci è scandaloso e
sconcertante. È scandaloso e sconcertante – ha ripetuto due volte il rappresentante degli esuli –. Rinunciare ai
propri simboli è inaccettabile. E lo è
ancora di meno se lo si fa al fine di
non suscitare eventuali reazioni negative oltreconfine. Un prefetto non può
in alcun modo comportarsi così».
In ogni caso, il 4 novembre prossimo il Tricolore sarà riacceso. Lo si è
appreso a Trieste, a margine del 34.mo
congresso della Commissione internazionale di Storia Militare. Il Tricolore
di lampadine era stato spento il 16 ottobre 2007 dalla Brigata di Cavalleria
Pozzuolo, affidatario dell’ infrastruttura, sembra per la necessità di rinnovare l’impianto elettrico. A marzo 2008
alcuni vandali lo avevano danneggiato rispegnendolo. La scorsa settimana,
anche il neoprefetto di Gorizia Maria
Augusta Marrosu si era detta favorevole alla sua riaccensione.
COMITATO DE L’AQUILA
Il Comitato ANVGD de L’Aquila,
guidato da Livio Gobbo, ha ringraziato con la seguente lettera il Comune
di Leonessa (Rieti), col quale ha collaborato per l’iter di approvazione della
nuova “Via Martiri istriani delle Foibe”.
«Apprendiamo con vivo piacere
che il Comune di Leonessa (Rieti) ha
aderito alla richiesta del nostro Comitato intitolando una via cittadina “Ai
martiri istriani delle Foibe”, prendendo atto che la Storia italiana, per 60
anni, non aveva dato il giusto risalto
alla tragedia dei martiri delle foibe, vittime del terrorismo etnico di stampo
comunista ed alla sofferenza dei
350.000 esuli istriani, fiumani e
dalmati che di tutto furono spogliati
dagli jugoslavi, fuorché dalla volontà
di rimanere italiani. Al Signor Sindaco
Alfredo Rauco, alla Giunta comunale, ai cittadini di Leonessa inviamo da
parte del Comitato ANVGD de L’Aquila
il più fraterno grazie per la non comune sensibilità dimostrata. Un vivo ringraziamento al Ten.Col. Marcello
Rocchi, cittadino di Leonessa, e all’amico geom. Osvaldo Ciocca per
aver seguito l’iter della pratica».
cariche sociali per il prossimo triennio.
Ecco il nuovo Esecutivo provinciale:
presidente Benito Pavazza, vicepresidente Piero Simoneschi, segretario
Luciano Bencich, consiglieri Maria
Pavazza, Ottavio Sicconi, Alberto
Musco, Luciano Birk, Tullia Cossetto,
Maria Cattaro, Maria Pia Mengaziol.
A tutti l’augurio di un fruttifero impegno verso la comunità giulianodalmata pontina.
COMITATO
DI MASSA CARRARA
Oltre alle celebrazioni che si sono
tenute a Trieste a cura del locale Comitato della nostra Associazione, anche la nostra rappresentanza di Massa
Carrara, guidata dal presidente Sergio
Tabanelli e dal segretario Vittorio
Miletti, ha organizzato una manifestazione celebrativa per commemorare
Nazario Sauro. Il 10 agosto alle ore
11.00 è stata deposta una corona sulla lapide che a Marina di Carrara ricorda l’Eroe istriano. Erano presenti le
autorità comunali e militari della zona,
oltre agli Esuli residente nella Provincia.
COMITATO
DI PORDENONE
COMITATO DI LATINA
Dall’Istria al Dandolo è il nuovo
libro edito da L’Omino Rosso e curato
da Roberto Castenetto, Lucio
Cesaratto, Laura Guaianuzzi, Adriano
Noacco, Guido Porro e Lucio Sabadin,
presentato a Maniago il 17 luglio scorso. Tratta dell’insediamento degli Esuli
istriani nella zona di Maniago; contiene il racconto dell’esodo con immagini e testimonianze; il sacrificio, l’impegno e le speranze di una comunità
modello insediatasi nel maniaghese.
Il libro nasce dall’omonima mostra del
2007, organizzata in collaborazione
con in Comitato ANVGD di Pordenone.
Oltre agli autori, hanno allietato la serata le musiche proposte da Arno
Barzan (percussioni), Lorenzo
Marcolina (clarinetto) e Romano tedesco (fisarmonica). Maggiori informazioni e copie del libro possono essere
richieste a Edizioni L’Omino Rosso
S.a.s. di Zanghi Sabrina & C., Via Colonna 12, 33170 Pordenone (tel.
0434.030 065).
Il Comitato provinciale ANVGD di
Latina ha proceduto al rinnovo delle
COMITATO DI ROMA
Mitragliatrice aerea
sul Sabotino,
di autore non identificato
(5 maggio 1917).
Museo della Bonifica,
Fondo Vittorio Ronchi,
Museo Civico
di San Donà di Piave.
Sino a poco tempo addietro
il Tricolore issato sul Monte
Sabotino era illuminato
nelle ore notturne da tre luci,
spente sembra per volontà
dell’ex prefetto di Gorizia.
Da qui la pronta reazione
degli ambienti cittadini
e del Comitato Anvgd
presieduto da Rodolfo Ziberna
Dopo l’inaugurazione, lo scorso 10
febbraio, sono state completate le opere murarie del monumento agli
Infoibati a Roma, edificato in Largo
Vittime delle Foibe Istriane, al capolinea Laurentina della linea B della
metropolitana. L’inaugurazione, alla
presenza delle massime autorità civili
e delle rappresentanze d’Arma, ha
avuto luogo in occasione del Giorno
del Ricordo, senza che però tutta l’opera fosse realmente completata. Grazie
all’impegno del Comitato ANVGD di
Roma, a cui si deve l’intera realizzazione, la nuova base in pietra ricorda
ora la conformazione delle foibe e
sostituisce il tappeto erboso sistemato
in un primo momento. Le autorità
municipali hanno dato mandato
all’Acea di provvedere entro breve al
nuovo impianto di illuminazione che
darà l’ultimo tocco alla visibilità del
monumento.
COMITATO DI TORINO
Memorie dimenticate di Pasquale
Totaro è un progetto, prima di essere
un libro. Un progetto che vuole essere un percorso della memoria del XX
secolo dei genocidi, delle deportazioni, degli stermini su base etnica,
sociale, nazionale e religiosa. Solo non
dimenticando si potrà far si che la Storia non sia solo la cronaca di uomini
contro altri uomini. Dal genocidio del
popolo armeno all’ «Holodomor» (la
grande carestia) subita degli ucraini per
volontà di Stalin, dalle persecuzioni in
Tibet, Birmania, Papua, non dimenticando i Laogai cinesi, il regime sanguinario dei Khmer Rossi in Cambogia, i desaparecidos argentini, la
Vandea messicana e la tragedia
cecena. Segnaliamo che il Capitolo 13
del libro, finanziato dalla Regione Piemonte, è dedicato all’Olocausto delle
Foibe ed all’Esodo delle popolazioni
autoctone istriane, fiumane e dalmate.
La presentazione del volume si è
svolta a Torino il 23 settembre, con la
partecipazione dell’autore e gli interventi di Antonio Vatta (ANVGD), Roberto Tutino (Associazione Italiana Vittime del Terrorismo e dell’eversione
contro l’Ordinamento Costituzionale
dello Stato), Lan Ning (praticante cinese della Falun Dafa), Venerabile
Jangchup Sopa (lama tibetano esule in
India), Claudio Tecchio (Ufficio Internazionale CISL Piemonte).
COMITATO DI TRENTO
Nell’ambito del progetto di
recupero delle voci dei protagonisti
della storia del Novecento, il Museo
Storico di Trento ha realizzato, in collaborazione con il Comitato trentino
dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia e sotto l’egida del
Forum Trentino per la Pace, una campagna di ricerca di materiale d’archivio e di interviste ai protagonisti dell’esodo che vide coinvolte, alla fine
della seconda guerra mondiale, moltissime famiglie istriane, fiumane e
dalmate che giunsero in Trentino tra
mille difficoltà ed incertezze.
Su questa vicenda della storia italiana e trentina, ancora poco conosciuta, il Museo Storico in Trento ha proposto vari incontri di presentazione
sull’avanzamento dei lavori della ricerca, che grazie alla disponibilità di numerosi testimoni ha già raggiunto dei
buoni risultati.
Il Museo ha cominciato ad effettuare interviste videoregistrate nel
1992, all’interno di un quadro
metodologico ampio, che aveva visto
già da molti anni l’apertura alla storia
“dal basso” e alla conservazione di
fonti legate alla scrittura popolare, raccolte in un apposito archivio (ASP). La
gran parte delle interviste finora fatte
(oltre 132) è stata realizzata a partire
dal 2000, in un crescendo di interesse
scientifico e organizzativo che ha trovato sempre maggiori conferme. A
partire dal 2003 sono cominciate ad
arrivare al Museo sempre più numerose richieste di aiuto metodologico e
organizzativo, non più solo da parte
di singoli cittadini consci dell’importanza anche storica delle loro esperienze, ma da parte di associazioni ed enti
pubblici.
Dall’autunno del 2002 il Museo
ha cominciato a collaborare attivamente anche con il Comitato provinciale dell’ ANVGD, nella cui presidenza si è trovata ampia disponibilità nel
fornire contatti e suggerimenti. In particolare, la ricerca ha indagato due
aspetti della memoria: quella dell’esilio e quella dell’integrazione nelle
nuove realtà sociali ed economiche in
cui gli esuli vennero a trovarsi. Molte
famiglie giunsero in Trentino dall’Istria
e dalla Dalmazia, ma il loro arrivo e il
loro inserimento non fu mai prima al
centro di apposite ricerche. Per gli esuli
Ottobre 2008
9
DIFESA ADRIATICA
dai comitati
il viaggio corrispondeva ad una trasformazione anche sociale, per lo più in
peggio, a tutti i livelli: l’immagine di
se stessi che vedevano riflessa negli
sguardi dei trentini che li osservavano
appare molto diversa da quella alla
quale erano abituati a Fiume, a Pola, a
Rovigno o a Pisino. Ancora oggi lamentano il fatto di non essere compresi per quella che è la loro identità
originale dalla loro comunità d’adozione (per riprendere l’espressione di
una testimone: «L’Istria è come la mia
vera mamma, il Trentino è il mio papà
d’adozione»). Per tutti questi motivi,
questa raccolta di testimonianze realizzata dal Museo di Trento si adatta
particolarmente ad una riflessione sulla
memoria e sull’uso storiografico delle
fonti orali. Il testimone con il linguaggio costruisce i fatti e con la memoria
dà senso a questa costruzione. La
memoria non è un contenitore, un
deposito, tutt’altro.
COMITATO DI VICENZA
Intitolata a Norma Cossetto
la prima piazza in Italia
Era giovane e bella. Aveva un sorriso dolcissimo e tanta voglia di vivere, con una personalità forte e determinata, una ragazza ventenne che,
negli anni della guerra, aveva intrapreso gli studi universitari a Padova pur
abitando così lontano in Istria, a S.
Domenica di Visinada. Era Norma
Cossetto. Tanto si è scritto di lei, tanto
si è detto di lei, presa come simbolo
dell’amore per la Patria, per la terra
rossa d’Istria che tanto amava, dov’erano i suoi affetti e dove si sentiva al sicuro.
Dopo sessant’anni finalmente la
giovane laureanda può essere ricordata
con amore e rispetto. Medaglia d’oro
al valor civile nel 2005, il 17 maggio
di quest’anno il Comune di Grumolo
della Abbadesse (Vicenza), primo fra i
Comuni italiani, ha voluto intitolare la
nuova piazza antistante il Municipio
a questa giovane donna. Alla cerimonia era presente Licia Cossetto, commossa per il riconoscimento dato alla
sorella. La sera prima c’era stata l’apertura di una mostra, voluta dall’Amministrazione comunale, con pannelli
fotografici che illustravano le vicende
delle terre degli esuli istriani, fiumani,
dalmati. È seguita una conferenza sul
tema Foibe-Esodo, tenuta da due testimoni di quegli eventi: Anna Maria
Fagarazzi, che ha ripercorso la storia
di quelle terre e il dramma dei profughi, e Licia Cossetto che ha ricordato
le tragiche vicende della sorella, della
sua famiglia decimata, rivivendo i
momenti più dolorosi della scomparsa di Norma, delle ricerche e quindi il
ritrovamento del corpo e lo strazio
della famiglia. Del bellissimo discorso del Sindaco Maria Luisa Teso, davanti alle personalità politiche provinciali e regionali, alle scolaresche e ai
numerosi esuli venuti dalle varie pro-
vince venete, piace ricordare due passaggi fra i più significativi: «[…] attraverso un nome, un volto, un vissuto
possiamo intendere, riflettere, porci
tante domande. Ricordare e dispiacerci, con-patire, per il male inflitto, per
avere girato la testa da un’altra parte.
Norma Cossetto rappresenta tutto il
dramma, nascosto, taciuto, costretto al
silenzio, della popolazione Italiana
d’Istria, Dalmazia, Fiume. Per tanti anni
di questi Italiani abbiamo ignorato l’esistenza, abbiamo ignorato i morti, non
ci siamo curati di quelli che sono sopravvissuti, abbiamo insultato quanti
hanno dovuto o voluto scegliere l’esilio». «[…] Dobbiamo, quindi, ringraziare gli Esuli oggi presenti, fisicamente o idealmente, per consentirci, con
questa intitolazione e con questa cerimonia, di fermarci a riflettere e mettere un piccolo fiore accanto alla loro
storia, per ricordare il loro dolore. A
nome della comunità di Grumolo delle Abbadesse: grazie!».
Il consigliere nazionale dell’ANVGD
Coriolano Fagarazzi, che ha partecipato attivamente all’allestimento della mostra e della commemorazione,
si è sentito in dovere di ringraziare
personalmente il Sindaco Maria Luisa
Teso per la sensibilità dimostrata, trovando conforto nel constatare che ci
siano amministratori che comprendono quale dolore possono procurare le
faziosità, l’incomprensione, ma soprattutto il silenzio durato sessant’anni,
troppo, con la speranza che questa
pagina di storia italiana possa trovare
giusto spazio nei libri scolastici. È necessaria una ricostruzione equa della
storia della nostra Nazione, perché la
memoria sia condivisa da tutti gli italiani, soprattutto dalle nuove generazioni.
Mirella Olivieri
Grumolo della Abbadesse
(Vicenza), la nuova piazza
antistante il Municipio
intitolata a Norma Cossetto
Grumolo della Abbadesse,
il 16 maggio si è svolta una conferenza
sul tema Esodo e Foibe.
Sul palco, al centro,
la signora Licia Cossetto,
alla sua destra il sindaco Teso
e la signora Anna Maria Fagarazzi dell’ANVGD
continua dalla prima pagina
A Trieste la beatificazione
di Don Bonifacio
La solenne proclamazione il 4 ottobre
Nato a Pirano d’Istria , secondo di sette figli, il 7 settembre 1912, la sera
dell’11 settembre 1946, e gettato nella foiba Martinesi, non lontano da Piemonte d’Istria . Una morte che – sottolinea Ravignani – «non fu per lui
inattesa». Ordinato sacerdote nel Duomo di San Giusto il 27 dicembre 1936,
don Bonifacio svolse il suo servizio pastorale a Pirano, quindi a Cittanova e
dal 1939 nella curazia di Villa Gardossi. L’11 settembre di quel 1946 don
Francesco si recò a Grisignana. Di ritorno, l’aggressione. Alcune guardie
popolari, la milizia jugoslava, lo fermarono, lo portarono in mezzo al bosco
e qui lo uccisero, scaraventandolo in una foiba.
«Don Francesco ci indica oggi orizzonti di significato vitale», sostiene
mons. Ettore Malnati, che ha presieduto il tribunale nella fase diocesana del
processo di beatificazione.
Ed anche il sindaco di Roma, Alemanno, ha voluto manifestare la sua
vicinanza: «la beatificazione di don Francesco Giovanni Bonifacio è un atto
importante non solo da un punto di vista religioso ma anche storico. Beatificare
un Martire delle Foibe, infatti, sottolinea l’enorme tragedia e il gravissimo
eccidio che fu perpetrato contro gli italiani giuliano-dalmati e istriani da
parte delle forze comuniste di Tito».
Sul numero di novembre cronaca e immagini
della cerimonia di elevazione agli altari
Commemorata
nel 62esimo
la strage di Vergarolla
Pola, 18 agosto. Commemorata a distanza di 62 anni la strage di Vergarolla,
tragedia-simbolo che segnò l’inizio dell’esodo della popolazione italiana dalla
città istriana. Nell’agosto del 1946, sulla spiaggia della cittadina istriana - all’epoca sotto controllo degli alleati - si sarebbero dovute tenere le tradizionali
gare per la Coppa Scarioni di nuoto. Ma sotto la spiaggia erano nascoste 28
mine antisbarco che i soldati italiani avevano disinnescato prima di lasciare la
città agli inglesi. Ignoti le innescarono nuovamente. Alle 14,15 l’esplosione di
queste mine ridusse la spiaggia in un mattatoio, uccidendo dozzine tra donne e
bambini, alcuni rimasti schiacciati dal crollo dell’edificio della Pietas Julia, l’associazione che organizzava la gara. I morti furono 109, ma altri perirono in
conseguenza della ferite riportate.
La “spiaggia della morte” è rimasta senza un colpevole per decenni anche
se i sospetti fin dall’inizio ricaddero sull’Ozna, la polizia segreta di Tito. Oggi,
nuovi documenti emersi dal National Archives di Kew Gardens (Londra), dimostrano che l’esplosione delle mine - in tutto 9 tonnellate di tritolo - non fu un
incidente ma un attentato ordito dalle truppe jugoslave di Tito per terrorizzare i
polesani. E in effetti, da 40.000 abitanti Pola si ritrovò ridotta ad appena 4.000.
Gli ultimi esuli partirono con il piroscafo “Toscana” il 20 marzo 1947.
Nonostante la portata delle nuove rivelazioni, la notizia è passata un po’ in
sordina sulla stampa croata. La sensazione è che la memoria e la ricerca delle
responsabilità di quella tragedia sono confinate all’interno della sola comunità
italiana. La cerimonia si è svolta sul luogo della tragedia dove sarà apposta una
corona di fiori con la celebrazione di una Messa in onore delle vittime.
A Trieste il monumento al medico Micheletti
Alla presenza del sindaco Roberto Dipiazza è stato inaugurato lunedì 18
agosto, nel giardino di piazzale Rosmini a Trieste, il monumento dedicato al
medico triestino Geppino Micheletti (Trieste 1905-Narni 1961), realizzato in
pietra d’Aurisina su progetto dell’arch. Ennio Cervi.
Promossa dall’Unione degli Istriani, la cerimonia si è svolta appunto nel
62esimo anniversario della strage di Vergarolla, dove morirono anche i due figli
del dott. Micheletti. Malgrado questo drammatico lutto ed il dolore per la perdita in questa strage dei suoi due figli, Carlo di 6 e Renzo di 9 anni, il medico non
abbandonò la sua opera nell’ospedale di Pola, continuando a prestare le sue
cure ai feriti fino al termine dell’emergenza.
Per questo suo gesto di umana pietà ed elevata etica professionale, a 10
giorni da questi drammatici fatti il Consiglio comunale di Pola gli conferì la
medaglia di benemerenza mentre, il 2 ottobre del 1987, lo Stato italiano lo ha
insignito della medaglia d’argento al valor civile.
red.
Un momento
della cerimonia
di inaugurazione.
Si distinguono
il sindaco,
Maria Luisa Teso,
e la signora
Licia Cossetto.
A destra della foto,
con il microfono,
il consigliere
nazionale ANVGD
Coriolano Fagarazzi
Pola, spiaggia
di Vergarolla:
un particolare
della sede del
circolo nautico
“Pietas Julia”,
il cui crollo
a seguito
dell’esplosione
causò
diverse vittime
10
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
dai comitati
Nel 92.mo anniversario della morte
Ricordato il sacrificio di Nazario Sauro
Trieste. Commemorato il 10 agosto il 92.mo anniversario dalla morte
di Nazario Sauro, con una cerimonia
che ha preso l’avvio dal Parco della
Rimembranza dove, come ogni anno,
il Comitato per le onoranze ha deposto un mazzo di fiori sul cippo dedicato a Sauro. Nel pomeriggio, dopo
una celebrazione religiosa, è partito il
corteo delle autorità civili che, attraversando Piazza Unità, è giunto alle
Rive e al bacino San Giusto, dove, via
mare, sono approdati i natanti del Circolo Marina Mercantile “Nazario
Sauro” e del Circolo Canottieri
“Saturnia” di Trieste che hanno recato
corone d’alloro. Alle 19.45, nel Piazzale Marinai d’Italia, presenti il Gonfalone della Provincia di Trieste e il
Gonfalone del Comune di Trieste, è
stata deposta una corona d’alloro al
monumento eretto in memoria dell’eroe istriano. Al termine della cerimonia il presidente del Comitato per
le onoranze, Renzo Codarin, ha pronunciato un indirizzo di saluto. L’intera cerimonia è stata accompagnata
dalla Banda dell’ANVGD di Trieste.
