Il movimento per la decrescita - Suore Domenicane di Santa

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Il movimento per la decrescita - Suore Domenicane di Santa
APPROFONDIMENTI
Il movimento
per la decrescita
Questo articolo forma parte del “numero collettivo di riviste latinoamericane di
teologia” messo a disposizione pubblica, per iniziativa e organizzazione della
Commissione Teologica di de EATWOT (ASETT/EATWOT). I materiali sono stati
pubblicati in carta da 14 riviste aderenti all’iniziativa. Nel nostro caso vuole essere un gesto simbolico di diffusione e appoggio alla causa dell’urgenza ecologica
planetaria.
Joan Surroca I Sens
(testo originale in spagnolo)
N
oi esseri umani viviamo
pieni di incertezze e a
volte siamo diffidenti, abbiamo
dubbi fondati sul futuro che lasceremo alle altre generazioni.
Ma, per poco cha analizziamo la
realtà, osserviamo la quantità ingente di creatività positiva che
siamo capaci di generare. Questa forza è qualcosa di fantastico
e sorprendente. L’entusiasmo,
che tanti uomini e donne di
buona volontà dedicano per
rompere le catene che ci privano della libertà, è ciò che ci permette di essere noi stessi. Sempre ci sono stati movimenti interessanti che hanno tentato di
por fine ad ogni tipo di schiavitù. Gli eroi del nostro tempo, in
maggioranza anonimi, sono
quelli che nuotano contro corrente, malgrado i pedaggi, i
contrattempi e le difficoltà che
comporta l’allontanarsi delle autostrade del pensiero unico.
Quando il mondo globalizzato
sembra scivolare verso il più as-
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soluto sopore, senza altro Nord
che i soldi, senza ideologie né
inquietudini sociali, ecco che irrompe un ventaglio di nuove realtà, piene di speranze e insospettate fino a poco tempo fa.
Qualcosa di inedito e irreversibile sta avvenendo in differenti
punti. Quei timori di vederci ri-
succhiati dalla forza della potenza egemonica si sono trasformati in possibilità reali di convivenza pacifica tra culture millenarie,
che non si sono lasciate raggirare dal canto delle sirene del falso benessere. L’attuale crisi
mondiale esercita un ruolo di
fuoco purificatore che ci facilita
“Oh Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8, 2).
Il Signore viene a visitarci e a portarci la sua pace
l’ascoltare, che affina il nostro
sguardo e che permette di rallentare il ritmo impazzito che si
vive in alcune parti del pianeta.
Che cosa è la decrescita?
Il movimento che difende la decrescita è uno dei più luminosi
che si sono posti in marcia ultimamente e che ha potuto, in
poco tempo, penetrare in diversi ambiti della società europea,
sebbene con incidenza disuguale a secondo dei paesi. L’asse
fondamentale della decrescita è
diminuire la produzione economica e così raggiungere una
nuova relazione di equilibrio tra
l’essere umano e la natura, favorire un migliore intendimento
tra gli esseri umani e una distribuzione equa dei frutti della Terra. Il tempo getterà luce sul futuro desiderato e che adesso intravediamo soltanto parzialmente.
Dall’antichità si sono alzate voci
sul bisogno di prendersi cura
della Terra e delle specie che la
popolano. È stato solamente a
partire della seconda metà del
secolo scorso, che in Occidente
è suonato l’allarme davanti alle
forme di vita ogni volta più predatrici. Al principio degli anni
’70 diventò popolare il rapporto
richiesto dal Club di Roma, a
vari specialisti, i quali denunciarono la estrema gravità in cui si
trovava l’ecosistema: “In un
mondo finito non si può crescere in forma infinita”. Ma il sistema capitalista aveva bisogno di
promuovere il consumismo per
assicurare la produzione indispensabile e cosi garantire benefici imprenditoriali sostanziosi. Negli anni ’80, con Margaret
Thatcher, primo ministro del Regno Unito, e Ronald Reagan,
“In principio Dio creò …” (Gen 1): riconoscerci parte della creazione ci permette di entrare in
sintonia con la terra in un equilibrio sempre da rinnovare
presidente degli Stati Uniti
d’America, il liberalismo economico estremo accelerò ancora
di più le forme di vita insostenibili. La gravità della situazione fu
contestata da economisti, ecologisti, sociologi, ecc., e da
gruppi di base. Nell’anno 2002, i
movimenti critici con il sistema
egemonico occidentale, eredi
delle tendenze favorevoli a ripensare i valori sociali, la produzione, il consumo, ecc., si riunirono a Parigi e poi a Lione, e si
costituirono in “obbiettori della
crescita”. I loro membri raccolgono e popolarizzano la decrescita, introdotta come concetto
da Nicholas Georgescu-Roegen
nella decade degli anni ’70. Attualmente, la decrescita è presente nei mezzi di comunicazione. Si pubblicano libri e riviste, il
tema è entrato nelle università e
si sono creati gruppi che ne curano la diffusione. “Decrescita”
è una parola con vocazione provocatrice e desiderio di generare dibattito. Gli avidi interessi di
quelli che hanno accumulato ricchezze scandalose hanno potu-
to esercitare veramente un dominio sul nostro pensiero, fino a
colonizzarlo con i suoi valori e
farci credere e muovere come
se non esistesse vita oltre il capitalismo. Ci ripetono, attraverso
la pubblicità, che l’unica felicità
possibile è accumulare soldi o
possedere beni materiali. La decrescita mette in dubbio queste
pretese di certezza e apporta
nuovi valori sociali per vivere
meglio con meno.
