Il cancro del fegato: diamoci un taglio!

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Il cancro del fegato: diamoci un taglio!
MEDICINA
a cura di G. Giannelli *, N. Napoli *, B. Zaccaro *, S. Antonaci *
Il cancro del fegato:
diamoci un taglio!
Epatite cronica da HCV ed epatocarcinoma:
una realtà che cambia
Epidemiologia
epatocarcinoma (HCC) con una incidenza di
oltre 500.000 nuovi casi l’anno si pone come
la quinta neoplasia per ordine di frequenza e
la terza più comune causa di morte correlata a neoplasia,
con un indice di probabilità tra diagnosi e morte quasi
uguale a 1.
L’HCC si distribuisce in maniera molto eterogenea
nelle diverse aree geografiche. A tale proposito si
possono distinguere: 1) aree a bassa incidenza (Stati
Uniti, Gran Bretagna, Australia, Paesi Scandinavi); 2)
aree a incidenza intermedia: (Europa centrale, Alaska);
3) aree ad elevata incidenza: (Spagna, Italia, NordAfrica); 4) aree ad altissima incidenza: (Africa SubSahariana e Sud-Est Asiatico). In particolare nel bacino
del Mediterraneo comprendente Italia, Spagna e Nord
Africa la frequenza è
superiore a 20 casi per
100.000 abitanti. Una così
diversa incidenza, trova
verosimilmente la sua
intrinseca spiegazione in
una diversa esposizione ai
fattori di rischio più
conosciuti (Figura 1).
Consistentemente con
quanto osservato a
proposito dell’incidenza, i
fattori di rischio concorrono
in maniera diversa a
seconda delle aree
geografiche: l’infezione
cronica da virus B (HBV)
aumenta la suscettibilità
all’HCC in Asia e Africa, dove si associa frequentemente
all’Aflatossina B, un parassita che infesta i cibi e che
aumenta considerevolmente la cancerogenicità
dell’HBV. L’infezione cronica da virus C dell’epatite
pugliasalute
(HCV) che spesso evolve in cirrosi epatica rappresenta
il fattore di rischio più importante in Italia e nelle
regioni del Sud compresa la Puglia in particolare. E’
infatti opinione comune che l’HCV ha un ruolo
oncogenetico indiretto, in quanto responsabile di un
danno cronico del fegato. Pertanto l’HCC rappresenta
non una complicanza della cirrosi epatica ma piuttosto
una possibile evoluzione nell’ambito della storia naturale
della malattia. Altri importanti fattori di rischio sono
rappresentati dai danni metabolici. Primo tra tutti
l’abuso di alcool specie nei paesi anglosassoni e negli
Stati Uniti, responsabile di cirrosi epatica alcolica, così
come l’emocromatosi e il deficit di alfa-1-antitripsina.
Recentemente è stato segnalato come il diabete mellito
aumenti in maniera significativa il rischio di sviluppo
di HCC in pazienti già affetti da cirrosi epatica.
Diagnosi
La cirrosi epatica
rappresenta quindi una
condizione morbosa che
può evolvere per
degenerare in HCC. Per
questo motivo i pazienti
con cirrosi epatica sono
sottoposti ad un
programma di screening
semestrale che prevede il
dosaggio sierico
dell’alfafetoproteina (AFP)
e l’ecografia dell’addome
al fine di individuare
quanto più precocemente
possibile la comparsa di noduli di HCC. Una seconda
linea di diagnosi prevede invece l’impiego della TAC
spirale ed eventualmente della RMN (Tabella 1).
Tali programmi di sorveglianza, fortemente suggeriti
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Iter diagnosticoper L'HCC
AFP
400 UL/ml
Ecotomografia
Tac spirale
Biopsia epatica
RMN
dall’associazione italiana ed europea per lo studio delle
malattie del fegato (AISF e EASL, rispettivamente) sono
tuttavia oggetto di grande dibattito dal momento che da
una parte l’AFP risulta essere un marcatore poco attendibile
e dall’altro l’ecografia pur essendo uno strumento
insostituibile risulta essere troppo suscettibile della personale
esperienza dell’operatore. Altro motivo di grande dibattito
è se l’intervallo proposto (sei mesi) tra un controllo e l’altro
sia di per sé sufficiente. I dati in letteratura sono piuttosto
contrastanti dal momento che il “tempo di raddoppiamento
del tumore” è stimato essere da alcuni autori di sei mesi,
rendendo quindi ragione dell’intervallo temporale, ma non
accettato da tutti. Sembra infatti che tale “intervallo di
tempo” dipenda dalle caratteristiche biologiche del tumore
stesso non ancora ben note. Il controllo periodico dei
pazienti con cirrosi epatica che andrebbe sempre eseguito
in Centri Specialistici costituisce una fase molto importante
per individuare il più precocemente possibile la comparsa
di un nuovo nodulo tumorale. La prognosi e la sopravvivenza
dipendono infatti dalla grandezza del tumore. Per questo
motivo la ricerca scientifica di nuovi marcatori per la
diagnosi precoce di HCC è della massima importanza. A
tal proposito sono stati proposti come marcatori
supplementari o alternativi la variante fucosilata della AFP
(AFP-L3) e una aberrante variante della protrombina (DCP).
