quella stronza del mio capo

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quella stronza del mio capo
LIBRO
IN ASSAGGIO
QUELLA STRONZA
DEL MIO CAPO
DI BRIDIE CLARK
Quella stronza del mio capo
DI BRIDIE CLARK
PROLOGO
IL MESSAGGERO DELLA MORTE
È il giorno del mio matrimonio. Mancano due ore al momento in cui dovrei
percorrere la navata.
Beatrice, la mia migliore amica, mi aiuta a infilare il vestito, sorridendo mentre
il tessuto mi scivola addosso, allacciandomi i bottoni sulla schiena. Grazie al
cielo c’è Bea, penso per la milionesima volta. Entrambe guardiamo la mia
figura riflessa nello specchio. Ho esattamente l’aspetto che dovrebbe avere
una sposa: capelli raccolti in un elegante chignon basso, trucco leggero, pelle
diafana e orecchini di diamanti.
Mi giro per vedere se la Sposa Perfetta nello specchio seguirà il mio
movimento — e lo fa, naturalmente. Quindi, si esamina il meraviglioso abito
che indossa, firmato Vera Wang, sul quale una dozzina di sarte hanno cucito
minuscoli cristalli di rocca che sembrano polvere magica.
«Sei favolosa, Claire», dice Bea, non si può dire altro a una donna che
indossa un capolavoro simile. Fissiamo la mia immagine riflessa. Nessuna si
dà la pena di sorridere.
Qualcuno bussa alla porta della mia suite ed entrambe ritorniamo alla realtà.
«E’ aperto», grida Bea, e Lucille Cox, la mia futura suocera, piccola di statura
e con la faccia tirata come quella di un dobermann, entra a passo di carica.
«Vengo a portarti un regalo dello sposo!» tuona Lucille rivolta a nessuna in
particolare — ciò che a LucilIe manca in statura viene compensato in decibel.
Oggi sembra più piccola e irruente del solito, in un abito cremisi di Oscar de la
Renta che deve costare il triplo dell’auto di mia madre. Lo stress prematrimonio ha ridotto la dieta di Ludille da spartana a etiope. I piccioni di
Central Park mangiano meglio.
«Oh, Claire, cara, sei...» Lucille s’interrompe portandosi una mano ingioiellata
al décolleté scheletrico e lentigginoso, un gesto a sostituire, immagino, la
mancanza di aggettivi. «Sei proprio come tua madre», conclude.
Alt, fermate tutto. Lucille ha davvero detto questo? Una donna il cui
argomento preferito è se stessa mi ha fatto il complimento che preferisco, il
miglior apprezzamento che poteva arrivarmi da lei: Lucille ha sempre
idolatrato mia madre fin dai tempi in cui erano compagne di stanza
all’università.
Ho uno slancio di gratitudine. E Lucille, come se avvertisse la presenza
nell’aria di emozioni troppo personali, per disperderle mi mette
maldestramente tra le mani una scatolina di velluto.
«Aprila!» ordina.
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Faccio quello che mi viene chiesto, mia pessima abitudine, di recente. Su un
cuscinetto di morbido velluto nero appare una collana di diamanti, il gioiello
più costoso che abbia mai visto, figuriamoci portato.
«Oh, mia cara», miagola Lucille, guardando con adorazione la collana come
se fosse il suo primo nipote. «Bulgari vintage. Favolosa.» Me la metto al collo,
e tutte e tre ci voltiamo ancora una volta verso lo specchio. E perfetta.
Assolutamente perfetta. La segretaria del mio fidanzato ha un gusto squisito.
«E sono anche riuscita ad avere la bozza dell’edizione domenicale», trilla
Lucille, prendendo dalla borsa un ritaglio di giornale.
Claire Truman
Randall Pearson Cox III
Claire Truman, figlia di Patricia e del fu Charles Truman di Iowa City, e
Randall Pearson Cox III, figlio di Lucille e Randall Cox Il di PaIm Beach,
Florida, si sposeranno oggi nella chiesa episcopale di St. James a New York.
La signorina Truman, 27 anni, lavora come editor alla Grant Books. Si è
laureata summa cum laude a Princeton in Letteratura inglese. Sua madre è
pittrice e suo padre era poeta e professore all’Università dello Iowa.