«La manifestazione – ha detto tra
l’altro Codarin – riveste oggi una particolare importanza, perché ci dà l’opportunità di inserire questa data in un
generale processo di ricordo e di
valorizzazione di tutti gli irredenti che
hanno fondato la nostra storia». Quest’anno ricorrono, infatti, i 90 anni dalla
fine della Prima guerra mondiale, durante la quale «gli italiani della Venezia Giulia e Dalmazia che combatterono con l’Italia – ha ricordato ancora
il presidente del Comitato onoranze –
furono 2.107, tra i quali si contarono
302 morti, 332 feriti e 12 medaglie
d’oro». «Un’altra data fondamentale
dunque, che contribuisce a rafforzare
il senso di questa cerimonia in onore
di Nazario Sauro. Nel 2011 saranno
passati 150 anni dall’Unità d’Italia e
sono previste importanti celebrazioni
a livello nazionale volute dal presidente della Repubblica Ciampi. Noi Federazione degli Esuli ci stiamo impegnando perché in quest’occasione sia
ricordata la partecipazione e il contributo degli italiani dellaVenezia Giulia
e della Dalmazia alla costruzione dell’Italia» ha concluso Codarin, che ha
voluto ricordare i nomi dei patrioti rappresentati simbolicamente dalle medaglie d’oro: sottotenente Guido
Brunner, nato a Trieste; tenente Guido
Corsi, nato a Trieste; sottotenente Fabio Filzi, nato a Pisino; generale Ugo
Pizzarello, di famiglia di irredentisti
NAZARIO SAURO
A NOVANT’ANNI
DAL COMPIMENTO
DELL’UNITÀ ITALIANA
Quest’anno l’anniversario del sacrificio di Nazario Sauro coincide con
i novant’anni dalla fine della Grande
Guerra del 1915-1918, che portò non
solo Trieste e Gorizia, ma tutta la Venezia Giulia di allora a far parte, con
legittimi trattati internazionali, dello
Stato italiano nato dal moto risorgimentale dell’Ottocento. Uno Stato che
all’epoca – è bene ricordarlo - era a
pieno titolo uno Stato liberale. Fu la
stessa guerra del resto che diede l’indipendenza politica alle nazioni dell’Europa centrale. Un processo che si
è protratto addirittura fino agli anni
Novanta del secolo appena passato,
quando i popoli della ex Iugoslavia
maturarono la volontà di costituire Stati
sovrani.
Per tutti gli italiani la vicina piazza
dell’Unità è un simbolo dell’unità na-
zionale. Perché fu il 3 novembre del
1918 sulla riva del capoluogo giuliano
che gli italiani ritennero compiuto il
lungo percorso del nostro Risorgimento.
In quegli stessi giorni il Tricolore,
atteso da decenni (“con trepidazione”
si diceva nel linguaggio di allora), veniva innalzato dai cittadini sui pennoni e alle finestre di Pirano, di
Capodistria, di Pisino, di Pola, di
Parenzo, di Zara, di Lussino, di Fiume.
Ovunque la maggioranza italiana della
popolazione era politicamente in grado di esprimere con i suoi consigli
comunali, eletti ancora sotto l’Austria,
i propri sentimenti di attaccamento alla
causa nazionale e il proprio entusiasmo di vedere esaudite le sue attese e
premiati i suoi sacrifici.
È un dovere quindi dello Stato ita-
capodistriani; sottotenente Ugo
Polonio, nato a Trieste; bersagliere
Francesco Rismondo, nato a Spalato;
tenente di vascello Nazario Sauro, nato
a Capodistria; tenente Guido Slataper,
nato a Trieste; sottotenente Carlo
Stuparich, nato a Trieste; il fratello di
questi, sottotenente Giani Stuparich,
nato anch’egli a Trieste, entrambi di
origine lussignana; maggiore Giacomo Venezian, nato a Trieste;
sottotenente Spiro Tipaldo Xidias, nato
a Trieste.
Sauro, ricordiamo, fu un ufficiale
della Marina militare. Nato a
Capodistria nel 1880 venne giustiziato a Pola nel 1916. Al principio della
Prima guerra mondiale si arruolò volontario in Italia, disertando le file austriache. Grazie all’ottima conoscenza delle coste istriane e dalmate, il 30
luglio 1916, a bordo del sommergibile “Pullino” puntò verso il porto, allora austriaco, di Pola. Incagliatosi, per
avverse condizioni del mare,
sull’isolotto della Gagliola, nel Golfo
del Quarnero. fu fatto prigioniero dagli austriaci con tutto l’equipaggio.
Riconosciuto disertore, fu processato dalla corte marziale e condannato a morte per impiccagione, nonostante l’eroico contegno della madre
e della sorella che messe a confronto
con lui, dichiararono di non conoscerlo. Il 10 agosto 1916, a Pola, fu eseguita la condanna.
d.a.
liano ricordare anche il contributo che
a questo processo di unificazione hanno portato regioni che successivamente le vicende della storia hanno distaccato dal territorio nazionale, come
l’Istria, Fiume e la Dalmazia, che in
questa Piazza dell’Unità si riconoscono come in un simbolo carico di
emozioni e di ideali collettivi.
Nel celebrare quindi un evento che
tende a rinsaldare l’identità italiana non
è pensabile escludere regioni e luoghi
che fanno parte della memoria della
Nazione, come hanno più volte dichiarato ufficialmente i Presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e
Giorgio Napolitano, anche se oggi
questi luoghi non fanno più parte del
territorio dello Stato, dal momento che
al di là di quel confine politico – che
l’Italia democratica riconosce senza
riserve – si sono svolti avvenimenti e
sono vissute persone che della storia
della Nazione fanno parte. Tanto più
che oggi quel confine politico si sta
impallidendo fino a scomparire.
Due momenti della cerimonia in onore di Sauro.
Nella prima foto, le rappresentanze delle associazioni degli Esuli
e d’arma si schierano sulla Riva.
Nella seconda, la testa del corteo, guidato dal presidente
del Comitato per le onoranze, Renzo Codarin
(foto www.arcipelagoadriatico.it)
Lo stesso movimento irredentista
– cui Sauro apparteneva – viene ancora descritto in termini ambigui, del
tutto lontani dallo spirito e dalla cultura di questa nostra regione plurale. La
difesa del carattere italiano delle città,
dei borghi e delle campagne che tali
erano, costituiva la molla etica di questo movimento, che conservò sempre
un’aspirazione trans-nazionale ereditata dal pensiero mazziniano e cattolico-liberale, mantenendo contatti culturali e politici con tutte quelle che
venivano considerate le “nazionalità
oppresse” della Duplice Monarchia,
comprese le nazionalità slovena,
croata e serba, con le quali si condivideva lo stesso territorio.
Significativo ad esempio fu nelle
province irredente il fenomeno del
volontarismo garibaldino. Triestini,
istriani, dalmati e fiumani parteciparono alle spedizioni garibaldine in
Grecia nelle guerre per la liberazione
di territori ancora soggetti all’Impero
ottomano, distinguendosi più volte,
come a Domokòs nel 1891.
Alla luce di tali premesse risulta
naturale nel 1915 la partecipazione
degli irredentisti giuliano-dalmati al
movimento interventista, che poteva
contare su qualificati ambienti intellettuali italiani (come il gruppo fiorentino de “La Voce”), sui ceti popolari di
orientamento repubblicano, radicale
e anarchico, oltre che su ambienti economici influenti, ma anche su ambienti
cattolici liberali, come ad esempio
Luigi Sturzo.
Migliaia furono i “volontari
irredenti” nella marina e nell’esercito
italiano con un alto tributo di eroismo
e di sangue. Alcuni di essi sono rimasti nell’immaginario collettivo. E tra
loro vicino al socialista trentino Cesare Battisti, ai triestini Scipio Slataper e
Spiridione Xidias, agli istriani Fabio
Filzi, Giani e Carlo Stuparich, e al
dalmata Francesco Rismondo c’è anche il Nazario Sauro che oggi onoriamo.
Lucio Toth
Dalla Associazione culturale istriani, fiumani e dalmati di Torino ci perviene questa fotografia che ritrae, il 1° maggio 2008, i molti convenuti alla celebrazione
della festività di San Giuliano, Patrono di Valle d’Istria, nella Chiesa Sacra Famiglia di Nazareth al Quartiere Vallette. In tutto erano presenti circa 350 persone,
mentre al successivo convivio in quel di Venaria, 150. L’ultimo incontro dei Vallesi a Torino per S. Giuliano si era svolto nel 1995. Con la celebrazione 2008
i Vallesi hanno inaugurato il nuovo Labaro, affiancato da quelli dell’Associazione Nazionale Bersaglieri e dei Granatieri de Sardegna
Ottobre 2008
11
DIFESA ADRIATICA
La strana memoria slovena
L’intervento di Renzo Codarin
La Slovenia ha deciso di uscire dal
semestre europeo con una dichiarazione d’intenti che, come è stato osservato, non può essere fatta passare
sotto silenzio e che ci costringe ad una
considerazione che si pensava di non
dover più fare. Ancora una volta ad
essere messa sotto tiro è la storia che
certamente non serve sia “condivisa”,
ma serve sia rispettosa delle memorie.
Nel documento redatto al termine
del mandato di presidenza UE appena trascorso, (gennaio 2008-giugno
2008) il governo sloveno, sul proprio
sito ufficiale, ha pubblicato una
minuziosa relazione su quanto svolto
durante questo periodo. Un capitolo
a parte è stato riservato anche al Comitato delle regioni dove in calce si
trova una breve sinossi storica della
Slovenia. Ed è qui che tocca sottolineare due macroscopici e consapevoli
errori: quando si arriva al 1918, alla
fine della Prima guerra mondiale, nel
sito si legge: «Fine della Prima guerra
mondiale. A seguito della dissoluzione dell’impero austro-ungarico il territorio etnico della Slovenia è diviso
tra l’Austria, l’Italia, l’Ungheria e il Regno dei serbi, croati e sloveni». Anche
se
cronologicamente
ed
istituzionalmente non è possibile eccepire nulla, emerge una
connotazione etnica del caso che il
governo sloveno vuole evidenziare.
Segue l’interpretazione falsa nella sua
evidenza riferita al 15 settembre del
1947. Scrive il sito dell’esecutivo di
Lubiana:
«La maggior parte della regione
costiera del Litorale viene riunificata
alla Slovenia a seguito del Trattato di
pace di Parigi».
Ora, la Slovenia, nel 1947, era una
repubblica della Jugoslavia e non aveva una sua indipendenza istituzionale
internazionale; i territori del Litorale,
come è noto, divennero jugoslavi nell’ambito della Repubblica di Slovenia
solo nel 1975 dopo la firma del Trattato di Osimo. Prima c’era la cosiddetta
Zona B sotto amministrazione jugoslava che qui viene saltata in un sol
passo.
Il riferimento etnico non può risultare indifferente quando si vuole dimenticare che in questi territori plurali c’era anche un altro popolo, quello
degli italiani che per tanti secoli ne
hanno fatto parte integrante e in certe
zone, come appunto a Capodistria,
Isola e Pirano, erano la stragrande
maggioranza anche nei censimenti
fatti dall’Austria e sicuramente fino al
1954, quando ci fu l’Esodo di massa
da quelle località. In questo contesto
sorge il dubbio che si voglia mettere
in discussione, o rimuovere completamente, realtà di fatto come l’esodo e
le foibe: infatti se tale costa istriana diventa «territorio etnico sloveno» come
recita il Documento, gli italiani di quei
luoghi risultano “occupanti” o “immigrati”, per cui anche la storia dei soprusi e delle violenze (foibe e esodo)
assume un’altra luce e giustificazione.
In poche parole, non è “gradevole” che ci si dimentichi della presenza
degli altri, ma è inquietante che lo si
faccia anche quando la storia riporti
ad una presenza maggioritaria
autoctona, come è il caso di quel litorale istriano e lo ha recentemente ben
scritto sulle pagine del quotidiano “Il
Piccolo” Paolo Segatti «[...] sconcerta
che un governo di un paese dell’Unione faccia finta di dimenticare i complessi passaggi giuridici che hanno
governato il trasferimento di sovranità
dall’Italia alla Jugoslavia di Capodistria,
Pirano e Isola. È un modo di fare storia
nazionale come dire, un po’ spiccio,
alla sovietica. Poi, a ben vedere, nel
1947 “la gran parte del litorale” non
venne affatto “ri-unificata alla
Slovenia”, perché prima della seconda guerra mondiale la Slovenia non
era un ente dotato di suoi confini politici o amministrativi, né lo era prima
della prima guerra mondiale. La frase
ha senso se chi l’ha scritta per Slovenia
intendeva dire territorio etnicamente
sloveno».
Più avanti nello stesso quotidiano
un’altra riflessione viene da Mauro
Manzin, che sullo stesso tema scrive:
«Non bisogna dimenticare che proprio
per evitare questi ”scivoloni” fu istituita una Commissione mista di storici
italo-sloveni che dopo anni di tormentato lavoro riuscì – come dice Manzin
– a partorire una dichiarazione comune su una storia condivisa di queste
regioni. E in quel documento errori di
questo genere certo non ci sono. Non
dimentichiamo che la Slovenia, nonostante il periodo estivo, è già in piena
campagna elettorale (le elezioni politiche si terranno il prossimo 21 settembre) e che il governo di centrodestra
viene dato sconfitto dagli ultimi sondaggi dalla coalizione di centrosinistra
guidata dal giovane e intraprendente
leader Borut Pahor. Ma da qui a manipolare la storia ce ne vuole. Anzi, uno
scivolone di questo genere rischia di
diventare controproducente non fosse altro per lo scarso “appeal” che crea
nelle principali Cancellerie europee di
cui proprio la Slovenia è stata a capo
per sei mesi».
Quindi, dopo un periodo per altri
versi fruttuoso all’interno dei tracciati
di Bruxelles, la Slovenia lascia il suo
La Slovenia inciampa sulla storia
Paolo Segatti, firma di punta del
“Piccolo” di Trieste, è autore del commento apparso con questo titolo sul
quotidiano triestino lo scorso 17 agosto sul difficile rapporto della vicina
Repubblica con la storia, la propria e
altrui, e con i concreti progetti di integrazione mediterranea. Ne riproduciamo un ampio estratto. Sullo stesso
numero è apparsa una nota a firma
del giornalista Mauro Manzin.
[...] la Slovenia sino ad oggi ha
evitato le derive apertamente nazionalistiche che hanno segnato negli
anni altri paesi del blocco ex sovietico. La sua classe dirigente si è adeguata velocemente al Brussels
consensus, l’insieme di regole formali
ed informali, di modi di esprimersi e
di comportarsi che definisce una sorta
di orizzonte culturale minimo condiviso dai partner europei, almeno di
quelli che fanno parte dell’Unione da
lunga data. [...] Secondo un recente
documento di sintesi delle attività del
semestre sloveno che riporta anche
un’intervista del primo ministro Jansa,
la regionalizzazione della Slovenia è
una delle priorità del governo di
Lubiana.
Ma, appunto, regionalizzazione
nel quadro delle politiche di coesione
nazionale. Non certo per adeguare
l’ordinamento sloveno all’istituzione di
Euroregioni che non vengono nemmeno menzionate. La qual cosa meraviglia non poco se si pone a confronto il
silenzio sloveno con la quantità di
parole che al di qua del confine vengono spese sull’Euroregione. La
Slovenia è dunque un buon esempio
del complicato rapporto che si è instaurato tra stati sovrani e processo di
integrazione europea. [...]
Tuttavia i conti non tornano se
adottiamo come criterio le aspettative
dei padri fondatori per i quali integrazione europea significava anche due
altre cose: fare i conti con le memorie
divise d’Europa e sradicare dal dibattito pubblico ogni tentazione
irredentistica.
Un caso recente ci fa capire dove
stia il problema con la Slovenia. Nello
stesso documento di sintesi del semestre europeo, pubblicato a cura del
Comitato e sottoscritto dalla Presidenza slovena, compare un paginetta di
presentazione di cosa sia oggi la
Slovenia e delle tappe fondamentali
della sua storia nazionale. Un dettaglio. Ma i dettagli sono sempre eloquenti. In questo caso il dettaglio è eloquente di come il governo sloveno,
non lo storico o l’opinionista tal dei
tali, interpreta la storia nazionale.
Due sono i punti cruciali. In relazione alla data fatidica del 1918 si dice
che in seguito alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, «il territorio etnicamente sloveno è diviso tra
Austria, Italia e Regno dei Serbi, Croati
e Sloveni». Il tono è descrittivo. Ma
colpisce la persistenza del concetto
etnografico di territorio etnico. Buono
per descrivere gli aggregati umani precedenti la formazione dei moderni stati
territoriali. Di dubbia utilità per definire i confini nazionali e statali in territori palesemente plurali. Comunque
sono affari del governo sloveno se ritiene utile nel 2008 descrivere ancora
la nazione slovena in termini
etnografici. Sono affari in parte anche
nostri, invece, se alla data del 15 settembre 1947 si dice che «la gran parte
della costa adriatica del Litorale viene
riunificata alla Slovenia per effetto del
Trattato di Pace di Parigi». Sono affari
nostri perché evidentemente la nostra
memoria di quei giorni è molto diversa. Ma non è questo l’aspetto più grave. Non è una scoperta che in un territorio plurale le memorie possono essere diverse. Anche se a più di sessanta anni dai fatti e all’ombra dell’Europa sarebbe ragionevole attendersi da
parte dei nostri vicini una maggiore
sensibilità alle buone ragioni degli altri, oltre che alle proprie. Qualcosa di
simile a quello che fece l’ottobre scorso l’ex-ministro della difesa Parisi a
Caporetto parlando delle conseguenze della prima guerra mondiale.
Gli aspetti gravi sono invece i seguenti. Anzittutto sconcerta che un
governo di un Paese dell’Unione faccia finta di dimenticare i complessi
passaggi giuridici che hanno governato
il trasferimento di sovranità dall’Italia
alla Jugoslavia di Capodistria, Pirano
e Isola. È un modo di fare storia nazionale come dire, un po’ spiccio, alla
sovietica.
Poi, a ben vedere, nel 1947 «la
gran parte del litorale» non venne affatto «ri-unificata alla Slovenia», perché prima della seconda guerra mondiale la Slovenia non era un ente dotato di suoi confini politici o amministrativi, né lo era prima della prima
guerra mondiale. La frase ha senso se
chi l’ha scritta per Slovenia intendeva
dire territorio etnicamente sloveno. Ma
in questo modo tra la nozione di territorio etnico sloveno e quella di
Slovenia come ente politico-amministrativo si instaura una confusione
semantica, che ha una preoccupante
valenza politica. Perché i confini dello spazio etnico sloveno sembrano
venire interpretati come una costante
nei flussi e riflussi della storia, mentre i
confini dello stato sloveno come una
scranno facendo percepire un clima
non positivo, che stride con quanto
fino a qui è stato costruito proprio da
chi l’Unione europea l’ha voluta e ha
contribuito a mantenerla salda nei suoi
principi fondatori di pacificazione e di
rispetto delle tante memorie che la
compongono.
Al riguardo una nota è inviata dal-
la Federazione degli esuli istriani,
fiumani e dalmati al Ministro degli Esteri Franco Frattini per richiamare la sua
attenzione su alcuni passaggi particolarmente scorretti del documento
sloveno stesso.
Renzo Codarin
Presidente della Federazione
delle Associazioni
Sul documento sloveno
la mozione Grizon alla Provincia di Trieste
Claudio Grizon, consigliere della Provincia di Trieste e consigliere nazionale Anvgd, ha presentato il 26 agosto, alla Provincia di Trieste, la seguente
mozione in favore della proteste sollevate dalla FederEsuli contro la distorsione storica fornita recentemente dal governo sloveno.
Ecco il testo della mozione.
Oggetto: Mozione in merito alla protesta della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati sul documento pubblicato dal
Governo sloveno a conclusione del suo turno di presidenza UE.