Tuttavia questi due marcatori, impiegati dagli autori
nipponici, non hanno trovato grande fortuna nei Centri
sostanzialmente migliore dell’AFP (Tabella 2).
Presso la nostra Unità Operativa sono pertanto al vaglio
una nuova generazione di marcatori sierici per la diagnosi
precoce di HCC: l’antigene squamoso del carcinoma
squamo-cellulare (SCCA), la sua forma complessata con
una immunoglobulina-M (SCCAIC) e la forma
immunocomplessata dell’AFP (AFPIC). Questi marcatori
in combinazione con l’AFP permettono di identificare circa
il 60% dei casi che non sarebbero stati altrimenti individuati
con l’impiego della sola AFP. A fronte di questo, circa il
40% dei pazienti con cirrosi epatica risulta essere falsamente
positivo a questi marcatori, ragion per cui rimane da decidere
se la possibilità di individuare un paziente altrimenti non
diagnosticato valga il rischio di individuare un paziente
con cirrosi epatica falsamente positivo alla luce del rapporto
costo-beneficio.
Storia naturale della malattia
L’HCC può presentarsi macroscopicamente in tre diverse
modalità: come neoplasia unica, con un nodulo di dimensioni
variabili, a volte anche molto grandi, tanto da occupare
quasi per intero un lobo epatico; spesso in fase di resezione
chirurgica si osservano noduli microscopici satelliti
peritumorali che corrispondono a noduli metastatici. In
alternativa, l’HCC può presentarsi in forma plurinodulare,
con molteplici noduli in genere di piccole dimensioni che
infiltrano il parenchima epatico nella sua totalità (carcinoma
multifocale). L’ultima possibilità è data dalla presentazione
come cancrocirrosi, in cui l’intero organo risulta coinvolto
dal tumore, per una contemporanea trasformazione
neoplastica di numerosi epatociti, suffragando l’ipotesi di
una malattia a carattere multicentrico. Questa distinzione
non ha un valore nosologico ma soprattutto clinico, dal
momento che il responso della ecotomografia o della TAC,
conformi ad una di queste varie tipologie macroscopiche,
condizionano il successivo approccio terapeutico.
Il fatto che l’HCC insorga su un organo spesso gravemente
compromesso da un punto di vista strutturale e
funzionale rende questo tumore del tutto peculiare.
La presenza della sottostante cirrosi epatica limita
fortemente l’impiego di chemioterapici che non
potrebbero essere adeguatamente metabolizzati
AFP: Poco sensibile, scarsa capacità diagnostica
a livello epatico e potrebbero quindi facilmente
AFP-L3: Poco sensibile, scarsa capacità diagnostica
provocare un insufficienza epatica che risulterebbe
DCP: Poco sensibile, scarsa capacità diagnostica
letale. Inoltre, molti dei segni e dei sintomi
Proteina del Golgi (GP73): Poco sensibile, scarsa capacità diagnostica, poco studiata
dell’HCC sono comuni anche alla cirrosi epatica
SCCA:
Marcatori di nuova generazione. Ottima sensibilità, scarsa specificità. con il conseguente rischio che possano essere
interpretati come indotti dalla preesistente malattia
SCCAIC:
Buona capacità diagnostica.
AFPIC:
Attualmente in fase di validazione clinica presso l’U.O. “C. Frugoni”
epatica e passare quindi misconosciuti.
Operativa La U.O. “C. Frugoni”, da sempre
impegnata nella diagnosi e terapia delle epatiti
croniche virali, ha una larga esperienza in
europei, data la scarsa affidabilità rispetto a quella dell’AFP.
particolare nel campo dell’HCC, con una delle più ampie
La proteina del Golgi (GP73) così chiamata per la sua
casistiche italiane. In sintonia con i dati della letteratura
presenza intracellulare all’interno dell’organo del Golgi è
mondiale, l’HCC risulta essere una malattia più diffusa nel
tutt’ora poco studiata, richiede una metodica di indagine
sesso maschile di quello femminile. Al contrario di quanto
molto laboriosa e quindi poco applicabile su larga scala nei
accade per le altre neoplasie, i marcatori prognostici sono
laboratori diagnostici e risulta essere alla fine non
molto pochi, tuttavia quello più importante che condiziona
Marcatori sierici per la diagnosi di HCC
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la prognosi in maniera sfavorevole è l’insorgenza di
metastasi, in particolare a livelli della vena porta con
conseguente trombosi portale. Attualmente, l’HCC viene
ritenuto un tumore estremamente maligno ad alto grado di
diffusione metastatica particolarmente all’interno del fegato,
nonché con un elevato rischio quindi di metastasi vascolari.