Le teorie della decrescita nascono osservando la realtà: l’impatto sugli ecosistemi dovuto al
consumo delle risorse e la produzione di residui da parte dell’umanità che superano del 30%
la capacità della Terra. Oppure,
ciò che è la stessa cosa: il pianeta ha un area produttiva di 13,6
miliardi di ettari, ciò che dà un
risultato di 2,1 ettari per abitante (impronta ecologica). Ma a
causa dello sperpero da parte
del 20% dei 6,8 miliardi di essere umani, abbiamo necessità di
17.500 ettari, cioè 2,7 per abitante. Il deficit aumenta per
quattro cause di base: per la in-
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saziabilità di quelli che adesso
sprecano; per la crescente domanda di quelli che pretendono
di entrare nel club dei ricchi; per
la diminuzione della bio-capacità della Terra, infatti stiamo ponendo rimedio al deficit attuale
spendendo parte del capitale,
questo significa che ogni anno
abbiamo meno capitale (meno
bio-capacità) e meno reddito.
Finalmente, in ultimo, per la crescita esponenziale della stessa
umanità: in una decade siamo
aumentati di 1.000 milioni. Questa cifra era il totale di abitanti
che popolava la terra al principio del secolo XIX.
È chiaro che queste cifre globali
non offrono tutta la verità. Le
differenze di comportamento
tra i paesi sono quasi incredibili.
Ci sono quelli che sono molto
lontani dall’arrivare a domandare 2,1 ettari per persona. Per
esempio: il Congo ha una impronta ecologica di 0,5 ettari;
Marocco di 1,1; Guatemala di
1,5 e Perù di 1,6. D’altra parte il
Brasile ha già superato la barriera e ora ha una impronta di 2,4
ettari. Gli USA stanno molto in
alto: 9,4 ettari. Se partiamo con
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ci sono persone che superano il
9,4 della media degli USA e che
in questo paese ci sono persone
che non arrivano a procurare
una impronta del 0,5, la media
del Congo. I rimedi obbligatori
di comportamento nel consumo
e nella produzione dovrebbero
colpire gli strati più dilapidatori
di qualsiasi paese.
l’idea che il pianeta è di tutti, gli
USA per esempio, dovrebbero
pagare al Congo una compensazione perché il suo deficit
ecologico è enorme e il Congo
è al limite della sopravvivenza.
Una differenza dell’ ordine di 119 tra i due paesi illustra perfettamente l’abisso tra i paesi debitori e quelli che dispongono di
credito ecologico. Il cambio climatico, la sparizione delle specie, la contaminazione dei mari,
ecc. non conoscono frontiere.
Tutti veniamo pregiudicati, particolarmente i più deboli, sebbene alcuni pochi sono teoricamente i beneficiari a breve tempo. Compromettere la vivibilità
della vita, il futuro umano e
quello di altri essere umani, costituisce una rapina
su grande scala. Davanti a tale quadro
di cifre si capisce facilmente che la parola “decrescita”
abbia un reale significato in quei paesi
che sorpassano i limiti di consumo che
offre il pianeta.