Il Consiglio Provinciale
Vista la ferma protesta della Federazione delle Associazioni degli Esuli
Istriani, Fiumani e Dalmati e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia per il documento pubblicato dal Governo della Repubblica di
Slovenia a conclusione del suo turno di presidenza UE;
Considerato che nel documento, sottoscritto dalla Presidenza slovena, è
infatti inclusa una sintesi della storia della vicina Repubblica i cui contenuti
sono discutibili storicamente e giuridicamente, anche alla luce dei trattati
internazionali;
Evidenziato che in essa la complessa evoluzione storica dei territori orientali
e l’autoctonia della importante presenza italiana nelle aree cedute alla ex
Jugoslavia in base al trattato di pace del 10 febbraio 1947, sono ampiamente
sottaciute o rivedute in base a criteri etnocentrici che non corrispondono alla
reale configurazione storica, culturale e linguistica di quei territori;
Preso atto che la Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani
e Dalmati ha rimarcato con una lettera inviata al ministro degli Esteri Franco
Frattini, la reticenza e la distorsione sostanziali ed evidenti del documento
ufficiale di Lubiana, invitando il titolare del nostro Dicastero ad esprimere al
Governo di Slovenia la forte contrarietà dell’Italia alle manipolazioni operate
su temi così delicati;
Richiamato il testo della lettera indirizzata al Ministro;
Considerato opportuno che la Provincia di Trieste sostenga le ragioni rappresentate dalla Federazione che da voce e alla grande Comunità istriana,
giuliana, fiumana e dalmata diffusa in tutta Italia ma in particolare sul territorio della provincia di Trieste;
Impegna la Presidente della Provincia ad inviare al Ministro degli Esteri
Franco Frattini una lettera di adesione e sostegno alle motivazioni portate
dalla Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati e
richiamate in premessa, chiedendo che le rappresenti al Governo Sloveno
anche a nome della comunità istriana di Trieste.
Trieste, 26 agosto 2008
Claudio Grizon
Consigliere della Provincia di Trieste
Capo Gruppo di Forza Italia
variabile. Questi ultimi possono venire addirittura rimossi come accadde
pochi mesi fa. Mentre i primi rimangono ben presenti nelle aspirazioni
della classe dirigente slovena.
E allora se si parla , come il testo
del governo parla, di «gran parte» è
ovvia una domanda. Quali aree del
Litorale non vennero ri-unificate alla
Slovenia nel 1947? Cosa manca per il
governo sloveno? Ognuno può sbizzarrirsi a rispondere secondo il livello
di malizia di cui è vittima. Rimane il
fatto che questo modo di presentare
la propria storia nazionale da parte del
governo sloveno non è esattamente
quello che auspicavano i padri
fondatori dell’integrazione europea.
Forse i loro erano poco più di sogni.
Ma sogni che hanno suggerito cosa
fare e non fare per superare i conflitti
nazionali e le loro premesse culturali.
Se è questo l’obiettivo, essere i primi
della classe a Bruxelles temo non sia
sufficiente.
Paolo Segatti
(“Il Piccolo”, 17 agosto 2008)
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Finito di stampare il 30 settembre 2008
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DIFESA ADRIATICA
Dilaga tra i giovani croati
l’esaltazione del nazismo
e del movimento ustascia
È sempre più diffusa tra gli ambienti giovanili
croati l’esaltazione degli emblemi nazisti e del
movimento ustascia, introdotti anche dal cantante noto colà come Thompson, e, a giudizio di
alcuni osservatori, tollerati se non di più da circoli politici e della Chiesa cattolica. L’ordinario
militare, il vescovo di Zagabria Juraj Jezerinac,
stando alle cronache locali, ha letto alcune righe
delle canzoni del Thompson durante la liturgia a
Vukovar: quando i giornali ne hanno dato notizia, il vicario ha dichiarato di ignorare chi ne
fosse l’autore.
Preoccupato per la cattiva immagine diffusa
all’estero della Croazia, soprattutto in relazione
ai negoziati per l’ingresso nella UE, il premier Ivo
Sanader, avrebbe disposto un primo inasprimento
degli interventi volti a contenere e contrastare le
esibizioni di simboli nazisti. E lo scorso luglio il
Tribunale di Zagabria ha condannato uno studente ad una pena di 25 giorni di carcere e al
pagamento dell’equivalente di circa 220 euro per
aver indossato, nel corso di un “concerto” di quel
Thompson, un cappello con lo stemma “U”, simbolo del movimento filonazista ustascia. Accade per la prima volta. Altri, come l’ex ministro
degli Esteri al tempo di Tudjman, Zvonimir
Separovic, sostengono che eguale pena andrebbe inflitta anche a quanti inneggiano alla stella a
cinque punte, simbolo comunista, sotto il quale
in Croazia furono uccise centinaia di migliaia di
persone.
«Questi ragazzi sono il prodotto di una società che dagli anni Novanta è diventata parzialmente ustascia, solo che questo non viene dichiarato pubblicamente e ad alta voce», ha commentato un analista. Alcune settimane addietro,
si ricorderà, la Lega calcio croata venne multata
con 12.500 euro per il comportamento, ritenuto
xenofobo e razzista, dei suoi tifosi nel corso dei
recenti campionati europei.
Deceduto l’ex comandante di Jasenovac
L’ex comandante del campo di concentramento ustascia di Jasenovac, Dinko Sakic, è
morto lo scorso luglio a Zagabria. Aveva 87 anni.
Estradato nel 1998 dall’Argentina, dove si era rifugiato dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1999, sottoposto in Croazia a processo, era stato condannato a 20 anni di prigione
per crimini di guerra contro la popolazione civile. Dal mese di maggio alla fine di ottobre del
1944 Sakic avrebbe ordinato e partecipato attivamente alle torture e alle uccisioni degli internati a Jasenovac. Inoltre, avrebbe personalmente ucciso a colpi di pistola quattro persone e ordinato l’impiccagione di altri 22 internati.
La cornice nella quale si sono svolti a Zagabria
i funerali di Sakic è stata stigmatizzata dall’ambasciatore israeliano in Croazia Shmuel Meirom
con un comunicato ripreso dall’agenzia di stampa statale Hina, e da Efraim Zuroff, direttore del
Centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme, che
ha espresso la sua amarezza al presidente croato
Stjepan Mesic. «Allo stesso tempo – ha detto tra
l’altro l’ambasciatore Meirom – condanno fermamente le parole inappropriate pronunciate dal
sacerdote che ha celebrato il funerale, che ha
definito Sakic un modello per tutti i croati». Infatti, secondo quanto riportato dal quotidiano
“Vecernji List”, il defunto è stato indicato
dall’officiante «una persona di cui i croati devono essere orgogliosi».
red.
Le opere d’arte istriane
non furono «trafugate»
e non vanno «restituite»
Il comunicato stampa della FederEsuli sulle esternazioni
del ministro degli Esteri sloveno Rupel
Sorprende nuovamente la dichiarazione del ministro degli Esteri di Slovenia Rupel secondo il
quale le opere d’arte istriane, già conservate in chiese e musei di un territorio allora italiano per diritto
internazionale, vennero «trafugate» e dovrebbero pertanto venire restituite alla Repubblica slovena.
Si protrae un equivoco storico e morale, che vorrebbe l’Italia illegittima proprietaria e la Slovenia
defraudata, quando – come ripetutamente ricordato da questa Federazione e dagli organi di informazione – le opere in oggetto vennero poste in salvo nel 1940 dalle autorità italiane competenti al fine
di preservarle dagli eventi bellici, e trasferite a Roma in locali protetti di Palazzo Venezia in un
contesto di piena legittimità operativa.
Nel 2002 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali volle restituire al pubblico, dopo accurati
restauri, i quadri e i manufatti, che vennero esposti a Roma in una grande mostra nella sede del
Museo di Palazzo Venezia, curata dallo stesso Ministero, e successivamente, nel 2005, a Trieste nel
Museo Revoltella, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, in collaborazione con la
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Artistici del Friuli Venezia Giulia, il Comune di Trieste e
l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
La produzione artistica del Tre, Quattro e Cinquecento in Istria è frutto e testimonia il plurisecolare,
fecondo tessuto di costanti relazioni tra la sponda orientale ed occidentale dell’Adriatico, auspice
Venezia: l’Istria e la Dalmazia si inseriscono in quei secoli nel comune linguaggio artistico e figurativo dettato e diffuso dalla Serenissima.
Parlare ancora di «trafugamento» e di «restituzione» non ha alcun fondamento storico e giuridico. Le opere sono di inequivocabile pertinenza dello Stato italiano, nel cui territorio erano all’epoca
collocate e che sottopose a conservazione
cautelativa secondo le norme della legislazione
italiana.
Alterare i termini di una questione non è prova di sincera volontà di collaborazione tra Paesi
membri dell’Unione Europea. La Federazione
delle Associazioni rimarca ancora una volta il principio dell’appartenenza all’Italia di quelle opere
ed invita i Dicasteri competenti a ribadirlo con
chiarezza.
Trieste-Roma, 9 settembre 2008
Il Presidente
Renzo Codarin
Il Vicepresidente
Lucio Toth
Di Benedetto Carpaccio
(doc. 1530-1560), figlio di Vittore,
la Madonna col Bambino
tra i santi Lucia e Giorgio
Ottobre 2008
Incontro
FederEsuli – Ministero dell’Interno al Viminale
temi, anagrafe e cittadinanza
Una delegazione della Federazione delle
Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e
Dalmati ha incontrato a Roma, il 9 settembre,
i vertici del Ministero dell’Interno al Viminale.
La riunione, nell’ambito del Tavolo di trattative
Governo-Esuli, ha toccato le problematiche
ancora irrisolte in ambito di Cittadinanza e
Anagrafe.
Dopo un approfondimento dei temi trattati e data la reciproca stima e comprensione
instauratesi, si è convenuto di creare un gruppo di lavoro misto che prosegua il cammino
verso una soluzione a breve in entrambi i fronti.
Sia la delegazione della FederEsuli che
quella del Ministero hanno anche convenuto
che un dialogo costruttivo è l’unica strada percorribile per portare concretamente a compimento il faticoso lavoro in difesa dei diritti degli Esuli e più in generale dell’identità italiana
nell’Adriatico orientale.
All’incontro erano presenti ilVicepresidente della FederEsuli Lucio Toth, Elio Ricciardi
per i Dalmati nel Mondo e il Segretario nazionale ANVGD Fabio Rocchi.
Roma, ministero dell’Interno,
affrontate nel corso dell’incontro
tra i vertici del Viminale e la FederEsuli
le questioni della corretta registrazione
dei luoghi di nascita e della cittadinanza
Intitolato ad Alida Valli
il nuovo cinema di Pola
nonostante le polemiche
degli ambienti nazionalistici croati
Nella cornice della 55.esima edizione del sarà breve…», e che «probabilmente, l’autore
Festival filmico è stato inaugurato a Pola il nuo- delle scritte anti-croate apparsi a Parenzo, sarà
vo Cinema Valli, ricavato dall’adattamento della scovato solo dopo che la polizia avrà individuato il promotore del cambiamento del nome del
preesistente sala cinematografica «Zagreb».
Una scelta, quella di ricordare la grande at- cinema “Zagreb” in “Valli”».
Di più, Marino Roce ha poi precisato in puro
trice polesana, che ovviamente aveva sollevato
diverse contestazioni negli ambienti della cosid- stile totalitario che su «Alida Valli il partito tornedetta maggioranza, in particolare da parte rà quando sarà il momento opportuno, ossia
quando si disporrà di cognizioni precise e docudell’HDZ, il partito del primo ministro Sanader.
Alla cerimonia di inaugurazione era presen- mentate», come ai bei tempi di Tito e di Stalin. E
te il figlio dell’attrice italiana, Carlo De Mejo, come la scelta del nome del cinema, lo ha irritato grandemente il veto
che con commozione
istriano al concerto di
ha voluto ricordare
Thompson per la sua
come «la mamma mi
ispirazione razzista e
parlava spesso di Pola
filo-ustascia e finanche
cercando di trasmettele manifestazioni previre sia a me che a mio
ste in omaggio alle vitfiglio Pier Paolo lo spiritime diVergarolla, ricorto e l’anima della città.
renze alle quali, a dire
Ci ricordava modi di
di Roce, «si presentano
dire nel dialetto istropuntualmente esponenveneto e posso dire dire
ti della destra italiana
di aver recepito tramite
irredentista, dalle cui
le sue parole il sentiposizioni nessuna delmento di polesanità che
le autorità polesi prenda oggi in poi sarà sicude le distanze». Tal
ramente più forte».
Lovorka Tomicic, della
All’inaugurazione è
sezione polese del parintervenuto anche l’on
tito fondato da
Furio Radin, presidente
Tudjman, condanna a
dell’Unione Italiana. «È
sua volta l’atteggiamenimportante che l’unico
to di apertura di Damir
cinema che noi abbiaKajin, vice presidente
mo a Pola porti il nome
della Dieta Democratidi Alida Valli che è l’atca Istriana, il quale, a
trice più grande nata
La locandina del film Senso di Luchino
dire dellaTomicic, «prenella nostra città. Noi ne
Visconti, protagonista Alida Valli
tende di essere il palaandiamo fieri al di là
dino dei valori civili
delle polemiche senza
mentre invece agisce contrariamente a quegli
senso legate alla denominazione della sala».
stessi valori» per aver vietato l’esibizione di
Thompson in terra istriana.
Le ire dei nazionalisti croati: «sulla Valli
l’HDZ tornerà al momento opportuno»
La replica di Furio Radin: «Abbinamento
Ma l’iniziativa ha suscitato naturalmente, priinopportuno tra graffiti e cinema Valli»
ma e a posteriori, le ire degli esponenti dell’HDZ,
Sulle polemiche è intervenuto il deputato
il partito nazionalista croato. Il segretario regionale dell’HDZ, Marino Roce, ha accusato i pro- della Comunità nazionale italiana al Sabor, Furio
motori di aver voluto sostituire il nome dell’ex Radin, secondo cui gli esponenti dell’HDZ in recinema “Zagreb”, diventato appunto “Valli”, sen- altà non sono interessati a risalire agli autori dei
za un preventivo dibattito; e con un accostamento graffiti inneggianti al fascismo, apparsi questa
a dir poco surreale Roce ha affermato che l’inse- estate a Parenzo: «il loro abbinamento opportugna “Kino Valli” sarebbe stata il «primo graffito nistico al nome dato a una sala cinematografica,
ispiratore, seguito a distanza di tempo da quelli indicano che Roce non desidera identificarne gli
di Parenzo» riferendosi alle scritte neofasciste autori». Radin ha soggiunto che in questo modo
apparse su alcuni muri della cittadina istriana, si crea confusione tra coloro i quali sanno che le
per concludere, altrettanto surreale, che «se si autorità di Zagabria sono fortemente decise a fare
rintraccia l’autore di quel primo graffito all’in- luce sull’accaduto.
gresso della sala cinematografica, la strada che
p. c. h.
porterà ai responsabili delle scritture di Parenzo
Ottobre 2008
La rubrica di rassegna stampa consta di due pagine, dato l’elevato numero di articoli apparsi nei mesi di
luglio e agosto. Ne proponiamo qui
una scelta inevitabilmente limitata,
rinviando al sito www.anvgd.it la lettura integrale di tutti gli interventi
apparsi sulla stampa nazionale e non
sui temi di nostro interesse.
Regione Friuli Venezia Giulia
10 luglio 2008
Trieste recupera il Silos
che fu campo profughi
Su proposta dell’assessore alla Pianificazione territoriale e alla mobilità,
Riccardo Riccardi, la Giunta regionale ha approvato la stipula di un accordo di programma con il Comune di
Trieste per il recupero del complesso
edilizio ‘ex Silos’ in piazza Libertà a
Trieste e la conseguente riqualificazione urbana dell’area e dei servizi
circostanti. Le decisione deriva dal riconosciuto ‘rilevante interesse regionale’ della proposta del Comune di
Trieste per il recupero dell’ex Silos e
dell’area di pertinenza.
‘Infatti - dice ancora l’esponente
regionale - il progetto complessivo prevede non solo la riqualificazione dell’area urbana tra il porto vecchio, la
stazione ferroviaria e Piazza Libertà
con conseguente revisione della mobilità pedonale e veicolare, ma anche
la razionalizzazione del trasporto pubblico regionale e locale, che consenta
di sviluppare e integrare i collegamenti
fra i diversi sistemi di persone prevedente un nuovo deposito delle
autocorriere nonché la rilocalizzazione del sistema partenze-arrivi e la
creazione di un nuovo punto di attesa
e biglietteria; nonché la realizzazione
di una ‘Sala polifunzionale’ per una
capienza di 900 persone e 220 posti
macchina di pertinenza’.
13
DIFESA ADRIATICA
RASSEGNA
“La Voce del Popolo”
12 luglio 2008
Italiani in Dalmazia
rinati come l’«araba fenice»
Il confine è un luogo saliente della
storia europea del Novecento, è un
fattore che ha determinato situazioni
complesse di incompatibilità e conflitti etnici che hanno complicato la
vita europea degli ultimi secoli e decenni. ll recente convegno di Bologna
[Il confine italiano nel Novecento.
Metodi e ricerche storiografiche, 5 giugno 2008, ndr ] incentrato sul confine
orientale d’Italia è stato un’importante
occasione per mettere a fuoco una
realtà complessa dove spesso e volentieri vi è stata interazione e a volte
commistione tra dati storiografici e reazioni emotive. Il convegno ha inteso
sviluppare l’analisi storica, ma anche
un ragionamento critico di tipo
storiografico sia in ambito locale ma
anche più ampiamente in campo europeo.
Anche se geograficamente lontana dall’attuale confine orientale terrestre italiano, la Dalmazia, in un’ottica
di vasto respiro come quella che ha
permeato il convegno bolognese, non
poteva non trovarsi pure al centro dell’attenzione, alla pari delle realtà dell’Alto Adriatico. I parallelismi storici tra
le diverse aree adriatiche sono, infatti,
evidenti e le vicende che hanno caratterizzato la fascia frontaliera più a
nord hanno avuto riflessi fortissimi sulla
sorte degli italiani di Dalmazia. E se
c’è qualcuno che ha pagato più di tutti per gli sconvolgimenti nazionali dell’Ottocento e del Novecento, questa
è stata sicuramente l’italianità dalmata.
Bene azzeccato appare, quindi, il titolo dell’intervento del prof. Luciano
Monzali che ha parlato, per l’appunto, della «Fenice che risorge dalle ceneri, ovvero gli Italiani di Dalmazia».
Lo studioso, autore di volumi che hanno fornito una interpretazione estremamente moderna delle vicende
dalmate, anche questa volta si è concentrato sulla storia recente, scomoda
dal punto di vista storico-scientifico
perché va ad indagare su realtà ancora inesplorate, difficili da scindere dalla forte carica emotiva che le accompagnano.
Viste le premesse, ha sottolineato
Monzali, non c’era la possibilità in
Dalmazia di sopravvivenza di realtà
pubbliche italiane. Che cosa erano
diventano gli italiani rimasti? Italiani
sommersi, è stata la conclusione di
Monzali. [...]
Dario Saftich
L’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti grazie
al finanziamento della Fondazione
culturale Antonio e Ildebrando
Tacconi, di Venezia, istituisce
un premio per un lavoro originale
ed inedito, o edito nel quinquennio
2004-2008, sulla cultura
latino-veneto-italica in Dalmazia
Sopra: la targa
apposta nel 2004
dal Municipio
di Trieste
in ricordo
del transito
dei profughi
giuliano-dalmati
A sinistra:
Trieste, una
parziale veduta
del silos, oggi
“La Voce del Popolo”
12 luglio 2008
Venezia: concorso sulla Dalmazia
L’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti grazie al finanziamento della Fondazione culturale Antonio e
Ildebrando Tacconi, di Venezia, istituisce un premio di 3.000 euro, per un
lavoro originale ed inedito, o edito nel
quinquennio 2004-2008, sulla cultura latino-veneto-italica in Dalmazia. Il
tema indicato si riferisce all’intero arco
temporale della romanità ad oggi, ed i
lavori possono vertere sia sulla
globalità del tema, sia su aspetti particolari o figure significative, inoltre l’argomento può essere trattato sotto il
profilo umanistico, quello scientifico
o con riferimento a problematiche
politiche o sociali.
Potranno essere prese in considerazione tesi di laurea o dissertazioni
conclusive di dottorato di ricerca; ma
anche altri lavori di corrispondente impegno, non necessariamente svolti in
ambito universitario. I lavori in concorso, ad ogni modo, dovranno segnalarsi per il rigore scientifico della ricerca, per l’attendibilità delle fonti alle
quali fanno riferimento e per lo spessore e la completezza della bibliografi
a utilizzata.
I lavori dovranno pervenire in 3
copie dattiloscritte o a stampa (l’eventuale documentazione fotografica in
una sola copia), entro il 30 gennaio
2009, unitamente alla domanda di
ammissione al concorso, in carta semplice a mezzo raccomandata al seguente indirizzo: Segreteria dell’Istitu-
to Veneto di Scienze, Lettere ed Arti,
Campo S. Stefano, 2945 – 30124 Venezia. [...]