La capacità di differenziare un nodulo metastatico da quello
neoplastico primitivo non è una questione esclusivamente
dottrinale ma ha anche
importanti ricadute
cliniche, dal momento
che lo sviluppo di
metastasi determina
una prognosi più
sfavorevole rispetto
alla comparsa di un
nodulo primitivo.
Terapia
I diversi approcci
terapeutici sono
rappresentati dal
trapianto di fegato,
dalla resezione
chirurgica del tumore,
che consente di
rimuovere anche il
tessuto circostante
spesso sede di
micronoduli satelliti metastatici, dalla necrosi della massa
tumorale mediante alcolizzazione o termoablazione ad
elevata frequenza, in caso di inoperabilità o di tumore di
piccole dimensioni. Un cenno a parte merita la
chemioembolizzazione superselettiva, che consente il
trattamento di numerosi noduli con un unico intervento
terapeutico, ma il cui successo terapeutico è ancora
fortemente discusso. La risposta alla terapia può essere
stimata intorno al 50-75% a distanza di 5 anni, tuttavia
questi dati si riferiscono prevalentemente a tumori di piccole
dimensioni (inferiori ai 3 cm) e con normalità degli indici
di funzionalità epatica. Nel caso di pazienti con carcinoma
multifocale, senza invasione vascolare o metastasi
extraepatiche, l’approccio terapeutico è rappresentato dalla
chemioembolizzazione con sopravvivenza ai tre anni non
superiore al 50%. In pazienti con malattia più avanzata, con
invasione vascolare e metastasi, l’unica possibilità è
rappresentata dalla chemioterapia sistemica il cui successo
terapeutico a tre anni è inferiore al 10%. Recentemente è
stato tuttavia proposto anche l’impego dell’eparina a basso
peso molecolare sia per il trattamento della trombosi sia
per evitare l’ulteriore diffusione metastatica delle cellule
tumorali. Infine, per i pazienti in fase terminale di malattia
l’unico approccio terapeutico è rappresentato dalla terapia
sintomatica.
Tuttavia a fronte di un miglioramento degli approcci
terapeutici chirurgici, la comparsa di recidive rappresenta
un evento pressoché costante (oltre il 70% dei casi) nella
storia naturale della malattia. In aggiunta, il rischio di
insorgenza di un “nuovo” nodulo tumorale è altrettanto alto.
pugliasalute
Nel caso invece di pazienti sottoposti a trapianto di fegato
il rischio di recidive è decisamente inferiore, tuttavia specie
nei pazienti con infezione da HCV il rischio di reinfezione
è estremamente alto ed inoltre la disponibilità di organi
rappresenta un importante fattore limitante.
Purtroppo non sono ancora disponibili terapie mediche,
neanche di supporto, in grado di rallentare la crescita o la
diffusione metastatica del tumore. Recentemente presso
l’Unità Operativa “C.
Frugoni” del
Dipartimento di
Clinica Medica,
Immunologia e
Malattie infettive
sono state studiate in
via sperimentale
alcuni farmaci
biologici come
l’inibitore del
recettore per il
fattore di crescita
epiteliale (EGFR)
Iressa, o l’inibitore
del fattore di crescita
dell’endotelio
vascolare (VEGFR),
ZD6474. I dati
oggetto
di
recensione nella
letteratura medica suggeriscono un ruolo per questi due
farmaci, tra l’altro privi di sostanziali effetti collaterali per
l’uomo, nell’inibire la proliferazione e l’invasione metastatica
delle cellule di HCC in condizioni sperimentali. Studi clinici
di fase II sono attualmente in corso e potrebbero essere
stimolanti per ulteriori studi su più ampie casistiche cliniche.
Prevenzione
La scarsa disponibilità di adeguate terapie mediche per
la cura dei pazienti con HCC conferisce ulteriore valenza
alla prevenzione (per quanto possibile) dell’insorgenza di
HCC. Una efficace prevenzione per l’HCC richiede il
concorso di approcci differenti sulla base dell’obiettivo da
perseguire in rapporto alla fase temporale della patologia
epatica sottostante e pertanto in ordine temporale: 1) limitare
la diffusione del virus da HBV mediante vaccinazione,
quello da HCV limitando i possibili contagi, ed evitando
l’insorgenza di patologie epatiche ad abuso di alcool; 2)
intervenire terapeuticamente sull’infezione cronica virale
mediante terapie mediche antivirali (meglio descritte nel
precedente articolo); 3) attento monitoraggio dei pazienti
con cirrosi epatica allo scopo di individuare quanto più
precocemente possibile l’insorgenza di HCC. La mancanza
di un vaccino per la prevenzione del contagio da HCV
rappresenta un limite importante nella fase di prevenzione,
tuttavia molto può essere ancora fatto per ridurre i rischi di
contagio professionale, occasionale o voluttuario.
* Dipartimento di Clinica Medica,Immunologia e Malattie Infettive.
Sezione di Clinica Medica, dell'Università di Bari-U.O.
Medicina Interna Universitaria "Cesare Frugoni, Policlinico Bari
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