Spesso i contrasti
interni nazionali ricalcano gli stessi
abissi che abbiamo
visto tra i paesi. Sicuro che nel Congo
Ciò che unisce agli
“obbiettori della crescita”
Alcune persone si mostrano
particolarmente pessimiste davanti allo stato attuale del mondo e del suo futuro. Come credere che qualcuno, abituato a
un determinato ritmo di vita,
possa accontentarsi di altre forme che riducono di 4 o 5 volte la
sua capacità acquisitiva attuale?
Come evitare che la popolosa
Cina o l’India desiderino copiare
l’itinerario sviluppato dai paesi
occidentali? Nessuno dice che
sia facile, né che si raggiunga
l’esito dell’intento, ma non rimane altro rimedio che lavorare
nella buona direzione. Come chi
va in bicicletta non può rimanere fermo che pochi secondi senza perdere l’equilibrio, il capitalismo ha bisogno della pazza
corsa allo sperpero per sussistere. Abbiamo bisogno dell’immaginazione per inventare altri sistemi economici e organizzativi
che sfuggano al produttivismo
attuale. Allo stesso modo che a
suo tempo si superarono sistemi
che sembravano intoccabili
come la schiavitù, il feudalismo
e il mercantilismo, anche adesso
sapremo fare un passo nel buon
cammino.
La decrescita non è una ideologia chiusa, un progetto definito
o una mappa di itinerario segnato. In principio questa circostan-
La filosofia della decrescita promuove il trasporto pubblico, questo significa prescindere considerevolmente dai trasporti in veicoli privati e risparmiare sulla spesa energetica
za può apparire un inconveniente perché, essendo gregari, ci
piace avere un leader chiaro che
ci risparmi lo sforzo di partecipare, di proporre e di creare.
Ma, i sistemi storici che iniziano
praticando il culto alla personalità di determinati leaders provocano l’effetto sufflè: si sviluppano rapidamente, ma piuttosto prima che dopo svaniscono
e rimangono ridotti al niente.
Non c’è consolidamento possibile se non c’è una base partecipativa. Ciò che unisce alle diverse sensibilità degli “obbiettori
della crescita” è la volontà di
modificare l’attuale sistema fino
a rafforzare una alternativa al capitalismo. Per esempio, considerare l’importanza della produzione, giacché se non si cambia non si può ridurre il consumo con esito. Diminuire il lavoro
significa dividerlo per non consolidare la società duale verso la
quale sembra che siamo diretti.
Non è per niente attrattivo che
un 50% della popolazione attiva
stia lavorando in maniera stabile
e l’altro 50% stia nella disoccupazione oppure nei lavori precari tutta la vita. Lavorare meno
permette di distribuire e assicurare lavoro per tutti e tutte. Lavorare meno per vivere più intensamente i valori familiari,
creativi, ludici e spirituali, richiede una preparazione e un periodo di transizione senza asprezze.
Altra misura che prevede la filosofia della decrescita è quella di
promuovere il trasporto pubblico. Questa opzione significa
prescindere considerevolmente
dai trasporti in veicoli privati,
con il conseguente risparmio di
spesa energetica, mettere fine
all’incessante costruzione di
nuove vie di circolazione e contribuire a fermare il CO2. Ridurre il trasporto di mercanzie
allo strettamente necessario favorirà il ritorno al locale. Mettere il punto finale alle megacatene e alle multinazionali, finendo
con l’assurdità che il 13% dei
prodotti trasportati per via aerea sia relazionato con l’alimentazione. Sono misure possibili:
la difficoltà non è tecnica, ma
dovuta agli interessi che ci sono
in gioco. Abbiamo bisogno di
programmi politici che favoriscano le piccole produzioni
agrarie per avvicinare i prodotti
al consumatore. Cosi si garantisce la qualità, con prodotti freschi e più economici, perché si
prescinde dalla spesa di autostrade, aeroporti, immagazzinamento, reti diverse di comunicazione e dalle conseguenze energetiche e medio ambientali.
Sono spese che non si pagano
direttamente quando compriamo i prodotti lontani, ma che
suffraghiamo indirettamente
con le tasse. Ricadono su ogni
tipo di tasca, in forma indiscriminata, mentre i benefici si dividono tra i pochi titolari delle multinazionali agrarie e dei grandi
consigli di amministrazione. È
un vero eccesso che alcune multinazionali fatturino più che il
Prodotto Interno Lordo di paesi
interi. Che queste imprese siano
più potenti del governo già ci
indica il perché di alcune situazioni incomprensibili a cui siamo
arrivati.
(1a parte, continua)
Joan Surroca I Sens
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