“La Nazione”
14 luglio 2008
A Firenze rinasce Piazza Istria
Sarà inaugurata martedì 15 luglio
piazza Istria, un’area interamente pedonale a Firenze, un grande tappeto
di pietra serena grigia con scansioni in
pietra bianca, nuovi arredi, luce soffusa
a terra con led luminosi a risparmio
energetico e oltre 20 alberi.
La pavimentazione della piazza è
sopraelevata rispetto al marciapiede,
in modo da dare risalto allo spazio.
Sul lato del loggiato e su quello di fronte, informa una nota, la pietra si ripiega in un bordo rialzato che va a formare una lunga seduta.
All’inaugurazione, che avverrà
martedì 15 luglio alle 21, sono invitati
tutti i cittadini insieme all’assessore alla
partecipazione democratica Cristina
Bevilacqua e al presidente del quartiere 3 Andrea Ceccarelli.
“La Voce del Popolo”
21 luglio 2008
Il progetto Memoria dell’Esodo
al Museo Storico di Trento
Nell’ambito del progetto di
recupero delle voci dei protagonisti
della storia del Novecento, il Museo
Storico di Trento ha realizzato, in collaborazione con il Comitato trentino
dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia e sotto l’egida del
Forum Trentino per la Pace, una campagna di ricerca di materiale d’archivio e di interviste ai protagonisti dell’esodo che vide coinvolte, alla fine
della seconda guerra mondiale, moltissime famiglie istriane, fiumane e
dalmate che giunsero in Trentino tra
mille difficoltà ed incertezze. [...]
Il Museo ha cominciato ad effettuare interviste videoregistrate nel
1992, all’interno di un quadro
metodologico ampio, che aveva visto
già da molti anni l’apertura alla storia
“dal basso” e alla conservazione di
fonti legate alla scrittura popolare, raccolte in un apposito archivio (ASP).
[...] La gran parte delle interviste
finora fatte (oltre 132) è stata realizzata a partire dal 2000, in un crescendo
di interesse scientifico e organizzativo
che ha trovato sempre maggiori conferme. [...]
Dall’autunno del 2002 il Museo
ha cominciato a collaborare attivamente anche con il comitato provinciale dell’Associazione NazionaleVenezia Giulia e Dalmazia, nella cui direzione si è trovata ampia disponibilità nel fornire contatti e suggerimenti.
In particolare la ricerca ha indagato
due aspetti della memoria: quella del-
l’esilio e quella dell’integrazione nelle
nuove realtà sociali ed economiche in
cui gli esuli vennero a trovarsi. Molte
famiglie giunsero in Trentino dall’Istria
e dalla Dalmazia, ma il loro arrivo e il
loro inserimento non fu mai prima al
centro di apposite ricerche. [...]
Nella misura in cui una realtà sociale esiste, essa nasce da una percezione reciproca, nel mutuo riflettersi e
riconoscersi e quando i riflessi cambiano, o si deformano, le identità si
trasformano. Gli esuli non si riconoscono per niente nell’immagine di sé
che vedono riflessa: non vengono per
rubare il lavoro o le case, non vengono perché vogliono, arrivano perché
non possono rimanere in Istria, a Fiume e in Dalmazia. Ancora oggi lamentano il fatto di non essere compresi per
quella che è la loro identità originale
dalla loro comunità d’adozione [...].
Per tutti questi motivi, questa raccolta di testimonianze realizzata dal
Museo di Trento si adatta particolarmente ad una riflessione sulla memoria e sull’uso storiografico delle fonti
orali. Il testimone con il linguaggio
costruisce i fatti e con la memoria dà
senso a questa costruzione. La memoria non è un contenitore, un deposito,
tutt’altro. [...]
“Gazzetta di Reggio”
26 luglio 2008
Bagnolo (Re): anche un infoibato
sulla lapide ai Caduti
Da quest’anno sulla lapide del
Torrazzo che ricorda i bagnolesi vittime della guerra è stato aggiunto un
nome: Licurgo Olivi. Che sarebbe comunque rimasto sconosciuto alla
stragrande maggioranza dei bagnolesi
di oggi, se non fosse per lo storico locale Walter Bigi, che nella pubblicazione «Olivi Licurgo, vittima della
pulizia etnica slava, 1945» ne ha delineato la vicenda umana, assieme al
quadro storico nell’ambito del quale
si è consumato il tragico destino di
questa persona, nata a Bagnolo nel
1897 in una famiglia con numerosi
fratelli e sorelle.
Licurgo Olivi fu un esponente di
primo piano della locale sezione del
Partito socialista italiano. Per sfuggire
alle minacce e alle violenze delle
squadracce fasciste, fu costretto - come
altri socialisti e comunisti bagnolesi a lasciare la famiglia ed il paese. Si rifugiò a Gorizia, dove si dedicò dapprima al commercio, poi arrivò ad
aprire una piccola officina con una
decina di dipendenti. A Gorizia chiamò a lavorare anche un fratello ed un
nipote. L’amico e compagno di partito Augusto Bertani, rimasto a Bagnolo,
fu ripetutamente percosso dai fascisti
locali, e a causa delle percosse morì
prematuramente.
Dopo l’8 settembre del 1943 Olivi a Gorizia entrò a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale,
come rappresentante dei socialisti, e
continua a pagina 14
Il Museo Storico di Trento ha realizzato, in collaborazione con il Comitato
trentino dell’ANVGD e sotto l’egida del Forum Trentino per la Pace,
una campagna di ricerca di materiale d’archivio e di interviste
ai protagonisti dell’esodo. Nella foto, l’entrata dell’archibiblioteca del Museo
14
DIFESA ADRIATICA
segue da pagina 13
partecipò ai combattimenti per la liberazione della città dai nazifascisti.
Ma dopo la liberazione dai tedeschi,
Gorizia fu invasa dalle formazioni jugoslave comandate da Tito. Che diedero il via ad una spietata pulizia etnica: migliaia di italiani sparirono nel
campi di concentramento e nelle foibe
carsiche, mentre decine di miglia di
uomini, donne e bambini furono costretti ad abbandonare tutto e a rifugiarsi in Italia.
Licurgo Olivi fu fra gli scomparsi:
arrestato il 5 maggio del 1945, di lui
non si ebbe più alcuna notizia. Nel
testamento ha disposto l’istituzione di
un lascito a suo nome a favore delle
persone più disagiate di Bagnolo, del
suo paese d’origine.
Vittorio Ariosi
“Il Gazzettino”
2 agosto 2008
Festival in ricordo
del fiumano Dino Ciani
Le interpretazioni di Dino Ciani,
artista fiumano morto drammaticamente nel 1974 in un incidente stradale, rappresentano un caposaldo della storia pianistica, non solo italiana,
del XX secolo. Alla sua morte, gli amici più cari (tra cui Pollini, Abbado,
Strehler,Visconti e Grassi) diedero vita
all’Associazione Ciani e ad un concorso omonimo che ha laureato fino
al 1999 molti dei talenti pianistici tuttora in carriera.
La ristrutturazione del Teatro alla
Scala privò il concorso della propria
sede elettiva, interrompendone l’attività. In seguito alla morte del fratello
di Dino, Sergio, l’associazione Ciani
e la famiglia del pianista, legatissima a
Cortina (qui infatti entrambi i fratelli
sono sepolti) hanno deciso di proseguire la propria attività culturale nella
perla delle Dolomiti, all’interno di un
festival musicale internazionale dedicato alla memoria dell’interprete prematuramente scomparso.
Dopo lo straordinario successo ottenuto nel 2007 con i concerti di
Martha Argerich e del duo BrunelloLucchesini, il festival trova quest’anno
la propria definitiva consacrazione con
una serie di diciannove appuntamenti ideati dal direttore artistico Jeffrey
Swann, primo vincitore del Concorso
Ciani. [...]
La vedova del fratello di Ciani,
Hedy, e la nipote, Caterina, sono i
motori instancabili del festival, a cui
danno il proprio contributo non solo i
numerosi amici del celebre pianista,
ma anche il comune di Cortina, il Casinò di Venezia e la ditta di pianoforti
Fazioli.
Letizia Michielon
“Il Piccolo”
7 agosto 2008
Jovanka Broz
e il viale del tramonto
E la moglie dell’ex presidente jugoslavo? Per lei la Storia ha riservato
un destino crudele. Nessuna
«Jovankanostalgia» sembra poterla riabilitare. Vive, o meglio, sopravvive tra
le macerie della storia. Sola e abbandonata, dagli uomini e dal mondo.
Jovanka Budisavljevic-Broz, la vedova del defunto maresciallo Tito non ce
la fa più. «Mi trovo veramente in una
situazione difficile - ha raccontato non ho il riscaldamento, l’impianto
elettrico si è guastato e l’acqua filtra
dal tetto».
Invero la casa sulla collina di
Dedinje al 75 di boulevard Mira, il rione dei vip di Belgrado, che le è stata
temporaneamente assegnata dal governo jugoslavo non ha un brutto
aspetto vista dal di fuori. Ma all’interno è una desolazione.
L’umidità segna le pareti, fa freddo
e lei con i suoi 84 anni e la sua
pensioncina da ex ufficiale dell’esercito (ricoprì il grado di maggiore) più
che vivere cerca di sopravvivere. «L’acqua ha distrutto tutto - ha spiegato rassegnata - da due anni oramai non ho
più il riscaldamento e la corrente elettrica viene e va». [...] Perché lei ha una
sorta di «peccato originale» da scontare: è l’ultima icona vivente di un’epoca dannatamente scomoda oggi in
quella che fu la Jugoslavia, la «sua»
Jugoslavia, quella che condivise assieme all’illustre marito. Odiata dai serbi
che non perdonano al defunto maresciallo di aver tenuto lo stivale dell’ideologia fortemente premuto sul loro
capo da sempre proteso verso gli
agognati lidi disegnati da un mai sopito nazionalismo, è stata ripudiata dalla terra natia croata (è nata nel villaggio di Pecani, nella Lika) che la considera, invece, l’ultimo totem del comunismo, storico avversario di quello spirito secessionista che ha condotto
Zagabria all’indipendenza.
Il 4 maggio, come ogni anno,
Jovanka, lo scialle nero sulle spalle e
quella pettinatura così demodè, ma
che fa tanto «ancien-regime» comunista, si è recata sulla tomba del marito dove ha deposto un mazzo di fiori.
Sola, davanti a quella tomba, priva di
onori. Qualche minuto passato in silenzio, una borsetta nera e consunta
stretta tra le mani. [...]
E stavolta tocca a lei morire nell’impietosa agonia dell’indifferenza.
Un esempio? Jovanka ha mandato un
assistente sociale a chiedere aiuto, ma
all’ufficio comunale. Il timido funzionario si è sentito rispondere che «quelli
non erano affari suoi». [...]
Nel 1977 Jovanka finisce agli arresti domicialiari con l’accusa di aver tramato un colpo di Stato dagli oscuri
contorni filo-sovietici, assieme al generale Djoko Jovanic. Imbocca così
quel viale del tramonto che la porta
fino alla fatiscente casa di Dedinje.
Qualcuno sostiene che sia stata anche
in carcere a Spalato. C’è chi la paragona a Imelda Marcos. Ma poco si sa
di quel fatidico 1977. «Riabilitata» da
Tito in punto di morte conosce di nuovo gli arresti domiciliari subito dopo il
faraonico funerale del maresciallo.
Privata del passaporto da Milosevic lo
riottiene con l’avvento di Kostunica al
potere. Oggi non è più la regina. Ora
è una strega. Lei resta in silenzio. Quel
silenzio che non la fa rispondere al
telefono, né parlare con i vicini. È sola.
E oramai dimenticata nel suo arrugginito esilio belgradese.
Mario Manzin
“Il Piccolo”
15 agosto 2008
Fiume: ristrutturazione
per le fortificazioni italiane
Primi passi nell’ambito dell’opera
di risanamento e valorizzazione delle
fortificazioni italiane costruite prima
del secondo conflitto mondiale sull’altura Santa Caterina a Fiume. La zona,
compresa all’interno del Vallo alpino
orientale, un tempo segnava il confine tra Italia e Jugoslavia.
La comunità rionale di BrascinePulaz, nel cui territorio si trova questo
splendido esempio di archeologia militare, ha ricevuto di recente la somma di 30mila kune (circa 4.150 euro)
stanziata dall’Assoturismo di Fiume
quale aiuto per la realizzazione del
progetto di valorizzazione delle strutture difensive italiane. Il presidente
della comunità d’abitato, Josip Rupcic,
ha sottolineato l’importanza della donazione, che servirà però a compiere
solo i primi interventi. «[...] Purtroppo
– ha detto – debbo rilevare che l’amministrazione cittadina fiumana non
è interessata a riportare questo complesso difensivo agli antichi splendori,
struttura che potrebbe in futuro attirare numerosi turisti. L’intenzione è quella di far sorgere un grande parco della
rimembranza, che andrebbe lungo il
tracciato Santa Caterina-monte
Bathyany-monte Lesco [...]».
Ad aderire al progetto è stato il
Corpo ufficiali fiumano delle Forze
armate che, tra i suoi compiti, ha anche la tutela delle ex linee di difesa. Il
suo presidente, Rajko Samueli Kacic,
ha ricordato che le postazioni sul monte Santa Caterina, edificate dagli italiani negli anni ’30 del secolo scorso,
servivano per l’utilizzo di cannoni e
mitragliatrici e che erano collegate da
gallerie sotterranee profonde fino a 14
metri. «Dominavano il golfo del
Quarnero - ha precisato - e, in pratica,
non furono mai conquistate. [...] All’interno si possono ancora notare le
scritte dei soldati italiani di 65 anni fa.
Andrea Marsanich
“La Voce del Popolo”
23 agosto 2008
In pericolo la storia italiana
del cimitero di Pola
Negli ultimi sessant’anni, complice una legge per molti aspetti miope,
a Pola è stata venduta e persa irreparabilmente nel più dei casi, la metà di
tutte le tombe e monumenti sepolcrali
d’epoca del vecchio cimitero cittadino. La normativa vigente, infatti, pur
non consentendo la proprietà privata
su tombe, loculi e sepolcri ai cimiteri
civici, contempla tuttavia un surrogato di quella, vale a dire il diritto
d’usufrutto, che può essere ereditato
dai discendenti diretti a patto però che
i fruitori paghino regolarmente la tassa annuale per la manutenzione dei
cimiteri. Se ciò non avviene, e se dall’ultima inumazione sono passati
trent’anni, le direzioni dei cimiteri hanno mani libere a cedere a terzi il diritto d’usufrutto sulla tomba abbandonata. La disposizione nel caso polese
è applicabile praticamente a tutta la
parte vecchia del camposanto, non
essendoci stata – e l’esodo ne è stato
causa – quella continuità di
discendenze ed ereditarietà che non
è mancata altrove. Sta di fatto che secondo un rapporto presentato di recente in sede di Consiglio municipale
dal direttore della municipalizzata
“Monte Ghiro”, il cinquanta per cento delle tombe storiche polesi è stato
“rivenduto”. In tantissimi casi i nuovi
titolari hanno cancellato nomi e cognomi da lapidi e monumenti, sostituendo a quelli degli ex proprietari i
nomi dei nuovi. Un processo, questo,
giudicato ormai anche alla stregua di
“annientamento d’identità”. Da frenare
ormai in extremis, a danno già bell’e
fatto.
Primo: basta vendere
Arriva dunque proprio all’ultimo
momento il provvedimento preso dalla
Giunta municipale in una recente seduta. L’Esecutivo presieduto dal sindaco Boris Miletic ha accolto infatti una
moratoria sulla cessione dei diritti di
usufrutto per le tombe storiche della
parte “vecchia” del cimitero civico e
il veto delle vendite ha una scadenza
alla fine dell’anno prossimo. In secondo luogo, la Giunta ha deciso la fondazione di una commissione municipale preposta alla valutazione del valore storico-monumentale, architettonico e artistico delle tombe su cui vige
il veto delle vendite. Fino alla fine del
Ha inizio l’opera
di risanamento
delle fortificazioni
italiane costruite
prima del secondo
conflitto mondiale
sull’altura
Santa Caterina
a Fiume
Ottobre 2008
2009 la commissione dovrà insomma
presentare al Municipio un piano di
categorizzazione dei sepolcri per importanza e un piano operativo di tutela delle tombe in virtù appunto delle
rispettive categorie di rilevanza storica o artistica. [...]
I diversi livelli e le varie modalità
di conservazione saranno poi definiti
nel dettaglio dal nuovo decreto sui cimiteri, che dovrebbe vincolare la vendita di un certo numero di tombe con
l’obbligo del restauro nel rispetto dello stile dell’epoca di origine. In alcuni
casi sarebbe vietato cancellare i nomi
dei defunti del passato per conservare
la memoria delle casate di un tempo.
Le nuove inumazioni sarebbero invece consentite, previa rimozione dei
resti dei sepolti in epoche passate.
Quello del mantenimento dei nomi,
e quindi dell’omaggio alle “stirpi” del
passato, è la grande novità di questa
manovra municipale salva-storia. Fino
ad oggi, infatti, le direzioni al timone
del cimitero hanno venduto metà di
tutte le tombe storiche: quasi tutte hanno mantenuto l’aspetto originale, ma
hanno perso (per volontà dei nuovi titolari) le insegne con nomi, cognomi,
date di nascita e di morte. Si è persa in
questo modo la traccia della sepoltura
di personaggi anche illustri della storia cittadina, e l’esodo in massa degli
italiani del 1947 ha fatto da
spartiacque. Riparare il torto, oggi,
magari anche con parecchio ritardo,
significa solo sdebitarsi con la storia.
Daria Deghenghi
Ansa
24 agosto 2008
110 anni dell’ultimo Cavaliere
di Vittorio Veneto
Gli auguri del ministro della Difesa Ignazio La Russa, anche a nome
delle Forze Armate, al bersagliere Delfino Borroni, ultimo dei Cavalieri di
Vittorio Veneto, che compie 110 anni.
Delfino Borroni, natoTurango Bordone
(PV) nel 1898 ed arruolato nel 1917,
ha prestato servizio nel 6° e nel 14°
Reggimento bersaglieri. Con il grado
di Caporale, ha preso parte ai combattimenti sul Pasubio ed a Caporetto.
Prigioniero di guerra, prima a Cividale
e poi in Austria, ha tentato più volte la
fuga, prima da Vittorio Veneto poi da
Conegliano, subito dietro le linee nemiche, riuscendo a raggiungere il
Friuli. Con l’arrivo delle truppe italiane, entrate vittoriose a Trieste, ha poi
fatto ritorno al proprio reggimento. È
stato congedato nel 1920.
“Giornale di Brescia”
24 agosto 2008
Ricordo di Antonio Cepich
l’eredità morale del «padre» della
diaspora giuliano-dalmata a Brescia
È trascorso un anno esatto dalla
scomparsa di Antonio Cepich, l’indimenticabile «Tonci», emblema con la
sua stessa figura di ex bersagliere
iperattivo della tenacia di un intero
popolo reso nomade dai colpi bassi
della Storia. Dalmata, zaratino, figlio
italiano di una terra complessa e contesa da secoli tra mondo latino e mondo slavo, che viene riassunta per convenzione nella terna Istria-FiumeDalmazia, o semplificata in Venezia
Giulia, Cepich resta nel pensiero e nel
cuore di molti che l’hanno conosciuto da vicino, come il grande «tutore»
della diaspora giuliano-dalmata nella
Brescia del Dopoguerra. [...]
Troppo facile sarebbe proporre qui
un ritratto lacrimevole, disegnato dalla retorica dei buoni sentimenti, che
nulla regalerebbe di non dovuto a un
personaggio tanto carismatico e meritorio [...]. «Italiani di serie B», «stranieri in patria», o addirittura «slavi rinnegati», incapaci di accettare la
palingenesi della rivoluzione titoista
nella Jugoslavia liberata dall’occupazione nazi-fascista: questo, per lo più,
erano considerati i profughi giulianodalmati che giungevano a contendere
agli italiani stremati dalla guerra, pane,
alloggio e lavoro, allora scarsi per tutti. [...]
In tempi di accentuato revisionismo storico o, forse, di «confusione»
storiografica abbinata a furbizie politiche, come gli attuali, quando la memoria delle foibe e dell’esodo è stata
sì, finalmente, recuperata e resa patrimonio nazionale, ma anche e troppo
spesso strumentalizzata per (opposti)
fini di parte, ricordare la figura di un
galantuomo come Cepich serve a
meglio collocare storicamente e politicamente quella immensa tragedia.