Il signor Cox, 31 anni, è direttore amministrativo della Goldman Sachs, una
banca di New York. Anch’egli si è laureato a Princeton e ha conseguito un
master ad Harvard. Sua madre fa parte del consiglio di amministrazione del
Flagler Museum e della Palm Beach Historical Society. Suo nonno fu direttore
e presidente del McCowan Trust, dal quale suo padre si è ritirato lo scorso
anno con la carica di vicepresidente senior.
«Ti senti bene, Claire?» chiede Lucille, lo sguardo rivolto verso il basso. Le
mie mani stanno tremando come se impugnassero un martello pneumatico.
Grazie al cielo, l’attenzione di Lucille è mutevole come quella di un bambino e
viene subito distratta dall’ingresso del truccatore, Jacques.
«A proposito, dov’è tua madre?» mi chiede, scrutando la valigetta del trucco
di Jacques alla ricerca della giusta sfumatura di rossetto.
«Arriverà da un momento all’altro», dico controllando l’ora, e pregando perché
il tempo si fermi anche solo un secondo per lasciarmi riprendere fiato. Ma non
funziona. Non ha funzionato per tutto il mese.
«Voglio che mi dia un consiglio sugli orecchini», si lamenta Lucille.
Bea solleva la testa, incredula. Be’, è davvero comico il pensiero di Lucille —
dama della buona società, con gli armadi pieni di abiti mai messi — che
chiede alla mia anziana genitrice hippie quale parure di diamanti stia meglio
con la sua mise superfirmata. Mia madre, il cui unico gioiello è sempre stato
la fede nuziale. Mia mamma, la cui romantica idea di viziarsi un po’ è quella di
un bagno caldo con l’aggiunta di speciali essenze regalatele dalla sua
migliore amica nello Iowa — un’artista lesbica che vive in una fattoria e
produce un sapone artigianale. Patricia Truman, il cui guardaroba è composto
da abiti in flanella, denim e vestiti ritinti.
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E’ difficile immaginarlo, ma sembra che all’università mamma e Lucille fossero
come sorelle. Lucille (cresciuta in una minuscola cittadina del Kansas che,
ogni volta che glielo chiedo, dista sempre meno da Chicago) ha passato
quattro anni a tempestare mamma (nata in una famiglia benestante di Boston)
di domande su galateo e bon ton. Suppongo che mamma trovasse il fare
aggressivo da arrampicatrice sociale di Lucille innocuo e persino divertente. A
mamma non importava a sufficienza del mondo in cui era nata per sentirsene
gelosa o per rifiutarne l’ingresso a qualcuno che lo desiderava
disperatamente. E il corso di buone maniere di Lucille fu ampiamente
ricompensato quando incontrò Randall Cox II, un affascinante giocatore di
polo di sangue blu. All’epoca lui usciva con cinque ragazze alla volta, ma
scelse Lucille come moglie. Fu l’evento dell’anno, o qualcosa di simile.
La preda di Lucille, nonché mio futuro suocero, si dimostrò un marito tanto
infedele quanto di successo (e parecchio, in entrambi i campi). Ma, per
quanto ne so, a Lucille non importò mai delle plateali scappatelle del marito
finché aveva la sua residenza a Palm Beach, i jet privati, i gioielli, il «cottage»
con sette stanze da letto a Southampton, le sfilate di moda a Parigi e Milano,
la cuoca, la massaggiatrice e la segretaria, e la casa a Manhattan. Lo stile di
vita della signora Randall Cox II.
Mamma, d’altra parte, aveva barattato gli agi della sua famiglia con il mio
meraviglioso padre: l’amore della sua vita, un poeta squattrinato che tuttavia
riuscì a regalarci un ‘esistenza ricchissima. Dovevamo sempre stringere un
po’ la cinghia — papà insegnava all’università, mamma vendeva i suoi
acquerelli per incrementare le entrate, e io studiavo duramente per ottenere la
borsa di studio a Princeton — ma della mia infanzia non cambierei nulla.
Aggiornata il venerdì 23 maggio 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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