[...] Il lavoro straordinario di «Tonci»
per mettere in piedi e rendere efficiente
il campo di raccolta di via Callegari. Il
suo impegno per allestire le altre strutture di accoglienza a Chiari, Bogliaco,
Fasano di Gardone Riviera e Villa di
Gargnano. E quindi la fase successiva, durissima, delle battaglie per il «diritto al lavoro e alla casa» di centinaia
di famiglie trapiantate «obtorto collo»
(mica emigrate!) in una città percorsa
da fremiti non sempre solidaristici verso i nuovi venuti (celebre, in proposito, la contestazione di alcuni operai
comunisti dell’OM davanti all’ex caserma di via Callegari contro i «fascisti» fuggiti dal «paradiso» comunista
jugoslavo). [...]
Fondamentale fu la sua esperienza del lager, quasi due anni di prigionia trascorsi nei campi della morte disseminati nel territorio del Terzo Reich.
«Tonci» disse «no» all’arruolamento
volontario nelle fila dell’esercito della
RSI, come la maggior parte degli ufficiali (era sottotenente) e dei soldati italiani deportati in Germania. [...] In una
realtà orrenda, nella quale assistette
alla morte di tanti compagni di prigionia, l’ex sottotenente zaratino vide crollare anche gli ideali e i valori nei quali
aveva fino ad allora creduto, frutto
dell’educazione fascista. Ma nei quali
non si era mai acriticamente appiattito. «Nel campo - raccontava - imparai
a capire cosa significasse la democrazia, la libertà di pensiero e di parola, il
rispetto dei diritti di tutti, concetti a noi
prima sconosciuti». [...]
Quando il 12 settembre 1945 scese a Pescantina, nel Veronese, dal treno proveniente dall’ex Germania
nazista, il sottotenente Cepich pesava
40 chilogrammi. Ma era un uomo
nuovo. Cambiato. Raggiunse Brescia,
dove nel frattempo erano riparati i suoi
congiunti scappati da una Zara martoriata dai bombardamenti alleati e
successivamente occupata dai partigiani di Tito, e qui si trovò ad essere
l’uomo giusto al momento giusto. Esule, ottimo organizzatore in quanto
dotato di preparazione militare, ma
anche ex internato, e dunque antifascista. Un requisito fondamentale,
quest’ultimo, per diventare l’ideale
interfaccia delle nuove autorità democratiche della città. A lui si rivolsero il
prefetto della Liberazione Bulloni e il
vescovo Monsignor Tredici, per affidargli il compito improbo di predisporre
dal nulla «l’accoglienza degli esuli»
che a ondate successive arrivavano
dall’Istria, Fiume e Dalmazia.
Antifascista e, al contempo,
convintamente anticomunista. [...] La
«lettura» che «Tonci» offriva delle sventure piovute sul confine orientale è di
straordinaria attualità ancor oggi. [...]
Lui ha combattuto contro i partigiani
titini, certo. Ma in nome della Patria
minacciata, non del fascismo. Il suo
era autentico sentimento nazionale,
non fanatico nazionalismo. Quando
parlava della sua amatissima Zara, rifletteva sugli «errori storici» del regime fascista, che - osservava - aveva
creato un «baratro fra elemento italiano ed elemento slavo», con la politica
di assimilazione forzata e di negazione della lingua e cultura delle popolazioni allora dette «allogene».
Questo vigile spirito critico (e
autocritico), non toglieva nulla alla ferma protesta e indignazione che Cepich
nutriva per le ingiustizie subìte dagli
esuli giuliano-dalmati per mano degli
oppressori con la stella rossa sul berretto e, successivamente, in oltre cinquant’anni di «vita democratica». [...]
Valerio Di Donato
Ottobre 2008
15
DIFESA ADRIATICA
Isola d’Istria, a photo of the city,
nearly completely emptied
as a result of the exodus
of the Italian population after
Istria was ceded to Yugoslavia
Slovenia’s Bad Memory
Slovenia marked the end of its
semester of European presidency in
grand style, with a declaration of intent
which we simply cannot allow to pass
by in silence, and which forces us to
take into consideration issues that we
thought by now to have been
relinquished to the past. Once again it
is History that finds itself under fire, a
History that doesn’t need to be
“shared” but that must be respectful of
memories.
In its statement issued at the end of
its recently-ended European Union
presidency (from January 2008 to June
2008) the Slovenian government
published, on its website, a detailed
report on what was carried out during
this period. A separate chapter was
devoted to the Regions Committee,
and contained a brief synopsis of the
history of Slovenia. At this point we
must underline two enormous and
knowingly-made errors: in 1918, at the
end of the First World War, the
following is stated: “the First World
War. After the break-up of the AustroHungarian Empire, Slovenia’s ethnic
territory was divided amongst Austria,
Italy, Hungary, and the Kingdom of
Serbs, Croats and Slovenes.” Even if,
chronologically and institutionally, no
objections can be made here, the
government of Slovenia wants to
underline a certain ethnic connotation
and make it emerge. There follows a
false interpretation in the evidence
referring to September 15th, 1947. The
site tells us that “Most of the coastal
region of the Littoral was reunified with
Slovenia after the Paris Peace Treaty.”
Now, Slovenia, in 1947, was a
Yugoslav republic, and didn’t have an
institutional, international independence of its own: it is well-known that
the territories of the Littoral became part
of Yugoslavia, and part of the Yugoslav
Republic of Slovenia, only in 1975
with the signing of the Osimo Treaty.
Before 1975, it was the so-called “B
Zone” under Yugoslav administration,
but the site conveniently skips over this
important aspect. The ethnic matter
cannot be considered with
indifference, when we remember that
in those plural territories, there lived
another people as well: the Italian
people, who were an integral part of
those areas for centuries. In certain
areas, such as Capodistria, Isola and
Pirano, the Italians made up the vast
majority of the population, in censuses
carried out by Austria and, indeed, all
the way up to 1954, when there was a
mass exodus of Italians from those
areas. In this context, a serious reader
begins to wonder if Slovenia wants to
reopen the discussion of, or completely
remove, documented facts such as the
Exodus and the foibe. In fact, if the
coast of Istria comes to be considered
“ethnic Slovenian territory”, as the
website’s documents state, then the
Italians of those areas automatically are
considered “occupiers” or “immigrants”, and this places a sort of
justification over the foibe and other
abuses, causing them to be seen in a
very different light.
To sum up the matter, it is
“unpleasant” when one forgets the
presence of others. But when those
“others” are a native majority of
people, then “unpleasant” becomes
“disturbing”, indeed. This is the case
of the Istrian coast, as recently stated
by Paolo Segatti, a journalist for “Il Piccolo”, the Trieste daily: “…it is
disconcerting that a government of the
Union country would pretend to forget
the complex legal steps that governed
the transfer of sovereignty from Italy to
Yugoslavia of Capodistria, Pirano and
Isola. It is a way of creating national
history that is too ‘quick’, à la Soviet
Union. Plus, if we are documenting
facts, in 1947 ‘most of the littoral’ was
not “re-unified with Slovenia”, because
before the Second World War Slovenia
was not an entity with its own political
or administrative boundaries, nor was
it so before the First World War. The
sentence makes sense only if taken to
mean a Slovenian ethnic territory.”
Further on in the same issue of Il
Slovenian
“Ethnonationalism”
After comments in “Il Piccolo” by
Paolo Segatti, Mauro Manzin and
Renzo Codarin, we have here the
entire article written by Stelio Spadaro,
published the 27th of August and
entitled “Slovenian Ethnonationalism”.
The document prepared by the
Slovenian government at the
conclusion of its term as EU president,
and distributed to other EU member
states, begs for attention regarding its
historical content. Deservedly,
attention was given it, by Segatti and
Codarin, among others, in these
columns. The document proposes a
general outline of the history of these
geographic areas that can be
considered pervasive and diffused.
This outline is full of ethnocentric
culture that was developed and spread
by certain important sectors of the
political and intellectual elite of
Slovenia (but also Croatia) through
many decades. Within this worldview,
Venezia-Giulia is deprived of its
historical autonomy because it is
supposedly an invention of a
geographic and administrative type, an
invention of Italian nationalism. After
World War I, Italy supposedly
occupied and annexed an ethnic
Slovenian and Croatian territory not
pertaining to Italy at all, and this not
only in those areas that had a Slovenian
or Croatian population, but also the
entire region, in which peoples had
always been mixed, or where the
Italian population was the great
majority.
A prefect example of this attitude
is offered in those lines of the Slovenian
government document dedicated to
the northwestern coast of Istria.. Today
it is part of Slovenia: it is a piece of the
Istrian littoral considered “ethnic
territory” which, in 1947, was,
according to the document, reunited
with its rightful mother country,
Slovenia. This simple affirmation has a
series of repercussions, which make
the uninformed reader think that these
regions really should, ethnically,
belong to Slovenia (or Croatia, or,
before, to Yugoslavia). If we buy into
this, that is, if we believe that VeneziaGiulia is an entity invented to hide or
modify the original Slovenian or
Croatian ethnic character of these
lands, then what do the Italians living
there become? They automatically
become intruders, invaders,
immigrants to the region, imported
there as part of a previously-established
expansionist doctrine, or else they are
“ethnic” Slavs who have been
assimilated and Italianized by force in
modern times. One example, of the
many, is the famous musician from
Pirano, Tartini, who has been used as
a model of Slovenian musical genius.
At the very most, the status of minority
group is conceded, but, as History
teaches us regarding the “left behind”
portion of the Italians after World War
II, the condition is always of a minority
that is subordinate and irrelevant.
The basis here is always one of
rewriting history: to consider
Capodistria, Pirano and Isola to be
ethnically Slovenian – their HistroVenetian populations were forced to
flee after the War, and the cities were
literally emptied – and this is very
telling with regards to the decades-long
weight that certain sectors of the
Slovenian political and intellectual
classes have placed, with nonchalance, upon the category of “ethnic
territory”. They have always searched
for a forced homogenization between
“ethnic group” and state which here,
and elsewhere, have resulted in deep
and irreversible alterations in the
original pluralistic nature of our
regions. (For the example of South
Styria, please see the splendid book
by Martin Pollack, ‘Death in the
Bunker’).
This general interpretation, in many
cases implicit in the declaration but
handled with diplomatic nonchalance, has also contributed to rifts in the
civilian fabric of Trieste, in all these
decades of the Italian Republic. I refer
here to the pre-existing diffidence and
hostility towards Slovenians, which
contributes to the reinforcement of
Italian nationalism. And I am not
Piccolo, we find an article by Mauro
Manzin, who reflects on the same
theme: “It is not to be forgotten that,
specifically to avoid these ‘slides’, a
commission was established of both
Italian and Slovene historians. After
years of tortuous labor, this commission
was able to publish a common
declaration on a shared history of these
regions. In that document, it is certain
that errors of the type found on the
website are not to be seen. Let us not
forget that, although it is summer,
Slovenia is in the midst of a political
campaign, with elections to be held
on September 21st. and that the centerright government is losing, according
to the latest polls made by the centerleft coalition led by the young and
enterprising Borut Pahor. But elections
aren’t justification for such a distortion
of history. Actually, a slide of this
magnitude puts Slovenia at risk of
being counterproductive, if only for the
lack of appeal it creates for itself
amongst the other countries of the
European Union, after having had the
presidency for 6 months.”
Thus, at the end of a period that,
for other matters can be considered
fruitful, regarding its role as semester
leader of the European Union, Slovenia
leaves the presidency having created
a climate that is certainly not positive.
This climate clashes against the heights
gained by those in favor of the
European Union, those who have
contributed to its strong base values of
pacification and respect for the many
memories which make up the Union
itself. The Federation of Exiles of Istria,
Fiume and Dalmatia has sent a
communication regarding this issue to
Franco Frattini, the Minister of Foreign
Affairs, to draw his attention to the
more incorrect passages of the
Slovenian website document.
Renzo Codarin
President of the Federation
of the Associations
of Exiles of Istria,
Fiume and Dalmatia
The Third Annual
“Eastern Adriatic Book Fair”:
Showcase of Venezia-Giulia
and Dalmatian Culture, in Trieste
The historical information
contained in a Slovenian
government document published
after its term of EU Presidency
raised strong criticism:
the document pointedly ignores
the important historical Italian
presence in the part of Istria
that today belongs to Slovenia
speaking of nostalgic and radical
rightist political groups, but of the
widespread political and cultural
orientation and the common sense of
a wide part of the population of Trieste.
This is why it is so unbelievable,
and self-wounding, that certain
interpretations are still circulated today,
unless perhaps they are circulated,
whether calculatedly or not, to feed
tensions in the region, in the hope of
finding willing, uninformed ears to
listen and respond. But Trieste today,
the Trieste of Illy and Dipiazza, is not
the same wounded city full of rancour
that it was twenty years ago.
Definitely, the Slovenian
government document describes a
cultural vision that no one should
hesitate to consider out of time and
out of place, unilateral and artificial
visions of History which damage
development in the region, from
Natisone Bay to the Dalmatian
coastlands. Real development can
only take place if it is based on the
three hundred sixty degree
cooperation of all the cultures present
here. With the anachronistic and nonscientific category of ethnonationalism,
the vision that comes through in the
Slovenian government document is in
clear contrast with the empiric
evidence given by the peoples on both
sides of the ex-border, as it also
contrasts with the wealth of democratic
sensitivity that has become part of the
mentality of Italian and Slovenian
citizens.
Stelio Spadaro
From September 10th through the
14 , there was held, in Trieste, the third
annual “Bancarella – Eastern Adriatic
Book Fair” promoted and organized by
the CDM (“Multimedia Documentation
Center”), together with the ANVGD
(“National Association of VeneziaGiulia and Dalmatia”) and sponsored
by the Region of Friuli-Venezia-Giulia,
the City of Trieste, the Province of Trieste, and with funds from the “Cassa di
Risparmio di Trieste” Bank Foundation,.
and the Ministry of Culture.
The “Bancarella” fair represents the
promotion and putting into practice of
a cultural drive that has seen the
presence of a multitude of guests in
The wide selection of special
books and media offered by the
literary, theatrical, and musical
national press was very much
performances, to showcase the
appreciated by the public who
complexity of Istrian, Dalmatian, and
flocked to the “Four Days” event
Fiume culture, both past and present.
in Trieste. (photo courtesy of
Such a successful event could never be
www.arcipelagoadriatico.it)
possible without the participation of
Italians present on the other side of the border, and those who emigrated to
faraway lands.
One of the intentions of the event is a call to unity, and to recompose the
fractured world of the exiles, as Renzo Codarin, CDM President, recalled during
the press conference for the event: he reminded those present that this takes
place “(…) within a culture that has the full rights of citizenship. Trieste, in this
sense, is important, as it is the ‘moral capital of the Exodus’, but we shouldn’t
forget that Trieste is also an important anchoring place for that Sea, the Adriatic,
that has always been so important to the development of our region, especially
before other important
communication lines, especially
by land, existed.” And as Rosanna
Giuricin reminded those present,
once again it is the sea that forms
a base that ties together the
various elements of the event.
E. M.
(the article in its entirety
can be found at
www.arcipelagoadriatico.it)
th
The press and media at the presentation
of the 2008 edition of “Bancarella”,
an event steeped in the culture, art,
sea and flavours of the Eastern Adriatic.
(photo courtesy of
www.arcipelagoadriatico.it)
(traduzioni di Lorie Ballarin)
In our November issue,
there will be ample coverage
of the event
16
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
La extraña memoria eslovena
Una vista aérea de la ciudad
istriana de Capodistria.
Según el reciente documento
del gobierno de Lubiana
habría “vuelto” a Eslovenia
con el tratado de paz
del 1947. Una tesis, junto
con otras sostenidas en aquel
documento, contestadas
por la prensa y por las
principales asociaciones de los
desterrados italianos de Istria
La intervención de Renzo Codarin
La extraña memoria eslovena
La intervención de Renzo Codarin
Eslovenia ha decidido salir del semestre europeo con una declaración
de intentos que, como ha sido notado,
no puede hacerse pasar en silencio y
nos obliga a una consideración que
se pensaba
que no se tendría que haber hecho
más. Una vez más a estar en el blanco
es la historia que ciertamente no hace
falta que sea “condividida”, pero si que
sea respetuosa de las memorias.
En el documento redactado al termino del mandato de presidencia UE
recién acabado, (enero 2008-junio
2008) el gobierno esloveno, en la
propia página oficial, ha publicado
una minuciosa relación sobre el
trabajo hecho durante este periodo. Un
capitulo a parte ha sido reservado
también al Comité de las regiones
donde al final se encuentra una breve
sinopsis histórica de Eslovenia. Y es
aquí que hay que subrayar dos
macroscópicos y conscientes errores:
cuando se llega al 1918, al final de la
Primera guerra mundial, en la página
se lee: «Fin de la Primera guerra
mundial. A continuación de la
disolución del imperio austro-húngaro
el territorio étnico de Eslovenia se divide entre Austria, Italia, Hungría y el
Reino de serbios, croatas y eslovenos».
Aunque cronológicamente e
institucionalmente no es posible eximir
nada, emerge una connotación étnica
del caso que el gobierno esloveno
quiere evidenciar. Sigue la evidente
interpretación falsa referida al 15 de
septiembre del 1947. Escribe la página
del ejecutivo de Lubiana:
«La mayor parte de la región
costera del Litoral es reunificada a
Con el tratado de paz del 1947, que
cedía toda Istria, Fiume y Zara con
las islas a la ex Yugoslavia,
la población autóctona italiana eligió
la vía del exilio para conservar
la libertad y la identidad.
Fueron casi 350.000 los prófugos
que se refugiaron en Italia,
una parte de los cuales optó por
emigrar a Norte y Sur de América
«Etnonacionalismo
esloveno»
A las intervenciones del “Piccolo”
de Paolo Segatti, Mauro Manzin y
Renzo Codarin ha seguido el
comentario de Stelio Spadaro,
presentado el 27de agosto con el titulo
Etnonacionalismo esloveno. Lo
reproducimos integralmente.
El documento preparado por el
gobierno esloveno a la conclusión de
la presidencia de turno de la UE Y
consignado a los otros miembros de
la Unión, por lo que concierne a su
parte histórica merece una reflexión
examinada como las de Segatti y
Codarin albergadas en estas columnas.
Propone de nuevo un esquema de
interpretación general de la historia de
estas tierras que puede ser identificado
como esquema de largo periodo,
difundido y persuasivo.
Un esquema impregnado de cultura etnocéntrica y hecho por algunos
importantes sectores de la élite política
e intelectual eslovena (aunque
también croata) en el transcurso de
decenios. En el interior de esta visión,
Venecia Giulia es privada de su
autonomía histórica porque se la hace
llegar a ser una invención geográficoadministrativa del nacionalismo italiano; después de acabada la Primera
guerra mundial, Italia habría ocupado
y anexionado un territorio étnico
esloveno/croata que no era suyo, y no
solo por lo que concierne las
fracciones habitadas en la mayoría o
en la totalidad por las poblaciones
eslovenas y croatas, sino en su
integridad, también allí donde las
gentes desde siempre se mezclan o
donde la componente italiana es (o era)
presente históricamente de manera
preponderante.
Un eficaz ejemplo en relación a
esto viene dado por las líneas del documento gobernativo esloveno
dedicadas a la costa istriana
noroccidental, hoy parte de Eslovenia:
un segmento costero considerado «territorio étnico» que en el 1947 habría
sido reunificado a la madre patria
eslovena.
Esta instalación de derivación
etnográfica tiene una serie de recaídas,
que sin falta subsisten a la enunciación
principal de la pertenencia étnica de
estas regiones a Eslovenia (o Croacia,
o antes a Yugoslavia).
Si Venecia Giulia es una entidad
inventada aposta para ocultar o modificar el carácter étnico originario
esloveno-croata de estas tierras, los
italianos que las habitan se convierten
automáticamente en intrusos,
inmigrantes o importados según un
diseño de expansión establecido de
antemano, o en eslavos «étnicos»
asimilados, italianizados en la
modernidad.
Un ejemplo entre los tantos
posibles, el grande músico piranese
Tartini que llega a ser expresión del
genio musical esloveno. En el mejor
caso, es reconocida la condición de
minoría irrelevante y subordinada
como nos enseña la historia de los
«permanecidos» después del éxodo de
masa en la segunda posguerra.
Hay en el fondo una visión
constantemente reivindicadora de la
historia: considerar étnicamente
eslovenas Capodistria, Isola y Pirano
– cuyas poblaciones de antigua cultura istriano-veneta han sido obligadas
a una fuga de masa que ha literalmente
vaciado sus ciudades – nos habla del
peso que durante decenios sectores de
las clases dirigentes políticas e
intelectuales eslovenas han asignado
desenvueltamente a la categoría de
«territorio étnico»: buscando una
forzada homogeneidad entre «etnia»
y Estado que ha producido aquí y en
otros sitios alteraciones profundas e
irreversibles al original tejido plural de
nuestras regiones (por el caso de la
Stiria meridional, véase el esplendido
Eslovenia a continuación del Tratado
de paz de Paris».
Eslovenia, en el 1947, era una
republica de Yugoslavia y no tenía una
independencia
institucional
internacional; los territorios del Litoral,
como se sabe, pasaron a ser
yugoslavos en el ámbito de la
Republica de Eslovenia solo en el 1975
después de la firma del Tratado de
Osimo. Antes estaba la llamada Zona
B bajo la administración yugoslava que
aquí se salta en un solo paso.
La referencia étnica no puede
resultar indiferente cuando se quiere
olvidar que en estos territorios plurales
había también otro pueblo, el de los
italianos que durante tantos siglos han
sido parte integrante y en ciertas zonas,
como en Capodistria, Isola y Pirano,
eran la grande mayoría también en los
censos hechos por Austria y
seguramente hasta el 1954, cuando
fue el Éxodo en masa de aquellas
localidades. En este contexto surge la
duda de que se quiera poner en
discusión, o retirar completamente,
realidades de hecho como el éxodo y
las foibe: en efecto si la tal costa istriana
pasa a ser «territorio étnico esloveno»
como dice el Documento, los italianos
de aquellos lugares resultan
“ocupantes” o “inmigrantes”, por lo
que también la historia de los abusos
y de las violencias (foibe y éxodo)
asume otra luz y justificación.
En pocas palabras, no es
libro de Martin Pollack Il morto nel
Bunker).
Esta interpretación general, en
muchos casos implícita y en el documento explicitada con tanta ligereza
diplomática, además ha alimentado en
todos los decenios de vida republicana
una vena nociva en el tejido civil de
Trieste, y esto es, la preexistente
desconfianza y hostilidad hacia los
eslovenos, contribuyendo además a
reforzar el nacionalismo italiano. Y no
hablo tanto de los grupos de la derecha
radical nostálgica y funeraria, sino de
la orientación política-cultural
difundida y del sentido común de una
gran parte de los ciudadanos triestinos.
Por tanto resulta incomprensible y
casi autolesionador que se lancen hoy
interpretaciones símiles, salvo que no
se trate de un intento más o menos
estudiado de alimentar tensiones
nacionales en estas regiones, en la
esperanza de encontrar en Trieste
ambientes interesados o desprovistos
hasta el punto de querer responder con
el mismo tono. Pero ahora la Trieste
de Illy y Dipiazza ya no es la ciudad
rencorosa y herida que era hace veinte
años.
En definitiva, el documento
gobernativo esloveno expresa rasgos
culturales que por ambas partes no se
duda en considerar fuera de lugar y
fuera de tiempo, visiones unilaterales
y artificiosas de la historia que dañan
el desarrollo integrado de las regiones
desde los valles del Natisone a las
costas dalmatas: desarrollo que no
puede mas que basarse en la
valorización a trescientos sesenta
grados de todas las culturas y las
experiencias históricamente presentes
aquí. Basada sobre la anacronista y
acientífica
categoría
del
etnonacionalismo, la óptica que inspira la parte final del documento riñe
con la evidencia empírica percibida
por la generalidad de la gente de esta
parte y de la otra del ex confín, y con
el patrimonio de sensibilidad
democrática cada vez mas dado por
supuesto por los ciudadanos italianos
y eslovenos.
Stelio Spadaro
“agradable” que se olvide la presencia
de los otros, pero es inquietante que
se haga aun cuando la historia lleve a
una presencia mayoritaria autóctona,
como es el caso de aquel litoral istriano
y recientemente lo ha bien escrito en
las páginas del diario “Il Piccolo” Paolo Segatti «[...] desconcierta que un
gobierno de un país de la Unión finja
olvidar los complejos pasos jurídicos
que han gobernado la transferencia de
soberanía de Italia a Yugoslavia de
Capodistria, Pirano e Isola. Es un modo
de hacer historia nacional como decir,
un poco apresurado, a la soviética.
Después, como bien puede verse, en
el 1947 “la gran parte del litoral” no
fue de hecho “re-unificada a la
Eslovenia”, porque antes de la segunda
guerra mundial Eslovenia no era un
ente dotado de confines políticos o
administrativos, ni lo era antes de la
primera guerra mundial. La frase tiene
sentido si quien la ha escrito por
Eslovenia quisiera decir territorio
étnicamente esloveno».
Más adelante en el mismo diario
hay otra reflexión de Mauro Manzin,
que sobre el mismo tema escribe: «No
hace falta olvidar que justo para evitar
estos ”resbalones” fue instituida una
Comisión mixta de historiadores italoeslovenos que tras años de atormentado trabajo consiguió – como dice
Manzin – hacer nacer una declaración
común sobre una historia condividida
de estas regiones. Y en aquel documento no hay errores de este tipo. No
olvidamos que Eslovenia, a pesar del
periodo estivo, esta ya en plena
campaña electoral (las elecciones
políticas se tendrán el próximo 21 de
septiembre) y que el gobierno de
centroderecha aparece como
perdedor en los últimos sondeos ante
la coalición de centroizquierda guiada
por el joven y emprendedor leader
Borut Pahor. Pero de esto a manipular
la historia hay un trecho. Al contrario,
una equivocación de este tipo puede
resultar contraproducente no por otra
cosa que el escaso “appeal” que crea
en las principales Cancelerías
europeas de las que propio Eslovenia
ha estado a la cabeza durante seis
meses». Por tanto, después de un periodo para algunas cosas fructuoso al
interno de los trazados de Bruselas,
Eslovenia deja su sitio haciendo
percibir un clima no positivo, que no
concorda con lo que hasta ahora ha
sido construido por quien ha querido
la Unión europea y ha contribuido a
mantenerla firme en sus principios
fundadores de pacificación y de
respeto de las muchas memorias que
la componen.
En relación ha sido enviada una
nota por la Federación de los
desterrados istrianos, fiumanos y
dalmatas al Ministro de Asuntos
Exteriores Franco Frattini para llamar
su atención sobre algunos pasajes
particularmente incorrectos del documento esloveno.
Renzo Codarin
Presidente de la Federación
de las Asociaciones
Tercer
«Salón del Libro del Adriático oriental»:
en Trieste la grande vitrina de la cultura
de Venecia Giulia y de Dalmazia
Se ha desarrollado en Trieste, del
10 al 14 del septiembre pasado, la
tercera edición del «Establecimiento
- Salón del Libro del Adriático
oriental» promovido y atendido por
el Centro de Documentación
Multimedial (CDM) en colaboración
con la Asociación Nacional Venezia
Giulia e Dalmazia y con el patrocinio de la Región Friuli Venecia Giulia, del Ayuntamiento y de la Provincia de
Trieste y con la contribución de la Fondazione Cassa di Risparmio de Trieste y
del Ministerio de los Bienes y Actividades Culturales.
El establecimiento representa la prosecución de un esfuerzo cultural que ha
visto comprometidos a numerosos huéspedes en exhibiciones literarias, teatrales
y musicales para rendir la complejidad de la cultura istriana, fiumana y dalmata
pasada y presente. Una trayectoria que no podría decirse trazada si no formaran
parte también los italianos presentes más allá de los confines nacionales y aquellos
emigrados a tierras más o menos lejanas. El intento es también el de llamar a la
unidad y a la recomposición del fragmentado mundo de los desterrados, como
ha recordado Renzo Codarin, presidente del CDM, en el curso de la conferencia
de prensa de presentación de la iniciativa: «[…] al interno de una cultura en la
que se tiene pleno derecho a la nacionalidad. Trieste en este sentido es importante en cuanto “capital moral del Éxodo” – ha subrayado – pero no tenemos
que olvidar que representa también
la llegada a puerto de aquel mar
Adriático en el cual ha sido
transportada nuestra historia antes de
que existieran otras importantes vías
de comunicación por tierra». Como
después ha recordado Rosanna
Giuricin, una vez más será el mar a
hacer de hilo conductor a las varias
partes de la manifestación.
Vuelve a Trieste la edición 2008
E. M.
de la publicación editorial
(la
crónica
integral
«el establecimiento – Salón del libro
en www.arcipelagoadriatico.it)
del Adriático oriental», una “cuatro días”
abierta al público y a los operadores
de la editorial y de la cultura y del arte
(traduzioni di Marta Cobian)
Ottobre 2008
Questo numero di “Difesa” ospita
una serie più cospicua di notizie apparse nei mesi di luglio e agosto sul
sito web nazionale, in modo da raggiungere anche i Lettori che non dispongano di collegamento Internet.
Un’estate tutt’altro che povera di notizie e di commenti, come si vede, che
abbiamo tempestivamente inserito
nelle News. Una vera «E-state» con i
nostri abbonati, come annunciato sul
numero di agosto-settembre.
Ossero: inaugurata lapide
ai caduti italiani
domenica 13 luglio 2008
Di fronte ad una nutrita rappresentanza di Esuli e di italiani residenti, è
stata inaugurata all’esterno del cimitero di Ossero (Isola di Cherso, attuale
Croazia) la lapide che ricorda i militari italiani caduti nella difesa
dell’italianità e ivi sepolti in una fossa
comune al termine della seconda guerra mondiale. Per decenni quel terreno
è stato dimenticato da tutti, incolto, trascurato, senza che nessun segno rivelasse cosa giacesse sotto pochi centimetri di terra. La determinazione di
Federico Scopinich, esule residente a
Genova, ha riportato alla luce gli eventi
drammatici della battaglia di Neresine,
i particolari sulle vicende dei caduti e
la riscoperta della fossa comune a
Ossero ove furono sepolti dopo essere stati trucidati. Una trentina di soldati, il cui estremo compito era di difendere le ultime speranze degli italiani
contro la furia dei partigiani titini. Soccombere era inevitabile, ma non si
sottrassero al loro dovere nei confronti di una popolazione civile costretta
poi all’esilio.
La commovente cerimonia ha ricordato il loro sacrificio e ha reso giustizia alle famiglie che da decenni cercavano un luogo ove piangere i loro
cari.
17
DIFESA ADRIATICA
La rubrica di “Difesa”
www.anvgd.it
Povoletto (Udine):
spray contro il ricordo delle Foibe
mercoledì 16 luglio 2008
È stato pulito dai tecnici della Provincia di Udine il cartello che dedicava “Ai Martiri delle Foibe” il ponte di
Salt di Povoletto. Nei giorni scorsi, infatti, la scritta era stata cancellata con
una bomboletta spray di colore nero,
che aveva reso illeggibile l’intitolazione
del ponte sul fiume Torre. «È molto triste – spiega il vicepresidente della Provincia di Udine, Fabio Marchetti, che
si era recato sul luogo con il dirigente
dell’ufficio viabilità, Daniele Fabbro –
che nel 2008 avvengano ancora episodi di questo genere, proprio a pochi
giorni dalla decisione di papa Benedetto XVI di beatificare un sacerdote
vittima delle foibe, don Francesco
Bonifacio. Questi gesti – continua
Marchetti – non sono solo atti di vandalismo, ma anche segnali di ignoranza che vanno contro la democrazia».
La decisione di intitolare il ponte di
Salt sul Torre ai Martiri delle Foibe era
stata presa dalla Provincia di Udine nel
2004, affinché la vicenda storica della
persecuzione, dell’esodo e del
genocidio degli italiani d’Istria e
Dalmazia trovasse un adeguato riscontro e testimonianza nelle nostre terre.
Grossich, il primario di Fiume
che scoprì la tintura di iodio
giovedì 17 luglio 2008
In un mondo ove si tende a dimenticare le vere persone che hanno ono-
Il primo omaggio alle vittime di Ossero, sul luogo in cui caddero
Orsera, la Basilica romanica di Santa Maria del mare.
L’arch. Del Pino fu appassionato studioso e fotografo dell’arte istriana
rato e beneficato, soprattutto le nostre
terre perdute, ringrazio la signora
Giosetta Smeraldi per il bellissimo ricordo dell’illustre dottor Antonio
Grossich, primario dell’ospedale Santo Spirito di Fiume. Sin da bambina
conoscevo la sua figura e il suo operato perché nella metà degli anni Venti
mio nonno materno, causa la poca
igiene che allora avevano le botteghe
dei barbieri, ebbe una grave infezione
dovuta a un ascesso (favo) sulla nuca.
Da Cherso fu portato urgentemente
con il suo bragozzo a Fiume e ivi operato e curato dal dottor Grossich. Mio
nonno guarì perfettamente (allora gli
antibiotici erano un miraggio) e serbò
per lui una grande riconoscenza. Nel
suo reparto vigeva la più scrupolosa
igiene, l’asepsi era rispettata al massimo grado, ogni mattina faceva aprire
tutte le finestre delle stanze e con il
freddo costringeva i pazienti a infilarsi
sotto le coperte, testa compresa! Anche se non ebbe la stessa notorietà, il
dottor Grossich per la scoperta dell’uso
della tintura di iodio a scopo disinfettante può essere paragonato al celebre dottor Sommelweiss, il quale capì
la causa della febbre puerperale che
nell’Ottocento mieteva a Vienna centinaia di giovani partorienti. Sulla tragica vita di questo insigne medico il
celebre scrittore francese Celine scrisse un libro che consiglio a tutti di leggere, il cui titolo è Il dottor
Sommelweiss (editore Adelphi). Non
molto tempo fa a Fiume fu proposto
(penso da parte della Comunità degli
Italiani) di intitolare una via al dottor
Antonio Grossich ma la municipalità
di Rijeka si oppose classificandolo «fascista». Era un vero uomo, un grande
medico e si prodigò molto per il sociale. E tu, caro dottor Grossich, riposa in pace a Draguccio nel cuore
dell’Istria con il ricordo e la riconoscenza di tutti noi esuli istriani, fiumani
e dalmati.
Gigliola Salvagno Vecchione
La scomparsa di Livio del Pino
giovedì 17 luglio 2008
L’arch. Livio del Pino era nato a
Pola nel dicembre del 1921, dove frequentò il Liceo “Giosuè Carducci” che
vantava educatori come Mario
Mirabella Roberti, Pian de Posarelli,
Stefanacci, Grego, De Carli ed altri.
Da sempre esule in Liguria, aveva raggiunto i vertici dell’azienda elettronica genovese ELSAG, del gruppo IRI-STET.
Per anni ha svolto attività di ricerca e
fotografica in Istria ed è noto in Italia
per le sue mostre fotografiche nell’ambito del Centro di Cultura GiulianoDalmata (di cui è stato uno dei
fondatori) e per aver scoperto, proprio
in Istria, orme di dinosauri per la prima volta rintracciate nell’area del
Mediterraneo, ipotesi questa fino allora esclusa. A lui si deve anche la scoperta in alcune chiesette dell’alta Istria,
di affreschi di allievi del Giotto: scoperta confermata, dopo lungo ed attento esame, dalla Sovrintendenza di
Perugia. Assieme al figlio Giorgio e alla
moglie Marisa, lombarda ma fortemente legata all’Istria, ha sempre colto ogni occasione per andare alla ricerca delle più nascoste e preziose testimonianze dell’arte e della cultura di
questa terra, senza trascurare lo splendore e il fascino della sua natura forte.
Tra le sue opere pubblicate, ricordiamo Istria nei versi di Bepi Nider in cui
le sue splendide foto accompagnano
i versi del poeta. E ancora due libri fotografici, In Istria e Ragusa di Dalmazia
nei quali l’arte dell’immagine si fonde
con l’amore verso quella terra. Livio
del Pino è mancato a Rapallo, dove
risiedeva ormai da molti anni.
Giuliani nel Mondo:
Locchi presidente, Cattalini vice
venerdì 18 luglio 2008
Dario Locchi è stato riconfermato
alla Presidenza dell’Associazione
Giuliani nel Mondo. Il nuovo Consiglio Direttivo dell’Associazione, che
resterà in carica per il prossimo
triennio, ha eletto anche le altre cariche che lo compongono: Ennio Abate, Vittoriano Brizzi, Silvio Cattalini
(presidente consulta Friuli Venezia
Giulia dell’ANVGD), Giorgio Cesare,
Livio Chersi, Leonardo Gambo,
Rosanna Giuricin (CDM Trieste), Giorgio Gregori, Franco Miniussi, Nicolò
Molena, Pio Nodari, Claudia Razza,
Dario Rinaldi, Pierluigi Sabatti, Roberto Sancin, Marco Toncelli, Chiara
Vigini, Rodolfo Ziberna (presidente
Comitato ANVGD Gorizia), Armando
Zimolo. L’Assemblea dei soci ha provveduto inoltre ad eleggere il Collegio
dei Revisori dei Conti: Gianfranco
Bettio, Stefano Nedoh, Elena Suzzi;
supplenti, Gianni Cernoia, Maria
Micheli. Il Consiglio Direttivo su proposta del Presidente, ha provveduto,
all’unanimità, alla conferma dei
vicepresidenti, Franco Miniussi e Silvio Cattalini, del tesoriere Nicolò
Molea e all’elezione degli altri membri dell’Esecutivo: Ennio Abate,
Leonardo Gambo, Rosanna Giuricin
e Marco Toncelli.
Brazzoduro:
Esuli e rimasti ed Esuli divisi
giovedì 24 luglio 2008
È con apprezzamento che prendiamo atto dell’attenzione che la Regione Friuli Venezia Giulia nella persona del suo Presidente Tondo dedica
ai problemi degli esuli Istriani, Fiumani
e Dalmati ed a quelli della minoranza
italiana in Slovenia e Croazia. Infatti
nell’arco di una settimana vi è stato
l’incontro con il Presidente del CDM
nonché riconfermato Presidente della
Federazione delle Associazioni degli
Esuli, Renzo Codarin, e con la delegazione della minoranza, guidata dall’onorevole Furio Radin.
Di rilievo emerge dai colloqui la
particolare considerazione per i problemi ancora aperti nei confronti degli esuli, con l’impegno di operare per
ottenere risposte positive sia per quanto
di diretta competenza della Regione
sia come promotrice verso gli organi
dello stato preposti. Elemento che unisce i due incontri è la posizione assunta con un ruolo attivo nei confron-
ti di iniziative congiunte tra esuli e minoranza italiana in Slovenia e Croazia,
in particolare per l’impegno congiunto in opere che tutelino e restaurino i
cimiteri del passato italiano nelle terre
perdute e l’intervento a favore di una
casa di riposo per anziani nella zona
di Pola.
Sono le prime iniziative concrete,
ma non le sole, che come Federazione cercheremo di sostenere con un
ruolo attivo nella ritrovata unità di intenti dopo il Consiglio Federale del 18
luglio u. s., per una verifica delle linee
programmatiche, il rinnovo delle cariche, e l’aggiornamento dello statuto
per i cambiamenti intervenuti tra le
associazioni aderenti nel corso dell’ultimo anno di attività. Infatti in tale occasione, oltre a registrare la riconferma
di un impegno franco, da parte di
Dalmati e Fiumani, con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia, si è ricostituita l’importante presenza di una delle maggiori e
storiche associazioni degli esuli Istriani
(le Comunità Istriane).
Sintomatica e non casuale appare
quindi la presa di posizione di alcuni
elementi di altre associazioni di Istriani,
da poco uscite dalla Federazione, che
hanno ritenuto di diffondere proclami
contro la rinnovata dirigenza, contestandone non gli obiettivi, ma le linee
d’azione: francamente non crediamo
che questo possa far parlare di “exFederazione” quanto di un’autoemarginazione di alcuni elementi da
essa, rifiutando un democratico confronto sul “cosa fare”. Così pure non è
parso costruttivo per la soluzione dei
problemi degli esuli la proclamata
sintonia tra tali componenti e una forza minoritaria (Di Pietro) dell’attuale
schieramento di opposizione nel Parlamento Italiano. Potrà rendere visibili
le questioni ma non certo favorire soluzioni condivise dalla maggioranza
degli attuali schieramenti politici.
Infine, spiace constatare come in
modo pretestuoso - in un momento in
cui sarebbe più utile uno sforzo comune per aiutare la ricerca di soluzioni attorno ad un tavolo di trattativa con
il Governo, che speriamo prossimo si cerchi in ogni modo di screditare
chi lavora per unire e quindi proporsi
nel modo più credibile con le Istituzioni, trovando reciproci appoggi con
alcune minoranze contestatrici di altre associazioni. Siamo certi che chi
lavora per trovare risposte concrete per
i propri associati, debba prima guardare in casa propria, dove pure esistono posizioni differenziate, e soprattutto non assumere sempre atteggiamenti
presuntuosi di critica preconcetta verso chi si sforza di operare in modo
costruttivo sui problemi aperti, con il
mondo politico ed istituzionale.
Guido Brazzoduro
I fondi della Regione Veneto
per il patrimonio istriano-dalmata
sabato 26 luglio 2008
Il Consiglio regionale del Veneto
ha approvato all’unanimità il programma 2008 delle iniziative previste dalla
legge regionale sugli “Interventi per il
recupero, la conservazione, la
San Vincenti,
in Istria, la splendida
piazza. Il Consiglio
regionale del Veneto
ha approvato
il programma 2008
della legge regionale
sugli “Interventi
per il recupero,
la conservazione,
la valorizzazione
del patrimonio
culturale di origine
veneta nell’Istria
e nella Dalmazia”
18
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
www.anvgd.it
valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella
Dalmazia”. La somma complessiva
messa a disposizione ammonta a
680mila euro, stanziati per restauri di
beni culturali, storici e architettonici
nonché per le iniziative di carattere
culturale promosse da enti e istituzioni che operano sia in Croazia e
Slovenia sia in Italia al fine della salvaguardia e della promozione di un’eredità storico culturale che costituisce
indubbiamente uno strumento per l’affermazione dei valori di amicizia e di
coesistenza pacifica, da sempre condiviso dalla popolazione veneta,
istriana e dalmata.
Per il dettaglio dei progetti approvati si vedano le News sul sito
www.anvgd.it
Pietromarchi
nuovo ambasciatore italiano
a Lubiana
domenica 27 luglio 2008
Alessandro Pietromarchi è il nuovo ambasciatore d’Italia a Lubiana. La
sua nomina, recentemente deliberata
dal Consiglio dei ministri, è annunciata dalla Farnesina a seguito del gradimento del governo interessato. Nato a
Lucignano (Arezzo) nel 1945, si laurea in Scienze Politiche all’Università
di Roma nel 1969 ed entra in carriera
diplomatica nel 1973. Tra gli incarichi
ricoperti nel corso della carriera, dal
1975 al 1979 è al Consolato a Parigi e
in seguito all’Ambasciata d’Italia a Sofia. Rientra a Roma nel 1983 e presta
servizio prima presso la Direzione
Generale Affari Economici e successivamente presso il Servizio Stampa e
Informazione. Dopo un periodo all’Ambasciata d’Italia a Teheran, nel
1988 è nuovamente al Ministero. Nuovamente all’estero, a Parigi, nel 1996
è nominato Ambasciatore a Riga. Viene nominato Ministro plenipotenziario
nel 2000, anno in cui torna alla
Farnesina per prestare servizio presso
la Direzione Generale per i Paesi dell’Europa. Confermato in seguito quale
Coordinatore nazionale per il Patto di
stabilità per il Sud-Est europeo, nel
2002 viene nominato Coordinatore
nazionale per le iniziative regionali nel
Sud-Est europeo. Dal 2004 al 2008 è
Console Generale a Lugano.
‘‘Pinocchio’’ non sbarca a Zara:
asilo italiano rinviato
venerdì 1° agosto 2008
di Jan Bernas *
Non sorgerà alcun asilo italiano
“Pinocchio” a Zara. Almeno per ora.
Al suo posto una sezione autonoma
presso l’asilo croato della città dalmata.
Questo l’esito dell’incontro tra il
premier di Zagabria Ivo Sanader e
l’Unione Italiana al termine dell’incontro semestrale (il primo nell’attuale le-
gislatura).
«Il primo ministro croato ha convenuto con noi sul fatto che si tratta di
un non problema» precisa Maurizio
Tremul, presidente dell’Unione Italiana. «Ci hanno promesso che si interesseranno alla questione. Per intanto
si porranno le basi per l’istituzione di
una sezione italiana autonoma presso
l’asilo croato zaratino». Una soluzione già posta in essere a Fiume, dove
presso l’asilo croato ci sono ben 6 sezioni italiane. Le autorità zaratine hanno posto ostacoli, intoppi legali e ritardi pretestuosi per impedire la nascita
di un asilo con lingua d’insegnamento italiana che dovrebbe portare il
nome del burattino di Collodi. Addirittura, è stato richiesto che l’istituto
adottasse il nome “Pinokio” e che il
procedimento didattico fosse bi-lingue,
croato-italiano. Un atteggiamento che
denuncia una certa riluttanza nel riconoscere un’eredità culturale, prima
che nazionale, che lega ancora Zara l’odierna Zadar nella Dalmazia croata
- all’Italia..
Ma la battaglia per il rispetto del
diritto all’utilizzo della lingua madre
degli italiani in Croazia ha dovuto fare
i conti anche con il nuovo ordinamento scolastico “Standard pedagogico” promulgato dal Parlamento di Zagabria
senza il voto del deputato italiano Furio
Radin - che prevede la parificazione
delle ore di lingua italiana e croata
anche nelle scuole elementari (in quelle medie superiori è in atto già da anni).
Mentre finora l’italiano si studiava
un’ora alla settimana in più. Nell’incontro con Sanader, l’Unione Italiana
è riuscita a strappare la garanzia di non
veder diminuito il numero delle ore
d’insegnamento dell’italiano nelle
scuole elementari e medie inferiori italiane. «Il nostro timore era di dover
diminuire il numero di ore di insegnamento dell’italiano. Così non è stato e
l’ora in più che sarà dedicata alla lingua croata verrà presa dall’insegnamento di un altra materia», spiega
Radin, anch’egli presente all’incontro
con Sanader.
Per quanto riguarda infine la piena attuazione del bilinguismo nelle
istituzioni statali, negli enti regionali e
locali e nei tribunali, l’Unione Italiana
e le autorità di Zagabria hanno deciso
di dar luogo ad uno screening sullo
stato di attuazione delle normative sui
diritti linguistici, per poi intervenire nei
casi dove il bilinguismo è zoppicante
o del tutto assente.
* Jan Bernas è un giovane giornalista di origine polacca, in forza all’Agenzia APCOM, che da tempo si occupa di fatti e notizie relativi ai problemi del confine orientale. In questo
periodo sta componendo un libro che
riporterà trasversalmente le testimonianze degli esuli e dei rimasti, nel-
l’intento di approfondire le storie personali e familiari delle nostre terre. Ha
inoltre dato la disponibilità a collaborare con la nostra Associazione, per
dare il proprio contributo di conoscenza alla giusta divulgazione di una storia ancora sconosciuta ai più.
Nasce in Dalmazia la storia
di due sorelle mai incontratesi
da “Il Piccolo”,
lunedì 4 agosto 2008
Scoprire a 60 anni di avere una
sorella. Di storie così ce ne sono molte ma questa è avvolta dal mistero. Era
già scoppiata la Seconda guerra mondiale quando il milanese Pierleopoldo
Ciancolini, commissario governativo
per la Dalmazia, raggiunse per lavoro
la Jugoslavia. Doveva essere un viaggio come tanti. Nel capoluogo lombardo l’uomo lascia la moglie
Mariuccia con tre figli, tra il quali l’adolescente Giovanna. In Dalmazia, però,
il prefetto ha un incontro inaspettato.
Un colpo di fulmine. Si innamora di
una maestra e da questa passione nasce Marina, oggi residente a Trieste.
L’uomo non ha tempo di veder crescere la piccola perché con l’arrivo
dell’esercito di Tito è costretto a fuggire e ritornare in Italia. Arrivato a Milano, non ha il coraggio di raccontare
alla moglie quanto è accaduto durante il soggiorno in Dalmazia e così vive
fino alla morte con questo segreto nel
cuore. Solamente a una persona apre
il suo cuore e confida la verità: la sorella Valeria.
Oggi Pierleopoldo Ciancolini non
c’è più. Non c’è più nemmeno Valeria ma quest’ultima prima di morire
ha voluto svelare il segreto alla figlia
del fratello, Giovanna. Ha spezzato la
consegna del silenzio. Siamo negli
anni ’80. Giovanna ha circa 60 anni.
La rivelazione sulla relazione avuta dal
padre rappresenta un vero e proprio
fulmine a ciel sereno. Uno choc che
però con il tempo ha rafforzato in lei
la consapevolezza di voler conoscere
l’altra figlia di suo padre. Trova anche
alcune fotografie, che Giovanna custodisce oggi gelosamente, e che testimoniano come il padre Pierleopoldo
non abbia mai smesso di restare in
contatto con la figlia Marina. Sono un
paio di decine gli scatti segreti che l’ex
commissario di governo in Dalmazia
ha tenuto con sé fino alla morte. Il suo
segreto. Grazie a queste poche immagini Giovanna, oggi 79enne e suo figlio Pierfrancesco, sono riusciti a ricostruire tratti di una storia confusa. «Alcune di queste foto – spiega
Pierfrancesco – portano sul retro anche delle dediche scritte da Marina a
mio nonno. Inoltre in molti sono ritratti assieme, sia a Trieste che a Milano. Questo significa che mio nonno
più volte in quegli anni ha incontrato
la figlia sia in Lombardia che nel Friuli
Venezia Giulia. Una foto scattata a Trieste risale al 1955. Un’altra ritrae Marina nel giorno della sua prima comunione, sempre a Trieste. Mia madre
non sapeva nulla. Solo mia zia è stata
vicina a nonno in questa vicenda,
come dimostrano anche le foto». Restano però aloni di mistero. Valeria ha
raccontato solo frammenti, ha dato
delle indicazioni preziose, come il fatto
che oggi Marina vive ancora a Trieste
ma perché a un certo punto gli incontri si sono interrotti? Perché le foto di
Marina arrivano solo fino al suo 18mo
anno di età?
«Abbiamo tentato di rintracciare
Marina per anni – continua
Pierfrancesco – ma non è stato facile.
Per questo speriamo che con un articolo sul “Piccolo” sia lei a riconoscersi in questa storia e a telefonarci. Potrebbe essere l’unica possibilità perché
possa esserci questo incontro». «Mia
madre – racconta ancora il figlio della
signora lombarda – vive ancora con il
desiderio di conoscere la sorella che
ha lo stesso sangue di suo padre. Osservando le foto di quando avevano
vent’anni le due sorellastre si assomigliano come due gocce d’acqua. Non
Zara, sede della Comunità degli Italiani, Fabio Rocchi, Segretario nazionale
ANVGD, con la signora Rina Villani, attivissima presidente della Comunità
PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI (D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196)
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Il modello di consenso sarà spedito a tutti gli abbonati per posta ordinaria o come supplemento a “Difesa Adriatica”.
dev’essere difficile per Marina riconoscere nell’immagine di quella ragazza che sorride accanto a un albero la
sorella di cui non ha mai saputo l’esistenza. Adesso non importa più quello che è successo nel passato, non
importa chi ha voluto mantenere così
a lungo quel segreto, ora speriamo
solamente di poterla conoscere e abbracciarla. Finalmente».
Gorizia chiederà a Frattini
l’apertura degli archivi jugoslavi
martedì 5 agosto 2008
Il sindaco di Gorizia Ettore Romoli
chiederà in settembre al ministro degli Esteri Franco Frattini un nuovo interessamento ufficiale nei confronti
dell’apertura degli archivi dell’ex Jugoslavia, che dovrebbero contenere
indicazioni precise sulle sorti dei
goriziani deportati durante l’occupazione del capoluogo isontino da parte
delle milizie titine nel maggio del
1945. A sottolinearlo è stato ieri lo stesso primo cittadino che già nel recente
passato aveva posto in primo piano la
questione. Ora c’è la concreta possibilità che il ministro degli Esteri possa
farsi carico di una richiesta che ormai
da decenni viene ribadita dai familiari
dei deportati, quella di un impegno
serio a livello ministeriale finalizzato
a reperire notizie certe sulla sorte dei
goriziani che non fecero più ritorno a
casa. In settembre Frattini dovrebbe
essere di nuovo a Gorizia ed in questa
occasione verrà probabilmente richiesto un esplicito interessamento della
Farnesina per effettuare un nuovo tentativo teso a far aprire gli archivi dell’ex Jugoslavia. Sono passati quasi due
anni e mezzo dal marzo del 2006,
quando per la prima volta venne messo a disposizione dei familiari, attraverso il coinvolgimento della Prefettura, l’elenco con 1.048 nomi di cittadini deportati. Quell’elenco era stato trasmesso dal ministro degli Esteri sloveno
Rupel al sindaco Vittorio Brancati nel
dicembre 2005 tramite il sindaco di
Nova Gorizia Brulc. In quel periodo
Rupel, in una visita a Gorizia, aveva
espresso piena disponibilità ad aprire
gli archivi di Lubiana agli italiani. A
tutt’oggi, però, dagli archivi dell’ex Jugoslavia non sono ancora emersi gli
elenchi che potrebbero fornire indicazioni concrete sulla sorte effettiva dei
goriziani deportati durante l’occupazione titina.
Noi indaghiamo, gli slavi no
venerdì 8 agosto 2008
In un articolo a firma di Dino Messina apparso sul “Corriere della Sera”
del 7 agosto, vengono rievocati i crimini italiani nei territori occupati durante il secondo conflitto mondiale. Vi
proponiamo uno stralcio, relativo ad
un procedimento avviato alla fine degli anni ’40 che intendeva mettere a
giudizio i militari italiani che si erano
resi responsabili di crimini che andavano oltre le “normali” attività belliche.
«Il procedimento si concluse il 30
luglio 1951 con una sentenza del giudice istruttore militare. Questi stabilì
che non si doveva procedere nei confronti di tutti gli imputati, perché non
esistevano le condizioni per rispettare
il principio di reciprocità fissato dall’articolo 165 del Codice penale militare di guerra. Secondo tale norma, un
militare che aveva commesso reati in
territori occupati poteva essere processato a patto che si garantisse un eguale
trattamento verso i responsabili di reati commessi in quella nazione ai danni di italiani. Vale a dire, per esempio:
noi processiamo i nostri militari colpevoli, voi jugoslavi condannate i re-
Ottobre 2008
19
DIFESA ADRIATICA
www.anvgd.it
sponsabili delle uccisioni nelle foibe.
L’articolo 165», continua Intelisano, «è
stato riformato, con l’abolizione della
clausola di reciprocità, nel 2002».
«Così quando, grazie a libri come Si
ammazza troppo poco di Gianni Oliva e Italiani senza onore di Costantino
Di Sante, o a trasmissioni televisive e
articoli che denunciavano la strage di
150 civili uccisi per rappresaglia da
militari italiani il 16 febbraio 1943 a
Domenikon, in Tessaglia, si è imposto
all’attenzione il problema del comportamento delle nostre truppe, ho deciso di aprire un’inchiesta. Per il momento “contro ignoti” perché noi magistrati,
a differenza degli storici, non possiamo processare i morti».
Quindi dal 2002 in Italia è possibile mettere sotto processo i militari
anche se dall’altra parte ciò non viene
fatto. Di una cosa possiamo star certi:
se dobbiamo aspettare che nella ex
Jugoslavia qualcuno indaghi sui crimini contro gli italiani, allora dovremo
aspettare parecchio e probabilmente
inutilmente. Potete infatti facilmente
immaginare quali interessi siano in
gioco. La moralità è una questione di
cultura: la cultura della democrazia
non è di tutti.
In 400 al Raduno dei giuliano-dalmati
residenti in Australia
venerdì 8 agosto 2008
Oltre 400 persone provenienti dalle principali città australiane si sono
date appuntamento al Fraternity Club
di Wollongong per partecipare al raduno dei giuliano-dalmati residenti in
Australia. L’evento è stato organizzato
dalla Federazione dei Circoli Giuliano-Dalmati d’Australia in collaborazione con l’Associazione Giuliani nel
Mondo di Trieste. Nel corso della manifestazione è stata inaugurata una
mostra documentaria e fotografica sull’emigrazione giuliana in Australia iniziata oltre 50 anni fa. Al raduno era
presente anche il presidente dell’Associazione Giuliani nel Mondo, Dario
Locchi.
I cognomi originali
delle nostre famiglie
lunedì 11 agosto 2008
Come saprete, tra le due guerre
molti cognomi delle famiglie italiane
dei territori poi ceduti, furono
italianizzati con appositi decreti
prefettizi. La Sede nazionale ANVGD è
in possesso di molti dei decreti
prefettizi delle singole famiglie, con il
testo completo e l’indicazione anche
di numero e data della Gazzetta Ufficiale. Questi documenti sono gratuitamente a disposizione di chiunque ne
faccia richiesta, essendo documentazione pubblica (fax/tel. 06.58 16 852,
mail [email protected]).
Ecco le 160 famiglie interessate,
che vengono riportate in ordine
alfabetico del cognome originario, insieme alla località di provenienza e,
tra parentesi, il cognome dopo la modifica.
Alessich (Alessi) di Lussinpicolo,
Andrejasic (Andreassi) di Erpelle
Cosina, Andricich (Andricci) di
Neresine, Anelich (Anelli) di Neresine.
Baicich (Baici) di Neresine,
Bancovich (Banco) di Grisignana,
Bartolich (Bartoli) di Montona,
Belletich (Belletti) di Montona, Bencich
(Benci) di Gimino, Berichievich
(Bericchio) di Neresine, Bolcich (Bolci)
di Capodistria, Bonich (Boni) di
Neresine, Bosich (Bossi) di Grisignana
e Capodistria, Braicovich (Braico) di
Pisino, Brainich (Braini) di Capodistria,
Uno scorcio del mare di Wollongong (Australia),
dove si è svolto il Raduno dei giuliano-dalmati colà residenti
A Southold (New York) il 31 maggio 2008 è mancato all’affetto dei Suoi cari
Braiuka (Braiucca) di Pisino, Bravarich
(Bravari) di Ossero, Budich (Budi) di
Pola, Buich (Bucci) di Neresine,
Bulessich (Bulessi) di Pola, Bursich
(Borsi) di Sanvincenti, Butcovich
(Bucconi) di Dignano.
Camalich (Camali) di Neresine,
Canaletich (Canaletti) di Neresine,
Carcich (Carci) di Neresine, Carlich
(Carli) di Neresine, Casalaz (Casali) di
Novacco, Cattarinich (Cattarini) di
Lussinpiccolo, Cecchich (Cecchi) di
Canfanaro, Cernaz (Cerna) di Buie,
Cerquenich (Cerqueni) di Maresego,
Cessarich (Cesari) di Ossero, Chert
(Cherti) di Grisignana, Cinich (Cini) di
Buie, Circovich (Circoni) di Pola,
Climan (Clima) di Sanvincenti, Cmet
(Metti) di Gimino, Cnesich (Nesi) di
Neresine, Cociancich (Cociani) di
Capodistria, Contich (Conti) di
Novacco, Coslovich (Coslovi) di Buie,
Cossich (Cossi) di Neresine, Crastich
(Crasti) di Castelvenere, Cremenich
(Cremeni) di Neresine, Crismanich
(Crismani) di Canfanaro, Cucich
(Cucci) di Neresine, Cuttich (Cutti) di
Dignano.
Duianich (Doiani) di Novacco,
Faldich (Faldi) di Cherso, Faresich
(Faressi) di Neresine, Fornasar
(Fornasari) di Rovigno, Francin
(Francini) di Neresine, Garbaz
(Garbassi) di Neresine, Gasich (Gassi)
di Villanova, Gelicich (Gelli) di
Castelvenere, Gercovich (Gerconi) di
Neresine, German (Germani) di
Neresine, Gerolimich (Gerolimi) di
Lussinpiccolo, Gherm (Gerni) di Pola,
Ghersinich (Ghersini) di Piemonte
d’Istria, Grubesich (Rubessi) di
Neresine.
Jurcovich (Giurco) di Pola,
Jurinovich (Giurini) di Sansego,
Note dolorose...
Mario Zori
Era nato a Neresine il 21 novembre 1922. Nel momento più
doloroso, Lo ricordano con immutato affetto la moglie Maria, i
figli Sergio e Margareth, i fratelli Marino e Antonietta, il cognato
Silvano Nalon e tutti i nipoti. La famiglia offre 100 euro all’ANVGD
in memoria del loro congiunto, affezionato lettore di “Difesa Adriatica”.
• • •
Non piangete la mia assenza, sentitemi vicino e parlatemi
ancora.
Io vi amerò dal cielo come vi ho amati sulla terra.
S. Agostino
Il 28 luglio 2008, a Roma, si è spenta serenamente, dopo aver
affrontato con dignità e coraggio il calvario della sua malattia,
Benita Gropuzzo
nata a Fiume il 21 marzo 1934. Esule a soli 14 anni, nel 1948,
dalla città natale, orgogliosa della sua italianità, visse sino all’ultimo con nostalgia di quegli anni ed il rimpianto di quei luoghi.
Con profondo dolore annunciano la Sua scomparsa, affidandone il ricordo alla preghiera di chi Le ha voluto bene, le sorelle
Maria e Alida ed il fratello Claudio.
• • •
Il 6 agosto è serenamente mancata alla rispettabile età di 105
anni
Maria Micich ved. Vatta
mamma del Presidente della Consulta Regionale ANVGD del
Piemonte, Antonio Vatta.
Negli ultimi 50 anni della Sua vita è stata un punto di riferimento per molti Esuli a Torino che quotidianamente passavano
sotto le Sue finestre. Ha vissuto una vita di esilio dalla Sua Zara,
fiera custode della propria famiglia e della Sua identità.
Da oggi non ci sarà più la Sua figura e il consueto saluto dalla
sua finestra. Tutto il Comitato ANVGD di Torino si stringe attorno a
Tonci, Sergio ed ai familiari tutti in questo triste giorno.
La Presidenza nazionale dell’Associazione, certa di interpretare i sentimenti più profondi dell’intera comunità giuliano-dalmata
nazionale, è vicina ad Antonio Vatta che con tanto amore e dedi-
zione ha seguito fino all’ultimo il lungo percorso terreno della Sua
adorata mamma.
• • •
Il 12 agosto, a Venezia, lontana dalla sua Spalato, è mancata
all’effetto dei Suoi cari
Katja Brajevic Donati
Di carattere dolce, era la moglie del nostro vulcanico Ulisse.
Un matrimonio felice allietato dalla nascita di due bravi figlioli
durato ben 56 anni. Di famiglia dalmata, era nata a Spalato il 24
giugno 1922. Terminati gli studi insegnò a lungo e con impegno
lingue e letterature straniere in un liceo spalatino. Ulisse La conobbe a Spalato nel 1941 quando prestava servizio militare come
Ufficiale di Artiglieria, e fu subito amore. Un amore che per concludersi felicemente nel sacro vincolo del matrimonio dovette
superare le mille peripezie e gli impedimenti burocratici che nel
primo dopoguerra caratterizzavano i rapporti tra le due sponde
dell’Adriatico. Ulisse esule in Italia e Katja a Spalato, impedita a
raggiungerlo. Il matrimonio si celebrò felicemente solo nel 1952.
Una favola a lieto fine, un’unione serena negli affetti di una famiglia sempre unita. Rendiamo omaggio al paziente amore di Katja
nel temperare la forte ed esuberante personalità di Ulisse, protagonista di importanti iniziative a favore della comunità dalmata.
Prima fra tutte quel commovente pellegrinaggio della memoria
dei dalmati al cimitero di Zara nel giorno dei Defunti che si ripete
ormai da più di vent’anni. Testimonianza del radicato culto delle
memorie tra le genti di Dalmazia. Ad Ulisse ed ai figli Michele e
Umberto le più sentite condoglianze.
(g.v.)
• • •
È mancato a Trieste, il 20 agosto scorso, a seguito di un incidente stradale
Tino Sangiglio
presidente dell’Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione, docente all’Ateneo di Trieste e noto studioso di poesia
neoellenica. Uomo di raffinata cultura, assieme alla moglie
Mariuccia Coretti, pubblicava dal 1988 la rivista «Il banco di lettura».
Lazzarich (Lazzari, Lazzarini) di
Neresine, Lechich (Lechi) di Neresine,
Lenzovich (Lenzoni) di Pola, Lettich
(Lettis) di Lussingrande, Linardich
(Lenardi) di S. Giacomo, Lissiach
(Lissia) di Castelvenere, Lovrinovich
(Laurino) di Gimino, Lucacich (Lucani)
di Castelvenere, Lupich (Lupis) di
Neresine.
Macor (Di Marco) di Cittanova
d’Istria, Madrussan (Madrussani) di
Sanvincenti e Gimino, Majcan
(Maisani) di Pola, Marchesich (Marchesi) di Portole, Marcovich (Marchi) di
Pola, Marich (Mari) di Canfanaro,
Marinzulich (Marinzoli, Marini) di
Neresine, Maroevich (Marevi) di S.
Giacomo, Marus (Marussi) di
Dignano, Marussich (Marussi) di
Puntacroce, Matcovich (Matteoni,
Marchi) di Neresine, Mattiassich
(Mattiassi) di Neresine, Mattica
(Matticchio) di Canfanaro e Gimino,
Mauricich (Mauri) di Rovigno,
Maurovich (Mauro) di Gimino,
Mavrovich (Maurini) di Neresine,
Mazzan (Mazzani) di Sanvincenti,
Merclin (Merchini) di Gimino, Milicich
(Milini) di Pola, Milos (Millo) di Buie,
Milotich (Milotti) di Rovigno, Milussich
(Migliussi) di Puntacroce, Mircovich
(Merconi, Marconi) di Neresine e Pola,
Mohoraz (Ermacora) di Pola, Momich
(Morelli) di Pisino, Muzenic (Moseni)
di Villa Decani.
Olovich (Olovini) di Neresine,
Pamich (Pami) di Gimino, Percovich
(Buranello) di Pola, Petrovich (Petroni)
di Rovigno, Picinich (Piccini) di
Lussinpiccolo, Pinezich (Pinesi) di
Neresine, Podgorsek (Premonte) di
Pola, Poropat (Poretti) di Rovigno,
Prelaz (Prelazzi) di Buie, Pucich (Pucci)
di Gimino, Puzzer (Pozzi) di
IN MEMORIA
DI TOMASO DE VERGOTTINI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo significativo ricordo dell’ambasciatore de Vergottini, scomparso recentemente, nobile figura di istriano e di diplomatico.
Ambasciatore d’Italia a Montevideo, nato a Parenzo nel 1933,
de Vergottini è morto in Uruguay il 26 maggio 2008.
L’avevo conosciuto a Santiago del Cile nel 1977: era molto
giovane per le grandi responsabilità che aveva dovuto assumersi,
facendo le veci dell’ambasciatore che si era “diplomaticamente”
allontanato da Santiago, per non essere ufficialmente responsabile di quanto avveniva nella sua sede.
De Vergottini sapeva che ero una scrittrice e mi fece visitare
l’Ambasciata.
«Nei momenti critici della presa del potere di Pinochet», mi
disse, «abbiamo dato asilo in questi locali fino a 700 persone
perseguitate dal nuovo regime. Comunisti e socialisti, ma anche
intellettuali sospettati di esserlo. Abbiamo vissuto mesi tremendi,
ma li abbiamo salvati.
Adesso è rimasta solo una coppia con una bambina di sette
anni, e sono preoccupato per la bambina, chiusa da anni in una
stanza.
E non può uscire perché su questi ultimi “rifugiati” Pinochet
non intende transigere. Venga a conoscerli, sarà per loro un giorno diverso dagli altri».
La bambina guardava il muro, totalmente assente. I genitori
mi salutarono senza speranza, de Vergottini tirò una tendina della
finestra e guardai giù.
Nella strada c’era un soldato con il fucile in spalla, che guardò
in su.
«Sono comunisti?» gli domandai congedandomi.
Lui mi guardò serenamente.
«Ci hanno chiesto aiuto» disse.
Quel che non ho ancora detto è che sapevo che suo padre era
stato gettato in una foiba, ucciso dai comunisti.
È morto con de Vergottini un nobile rappresentante della cultura adriatica, un personaggio incomprensibile a certa sinistra
impegnata a giustificare le Foibe. Ricordiamolo insieme a Palatucci
e ai nostri martiri infoibati.
Maria Silvia Codecasa
20
DIFESA ADRIATICA
Ottobre 2008
www.anvgd.it
Grisignana, Radovan (Radovani) di
Visignano, Rogovich (Rocco) di
Neresine, Roinich (Roini) di Gimino,
Rosicich (Rossi) di Neresine,
Rucconich (Rocconi, Rucconi,
Rucconigi) di Neresine, Rudan
(Rodani) di Gimino e Sanvincenti,
Russian (Conte) di Lussingrande, Rutter
(Rotteri) di Rovigno.
Sattalich (Sattali) di S. Giacomo e
Neresine, Scopinich (Scoppini) di
Lussinpiccolo, Sepich (Ceppi) di
Capodistria, Sgrablich (Grabelli) di
Rovigno, Sigovich (Sigovini, Sigoni) di
Neresine, Simunovich (Simeoni) di
Sanvincenti, Sindicich (Sindici) di
Neresine, Sironich (Sironi) di Pola,
Slocovich (Locchi) di Dignano,
Soccolich (Soccoli, Soccolini, Rocchi)
di Neresine, Soldatich (Soldati) di
Orsera, Sossich (Sossi) di Rovigno,
Stanich (Stagni) di Neresine e Pola,
Sugar (Sugari) di Gimino, Sucich
(Succi) di Neresine.
Tancovich (Tanconi) di Gimino,
Tomasich (Tomasi) di Pola, Tomsig
(Tommasi) di Gorizia, Ursich (Orsi) di
Rovigno, Vattovaz (Vattovani, Burlini)
di Buie e Capodistria, Verch (Verco) di
Gimino, Vescovich (Vescovi) di
Neresine, Vidovich (Vidoni) di
Neresine, Vinovich (Vinoni) di Buie,
Viscovich (Vescovi) di Pola, Vitcovich
(Vitoni, Vittori) di Neresine,Vodinelich
(Vodinelli) di Lisignano, Vodopich
(Vodinelli) di Neresine.
Xicovich (Montonesi) di Pola,
Zatcovich (Zacconi) di Sissano,
Zernich (Cerni) di Novacco, Zimich
(Zino) di Lussinpiccolo, Zivolich
(Zivoli) di Gimino, Zohil (Zocchi) di
Gimino, Zorich (Zori) di S. Giacomo,
Zorovich (Menesini, Zorini, Zoroni) di
Neresine, Zuccherich (Zuccheri) di
Dignano e Sanvincenti, Zuchich
(Zucchi) di Neresine, Zuclich (Zucchi,
Zuccoli, Zulli, Zulini) di Neresine,
Zuprich (Soprini) di Gimino, Zustovich
(Zusto) di Pola, Zvitich (Viti) di Gimino.
Mario Andretti a Trieste
per il 55° della Famiglia Montonese
mercoledì 13 agosto 2008
L’indimenticato pilota campione di
Formula Uno Mario Andretti sarà a
Trieste in ottobre in occasione dei
festeggiamenti per il 55° anniversario
della fondazione della Famiglia
Montonese (aderente all’Unione degli Istriani): lo annuncia il numero 89
di “4 ciacole sotto la losa”, periodico
del sodalizio. Mario Andretti,
montonese doc, è dal 2007 è Sindaco del Libero Comune di Montona in
Esilio. Residente negli Stati Uniti da
tempo, non ha mai abbandonato l’affetto per il suo luogo natale. La Famiglia Montonese avrà così un ospite
d’eccezione, che tra l’altro incontrerà
ufficialmente il sindaco di Trieste
Dipiazza. Questa importante iniziativa della Famiglia Montonese si aggiunge a numerose altre in corso e alla rinnovata grafica del notiziario periodico. Una vitalità non comune che si
aggiunge alla costante collaborazione
con altre anime dell’Esodo, sintomo
che la strada giusta del dialogo e della
mutua collaborazione sono le vere basi
per un univoco cammino del popolo
dell’Esodo, lontano dalla propaganda
e dalle parole urlate, vicino alle reali
esigenze degli Esuli e alle loro aspirazioni.
Un altro pezzo d’Istria
alle Olimpiadi di Pechino
mercoledì 13 agosto 2008
Non c’è solo l’azzurra Granbassi
a rappresentare l’Istria italiana a Pechino. Aggiungiamo nel nostro albo d’oro
anche David Corrente, della naziona-
le canadese di baseball. L’istriana nonna Norma aderisce alla Lega Istriana
degli Esuli residenti in Canada. Dei 331
atleti della complessiva compagine
canadese a Pechino, 9 sono di origine
italiana. La notizia ci arriva dal mensile “El Campanil”, voce degli Esuli
giuliano-dalmati di Chatam nell’Ontario.
Cittadinanza italiana:
CDM (Trieste) punto di riferimento
mercoledì 13 agosto 2008
Acquisizione della cittadinanza italiana e diritti pensionistici sono i due
campi sui quali UIM (Unione Italiani
nel Mondo) e ITALUIL si sono attivati da
tempo con la creazione di patronati
nel mondo per dare sostegno ed aiuto
concreto nella soluzione di problematiche spesso complicate dagli eventi
della storia del Novecento. La loro attività si svolge su due direttrici: rapporto
con i diretti interessati per tramite dei
patronati in loco, dialogo continuo con
il Governo per interventi sul piano legislativo a favore degli italiani nel mondo. Parte degli esuli giuliano-dalmati
emigrati nelle Americhe, Australia e
Sudafrica ancora oggi devono affrontare lungaggini burocratiche per vedere
riconosciuti i propri diritti di cittadini
italiani provenienti da un territorio che
è stato tolto all’Italia dopo la seconda
guerra mondiale. Se ne è parlato recentemente durante un incontro svoltosi al CDM di Trieste (Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana e
Dalmata) con i massimi esponenti
della UIM e ITALUIL di Trieste e regione,
Luigi Weber e Luigi Rosa Teio. E’ stato
stabilito di offrire aiuto e supporto, al
fine di risolvere questioni ancora aperte
che la nuova legge sulla cittadinanza
permette di rivedere e completare. A
distanza di tanti anni, molti connazionali hanno difficoltà a reperire un certificato di status di profugo, oppure a
dimostrare il loro diritto di appartenenza al territorio adriatico prima del 1947
per poter acquisire il diritto di cittadinanza per sé e per i propri figli. Sono
solo alcuni degli aspetti che si stanno
affrontando insieme attivando le strutture esistenti ma anche coinvolgendo
gli uffici competenti in Italia e all’estero e attingendo dall’esperienza già acquisita della UIM ma anche delle strutture locali legate alla Federazione degli Esuli e all’ANVGD, che sono pronte
ad attivarsi per fornire notizie e suggerimenti nei campi specifici. A tale scopo s’invitano i giuliano-dalmati residenti all’estero e senza cittadinanza
italiana, a scrivere al CDM (Via Fabio
Filzi, 6 - Trieste 34132), o via mail a
[email protected], per segnalare il proprio caso che verrà sottoposto a UIM e ITALUIL per vagliare le possibilità di una soluzione. In tale senso
queste strutture sindacali attiveranno
anche i propri rappresentanti eletti in
Parlamento sia in Italia che all’estero.
Su tutto l’operato verrà informata puntualmente l’Associazione Giuliani nel
Mondo. Primo risultato ottenuto è la
risposta della Prefettura di Trieste che
ha fatto pervenire un modulo agli interessati per richiedere un certificato
dello status di profugo.
Torino festeggia i 100 anni
di Maria Relia
sabato 16 agosto 2008
La casa di riposo Carlo Alberto di
Torino ha festeggiato un compleanno
molto speciale. La signora Maria Relia
ha infatti raggiunto cento primavere.
Nata a Pola nel 1908, abbandona la
penisola dopo la sua annessione alla
ex Jugoslavia e nel dopoguerra giunge
come profuga all’ombra della Mole.
A Torino lavora per anni come operatrice in una mensa gestita dalle suore.
Chi la conosce bene, come le sue vicine di casa, la descrive come una
donna molto orgogliosa e tenace, dotata di una grande forza interiore e con
una salute di ferro. Fino all’età di 95
anni infatti non ha mai avuto malattie
gravi o assunto farmaci e solo da un
anno è ospite della casa di riposo. E
ieri pomeriggio in molti hanno voluto
essere presenti per festeggiare insieme
alla signora Maria questo importante
ed invidiabile traguardo. Amici, personale, operatori della cooperativa
Quadrifoglio e degenti della casa, e
soprattutto la nipote Ines si sono radunati nel piccolo giardino per omaggiare l’ospite più longeva con mazzi di
fiori, tra i quali quello del Comune di
Torino. Maria ha ringraziato tutti e si è
concessa orgogliosamente agli obiettivi dei fotografi. La banda musicale
del GTT, intervenuta per l’occasione,
ha allietato l’atmosfera eseguendo per
la festeggiata alcune melodie della tradizione italiana.
A Caorle una via
ai Martiri delle Foibe
venerdì 22 agosto 2008
La giunta comunale di Caorle,
con propria delibera, ha deciso di
attribuire alla nuova area di
lottizzazione “Silvia” in località Ottava Presa, la denominazione di Via
Martiri delle Foibe.
La decisione è stata presa a seguito di un’istanza presentata dal
presidente del consorzio urbanistico “Silvia”, il quale proponeva che
una strada di quel nuovo quartiere,
in fase di realizzazione, venisse intitolata a Norma Cossetto, una giovane studentessa universitaria di soli
23 anni che, dopo essere stata brutalmente violentata da alcuni partigiani titini, venne gettata ancora viva
nella foiba di Villa Surani nella notte tra il 4 e il 5 ottobre del 1943.
La nuova via è situata tra via Civetta e Strada Ottava Presa; la denominazione diverrà valida solamente dopo
l’autorizzazione della Prefettura e sentito il parere della Deputazione di Storia Patria per il Veneto.
Incontro Rocchi-Villani a Zara
mercoledì 27 agosto 2008
Si è tenuto oggi a Zara nella sede
della Comunità degli Italiani, un incontro tra il segretario nazionale ANVGD
Fabio Rocchi e la presidente della
Comunità Rina Villani. La presidente
Villani ha illustrato l’operatività della
sede, concepita architettonicamente
per sfruttare tutti gli spazi ed offrire un
punto d’incontro invidiabile per gli italiani nel centro storico cittadino. Nel
corso dell’incontro è emersa pressante la necessità dell’apertura di un consolato italiano a Zara, anche perché in
realtà, soprattutto nel periodo estivo,
la sede della Comunità già svolge alcune attività in favore degli italiani in
transito turistico. Il segretario Rocchi
ha poi potuto apprezzare le moltissime iniziative che la Comunità degli
Italiani di Zara ha costantemente in
cantiere, grazie anche ad una proficua collaborazione con le istituzioni
locali, frutto di una minuziosa opera
di sviluppo culturale in terra oggi croata
basato sul reciproco rispetto dei ruoli
e delle idee.
A 90 anni dalla fine della Grande Guerra
Le celebrazioni a Trieste
Attesi circa 20mila militari fra
morativi e successiva sfilata per le
vie di Trieste.
paracadutisti, bersaglieri, alpini e
Sedi delle manifestazioni e delartiglieri per la solenne celebraziole iniziative saranno il Salone degli
ne a Trieste, nei giorni 2 e il 3 noIncanti (ex Pescheria), il Civico
vembre prossimi, del 90.mo anniMuseo del Risorgimento, Palazzo
versario della fine della Prima guerGopcevich e in altri siti.
ra mondiale, celebrazione voluta
È previsto un convegno interdalla Giunta comunale in collabonazionale inteso a porre in luce gli
razione con ASSOARMA.
«Ci aspettiamo un arrivo masavvenimenti, i fermenti culturali, le
siccio di turisti e soci dell’ASSOARMA,
tendenze artistiche che si sono sviluppate durante il Risorgimento tra
migliaia di persone che affolleranno le strade di Trieste per parteci- Un momento di pausa per i soldati, il 1848 e il 1918, con particolare
attenzione alla peculiarità di Triepare al secondo grande raduno
al riparo di una trincea
ste, città soggetta all’Impero
nazionale delle associazioni d’arma», ha confidato alla stampa l’assessore ai Lavori pub- absburgico. Una mostra parallela esporrà opere d’arte,
blici e al coordinamento dei grandi eventi, Franco documenti, fotografie, stampe, manifesti e testimonianze
che illustreranno l’ambiente nel quale si andò sviluppanBandelli.
Il programma prevede, il 2 novembre, una Messa do l’irredentismo triestino, i suoi esponenti e i rapporti
solenne e gli omaggi alla Risiera di San Sabba e alla Foiba che questi ebbero con l’Italia, cui si sentivano indissoludi Basovizza; nel pomeriggio concerti pubblici e, in sera- bilmente legati per vocazione e destino.
Le celebrazioni saranno precedute il 26 ottobre con
ta, un concerto al Teatro Verdi.
Grande attesa per la simulazione del 3 novembre di una seduta straordinaria del Consiglio comunale durante
uno sbarco di bersaglieri, seguito dallo schieramento dei la quale sarà conferita la cittadinanza onoraria alle inferreparti militari in Piazza dell’Unità, interventi comme- miere volontarie della CRI.
La Redenzione del novembre 1918
fu celebrata in tutta l’Istria.
Una cartolina commemorativa
raffigurante Capodistria nel dì della
redenzione 4.XI.1918.
Illustratore A. Zazzo,
Editore B. Lonzar, Capodistria 1919
Sulle Rive,
il 10 novembre 1918,
la folla in attesa
del Re d’Italia
(foto www.leganazionale.it)